Istituto Statale d'Istruzione Superiore "Arturo Malignani" - Udine Istituto Tecnico Industriale “A. Malignani” Sezione di Informatica e Telecomunicazioni Sezione di Elettronica, Elettrotecnica e Automazione Organizzazione dello studio Versione 0v23 Dicembre 2015 prof. Santino Bandiziol CC 2015 - Organizzazione dello studio Santino Bandiziol Le informazioni contenute nelle presenti pagine sono state verificate e documentate con la massima cura possibile. Nessuna responsabilità derivante dal loro utilizzo potrà venire imputata all’Autore o alle società coinvolte nella loro creazione, pubblicazione e distribuzione. Alcuni diritti riservati. Documento prodotto con LATEX. L’immagine di copertina è di proprietà di Ian Burt Titolo originale dell’opera: “Back to school - It was a long way to school” rilasciata con licenza CC BY Le restanti immagini sono di pubblico dominio o elaborate dall’autore. 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Indice Indice i Introduzione 1 2 iii Il mondo della scuola 1.1 L’importanza dell’istruzione . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Ma insomma, l’istruzione è importante o no? 1.2 La crisi dell’istituzione scolastica . . . . . . . . . . . 1.2.1 La trasformazione della scuola . . . . . . . . 1.2.2 La cura dell’individuo . . . . . . . . . . . . . 1.3 L’alleanza scuola-famiglia-studente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La famiglia 2.1 Absit iniuria verbis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Un unico obiettivo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Sì, un unico obiettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.2 Dal fine al mezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.3 L’atteggiamento della scuola e della famiglia . . . . . . . 2.3 Come può la famiglia aiutare il proprio figlio? . . . . . . . . . . 2.3.1 Io alla tua età... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.2 Ma ragiona, per favore! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.3 La pazienza della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.4 L’esempio della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Qualche consiglio pratico per la famiglia . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1 L’organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1.1 Il cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1.2 Il PC per studiare . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1.3 La musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1.4 Cattivi appunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1.5 Mancato controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1.6 Le ore dedicate allo studio . . . . . . . . . . . . 2.4.1.7 Il colloquio con i professori . . . . . . . . . . . . 2.4.1.8 Altre cattive abitudini . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2 La pianificazione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2.1 Usare un calendario . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2.2 “Mamma, oggi non mangio: devo studiare elettronica” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2.3 Ansia e panico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i 1 2 3 4 4 6 7 9 9 10 12 14 14 16 16 17 18 19 20 20 20 21 21 22 23 24 24 25 25 25 26 26 ii INDICE 2.4.3 2.4.4 2.4.5 2.4.6 2.4.7 2.4.8 2.4.9 3 4 2.4.2.4 Creare alleanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un punto di vista obiettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . E se mio figlio fosse un po’ lento? . . . . . . . . . . . . . Cos’è l’intelligenza? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quanto incide l’intelligenza nel successo di un ragazzo? Un ragazzo “lento” può seguire con successo un corso di studi difficile? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La grinta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Allenare l’autocontrollo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 27 27 28 29 30 30 32 Lo studente 3.1 Il Vero Studente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Qualche consiglio pratico allo studente . . . . . . . . . . 3.1.1.1 Il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni prima della verifica . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1.2 Il Vero Studente non sta mai attento a lezione . 3.1.1.3 Il Vero Studente non studia subito il nuovo argomento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1.4 Il Vero Studente non sta mai attento durante le interrogazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1.5 Il Vero Studente non prepara argomenti a piacere 3.1.1.6 Il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che può . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1.7 Il Vero Studente non crede nelle proprie capacità 3.1.1.8 Il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione 3.1.1.9 Il Vero Studente risponde in maniera intuitiva . 3.1.1.10 Il Vero Studente non chiede mai nulla al professore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Qualche consiglio teorico allo studente . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Intuizione vs. Ragionamento . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1.1 Il Cervello Veloce e il Cervello Lento . . . . . . 3.2.1.2 Il Cervello Veloce . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1.3 Il Cervello Lento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1.4 Un altro esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1.5 Apologia del ragionamento? . . . . . . . . . . . 3.2.2 L’atteggiamento attivo in classe . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.2.1 L’effetto alone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3 L’atteggiamento passivo in classe . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3.1 Il posto in aula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3.2 Chiedere chiarimenti . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3.3 Un po’ di convinzione . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3.4 Cambiare opinione . . . . . . . . . . . . . . . . 42 42 43 44 45 45 47 48 48 49 49 50 50 51 52 Conclusioni 53 Bibliografia 35 36 36 37 38 38 39 39 40 40 41 42 55 Introduzione Soltanto i giovani hanno momenti del genere. Non dico i più giovani. No. Quando si è molto giovani, a dirla esatta, non vi sono momenti. È privilegio della prima gioventù vivere d’anticipo sul tempo a venire, in un flusso ininterrotto di belle speranze che non conosce soste o attimi di riflessione. Ci si chiude alle spalle il cancelletto dell’infanzia, e si entra in un giardino di incanti. Persino la penombra qui brilla di promesse. A ogni svolta il sentiero ha le sue seduzioni. E non perché sia questo un paese inesplorato. Lo sappiamo bene che l’umanità tutta è passata di lì. È piuttosto l’incanto dell’universale esperienza, da cui ci aspettiamo emozioni non ordinarie o personali, qualcosa che sia solo nostro. La linea d’ombra - Joseph Conrad Si usa dire che fare il genitore sia il mestiere più difficile del mondo. A rafforzare tale pensiero popolare ci pensa una società quanto mai complessa e un digital gap generazionale che fino a qualche decennio fa nemmeno esisteva. Fare il genitore oggi è probabilmente parecchio più difficile di trent’anni fa. Nemmeno fare lo studente adolescente è, però, un mestiere semplice. La scuola superiore può rappresentare per molti giovani il primo vero, a volte insuperabile, problema della loro vita. E poi c’è l’ignoto. Si studia, ma intanto si pensa se servirà a qualcosa. Certamente non si può dire che una tale prospettiva sia incoraggiante. Nel mezzo ci siamo noi insegnanti che vorremmo, e probabilmente potremmo, aiutare gli uni e gli altri, ma che gli stereotipi sociali dipingono come operanti nella scuola con strumenti spuntati e obsoleti. Eppure questi stereotipi a volte si infrangono contro la passione, quella autentica, dell’insegnamento, che riconduce il rapporto docente-discente a quello che dovrebbe essere: un incessante fluire della conoscenza da una generazione all’altra, in un rito che confina con l’affabulazione. Mi si consenta un ricordo che meglio di qualsiasi altra cosa illustra quanto detto. Il ricordo riguarda il mio primo incontro con la professoressa di Storia e Letteratura Italiana del terzo corso di Elettronica Industriale all’allora ITI “A. iii iv INTRODUZIONE Malignani”. Quando la professoressa entrò in classe, noi allievi della 3ˆ ELI/B, ci alzammo in piedi in segno di saluto e poi ci sedemmo. Lei rimase statuaria a fianco della cattedra e sibilò: “Chi vi ha dato il permesso di sedervi?”. Come peri che cadevano dal pero all’incontrario, ci alzammo nuovamente in piedi. Uno alla volta, pian piano, nell’incredulità più assoluta. Così restammo per una trentina di secondi, in un silenzio tombale finché la professoressa scandì a bassa voce: “Chi, a fine anno, non avrà imparato la data del Concordato di Worms, ... (pausa) anno domini 1122, ... (pausa) io lo boccio.” Fu odio a prima vista. Poi, però, nelle settimane e nei mesi seguenti successe qualcosa. Quella donna, severissima, ci affascinava. Riusciva a spiegarci Gregorio VII e la Divina Commedia in maniera assolutamente irresistibile, intensa e affabulatoria. Finché un giorno, ormai eravamo in quarta, durante una supplenza, entrò in classe con un mazzo di gessi colorati, come fossero fiori di campo, dicendo: “Oggi vi spiego la battaglia di Austerlitz.” Fu come essere al cinema o come ascoltare la nonna che raccontava una favola. Napoleone da una parte e Kutuzov dall’altra. Sulla lavagna l’insegnante disegnò con colori diversi le colline di Austerlitz e il fiume Goldbach. Furono quasi due ore di racconto intenso e appassionato durante le quali vennero cantate le lodi del “più grande generale dopo Annibale e Cesare” come la nostra professoressa apostrofò Napoleone. E, stavolta, fu amore. Amore per Napoleone, per Dante, per Machiavelli, per Paolo e Francesca, per Boccaccio, per la Mandragola, per il Concordato di Worms, per Kierkegaard e per Schopenhauer, per Marat (quella carogna) e per le brioches di Maria Antonietta che, povera, con le brioches probabilmente non c’entrava nemmeno. Questo dovrebbe essere il rapporto docente-discente. Così dovrebbe essere fatta la scuola. Ed è compito nostro entrare in aula e cercare di ricreare quell’incanto. I presenti appunti hanno la pretesa di provarci e per farlo parleranno di studenti, di famiglie e di insegnanti. Parleranno di argomenti delicati, perché i protagonisti delle pagine che seguiranno hanno anche delle responsabilità concrete che a volte diventano delle trappole. Ma è proprio la parola, lo strumento dell’affabulazione, che ci sarà d’aiuto e mediante la quale si cercherà di raccontare il mondo della scuola. Infine un’ultima riflessione. Dopo trentasei anni di insegnamento, posso vantare qualche conoscenza in campo elettronico. Per contro, le mie conoscenze in campo psicologico, psichiatrico e pedagogico sono pari a zero, come pure, conseguentemente, i relativi titoli accademici. Mi sono limitato a leggere, sull’argomento, qualche buon libro perché il mestiere lo richiedeva e perché la curiosità stuzzicava la lettura. Come mai, allora, una riflessione pubblica sul ruolo degli insegnanti e dei genitori in questa appassionante avventura che è l’avvicinamento al mondo degli adulti dei nostri ragazzi? La scintilla è scoccata leggendo un pensiero di Laurence Steinberg, professore di psicologia alla Temple University di Philadelfia specializzato nelle problematiche relative all’adolescenza, che ha capovolto tale punto di vista: Dobbiamo cominciare a pensare all’adolescenza in modo diverso e per fortuna negli ultimi vent’anni lo studio scientifico di questa fase dello svi- v luppo ha fatto enormi passi avanti. La buona notizia è che tutte le conoscenze acquisite, derivanti dalle scienze comportamentali, dalle scienze sociali e dalle neuroscienze, costituiscono un punto di partenza concreto, che può aiutare genitori, insegnanti, datori di lavoro, operatori sanitari e altre figure che si occupano dei giovani a migliorare: ad accudire i figli in modo più intelligente; a insegnare in modo più efficace; a supervisionare e a lavorare con i giovani in modo da aumentarne la possibilità di successo; a capire perché tanti bravi ragazzi come Stacie [protagonista di un episodio di cleptomanìa, NdA] compiano gesti così palesemente sconsiderati. La cattiva notizia è che molte di queste conseguenze non hanno ancora minimamente influito sul nostro modo di allevare, educare e trattare i giovani. Il cervello adolescente - Laurence Steinberg Dunque che fare? Aspettare una circolare ministeriale che esortasse a considerare i progressi della scienza? Lavarsene le mani ributtando la palla agli studenti, magari dicendo loro di studiare di più? La domanda l’ho posta direttamente a Laurence Steinberg, prima di una conferenza avente per tema l’adolescenza. La risposta esortava ad aggiornarsi costantemente e seriamente e a mettere in opera quanto appreso, senza esitazioni. Alla fine la decisione presa ha dato vita alle presenti pagine, nelle quali si parla di scuola, di famiglie e di adolescenti. Non è un trattato su come si educa un giovane - non mi permetterei mai - ma un tentativo di creare un ponte fra scuola e famiglie che permetta di migliorare e rendere più efficienti i rapporti fra i due mondi. Chiedo comunque umilmente perdono in anticipo per eventuali, non volute, invasioni di campo. Data la natura di queste pagine è molto probabile che in esse si possano leggere delle stupidaggini sesquipedali o semplicemente frasi che urtino la propria sensibilità. In entrambi i casi sono graditi i commenti e/o le segnalazioni d’errore, che possono essere notificati a [email protected] Grazie. ISIS “Arturo Malignani” Udine, 11/12/2015 prof. Santino Bandiziol Capitolo 1 Il mondo della scuola I meccanismi della costituzione democratica sono costruiti per essere adoprati non dal gregge dei sudditi inerti, ma dal popolo dei cittadini responsabili: e trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere. Contro il privilegio dell’istruzione - Piero Calamandrei saggio apparso sulla rivista “Il Ponte” - 1946 Vien da chiedersi se le parole di Calamandrei siano ancora attuali, oppure se la capacità dell’istituzione scolastica di incidere nel tessuto sociale sia andata via via affievolendosi. La scuola di oggi è profondamente diversa non solo da quella del dopoguerra ma anche da quella, ad esempio, di 30 anni fa e ciò è valido per tutte le scuole, di ogni ordine e grado. Ciò significa che il mondo dell’istruzione che hanno conosciuto i genitori degli allievi che frequentano il nostro Istituto era completamente diverso da quello di oggi. Eppure, nel loro immaginario, i genitori pensano ancora alla scuola d’oggi come a quella della loro adolescenza. Questo punto di vista impedisce, però, di conoscere i meccanismi del sistema educativo attuale e, talvolta, la stessa natura e genesi delle difficoltà scolastiche vissute dai loro figli. Quindi per capire il mondo in cui i giovani spendono parte della loro giornata, le famiglie devono innanzi tutto rendersi conto che la loro idea di scuola è, in molti casi, ferma a quella vissuta da loro in prima persona, che era molto diversa da quella attuale. Era diversa dal punto di vista organizzativo, disciplinare, didattico e programmatico, come pure nel modo in cui si relazionava con studenti e famiglie. Anche quello che la società chiedeva alla scuola di allora è molto diverso da quello che le viene chiesto oggi, soprattutto in virtù del fatto che numerosi e profondi sono i cambiamenti avvenuti negli ultimi trent’anni. Per lo studente 1 2 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA di allora, l’istruzione poteva rappresentare un autentico strumento di emancipazione, per cui essa assumeva, in molti casi, un’importanza primaria nella vita della famiglia. Tale importanza, per mille motivi, è andata via via scemando, fino ad apparire sbiadita e incolore ai giorni nostri. A tal proposito si propone una - divertente? - riflessione. 1.1 L’importanza dell’istruzione Tutti i genitori sono solitamente d’accordo nel sottolineare che l’istruzione è molto importante e che scegliere la scuola giusta insieme al proprio figlio sia fondamentale. Da ciò dipende la vita futura del giovane, sia dal punto di vista culturale che sociale ed economico. Insomma scegliere la scuola giusta è una cosa da farsi con attenzione e in maniera ponderata. Tutti lo dicono e tutti assumono un’aria seriosa quando lo proclamano. Si propone, però, una riflessione semiseria ai padri che, un attimo fa, erano d’accordo con quanto appena letto. Si rifletta per un attimo all’ultima automobile comprata. Ci sono volute settimane, forse mesi, di attenta cernita prima di compiere l’importante scelta. Si sono comprate per mesi riviste specializzate ove si promuovevano automobili per tutti i gusti e per tutte le tasche. Si sono controllati i consumi, le performances, i risultati dei test di frenata e di sbandata controllata. Se ne è parlato con gli amici al bar per settimane chiedendo se il difetto alla turbina era stato risolto, se le manutenzioni erano costose e se la selleria in pelle era delicata. Tutto giusto. In fin dei conti è molto sensato scegliere al meglio e non buttare i soldi dalla finestra scegliendo in maniera superficiale. Immagino anche, che i suddetti padri non abbiano dubbi se collocare il proprio figlio sopra o sotto la propria automobile nella scala dei propri valori (etici oltre che economici). Sicuramente il figlio è immensamente più importante della propria auto e sicuramente scegliere la scuola giusta - quella scuola che può aprire al proprio figlio le porte della cultura e del benessere sociale, quella stessa scuola che accompagnerà l’adolescente attraverso uno dei periodi più delicati della propria vita - è immensamente più importante che scegliere bene un’automobile. Ebbene, vadano i suddetti citati padri in edicola e chiedano qualche rivista che parli di scuola e di come sceglierla bene. Possono provare con “Mi dia QuattroScuole di ottobre per favore”, oppure “È già uscito Allo Scuolante di novembre?”. Se lo desiderano possono anche fotografare l’espressione dell’edicolante per poi mostrarla al bar quando trattano l’argomento con gli amici. Perché tanta sarcastica ironia? Perché l’ironia fa riflettere. Perché la scuola non “fa mercato”, non “fa tendenza”. Non è colpa di questo o di quello, semplicemente è ignorata o perlomeno sottovalutata dai legittimi o potenziali stakeholders. E allora, che fare? Le presenti pagine hanno proprio l’ambizione di sollevare il problema e di tentare di costruire un ponte fra famiglie e mondo dell’istruzione. Un ponte che permetta loro di scegliere coscientemente il luogo dove il proprio figlio studierà nei prossimi anni, ma che soprattutto permetta, a scelta già operata, di accompagnare lo studente nel migliore dei modi sull’altra sponda. Lì, ad 1.1. L’IMPORTANZA DELL’ISTRUZIONE 3 attenderlo, ci sarà il mondo del lavoro. Un mondo esigente e non sempre ben disposto alla comprensione. 1.1.1 Ma insomma, l’istruzione è importante o no? Naturalmente non si poteva lasciare sospeso il paragrafo precedente senza passare da un atteggiamento ironico a uno serio. Chi scrive è intimamente convinto che l’istruzione sia una cosa serissima e assolutamente fondamentale nella corretta crescita di un adolescente. Tutti noi abbiamo ricordi vivissimi della scuola superiore e ciò non dipende solo dal picco di reminiscenza, ovvero da quella particolare capacità di ricordarsi soprattutto eventi legati all’adolescenza. Dipende anche e soprattutto dall’avere incontrato persone che hanno saputo interpretare al meglio la loro funzione docente in un periodo di grande sensibilità intellettuale del discente. Molti adulti ricordano con affetto, fra i loro insegnanti della scuola superiore, persone che si sono elevate a guida e che hanno saputo lasciare una traccia indelebile nello studente: il rigore lessicale, ad esempio, oppure la capacità di affrontare con metodo un problema o semplicemente l’amore per la conoscenza. Quel rigore lessicale, quella capacità di affrontare con metodo un problema o quell’amore per la conoscenza non abbandonerà più l’ex studente che nel frattempo sarà diventato adulto. Sarà un tratto distintivo che lo caratterizzerà per tutta la vita. Sarà la dote che la scuola gli avrà lasciato prima di entrare nella vita adulta. Complice di quella azione di imprinting è sicuramente il picco di reminiscenza, ma il vero fautore rimane l’istituzione scolastica.1 Quindi la scuola non è importante: è straordinariamente importante. Lo è perché plasma gli adulti e i cittadini e perché cambia le coscienze delle persone. Talvolta il genitore, sconsolato, dice al proprio figlio: “Ma perché non studi un po’ di più? Dai, fa’ uno sforzo e fatti promuovere!”. Quel genitore trasforma un imperativo etico in una bassa azione speculativa. È come se dicesse al proprio figlio birbantello: “Ma perché non rubi un po’ di meno? E cerca almeno di non farti beccare!”. Gli argomenti che quel genitore avanza sono deboli eticamente. Per smontare la tesi del genitore basta un semplice: “E perché? Cosa mi dà la scuola?”. Il genitore sa bene, con la disoccupazione giovanile al 40%, che non può dire al figlio che studiando “un po’ di più” trova lavoro. Rischia di far morire dal ridere l’innocente creatura. No, meglio lasciar perdere. Conviene cambiare strategia. Al figlio birbantello qualsiasi genitore avveduto dice: “Ma sei impazzito? Cosa ti salta in mente? NON SI RUBA! È chiaro? Per nessun motivo al mondo!” Magari cambia frase, alza la voce, si lascia prendere la mano o si inalbera. Comunque il genitore retto non può derogare nemmeno di una virgola dal dire al proprio figlio che non si ruba. E se il figlio ha rubato, anche solo uno spillo, ciò va considerato un errore al quale rimediare e da non rifare più. Questa strategia risulta valida anche parlando di studio. Il genitore illuminato potrebbe dire al proprio figlio - quello di prima, un po’ birbantello - in maniera convincente: “Studia più che puoi, con tutta la passione che hai dentro. Divora i libri e sii curioso come una scimmia. Pensa con la tua testa e non permettere mai a nessuno di farlo al posto tuo.” 1 J ANSSEN , C HESSA , M URRE [28], pp. 658-659 e pp. 665-666, 4 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA Non serve urlare e non servono nemmeno i punti esclamativi. Se si saprà parlare con il cuore, il giovane capirà. E se la predetta innocente creatura replicherà dicendo: “Ma cosa leggo papà? Non c’è un libro in casa, solo riviste di automobili.” sarà bene mettersi una mano sulla coscienza e incominciare a dare il buon esempio. 1.2 La crisi dell’istituzione scolastica Certamente non basterà dire al proprio figlio: “Studia con passione” per trasformarlo da Gavroche in Pico della Mirandola. Per il momento, comunque, si cerchi di evitare di dirgli: “Studia un po’ di più.” La verità è che la scuola italiana - e non solo quella italiana - non attraversa un momento felice, anzi riflette fedelmente i problemi della società odierna. Ma da dove nasce questa presunta crisi della scuola? Ovviamente non è facile dare una risposta esaustiva alla domanda. Opinione personale è che essa abbia almeno due madri: il passaggio, non ancora perfettamente compiuto, da una scuola piuttosto chiusa ad una scuola moderna e più “democratica” e un calo motivazionale delle ultime generazioni, ben illustrato in S TEINBERG [15]. In realtà si tratta di risposte molto parziali, ma possono costituire un punto di partenza dell’analisi. 1.2.1 La trasformazione della scuola Si è detto che l’istituzione scolastica era, in passato, più chiusa. Certamente era poco aperta e molto meno “democratica” di adesso. Bastano alcuni esempi per rendersene conto. Camminando lungo i corridoi del nostro Istituto si possono leggere brevi scampoli di storia. Appeso quasi di fronte all’ufficio della Dirigenza si può leggere una vecchia intervista all’allora Preside dell’ITI “A. Malignani” l’ing. Gastone Conti e ad alcuni suoi collaboratori, fra i quali l’ing. Bottega. In detta intervista si chiede l’opinione dei due ingegneri per sapere se fosse sensato, secondo loro, permettere l’accesso alle facoltà di Ingegneria ai diplomati degli Istituti Tecnici. All’epoca, il prof. Bottega si dichiarava nettamente contrario, mentre il Preside Conti si dichiarava più possibilista, magari dopo una selezione “affidata alla media dei voti [...] o ad un esame di ammissione.”2 Un altro esempio eclatante di scarsa democrazia scolastica, come la chiameremmo oggi, è dato da un gioco scolastico alquanto perverso, praticato qualche anno fa. Alcuni studenti del nostro Istituto lo chiamavano “la conquista del gesso” o qualcosa del genere. Nella prima metà degli anni settanta accadde che, in seguito ad uno sciopero del comparto scuola e conseguente assenza di un nostro insegnante, la ormai conosciuta classe 3ˆ ELI/B venne smembrata per un giorno in quattro-cinque parti e assegnata ad altre classi. In una di esse alcuni di noi hanno avuto modo di assistere alla “conquista del gesso”. L’insegnante chiamò un allievo della classe ospitante alla lavagna per essere interrogato. Era sua usanza fare velocemente una domanda durante il tragitto, effettuato dallo studente, dal banco alla lavagna. Se lo studente non rispondeva 2 “Forza Malignani” numero di giungo 1961. 1.2. LA CRISI DELL’ISTITUZIONE SCOLASTICA 5 correttamente a tale domanda veniva rispedito al banco con un sonoro 2, senza aver nemmeno avuto modo di toccare il gesso che si trovava presso la lavagna. Durante il tragitto dello spaventato - anzi, terrorizzato - studente eccheggiò nell’aula la domanda-trabocchetto: “Uno elevato alla zero fa zero, vero?”. Le parole non erano nemmeno ben scandite. Sembrava piuttosto uno scioglilingua: “Unoallazerofazero, vero?” Lo sciagurato rispose: “Sì”. Venne rispedito al posto in malo modo con un 2, senza che avesse avuto il modo di toccare il gesso. Democrazia anni settanta o, se si preferisce, la “conquista del gesso”. Per la cronaca, il suddetto insegnante, sotto molti aspetti eccellente, è stato oggetto di numerosi episodi di violenza da parte di alcuni studenti facinorosi. Ma funzionava una scuola del genere? Sotto molti aspetti sì. Aveva il gran pregio di indurre gli studenti a studiare, anche se il metodo usato prevedeva forme arcaiche di terrorismo. Si aggiunga a ciò che, ad esempio nella sezione Elettronica, la bocciatura in classe terza implicava in quegli anni l’impossibilità, per regolamento interno, della reiscrizione, per cui si era costretti ad “emigrare” in Elettrotecnica. Certo, una simile scuola aveva anche il non trascurabile difetto di essere un po’ tirannica. Poi vennero i decreti delegati che portarono una ventata di democrazia. Ecco, il “passaggio non ancora perfettamente compiuto” di cui si parlava poc’anzi è proprio quello dalla scuola “vecchio stampo” a una più moderna e più democratica. La domanda nasce spontanea: in che senso il passaggio non è ancora compiuto? Si può ragionevolmente sostenere che la scuola oggidì è luogo perfettamente democratico, se si guarda ad essa con pratica oggettività. Per grandi linee si può essere d’accordo. Quello che manca, ancora, è l’applicazione di una delle peculiarità delle democrazie: la cura dell’individuo.3 La tirannìa parla alle masse, ai sudditi; la democrazia parla agli individui, ai cittadini. Questo punto di vista è meravigliosamente sostenuto da uno dei maggiori Costituzionalisti italiani: Dobbiamo vedere con preoccupazione il procedere delle nostre società verso l’omologazione, un fenomeno che riguarda molti livelli dell’esistenza, dai consumi opportunamente detti ’di massa’. Chi non si adegua, passa nel migliore dei casi per un ’originale’; nel peggiore dei casi per uno ’spostato’, da evitare, emarginare, bandire dal gruppo, tanto più in quanto, con la sua stessa esistenza, solleva dubbi e interrogativi sul pigro conformismo della maggioranza. Imparare democrazia - Gustavo Zagrebelsky L’insegnante che nella pagina precedente chiedeva Unoallazerofazero, vero? non curava l’individuo, ma obbligava l’individuo ad avere cura di sé. In tal modo, i risultati - la conoscenza, la promozione - venivano raggiunti, spesso, ugualmente ma a totale spesa e carico dello studente e delle famiglie. Era unicamente compito dello studente mettersi nelle condizioni di apprendere e farsi promuovere. L’insegnante si limitava a illustrare i concetti, limando, qua e là, alcune difficoltà che gli allievi - plurale - potevano incontrare. 3 Z AGREBELSKY [17], pp, 18-21. 6 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA 1.2.2 La cura dell’individuo Si è detto che la cura dell’individuo è una delle caratteristiche della scuola democratica. Questo punto, non del tutto oscuro agli allievi e alle famiglie, va approfondito. Studenti e famiglie hanno il diritto di chiedere all’istituzione scolastica di occuparsi del singolo individuo. Ma la democrazia non vive di soli diritti: chiede una partecipazione attiva ai suoi cittadini. Ciò vale anche nelle aule scolastiche. Questo fondamentale concetto non è sempre compreso dagli studenti, che prendono posto fra i banchi di scuola come ci si siede sulla poltroncina del barbiere: totalmente passivi. È come se dicessero all’insegnante/barbiere: “Insegnami la matematica - Corti dietro, per favore.” Di nuovo stiamo parlando del “passaggio non ancora perfettamente compiuto”, ma stavolta non più puntando il dito verso il docente, ma puntandolo verso lo studente. Egli deve essere parte attiva nella trasformazione della scuola, proprio per permettere a quest’ultima di portarla a compimento. Analoga obiezione può essere, infine, sollevata per le famiglie. È un loro sacrosanto diritto chiedere che il proprio figlio sia visto dalla scuola come individuo, ricco e insostituibile, ma anche in questo caso la democrazia è partecipazione, tanto per parafrasare Giorgio Gaber. Contatti stretti fra insegnanti e famiglia sono il presupposto per una maggiore serenità familiare e per una maggiore efficienza didattica. Purtroppo, però, ci sono famiglie che frequentano molto poco le ore di ricevimento degli insegnanti, né hanno contatti con i rappresentanti di classe. Ciò è strategicamente errato. La scuola è quasi sempre una priorità nella famiglia, volente o nolente. Conviene essere protagonisti attivi nelle vicende scolastiche del proprio figli, piuttosto che spettatori passivi. Invece una delle riunioni più importanti dell’anno, l’elezione dei rappresentanti di classe, non è solitamente molto frequentata. Molti genitori preferiscono disertare la riunione per non correre il rischio di essere eletti.4 Ciò è, invece, profondamente sbagliato. È come, per fare un paragone un po’ forte, pretendere di vincere la guerra senza presentarsi sul campo di battaglia. Partecipare attivamente alla vita della scuola, nel rispetto dei rispettivi ruoli, costituisce condizione necessaria non sufficiente per abbattere le reciproche diffidenze e per permettere alla scuola di completare il cambiamento messo in atto negli ultimi tre decenni. Magari il cambiamento non interesserà l’intera scuola italiana, ma almeno una singola classe, forse sì: magari quella del proprio figlio. A rafforzamento della predetta tesi si cita l’incipt di una lunga appendice posta in coda ad un istruttivo manualetto:5 Questa appendice ha lo scopo di indurre i genitori a collaborare attivamente con gli insegnanti contribuendo, secondo le rispettive responsabilità, a migliorare l’educazione e l’apprendimento dei ragazzi. L’ex ministro dell’istruzione Tullio De Mauro, intervistato da Piero Angela nel programma Superquark di giovedì 7 luglio 2011 ha descritto una situazione della scuola italiana disastrosa. Il ministro rilevava che l’abbandono scolastico di coloro che si iscrivono alle secondarie di 2o grado 4 Potrebbe 5 G ALLI essere interessante sapere se sono abbonati a riviste di automobili. [6], p. 240. 1.3. L’ALLEANZA SCUOLA-FAMIGLIA-STUDENTE 7 è di 200.000 studenti all’anno, che vanno a rinnovare il gruppo del 5% della popolazione tra i 15 e i 29 anni che non studiano, fanno lavoretti saltuari e praticamente vivono a carico delle famiglie. Il professore De Mauro diceva anche che il 5% della popolazione italiana si trova in una situazione di ritorno all’analfabetismo, e un altro 76% si trova sotto i livelli minimi di competenze di calcolo, di lettura e scrittura, concludendo che meno del 20% degli italiani avrebbe le competenze minime per orientarsi in una società tecnologica contemporanea, e conseguentemente non sarebbe in grado di orientare correttamente i propri figli negli studi. Manuale dello studente professionista - Gianfranco Galli 1.3 L’alleanza scuola-famiglia-studente Si è visto che una scuola moderna e democratica deve occuparsi del singolo individuo. Dal punto di vista teorico sembra piuttosto semplice: è sufficiente che la triade docenti-famiglia-studente collabori ponendosi un unico fine, ad esempio lo sviluppo e l’elaborazione della conoscenza negli ambiti proposti dalla scuola, che tutto si sistemerà per il meglio. C’è un piccolo problema in tutto ciò: in realtà la triade non è docenti-famiglia-studente, ma docenti-famiglie-studenti. Questi due plurali complicano enormemente le cose. Il singolo docente si trova a dover operare, normalmente, con classi di cardinalità variabile: da un minimo di 15 allievi ad un massimo di 30. In tali condizioni diventa molto importante la collaborazione con il corpo docente del singolo studente e quella della singola famiglia, per dare pieno compimento alla cura dell’individuo. Il grado di realizzazione dell’obiettivo precedentemente dichiarato da parte delle tre componenti citate sarà direttamente proporzionale al grado di impegno nella persecuzione dell’obiettivo stesso. È assolutamente fondamentale che il corpo docente non sia lasciato solo nella persecuzione di tale obiettivo. Come ciò possa avvenire, sarà l’oggetto dei prossimi due capitoli. Capitolo 2 La famiglia A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere nell’essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d’esser confutato con un piacere non minore di quello che prova confutando. Infatti, io ritengo che l’esser confutati sia un bene maggiore, nel senso che è meglio essere liberati dal male più grande piuttosto che liberarne altri. Niente, difatti, è per l’uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui ora stiamo discutendo. Se dunque anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso. Gorgia - Platone La famiglia deve essere protagonista attiva nel mondo della scuola. Deve essere presente attivamente nei singoli organismi sempre, come già detto, nel rispetto dei rispettivi ruoli. Quest’ultimo aspetto è estremamente delicato, dato che succede frequentemente che le famiglie abbiano qualcosa da dire a proposito della didattica praticata in una determinata materia, come pure succede che il corpo docente abbia da obiettare, talvolta, sull’educazione dei discenti. Sembrano essere due invasioni di campo, in un senso e nell’altro. Che fare? 2.1 Absit iniuria verbis La scuola trae immenso vantaggio dalla collaborazione docenti-famiglie. Entrambi vogliono far bene il proprio lavoro, ossia insegnare ed educare. Può succedere che si compiano degli errori, ma ciò non significa che non si debba discutere. Si pensi all’azione educatrice dei genitori nei confronti del proprio 9 10 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA figlio: entrambi i genitori sono d’accordo nel dire che è giusto e sacrosanto educare bene i figli, ma poi litigano su come applicare sul campo questa sublime massima. Anche le famiglie e gli insegnanti sono d’accordo nell’affermare che è giusto e sacrosanto educare alla cultura i giovani, insegnando loro la matematica, la storia, l’elettronica e quant’altro. L’eventuale disaccordo nasce dopo, quando si mettono in pratica i sani princìpi. Per questo è importante discutere insieme e rendersi vicendevolmente edotti sui rispettivi punti di vista. Pacatamente, educatamente e nel rispetto dei rispettivi ruoli, come il titolo della sezione suggerisce.1 Come ricorda la citazione a inizio capitolo, è più importante, durante una discussione, ammettere un proprio torto piuttosto che affermare la propria ragione. Chi afferma la propria ragione - essendo nel giusto - fa crescere gli altri, chi ammette un proprio torto, cresce. La qual cosa è molto più importante e difficile. Questo però deve essere lo spirito che anima le discussioni docenti-famiglie e ciò dovrà essere sempre tenuto a mente da entrambi. 2.2 Un unico obiettivo? Si è detto precedentemente che docenti e famiglie devono avere un unico obiettivo: educare alla cultura i giovani. Si è anche detto che su tale punto solitamente le due parti sono d’accordo. Ma forse non è sempre così. Chi scrive ha fatto molti consigli di classe e molti scrutini e conosce con precisione i meccanismi che regolano uno scrutinio di fine anno. Ha anche avuto modo di ascoltare innumerevoli genitori, di percepire il senso di dolore che a volte il genitore si portava appresso. E allora? E allora, forse, è arrivato il momento di parlare della punizione estrema che la scuola infligge talvolta agli allievi: la bocciatura. È uno di quei sostantivi che si pronunciano malvolentieri, perché sono forieri di piccole o grandi tragedie per le famiglie. E nell’immaginario collettivo il consiglio di classe non sta a pensarci tanto su: se il ragazzo è gravemente insufficiente in matematica, italiano e inglese, tanto per fare un esempio, viene bocciato e avanti il prossimo. Ho letto “Lettera a un insegnante” di Vittorino Andreoli appena pubblicato, nel 2006. È stata una lettura avida, avvincente, che mi ha insegnato molto e che ha rappresentato e rappresenta una pietra miliare nella mia vita di docente. Un brano di quel libro mi ha particolarmente colpito. L’ho letto e riletto varie volte, non dimenticandolo, sostanzialmente, mai e ogni volta, rileggendolo, percepisco un senso di condanna e di sostanziale impotenza:2 1 La locuzione latina absit iniuria verbis (lett. “sia lontana l’ingiuria dalle parole”) è una versione alterata di una frase di Tito Livio, che risulta originariamente absit invidia verbo, cioè “sia lontana l’ostilità dalla (mia) parola” (Ab Urbe condita, IX, 19, 15). Il senso, in realtà, non muta di molto. In entrambi i casi, si sottolinea che il pensiero di chi parla esprime (o vorrebbe esprimere) un concetto obiettivo, non fraintendibile o interpretabile da chi ascolta, e soprattutto non offensivo nei suoi confronti. Ovvero, un’espressione attenuativa con la quale, normalmente, si accompagnano dichiarazioni che potrebbero apparire offensive, ma dette con franchezza e per amore di verità, o per riferire un giudizio dato da altri. Tratto da: wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Absit_iniuria_verbis 2 A NDREOLI [2], p. 34. 2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 11 [...] sono contrario alle punizioni perché so che, al di là di quanto quella punizione si propone, e potrebbe essere più che giustificato, essa provoca degli effetti che vanno oltre, che non erano previsti, che risentono delle singole personalità e storie. Possono generare ferite che lasciano un segno per sempre, provocare reazioni di abbandono che attivano la colpa oltre la misura che si voleva attivare per un comportamento specifico. La punizione può venire vissuta come rifiuto della propria persona, del proprio esistere e quindi essere letta come una condanna esistenziale totale. Questa è la estensione, certo non voluta, di fronte a una bocciatura. Nell’intento dell’insegnante o del consiglio dei docenti3 si voleva stimolare l’allievo a ricominciare bene un anno, metterlo in condizioni di vantaggio rispetto ai nuovi compagni e quindi nella possibilità di godere di gratificazioni che nel corso dell’anno precedente non c’erano state. Invece quell’allievo ha vissuto la bocciatura come un rifiuto esistenziale e lo ha caricato di un giudizio globale, quello di non valere nulla e quindi di non poter nemmeno vivere. Al significato dato alla bocciatura da parte della scuola, si aggiunge poi quello della famiglia. Il mancato risultato come insensibilità per i sacrifici compiuti, il dolore dato a un padre che sta male. Quel giudizio diventa un giudizio di Dio, e una bocciatura, una catastrofe della vita. Lo so che non era questa l’intenzione di quel provvedimento, ma di fatto questo è accaduto. Lettera a un insegnante - Vittorino Andreoli È stato facile citare il brano. Aprendo il libro vi ho trovato due segnalibri, uno dei quali proprio a sentinella severa e attenta del brano appena citato. Ogni volta che si è dovuto discutere la bocciatura di un allievo la mente è andata a quel brano. Vorrei che si sapesse l’infinito travaglio che certi consigli di classe hanno vissuto, durante le discussioni senza fine che li hanno animati. Le contrapposizioni quasi epiche fra “buonisti” e ”bocciaiòli” e, soprattutto, l’attenta, attentissima considerazione del fatto che le nostre decisioni riguardavano un adolescente, con le sue fragilità e il suo anèlito di crescita. Tutte queste discussioni, però, prima o poi devono giungere a un termine e se si non si raggiunge un accordo, la legge ci obbliga ad esprimerci mediante votazione. Niente di più simile, talvolta, al Crucifige e in totale disaccordo - potenza dell’incoerenza della scuola democratica - con uno dei paradigmi dell’ethos democratico: evitare le decisioni irrimediabili.4 Questi consigli di classe hanno sovente lasciato ferite non solo nell’animo dello studente, ma anche in quello di molti docenti. Un ultimo pensiero, doveroso, alle famiglie e agli studenti ai quali queste decisioni vengono inflitte: durante le discussioni infinite, precedentemente raccontate, l’aspetto “tecnico” praticamente non esiste. Se un ragazzo ha un votaccio in matematica, non è di quello che si discute. Si discute se e quanto le deficienze nella materia possono pregiudicare un sereno percorso nella classe superiore. Si discute se l’allievo stia vivendo i travagli dell’adolescenza e se 3 In realtà Vittorino Andreoli allude al consiglio di classe. NdA. [17], pp. 29-30. 4 Z AGREBELSKY 12 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA sia possibile scommettere sul suo futuro scolastico. Si discute se vi siano i margini per dare una seconda possibilità allo studente. Non si discute mai della materia in sé e del fatto che non si sia raggiunta la sufficienza. Personalmente, mi è capitato di veder rimandare a settembre il giudizio di un allievo che a giugno non aveva sufficienze. Nemmeno una! Era esonerato in Educazione Fisica per problemi di cuore e non si avvaleva dell’insegnamento della religione cattolica. Era gravemente insufficiente in tutte le materie, in molte delle quali riportava giudizi schiaccianti. Eppure, l’intero consiglio di classe, con grandissima responsabilità, tenendo conto del particolare vissuto del ragazzo, dopo un’attentissima discussione, ha deciso di portare alla sufficienza tutte le materie meno le tre portanti e rinviare il giudizio a settembre. A settembre, il consiglio non ha potuto far altro che constatare che l’allievo non aveva fatto il benché minimo progresso in nessuna delle tre materie e agire di conseguenza, bocciandolo. Non era possibile portare quell’allievo nella classe superiore: avrebbe vissuto un annus horribilis senza capire nulla degli argomenti, soprattutto quelli di natura tecnica, che il programma gli proponeva. Promuoverlo in quelle condizioni significava minarne l’autostima giorno per giorno, lezione dopo lezione. Il consiglio di classe ha preferito parlare direttamente con la famiglia sia a giugno che a settembre, spiegando le ragioni del consiglio e ascoltando quelle della famiglia. In particolare a giugno, parve che la famiglia non avesse compreso a fondo l’atto di fiducia compiuto dal consiglio, mandando il figlio in vacanza dai nonni a mo’ di premio per lo scampato pericolo. In questo particolare caso, la famiglia e il consiglio di classe hanno dimostrato di non condividere un unico obiettivo. La famiglia chiedeva una promozione a prescindere, mentre il consiglio di classe ha voluto valutare se la promozione rappresentasse l’effettivo bene per il ragazzo, al di là dei voti. Personalmente mi sono interrogato infinite volte riguardo a casi simili, cercando anche di sentire nelle orecchie l’eco delle severe parole del professor Andreoli. Sono sempre stato pronto a scommettere se esisteva anche solo una lontana possibilità di recupero - e più di qualche volta la scommessa è stata vinta! - ma di fronte all’evidenza bisogna avere la capacità di accettare la sconfitta. E sto parlando della sconfitta del docente, non di quella dello studente. 2.2.1 Sì, un unico obiettivo Deliberiamo non sui fini, ma sui mezzi per raggiungerli. Infatti, un medico non delibera se debba guarire, né un oratore se debba persuadere, né un politico se debba stabilire un buon governo, né alcun altro delibera sul fine. Ma, una volta posto il fine, esaminano in che modo e con quali mezzi questo potrà essere raggiunto. Etica Nicomachea, libro III - Aristotele L’argomento è troppo delicato e cruciale per liquidarlo in due paginette. Il paragrafo precedente dovrebbe aver messo in evidenza in modo piuttosto chiaro che la scuola, da sola, non è in grado di operare scelte estreme come 2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 13 la bocciatura senza arrecare anche ulteriori danni collaterali, in primis allo studente, ma di riflesso anche alla relativa famiglia. Il caso particolare, infine, ha posto in evidenza che anche il tentativo di recupero può essere infruttuoso se operato senza l’aiuto della famiglia. È quindi fondamentale una fattiva collaborazione fra scuola e famiglia, cementata da un unico obiettivo. Tale obiettivo, che fino ad ora è stato genericamente indicato come l’educazione alla cultura, va ora dettagliato in maniera un po’ più precisa, al fine di potersi poi concentrare, come consiglia Aristotele nel terzo libro dell’Etica, sui mezzi atti a raggiungerlo. Sulla cultura, ahimè, non c’è sempre unicità di vedute. Non più tardi di qualche anno fa un Ministro della Repubblica Italiana ha proclamato in TV che “con la cultura non si mangia”, affermazione che si preferisce non commentare. Si preferisce, quindi, andare per gradi. Sicuramente si può convenire che si deve perseguire il bene dell’adolescente, ossia metterlo nelle condizioni di affrontare serenamente e con mezzi appropriati le sfide che il futuro gli riserva. E si può anche convenire che le sfide di oggi non sono certo quelle di ieri. Cinquantamila anni fa era sicuramente molto importante possedere un buon udito e una buona vista, in modo da poter rilevare prima possibile un eventuale pericolo. Altrettanto sicuramente era importante saper correre veloce e saper lanciare con precisione i sassi. Ma nel 2015, personalmente, eviterei di compilare la voce “Capacità e competenze tecniche” del proprio Curriculum Vitae scrivendo “Ottimo lanciatore di sassi”. Lo stesso ragionamento vale anche per un passato meno remoto. Trent’anni fa era meno importante conoscere le lingue. Per comprenderne l’importanza era necessario andare all’estero. Oggi non si può nemmeno prendere in mano il telecomando della TV o navigare in Internet senza trovare delle scritte in inglese. Trent’anni fa l’obbligo scolastico si estendeva fino alla terza media e il concetto di obbligo formativo nemmeno esisteva. Oggi, l’obbligo scolastico si estende per almeno 10 anni - quindi almeno fino al compimento del sedicesimo anno di età - e l’obbligo formativo fino al compimento del diciottesimo anno di età.5 La scuola è molto più importante per gli studenti di oggi di quanto non lo fosse allora per i loro genitori. La scuola italiana odierna è “misurata” secondo parametri europei definiti nell’EQF (European Qualification Frameworks). Nel primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF del 2012 si legge:6 Sulla base della comune esigenza di far fronte a problematiche nuove derivanti da rapidi cambiamenti economici, sociali, tecnologici e dal continuo bisogno di rinnovamento delle competenze dei cittadini lavoratori -, i Paesi europei decidono di puntare insieme sullo sviluppo dei propri sistemi di istruzione e formazione per accrescere il livello di competitività dell’Europa. Davanti ad affermazioni del genere è arduo sostenere che “con la cultura non si mangia”. La cultura è oggi molto più importante di ieri, non solo perché forma l’uomo ma perché oggi forma anche l’ossatura sociale e professionale 5 Fonte: 6 EQF MIUR - Ufficio Relazioni con il Pubblico, [19] [26], p. 9. 14 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA dell’adulto. Il genitore che non lo capisce, manda il proprio figlio in guerra senza scudo e con una forchetta al posto della spada. 2.2.2 Dal fine al mezzo Se c’è accordo, sostanzialmente, sul fine - e, francamente, non si riesce a immaginare uno scenario diverso - si può, certamente senza dimenticare mai le fragilità, le incertezze, le paure tipiche degli adolescenti che si vogliono aiutare, riflettere sui mezzi usati per perseguire l’obiettivo. Bisogna sottolineare subito che spesso i mezzi utilizzati dalle famiglie sono diversi da quelli utilizzati dai docenti e che ciò dipende principalmente dal fatto che la famiglia ha maggiore possibilità di curare l’individuo, mentre l’insegnante opera all’interno di un insieme mediamente molto più numeroso. Il rapporto figli-genitore varia grossolanamente fra 1 e 3, mentre quello studentidocente varia normalmente fra 15 e 30. Inoltre, il genitore può contare su un “tempo educativo” prolungato, formato, sempre grossolanamente, da una media minima di 4-6 ore giornaliere, nel periodo settembre-giugno, se il genitore lavora e almeno 8-10 ore giornaliere se il genitore non lavora. Il docente può contare su una media giornaliera, nello stesso periodo settembre-giugno, che tipicamente varia da un minimo di 9 minuti ad un massimo di 52 minuti giornalieri. Anche tenendo conto che i genitori sono solamente 2 e che i docenti possono essere 10-12, i numeri rimangono sempre a favore delle famiglie. Ciò significa che il genitore si trova in una situazione educativa potenzialmente molto più efficiente di quella dell’insegnante e che di ciò si deve tener conto. Si è detto che i mezzi educativi utilizzati dalle famiglie e dalla scuola sono sostanzialmente diversi. Si è anche detto che ciò è sostanzialmente dovuto ad un rapporto familiare più intenso di quello scolastico, che permette legami umani, nel primo caso, molto più stretti e nel secondo caso indubbiamente più freddi. È giusto che sia così. La scuola non può essere una caricatura della famiglia, ma deve fornire un servizio di alto livello. Volendo coniare degli slogan un po’ frettolosi e pressappochisti, si potrebbe dire che la famiglia utilizza mezzi che potrebbero essere catalogati come “materni” e la scuola mezzi più “paterni”. La famiglia offre un nido caldo al figlio, mentre la scuola ha verso lo studente un atteggiamento più severo. Anche fin qui sembra tutto ragionevole. Il problema reale consiste nel definire quando il livello di severità della scuola può dirsi ragionevole, normale, sensato, umanamente accettabile e condivisibile dalle famiglie e dagli studenti. Analogamente è necessario definire quando un eventuale atteggiamento consolatorio da parte della famiglia può dirsi ragionevole, normale, sensato, umanamente accettabile e non diventare controproducente per l’azione educatrice della scuola. I rispettivi atteggiamenti vanno sicuramente analizzati e discussi, l’importante è che non si invertano: la famiglia continui ad essere “consolatoria” e la scuola “severa”. 2.2.3 L’atteggiamento della scuola e della famiglia La scuola può creare tragedie, piccole e grandi. Questo, ciascun insegnante deve tenerlo bene a mente. Nel caso ci fossero dubbi sull’affermazione, potrebbe 2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 15 tornare utile rileggere il pensiero di Vittorino Andreoli a pagina 10. Per essere più precisi ed estremizzando il concetto, la scuola può essere la goccia che fa traboccare il vaso o l’inondazione che allaga il paese. Nel secondo caso si pone indubbiamente un grave problema per l’istituzione scolastica che deve interrogarsi sulle proprie finalità e sui mezzi usati per perseguirle. I margini di intervento delle famiglie, in questi casi estremi, si limitano alla denuncia del problema al Dirigente Scolastico o alle autorità competenti. Francamente, sembra piuttosto inutile approfondire la questione. Il primo caso, invece, è più complesso e merita un approfondimento. Lo studente potrebbe essere sotto stress per vari motivi e l’azione svolta dalla scuola potrebbe essere oggettivamente inquadrata semplicemente come “scatenante”. Personalmente non vedo colpa grave da parte dell’istituzione scolastica se non - e qui torna a presentarsi il problema massa/individuo - la mancata rilevazione dello stato di tensione dell’allievo. Si tratta di una situazione potenzialmente esplosiva, ma anche potenzialmente risolvibile. In questi casi l’aiuto della famiglia è insostituibile. Se la famiglia rileva una situazione di disagio da parte del figlio è evidente che la scuola ne deve essere informata e ne devono essere informati i docenti interessati. In caso contrario, addossare la colpa alla scuola di eventuali azioni incontrollate da parte del giovane è pura demagogia. Ed è anche piuttosto comodo. Si noti che quando la situazione è rovesciata, la scuola, solitamente, fa il proprio dovere senza tentennamenti. Appena il consiglio di classe rileva un disagio o delle diffuse difficoltà da parte dell’allievo, provvede immediatamente a comunicarlo alla famiglia. Personalmente mi è capitato di dover convocare delle famiglie per esporre ai genitori casi di bullismo attivo da parte dei loro figli, colti, tra l’altro, sul fatto e di registrare la reazione sdegnata della famiglia che non accettava l’evidenza dei fatti. Il consiglio di classe che viene avvertito di una situazione di disagio da parte di un allievo ha il dovere di monitorare con estrema serietà l’evolversi della situazione. Personalmente potrei citare parecchi casi in cui la collaborazione famiglia-scuola ha dato ottimi risultati con grande soddisfazione da parte della famiglia, dell’allievo e, perché no, anche dell’insegnante che ha contribuito a ricondurre la situazione entro limiti normali o, a volte, ad appianare conflitti nati all’interno della scuola. In casi come questi è evidente che la collaborazione funziona. Può succedere, invece, che la scuola inneschi delle situazioni di attrito stabilitesi, ad esempio, fra un docente e uno studente e che la famiglia, anziché parlare del problema con le figure a ciò preposte - il coordinatore di classe, l’eventuale funzione obiettivo individuata a tal fine dal collegio dei docenti, l’organo vicario, la Dirigenza stessa - accentuino la loro azione consolatrice. Una tale situazione è potenzialmente dannosa, perché solitamente la distanza docente-discente si accentua anziché diminuire. L’azione della famiglia potrebbe rafforzare la convinzione dello studente di essere oggetto di un’azione ingiusta, portandolo a reagire di conseguenza nei confronti del docente. Quest’ultimo potrebbe percepire l’ostilità nei propri confronti e rispondere con la stessa moneta, e così via in un crescendo deleterio. Naturalmente non si sta difendendo il docente, che in questo caso si comporta in maniera professionalmente discutibile, ma si sta semplicemente descrivendo una possibile evoluzione dei fatti. 16 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA La famiglia deve anche tener conto che il proprio figlio è spesso emotivamente coinvolto nel problema, per cui le vicende potrebbero essere esposte in maniera non sempre perfettamente oggettiva. Insomma, si vuole sottolineare che parlare direttamente con il corpo docente in maniera serena e franca è sicuramente la scelta migliore ed è il miglior contributo che la famiglia possa dare nell’appianamento dei problemi che possono insorgere. 2.3 Come può la famiglia aiutare il proprio figlio? Si supponga ora che non vi siano particolari problemi di natura strettamente umana da risolvere, ma che semplicemente il figlio sia in difficoltà con qualche materia. Cosa debba fare lo studente per migliorare la propria posizione è argomento dibattuto ovunque - anche nel prossimo capitolo - ma quello che può attivamente fare la famiglia è solitamente meno discusso. In realtà la famiglia può aiutare moltissimo il proprio figlio, a patto che a entrambi sia chiara una cosa fondamentale: il cervello dell’adolescente è profondamente diverso da quello dell’adulto. Ciò significa che gli adulti possiedono delle abilità che permettono loro di essere di immediato aiuto ai loro figli, senza doversi ricordare la data del congresso di Worms, o sapere chi era Carneade o sapere se l’integrale definito fa bene alla regolarità intestinale. Prima, però, di poter dare dei consigli concreti alle famiglie è necessario ripetere alcune cose che tutti i genitori sanno, ma la cui importanza, a volte, è sottovalutata. 2.3.1 Io alla tua età... Alzi la mano quel genitore che non ha mai detto a suo figlio la fatidica frase: “Io alla tua età ...” seguito da qualche nobile predicato (lavoravo, aiutavo, studiavo, vincevo, ecc.) e da ancor più nobili complementi, diversissimi fra loro e praticamente impossibili da elencare significativamente anche solo in parte. Così facendo l’adulto commette un inconsapevole errore:7 confronta e sovrappone due periodi, la propria adolescenza e quella del giovane, non perfettamente sovrapponibili. Non già e non solo perché sono diverse le condizioni al contorno, tanto per usare una locuzione scolastica, ma perché i due gradi di maturità e di responsabilità raggiunti non sono direttamente confrontabili. Diversi studi, infatti, hanno messo in evidenza un allungamento dell’adolescenza, specialmente in Italia.8 Tale allungamento è dovuto a una pubertà precoce e al posticipo dell’abbandono della famiglia d’origine. Quest’ultimo fenomeno, oltre a indurre l’allora ministro dell’Econimia Tommaso Padoa-Schioppa a coniare il termine “bamboccioni”, si merita all’estero l’appellativo di Italian latest-late. Per sgombrare il campo da ambiguità, Laurence Steinberg identifica l’inizio dell’adolescenza con la pubertà e la sua fine con il matrimonio e l’indipendenza economica. Traducendo il concetto in cifre, 7 E qualche volta pure bara: chi scrive potrebbe portare innumerevoli esempi di mediocri studenti, diventati poi genitori esigenti (e prudentemente silenti). 8 M AZZUCCO , M ENCARINI , R ETTAROLI [30], pp. 108-109, B ILLARI , TABELLINI [24], p. 2 e S TEINBERG [15], p. 14, solo per citarne alcuni. 2.3. COME PUÒ LA FAMIGLIA AIUTARE IL PROPRIO FIGLIO? 17 l’adolescenza si colloca tra i 10 e i 25 anni circa.9 Si tratta, quindi, di un periodo ben più ampio dell’intervallo 13-19 identificato dal termine inglese teenage. Sessant’anni fa, molti ventenni friulani, al termine del servizio militare emigravano in Svizzera, Germania, Belgio, Francia, ecc. in cerca di lavoro e di fortuna, guadagnandosi in tal modo l’indipendenza economica ma anche accollandosi nuove responsabilità e fronteggiando nuovi problemi. Oggidì, la mancanza di lavoro e il prolungamento del periodo di studi hanno fatto sì che si ritardasse anche l’assunzione di responsabilità dei giovani con conseguente posticipo dell’entrata nella vita adulta. I maschi nati alla fine degli anni quaranta trovavano lavoro all’età media di 18 anni, mentre i nati alla fine degli anni ottanta trovavano il loro primo impiego all’età media di oltre 21 anni.10 Non tenere conto di questi fenomeni significa rinunciare a capire il mondo degli adolescenti e non poterli aiutare efficacemente. 2.3.2 Ma ragiona, per favore! Adesso alzi la mano quell’adulto - genitore o insegnante che sia - che non ha mai detto ad un adolescente: “Ma ragiona, per favore”. Quell’adulto che ha la mano alzata è una persona intelligente e sensibile. Probabilmente, però, è anche neuropsichiatra che fa ricerca attiva o che si mantiene aggiornato leggendo pubblicazioni. A coloro i quali, invece, la mano non l’hanno alzata - e fra coloro c’è anche il sottoscritto - un consiglio non richiesto: non diciamo mai più quella frase! Perlomeno non con quel tono semicanzonatorio e di rimprovero che gli adulti spesso usano. La frase, detta in quel modo, è odiosa e sleale. È vero, gli adolescenti “non ragionano”. O perlomeno hanno effettivamente qualche difficoltà a elaborare ragionamenti logici con la stessa facilità con la quale li elaborano gli adulti. Il cervello, nel periodo dell’adolescenza, vive una specie di “seconda infanzia”. In tale periodo il cervello rafforza significativamente quelle capacità considerate non indispensabili (capacità cosidette experience dependent, ossia legate alle capacità decisionali, di pianificazione, di controllo delle emozioni, ecc.) e che sono fortemente dipendenti dalle esperienze vissute e quindi dall’ambiente.11 L’adolescenza, in virtù della neuroplasticità che il cervello possiede in quel periodo, diventa una straordinaria occasione da non perdere. Il giovane sviluppa, in quel periodo, la capacità di controllare le proprie emozioni, di pianificare e organizzare il proprio futuro, di prendere decisioni difficili e di analizzare problemi complessi. Attenzione, però: il fatto che l’adolescenza sia il periodo in cui dette capacità si sviluppano significa anche che l’adolescente ancora non le possiede completamente. La stentorea frase spesso pronunciata da genitori e insegnanti - “Ma ragiona, per favore!” - sembra essere, quindi, perlomeno sleale. Inoltre, durante l’adolescenza il giovane vive un periodo molto delicato, causato da una ipersensibilità al mondo esterno e da uno spiccato “senso del 9 Tale stima è valida per gli Stati Uniti, dove l’abbandono della famiglia di origine avviene mediamente prima che in Italia. 10 Dati ISTAT 2014 [27], pp. 12-15. 11 S TEINBERG [15], p. XX 18 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA tragico”12 e anche di ciò si deve tener conto quando si svolgono le proprie funzioni di genitore e di insegnante. 2.3.3 La pazienza della famiglia In tempi recenti rimproverai un’intera classe di essere troppo legata al voto, spiegando loro che, soprattutto a inizio anno, era più importante il metodo piuttosto che il risultato. Perché utilizzando un metodo sbagliato, col tempo ciò sarebbe diventato sempre più evidente e i risultati sarebbero inevitabilmente peggiorati. Utilizzando, invece, un metodo corretto, i risultati, prima o poi, dovevano migliorare. Ho anche aggiunto, al fin della licenza, che avrei portato pazienza caso mai i risultati non fossero stati subito positivi. La risposta di una ragazza mi sorprese: “Lei porterà sicuramente pazienza, ma non i nostri genitori”. Anche a distanza di tempo mi rendo conto che quella allieva aveva ragione. Fa parte della natura dei genitori voler vedere subito dei risultati concreti. Chiedendo risultati subito, però, il genitore, suo malgrado, diventa ansiogeno e alimenta l’ansia del figlio. Che fare? Credere in ciò che si fa! Se insieme al ragazzo si sta organizzando al meglio il suo carico scolastico e se lo studente si impegna, i risultati si vedranno. Con ciò non sto dicendo che in qualsiasi momento basta una corretta organizzazione e un adeguato impegno per essere promossi e per essere dei pozzi di scienza. Studente e famiglia potrebbero essersi accorti tardi del pericolo. Ebbene, anche in questi casi si deve credere nell’impegno organizzato. Forse non sarà sufficiente a far promuovere il ragazzo, ma è comunque la cosa giusta da fare. Attraverso il lavoro e la giusta organizzazione il ragazzo crescerà anche se gli è capitato di inciampare. In momenti così difficili, la famiglia deve essere un faro. Qualcosa di simile accade anche quando si gettano fuori bordo i propri averi durante le tempeste, giacché in generale nessuno butta via volontariamente, ma chiunque abbia senno lo fa per salvare se stesso e tutti gli altri. Etica Nicomachea, Libro III - Aristotele Gettare il carico in mare è doloroso, ma il capitano sa che è l’unica azione giusta da fare. E lo deve fare senza tentennamenti. In tal modo si stringe un alleanza intima fra genitori e figlio e i genitori si erigono a guida salda e serena. Da un lato è evidente che potranno essere momenti scolasticamente difficili, ma dall’altro saranno anche momenti di crescita e di amore impagabili. In quei momenti i genitori raccontano al loro figlio che, per loro, è più importante trasmettere al figlio dei valori in cui credere l’impegno, la coerenza - piuttosto che una sufficienza. Con pazienza e perseveranza i risultati verranno. Se i genitori non sapranno essere pazienti, riveleranno al loro figlio i loro dubbi. Così facendo non potranno chiedergli di credere in ciò che fa, se loro per primi, essendo impazienti, fanno fatica a crederci. 12 S TEINBERG [15], pp. 23-29. 2.3. COME PUÒ LA FAMIGLIA AIUTARE IL PROPRIO FIGLIO? 2.3.4 19 L’esempio della famiglia Più che un discorso scritto, però ti sarà utile il poter vivere e conversare insieme; al momento è necessario che tu venga, primo perché gli uomini credono di più ai loro occhi che alle loro orecchie, poi perché attraverso i precetti il cammino è lungo, mentre è breve ed efficace attraverso gli esempi. Lettere a Lucilio, Libro Primo, VI, 5 - Lucio Anneo Seneca Prima di passare a qualche consiglio pratico, si rammenti che senza il buon esempio le parole si disperdono nel vento. Il figlio apprezzerà più facilmente la cultura se la famiglia è aperta alla cultura. Lo studio, tanto per fare un esempio concreto, non può essere visto dall’adolescente come una punizione. Se la famiglia infliggerà lo studio come punizione (studio = punizione) e si sa per esperienza che la punizione non è cosa piacevole (punizione = cosa brutta), l’adolescente applicherà la proprietà transitiva e concluderà, con semplice sillogismo, che studiare non può essere piacevole (studio = cosa brutta). Sarebbe anche utile, oltre che bello, che la famiglia trasmettesse l’amore per la lettura. La lettura di qualche buon libro non è tempo perso, anzi, allieta l’animo e lo predispone alla ricezione. E allarga la mente. Non dobbiamo dimenticare quello che si è detto del cervello adolescente nella sezione 2.3.2: durante l’adolescenza il proprio vissuto influenza in maniera significativa il rafforzamento delle nostre connessioni neuronali. Avviene, però, anche un altro fatto: vengono rafforzate le connessioni neuronali utilizzate e pian pian depotenziate e rese inutilizzabili quelle che non usiamo, in un processo denominato potatura sinaptica.13 Detto in altri termini, se il ragazzo studia e legge rafforza quelle connessioni neuronali preposte all’oggetto dello studio e delle letture; se non studia e non legge, pian piano le indebolisce. E la cosa straordinaria è che l’azione di rafforzamento - e, ahimé, anche quella di indebolimento - è particolarmente efficace durante l’adolescenza. Diventa quindi importante che l’adolescente impari ad amare la lettura e lo studio. La famiglia può fare molto in tal senso, soprattutto se sa sfruttare quel particolare periodo che il proprio figlio attraversa. Non con l’imposizione, ma con amore e, magari, stimolando la curiosità del giovane. A tal proposito si propongono due brevi aneddoti. La nostra professoressa di Letteratura Italiana - sempre quella del concordato di Worms - un giorno entrò in classe, si sedette e disse: “Ragazzi, oggi incominciamo il Machiavelli. Autore meraviglioso! In particolare, studieremo il suo capolavoro: Il Principe.” Poi, con fare complice, si sporse impercettibilmente verso la classe e a bassa voce aggiunse: “A me piacerebbe parlarvi della Mandragola, ma non si può: è un po’ pruriginosa.” L’effetto fu devastante. Più di qualche allievo corse in libreria a comprare la Mandragola del Machiavelli. Altri insegnanti sfruttarono l’effetto ricompensa per stimolarci alla lettura. Il nostro insegnante di Tecnologia, spiegandoci un particolare effetto quantistico, il tunnelling, fece scivolare il discorso sulla teoria della relatività di Einstein, e poi concluse: “Ragazzi, ormai avete 16 anni, siete grandicelli. Sarebbe anche ora che incominciaste a leggere La teoria della relatività di Albert Einstein.” 13 S TEINBERG [15], pp. 37, 47. 20 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA Ci sentimmo innalzati di grado, come se, avendo 16 anni, fossimo finalmente pronti a leggere cotanto libro. Anzi, dovevamo pure affrettarci. Mezzi differenti, unico fine. Farci leggere e farci amare la lettura e lo studio. Se sono riusciti nel loro intento degli insegnanti, possono riuscirci anche dei genitori che, anzi, conoscono nei più minuziosi dettagli i loro figli. 2.4 Qualche consiglio pratico per la famiglia Quindi il genitore avrà capito che, se sarà coerente e darà il buon esempio, potrà essere particolarmente utile in quelle competenze che il giovane sta ancora sviluppando ma sono robuste nell’adulto, come, ad esempio, l’organizzazione di un’azione complessa. Un’altra attività che l’adulto compie solitamente bene e che l’adolescente fa con somma fatica è la pianificazione temporale delle azioni complesse, ovvero la gestione, detto in maniera un po’ grezza, del proprio futuro. Infine, a proposito del “senso del tragico” al quale si è accennato precedentemente, il genitore può fornire al proprio figlio un punto di vista meno passionale e più “saggio” degli eventi che sta vivendo, riconducendo delle possibili tragedie a normali conflitti superabili con la tenacia dello studente e l’amore e il conforto dei genitori. Questi tre aspetti meriterebbero un approfondimento corposo e dettagliato, magari ad opera di personale qualificato ed esperto. In mancanza di ciò ci si dovrà accontentare dei prossimi tre sottoparagrafi. 2.4.1 L’organizzazione Studiare in maniera organizzata significa studiare meglio e di meno. Ma prima ancora che organizzato, lo studio dovrebbe essere piacevole. Sarebbe quindi utile che i genitori “proteggessero” il figlio che studia da distrazioni, chiasso, interruzioni, false credenze, cattive abitudini e tutto quanto possa rallentare lo studio. Gli errori organizzativi che lo studente compie più frequentemente sono i seguenti. 2.4.1.1 Il cellulare Si scrive cellulare, ma si pronuncia PC, tablet, notepad, ecc., ossia tutto quanto possa metterci in contatto con il cosiddetto “mondo esterno”. Il genitore farebbe bene a spiegare al proprio figlio che il cellulare acceso durante lo studio impedisce lo studio stesso. Oggidì i ragazzi sono “connessi” in una vasta rete di relazioni sociali attraverso Whatsapp, Facebook, Twitter, Instagram e via discorrendo. Il mezzo usato per formare la rete è il gruppo, e l’adolescente tipo è connesso costantemente a decine di gruppi. Il risultato che ne deriva è che lo studio verrà interrotto immediatamente dopo 2-3 minuti. Il ragazzo prenderà in mano il cellulare per verificare se il messaggio è diretto a lui oppure no. Spesso constaterà che il messaggio era di tipo generale o indirizzato ad altri e non risponderà neppure, ma ormai la frittata è fatta. La concentrazione è stata distolta. 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 21 Lo studente riprenderà in mano il libro per altri 2-3 minuti finché il cellulare non ronzerà di nuovo14 e così via all’infinito. Uno studio del genere non serve a nulla. Conviene studiare per mezz’ora, andare in cucina dove c’è sia il cellulare che la mamma - donna riservata che mai toccherebbe il telefonino del figlio per sbirciare i messaggini - e rispondere ai messaggi arrivati in quel lasso di tempo prima di tornare a studiare. A proposito di cellulare: tempo fa ho sentito un sacerdote saveriano dare il seguente consiglio a dei genitori, durante una serata dedicata agli adolescenti: “Se dovete proprio fare la predica ai vostri figli, almeno accertatevi che non abbiano il cellulare in tasca. Dite a vostro figlio di appoggiare il cellulare in soggiorno e poi cambiate stanza. Altrimenti limitate la predica a 1-2 minuti, oltre i quali verrà interrotta da un messaggino. Da quel momento in poi avrete perso l’attenzione di vostro figlio, che continuerà a guardarvi come il gatto Silvestro quando vuol dare l’impressione di stare attento, ma avrà il pensiero irrimediabilmente rivolto al telefonino che vibra.” 2.4.1.2 Il PC per studiare Gli adolescenti hanno inventato la leggenda che il PC serve per studiare e i genitori l’hanno bevuta con tutto il bicchiere. La realtà, come al solito, non è tutta bianca o tutta nera. Il PC è indubbiamente utile in certi casi (se si stanno facendo esercizi di Informatica, se si preparano delle relazioni scritte, se si usa una piattaforma Moodle o, in generale MOOC, a fini scolastici, ecc.), ma non deve diventare una costante fissa a tutte le ore. La tentazione di dare una sbirciata a FaceBook, di controllare la mail o verificare se sabato sera si esce con gli amici, è sempre forte, per cui è meglio spegnere il PC quando si studia e accenderlo quando lo studio è terminato. Se, quindi, il genitore vede il PC troppo spesso acceso, è autorizzato a insospettirsi. 2.4.1.3 La musica Altra leggenda metropolitana è che la musica aiuta la concentrazione durante lo studio, per cui lo studente ritiene utile15 ascoltare musica con le cuffiette mentre studia. Anche in questo caso è bene fare un po’ di chiarezza. Nell’ottobre del 1993 due fisici, Frances Rauscher e Gordon Shaw, pubblicarono uno studio preliminare sulla rivista Nature nel quale sostenevano che l’ascolto del primo movimento della Sonata in re maggiore per due pianoforti KW448 di Wolfgang Amedeus Mozart produceva, in un gruppo di adolescenti, un temporaneo aumento di alcune capacità cognitive - più precisamente della sola intelligenza spazio-temporale - dopo l’ascolto. L’effetto durava circa 10-15 minuti. Lo studio venne presentato meno di un anno dopo, nell’agosto del 1994, all’annuale meeting dell’American Psychological Association col titolo “Music and spatial task performance: a causal relationship” e pubblicato dall’istituto governativo ERIC.16 . In esso il gruppo ampliò la ricerca formulando l’ipotesi 14 Ovviamente il ragazzo è sufficientemente intelligente da evitare di impostare la V di Beethoven come suoneria: la sentirebbe tutto il palazzo, oltre che mamma e papà. Ah, a proposito. Come mai vostro figlio non vi risponde mai al cellulare? Semplice: non è per cattiveria, è l’abitudine a tenere la suoneria spenta. 15 In realtà non lo ritiene “utile”, lo ritiene divertente. Ma questo non lo può dire. 16 R AUSCHER , S HAW, L EVINE , K Y, W RIGHT [34], pp. 2-7 22 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA che lo studio della musica potesse avere effetti a più lunga durata, in particolare sui bambini con corteccia cerebrale ancora in via di maturazione. Lo studio destò molto scalpore e venne addirittura contestato da parte della comunità scientifica perché non perfettamente riproducibile. In realtà venne parzialmente frainteso e comunque ebbe il merito di scatenare una vera e propria “corsa alla musica”. Ad esempio, nel 2006, un gruppo di ricerca capitanato dallo sloveno Norbert Jaušovec confermò lo studio di Rauscher e Shaw, aggiungendo che Mozart potesse essere d’aiuto nel processo di apprendimento degli adolescenti.17 Per essere più espliciti, venne confermato il temporaneo aumento delle capacità spazio-temporali, addirittura evidenziando una leggera diminuzione delle abilità numeriche. Altri studi evidenziarono analoghi effetti sostituendo il brano di Mozart con un “qualsiasi” brano musicale, purché di preferenza dell’ascoltatore. Il termine qualsiasi è stato messo tra virgolette perché si è notato una diminuzione dell’effetto Mozart per brani troppo lenti (ad esempio l’Adagio di Albinoni) o troppo veloci.18 Quindi si ritiene di poter chiudere la questione dicendo che nessuno studio scientifico ha mai sostenuto che ascoltando musica mentre si studia si ottengano benefici durevoli nella materia studiata. Al massimo, si ottengono benefici temporanei, per 10-15 minuti, delle capacità spazio-temporali dopo aver ascoltato certi tipi di musica. Invece, fare due cose contemporaneamente (studiare e ascoltare, musica ad esempio), determina semplicemente un calo della produttività e null’altro. Gli studi in tal senso si sprecano, per cui si lascia allo studente e alle famiglie il compito di eventuali ricerche sul tema. 2.4.1.4 Cattivi appunti Accade spesso che l’insegnante non segua fedelmente il libro, per cui lo studente è obbligato a prendere appunti. Anche il presente argomento è piuttosto delicato e va approfondito. L’insegnante non è un pappagallo che ripete le parole del libro pedissequamente. Questo crea sovente disagio allo studente che vede il libro come un’inutile tempesta di parole, poste spesso in un ordine completamente diverso da quello presentato dal docente. Lo studente è in tal modo costretto a verificare quale e quanta parte del libro coincide sostanzialmente con gli appunti, nonché quanta parte degli appunti integra il libro e quanta parte del libro integra gli appunti. Fatto ciò deve operare l’unione logica dei due saperi e utilizzarla durante lo studio. Le azioni appena descritte rappresentano uno studio maturo di un determinato argomento sentito a scuola. Gli studenti più maturi arrivano addirittura a confrontare gli appunti con diverse fonti, non solo con quella fornita dal libro di testo. Frequentemente, però, lo studente meno maturo e meno organizzato studia solamente sugli appunti. In certi casi questa scelta può rappresentare l’inizio della fine e si cercherà di chiarire con un esempio il perché di tale affermazione. 17 J AUŠOVEC , J AUŠOVEC , G ERLI Č [29], pp. 18 S CHELLENBERG , H ALLAM [35], pp.2-4 2703-2704. 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 23 Personalmente, anni fa, ho condotto un piccolo “esperimento” in una classe terza, a inizio anno, per verificare la qualità degli appunti presi dagli studenti. Sono entrato in classe e ho annunciato platealmente che avrei spiegato la struttura atomica secondo il modello di Bohr e che gli studenti avrebbero fatto bene a prendere appunti. Mi sono avvicinato alla lavagna intonsa e con il gesso ho tracciato un minuscolo puntino, dicendo: “L’atomo rappresenta una minuscola porzione di materia. Infinitamente piccola. Esso è elettricamente neutro ed è formato da un nucleo carico positivamente e da elettroni carichi negativamente...” La spiegazione è continuata per circa 10-15 minuti, durante i quali ho sempre tenuto il gesso in mano, ma ho accuratamente evitato di tracciare altro sulla lavagna. Al termine della spiegazione ho chiesto di farmi vedere gli appunti. Cosa ho trovato? Un puntino su un foglio bianco. Null’altro. I ragazzi hanno fatto il più diffuso degli errori fra gli studenti: hanno riportato sul quaderno solo quello che l’insegnante ha tracciato sulla lavagna, ma non anche le parole usate per legare i concetti illustrati. Studiare su quegli appunti diventa come capire la trama di un film dopo aver tolto l’audio e i sottotitoli. Le famiglie farebbero bene a verificare quale sia l’effettiva fonte dello studio del proprio figlio. Se il figlio studia sugli appunti e solo su quelli, essi devono essere di alta qualità. Devono essere ordinati e piacevoli da leggere, ma soprattutto devono essere chiari. Un genitore è immediatamente in grado di valutare se gli appunti del proprio figlio possono essere una proficua fonte di studio. Lo si capisce dal numero di pagine, dall’ordine, dall’aspetto grafico, dalle cancellature, da come i concetti sono esposti in italiano, ecc. I cattivi appunti si vedono immediatamente. Sono in forma originale, non essendo mai stati riscritti e riordinati; presentano cancellature e sono privi di un discorso logico; se si tratta di un esercizio, sovente non si capisce nemmeno quale sia la consegna, ecc. In questi casi i genitori devono intervenire assolutamente e aiutare il proprio figlio a riorganizzare la fonte dei propri studi. Se non è possibile ricomporre in maniera utile gli appunti, si può cercare di ricorrere agli appunti di qualche compagno di classe più ordinato, oppure identificare gli argomenti e cercarli sul libro di testo e studiare su quest’ultimo. È possibile che il figlio si mostri poco felice alla prospettiva di dover studiare sul libro, a causa della tempesta di parole di cui sopra, ma non c’è alternativa. È meglio non studiare piuttosto che studiare cose ambigue o addirittura errate. 2.4.1.5 Mancato controllo Il genitore farebbe bene a verificare il lavoro fatto dal proprio figlio durante la giornata. Il genitore che non effettua tale controllo, oltre a non aiutare il giovane in un’attività per può presentare difficoltà anche rilevanti per un adolescente, manda anche messaggi chiari e forti di fondamentale disinteresse per il lavoro del proprio figlio. Se il ragazzo può vantare risultati scolastici di buon livello è indubbiamente sensato concedergli fiducia ed evitare di “opprimerlo” con eccessivi controlli. Se, però, il figlio necessita di un aiuto in fase organizzativa è corretto verificare il lavoro da lui svolto. Il genitore deve ricordare che l’adolescente non ragiona come l’adulto e che ciò che è ovvio per un genitore non è detto che sia altrettanto ovvio per il figlio. 24 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA Perciò è importante che il genitore faccia sentire al giovane la propria presenza, sia verificando gli appunti, che gli esercizi fatti, che chiedendo gli argomenti studiati. Il genitore che conosce e segue il proprio figlio si accorge immediatamente se il resoconto della giornata è perlomeno plausibile o meno. Infine vanno controllati con regolarità e cura sia il libretto personale che il registro elettronico, in modo da porre attenzione particolare alle date - sia del libretto che del registro. Solitamente, infatti, i genitori sono molto concentrati sul voto e poco alla sua data di emissione. Quest’ultima, invece, come si vedrà parlando di pianificazione temporale, riveste una particolare importanza. 2.4.1.6 Le ore dedicate allo studio Non esistono tempi standard per tutti gli studenti. C’è chi necessita di maggior studio e chi di meno. Facendo di tutte le erbe un fascio si può tentare di affermare che, grossolanamente, il 95% degli studenti di scuola superiore farebbe bene a non scendere mai sotto le 1-2 ore di studio casalingo al giorno e che un buon 50% degli studenti farebbe bene a non scendere mai sotto le 3-4 ore di studio casalingo giornaliero. La domenica può sempre, salvo casi eccezionali, essere considerata giorno di riposo. Si danno i predetti numeri non per contraddizione con quanto detto nella sezione 1.1.1 a pagina 3, ma per non esercitare uno dei difetti tipici degli insegnanti, che spesso chiedono ai loro studenti di “studiare tanto”, trovando la classe totalmente d’accordo. Il problema è che per molti studenti, 30’ di studio è già tanto. Conviene dare quindi delle indicazioni temporali assolute e non relative. È un po’ più brutale, ma è anche molto più chiaro. Sull’argomento si tornerà, comunque, nel capitolo dedicato allo studente. 2.4.1.7 Il colloquio con i professori Gli studenti i cui genitori prendono parte attivamente alla vita scolastica hanno un rendimento migliore. Il cervello adolescente - Laurence Steinberg È importante incontrare i professori almeno 1 volta a quadrimestre, anche se il ragazzo ha ottimi o buoni risultati scolastici. Gli incontri dovrebbero salire a 2 e arrivare, in casi particolari, a 3 a quadrimestre se il ragazzo evidenzia difficoltà in qualche materia. La cosa è alquanto faticosa per i genitori, ma è importante. Il genitore solitamente chiede all’insegnante notizie circa i risultati scolastici del figlio, ma è altrettanto importante parlare e chiedere lumi circa i motivi che, secondo l’insegnante, determinano eventuali carenze. L’insegnante potrebbe rispondere che manca il lavoro casalingo, che il ragazzo si fa prendere dall’ansia durante compiti e interrogazioni, che l’impegno è evidente ma poco efficace, ecc. Più puntuale e più preciso sarà il resoconto dell’insegnante e più efficace sarà il rimedio messo in pratica dalla famiglia e dallo studente. È, però, importante insistere sui motivi, piuttosto che fermarsi ai voti. Alcuni genitori, i più organizzati, prendono appunti durante i colloqui. Può tornare utile soprattutto quando si parla con due-tre insegnanti lo stesso giorno. 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 2.4.1.8 25 Altre cattive abitudini Altre cattive abitudini possono rendere inefficiente il lavoro dell’allievo, fino a vanificarne gli sforzi. Una carrellata simpatica si trova in rete all’indirizzo indicato in bibliografia, con riferimento L’H UFFINGTON P OST [20]. 2.4.2 La pianificazione temporale Il genitore non dimentichi mai che l’adolescente ragiona in modo diverso dall’adulto. Il seguente è un esempio concreto che identifica il 90% degli studenti. Gli insegnanti di matematica, tanto per citare una materia più o meno a caso, fanno grossolanamente 3-4 compiti in classe a quadrimestre. Togliendo il mese di settembre, quindici giorni a dicembre-gennaio e altrettanti fra pasqua e l’inizio del secondo quadrimestre, è facile verificare che lo studente farà circa un compito di matematica ogni 30-35 giorni. Ciò vale, più o meno, anche per le altre materie. Ebbene, se lo studente ha fatto l’ultimo compito di matematica, ad esempio, il 20 di ottobre, il genitore provi a chiedere al figlio il 10 di novembre, ossia 10 giorni circa prima del prossimo compito, se ha “incominciato” a studiare in preparazione della verifica di matematica. La risposta sarà: “Il prof. non ci ha detto ancora quando c’è il compito”. Traduzione: ”Incomincio a studiare quando saprò la data del compito”. Cioè, normalmente, una settimana prima della verifica. Se lo studente ha difficoltà in matematica è ovvio - per un adulto - che sarà troppo tardi. Purtroppo è ovvio solo per gli adulti. Questo e altri errori compiono i nostri prodi nella pianificazione del loro lavoro. Quei genitori che non conoscessero a fondo le abitudini scolastiche del proprio figlio farebbero bene a dare un’occhiata al decalogo del Vero Studente a inizio del prossimo capitolo. Per fortuna, invece, i genitori sono bravi proprio là dove i giovani sono più deboli: sanno pianificare il futuro in modo da limitare errori e imprevisti. Ecco alcuni consigli tanto ovvi quanto utili. 2.4.2.1 Usare un calendario Il calendario è uno strumento efficacissimo, soprattutto se appeso in forma ben visibile, ad esempio, in cucina. Sul calendario il genitore annoterà, in bella evidenza, e materia per materia, le date delle interrogazioni e delle verifiche. In tal modo il genitore saprà che in data 20 ottobre è stato fatto l’ultimo compito di matematica e incomincerà a chiedere al figlio se ha incominciato a studiare matematica il 27 di ottobre e non il 10 di novembre. Se risponderà di sì, sarà comunque utile e rassicurante dare un’occhiata al quaderno degli esercizi. A proposito di esercizi: càpita spesso che l’allievo dica ai propri genitori che ha sbagliato la verifica per delle banali sviste, di cui, magari, si è accorto pochi minuti dopo la consegna. Il genitore non sottovaluti l’episodio. Le cosiddette “sviste”, soprattutto se sono frequenti, sono indice di studio frettoloso e di scarso esercizio. Significa che il cervello non ce l’ha fatta a tenere tutto sotto controllo e qualcosa è sfuggito. Bisogna fare come i pianisti: a quelli meno bravi scappa ogni tanto la stecca, a quelli bravi no. E la differenza si misura in ore di studio. 26 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA 2.4.2.2 “Mamma, oggi non mangio: devo studiare elettronica” Ormai si sta toccando il fondo! Sono arrivato a citare le mie stesse battute. Chiedo perdono. Quando spiego un nuovo argomento in classe, al termine della lezione aggiungo spesso la bassissima, suddetta battuta, in modo da suggerire che l’argomento appena spiegato va studiato finché nelle orecchie rimbombano ancora le parole dell’insegnante. Se l’argomento citato verrà studiato dopo una settimana, si vanificherà lo sforzo del docente. Quindi, cosa può fare il genitore? Controllare il quaderno degli appunti e se vede nuovi argomenti, consigliare al figlio di studiarli subito, anche in maniera non approfondita, tanto per “trattenerli”. Li studierà in maniera più intensa il giorno dopo, ma intanto non annullerà completamente lo sforzo del docente. Attenzione. Se il ragazzo dovesse obiettare: “Non posso. Ho il compito di questo e l’interrogazione di quello, domani” potrebbe voler dire che l’organizzazione dello studio non ha raggiunto ancora livelli soddisfacenti, e che si sta saltando ancora da un’urgenza all’altra. 2.4.2.3 Ansia e panico Non c’è nulla di più commovente per una mamma che vedere il proprio figlio in ansia per l’interrogazione o la verifica. Naturalmente è comprensibile. Però il genitore risulterà più utile al figlio se si chiede come mai tanta ansia. Spesso l’ansia è figlia di uno studio frettoloso e fatto in ritardo. Traduzione: di cattiva organizzazione. Generalmente, in questi casi, i genitori cercano di tranquillizzare il figlio e di riportarlo alla calma. Ovviamente fanno benissimo. L’azione andrebbe, però, continuata dopo la verifica o l’interrogazione, spiegando con calma che forse è il caso di organizzare meglio lo studio. A mente fredda questi consigli si capiscono meglio. E una migliore organizzazione deve comprendere una adeguata diluizione dello studio. Se il ragazzo ha frequenti episodi di ansia, i genitori farebbero bene a rivedere insieme al figlio come organizzare meglio le attività scolastiche. 2.4.2.4 Creare alleanze Quando si devono compiere imprese difficili è bene cercare alleanze. Su un terreno dove è facile stabilire collegamenti, stringi alleanze coi confinanti. L’arte della guerra - Sun Tzu Si noti che l’alleato più naturale è proprio il docente, che invece è spesso visto come il nemico. Ma se non dovesse esserci sufficiente fiducia nell’insegnante, lo studente in difficoltà farebbe bene a passare qualche ora studiando insieme a chi l’argomento lo ha capito o, meglio ancora, in gruppo. Questo tipo di studio, che gli inglesi chiamano cooperative learning, presuppone un’adeguata maturità, per cui è bene che nello zainetto ci siano solamente libri e quaderni, lasciando prudentemente la PSP a casa. Si tratta, però, di una modalità di studio estremamente potente, perché richiede al gruppo uno studio analitico. Qualcuno incomincerà a dire che non ha capito il tal argomento e 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 27 formulerà una domanda, che magari inizierà con l’avverbio interrogativo “perché”. Quello sarà un buon inizio. Inoltre, quel tipo di alleanza rafforza i legami fra studenti, che sono utilissimi sotto molti aspetti. Tutto questo funziona se effettuato per tempo. Studiare in gruppo è timeconsuming, per cui è bene effettuare questo tipo di studio per tempo, quando la fretta non diventa consigliera - cattiva - eccessivamente presente. L’allievo cerchi però di non sottovalutare l’alleanza con l’insegnante. È un’alleanza molto importante e molto utile, ma soprattutto è un passo fondamentale nel processo di “democratizzazione” della scuola. In tal modo la classe da “massa” diventa “somma di individui” e il processo di democratizzazione fa un ulteriore passo avanti, con grande beneficio per tutti. 2.4.3 Un punto di vista obiettivo Nella sezione 2.3.2 a pagina 17 si è sottolineato il particolare periodo di sensibilità dell’adolescente. Da tale punto di vista un insuccesso scolastico banale può essere deformato e ingigantito dal giovane. In quei momenti l’obiettività dei genitori, unita alla comprensione e al conforto, può essere utilissima. In quel momento il genitore diventa faro per l’adolescente. Non amico o complice, ma vero e proprio faro.19 Comprendere il figlio e manifestargli il proprio affetto non significa abbracciarne le esagerazioni. Se prende un brutto voto a scuola, magari a febbraio o marzo, quando un brutto voto è solo un brutto voto e non è ancora una “sentenza”, e tale esperienza diventa un piccolo dramma, il genitore ha l’occasione di presentare un punto di vista obiettivo, non deformato dalle passioni. È un’occasione per educare, ossia “tirare fuori” il meglio dal proprio figlio e va sfruttata, per presentare non per convincere. Sarà compito del figlio rifletterci su, quando la tempesta sarà passata. E la cosa straordinaria consiste nel fatto che lo farà, proprio in virtù di quella plasticità del cervello che tanto attira la nostra attenzione. Più o meno come quei bambini di due-tre anni che sentono una parola nuova e pare che non l’abbiano notata né sentita. Poi, qualche giorno dopo, la si sente, magari un po’ deformata, nei discorsi del bambino: è diventata sua e d’ora in avanti, con qualche correzione se necessario, farà parte del suo linguaggio. Con il tempo il figlio imparerà anche l’obiettività, perché non c’è maestro migliore dell’esempio, ma non bisogna avere fretta. È meglio avere fiducia nell’azione educatrice. Un’azione compassionevole ma ferma, che comprende ma non distorce. È importante che ognuno faccia il proprio mestiere: il figlio fa l’adolescente esagerando un po’ e il genitore fa l’adulto educando con obiettività e comprensione. 2.4.4 E se mio figlio fosse un po’ lento? Ah, il mito dell’intelligenza! Stavo quasi per dimenticarmene. Ci sono talmente tante false credenze sull’argomento che non ci si può esimere dal trattarlo in un documento che parla di studio e di scuola. Si cercherà di farlo il più se19 A NDREOLI [1], pp. 14-20. 28 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA riamente possibile senza diventare stucchevoli ma senza scivolare nemmeno nella chiacchiera da bar sport.20 E tanto per incominciare con il piede giusto e per evitare qualsiasi forma di ambiguità o di ipocrisia, si cercherà di formulare una serie di ipotetiche domande dirette, che possano stimolare una serena e pacata riflessione, piuttosto che produrre qualche risposta da leggere passivamente. Le domande potrebbero essere le seguenti: 1. quanto incide l’intelligenza nel successo di un adolescente? 2. un ragazzo “lento” può seguire con successo un corso di studi difficile?21 Prima di rispondere alle due domande, però, è bene chiarire il concetto di “intelligenza”. 2.4.5 Cos’è l’intelligenza? Cos’è il Genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Giorgio Perozzi in Amici miei di Mario Monicelli - 1975 L’incipit leggero vuole subito sdrammatizzare l’argomento. E chi ha visto la scena alla quale si accenna nella citazione ha ben capito cosa si intenda qui per “leggerezza”. Chi non l’ha vista può facilmente rimediare all’imperdonabile mancanza, cercandola su YouTube. Ma torniamo alla domanda che suggerisce il titolo: cos’è l’intelligenza? Se non si chiarisce prima questo concetto è inutile tentare di rispondere alle tre domande formulate nella sezione precedente. Dal Devoto-Oli 2003: Intelligenza s.f. Capacità di attribuire un conveniente significato pratico o concettuale ai vari momenti dell’esperienza e della contingenza. concr. Persona dotata di ingegno, preparazione e capacità non comuni. Tenendo ora bene in mente questa definizione si legga quanto Daniel Goleman riporta nel suo Intelligenza Emotiva22 , tratto a sua volta da un articolo apparso sul New York Times del 23 giugno 1992: Jason H., uno studente modello che frequentava il secondo anno della scuola superiore di Coral Springs in California, si era fissato sull’idea di entrare alla facoltà di medicina - si badi bene, non presso una qualsiasi università: lui sognava Harvard. Ma Pologruto, il suo insegnante di fisica, gli aveva dato 80 in un test e Jason, pensando che il voto - un modesto B - compromettesse i suoi sogni, portò un coltello da macellaio a scuola e, confrontandosi con l’insegnante nel laboratorio di fisica, lo colpì vicino alla clavicola prima di essere bloccato in un corpo a corpo. 20 Nulla di personale contro i bar che usano la parola “sport” nella loro denominazione sociale. È inteso come luogo mitico in cui la citazione accademica non è obbligatoria. 21 Queste domande rappresentano, in un certo senso, la misura della distanza scuola-famiglia. Non ci sono questioni più stucchevoli per un insegnante delle succitate domande e, per contro, non c’è nulla di più angosciante per un genitore del sapere di avere un figlio “un po’ lento”. 22 G OLEMAN [7], pp. 53-54. 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 29 Probabilmente molti penseranno che il giovane protagonista di questa storia non sia una persona intelligente. Potrebbe, però, essere interessante sapere cosa sia successo a Jason qualche anno più tardi. Dopo essersi trasferito in una scuola privata, Jason si diplomò due anni dopo fra i migliori. Seguendo corsi regolari avrebbe preso un A pieno, con 4.0 di media; ma Jason frequentò un numero sufficiente di corsi avanzati per diplomarsi con la media di 4.614, meritando quindi più di A. Insomma, Jason può definirsi una persona intelligente o no? La definizione di “Intelligenza” sembra vacillare davanti al caso di Jason: da quel punto di vista egli sembra essere “contemporaneamente” ottuso e intelligente. Nel 1983, Howard Gardner, in un libro che fece storia - Formae Mentis tentò di definire l’intelligenza in modo radicalmente diverso. Non al singolare, ma al plurale. Non la intelligenza, ma le intelligenze. Gardner concluse vi fossero almeno sette tipi di intelligenze fondamentali che concorrono a formare l’individuo: le due intelligenze “scolastiche”, ossia quella verbale e quella logico-matematica; l’intelligenza spaziale, tipica degli artisti e degli architetti; l’intelligenza cinestetica degli atleti e dei danzatori; l’intelligenza musicale; l’intelligenza interpersonale o sociale tipica di chi sa relazionarsi con gli altri e l’intelligenza intrapsichica tipica di chi ha una vita spirituale densa e una brillante capacità introspettiva.23 Quindi, il successo in un determinato ambiente è determinato da un insieme di fattori, non solo dalle intelligenze “scolastiche” (verbale e logica). Questo insieme di fattori “extrascolastici” è chiamato da Goleman “Intelligenza Emotiva”, che lui stesso così definisce: La capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare.24 Purtroppo, la scuola pone ancora molto l’accento sulle intelligenze verbali e logiche. Ma ciò non significa che il ragazzo è “lento”. Chi darebbe del lento a Mozart, a Raffaello, a Christiaan Barnard,25 a Carla Fracci o a Renzo Piano? In conclusione, si vuole sottolineare che ognuno può fare riferimento alla definizione di intelligenza che preferisce, ma deve essere chiaro che le intelligenze verbali e logico-matematiche non possono e non devono essere sufficienti per definire “lento” un ragazzo. L’intelligenza è cosa molto più complessa di quello che un semplice QI possa indicare. 2.4.6 Quanto incide l’intelligenza nel successo di un ragazzo? Se per intelligenza si intende quella normalmente misurabile mediante un QI, ovvero la somma delle intelligenze verbali e logico-matematiche e se per successo si intende “riuscire nella vita”, allora Gardner indica tale incidenza in meno del 20%.26 23 G OLEMAN [7], pp. 58-59. [7], p. 54. 25 Per coloro i quali sono troppo giovani per saperlo, Christiaan Barnard fu il primo cardiochirurgo a eseguire il trapianto di cuore. Curiosità: per qualche anno nell’equipe di Barnard c’era anche un certo Enzo Jannacci. 26 G ARDNER [21], p. 5. 24 G OLEMAN 30 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA Se per successo si intende, invece, il successo scolastico, allora, secondo Ulric Neisser, la percentuale di incidenza sale al 25% circa.27 Rimane comunque una quota parte relativamente piccola e sicuramente non tale da meritare tutta la mitologia di cui è attorniata. Quindi l’intelligenza è utile, ma da sola solitamente non basta. 2.4.7 Un ragazzo “lento” può seguire con successo un corso di studi difficile? Si è visto che l’intelligenza incide, ma non eccessivamente, nel successo scolastico di un adolescente. Quindi, quali sono i fattori che concorrono al successo scolastico, oltre alla già citata intelligenza verbale e logica? Un sommario e sicuramente non esaustivo elenco potrebbe essere il seguente: • • • • un’efficiente organizzazione dello studio; una famiglia accogliente e attenta; insegnanti che sappiano essere guide prima che giudici; una sostanziale assenza di fattori di “distrazione” (malattie, problemi gravi, difficoltà logistiche, ecc.) • buone alleanze fra pari (peer education); • una cospicua dose di grinta.28 In particolare, l’ultimo punto del parziale elenco merita qualche riflessione. 2.4.8 La grinta Come al solito è bene chiarire i termini. Cosa si intende per “grinta”? Stavolta prendo la definizione direttamente da una pubblicazione scientifica, anziché dal dizionario: Grinta Perseveranza e passione per gli obiettivi a lungo termine Grit: Perseverance and Passion for Long-Term Goals Angela Duckworth et al. [nostra traduzione] Effettivamente è noto già da tempo che l’intelligenza da sola non costituisce un buon indice predittivo del futuro successo di un giovane. Oggidì si preferisce far riferimento al cosiddetto modello Big Five proposto inizialmente da Robert McCrae e Paul Costa, secondo cui lo studio della personalità può essere efficacemente focalizzato su 5 caratteristiche basilari dell’individuo: • • • • • estroversione stabilità emozionale disponibilità coscienziosità apertura alle esperienze29 27 N EISSER [31], p. 81. [15], pp. 157-164. 29 I termini originali sono: Extraversion, Emotional Stability, Agreeableness, Conscientiousness e Openness to Experience e andrebbero commentati, dato che pubblicazioni diverse modificano leggermente detti termini e danno sfumature diverse ai singoli concetti. Noi, però siamo interessati al solo termine su cui più o meno tutti concordano (Coscienziosità) e che viene indicato come quello “maggiormente necessario”. 28 S TEINBERG 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 31 Il quarto termine è quello che maggiormente ci interessa, perché sembra che sia necessario praticamente a qualsiasi attività umana nella quale si desidera avere successo.30 Naturalmente tutte le suddette attitudini concorrono al successo nella vita o nella scuola dell’individuo, ma alcune caratteristiche si adattano maggiormente a certe attività (estroversione - relazione col pubblico; stabilità emozionale attività decisionali; disponibilità - lavoro di gruppo; apertura alle esperienze attività di apprendimento), mentre altre - la coscienziosità, ovverso la capacità di applicarsi con passione su obiettivi a lungo termine - sono necessarie in praticamente tutte le attività umane. Un ragazzo di media intelligenza e coscienziosità superiore alla media ottiene risultati superiori di un ragazzo di media coscienziosità e intelligenza superiore alla media.31 Alla luce di ciò, quei genitori che ritengono di avere un figlio “un po’ lento” farebbero meglio a chiedersi se il ragazzo è svogliato o meno. Analogamente, i genitori fieri di avere un figlio intelligente farebbero altrettanto bene a porsi la medesima domanda, ponendo in secondo piano, nel bene e nel male, il mito dell’intelligenza. Inoltre, propongo una ulteriore riflessione, anche se è bene avvertire subito di accoglierla con una certa prudenza. Perché mai un ragazzo “un po’ lento”, ma volenteroso, non dovrebbe intraprendere un corso di studi difficile? Perché un ragazzo che non ha ottenuto brillanti risultati alle medie inferiori non dovrebbe accedere a un percorso di studi di relativa difficoltà? In fin dei conti sarà proprio la costante applicazione durante il percorso di studi a permettere una cospicua potatura sinaptica e una vigorosa mielinizzazione di quei circuiti cerebrali necessari al completamento degli studi superiori. Non vorrei, però, essere frainteso: non è che tutti i ragazzi che hanno incontrato difficoltà alle medie devono per forza mettersi a studiare greco e latino! Il percorso di studi deve essere scelto con cura, tenendo ampiamente conto delle inclinazioni manifestate dal ragazzo e dalla sua oggettiva capacità a sostenerlo. Certamente affrontando anche delle difficoltà, ma non tali da far diventare la scuola un incubo per lui e per la famiglia. Non è che attraverso la potatura e la mielinizzazione il ragazzo diventerà più intelligente: semplicemente farà come quel pianista che attraverso ore e ore di studio affina la tecnica e migliora la sua capacità di suonare il pianoforte e interpretare un brano musicale. Il problema, caso mai, è domandarsi perché fino ad ora il ragazzo non ha ottenuto risultati brillanti. Se non si individua il granello che inceppa il meccanismo, il giovane potrebbe incontrare alle superiori le stesse difficoltà incontrate alle medie. Conviene quindi cercare di dare delle risposte oggettive alla presunta “lentezza” del giovane e a tal fine potrebbe essere utile rileggere lo scarno elenco di fattori proposto a pagina 30. E se, effettivamente, mancasse un po’ di grinta al ragazzo? È possibile intervenire, in qualità di genitori ed educatori, per migliorare la capacità del ragazzo a essere più coscienzioso, più tenace, più risoluto a perseguire un obiettivo a lungo termine? È, insomma, possibile “allenare” la capacità di autoregolazione del giovane? 30 B ARRICK , M OUNT [23], pp. 13-14, 17-19. [15], p. 162 e relative pubblicazioni citate. 31 S TEINBERG 32 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA 2.4.9 Allenare l’autocontrollo Le presenti righe sono basate su due libri di Laurence Steinberg: Il cervello adolescente32 e The 10 Basic Principles of Good Parenting.33 È però utile aggiungere qualche informazione per chi volesse approfondire il tema sugli originali. Il primo dei due libri era un supplemento a “Le Scienze” di settembre 2015 e non è possibile trovarlo in libreria con quel titolo. Si trova con il titolo “Adolescenti. L’età delle opportunità” edito da Codice. Il secondo ha qualche anno in più e, purtroppo, non mi risulta sia mai stato tradotto in italiano. Steinberg consiglia ai genitori la costante applicazione di tre semplici regole, per rafforzare la capacità di autocontrollo del proprio figlio: • essere affettuosi; • essere risoluti; • essere incoraggianti. Essere affettuosi significa manifestare il proprio amore al figlio, non nasconderlo. Significa essere presente nella sua vita, conoscendone gli amici, le band preferite, la squadra per cui tifa. Significa conoscere le sue ambizioni, le sue aspettative, le sue delusioni e le sue paure. Significa anche camminare insieme a lui, nella stessa direzione, ma restando sempre un passo indietro, in modo che possa decidere lui la strada, ma senza essere solo. Quando sarà in difficoltà dovrà potersi voltare e trovare i genitori che, con affetto, lo aiuteranno senza essere invadenti e lasciandolo libero di decidere. Se prenderà decisioni sbagliate dovrà sentire la mano dei genitori sulla propria spalla che lo avvertirà dell’errore e lo stimolerà a riflettere in autonomia e a correggersi. Essere risoluti significa dare delle regole chiare, condivise, assennate e, se necessario, spiegate, mai imposte. Ma, soprattutto, significa crederci, rispettarle, farle rispettare e non cambiarle dopo dieci minuti o dopo dieci giorni. A scuola, gli insegnanti che sanno condividere regole chiare e farle rispettare, ottengono risultati migliori dai propri allievi. Per contro, insegnanti con altissime competenze nel loro campo di insegnamento, ma incapaci di fornire regole chiare ai propri allievi, ottengono frequentemente risultati di basso profilo. Lo stesso vale anche per i genitori. Il genitore aiuterà realmente il proprio figlio se la regola sarà chiara e dettagliata e se il giovane ne avrà capito la motivazione. Questo potrebbe voler dire aprire il proprio cuore di genitore al figlio, parlandogli delle proprie paure e del perché non vuole che torni a casa alle quattro del mattino. Significa anche chiedergli - ma soprattutto chiedersi - cosa significa per lui tornare a casa alle quattro. Risalire alla motivazione nascosta, senza accontentarsi di quella palese. Essere incoraggianti significa ricompensare con una buona parola gli sforzi dell’adolescente. A volte pare che certi insegnanti, come anche certi padri, debbano pagare di tasca loro un complimento o una parola di incoraggiamento. Come se fosse una tassa o una multa! Si noti che ricompensare gli sforzi non significa ricompensare i risultati. Anche perché ci si dovrebbe limitare a ricompensare solo i risultati positivi. 32 S TEINBERG 33 S TEINBERG [15] [16] 2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 33 Sono l’intento e l’impegno che vanno lodati, perché preparano il terreno al successo. Il genitore deve ricordare che ottenere dei risultati positivi quando si imparano cose nuove non è mai banale. Ci vuole impegno e fiducia nel lavoro svolto. Si deve essere cioè capaci di aspettare di raccogliere il frutto della semina dopo settimane o mesi, talvolta anni. Si tratta di un periodo di tempo durante il quale l’adolescente deve affrontare delusioni, cali di motivazione, scarsità di successi, per cui incoraggiare e porgere una parola di conforto e rassicurazione diventa utilissimo. Steinberg pone l’accento su un particolare piuttosto importante: il genitore dovrebbe incarnare tutte e tre le caratteristiche elencate e non solo una o due. Il genitore dovrebbe incoraggiare con affetto e risolutezza, solo così educa all’autonomia e quindi anche alla capacità di autocontrollo. Se l’adolescente migliorerà la propria capacità di autoregolarsi, avrà anche la capacità di progettare il proprio futuro senza l’assillo del “tutto e subito”. Imparerà a produrre del lavoro oggi, sapendo che ne vedrà i frutti domani. Capitolo 3 Lo studente Tante volte incontro persone che giudicano irrealizzabile tutto quello che loro non possono fare, e sostengono che noi parliamo di cose superiori a quelle che la natura umana può sostenere. Ma io ho di loro una migliore opinione! Anch’essi sono in grado di fare queste cose, ma non vogliono. E poi, hanno mai deluso chi ha tentato? All’atto pratico non sono apparse più facili? Non perché siano difficili non osiamo: sono difficili perché non osiamo. Lettere a Luciclio, Libro XVII-XVIII, 104, 25-26 - Lucio Anneo Seneca Lo studente farebbe bene a incorniciare la suddetta citazione di Seneca, evidenziare l’ultima frase e appenderla bene in vista nella propria camera. Personalmente vorrei ripetere - e lo faccio insistentemente ogni anno - ai miei allievi quelle frasi. “Tante volte incontro persone che giudicano irrealizzabile tutto quello che non possono fare”. Sono i miei allievi che non hanno fiducia nelle loro capacità. “E sostengono che noi parliamo di cose superiori a quelle che la natura umana può sostenere”. Ma ciò è falso! Gli argomenti che trattiamo noi insegnanti in classe sono dimensionati per loro, i nostri studenti. “Ma io ho di loro una migliore opinione!” Spesso molto più alta di quella che alcuni studenti hanno di loro stessi. “Anch’essi sono in grado di fare queste cose, ma non vogliono”. O meglio, non vogliono farlo perché hanno paura di fallire e un fallimento brucia più di una rinuncia. “Non perché siano difficili non osiamo: sono difficili perché non osiamo”. Questa è la frase che dovrebbe far riflettere tutti gli studenti e che va appesa in camera. Nelle prossime pagine lo studente è chiamato a fare un viaggio dentro di sé e a porsi domande che possono sembrare a volte un po’ scomode. Si cercherà di guardare agli errori più comuni dello studente con ironia, a volte un po’ feroce, ma ormai abbiamo capito perché: perché l’ironia, prima di muovere al sorriso, fa riflettere. 35 36 CAPITOLO 3. LO STUDENTE Per poter iniziare questo viaggio introspettivo, dovremo innanzi tutto imparare a conoscere uno dei protagonisti delle prossime pagine: il Vero Studente. 3.1 Il Vero Studente Decalogo del Vero Studente 1. il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni prima della verifica; 2. il Vero Studente non sta mai attento a lezione; 3. quando un insegnante spiega un nuovo argomento, il Vero Studente non lo studia subito - troppo facile - ma aspetta pazientemente di aver dimenticato quello che l’insegnante ha spiegato1 e dopo 5-6 giorni, o anche dopo, inizia lo studio; 4. Il Vero Studente non sta mai attento quando l’insegnante interroga. Attento a cosa, poi? 5. il Vero Studente, in previsione dell’interrogazione, non prepara mai un argomento a piacere. Se l’insegnante gli chiede se vuole parlare di un argomento in particolare, deve essere in grado di rispondere: “No!”; 6. il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che può: tutti sono capaci di farsi promuovere se fanno tanti esercizi; 7. il vero Studente non crede nelle proprie capacità. Traduzione: “Se solo il professore sapesse quanto poco so...”; 8. il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione, tanto “dovrò comunque fare il disoccupato a vita”; 9. il Vero Studente, quando non conosce la risposta a una determinata domanda, risponde in maniera intuitiva; 10. ma, soprattutto, il Vero Studente NON CHIEDE MAI NULLA al professore. Al massimo chiede se può andare al bagno. Praticare costantemente e con tenacia questo semplice decalogo è assolutamente fondamentale se si vuole ripetere l’anno scolastico. Se poi si fallisce l’obiettivo, pazienza, ma la fama di Vero Studente ne viene comunque accresciuta. 3.1.1 Qualche consiglio pratico allo studente Si è detto che nel presente capitolo si parlerà spesso - ma non solo - degli errori che lo studente compie durante lo studio. Alcuni sono già stati illustrati, in modo da rendere edotte le famiglie e permettere loro di aiutare il figlio nella correzione dell’errore. Ci sono, però, degli errori che solo lo studente può capire a fondo, perché vive in prima persona nel mondo della scuola e compie in prima persona quei determinati errori, per cui li riconosce al di là dell’imperfezione della lingua parlata e scritta. Inoltre, questi errori possono essere visti come qualcosa che “interessa docenti e discenti”. Non deve diventare un problema della famiglia, altrimenti fanno tutto i genitori, e noi insegnanti cosa facciamo? Fuor di battuta non si può chiedere al genitore di sostituirsi all’insegnante. Non deve farlo. Il genitore ha compiti diversi e altrettanto importanti. 1 Al netto del punto 2 del decalogo, naturalmente 3.1. IL VERO STUDENTE 37 Ma, insomma, quali sono questi errori? Su che cosa dovrebbe riflettere lo studente? Innanzi tutto sul decalogo del Vero Studente. Esso va commentato insieme, fra docenti e discenti, in modo da far capire allo studente il pericolo che rappresenta. 3.1.1.1 Il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni prima della verifica Ovviamente è un errore clamoroso. Per spiegarlo potrebbe essere utile parlare del concetto di fluidità cognitiva. Siccome, però, il Vero Studente ha la tendenza a non credere molto alle cose che il professore dice, può essere utile far parlare un premio Nobel, che ha studiato a fondo come il cervello reagisce in condizioni di stress, in situazioni spesso molto simili a quelle che si presentano a scuola:2 Le parole già viste in precedenza diventano più facili da vedere di nuovo: le si identifica meglio di altre quando ci vengono mostrate per qualche istante o quando sono mascherate da rumore, e le si legge più rapidamente (di alcuni centesimi di secondo). In breve abbiamo maggiore fluidità cognitiva davanti a una parola già vista in precedenza, ed è questo senso di fluidità che ci dà un’impressione di familiarità. Pensieri lenti e veloci - Daniel Kahneman Uno studio diluito nel tempo offre molti vantaggi. Supponiamo per un attimo che il nostro studente debba studiare in previsione di un compito e che un suo compagno di classe, solitamente piuttosto organizzato, lo abbia avvertito che non è possibile studiare gli argomenti richiesti per meno di 15 ore. Supponiamo anche che il nostro protagonista convenga che, effettivamente, studiare meno di 15 ore non serva a nulla. La domanda è: è meglio fare tre “tirate” da 5 ore l’una tre giorni prima della verifica, oppure mezz’ora al giorno per un mese? Kahneman e la coppia Ariga-Lleras consigliano certamente la seconda opzione. Innanzi tutto perché uno studio “diluito” permette una maggiore fluidità cognitiva (Kahneman) dopo 1-2 giorni di studio. Dopo qualche giorno i termini studiati sono diventati familiari e il cervello può concentrarsi più sui concetti che sulla terminologia. L’ideale sarebbe leggere inizialmente - non studiare - gli argomenti della verifica. La prima mezz’ora potrebbe essere dedicata ad una rilassata lettura. Il cervello avrà modo di familiarizzare con la terminologia e di manifestare minor tensione cognitiva di fronte al puro lessico. Questo non è, però, l’unico motivo. Fare sessioni di studio troppo lunghe e ininterrotte non è efficiente (Ariga-Lleras). È noto da qualche decennio che la curva dell’attenzione diventa calante dopo un breve periodo di tempo. Man mano che l’attenzione cala, subentra, in maggior misura, un’attività del tutto involontaria, ovvero il “sogno ad occhi aperti”, che così frequentemente gli insegnanti notano nello sguardo assente di quelli allievi che hanno perso l’attenzione alla lezione. La scienza chiama questi sogni ad occhi aperti TUTs, ossia Task Unrelated Thoughts. Per evitare che le suddette attività involontarie ci distolgano dal mantenere alta la concentrazione conviene interrompere volontariamente, anche molto brevemente, l’attività che richiede la nostra attenzione 2 K AHNEMAN [9], pp. 69-71 38 CAPITOLO 3. LO STUDENTE per riprenderla subito dopo. Gli esperimenti scientifici effettuati da Ariga e Lleras prevedevano interruzioni di pochi secondi ogni 10 minuti, per 40 minuti,3 ma naturalmente detti tempi possono variare. Passata la mezz’ora che ci siamo prefissati di studiare, la nostra mente sarà già sufficientemente stanca da consigliare comunque una pausa di qualche minuto, durante la quale, ad esempio, si potrebbe andare in cucina a controllare i messaggini! Gli studenti più maturi potrebbero ripetere mentalmente gli argomenti studiati in quella mezz’ora quando sono in autobus, o in fila, o mentre fanno merenda o comunque non direttamente impegnati in attività intellettuali e relativamente rilassati. 3.1.1.2 Il Vero Studente non sta mai attento a lezione Altro errore clamoroso. Stare attenti in classe riduce di molto lo studio casalingo. Ciò è vero per almeno due motivi: • si risparmia tempo. Se l’argomento che si deve studiare è già conosciuto per grandi linee, si riduce il tempo necessario a comprenderlo; • la spiegazione del professore rende l’argomento più semplice da capire. È il compito dell’insegnante facilitare la comprensione di un argomento da parte degli studenti. Perciò non si riesce a capire come mai gli allievi spesso non prestino attenzione alle lezioni. È un atteggiamento che va contro gli interessi dell’allievo. Una possibile spiegazione è data dal goal habituation ipotizzato da ArigaLleras,4 ovvero una specie di assuefazione da attenzione, che va interrotta ogni 5-15 minuti a seconda del grado di stanchezza mentale raggiunta. Riuscire, per contro, a mantenere alta l’attenzione in classe permetterà allo studente di risparmiare tempo durante lo studio casalingo. 3.1.1.3 Il Vero Studente non studia subito il nuovo argomento Studiare, anche superficialmente, immediatamente il nuovo argomento presentato in classe riduce i tempi di assimilazione. Se l’allievo aspetta troppo tempo - e questo è un errore che gli studenti fanno sistematicamente - si dimenticherà la lezione. È come se il professore non spiegasse nulla in classe e dicesse: “Studiate da pagina tale a pagina tal altra.” L’aiuto del professore è andato completamente in fumo. Quello che inconsciamente lo studente pensa è, invece, quanto segue: “Oh, che bello. Se il prof. spiega vuol dire che non interroga e se non interroga, io faccio ferie.” A tale atteggiamento da Vero Studente si oppone ancora una volta Seneca: Anche nei momenti di tranquillità l’animo si prepari ai tempi difficili e quando va tutto bene si rafforzi contro i colpi della sorte. Lettere a Lucilio, Libro II, 18, 6 - Lucio Anneo Seneca 3 A RIGA , 4 A RIGA , L LERAS [22], pp. 1-5. L LERAS [22], p. 2. 3.1. IL VERO STUDENTE 3.1.1.4 39 Il Vero Studente non sta mai attento durante le interrogazioni Anche questo atteggiamento è controproducente. Più di mille parole può valere il seguente controesempio. Pierino5 è un giovane studente di quarta ginnasio alle prese con i micidiali paradigmi dei verbi greci. I verbi da studiare sono circa duecento, di cui si deve sapere, per ciascuno di essi, il significato e le diverse coniugazioni. Un disastro assoluto e totale. Per giunta, il professore di greco è anche piuttosto esigente e punisce piuttosto severamente ogni errore. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per un bagno di sangue. Infatti le prime interrogazioni sono delle autentiche fucilazioni per gli esterrefatti studenti, durante le quali, però, Pierino prende diligentemente appunti. E studiando, anzi, analizzando, gli appunti scopre una cosa piuttosto interessante: durante le prime interrogazioni emerge che il severo professore chiede sempre gli stessi 40-50 verbi. Ergo: è importante studiare bene, anzi benissimo, quei 40-50 verbi mentre i restanti 150-200 si possono studiare molto più superficialmente, riducendo in tal modo lo studio di almeno il 50% circa e facendo letteralmente schizzare verso l’alto i voti. Morale della favola: pare che la “lista di Pierino” sia circolata nel ginnasio per più di qualche anno, con grande soddisfazione degli studenti e, perché no?, pure del severo, ma ignaro, insegnante. Infine, una nota etica sul protagonista della storiella. Pierino non imbrogliava: i verbi li studiava tutti, ma alcuni benissimo, altri in maniera appena sufficiente, dimostrando una buona capacità di adattamento all’ambiente. In fin dei conti perché l’insegnante continuava a chiedere soprattutto quei 40-50 verbi? Perché li riteneva più importanti degli altri ed è assolutamente sensato e ragionevole studiare meglio le cose importanti e in maniera più superficiale il resto. Prendere appunti durante le interrogazioni permette di conoscere in anticipo le probabili domande del professore, oppure se ha la tendenza a permettere allo studente di iniziare un’interrogazione con un argomento a piacere. Questa osservazione ci introduce alla prossima riflessione. 3.1.1.5 Il Vero Studente non prepara argomenti a piacere Lo studente accorto, in previsione dell’interrogazione, prepara sempre un argomento a piacere. L’insegnante lo apprezza sempre e può essere un modo soft di iniziare il colloquio con il professore. Non avere pronto un argomento da trattare se il docente lo richiede è sinonimo di superficialità e scarsa maturità scolastica. Significa anche che lo studente è un pessimo stratega, che rappresenta pur sempre la miglior garanzia per perdere le battaglie e le guerre. Se, invece, l’argomento a piacere non viene chiesto, è compito dell’allievo tentare di portare la discussione su quell’argomento. I più sensibili fra gli insegnanti, notata la cosa, chiuderanno un occhio e faranno la domanda tanto attesa. Si consiglia, in tal caso, di non iniziare l’esposizione dicendo: “Oh, finalmente!” 5 In realtà il protagonista dell’aneddoto non si chiama Pierino, ma lo si chiama così per non imbarazzare nessuno e mantenere l’anonimato. La storiella è comunque assolutamente vera. 40 CAPITOLO 3. LO STUDENTE 3.1.1.6 Il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che può Invece lo studente furbo deve fare come il pianista incontrato qualche pagina fa. Si allena tanto per non steccare. Lo studente provi a pensare che ogni stecca potrebbe valere un voto in meno. Fare tanti esercizi, invece, costituisce una forma di brain training6 che, pare, favorisca sia la potatura sinaptica che la mielinizzazione dei circuiti neuronali.7 Inoltre, l’esercizio aumenta la fluidità cognitiva, per cui sarà anche più difficile commettere errori che passino inosservati: un errore apparirà più facilmente come non familiare, creando in tal modo tensione cognitiva e destando l’attenzione dello studente. 3.1.1.7 Il Vero Studente non crede nelle proprie capacità Or incomincian le dolenti note. Questo è un punto assolutamente centrale della propria crescita, che l’allievo farebbe bene a considerare con molta attenzione, magari rileggendo la citazione di Seneca in apertura. Lo studente ha la tendenza a sminuirsi e a non credere nelle proprie potenzialità, né tanto meno nelle proprie capacità. Ma come si fa a credere nelle proprie capacità? Quel tipo di fiducia non si improvvisa, cresce piano piano, come un albero: lentamente ma inesorabilmente. “Appunto, tanto lentamente che nel frattempo mi avranno bocciato sette volte” potrebbe pensare lo studente. Problema mal posto. Lo studente non deve chiedersi come credere nelle proprie capacità, ma in che cosa crede. O meglio: in che cosa non crede. Probabilmente non crede nel lavoro, nell’impegno. Non crede che in seguito a uno sforzo ci possa essere un risultato. Non crede nell’istruzione e nella cultura.8 Eppure è attraverso un lavoro organizzato che lo studente otterrà qualche risultato scolastico significativo e, attraverso esso, migliorerà - lentamente ma inesorabilmente - la propria autostima. Tutti noi adulti e adolescenti - ma l’adolescente in maniera particolare - soffriamo da sindrome WYSIATI (What You See Is All There Is).9 Cosa vedo? Vedo che nonostante i miei sforzi gli ultimi compiti sono stati uno schifo. Conclusione: i prossimi compiti, nonostante i miei sforzi saranno uno schifo. WYSIATI, appunto. Questa conclusione è errata perché tiene conto solo di ciò che è evidente e “visibile”. Quindi cos’è che non è evidente nell’esempio? Non è evidente se gli sforzi fatti fossero effettuati nella giusta direzione. Non è evidente se il metodo di studio fosse corretto. Non è evidente se le ore di studio fossero adeguate. Non è evidente se il numero di esercizi fatti fosse adeguato, ecc. Tutto ciò significa che c’è un motivo valido che porta ad avere risultati insufficienti nelle verifiche. Tale motivo va ricercato con obiettività - insieme all’insegnante e ai genitori - e si deve porre rimedio all’errore, non a una generica autostima che non c’è. A quella ci penserà il tempo - che è sempre galantuomo - con nostro vivo stupore. 6 S TEINBERG [15], p. 55. si pensa alle connessioni neuronali come a dei sentieri di comunicazione, mielinizzare equivale a rendere più veloce e asfaltare la via di comunicazione. Una connessione mielinizzata resiste molto di più alle successive potature ed è più difficile che venga dismessa. 8 Cfr. punto 8 del decalogo del Vero Studente. ;-) 9 K AHNEMAN [9], pp. 96-99. Significa che la realtà è rappresentata unicamente da ciò che esplicitamente si vede. 7 Se 3.1. IL VERO STUDENTE 41 Tutte le presenti pagine vogliono essere un aiuto alle famiglie e allo studente per ricercare il motivo che porta all’insuccesso scolastico. Magari una parziale risposta la si potrà trovare a pagina 3, o 19, o 26, tanto per buttare là dei numeri a caso. Spetta ai protagonisti di questa storia investigare con obiettività e cercare i motivi che rallentano la crescita. 3.1.1.8 Il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione Ammetto che la disoccupazione, giovanile e no, è un dramma, non un problema. È figlia di tante madri e tanti padri e ognuno dovrebbe chiedersi se non ha contribuito, in minima parte, ad allevare il problema che poi è diventato dramma. La disoccupazione è certamente un problema che i nostri amministratori e i nostri politici devono cercare di alleviare, ma nel frattempo faremmo bene anche noi a chiederci se c’è qualcosa che possiamo fare. Come insegnante cerco di affilare la spada ai miei allievi, sistemando, qua e là, un elmo fuori posto e insegnando a proteggersi con lo scudo. La metafora della battaglia è doverosa, anche se vorrei venisse colta più la leggerezza che la violenza dell’esempio. Credo che una preparazione scolastica granitica sia fondamentale. E non sto pensando al solo “posto di lavoro”, ma a una corazza che protegga il futuro adulto dalle avversità e a una creatività che sappia trasformare il problema in opportunità. La scuola è esattamente tutto ciò. L’istruzione - la cultura! ci fa vedere il mondo con occhi diversi, più pronti a cogliere l’attimo e più consapevoli della realtà che ci circonda. Ma se proprio vogliamo parlare di lavoro è il caso di dirlo chiaro e forte: lo studente che ha studiato con passione e con impegno non resta disoccupato a lungo. Lo dico per esperienza diretta, magari fatta di piccoli numeri, ma concreta. Credo piuttosto che il problema sia un altro, ben evidenziato dalla nostra Voce nel deserto televisivo: ... la scuola oggi è incapace di sviluppare quelle competenze e quei talenti che sono oggi necessari per continuare ad appartenere a una società industriale avanzata. È talmente distaccata dalle vere esigenze del mondo del lavoro da essere diventata, in larga misura, una fabbrica di disoccupati con la laurea. Nel buio degli anni luce, 1977 - Piero Angela È sufficiente visitare qualche scuola all’estero per rendersi conto dei danni incalcolabili inflitti alla scuola italiana dal sistema politico negli ultimi 40-50 anni. All’estero le scuole non sono perfette, sia ben chiaro - sono a metà del guado nel processo di democratizzazione, esattamente come in Italia - ma in molti casi sanno essere più efficienti e più utili al territorio. Dunque non c’è scampo? No, anzi, è proprio la scuola a offrire l’antidoto a questo epidemia che sembra inarrestabile: si chiama studio. A proposito di epidemia. A volte propongo ai miei allievi il seguente giochetto. Il gioco consiste nell’immaginare un’Italia diversa. Si supponga una malattia contagiosa che colpisca l’Italia. Colpisce tutti, indistintamente, giovani e vecchi di qualsiasi ceto sociale, professionisti e disoccupati, studenti e insegnanti, panettieri, idraulici, casalinghe, medici, maratoneti, cavallerizzi e nullafacenti, insomma proprio tutti. La scienza mondiale 42 CAPITOLO 3. LO STUDENTE si danna in una folle corsa per scoprire un antidoto, un vaccino o anche solo un lenitivo o un palliativo, per salvare l’Italia. Niente da fare: gli italiani sono presi da una irrefrenabile voglia di studiare, di conoscere, di migliorarsi sul lavoro e in famiglia. Appena hanno un attimo di tempo leggono e studiano. Non guardano più la televisione - orrore - e vanno nei centri commerciali solo quando serve qualcosa in casa - tragedia - trovando maggior conforto in una pagina letta piuttosto che in una cosa inutile comprata. Gli studenti arriverebbero a casa da scuola dicendo finalmente: “Mamma, mamma, oggi non mangio: devo studiare elettronica.”10 e persino i nostri politici passerebbero più tempo a studiare. Cosa succederebbe a una simile Italia nel giro di 5-10 anni, se non si trovasse un antidoto in tempo? Sarebbe sicuramente più competitiva e più creativa. Il mondo del lavoro sarebbe fatto di personale qualificato e istruito, più attento alla cultura, alla salute, alla sicurezza. I morti sul lavoro crollerebbero e prodotti innovativi verrebbero presentati sul mercato. Diminuirebbero i suicidi e si allungherebbe la vita media. La delinquenza crollerebbe e la mafia resterebbe solo un ricordo sui libri di scuola, a monito di cosa era l’Italia quando era ignorante. Niente paura! Era solo un gioco. Però, ciascuno di noi, se vuole, può provare a giocare da solo, modificando, umilmente, il piccolo mondo che lo circonda. Almeno fino a quando non si troverà un antidoto. 3.1.1.9 Il Vero Studente risponde in maniera intuitiva Il presente argomento è talmente importante che non verrà discusso immediatamente, ma sarà oggetto di apposita, articolata sezione. 3.1.1.10 Il Vero Studente non chiede mai nulla al professore Anche questo argomento è assolutamente fondamentale, visto che da esso dipende gran parte dei risultati scolastici dell’allievo. Anche ad esso verrà dedicata un’apposita sezione. 3.2 Qualche consiglio teorico allo studente Solitamente prima si illustra la teoria e poi la pratica. Qui si fa il contrario, avvertendo, in questo caso il lettore, che le prossime sezioni sono veramente molto importanti. Nella prima parte si mette a confronto la risposta intuitiva con quella ragionata e si valuta quanto sia efficiente l’atteggiamento dello studente. Nella seconda parte si parla dello studente che cerca di essere meno visibile possibile. Da entrambi gli atteggiamenti emergeranno spunti di riflessione molto importanti, che lo studente deve saper cogliere. Se l’adolescente saprà riflettere su predetti argomenti, capirà molte cose. Purtroppo si tratta di argomenti più teorici che pratici, per cui la regola pratica esiste - certamente - ma è meno importante del contesto teorico dal quale 10 Ok, ok, ho esagerato: questa la ritiro. 3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 43 scaturisce. Capire quest’ultimo spalanca letteralmente delle porte che si aprono su un nuovo mondo, nel quale è anche molto più facile capire certe frasi del professore - “Ma ragiona, per favore” - e, soprattutto, prevenirle. 3.2.1 Intuizione vs. Ragionamento Mi scuso subito per la “lezione” che seguirà. Tutto sommato questa pagina è dedicata allo studente, per cui so di potermi permettere sia il linguaggio che l’esempio. Spesso nei primi giorni di scuola propongo ai miei allievi di terza - che vedo per la prima volta - il seguente esercizio-riflessione. Lo propongo in maniera scherzosa, sdrammatizzando le risposte, quasi sempre sbagliate, e cercando di attirare l’attenzione dello studente non sul risultato, ma sul metodo. Gli studenti che sono in possesso degli appunti “Problem Solving Strategies”, conoscono già l’argomento. Un ciclista percorre una salita alla velocità costante v1 di 10 km/h e ripercorre la stessa strada in discesa alla velocità costante v2 di 30 km/h. Qual è la velocità media del ciclista?11 10Km/h 30Km/h B s A Figura 3.1: Velocità media del ciclista L’attenzione va subito all’ultima frase, che chiede quale sia la velocità media del ciclista e molti studenti - in vero tutti gli studenti ai quali ho presentato, per la prima volta, il problema negli ultimi anni - sostengono che la velocità media sia di 20 km/h. Tutto sommato non è nemmeno così importante verificare se la risposta sia esatta o meno. È molto più importante stabilire come si sia arrivati a tale conclusione. Si è utilizzato un processo logico rigoroso oppure la risposta è stata intuitiva? Nel secondo caso potrebbe essere utile rileggere il pensiero di Cartesio: “È molto meglio non pensare mai a alcuna ricerca della verità, che farlo senza metodo.” Regole per la guida dell’ingegno - Cartesio Qualche studente potrebbe pensare, seccato: “Eccone un altro che mortifica la mia fantasia e il mio intuito!”. Per nulla. Volendo proporre una similitudine, l’intuito e la fantasia potrebbero essere paragonati al fantasista di una squadra di calcio, capace di fare un lancio millimetrico di 30 metri e tagliare fuori la difesa avversaria. Ma a ricevere il lancio ci deve essere un attaccante dalle 11 Esercizio tratto da H ALLIDAY, R ESNICK , WALKER [8], p. 28 leggermente modificato. 44 CAPITOLO 3. LO STUDENTE spalle larghe e dai piedi buoni che calcia la palla in rete, altrimenti è tutto inutile. Quell’attaccante, nella nostra similitudine, è la ragione/conoscenza, che si nutre del dubbio, è vero, ma che non disdegna nemmeno i colpi d’ala della fantasia e dell’intuizione. L’importante è che, dopo l’intervento dell’intuizione, la palla passi alla ragione. Anche Cartesio era d’accordo in tal senso: “Enumeriamo qui tutti gli atti del nostro intelletto, attraverso i quali possiamo giungere alla conoscenza delle cose senza tema di errore: due soltanto gli atti ammessi, l’intuito e la deduzione.” Regole per la guida dell’ingegno - Cartesio Tornando al nostro problema, qual è la risposta corretta? Un’ottima risposta, che molti insegnanti apprezzerebbero, è: “Non lo so, dovrei pensare”. Bingo! È rarissimo incontrare uno studente che dice “Non lo so, dovrei pensare”. Solitamente lo studente che dice “Non lo so” pensa dentro di sè: “Dai, su, fammi fare la figura del cetriolo. Divertiti a torturarmi”.12 Il nostro protagonista fa, invece, una cosa rivoluzionaria: non risponde intuitivamente, ma chiede tempo per pensare. Qui è necessario aprire una parentesi teorica. Una spiegazione più esaustiva e più professionale la si può trovare in K AHNEMAN [9], pp. 21-42. 3.2.1.1 Il Cervello Veloce e il Cervello Lento Nella vita quotidiana tutti noi usiamo due zone del cervello che competono fra loro per guidarci nelle nostre decisioni. Kahneman chiama la prima delle due zone Cervello Veloce e la seconda Cervello Lento.13 Caratteristica del Cervello Veloce: velocissimo e attivissimo. Trova sede nell’amigdala, posta, a sua volta, nel sistema limbico. Caratteristica del Cervello Lento: lento e pigro. Trova sede nel lobo prefrontale.14 Lo studente indovini un po’ qual è la zona del cervello che deve aiutarlo nei ragionamenti? Ma certo, ti pareva: il Cervello Lento. Che oltre tutto è proprio quella parte del cervello che nell’adolescente è ancora in via di maturazione. Pare proprio che la sfortuna si accanisca e si diverta. Se 500.000 anni fa, sentendo un ruggito alle nostre spalle, i nostri progenitori avessero reagito pensando: “Oh, un ruggito. Sembra essere anche piuttosto vicino, direi distante non più di 6 o 7 metri. Lo ha emesso senz’altro un leone, è piuttosto evidente. Maschio! Certamente maschio. Dal timbro del ruggito direi un maschio adulto, sui 100-110 kg.” con ogni probabilità l’Homo Sapiens non sarebbe mai esistito. Per fortuna nostra e dei nostri avi, in quei casi interveniva - e interviene - immediatamente il Cervello Veloce che ci faceva correre come razzi in direzione opposta. Certo, una volta su cento non si trattava di un leone, ma di Bricolo il Cavernicolo che si divertiva facendo scherzi e purtroppo il Cervello Veloce non è bravissimo a scovare velocemente la differenza. 12 Ovviamente la frase scritta è stata adeguatamente censurata e ripulita. Il pensiero è normalmente un po’ più... come dire... ricco. 13 In realtà Kahneman usa i termini “Sistema 1” e “Sistema 2” rispettivamente. Nelle presenti pagine si ritiene più comodo ridefinire i termini. 14 Sarà mica per quello che quando capiamo qualcosa ci battiamo la fronte? 3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 45 Grazie al Cervello Veloce siamo sopravvissuti ai pericoli più imminenti. Però, il problema immediato dello studente è che, battute a parte, solitamente non ci sono leoni in classe e sarebbe certamente più utile il Cervello Lento. 3.2.1.2 Il Cervello Veloce Tornando al nostro problema, l’allievo, se sollecitato a dare la risposta probabilmente risponderà che la velocità media è di 20 km/h e alla richiesta di spiegare il perché di tale affermazione aggiungerà che vm = 10 + 30 = 20 km/h 2 (3.1) facendo in tal modo il primo calcolo che gli viene in mente. Ma si tratta, solitamente, solo del primo calcolo che è venuto in mente allo studente, non il più giusto. Così facendo ha calcolato la media delle velocità. Ma è corretto calcolare la media delle velocità? La media delle velocità equivale alla velocità media? Quegli studenti che hanno risposto subito a questi interrogativi farebbero bene a rileggere nuovamente il pensiero di Cartesio, indipendentemente dall’esattezza delle risposte fornite. Quegli allievi che, invece, non si sono fatti tentare da un risposta facile ed immediata, forse hanno preso in mano carta e penna ed hanno iniziato a considerare solo le verità evidenti. Ma quali sono le verità evidenti? Quelle che, secondo Cartesio, vengono elaborate secondo un modello assiomatico e rigore scientifico. Lo studente può, quindi, rivolgersi con fiducia alla matematica e alla fisica.15 Non solo, sperando che Cartesio non si arrabbi troppo16 , può anche utilizzare - sempre con senso critico, però - il lavoro fatto dai grandi pensatori che ci hanno preceduti, soprattutto quelli che si sono posti al servizio delle scienze assiomatiche, la matematica in primis. Si noti che l’allievo che ha risposto 20 km/h ha compiuto un errore classico e assolutamente prevedibile. Il responsabile di quell’errore è l’effetto sostituzione.17 Il cervello, posto di fronte a un problema non risolvibile velocemente e con fluidità cognitiva, sostituisce il problema originale con uno simile ma più semplice. Il problema chiede di calcolare la velocità media? E io calcolo la media delle velocità. Non sarà la stessa cosa, ma è più facile. Ecco l’errore che praticamente tutti gli allievi compiono: rispondono intuitivamente utilizzando il Cervello Veloce. A scuola, invece, la risposta deve essere fornita dal Cervello Lento. Il Cervello Veloce può essere usato al massimo per una “spintarella”. 3.2.1.3 Il Cervello Lento L’allievo che ha chiesto tempo per pensare procede per via assiomatica. “Cos’è la velocità media? È mai possibile che a scuola non mi abbiano insegnato cos’è 15 Cartesio, a proposito della fisica, avrebbe probabilmente aggiunto:“Ma con prudenza” 16 Cartesio sosteneva che una delle regole fondamentali del suo metodo consisteva nel ricostruire il sapere dalle fondamenta e che tale lavoro di rifondazione dovesse essere frutto di una persona sola. Aggiunge, però, anche che “si devono leggere i libri degli Antichi, dal momento che è un notevole beneficio che noi si possa utilizzare le fatiche di tanti uomini.” 17 K AHNEMAN [9], pp. 109-117. 46 CAPITOLO 3. LO STUDENTE la velocità? Ah, ecco:” vmedia = spazio tempo (3.2) Quindi la velocità media è data dal rapporto fra lo spazio18 percorso ed il tempo impiegato per percorrerlo. Siccome abbiamo appena enunciato una verità, dobbiamo chiederci se essa è assolutamente vera. La 3.2 è null’altro che la legge oraria che regola il moto rettilineo uniforme. L’abbiamo studiata a scuola, è stata soppesata e validata da studiosi come Newton, lo stesso Cartesio, Einstein, Feynman e molti altri, per cui possiamo dirci in buona compagnia se sosteniamo la veridicità della 3.2. Attenzione però: le leggi che i Grandi della Scienza ci hanno tramandato non vanno imparate, ma studiate con senso critico. C’è, però, un problema. Della 3.2 non conosciamo nè lo spazio nè il tempo impiegato per percorrerlo. Cosa possiamo aggiungere di evidente ai dati del nostro problema? Un’evidenza euclidea19 è data dal fatto che se il tragitto in salita AB vale s, anche il tragitto in discesa BA è lungo s. Quindi la 3.2 può essere riscritta nel seguente modo: 2s vmedia = (3.3) tempo Inoltre, sempre in virtù della 3.2 possiamo scrivere: ∆t1 = s v1 ∆t2 = e s v2 (3.4) dove ∆t1 e ∆t2 sono rispettivamente il tempo necessario per percorrere la salita alla velocità v1 ed il tempo necessario per percorrere la discesa alla velocità v2 . Quindi la 3.3 può essere riscritta nel seguente modo: vmedia = 2s ∆t1 + ∆t2 (3.5) e per sostituzione si ha: vmedia = s v1 2s + vs2 (3.6) Calcolando il mcm si ottiene vmedia = 2s sv2 +sv1 v1 v2 (3.7) e raccogliendo s a denominatore e semplificando col numeratore si ottiene la relazione definitiva vmedia = 2v1 v2 2 · 10 · 30 = = 15 km/h v1 + v2 10 + 30 (3.8) 18 Lo studente avrà capito dal contesto che non si considerano in questo caso la velocità e lo spazio come grandezze vettoriali ma semplicemente come grandezze scalari. Non solo: si considerano acquisiti i concetti di spazio e tempo, per brevità di esposizione. Lo studente pignolo (bravo!) potrà consultare H ALLIDAY, R ESNICK , WALKER [8] per riflessioni su spazio e tempo. 19 Considerando un sistema di assi cartesiani la cui ascissa sia parallela al segmento di retta AB si può scrivere che s = | x B − x A | = | x A − x B |. 3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 47 Che rappresenta la risposta corretta al problema! Come siamo giunti a questa conclusione? Partendo da verità evidenti o “studiate a scuola” , quindi elaborate secondo criteri rigorosi e assiomatici, ed aggiungendo dei “ragionamenti” via via più articolati ma sempre consequenziali fra loro. Lo studente potrebbe obiettare che anche il calcolo fatto in 3.1 a pagina 45 è corretto. È corretto il calcolo ma non il ragionamento che lo sorregge. Se sommo i mesi dell’anno ai secondi che formano un minuto ottengo 72, ma quale sia la logica che mi abbia indotto a fare una simile somma non è dato sapere. L’equazione 3.1 a pagina 45 rappresenta la media delle velocità, non la velocità media! Questo semplice esercizio ha una pretesa molto alta: far capire allo studente l’importanza del dubbio e di un approccio rigoroso ai problemi dati. Se lo studente un po’ impulsivo farà tesoro di quanto esposto in queste pagine, farà anche un enorme passo in avanti nella sua crescita personale ed avrà aggiunto un mattone fondamentale alla costruzione del suo saper essere. Attenzione, però. Non è così raro trovare persone disposte a dubitare delle altrui verità, molto più raro è trovare persone capaci di mettere in dubbio le proprie verità. Tutti noi siamo solitamente piuttosto affezionati alle nostre idee e ai nostri princìpi e poco inclini a metterli in dubbio. La difficoltà consiste proprio nel saper dubitare, anche e soprattutto, delle proprie intuizioni. 3.2.1.4 Un altro esempio Per rafforzare il concetto - molto importante a scuola - si propone un altro esempio, tratto da K AHNEMAN [9] - è a pagina 7 per chi vuole divertirsi - e leggermente modificato per essere meglio compreso dal lettore italiano. Stefano è molto timido e chiuso. Sempre disponibile, ha però scarso interesse per le persone o il mondo della realtà. Anima mite e precisa, ha bisogno di ordine e struttura, e ha una spiccata passione per il dettaglio. È più probabile che Stefano sia un bibliotecario o un meccanico? Si motivi la risposta. Si immagina che stavolta lo studente sia maggiormente diffidente verso il problema. Benissimo, missione compiuta. È già un passo avanti. Significa che il Cervello Lento ha preso in mano la situazione. Attenzione, però: il Cervello Veloce è un furbacchione e basta lasciarlo libero per un attimo che già fa danni. Quando propongo questo giochetto in classe più o meno tutti concordano che è più probabile che Stefano sia un bibliotecario. La descrizione di Stefano sembra effettivamente portare in quella direzione: timido e chiuso; disponibile; scarso interesse per il mondo reale; ordine e struttura; passione per il dettaglio. Non ci sono dubbi: deve essere un bibliotecario. Il ragionamento non farebbe una piega se esistesse una relazione biunivoca fra il carattere di una persona e il suo mestiere. Ma non esiste. I meccanici non possono essere timidi e chiusi? Devono essere tutti scontrosi e con i piedi per terra? Non possono avere una qualche passione per l’ordine e il dettaglio? La verità è che l’effetto sostituzione ha colpito ancora. La domanda era: “È più probabile che Stefano ... ?”. Domanda troppo complicata. Il cervello l’ha sostituita con: “Supponendo una relazione biunivoca fra carattere e mestiere, è 48 CAPITOLO 3. LO STUDENTE più probabile che Stefano ... ?” che è molto più semplice. Basta valutare la descrizione di Stefano. Se il Cervello Lento avesse mantenuto il controllo della situazione avrebbe detto, anzi pensato: “Cosa c’entra la descrizione fornita? Non esiste mica una relazione biunivoca fra carattere e mestiere. I dati forniti sono pura spazzatura, non servono a niente. Qual era la domanda? Se è più probabile? Beh, in Italia ci sono molti più meccanici che bibliotecari, quindi in mancanza di dati correlati devo tener conto dei soli numeri, anche se devo procedere per stime indicative. Quindi è più probabile che Stefano sia un meccanico. Oh, naturalmente potrebbe fare il pizzaiolo. È solo probabilità.” In gamba, il Cervello Lento. Quando si mette d’impegno fa scintille. Ecco, non dobbiamo mai cedere alla tentazione di rispondere intuitivamente. Mai. Possiamo ascoltare il Cervello Veloce, ma poi dobbiamo chiedere al Cervello Lento cosa ne pensa. Dobbiamo anche portare un po’ di pazienza, proprio perché è lento. Però è veramente bravo. Ascoltiamolo, quindi. Se leggendo questa storiella avete scoperto che il vostro Cervello Veloce vi ha fregati, non disperate, è solo un giochetto. Ma giocando, si può imparare a volte più che studiando per ore, perché il gioco è esperienza e lo studio è esperienza in pectore. Si impara, ad esempio, a diffidare del Cervello Veloce. 3.2.1.5 Apologia del ragionamento? Sia ben chiaro da subito: sono un convinto sostenitore delle risposte ragionate. Ma so anche che è sleale incalzare il giovane con i “Ma ragiona, per favore”. Tutti gli adulti chiedono agli adolescenti di ragionare, ma quanti di loro insegnano a ragionare? Insegnare a ragionare non è cosa banale, figuriamoci imparare a ragionare. Noi insegnanti abbiamo certamente il dovere di insegnare a ragionare, ma sappiamo anche che non si tratta di una cosa semplice. Quindi nessuna apologia del ragionamento, ma solo un’esortazione a studenti e professori affinché collaborino insieme nella trasmissione della difficile arte del ragionamento. Se lo studente imparerà a frenare, a scuola, il proprio Cervello Veloce e alimentare quotidianamente il proprio Cervello Lento, farà un enorme passo in avanti. Per coloro i quali desiderano approfondire l’argomento, si consiglia la lettura del documento “Problem Solving Strategies” fornito dallo stesso autore delle presenti pagine e, naturalmente, i due libri di Cartesio più volte citati.20 3.2.2 L’atteggiamento attivo in classe Torniamo da Pierino, quello dei verbi greci. Scolasticamente lo potremmo definire uno stratega. Sì, gli piace studiare, ma soprattutto non fa mai nulla per caso. Lo si è già detto: non esce dal sentiero tracciato dall’etica - non copierebbe mai un compito, tanto per intenderci, né farebbe mai uso di foglietti, piccoli o grandi che siano, durante una verifica - però cerca sempre il massimo risultato col minimo sforzo. Ebbene, chiedete a Pierino cos’è l’effetto alone.21 20 C ARTESIO [4] e [5] [9], pp. 92-95. 21 K AHNEMAN 3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 3.2.2.1 49 L’effetto alone “Eh, caspita! È un’arma piuttosto potente. Occhio, però: è un’arma a doppio taglio.” Sempre criptico Pierino. Cerchiamo di essere un po’ più chiari. Pierino a inizio anno parte in quarta. Sempre. Se l’anno scolastico fosse una maratona, lui farebbe una partenza da 100 metri piani. L’obiettivo di Pierino è ottenere voti alti a inizio anno/quadrimestre. Perché? Tre sono i motivi: 1. gli argomenti trattati in classe sono pochi e farsi interrogare subito è meno rischioso. In sostanza è più facile prendere voti alti; 2. se Pierino ha sottovalutato la difficoltà del corso, una partenza a razzo può metterlo al riparo da iniziali scivoloni. In tal caso, semmai, si presenterà il problema di come mantenere un ritmo così alto, ma intanto non ha portato a casa insufficienze; 3. se i primi voti saranno alti questi certificheranno la sostanziale omogeneità del sapere del nostro protagonista - che tornerà utile nel prosieguo dell’anno - ma soprattutto, il professore ci penserà due volte prima di abbassare il voto a Pierino: effetto alone. In Psicologia è un fenomeno ben conosciuto e pare che sia piuttosto difficile non esserne influenzati. Da insegnante lo confermo. Nei compiti con le domande prestampate, faccio apporre il nome all’allievo sempre in fondo al compito, in modo da correggere una verifica che sia la più anonima possibile. Quindi se si “parte sparati” è più facile mantenere i voti alti o almeno sufficienti? Sì, certo. Ma ricordiamoci di quello che ha detto il criptico Pierino: è un’arma a doppio taglio. Eh sì, perché vale anche il contrario. Questo significa che uno studente che parte male deve poi sudare sette camicie per riconquistare la fiducia del professore. A proposito di sette camicie. Parecchi anni fa è stato effettuato uno studio in Giappone, che riguardava il rapporto cliente-fornitore. Da questo studio emerse che se il fornitore tradiva la fiducia del cliente, doveva fare uno sforzo circa sette volte superiore a quello necessario per mantenere la sua fiducia. Morale dello studio: mai perdere la fiducia del cliente/professore. Immagino l’obiezione. Il professore è pagato per essere obiettivo, non per dare la fiducia a chi gli pare. Ma certamente. Il problema è che l’effetto alone è subdolo: non è facile identificarlo e anche dopo averlo identificato è molto difficile ignorarlo del tutto. 3.2.3 L’atteggiamento passivo in classe Vale la pena, comunque, tornare al protagonista sfortunato di questa storiella. Quello che è partito lentamente e deve recuperare la fiducia del professore sudando sette camicie. Gli daremo un nome piuttosto usato in letteratura, così lo nobilitiamo: lo chiameremo Tonio. È piuttosto facile tracciarne un profilo psicologico, come si usa dire dei serial killer dei film polizieschi: durante le lezioni è invisibile Di solito Tonio sta negli ultimi banchi, nascosto dietro la testa del compagno di classe che gli sta davanti, o dietro lo zainetto, o dietro il monitor del PC se c’è lezione in laboratorio di Informatica; 50 CAPITOLO 3. LO STUDENTE non alza mai la mano Se il professore dovesse parlare arabo dall’inizio della lezione fino alla fine e poi chiedere in italiano se tutto è chiaro, guardando dritto negli occhi Tonio, questo, con aria la più neutra possibile per non dare nell’occhio, accennerebbe un sì con la testa senza emanare suono. Così se il prof. dovesse arrabbiarsi potrebbe sempre dire che stava scacciando una mosca; durante le interrogazioni ha l’aria rassegnata È intimamente convinto che non ce la farà mai a strappare una sufficienza. Di solito è piuttosto sereno - è temprato: purtroppo ne ha viste di peggio - comunque non è mai impaurito: è semplicemente rassegnato; ha una bassa opinione di se stesso Naturalmente dal punto di vista scolastico. È convinto di non sapere nulla o comunque molto poco. Soprattutto è convinto che il professore non immaginerà MAI quanto poco lui sappia. Come suona la campanella diventa un ragazzo perfettamente normale, con normale autostima di sé - basta non parlare di scuola. Si potrebbe continuare, ma i tratti fondamentali di Tonio sono quelli citati. Beh, insomma, con queste premesse sarà dura prendere il premio Nobel.22 Ma una premessa non è una condanna. Si può prendere coscienza che forse è conveniente cambiare qualcosa nel proprio modo di agire e provarci. In fin dei conti si dice che l’adolescenza è l’età dei cambiamenti, quindi, cambiare per cambiare, forse conviene cambiare in meglio. Vediamo come. 3.2.3.1 Il posto in aula Purtroppo le classi sono sempre numerose e ciò significa che alcuni potranno stare più vicini alla lavagna e altri dovranno stare più lontani. Si vedono, però, molti allievi ipovedenti, o perlomeno con qualche difficoltà a vedere da lontano, seduti negli ultimissimi banchi. Chi ha problemi di vista farebbe bene, invece, a sedere nei primissimi banchi. Questo vale anche per gli allievi in difficoltà. Spesso la lavagna è oggetto di brutti riflessi di luce, per cui, soprattutto se si è scritto su di essa con mano leggera, vi possono essere difficoltà a leggere quanto scritto. Conviene quindi sempre cercare di sedersi nei primi banchi. Se si intende seguire la lezione naturalmente. 3.2.3.2 Chiedere chiarimenti Non alzare mai la mano quando non si capisce qualcosa è forse il peggior difetto di molti studenti. Una buona classe si vede dal numero e dalla qualità delle domande poste all’insegnante e dalla sua capacità di essere parte attiva durante la lezione. Il retropensiero che spinge molti studenti a non porre domande all’insegnante è più o meno il seguente. Se alzo la mano commetto almeno due errori clamorosi: mi faccio notare e, soprattutto, dalla domanda il prof. capisce che non ho studiato. E siccome lo studente medio ha la coda di paglia sempre, non alza mai la mano. 22 Tranquillo Tonio, ce la puoi ancora fare. Einstein è stato trattato peggio. Ha incominciato a camminare tardi e a parlare a tre anni. Il dottore di famiglia diceva che, sì, insomma, era un po’ indietro e poi alle superiori è stato anche bocciato in matematica. Come vedi, tutto il mondo è paese. 3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 51 Personalmente propongo il seguente, semiserio, patto con i miei studenti. Se appartengono alla categoria di studenti appena descritta consiglio loro di alzare la mano quando non hanno capito qualcosa ed esordire: “Senta prof., io la vedo da tanto tempo, ma devo confessare che non ho capito bene che materia insegna. Fino a ieri ho fatto vacanza attiva e gaudente, ma oggi mi sono imposto di stare attento durante le lezioni, anche perché sto preparando la letterina a Babbo Natale e vorrei essere coerente almeno un po’. Non che abbia studiato, sia ben chiaro, ma credo di non aver capito l’ultima cosa che ha detto. Vorrei capire”. Premetto che non tutti gli insegnanti del nostro Istituto hanno uno spiccato senso dell’umorismo, quindi forse si dovrà modificare il testo qua e là. Però il concetto che vorrei veicolare è il seguente: se uno studente vuole capire qualcosa e ci mette impegno, la sua storia pregressa non mi interessa più di tanto. Certo sarebbe carino notare una qualche forma di ravvedimento, però, sostanzialmente, stendo tappeti rossi allo studente che vuol capire. Questo modo di veder le cose è diffuso fra gli insegnanti. A cambiare, a volte, è la forma - il testo di cui sopra - ma non la sostanza. Soprattutto l’allievo deve convincersi che l’insegnante è in grado di fargli risparmiare un sacco di tempo: quello che lo studente impiega, ad esempio, un’ora a capire studiando da solo, un bravo insegnante può spiegarlo con poche parole. I docenti hanno il dono della sintesi, bisogna ricordarlo, e insegnare è il loro mestiere. Un altro pensiero diffuso fra gli studenti è il seguente: “Quando non capisco qualcosa, aspetto che la domanda la faccia qualcun altro”. Non funziona. O meglio, funziona solo in certi casi. Quello che è sbagliato è non chiedere di persona. In tal modo l’allievo rinuncia a un suo diritto e peggiora la sua situazione posticipando o addirittura compromettendo un eventuale tentativo di recupero. 3.2.3.3 Un po’ di convinzione Avere la faccia di quello che gli è morta la salvia sul terrazzo non aiuta. Non si può calciare un rigore con l’aria afflitta e rassegnata: non si segnerà mai. Ogni momento a scuola richiede partecipazione attiva e convinta. Le lezioni non vengono inflitte, vengono proposte, e sono un momento di crescita, non di dolore e afflizione. Ma soprattutto lo studente in difficoltà non deve pensare che il presente sia perpetuo e immutabile. L’adolescente ricordi che il sua visione del futuro non è ancora del tutto matura. Spesso a quell’età - ma non solo - c’è la tendenza a “dilatare” il presente, non immaginando altra situazione di quella che si sta vivendo. Se sto vivendo un rovescio di fortuna è evidente che il mio futuro sarà buio e desolato da qui all’eternità (WYSIATI). Vale anche il contrario naturalmente. Se sono felice oggi, perché mai dovrebbe esistere il dolore? In realtà sappiamo tutti che non è così. Però la particolare sensibilità - è un dono, si badi bene, mica una croce - del cervello adolescente amplifica e dilata il vissuto fino a rappresentarlo addirittura deformato. Quindi le cose cambiano. Anzi, esistono per essere cambiate. Ogni giorno è un’occasione, ogni lezione è un’occasione. Però, bisogna esserne convinti o perlomeno indotti a fare un tentativo. Senza contare che un po’ di ottimismo non guasta. Smile, please. 52 3.2.3.4 CAPITOLO 3. LO STUDENTE Cambiare opinione Il sapere nozionistico di un allievo - di chiunque, naturalmente - potrebbe essere visto come un’immensa cassettiera, divisa in righe e colonne. Quando si vuole accedere ad un certo sapere, ad esempio la ricetta della torta pasqualina, si punta il cassetto identificato dalla colonna AZBGFT e dalla riga 529018 e lo si apre. Qualcuno ha una cassettiera più grande, indice di grande cultura nozionistica, qualcuno più piccola. I cassetti non sono posti nella cassettiera in modo casuale, ma strettamente raggruppati per argomenti. Molti studenti ritengono di non possedere - dal punto di vista scolastico una cassettiera degna di tale nome. Normalmente durante le interrogazioni si chiudono in un mutismo autolesionistico che non rende minimamente onore al loro sapere. Si rifiutano di aprire i cassetti. Invece, lo studente farebbe bene a prendere coscienza che la cassettiera esiste e che molti cassetti - oppure pochi, non ha importanza - contengono del sapere nozionistico. Ciò è inevitabile e fa parte del vissuto di ciascuno di noi. Forse lo studente fa fatica a sostenere un’interrogazione perché il suo insegnante non vuole semplici nozioni, ma ragionamenti oppure semplicemente un sapere articolato riguardante un determinato argomento. Questo è un po’ più difficile. Come passare dal singolo cassetto al sapere articolato? Si devono creare delle connessioni fra i cassetti. Si tratta di tirare un immaginario filo fra un cassetto e un altro. I “geni” sono capaci di connettere fra loro cassetti lontanissimi. Lo studente in difficoltà dovrebbe incominciare a connettere cassetti vicini fra loro, ovvero appartenenti allo stesso argomento. Stabilire connessioni fra saperi/cassetti diversi è quello che l’insegnante chiede ai propri allievi. Questa azione si chiama ragionamento. A volte il ragionamento chiede l’apertura di molti cassetti e di molte connessioni, a volte basta aprire due cassetti vicini e collegarli. L’importante è esercitarsi. Solitamente l’insegnante fornisce esercizi per imparare ad aprire e connettere i cassetti e insostituibili, in tal senso, sono gli esercizi di geometria analitica. Lo studente deve esercitarsi sia attraverso l’esercizio scritto sia a collegare mentalmente i propri saperi. Altrimenti fa come quel protagonista della barzelletta al quale chiedono se sa suonare il violino: “No lo so: non ho mai provato”. Capitolo 4 Conclusioni L’adolescenza è una grande opportunità. È un’occasione che nessun adolescente deve lasciarsi scappare. È un’occasione anche per i genitori. Se necessario, il nostro modo di educare va rivisto e si è cercato, umilmente e sulla base degli anni spesi a lavorare con i giovani, di spiegare come. Naturalmente il genitore non distratto tutte queste cose le sapeva già. Magari non sapeva che quella tal cosa si chiama picco di reminiscenza o effetto alone, ma cosa importa? Non dobbiamo mica tenere conferenze di Psicologia. Dobbiamo aiutare un adolescente a crescere armoniosamente durante un periodo in cui sono frequenti le tempeste e i cambiamenti. Alcune tempeste saranno delle semplici pioggerelline, mentre altri cambiamenti non ci piaceranno per nulla. Anche in questo caso, se i cambiamenti non saranno “pericolosi”, sarà saggio essere pazienti. Certo, è compito del genitore - e in minor misura del docente - sorvegliare l’adolescente e intervenire senza esitazioni quando il gioco si fa pericoloso. Ma nei restanti casi l’azione di genitori e insegnanti è svolta quasi nell’ombra. I protagonisti della loro vita sono loro, i nostri ragazzi. Vanno aiutati con discrezione, sensibilità e amore perché a volte si complicano la vita da soli. Ma non servono azioni eroiche: basta organizzare un po’ lo stesso lavoro che genitori e figli già fanno da anni. Bello sarebbe insegnare ai giovani ad avvicinarsi alla cultura come lo fa Dante nel quarto canto dell’Inferno: Venimmo al piè d’un nobile castello, sette volte cerchiato d’alte mura, difeso intorno d’un bel fiumicello. Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura. 53 54 CAPITOLO 4. CONCLUSIONI Il castello rappresenta la cultura, la conoscenza che eleva l’uomo. Il fiumicello rappresenta l’ostacolo che si frappone fra l’uomo e la cultura. Dante, insieme ai savi - Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e naturalmente Virgilio - passa il fiumicello come se fosse “terra dura”, calpestando letteralmente le difficoltà che si frappongono fra lui e la conoscenza. L’augurio mio è che i giovani possano avvicinarsi al sapere nel medesimo modo in cui lo ha fatto Dante. Buon lavoro a tutti. 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