History and Epistemology for Mathematics Education
Storia ed Epistemologia per la Didattica della Matematica
Libri e idee (a cura di G.T. Bagni)
Appunti di storia per la didattica della matematica
Capitolo 3
La Geometria da Euclide a Poncelet
3.1. Il capolavoro di Euclide
3.1.1. Gli Elementi nell’Antichità e nel Cinquecento
Gli Elementi euclidei sono indiscutibilmente uno delle
opere più importanti ed influenti dell’intera storia della
Matematica. Eppure la vita di Euclide di Alessandria, “il
più famoso matematico di tutti i tempi e di tutte le nazioni”
(Loria, 1929-1933, p. 44), è pressoché sconosciuta; lo
stesso riferimento geografico attribuito al sommo geometra
deriva da un’annotazione (la cui autenticità è peraltro
incerta) presente nella Collezione matematica di Pappo,
dove si accenna alla presenza di alcuni allievi di Euclide
nella città di Alessandria1.
1
Ricordiamo l’errore che identificò l’autore degli Elementi con Euclide di
Megara, filosofo seguace di Socrate: tale ipotesi è ostacolata dall’incongruenza
Euclide, “platonico di idee e di formazione” (Freguglia,
1982, p. 46), scrisse gli Elementi intorno al 300 a.C.; in tale
opera troviamo la presentazione elegante e completa della
Geometria e dell’Aritmetica elementare del mo ndo greco.
Gli Elementi non sono un lavoro contenutisticamente del
tutto originale: frequenti sono i riferimenti alla scienza preeuclidea, peraltro non sempre facilmente individuabili
(Loria, 1914). I libri I-VI sono dedicati alla Geometria
piana (nel libro II è esposta l’Algebra geometrica; nel V, la
teoria delle proporzioni); i libri VII-IX sono dedicati alla
teoria dei numeri; il libro X classifica le grandezze
incommensurabili; i libri XI-XIII sono dedicati alla
Geometria solida.
Non intendiamo presentare dettagliatamente il contenuto
dell’opera nella quale “per la prima volta si trovano
sviluppate per via deduttiva le proprietà di ‘enti matematici’
considerati nello spirito di Platone e di Aristotele”
(Dieudonné, 1989, p. 42); né approfondiremo la questione
della critica dei fondamenti del grande trattato di Euclide2.
Preferiamo delineare la sua influenza, la sua straordinaria
diffusione che, dall’Antichità, giunge ai giorni nostri
(Kline, 1991, I, pp. 241-242; Barbin, 1994).
cronologica (Euclide di Megara visse intorno al 400 a.C., un secolo prima di Euclide
di Alessandria). Sarà necessario giungere fino al 1572-1574, con gli studi di
Commandino e di Clavio, per demolire questa credenza; anche studiosi famosi, come
Tartaglia, caddero in errore (Commandino, 1619; prima edizione: 1572; Clavio, 1603;
prima edizione: 1574).
2
La Matematica moderna ha messo in evidenza qualche carenza di rigore
riscontrabile, a tratti, nel capolavoro di Euclide: “Le critiche alla costruzione euclidea,
che si moltiplicarono soprattutto nel XIX secolo, nell’àmbito di una generale tendenza
verso un maggior ‘rigore’ in Matematica... non mirano comunque a correggere le
inferenze fatte da Euclide nelle sue dimostrazioni, ma il fatto che esse sono
insufficientemente fondate sulle definizioni e sugli assiomi espliciti” (Dieudonné,
1989, p. 45); resta comunque indiscusso che gli Elementi costituiscono una pietra
miliare del pensiero matematico.
Già Cicerone ricorda l’opera euclidea in De Oratore (III,
132) ed alcuni frammenti di una versione latina dei libri XIXIII, risalenti al IV secolo, compaiono nel palinsesto
veronese n. 40 (presso la Biblioteca Capitolare); molti
manoscritti sono riconducibili alla versione della scuola di
Teone di Alessandria (IV secolo)3. Si hanno inoltre notizie
di versioni degli Elementi dovute a Severino Boezio (opera
perduta) ed a studiosi arabi. La traduzione latina fu curata
da Alessandro di Bath nel XI secolo (Vacca, 1932, p. 549).
La diffusione degli Elementi euclidei, dopo
l’introduzione della stampa a caratteri mobili, fu immediata:
“Sino dal 1482 ebbero l’onore della stampa gli Elementi di
Euclide, i quali da quel momento ricevettero tante
riproduzioni e traduzioni da poter essere in grado di
gareggiare vittoriosamente con la Divina Commedia”
(Loria, 1929-1933, p. 268). Gino Loria si riferisce alla
versione latina di Campano (originariamente risalente al
XIII secolo), data alle stampe a Venezia soltanto quattro
anni dopo la pubblicazione del primo libro di Matematica
stampato al mondo, Larte de labbacho (Treviso, 1478); per
quanto riguarda la traduzione del testo greco degli
Elementi, dopo una pubblicazione parziale di Valla, nel
1501, la prima versione completa è dovuta a Zamberti (fu
stampata a Venezia, nel 1505; il testo greco sarà pubblicato
nel 1533, a Basilea).
Le prime edizioni del trattato euclideo furono stampate in
Italia (e particolarmente a Venezia; per quanto riguarda la
Francia, ad esempio, nel 1516 fu pubblicato a Parigi il
volume Geometricorum elementorum libri XV da Estienne);
la prima traduzione italiana degli Elementi fu pubblicata da
Tartaglia nel 1543.
3
Tra i codici collegabili alle redazioni più antiche ricordiamo quella del codice
Vat. Gr. 190 del X secolo, probabilmente derivato da un archetipo che si trovava in
Apamea di Siria nel 462 (Vacca, 1932, p. 549).
3.1.2. I manuali di Geometria euclidea
È impossibile segnalare le innumerevoli edizioni dell’oper a
di Euclide, i trattati di Geometria che, dal XV secolo fino ai
giorni nostri, hanno presentato la materia nell’impostazione
del grande Alessandrino.
Alcune eccezioni sono però doverose, oltre a quelle
ricordate nel paragrafo precedente: pregevolissima è, ad
esempio, la versione dovuta a Federigo Commandino
(1509-1575), Euclidis Elementorum Libri XV; la prima
edizione latina fu stampata a Pesaro nel 1572 (abbiamo
esaminato l’edizione: Pesaro, 1619, Typis Flaminij
Concordiae); una traduzione italiana dell’o pera venne
stampata ad Urbino nel 1575 (Loria, 1929-1933). Diffusa ed
apprezzata fu la versione degli Elementi dovuta al gesuita
Cristoforo Clavio (1537-1612); ne ricordiamo sei edizioni:
1574, 1589, 1591, 1603, 1607, 1612 (la copia da noi
consultata, Euclidis Elementorum Libri XV, apud Aloysium
Zannettum, Roma, si riferisce alla quarta edizione: Clavio,
1603)4. Qualche decennio dopo Clavio, un altro gesuita,
Andreas Tacquet (1612-1660) pubblicò Elementa
Geometriae planae ac solidae quibus accedunt selecta ex
Archimede theoremata (la prima edizione è del 1654;
l’edizione da noi esaminata, stampata presso la Tipografia
4
La Geometria euclidea ha largamente influenzato la didattica della Matematica:
“Siamo stati educati nell’ideale aristotelico -euclideo nel quale la Matematica viene
presentata secondo lo schema enunciati-dimostrazioni. Siamo arrivati a far coincidere
con questo stile la sostanza della razionalità matematica” (Speranza, 1992, p. 135).
“Con l’attuale enfasi su di un insegnamento ‘significativo’ della Matematica, gli
insegnanti sono incoraggiati a dedicare attenzione alla spiegazione dei concetti
matematici e agli studenti è richiesto di giustificare i proprî risultati e le proprie
asserzioni. Questo sembrerebbe essere il clima giusto per rendere la maggior parte
delle dimostrazioni uno strumento di spiegazione... Ma perché questo succeda, gli
studenti devono familiarizzare con i criteri del ragionamento matematico” (Hanna,
1997, p. 250).
del Seminario di Padova, è di mezzo secolo posteriore:
Tacquet, 1694).
L’edizioni degli Elementi commentata da Tartaglia (1567)
Moltissimi altri interessanti manuali di Geometria
euclidea meriterebbero di essere ricordati e adeguatamente
presentati: molto importante, ad esempio, fu quello di
Legendre, pubblicato nel 1794 e ristampato in innumerevoli
edizioni e in molte lingue5.
5
“Nella sua Geometria practica (Roma, 1606) [Clavio] seppe coordinare
metodicamente quanto allora sapevasi su di una materia che, in tutti i tempi, fu
riconosciuta di notevole interesse... Né trascurò di esporre i fondamenti
dell’Aritmetica e dell’Algebra. Senza entrare in più minuti particolari, ci sentiamo di
asserire che, se il lettore ricorrerà ai ponderosi volumi in cui è raccolta la produzione
matematica del Clavio, ravviserà in lui uno di quei benemeriti che, esponendo con
Ci occuperemo di alcuni aspetti dell’opera di Legendre e
di quelle di altri commentatori nel paragrafo seguente,
dedicato alla rivisitazione, nel corso dei secoli,
dell’impostazione assiomatica del primo libro degli
Elementi6.
3.1.3. Pro e contro Euclide
Ben più di un cenno meriterebbe la fase di revisione critica
dei fondamenti della Geometria tra il XVIII e il XIX secolo,
che portò all’elaborazione delle Geometrie non -euclidee:
una delle questioni più celebri della storia della Matematica
è infatti il problema della dimostrabilità del quinto postulato
di Euclide, che, in linguaggio moderno, afferma l’unicità
della retta parallela ad una retta data condotta da un punto
esterno ad essa (ovvero la possibilità o l’impossibilità di
provare tale unicità sfruttando esclusivamente gli altri
postulati euclidei).
Tra i più antichi tentativi di dimostrazione del quinto
postulato vanno ricordati quelli descritti da Proclo (410metodo e chiarezza la scienza del proprio tempo, resero piano e agevole il cammino di
coloro che aspiravano a conoscerla nella nobile ambizione di farla progredire” (Loria,
1929-1933, p.387). Si veda: Clavio, 1738. Tra le opere di Geometria euclidea
pubblicate nel Seicento, segnaliamo inoltre il manuale bolognese di Geminiano
Rondelli intitolato Elementa (Rondelli, 1693).
6
Lo studio delle varie interpretazioni della Geometria euclidea è stato condotto,
anche recentemente, da molti studiosi. Oltre alla radicale revisione dell’assiomatica
del primo libro, che sarà descritta nel paragrafo 3.1.3, sono state dettagliatamente
esaminate le innumerevoli versioni dell’opera di Euclide dal punto di vista della
concezione stessa delle principali nozioni geometriche; E. Barbin, ad esempio,
considera quattro edizioni degli Elementi euclidei: Les six premier livres des Éléments
géométriques d’Euclide di Peletier du Mans (1557), i Nouveaux éléments de
Géométrie di Arnauld (1667), gli Éléments de Géométrie di Clairaut (1765) e gli
Éléments de Géométrie di Lacroix (nell’edizione del 1803); E. Barbin
opportunamente osserva che le concezioni epistemologiche collocate alla base della
Geometria elementare “devono essere, esse stesse, situate nel loro contesto storico”
(Barbin, 1994, p. 157).
485), autore di un Commento al primo libro di Euclide
(D’Amore & Matteuzzi, 1976): Proclo c ita Posidonio (I sec.
a. C.), che impostò la propria ricerca su di una particolare
concezione del parallelismo secondo la quale due rette sono
parallele quando appartengono allo stesso piano e sono
equidistanti; ma ammettere ciò equivale ad introdurre un
nuovo postulato (appunto quello che identifica il
parallelismo di due rette nel fatto che esse siano complanari
ed equidistanti: Bonola, 1906).
La “definizione” di parallelismo di Posidonio fu ripresa
da altri studiosi, tra i quali Giordano Vitale (1633-1711,
operante ben diciassette secoli più tardi) e, al tramonto del
XVIII secolo, Francesco Maria Franceschinis (autore di un
opuscolo, La teoria delle parallele rigorosamente
dimostrata, in cui la dimostrazione del quinto postulato è
ancora tentata con metodi vicini alle considerazioni di
Posidonio: Franceschinis, 1787).
Tra i matematici che si proposero di dimostrare il quinto
postulato ricordiamo inoltre Gemino (I sec. a.C., citato nella
letteratura matematica araba come Aganis: Bonola, 1906),
Tolomeo (II sec.), nonché gli arabi Al-Nairizi (IX-X sec.) e
Nasir-Ed-Din (1201-1274). Il tentativo di “dimostrazione”
di Proclo fu ripresa da Federigo Commandino, mentre
Cristoforo Clavio, Francesco Patrici (1529-1597) e Pietro
Antonio Cataldi (1552-1626) si mostrarono interessati alle
idee di Nasir-Ed-Din (Bottazzini, Freguglia & Toti
Rigatelli, 1992, p. 116).
Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679) scrisse Euclides
restitutus (si veda: Giusti, 1993), in cui il quinto postulato
euclideo veniva praticamente sostituito con l’assioma
secondo il quale “se un segmento si muove in un semipiano
di bordo una retta data, con un estremo su tale retta e
mantenendosi sempre perpendicolare a questa, allora l’altro
estremo del segmento considerato descrive una seconda
retta”. Nel XVII secolo anche John Wallis (1617-1703) si
occupò della questione, ma senza tuttavia ottenere alcun
esito positivo.
Il gesuita Giovanni Girolamo Saccheri (San Remo 1667Milano 1733), nel trattato Euclides ab omni naevo
vindicatus (Milano 1733), accettò i primi quattro postulati e
le prime ventotto proposizioni del primo libro degli
Elementi e tentò quindi di dimostrare per assurdo il quinto
postulato (Freguglia, 1982, pp. 235-240). La lucida e
profonda ricerca contenuta in Euclides ab omni naevo
vindicatus si concluse con un insuccesso, ma in essa sono
chiaramente evidenziabili molte importanti e fertili idee
nella direzione della definitiva risoluzione della questione.
In sostanza, il matematico ligure non ebbe purtroppo il
coraggio di accettare la rivoluzionaria conclusione emersa
dal proprio studio: egli cioè non si convinse che è
effettivamente possibile costruire una Geometria coerente,
logicamente valida anche senza accettare il quinto postulato
di Euclide o, addirittura, negandolo esplicitamente (osserva
Gino Loria che “giunto così alla soglia di un nuovo mondo
geometrico, il Saccheri, quasi inorridito, retrocede, e in base
ad argomentazioni fiacche ed inconcludenti ritiene di essere
in diritto di [...] proclamare il trionfo del sistema euclideo”:
Loria, 1929-1933, p. 721).
Pochi anni dopo la pubblicazione dell’opera di Saccheri,
Johan Heinrich Lambert (1728-1777) scrisse Theorie der
Parallellinien (Freguglia, 1982, pp. 240-251) e pervenne a
risultati non molto diversi, nella sostanza, da quelli già
proposti da Saccheri; in Lambert comparve la moderna
intuizione secondo la quale l’accettazione dell’ipotesi non euclidea può portare ad una Geometria disegnata non su di
un piano, ma su di un’altra superficie (nel 1868, queste
riflessioni saranno riprese da E. Beltrami: la superficie
immaginata da Lambert venne detta “pseudosfera”).
Ricordiamo, infine, gli studi di un altro grande geometra, il
già citato Adrien Marie Legendre (1752-1833), che nel
1794 pubblicò Eléments de Géométrie, uno dei più diffusi
manuali di Geometria fra il XVIII ed il XIX secolo; anche
Legendre riprese alcuni risultati saccheriani (Legendre,
1831 e 1846).
L’annosa questione della dimostrabilità del quinto
postulato di Euclide trovò una definitiva sistemazione nel
XIX secolo, con gli studî di Carl Friedrich Gauss (17771855), di Janos Bolyai (1802-1860), di Nikolaj Ivanovic
Lobacewskij (1793-1857) e di Bernhard Riemann (18261866): constatata l’impossibilità di una dimostrazione del
celebre “postulato delle parallele”, non rimase che
considerare tale affermazione esattamente come un
postulato e rinunciare dunque ad una sua dimostrazione
basata esclusivamente sugli altri postulati euclidei.
Si trattava, dunque, di riconoscere finalmente il quinto
postulato di Euclide come un’affermazione indimo strata ma
accettata, che sta alla base di una ben precisa impostazione
teorica; un eventuale (possibile) rifiuto del quinto postulato
(ovvero la sua sostituzione con altri postulati, in contrasto
con esso) diventerebbe dunque il rifiuto della stessa
Geometria euclidea, in favore di altre teorie, non per questo
incoerenti: la cosiddetta Geometria non-euclidea (che sarà
detta “iperbolica”) e la Geometria riemanniana (che sarà
detta “ellittica”) fecero così il loro ingresso nella storia del
pensiero umano7. Il sogno di Saccheri dunque si realizzò,
7
Fu Gauss il primo ad ideare consapevolmente una teoria geometrica non basata
sul quinto postulato (Freguglia, 1982; Kline, 1991), ma non pubblicò i proprî risultati;
le ricerche di Lobacewskij (apparse nel 1829-1830) e di Bolyai (1832), pertanto, sono
originali. “Molto interessante è una lettera da lui [Gauss] indirizzata a Wolfgang
Bolyai nel 1799: «Quanto a me, scrive Gauss all’amico, i m iei lavori sono già molto
avanzati, ma la via nella quale sono entrato non conduce al fine che sto cercando e
che tu affermi aver raggiunto, ma conduce piuttosto a mettere in dubbio l’esattezza
della Geometria»“ (Freguglia, 1982, p. 255). Riportiamo una fr ase di Euler, da un
ma non nella direzione auspicata dal gesuita ligure: la
tentata dimostrazione per assurdo del quinto postulato di
Euclide si elevò e si trasformò in una meravigliosa
avventura logico-matematica e filosofica (Trudeau, 1987).
Le nuove visioni della Geometria furono fertile terreno di
confronto per le maggiori scuole matematiche del XIX
secolo8; concludiamo dunque citando Umberto Bottazzini,
che sintetizza la definitiva affermazione della Geometria
non-euclidea nel panorama della Matematica ottocentesca
osservando che “l’importanza delle ricerche di Riemann e
Beltrami in Geometria differenziale, di Klein in Geometria
proiettiva e infine di Poincaré nella teoria delle equazioni
differenziali e delle funzioni automorfe ebbe ragione delle
più ostinate resistenze e portò le Geometrie non euclidee a
far stabilmente parte del patrimonio della Matematica”
(Bottazzini, 1990, p. 189).
opuscolo edito (in italiano) nell’anno in cui nacque Gauss: “La Geometria tiensi in
conto d’una Scienza, nella quale nulla si ammette che dai primi assiomi delle nostre
cognizioni evidentissimamente non scaturisca. Pure sonosi trovati Uomini di non
volgare intelletto, i quali hanno creduto d’incontrare nella Geometria grandissime ed
insolubili difficoltà, per cui sonosi dati ad intendere di avere spogliato questa Scienza
di ogni certezza. Le obbiezioni da essi mosse in contrario sono anche tanto acute, che
non è picciola la pena e la penetrazione che si richiede per pienamente e solidamente
risolverle. Ma presso tutti gli Uomini ragionevoli la Geometria non perde nulla del
suo valore ancorché non sieno eglino in istato di distruggere da capo a fondo queste
sottili difficoltà” (Euler, 1777, p. 46).
8
Tra i matematici impegnati nello sviluppo delle Geometrie non-euclidee
ricordiamo F.L. Wachter (1792-1817), F.K. Schweikart (1780-1857) (Freguglia, 1982,
p. 256) e F.A. Taurinus (1794-1874, il fondatore della Geometria “logaritmo sferica”). Felix Klein ed Eugenio Beltrami (1835 -1900) si occuparono dello studio
della Geometria euclidea e delle nuove Geometrie sulla superficie di solidi di
rotazione (Bottazzini, Freguglia & Toti Rigatelli, 1992, pp. 123-125; per il modello di
Klein: Carruccio, 1972, pp. 299-307); alla loro opera risalgono i nomi di Geometria
parabolica per la Geometria euclidea, iperbolica per la Geometria di GaussLobacewskij-Bolyai ed ellittica per la Geometria di Riemann (Coxeter, 1942;
Dieudonné, 1989, p. 165).
3.2. Il “Grande Geometra”: Apollonio
3.2.1. Le Coniche
Il nome di Euclide è spesso ricordato, nella storia della
Geometria greca, a fianco di quelli di Archimede e di
Apollonio; se del grande Siracusano ci occuperemo nel
prossimo capitolo, dedicato all’Analisi matematica (ed alle
esperienze anche molto remote che prepararono la nascita
del Calcolo), presenteremo ora brevemente l’opera di
Apollonio di Perga (o Perge, 262?-190? a.C.), matematico e
astronomo, ricordato come il “Grande Geometra”.
Secondo alcuni egli fu un emulo di Archimede; è
accertato che Apollonio studiò ad Alessandria sotto la guida
degli allievi di Euclide. Ma la conoscenza del pensiero di
uno dei più originali e profondi geometri del mondo greco è
ostacolata dal fatto che la maggior parte delle opere di
Apollonio sono perdute: ci restano soltanto alcune sezioni
dei trattati Sezione di un rapporto e Coniche.
Il capolavoro di Apollonio è la vasta opera dedicata alle
sezioni coniche, originariamente suddivisa in otto libri e
comprendente 487 proposizioni (Kline, 1991, I, p. 107).
L’importanza delle Coniche può essere paragonata a quella
degli Elementi: come fece Euclide per la Geometria e per
l’Aritmetica, Apollonio riorganizzò la materia, unificando e
completando le teorie precedenti9.
I metodi impiegati dal Pergeo appaiono fortemente
innovativi e moderni: alcuni storici fanno risalire a lui una
prima forma di Geometria analitica, diciotto secoli prima di
Fermat e di Descartes (Freguglia, 1982, p. 71; Bottazzini,
9
“Prima di Apollonio, infatti, i tre tipi di coniche (ellisse, iperbole e parabola)
derivavano dalla sezione di tre tipi diversi di coni, secondo quanto stabilito da
Menecmo e accettato da Euclide e da Archimede. Nell’ impostazione di Apollonio,
invece, si passò alla ben più moderna considerazione di un solo cono, con la sola
variazione dell’angolatura del piano secante” (Bagni, 1996, I).
Freguglia & Toti Rigatelli, 1992, pp. 84-85): per
comprendere la portata di questa intuizione, dobbiamo
rilevare che l’opera de l “Grande Geometra” si sviluppò
senza disporre del potente strumento dell’Algebra simbolica
(che prese corpo nel Rinascimento), ma basando ogni
costruzione soltanto sui procedimenti, eleganti ma scomodi,
dell’Algebra geometrica 10.
Se la trasmissione degli Elementi euclidei nei secoli non
fu particolarmente difficoltosa, il grande trattato di
Apollonio ebbe minor fortuna11. Soltanto i primi quattro
libri delle Coniche furono editi a stampa a cura di G.B.
Memo a Venezia nel 1537. I libri V, VI, VII furono scoperti
soltanto nel XVII secolo e pubblicati a cura di Giovanni
Alfonso Borelli (Apollonio, 1661). Così G. Loria ricorda le
fasi che portarono alla pubblicazione dei libri V, VI e VII
delle Coniche di Apollonio:
“Ora accadde che, ai primi di giugno 1658, un professore
dell’Università di Pisa, G.A. Borelli, durante una sosta a
10
Forse ad Apollonio può essere ricondotto il valore 3,1416 per approssimare pi,
che ricomparve poi in Tolomeo e nei matematici indiani. D.J. Struik inoltre ricorda
che proprio nei lavori di Apollonio troviamo “per la prima volta, in forma esplicita, il
requisito che la costruzione geometrica debba essere effettuata con l’ausilio di rig a e
compasso solamente” (richiesta che viene fatta risalire a Platone: Struik, 1981, p. 74).
11
G. Vacca segnala l’importanza del Libro II dell’opera De lineis horarijs libri
tres di F. Maurolico (Maurolico, 1575, pp. 161-285), nel quale l’Autore “pubblicò un
compendio delle Coniche, esponendo le proprietà delle tangenti e degli asintoti”
(Vacca, 1929, p. 686). Oltre al libro II di tale lavoro (pp. 211-262), ci sembra
importante anche il successivo Libro III (pp. 263-285). Si noti che l’opera ora citata
non deve essere confusa con il quasi omonimo Tractatus de Lineis horarijs,
pubblicato anch’esso negli Opuscula mathematica dello stesso Autore (Maurolico,
1575, pp. 80-102). Maurolico aveva inoltre pubblicato a Messina nel 1554 una
Emendatio et Restitutio Conicorum Apollonii Pergaei, nella quale cercò “di compiere
una divinazione dei due [Libri] successivi [il V e il VI], giovandosi per ciò delle
informazioni date da Pappo; scoperte che furono le versioni arabe di quei due Libri, si
notò che, riguardo al V... il matematico messinese si era molto scostato dal Pergeo,
mentre, per quanto concerne il VI... il distacco è assai meno considerevole” (Loria,
1929-1933, p. 355).
Firenze, esaminasse i Codici orientali della biblioteca
granducale; la sua attenzione fu subito attratta da un incarto
sul quale stava scritto in italiano Otto Libri de’ Conici di
Apollonio; egli, benché ignaro dell’arabo, contemplando le
figure illustrative e rilevandone l’identità con quelle dei
libri del Pergeo dati alle stampe, provò «un incomparabile
gaudio» e, nel desiderio di far conoscere al mondo gli ultimi
quattro, chiese ed ottenne dal Granduca di portare seco quel
codice a Roma...; interpellati alcuni Maroniti di passaggio
per Firenze, riconobbe però che quel codice mancava
dell’ultimo Libro. A Roma il Borelli trovò in Abramo di
Echel (Siria) la desiderata persona capace e disposta a
eseguire quella traduzione” (Loria, 1929 -1933, p. 434).
La prima edizione dei libri V, VI e VII delle Coniche(1661)
Alcune questioni di priorità che coinvolsero Vincenzo
Viviani (1622-1703) ritardarono di alcuni mesi la
pubblicazione dell’opera, che fu stampata a Firenze nel
1661, con il titolo: Apollonii Pergaei Conicorum Lib. V, VI,
VII12.
Nessuna copia del libro VIII delle Coniche fu invece mai
ritrovata: nel 1710 Edmund Halley (1656-1742) ne tentò
una divinazione (che fu pubblicata a completamento
dell’edizione del trattato iniziata da J. Gregory).
3.2.2. Da Apollonio a Bonaventura Cavalieri
Proporremo ora un confronto tra alcuni concetti geometrici
introdotti da Apollonio e le corrispondenti nozioni riprese
dalla Matematica del XVII secolo. Rileviamo infatti che
l’impostazione di molte parti delle Coniche è
particolarmente moderna: alcune nozioni che il “Grande
Geometra” propose ed usò nel proprio trattato sar anno
infatti brillantemente (e, come vedremo, autonomamente)
riprese da matematici posteriori. In questo paragrafo ci
occuperemo del concetto di similitudine nella versione di
Bonaventura Cavalieri (1598?-1647).
Molte ricerche sono state dedicate alla personalità
scientifica di Cavalieri e alle sue opere principali, tra le
quali spicca la celebre Geometria degli indivisibili
(l’edizione originale è del 1635; la seconda, postuma
migliorata, è del 1653: Geometria indivisibilibus
continuorum nova quadam ratione promota, De Ducijs,
Bononiae: Cavalieri, 1989)13. Il ruolo di Cavalieri nello
12
Ricordiamo inoltre l’edizione delle Coniche del 1655, probabilmente l’ultima
precedente la scoperta dei tre libri perduti: Apollonii Pergaei Conicorum Libri IV.
Cum commentariis R.P. Claudii Richardi, Verdussen, Antwerpiae (Apollonio, 1655).
13
Nel 1808, Francesco Maria Franceschinis parlava dell’Analisi matem atica come
del “nuovo geometrico strumento... dell’italiano Cavalieri” (Franceschinis, 1808, p.
sviluppo della Matematica del XVII secolo viene spesso
primariamente collegato al metodo degli indivisibili e
dunque alla fase che, nel Seicento, preparò la precisazione
dei concetti dell’Analisi matematica (sebbene recenti studî
abbiano ripreso il ruolo cavalieriano nell’àmbito della
scuola galileiana: Giusti, 1993)14. Ci occuperemo dei
procedimenti infinitesimali nel prossimo capitolo.
Sarebbe tuttavia pesantemente riduttivo limitare
l’interesse storico e scientifico della Geometria degli
indivisibili all’introduzione del metodo cavalieriano degli
indivisibili15:
gli
scritti
di
Cavalieri
rivelano
un’impostazione interessante e personale, ad esempio per
quanto riguarda la formulazione delle definizioni.
Il Libro I della Geometria degli Indivisibili (che fu
redatto dall’Autore solo dopo avere scritto i quattro Libri
dal II al V) è dedicato alle definizioni ed alla presentazione
di alcuni risultati preliminari. Esaminiamo la definizione X:
57; Bagni, 1992). Per la biografia di Cavalieri si possono consultare: Frisi, 1825;
Piola, 1844; Favaro, 1885; Bortolotti, 1947; Carruccio, 1971; Cavalieri, 1989. Per una
rassegna bibliografica storica: Riccardi, 1952; Barbieri & Pepe, 1992. Sulla
Geometria degli indivisibili e sul ruolo del metodo degli indivisibili segnaliamo:
Bortolotti, 1928; Castelnuovo, 1938; Enriques, 1938; Conforto, 1948; Bourbaki,
1963; Boyer, 1969 e 1982; Carruccio, 1972; Arrighi, 1973; Koyré, 1973; Giusti, 1980
e 1982; Menghini, 1982; Kline, 1982 e 1991; Andersen, 1985; Bottazzini, 1988 e
1990. Su altri scritti cavalieriani: Cioffarelli, 1982; Giuntini, Giusti & Ulivi, 1985;
Baroncelli, 1987; Bottazzini, 1987; Ulivi, 1987.
14
Sulla scuola galileiana, oltre al citato studio di E. Giusti sulla teoria delle proporzioni (Giusti, 1993), segnaliamo: Eneström, 1912; Vacca, 1915; Segre, 1958;
Pepe, 1982; Maracchia, 1992. Per alcuni testi originali: Torricelli, 1644; Valerio,
1661; Smith, 1959; Bottazzini, Freguglia & Toti Rigatelli, 1992.
15
B.L. Van der Waerden osserva che Cavalieri non fu il primo a formulare il
principio che viene ricordato con il suo nome. Il matematico cinese Tsu Keng-Chih,
che visse nel V secolo d.C., espresse la stessa idea in una breve poesia:
Se due volumi sono costituiti da blocchi sovrapposti,
E le corrispondenti aree sono uguali,
Allora i volumi non possono essere diversi” (Van der Waerden, 1983, p. 205).
“Si chiameranno, in generale, simili [due] figure piane, in
ognuna delle quali singolarmente presa possono essere
condotte tangenti opposte, e segmenti aventi gli estremi su
di esse, che le incontrano secondo il medesimo angolo dalla
medesima parte, in modo che, se si conducono comunque
linee rette tra le due tangenti opposte, ad esse parallele,
secanti i segmenti che incidono le rette tangenti similmente
dalla medesima parte, troviamo che le porzioni di queste
parallele, nonché delle tangenti opposte, che sono poste
dalla medesima parte tra i detti segmenti incidenti, e il
perimetro delle figure, prese nel medesimo ordine, hanno
tra di loro lo stesso rapporto dei segmenti rettilinei incidenti
a dette tangenti, e aventi gli estremi su di esse” (Cavali eri,
1989, p. 69; riportiamo la figura presente nella citata
edizione del lavoro di Cavalieri).
C
C'
A
A'
B
B'
D
O
P
D'
Q
O'
P'
Q'
La condizione espressa nella definizione X può essere
scritta nel modo seguente16. Se è: OP : O’P’ = OQ : O’Q’,
allora risulta: CP : C’P’ = OQ : O’Q’ e DP : D’P’ = OQ :
O’Q’.
16
Cavalieri sottintende in forma velata ed implicita l’impiego di un sistema di
coordinate. Tuttavia l’impostazione cavalieriana appare legata ai segmenti e non già
alle loro misure; anche per questo, dunque, Cavalieri “sembra a noi piuttosto l’ultimo
dei geometri antichi che non il primo dei matematici moderni” (Cavalieri, 1989, p.
71).
Il confronto della definizione ora ricordata con alcune
classiche definizioni di figure simili è molto interessante.
Ad esempio, la definizione esaminata di figure simili è del
tutto diversa dalla definizione euclidea (riferita alle sole
“figure rettilinee”, introdotte nella definizione XIX del
Libro I degli Elementi; modernamente esse corrispondono
ai poligoni: Euclide, 1970, pp. 69 e 359):
“Sono figure rettilinee simili quante abbiano gli angoli,
uno ad uno, rispettivamente uguali, e proporzionali i lati
che comprendono gli angoli uguali” 17.
Molto interessante è considerare la definizione di
similitudine tra sezioni coniche che compare come
definizione II del Libro VI delle Coniche di Apollonio:
“Chiamiamo simili [due] sezioni coniche nelle quali, se si
conducono rette coniugate a un’asse, in ciascuna delle
sezioni, e se si divide ogni asse in un medesimo numero di
parti, ovvero in un medesimo rapporto, allora tali rette
coniugate sono ordinatamente proporzionali ai segmenti
dell’asse da essi staccate a partire dal vertice” 18.
17
“Similes figurae rectilineae sunt, quae et angulos singulos singulis aequales
habent, atque etiam latera, quae circum angulos aequales, proportionalia” (Clavio,
1603, p. 753; pressoché identica è la definizione riportata in: Commandino, 1619, p.
71; la traduzione nel testo è in: Euclide, 1970, p. 359). Sull’interpretazione degli
Elementi si veda: Enriques, 1930. Sulla bibliografia euclidea: Riccardi, 1887-1890.
18
“[Section es] similes verò sunt, in quibus omnes potentiales ad axium abscissas
utrobique sunt in ijsdem rationibus, tum abscissae ad abscissas” (Apollonio, 1661, p.
133; la traduzione citata nel testo è in: Cavalieri, 1989, pp. 70-71). Sull’opera di
Apollonio segnaliamo ad esempio: Freguglia, 1982; Van der Waerden, 1983.
A
I
B
K
G
D
L
C
M
E
N
H
O
F
(Nella figura precedente è riportata quella presente in:
Apollonio, 1661, p. 135; il lettore potrà constatare che essa
sembra riferita a due figure congruenti).
Non è difficile ravvisare l’analogia di questa definizione
con la definizione cavalieriana sopra riportata. Osserviamo
tuttavia che l’edizione veneziana del 1537 delle Coniche di
Apollonio, a cura di G.B. Memo, era limitata ai soli primi
quattro Libri; analogamente per quella bolognese del 1566
dovuta a F. Commandino (Loria, 1929-1933) e per molte
edizioni seguenti fino alla metà del XVII secolo (Apollonio,
1655). Al momento della redazione della Geometria degli
indivisibili, dunque, Cavalieri non poteva conoscere la
celebre prima edizione borelliana dei Libri V, VI, VII delle
Coniche (Apollonio, 1661), pubblicata a Firenze ventisei
anni dopo la prima edizione della Geometria degli
indivisibili.
In uno Scolio immediatamente precedente la definizione
X, però, Cavalieri menziona esplicitamente il Libro VI delle
Coniche, e riferisce di essersi basato sulla presentazione
indiretta data di esso nei Commentarii ad Archimede e ad
Apollonio dovuti ad Eutocio di Ascalona (VI secolo d.C.):
“Scolio. Le altre definizion i, quelle date da Euclide di
figure piane simili, e solide, e di cilindri e coni simili, e
quelle che vengono date da Apollonio, nel libro sesto delle
Coniche, di porzioni simili di sezioni di cono, stando a
quanto riferisce Eutocio, si prendano così come sono
addotte da quegli autori, aggiungendo tuttavia alla
definizione di sezioni coniche simili nello stesso luogo data
da Apollonio ciò che sarà più avanti detto, se essa verrà
applicata agli spazi [racchiusi dalle curve]” (Cavalieri,
1989, p. 68).
Nello Scolio sopra ricordato, Cavalieri afferma dunque di
accettare la definizione di Euclide per i poligoni e quella di
Apollonio per le sezioni coniche; solo in un secondo
momento, come abbiamo potuto constatare, quest’ultima
definizione viene applicata dall’A utore a figure più generali
(la corrispondente definizione cavalieriana nel caso delle
figure solide è la XI: Cavalieri, 1989, pp. 74-75).
La prima edizione di Opuscula Mathematica di Maurolico (1575)
A tale proposito, è importante osservare che questa
estensione viene ad assumere un significato matematico che
va oltre la semplice considerazione di una più ampia classe
di figure. La definizione di Apollonio, chiaramente (e
sorprendentemente) moderna, è infatti evidentemente
sovrabbondante se riferita alle sole sezioni coniche: è noto
infatti che affinché due coniche siano simili è sufficiente
che esse abbiano la stessa eccentricità (si veda ad esempio:
Castelnuovo, 1931, pp. 453-454) e dunque in quest’ultimo
caso non è necessario imporre la più gravosa condizione
espressa nella definizione II del Libro VI delle Coniche.
Nella Geometria degli indivisibili, pertanto, Cavalieri
non solo estende consapevolmente l’impostazione di
Apollonio alla similitudine di una classe più ampia di figure
(e proprio in questa generalità possiamo evidenziare uno dei
grandi pregi dell’intera opera cavalieriana, come ben
sottolineato in: Cavalieri, 1989, p. 70); ma egli, basandosi
sull’antica considerazione delle sole sezioni coniche, ne
applica correttamente la condizione di similitudine a figure
generalmente intese, per le quali la concezione
dell’eccentricità sarebbe improponibile 19.
In tale modo Bonaventura Cavalieri si mostrò in grado di
“sfruttare” le potenzialità dell’elegante ed efficace
definizione di figure simili data nel Libro VI delle
Coniche20 più a fondo di quanto abbia fatto lo stesso
Apollonio; e fu in grado inoltre di eliminare il carattere di
sovrabbondanza di tale definizione.
19
Si noti che nella Geometria degli indivisibili non troviamo una esplicita
definizione del termine figura; osserva L. Lombardo Radice: “una definizione [di
figura] avrebbe implicato dei criteri topologici, ed era impossibile per il Cavalieri
anticiparli” (Cavalieri, 1989, p. 60).
20
Nelle Coniche di Apollonio non viene introdotta la moderna nozione di eccentricità di una sezione conica (Loria, 1929-1933).
Quanto sopra osservato non può comunque non
evidenziare l’eccezionale profondità dell’i mpostazione
apolloniana. Il “Grande Geometra” fu in grado di proporre
una definizione dal carattere estremamente moderno, tanto
da servire come base, quasi due millennî dopo, per l’opera
di un matematico fortemente innovativo come Cavalieri21.
Ricordiamo infine che non è questa l’unica caratteristica
di modernità rilevabile nelle Coniche. Nella prossima
sezione ci occuperemo della Geometria delle coordinate
(spesso indicata, oggi, con la denominazione di Geometria
analitica): nel paragrafo precedente abbiamo osservato che
l’opera di Apollonio contiene alcuni procedimenti che
21
La definizione X del Libro I della Geometria degli Indivisibili assume
un’importanza fondamentale nello sviluppo del trattato di Cavalieri. La nozione di
figure simili (piane e solide) viene infatti ripresa in termini spesso decisivi nel corso
di tutto il lavoro cavalieriano (Frisi, 1825, pp. 209-210; la dedica dell’Autore a Pietro
Verri porta la data del 20 marzo 1778). Già nel Libro I, infatti, Cavalieri dedica
un’ Appendice prima alla “spiegazione dell’antecedente definizione X” (Cavalieri,
1989, pp. 72-74; un’analoga Appendice seconda è dedicata alle figure solide, pp. 7679). Poco oltre, l’Autore conferma in uno Scolio di essere consapevole
dell’importanza della generalizzazione introdotta per la similitudine delle figure piane
(e solide): “Scolio. Per quel che concerne il nome di figure simili, è da avvertire
peraltro che, quando chiamo simili figure piane, o solide, io intendo, con ciò per esse
le definizioni generali sopra allegate; quando invece le chiamo con nomi particolari,
intendo le definizioni particolari da altri, o da me allegate per la loro similitudine;
così, quando dirò porzioni simili di sezioni di cono, intenderò la loro definizione
particolare, e quando dirò parallelogrammi simili intenderò riferirmi alla definizione
particolare di figure rettilinee [poligoni] simili, e così in altri casi, giacché più sotto
dimostreremo che dalle medesime figure sono verificate ambedue le definizioni, sia la
particolare che la generale” (Cavalieri 1989, p. 79). Alcuni risultati di seguito
presentati sono esplicitamente collegati alla similitudine (ad esempio le proposizioni
XI, XII, XIII, XIX, XX, XXI, XXII); rispetto alle concezioni classiche (di Euclide e di
Apollonio), l’Autore si riferisce ad un’impostazione ben più ampia, in quanto nella
trattazione euclidea, ad esempio “si parla solo di coni in senso elementare e non di
solidi conici nell’accezione (più generale) di Bonaventura Cavalieri” (Cavalieri, 1989,
p. 113). Anche nei Libri successivi del trattato la nozione di figure simili si mantiene
fondamentale: già nel Libro II, centrale per la precisazione del metodo degli
indivisibili, la definizione VIII è dedicata all’introduzione di “tutte le figure simili”
rispetto ad una figura assegnata (Cavalieri, 1989, pp. 195-196).
fanno pensare ad un’intuizione della feconda, rivoluzionaria
innovazione di Descartes e di Fermat (sebbene nell’opera di
Apollonio non fossero attribuiti valori numerici alle
coordinate: Struik, 1981, p. 134).
3.3. La Geometria delle coordinate
3.3.1. Prima di Descartes
I procedimenti presenti nelle Coniche apolloniane che
sembrano riferirsi ad una prima forma di Geometria delle
coordinate (ad esempio la stessa considerazione di rette
coniugate e dei segmenti dell’asse, nella definizione II del
Libro VI) restarono a lungo ignoti alla Matematica
medievale22.
Ma anche altri studiosi, prima del XVII secolo e dunque
prima della svolta dovuta a Descartes ed a Fermat, ebbero
intuizioni di questo genere23: dobbiamo ad esempio
ricordare l’opera geometrica di Nicola d’Oresme (1323 1382), parigino, poi divenuto vescovo di Lisieux, che fu
matematico originale e fecondo24.
Il nome di Nicola d’Oresme è inoltre legato ad
un’importante tappa nella costruzione dei metodi di
22
“Il contatto con la cultura greca creò una grande eccitazione; gli Eur opei si
posero alla caccia delle opere greche, delle loro versioni arabe e dei testi scritti dagli
Arabi... L’Europa imparò così a conoscere le opere di Euclide e di Tolomeo,
l’ Aritmetica e l’ Algebra di Al-Khôwarizmi... Né Apollonio né Diofanto vennero
tradotti durante il XII e il XIII secolo” (Kline, 1991, I, pp. 241 e 242).
23
Anche nella Geographia di Tolomeo e nell’ Analyomenos di Pappo sono presenti
accenni espliciti a idee non dissimili da quelle che saranno compiutamente sviluppate
nel XVII secolo.
24
In particolare, Nicola si occupò dello studio delle proporzioni e pubblicò
l’ Algorismus proportionum, opera nella quale troviamo regole che oggi indichiamo
come proprietà delle potenze (riguardanti il prodotto di potenze di ugual base e la
potenza di potenza). Nelle sue opere comparve anche la fondamentale intuizione di
potenza ad esponente non razionale (Struik, 1981), ma la limitatezza degli strumenti
tecnici disponibili impedì uno sviluppo organico e completo di tali indicazioni.
rappresentazione delle funzioni, che culminerà nel XVII
secolo con le opere di Fermat e di Descartes. Con il
Tractatus de latitudinibus formarum (risalente al 1361),
Nicola riprese idealmente Apollonio nella costruzione di un
primitivo sistema di coordinate: ad esempio, per
rappresentare un moto vario, indicò come “longitudini”
(orizzontalmente) gli intervalli di tempo e come “latitudini”
(verticalmente) le velocità. Nicola si interessò
esplicitamente all’area sottesa da questo primitivo grafico,
ma non fu in grado di spiegare il motivo per cui essa viene a
rappresentare lo spazio percorso (Boyer, 1982).
3.3.2. L’impostazione cartesiana
“Volendo risolvere qualsiasi problema,
si deve innanzitutto considerarlo come
risolto e si devono dare dei nomi a
tutte le linee che sembrano necessarie
per la sua costruzione; sia a quelle
ignote, sia alle altre. Poi, senza fare
alcuna differenza tra queste linee, note
ed ignote, bisogna affrontare le
difficoltà secondo l’ordine che mostra
nella maniera più naturale in che modo
tali linee siano in rapporto tra di loro,
fino a che non si sia trovato modo di
esprimere una medesima quantità in
due maniere diverse: ciò si chiama una
equazione”.
René Descartes
In tempi più vicini a noi, François Viète (1540-1603) si
occupò della possibilità di impiegare l’Algebra per la
risoluzione di problemi geometrici. Ma la svolta decisiva
per la nascita della Geometria delle coordinate (o Geometria
analitica)25 ebbe luogo soltanto nel XVIII secolo: nel 1637
fu pubblicato il Discours de la méthode pour bien conduire
sa raison, et chercher la vérité dans les sciences di René
Descartes (Cartesio, 1596-1650); nell’appendice intitolata
La Géométrie (l’unica opera matematica del grande filosofo
francese) veniva sostanzialmente descritta la possibilità di
rappresentare graficamente equazioni indeterminate26.
Faremo riferimento all’edizione dell’opera geometrica
cartesiana del 1695, intitolata Geometria, una cum notis
Florimondi De Beaune e pubblicata a Francoforte sul Meno
(Descartes, 1695); il prezioso volume contiene anche:
Francisci à Schooten In Geometriam Renati Des
Cartes Commentarii;
Johannis Huddenii Epistola prima de Reductione
Æquationum;
Johannis Huddenii Epistola secunda de maximis et
minimis;
Renati Des Cartes Principia Matheseos
Universalis seu Introductio ad Geometriæ Methodum
conscripta ab. Er. Bartholino;
25
Alcuni Autori contestano l’uso del termine Geometria analitica in àmbito
storico: “La disciplina creata da Fermat e da Descartes viene solitamente chiamata
Geometria analitica. La parola analitica non è appropriata e sarebbe più opportuno
chiamarla Geometria delle coordinate o Geometria algebrica (che oggi ha un altro
significato)” (Kline, 1991, I, p. 377).
26
Sarebbe tuttavia storicamente scorretto amplificare il ruolo della Géométrie fino
a fare di essa la prima opera di Geometria analitica modernamente intesa. Osserva
D.J. Struik: “Descartes pubblicò la sua Géométrie come un’applicazione del suo
metodo generale di unificazione, in questo caso unificazione di Algebra e Geometria.
I meriti del libro, secondo il punto di vista comunemente accettato, consistono
soprattutto nella creazione della cosiddetta Geometria analitica. È vero che in seguito
questa parte della Matematica si è evoluta sotto l’influenza del libro di Descartes, ma
non si può considerare la Géométrie in sé come il primo manuale su questo
argomento. Non vi si trovano assi ‘cartesiani’ e non vi sono derivate le equazioni
della retta e delle sezioni coniche” (Struik, 1981, p. 134).
De Æquationum Natura, Constitutione, et
Limitibus Opuscula Duo. Incepta à Florimondo De Beaune
ab Erasmio Bartholino;
Johannis De Witt Elementa Curvarum Linearum
edita operà Francisci à Schooten;
Francisci à Schooten Tractatus de Concinnandis
Demonstrationibus Geometricis ex Calculo Algebraico, in
lucem editu à Petro à Schooten27.
L’impostazione della Geometria delle coo rdinate era
incentrata sull’applicazione dei metodi algebrici a questioni
geometriche28: Descartes si proponeva inizialmente di
risolvere, in questo modo, i problemi di costruzione nei libri
I e III della Géométrie; ma l’importanza della tecnica
risolutiva (la sistematica associazione di curve e di
equazioni) superò nettamente l’entità dei problemi risolti.
Proponiamo un esempio dei procedimenti cartesiani tratto
dal III libro della Géométrie (Descartes, 1695, pp. 85-95;
27
Le opere ora segnalate sono importanti con riferimento alla diffusione della
cartesiana Geometria delle coordinate: una traduzione latina della Géométrie di Frans
van Schooten (1615-1660) fu pubblicata per la prima volta nel 1649; essa “non
soltanto rese disponibile il libro nella lingua che tutti gli studiosi potevano leggere,
ma conteneva anche un commento che ampliava la presentazione stringata di
Descartes. Nell’edizione del 1659 -1661, van Schooten diede esplicitamente la forma
algebrica della trasformazione di coordinate da una retta base (asse x) ad un’altra”
(Kline, 1991, I, p. 371). A John Hudde (1633-1704) sono ricondotte alcune
innovazioni riguardanti le convenzioni algebriche (usò le lettere per indicare
indifferentemente numeri positivi e negativi; Descartes, invece, con le lettere indicava
soltanto quantità positive). L’olandese Johan De Witt (1625 -1672) pubblicò il trattato
Elementa Curvarum Linearum nel 1659 ad Amsterdam (Struik, 1981, p. 136): questo
lavoro, interessante sebbene non particolarmente innovativo, fu inserito tra i
commenti alla versione latina della Géométrie di Descartes fino dall’edizione di
Amsterdam del 1661.
28
La ricerca, perseguita da Descartes, di un metodo generale per raggiungere la
verità nelle scienze portava all’attribuzione di un ruolo centrale alla fisica meccanica;
conseguentemente, la Matematica venne ad assumere nelle speculazioni cartesiane un
ruolo di primissimo piano, per le impareggiabili potenzialità di oggettività e di rigore
(Beck, 1952, pp. 215-229; D’Amore & Matteuzzi, 1976, p. 137; Anglin, 1994).
riportato anche in: Kline, 1991, I, pp. 364-365):
riprendendo una questione cara ai geometri greci, Cartesio
cercò il metodo generale per determinare due medî
proporzionali da inserire tra le assegnate quantità a e b
(procedimento applicabile alla soluzione del “problema di
Delo”, nel caso pa rticolare: b = 2a). Se z è uno dei cercati
due medi proporzionali da inserire tra a e b, il secondo
medio è z2/a in quanto risulta:
a
z
z2 / a
= 2
= 3 2
z z /a z /a
e ponendo:
z3/a2 = b
si ottiene l’equazione per la z, ovvero:
z3 = a 2 b
Descartes dimostrava infine che, geometricamente, z e
z /a possono essere costruite intersecando una parabola e
una circonferenza.
È essenziale osservare che tutti i problemi di costruzione,
dall’Antichità, avrebbero dovuto essere risolti facendo uso
soltanto di una riga (non graduata) e di un compasso29. Ciò
significa che la risoluzione di un problema avrebbe dovuto
essere ricondotta ad una successione finita di operazioni
scelte tra le seguenti (Carruccio, 1972, p. 87):
dati due punti, costruire la retta passante per essi;
2
29
Sembra che la distinzione di questa particolare procedura risalga originariamente
a Platone (essa tuttavia apparirà citata esplicitamente soltanto negli scritti di
Apollonio di Perga). Nota a tale proposito M. Kline: “Sono state date varie
spiegazioni circa la restrizione di usare nelle costruzioni soltanto riga e compasso. La
linea retta e il cerchio erano, secondo i Greci, le figure fondamentali e la riga e il
compasso sono i loro analoghi fisici... È stata anche avanzata come spiegazione
l’ipotesi che Platone si sia opposto all’uso di altri strumenti meccanici perché essi
avevano attinenza più con il mondo dei sensi che con quello delle idee” (Kline, 1991,
I, pp. 48-49).
dato un punto e un segmento, trovare la
circonferenza che ha quel punto come centro e quel
segmento come raggio;
date due rette, trovare (se esiste) il loro punto
comune;
date una retta e una circonferenza, trovare (se
esistono) i loro punti comuni;
date due circonferenze, trovare (se esistono) i loro
punti comuni.
Ma la parabola non può essere costruita con il solo
impiego della riga e del compasso (se non punto per punto)
e “bisogna perciò usare la sua equazione per tracciare l a
curva” (Kline, 1991, I, p. 365; si vedano anche le note,
sopra citate, di F. Schooten in: Descartes, 1695, pp. 281344)30.
Con Descartes superiamo dunque gli antichi criteri greci
basati sulla “costruibilità” di una curva: a tali criteri
possiamo sostituire il requisito, straordinariamente
innovativo, basato sull’esprimibilità della curva mediante
un’equazione algebrica di grado finito nelle coordinate x,
y31. La costruibilità cartesiana è stata studiata da P.
30
M. Kline osserva che “Descartes non ottiene z scrivendo l’equazione in x ed in y
del cerchio e della parabola, e trovando le coordinate del punto di intersezione
risolvendo insieme le due equazioni. In altre parole, egli non risolve graficamente le
due equazioni nel nostro senso; si serve piuttosto di costruzioni puramente
geometriche (eccetto che nel supporre che una parabola può essere tracciata), della
conoscenza del fatto che z soddisfa ad un’equazione, di proprietà geometriche del
cerchio e della parabola (che possono essere lette facilmente sulle loro equazioni)”
(Kline, 1991, I, p. 365).
31
La ricerca sulla costruibilità non si fermò con l’opera di C artesio. Georg Mohr
(1649-1697) nel trattato Euclides Danicus (1672), dimostrò che le costruzioni
effettuabili con riga e compasso possono anche essere effettuate impiegando soltanto
il compasso. La sua opera, però, non fu apprezzata alla fine del Seicento; osserva C.B.
Boyer: “I matematici del tempo prestarono così scarsa attenzione a questa
stupefacente scoperta, che la Geometria basata sull’uso del solo compasso senza la
riga non porta il nome di Mohr, ma quello di Mascheroni, che riscoperse il principio
125 anni più tardi. Il libro di Mohr era sparito dalla circolazione e solo nel 1928,
Freguglia (1981), il quale nota anche che “con l’intento di
superare la limitazione ai soli riga e compasso, Descartes
propose uno strumento per generare curve” (Freguglia,
1982, p. 192).
Non possiamo inoltre non accennare alla grande
importanza del metodo delle coordinate in àmbito
didattico32; e concludiamo rilevando che la notazione
algebrica presente in Descartes era ormai pressoché
coincidente con quella moderna (si veda: Descartes, 1695);
quando ne fu trovata per caso una copia da un matematico che si stava aggirando per
una libreria di Copenhagen, si seppe che Mascheroni aveva avuto un precursore “
(Boyer, 1982, p. 426). Si noti che evitando di utilizzare la riga risulta impossibile
tracciare la retta passante per due punti (“dati due punti, però, si possono costruire i
punti d’intersezione della retta che li congiunge e di un cerchio e, date due coppie di
punti, si può costruire il punto d’intersezione delle rette determinate dalle due
coppie”: Kline, 1991, I, p. 275). Il contenuto essenziale delle ricerche di Mohr fu
riscoperto da Lorenzo Mascheroni (1750-1800) nella Geometria del compasso (1797;
abbiamo esaminato la prima edizione francese, del 1798; si veda inoltre: Mascheroni,
1802): “Nel 1822 Poncelet, traendo ispirazione dalle ricerche di Mascheroni, aveva
suggerito l’ipotesi che tutte le costruzioni della Geometria piana euclidea potessero
venire effettuate con una riga se oltre ad essa si tracciava nel piano soltanto una
circonferenza e se ne fissava il centro. Questo teorema, che fu dimostrato da Steiner,
mostra che nella Geometria euclidea è impossibile fare completamente a meno del
compasso, ma che, dopo averlo usato per tracciare una sola circonferenza, si può
metterlo da parte e continuare ad usare soltanto la riga” (Boyer, 1982, p. 608).
32
Citiamo F. Speranza: “Molti insegnanti di Matematica sono convinti che
attraverso le dimostrazioni gli studenti imparino sia i ‘contenuti’ sia la ‘struttura
logica’ della disciplina, e siano educati allo ‘spirito critico’. Almeno per la Geometria,
sono profondamente convinto che questa sia un’illusione. Anzitutto i ‘fatti spaziali’ si
imparano per esperienza concreta (in certa misura, anche quella offerta dal metodo
delle coordinate); del resto, anche altri settori, nei quali i fatti sono meno ‘palpabili’,
come l’Aritmetica e l’Algebra, si apprendono anzitutto affrontando problemi,
escogitando metodi di risoluzione” (Speranza, 1992, p. 136). “Inizialmente, la
Geometria ha a che fare con sensazioni, esperienze e osservazioni ‘esterne’, di tipo
sensomotorio (la fonte dell’Aritmetica e della Logica è in qualche modo più ‘interna’
a noi stessi); procede poi per razionalizzazioni successive di queste prime
osservazioni” (Speranza, 1987, p. 16).
dunque il pensatore francese può essere considerato come il
punto d’arrivo dello sviluppo del formalismo algebr ico33.
3.3.3. Il folium Cartesii
Nell’epistolario di Cartesio troviamo alcune importanti
applicazioni della Geometria delle coordinate (ci riferiremo
a: Freguglia, 1982, pp. 196-199). In una lettera del 1638 a
P. Marin Mersenne (1588-1648) troviamo la presentazione
del folium Cartesii (accompagnata però da una figura
errata).
Seguendo ancora P. Freguglia (1982, p. 197),
introduciamo modernamente il folium Cartesii attraverso la
trasformazione di MacLaurin. Fissiamo nel piano i tre punti
A, A’ e C e la rett a r. Sia P un punto generico del piano, al
quale facciamo corrispondere il punto P’ in modo che P’
appartenga alla retta PC e le rette AP e A’P’ intersechino in
un comune punto L la retta r. In tale situazione P e Q hanno
come trasformati (nella trasformazione di MacLaurin) P’ e
Q’ rispettivamente.
33
Sarebbe tuttavia sostanzialmente scorretto attribuire direttamente a Descartes
meriti specifici per quanto riguarda l’evoluzione delle tecniche algebriche e dello
stesso simbolismo in esse impiegato: la Geometria delle coordinate non fu una grande
realizzazione tecnica. Per Fermat, come vedremo, essa era una riformulazione
algebrica di tecniche risalenti alla Grecia antica, particolarmente ad Apollonio; per
Descartes era un procedimento per agevolare la soluzione dei problemi di costruzione
(Kline, 1991, I, p. 375). Inoltre non possiamo dimenticare che nel Seicento
l’evoluzione della Matematica in questo settore non era ancora completata;
ricordiamo, ad esempio, che ancora non erano usate coordinate negative.
Q
A'
E
A
L
P
Q'
P'
r
C
r
A
A'
O
H
Consideriamo quindi una circonferenza di centro O e di
raggio OA, con A’ punto medio di OA; sia r perpendicolare
alla retta AA’ e C sia il punto improprio di r; ponendo:
2
3
OA
a= 2
e

OA 
1
1 +
 =
 2A'

3
H

otteniamo l’equazione (riferita ad un sistema cartesiano
ortogonale di origine A’, con l’asse delle ascisse
coincidente con la retta AA’):
y2
a−x
=
2
x
a + 3x
che, riferita ad un sistema cartesiano ruotato di mezzo
angolo retto rispetto al sistema originale, diviene:
x 3 + y 3 − 3axy = 0
Il grafico dell’equazione così ottenuta è detto folium
Cartesii (l’asintoto è la retta di equazione x+y = a).
y
-a
0
x
-a
3.3.4. Pierre de Fermat
Molto importante, per lo studio delle radici storiche della
moderna Geometria delle coordinate, è l’opera Ad locos
planos et solidos isagoge di Pierre de Fermat (1601-1665),
pubblicata postuma nel 1679 (ma originale rispetto alle
ricerche di Descartes, essendo stata scritta nel 1629, ovvero
otto anni prima della pubblicazione del Discours de la
méthode): in tale lavoro Fermat descrisse una teoria assai
prossima a quella di Descartes e ne indicò alcune proprietà
fondamentali.
La ricerca di Fermat (al pari di quella cartesiana) fu
coronata dal successo anche perché i matematici del
Seicento, a differenza dei loro predecessori (anche ben più
prossimi rispetto ai lontani Greci, come Nicola d’Oresme),
potevano disporre di strumenti algebrici adeguati;
osserviamo tuttavia che l’indagine di Fermat si mantenne
sempre vicina allo spirito della ricerca di Apollonio34.
A Pierre de Fermat deve comunque essere ricondotto il
principio fondamentale della Geometria analitica (1636),
secondo il quale un’equazione in du e incognite individua
un luogo (una retta o una curva). Anche la possibilità di
semplificare l’equazione di una stessa curva mutando
opportunamente la posizione degli assi fu un’intuizione di
questo grande matematico (tuttavia Descartes aveva
osservato che il grado di una curva è indipendente dalla
scelta del riferimento).
Eppure Fermat pubblicò pochissimi lavori durante la
propria vita: forse anche per questo la sua figura venne ad
essere sovrastata da quella di Descartes, almeno per quanto
riguarda la nascita della Geometria delle coordinate
(rileviamo che una controversia tra Descartes e Fermat sulla
priorità della scoperta dell’introduzione della Geometria
delle coordinate fu origine di reciproche critiche, talvolta
34
Descartes, invece, si applicò alla ricerca matematica con un’impostazione assai
più libera, robustamente innovativa, indipendente, quasi egli fosse consapevole di
essere sul punto di superare definitivamente i metodi e le limitazioni della Matematica
degli Antichi.
aspre, che divisero a lungo i due grandi studiosi francesi ed
i relativi seguaci).
Riportiamo una significativa pagina di Fermat tratta da
Ad locos planos et solidos isagoge:
“Sia NZM una retta di cui è data la posizione e sulla
quale è stato fissato il punto N. Si ponga NZ uguale alla
quantità incognita x, e si ponga la retta ZI (condotta
perpendicolarmente alla NZ per I) uguale all’altra quantità
incognita y. Sia: dx = by.
I
Y
X
N
Z
M
Allora il punto I sarà su di una retta, la cui posizione è
nota” (traduzione e figura in: Bottazzini, Freguglia & Toti
Rigatelli, 1992, p. 114).
Pierre de Fermat, dunque, può essere considerato il
pensatore nel quale riassumere la grande svolta che portò la
Matematica antica, ancorata alla Geometria classica, ad
evolversi nella Matematica moderna, nella quale un ruolo
fondamentale spetterà alla Geometria delle coordinate e,
quindi, all’Analisi infinitesimale 35.
35
Scrive Morris Kline: “La Geometria delle coordinate rese possibile l’espressione
di figure e di cammini sotto una forma algebrica da cui poteva essere derivata la
conoscenza quantitativa. L’Algebra, che Descart es aveva pensato fosse soltanto uno
3.4. La Geometria nell’Ottocento
3.4.1. La Geometria proiettiva
A fianco degli sviluppi della Geometria delle coordinate,
alcuni studiosi continuarono ad occuparsi di Geometria
pura.
Alla fine del Settecento, ad esempio, ben più di una
citazione merita l’opera di Lorenzo Mascheroni (1750 1800); per presentarla riprendiamo la metodologia di
costruzione geometrica della matematica greca classica,
precedentemente ricordata, secondo la quale tutti i pronlemi
avrebbero dovuto essere risolti facendo uso soltanto di una
riga (senza riferimenti, graduazioni, suddivisioni) e di un
compasso. Durante i secoli molti sforzi furono fatti per
approfondire e per ampliare l’antico concetto greco di
costruibilità. Georg Mohr (1649-1697), ad esempio, nel
trattato Euclides Danicus (1672), giunse a dimostrare che le
costruzioni effettuabili con riga e compasso possono anche
essere effettuate impiegando soltanto il compasso.
A tale proposito è indispensabile osservare che evitando
di utilizzare la riga risulta impossibile tracciare la retta
strumento, un’estensione della logica piuttosto che una parte della Matematica
propriamente detta, diventò così più vitale della Geometria. In effetti, la Geometria
analitica spianò la via ad un completo rovesciamento dei ruoli dell’Algebra e della
Geometria. Mentre, dall’epoca dei Greci al 1600 circa, la Geometria aveva dominato
la Matematica e l’Algebra le era subordinata, dopo il 1600 l’Algebra diventò la
disciplina fondamentale; in questa trasposizione di ruoli il Calcolo infinitesimale
doveva essere il fattore decisivo” (Kline, 1991, I, p. 377). Citiamo ancora F.
Speranza; “La Matematica si organizza in sistemazioni teoriche; ma fra gli stessi
matematici c’è chi, su di uno stesso campo di argomenti, ricorre a teorie p iù elaborate
e chi utilizza teorie meno formalizzate (si pensi per esempio alla Geometria
elementare, che a volte è usata in modo informale, a volte secondo una sistemazione
di tipo euclideo, a volte secondo una che tiene conto della revisione avvenuta al
termine dell’800, a volte con l’uso di un simbolismo ad hoc, a volte sulla base
dell’Algebra)” (Speranza, 1987, p. 16).
passante per due punti (“dati due punti, però, si possono
costruire i punti d’intersezione della retta che li congiunge e
di un cerchio e, date due coppie di punti, si può costruire il
punto d’intersezione delle rette determinate dalle due
coppie”: Kline, 1991, I, p. 275). Il contenuto essenziale
delle ricerche di Mohr, ovvero l’eseguibilità delle
costruzioni euclidee con l'impiego del solo compasso, fu
riscoperto da Lorenzo Mascheroni, autore della Geometria
del compasso.
Se Mascheroni, autonomamente, riprese il lavoro di
Mohr, va sottolineato che l’opera del matematico italiano
(pubblicata nel 1797, esattamente un secolo dopo la morte
di Mohr) ebbe una sorte più fortunata di quella dello
studioso danese e si inserì organicamente nel corso delle
ricerche matematiche tra il XVIII ed il XIX secolo36.
Dopo questa doverosa citazione, dedicheremo questa
sezione ai matematici che introdussero la Geometria
proiettiva; per fare ciò è indispensabile rifarsi a Girard
Desargues (1593-1662) che già nel 1636 pubblicò Methode
universelle de mettre en prospective les objects e nel 1639 il
Brouillon project d’une atteinte aux evenemens des
rencontres d’un cone avec un plan.
Il concetto di proiezione era un’idea fondamentale
dell’impostazione di Desargues e su di essa si basava
l’elegante trattazione delle sezioni coniche (Enriques, 1920;
36
Riportiamo ad esempio un’annotazione di C.B. Boyer: “Nel 1822 Poncelet,
traendo ispirazione dalle ricerche di Mascheroni, aveva suggerito l’ipotesi che tutte le
costruzioni della geometria piana euclidea potessero venire effettuate con una riga se
oltre ad essa si tracciava nel piano soltanto una circonferenza e se ne fissava il centro.
Questo teorema, che... fu dimostrato da Steiner, mostra che nella geometria euclidea è
impossibile fare completamente a meno del compasso, ma che, dopo averlo usato per
tracciare una sola circonferenza, si può metterlo da parte e continuare ad usare
soltanto la riga; similmente a quanto aveva fatto Mascheroni, usando soltanto
compassi” (Boyer, 1982, p. 608).
Cassina, 1921)37. Di importanza primaria è l’introduzione
dei punti improprî e delle rette improprie: Desargues
affermò che due o più rette sono “dello stesso ordine” se
sono parallele o se si incontrano in un punto. In entrambi
questi casi, il punto comune alle rette considerate è detto
loro punto traguardo. Analogamente, due o più piani sono
“dello stesso ordine” se sono paralleli o se si incontrano in
una retta. In entrambi questi casi, la retta comune ai piani
considerati è detta asse traguardo. Fasci di rette e fasci di
piani hanno quindi un “traguardo” ( sostegno) anche se sono
improprî (Arrigo & D’Amore, 1992).
Consideriamo ora un insieme di punti allineati, i quali
formino una retta (punteggiata); su tale retta sia fissato il
punto O, detto ceppo. Siano OA, OA’; OB, OB’; OC, OC’
tre coppie di segmenti sulla retta data tali che risulti:
OA⋅OA’ = OB ⋅OB’ = OC ⋅OC’
37
“Un metodo è generale, scrive Desargues a Mersenne, solo se esso risolve un
problema «con lo stesso discorso», cioè se, attraverso una proprietà generale, esso
fornisce soluzioni valide in casi diversi, che ne sono dipendenti... Consideriamo un
cono intero e le diverse posizioni possibili di un piano rispetto ad esso; il piano, scrive
Desargues, può passare per il vertice (condizione A) o no (B), tagliare il cono ad una
distanza infinita (M) o finita (N) dal vertice, non essere parallelo ad alcuna retta
generatrice (X), esserlo ad una sola (Y) o a due (Z). Le diverse combinazioni astratte
sono dunque:
AMX inimmaginabile
BMX ellisse
AMY niente o una retta
BMY inimmaginabile
AMZ due rette parallele
BMZ inimmaginabile
ANX un punto
BNX ellisse
ANY una retta
BNY parabola
ANZ due rette concorrenti
BNZ iperbole
Tutto teso dalla preoccupazione astratta delle combinazioni, Desargues non nota
che AMX non è inimmaginabile, ma contraddittoria (la distanza infinita implica il
parallelismo), che AMY e AMZ sono identiche... (il parallelismo riguarda allora tutte
le generatrici insieme), che BMY e BMZ sono contraddittorie («parallelismo»
implica «vertice»)” (Raymond, 1979, p. 106).
In tale caso le tre coppie di punti A, A’; B, B’; C, C’ sono
dette “in involuzione”: Desargues dimostrò che tre coppie
di punti in involuzione sono tali indipendentemente dalla
posizione del ceppo O.
Un importante risultato di Desargues riguarda la
proiezione su di una retta di tre coppie di punti in
involuzione appartenenti ad una retta. Il centro da cui
avviene tale proiezione può essere un punto proprio o un
punto improprio.
Teorema. Siano A, B; C, D; E, F tre coppie di punti in
involuzione su di una stessa retta; per essi passino tre
coppie di rette dello stesso fascio, di centro P (proprio o
improprio); allora tali rette intersecano qualsiasi altra retta,
non appartenente al fascio considerato, in tre coppie di
punti A’, B’; C’, D’; E’, F’ in involuzione.
Nella figura è illustrato il teorema ora enunciato nel caso
di un fascio proprio di sostegno S. Quindi è illustrato il caso
di un fascio improprio (osserviamo che la dimostrazione del
teorema ora ricordato, nel caso di un centro di proiezione
improprio, viene ad essere una diretta applicazione del
teorema di Talete; se invece il centro di proiezione è
proprio, la dimostrazione fu interamente trattata da
Desargues).
F'
F
E'
E
S
D
D'
C
C'
B
B'
A
A'
F
F'
E
E'
D
D'
C
C'
B
B'
A
A'
In altre parole, il teorema precedente assicura che la
proprietà di involuzione è invariante rispetto all’operazione
di proiezione ed all’operazione di sezione: questo è un
risultato dall’impostazione particolarmente moderna, che
anticipò di ben due secoli lo spirito e lo stile degli studi di
Poncelet sulle proprietà proiettive delle figure38.
Le idee di Desargues39 furono riprese da Blaise Pascal
(1623-1662), che nel 1640 (non ancora diciassettenne)
scrisse Essay pour le Conique, in cui è contenuto
l’enunciato della proposizione oggi nota come teorema di
Pascal.
Il teorema di Pascal afferma che i lati opposti
dell’esagono PQVONK (le coppie di lati PQ, NO; KP, OV;
e NK, VQ) inscritto in una circonferenza si incontrano in tre
punti allineati (A, M, S). Una versione moderna del teorema
di Pascal può essere espressa affermando che condizione
necessaria e sufficiente affinché un esagono sia inscrittibile
38
Nell’opera di Desargues sono trattate le coniche con un procedimento unitario,
moderno ed elegante: per lo studioso di Lione, tutte le coniche potevano essere
ricondotte ad una stessa figura, il cerchio, figura di volta in volta diversamente
considerata attraverso opportune proiezioni. Anche la Geometria greca, già prima di
Apollonio, considerava le coniche da questo punto di vista; ma Desargues fece di più:
riuscì, nelle parole di P. Freguglia, a “vedere all’infinito ed isola re alcune proprietà
competenti a tutte le coniche: proprietà che chiamiamo oggi proiettive” (Freguglia,
1982).
39
A. Bosse (1621-1678), incisore, pubblicò nel 1648 il trattato di prospettiva
Maniere universelle de Desargues pour pratiquer la perspective. Sempre riferite
all’opera di Desargues sono Moyen universel de pratiquer la perspective sur les
tableaux au surfaces irregulieres (1653) e Traité des pratiques geometrales et
perspectives (1656, talvolta erroneamente attribuita allo stesso Desargues). Non va
dimenticato Perspective adressée aux theoriciens, lavoro nel quale erano respinte
alcune critiche all’opera di Desargues espresse in La perspective speculative et
pratique de l’invention du sieur Aleaume, mise au jour par E. Mignon (1643). Va
citata anche l’opera di Breuil La perspective pratique necessaire à tous, par un
parisien, religieux de la Compagnie de Jesus, in cui le idee desarguesiane sono
grossolanamente travisate. A Parigi, nel 1611, C. Bourgoing in La perspective
affranchie ripresentò correttamente le teorie di Desargues (Bagni & D’Amore, 1994).
in una conica è che siano allineati i punti di intersezione
delle tre coppie di lati opposti.
A
P
K
M
N
O
Q
V
S
Notiamo che Pascal riprese dichiaratamente molti
risultati di Desargues, ma il suo teorema (del tutto
originale) gli consentì di mettere a punto un’impostazione
della teoria delle coniche certamente più generale ed
efficace rispetto a quella desarguesiana40.
40
“Pascal dedicò tempo ed energie considerevoli alla Geometria proiettiva, fu uno
degli inventori del Calcolo infinitesimale... Ebbe anche parte nelle ricerche iniziali
sulla probabilità. All’età di diciannove anni inventò la prima macchina calcolatrice
per aiutare il padre nel suo lavoro di agente delle tasse. Portò anche dei contributi alla
fisica... Pascal fu grande in molti altri campi. Fu un maestro della prosa francese: le
Pensées e le Lettres provinciales sono dei classici letterari. Divenne anche famoso
come polemista nel campo della teologia... Nelle ricerche matematiche si basava in
Come sopra ricordato, i concetti e i metodi della
Geometria proiettiva furono ripresi ed impostati con
chiarezza da Jean-Victor Poncelet (1788-1867), il quale nel
1822 pubblicò il Traité des proprietes projectives des
figures, opera nella quale è identificata la nascita della
moderna Geometria proiettiva. Un primo fondamentale
risultato è l’introduzione del “birapporto”: considerati
quattro punti A, B, C, D su di una retta, si dice loro
birapporto (ABCD) la quantità:
(ABCD) = (CA/CB) : (DA/DB)
Nel Traité, Poncelet risolse definitivamente il problema
della prospettiva: è noto, infatti, che nel passaggio da un
oggetto alla sua rappresentazione prospettica non si
mantengono le distanze né restano costanti i rapporti tra i
segmenti corrispondenti. L’invariante rispetto alla
proiezione è individuato dal teorema seguente:
Teorema. Dati quattro punti allineati A, B, C, D, siano
A’, B’, C’, D’ quattro punti ottenuti dai primi con u na
proiezione su di un’altra retta. Allora risulta: (ABCD) =
(A’B’C’D’).
gran parte sull’intuizione; egli anticipò grandi risultati, fece congetture superbe e si
rese conto dell’esisit enza di notevoli semplificazioni. Verso la fine della sua vita,
privilegiò l’intuizione come fonte di tutte le verità” (Kline, 1991, I, pp. 344 -345).
Come sopra ricordato, Pascal fu un discepolo diretto di Desargues; ma tra i
continuatori di quest’ultimo d eve essere anche citato Philippe De La Hire (16401718), autore delle Sectiones conicae, opera pubblicata tra il 1673 ed il 1675; De La
Hire riprese alcuni concetti ed alcuni metodi da Descartes e da Desargues. Anche nel
Traité de Stereotomie à l’usage de l’Architecture , pubblicato a Strasburgo tra il 1737
ed il 1739 da Amedeo Francesco Frezier (1682-1773), è chiaramente avvertibile
l’impostazione desarguesiana.
A'
A
B'
B
C
C'
D
D'
Dunque Poncelet dimostrò che il birapporto è invariante
nelle proiezioni: le proprietà con questa caratteristica si
dicono proprietà proiettive.
Un altro grande merito di Poncelet è di avere riproposto
organicamente e la nozione di punto all’infinito: nel XVII
secolo, come abbiamo notato, notevoli furono le resistenze
all’innovativa intuizione di Desargues; nel XVIII secolo
tale concetto venne utilizzato solo in parte, tanto che lo
stesso termine “punto all’infinito” era considerato come un
abuso di linguaggio (Cassina, 1921). Poncelet invece
utilizzò sistematicamente i punti all’infinito e fece “così
dello spazio proiettivo il quadro generale di tutti i fenomeni
geometrici” (Bourbaki, 1963).
In molti campi Poncelet si dimostrò assai vicino alle idee
di Desargues (autore peraltro, in quel periodo, del tutto
dimenticato): Poncelet, ad esempio, utilizzò frequentemente
la riduzione delle proprietà delle coniche alle proprietà del
cerchio mediante opportune proiezioni (procedimento
risalente a Desargues ed a Pascal); ciò era realizzato
attraverso l’omologia, nel piano, ed attraverso un’analoga
trasformazione proiettiva nello spazio. Dall’operazione di
proiezione Poncelet fece seguire il principio di continuità:
lo studio delle proprietà di una figura può dunque avvenire
su figure generali che possono variare con continuità per
effetto di trasformazioni proiettive, portando alle figure
particolari41.
Attenzione particolare merita l’evoluzione, nel secolo
scorso, di un concetto fondamentale per la Matematica
contemporanea. Poncelet si occupò con Joseph Diez
Gergonne (1771-1859), autore dell’ Essai de dialectique
rationelle, della proposizione denominata principio di
dualità, le cui radici possono essere peraltro ricercate
addirittura in Apollonio, e più tardi in Desargues, in de la
Hire e in Monge. Poncelet affrontò la questione della
dualità collegandosi principalmente alle forme quadratiche;
il lavoro di Poncelet sarà sviluppato, oltre che dallo stesso
Gergonne, da molti matematici, tra i quali ricordiamo Julius
Plücker (1801-1868), Michel Chasles (1793-1880, autore
del Traité de Geometrie superieure, pubblicato nel 1852) e
Charles Julien Brianchon (1785-1864). A Brianchon è
dovuto un risultato semplice ed elegante che, come
vedremo, consente di fornire un celebre esempio di dualità.
Il generale principio di dualità può essere enunciato
osservando che da ogni proposizione di Geometria
proiettiva piana può esserne ricavata un’altra, caratterizzata
41
Poncelet inoltre introdusse stabilmente nella Matematica il settore della
Geometria proiettiva complessa (già in parte trattato da Monge), superando così la
diffidenza con la quale i punti con coordinate immaginarie erano trattati nel XVIII
secolo.
dalla stessa struttura logica della prima, mediante lo
scambio di alcuni termini, detti duali42. Interessante ad
esempio è la relazione di dualità intercorrente tra il teorema
di Pascal, sopra presentato, ed il “te orema di Brianchon”.
Ricordiamo infatti l’enunciato della prima proposizione:
Teorema di Pascal. Condizione necessaria e sufficiente
affinché i vertici di un esagono stiano su di una conica è che
i punti comuni alle tre coppie di lati opposti appartengano
alla stessa retta.
In tale enunciato modifichiamo alcuni termini: in
particolare, sostituiamo “vertice” con “lato” (e viceversa) e
“punto” con “retta” (e viceversa). Otteniamo così la nuova
proposizione, detta duale della precedente:
Teorema di Brianchon. Condizione necessaria e
sufficiente affinché i lati di un esagono stiano su di una
conica (siano tangenti ad una conica) è che le rette comuni
alle tre coppie di vertici opposti abbiano in comune lo
stesso punto.
Il principio di dualità consente una notevole
semplificazione dell’opera dimostrativa, poiché la
dimostrazione di una proposizione implica la dimostrazione
della proposizione duale; esso deve quindi essere
considerato “tra i più rilevanti principî metamatematici”
(Freguglia, 1982, p. 154)43.
42
In particolare (Freguglia, 1982, p. 154): la nozione di proiezione è duale
della nozione di sezione e viceversa; la nozione di punto è duale della nozione
di retta e viceversa; la nozione di quadrangolo è duale della nozione di
quadrilatero e viceversa, etc.
43
Georg Karl Christian von Staudt (1798-1867), allievo di Gauss, scrisse
Geometrie der Lage (1847), in cui la Geometria proiettiva è studiata come Geometria
“di posizione” senza ricorrere al concetto di misura; chiara è la concezione di dualità;
riportiamo una citazione tratta da Geometrie der Lage: “Le prime proposizioni della
Geometria fanno già sentire una certa legge di reciprocità o di dualità, mercè la quale
3.4.2. Monge e la Geometria descrittiva
Uno dei creatori dell’École Polythecnique, Gaspard Monge
(1746-1818), fu il padre di quella che comunemente viene
oggi chiamata Geometria descrittiva; nella diffusa opera
Geometrie descriptive di Monge sono raccolte le lezioni
nello spazio il punto ed il piano stanno di fronte l’un l’altro (sono concetti reciproci);
ed ogni proposizione, in cui non sia fatta alcuna distinzione fra elementi propri e
impropri, trova il suo completamento in un’altra, che risulta dalla prima scambiando
fra loro punto e piano (quindi anche punteggiata e fascio di piani, segmento ed angolo
diedro etc.). Due tali proposizioni vengono collocate d’ordinario l’una a fianco
all’altra, come i due lati di un’unica proposizione” (Bottazzini; Freguglia & Toti
Rigatelli, 1992, pp. 131-132). Scrive P. Freguglia: “Con von Staudt la Geometria
proiettiva ricevette il suo assetto definitivo e fu resa completamente indipendente
dalla metrica nei suoi metodi e nei suoi principi. Infatti von Staudt... sviluppa secondo
un ordine di idee puramente grafiche tutta la teoria della proiettività” (Freguglia,
1982, p. 153). Arthur Cayley (1821-1895) in Fifth memoir upon quantics (1859)
affermò che il collegamento tra le proprietà metriche e le proprietà proiettive di una
stessa figura può essere realizzato attraverso l’uso dei punti ciclici. Egli “considera la
Geometria metrica nel contesto della Geometria proiettiva” (Struik, 1981). La
precisazione dei concetti di gruppo e di invariante portò ormai verso la definitiva
riunificazione dell’opera dei geometri dell’Ottocento: essa sarà realizzata da Félix
Klein (1849-1925), che nella propria Antrittvorlesung (prolusione inaugurale) del
1872 all’Università di Erlangen (i l documento oggi ricordato come programma di
Erlangen), identificò la Geometria con lo studio degli invarianti rispetto a gruppi di
trasformazioni. Il programma di Erlangen segnò una svolta metodologica
fondamentale: “Nel suo Programm Klein cominciava con l’osservare che le
trasformazioni dello spazio in sé formano un gruppo... Come esempî di gruppi Klein
suggeriva quello dei movimenti nello spazio e il suo sottogruppo dato dalle rotazioni
intorno a un punto fisso. Il gruppo dei movimenti era a sua volta un sottogruppo del
gruppo delle collineazioni. L’osservazione cruciale era che «vi sono nello spazio delle
trasformazioni che non alterano affatto le proprietà geometriche dei corpi», dove per
proprietà geometriche Klein intendeva quelle indipendenti dalla posizione della figura
da studiare nello spazio, dalla sua grandezza assoluta e dall’ordinamento delle sue
parti. Egli chiamava «gruppo principale» il gruppo di trasformazioni che lascia
inalterate tali proprietà” (Bottazzini, 1992, p. 223). “È significativ o che il programma
di Erlangen risalga... a un’epoca che fu decisiva per un’altra tappa del pensiero
geometrico (o metageometrico): la prova della coerenza relativa delle Geometrie noneuclidee. Sono convinto che esso abbia un valore rivoluzionario almeno pari a quello
dell’altro risultato citato” (Speranza, 1987, p. 17).
tenute dall’Autore all’École Normale nel corso di
“stereotomia” nell’anno accademico 1794 -1795 (abbiamo
esaminato la settima edizione: Monge, 1839).
Monge si proponeva di risolvere sia il problema della
rappresentazione di un oggetto tridimensionale che il
problema inverso, ovvero la ricostruzione delle
caratteristiche di un oggetto a partire dalla data sua
rappresentazione. Per questo, egli mise a punto un
procedimento
efficace
per
ricavare
una
tale
rappresentazione, denominato metodo della “dopp ia
proiezione
ortogonale”:
l’oggetto
è
proiettato
ortogonalmente su due piani tra loro perpendicolari, detti
primo e secondo piano di proiezione; l’intersezione di tali
piani (oggi detta “linea di terra”) era originariamente
indicata da Monge con il termine base de l’elevation .
Il piano verticale viene infine ruotato attorno alla linea di
terra fino a coincidere con il piano orizzontale: la
rappresentazione finale dell’oggetto in questione è quindi
contenuta in un’unica tavola nella quale sono rappresentati i
due piani sovrapposti.
Monge dimostrò che un punto è rappresentato da una
coppia di punti (proiezioni) appartenenti ad una retta
perpendicolare alla linea di terra; viceversa, ogni coppia di
punti appartenenti ad una retta perpendicolare alla linea di
terra costituisce la rappresentazione di un punto; inoltre,
una retta è rappresentata da una coppia di rette (proiezioni);
viceversa, ogni coppia di rette non perpendicolari alla linea
di terra costituisce la rappresentazione di una retta; infine,
un piano (non inclinato a 45° rispetto ai due piani
perpendicolari) è rappresentato dalle sue due tracce (le
intersezioni del piano considerato con i due piani di
proiezione), le quali si intersecano sulla linea di terra;
viceversa, due rette che si intersecano sulla linea di terra
costituiscono la rappresentazione di un piano.
T"
P(2)
L
T
P(1)
T'
Si definisce “retta di profilo” una retta le cui proiezioni
coincidano con una stessa retta perpendicolare alla linea di
terra; si può allora dimostrare che condizione necessaria e
sufficiente affinché un punto appartenga ad una retta non di
profilo è che la prima proiezione del punto appartenga alla
prima proiezione della retta e la seconda proiezione del
punto appartenga alla seconda proiezione della retta (se
invece la retta in questione è una retta di profilo, la
condizione enunciata è solo necessaria).
Nella Geometrie descriptive, Monge si occupò anche del
piano tangente ad una superficie curva (capitolo II),
dell’intersezione di superfici curve (nel capitolo III) e
dell’applicazione di tale argomento a diverse questioni
(capitolo IV; si veda: Bagni & D’Amore, 1994) 44.
44
Per quanto riguarda la trattazione matematica della prospettiva, l’Autore, dopo
avere presentato alcuni esempi corretti di ricavo della rappresentazione di un oggetto,
ricorda “un risult ato molto importante per le sue frequenti applicazioni”: “Tutte le
volte che dobbiamo mettere in prospettiva alcune rette parallele tra loro (ma non
parallele al quadro), su qualsiasi quadro, le prospettive di queste rette concorrono in
Bibliografia del capitolo 3
Andersen, K. (1985), Cavalieri’s method of indivisibles,
Archive for history of exact sciences, 31, 291-367.
Anglin, W.S. (1994), Mathematics. A Concise History and
Philosophy, Springer Verlag, Berlin.
Arrighi, G. (1973), La Geometria indivisibilibus
continuorum di Bonaventura Cavalieri nella ritrovata
stesura del 1627, Physis, XV, 133-147.
Bagni, G.T. (1992), Una breve storia “Delle matematiche
applicate” (1808) di Francesco Maria Franceschinis, La
matematica e la sua didattica, VI, 2, 28-32.
Bagni, G.T. & D’Amore, B. (1994), Alle radici storiche
della prospettiva, Angeli, Milano.
Bagni, G.T. (1996), Storia della Matematica. I.
Dall’Antichità al Rinascimento. II. Dal Rinascimento ad
oggi, Pitagora, Bologna.
Balacheff, N. (1982), Preuve et démonstration en
mathématique au collège, Recherches en Didactique des
Mathématiques, vol. 3, 3.
un punto” (Monge, 1 839, p. 230). Ricordiamo poi che, oltre a tali questioni di
prospettiva lineare, Monge in Geometrie descriptive si occupò del caso della
rappresentazione prospettica ottenibile quando il quadro è costituito da una superficie
sferica o da una superficie conica: Monge, 1839, pp. 255-257). Gaspard Monge fu
dunque un buon matematico ed un attivo e apprezzato insegnante; così C.B. Boyer
ricorda la sua attività didattica: “Monge tenne corsi universitarî su due discipline
matematiche entrambe essenzialmente nuove rispetto ai programmi di studio
tradizionali. La prima era allora nota col nome di stereotomia, corrispondente a quella
che oggi viene più comunemente chiamata Geometria descrittiva... All’École
Polytechnique egli tenne anche un corso sulla «applicazione dell’Analisi alla
Geometria». L’espressione abbreviata «Geometria analitica» non era ancora entrata
nell’uso corrente; così era anche per l’espressione «Geometria differenziale», ma il
corso tenuto da Monge era essenzialmente un’introduzione a quest’ultima disciplina”
(Boyer, 1982, pp. 549 e 551).
Barbieri, F. & Pepe, L. (a cura di) (1992), Bibliografia
italiana di storia delle matematiche 1961-1990, Bollettino
di storia delle matematiche, XII, 1.
Barbin, E. (1988), La démonstration mathématique:
significations épistémologiques et questions didactiques,
Bulletin de l’APMEP , 366. Inoltre: La dimostrazione
matematica: significati epistemologici e questioni
didattiche, Quaderni di lavoro n. 10, Istituto Filippin,
Paderno del Grappa.
Barbin, E. (1991), La démonstration mathématique:
histoire, épistémologie et enseignement, Actes des 2èmes
journées Paul Langevin, Université de Brest.
Barbin, E. (1994), Sur la conception des savoirs
géométriques dans les Éléments de géométrie, Gagatsis,
A. (a cura di) (1994), Histoire et enseignement des
Mathématiques,
Cahiers
de
didactique
des
Mathématiques, Thessaloniki, 14-15, 135-158.
Baroncelli, G. (1987), (Bonaventura Cavalieri) Carteggio,
Olschki, Firenze.
Beck, L.J. (1952), The Method of Descartes, Clarendon
Press, Oxford.
Bonola, R. (1906), La Geometria non-euclidea. Esposizione
storico-critica del suo sviluppo, Zanichelli, Bologna
(ristampa anastatica: Zanichelli, Bologna 1975).
Bortolotti, E. (1928), Studi e ricerche sulla storia della
matematica in Italia nei secoli XVI e XVII, Zanichelli,
Bologna.
Bortolotti, E. (1947), La storia della matematica nella
Università di Bologna, Zanichelli, Bologna.
Bottazzini, U.; Freguglia, P. & Toti Rigatelli, L. (1992),
Fonti per la storia della matematica, Sansoni, Firenze.
Bottazzini, U. (1987), La rivoluzione galileiana a Bologna:
Bonaventura Cavalieri, Storia illustrata di Bologna. I
novecento anni dell’Università , 8/VI, 141-160, AIEP,
San Marino.
Bottazzini, U. (1988), Antichi paradigmi e nuovi metodi
geometrici, Rossi, P. (a cura di), Storia della scienza
moderna e contemporanea, I, 129-162, UTET, Torino.
Bottazzini, U. (1990), Il flauto di Hilbert. Storia della
matematica moderna e contemporanea, UTET, Torino.
Bourbaki, N. (1963), Elementi di storia della matematica,
Feltrinelli,
Milano
(Eléments
d’histoire
des
mathematiques, Hermann, Paris 1960).
Boyer, C. (1969), The History of the Calculus, Hallerberg
et. al. (1969), Historical Topics for the Mathematics
Classroom, National Council of Teachers of
Mathematics, Washington.
Boyer, C.B. (1982), Storia della matematica, Mondadori,
Milano (A History of Mathematics, John Wiley & Sons,
New York 1968).
Carruccio, E. (1971), Cavalieri, Gillespie, C.C. (a cura di),
Dictionary of Scientific Biography, III, 149-153, New
York.
Carruccio, E. (1972), Matematiche elementari da un punto
di vista superiore, Pitagora, Bologna.
Cassina, U. (1921), La prospettiva e lo sviluppo dell’idea
dei punti all’infinito, Periodico di matematiche, 4, 1,
326-337.
Castelnuovo, G. (1938), Le origini del Calcolo
infinitesimale, Zanichelli, Bologna (ristampa: Feltrinelli,
Milano 1962).
Cavalieri, B. (1989), Geometria degli indivisibili,
Lombardo Radice, L. (a cura di), UTET, Torino (la prima
edizione è del 1966).
Cioffarelli, G. (1982), Su La sfera armillare, manoscritto di
Cavalieri, Montaldo, O. & Grugnetti, L. (a cura di), La
storia delle matematiche in Italia, Università di Cagliari,
Cagliari, 425-430.
Conforto, F. (1948), L’opera scientifica di Bonaventura
Cavalieri e di Evangelista Torricelli, Atti del Convegno di
Pisa, 23-27 settembre 1948, Ministero della P.I.,
Direzione Generale per l’Istruzione Tecnica.
Coxeter, H.S.M. (1942), Non euclidean geometry, Toronto
University Press, Toronto.
D’Amore, B. & Frabboni, F. (1996), Didattica generale e
didattiche disciplinari, Angeli, Milano.
D’Amore, B. & Matteuzzi, M. (1975), Dal numero alla
struttura, Zanichelli, Bologna.
D’Amore, B. & Matteuzzi, M. (1976), Gli interessi
matematici, Marsilio, Venezia.
Dapueto, C. (1992), La problematica del definire e del
dimostrare nella costruzione di un progetto per
l’insegnamento della matematica, Furinghetti, F. (a cura
di), Definire, argomentare e dimostrare nel biennio e nel
triennio: opinioni, esperienze e risultati di ricerche a
confronto, Atti del secondo Internucleo della Scuola
secondaria superiore, Progetto strategico del CNR:
Tecnologie e innovazioni didattiche, Quaderno n. 13, 1951.
Demetriadou, H. & Gagatsis, A. (1995), Teaching and
learning problems on the concept of vector in Greek
secondary education, Gagatsis, A. (a cura di), Didactics
and history of mathematics, Erasmus ICP 94-G-2011/11,
Thessaloniki.
Dieudonné, J. (1989), L’arte dei numeri , Mondadori,
Milano (Pour l’honneur de l’esprit humain , Hachette,
Paris 1987).
Duval, R. (1993), Registres de répresentation sémiotique et
fonctionnement cognitif de la pensée, Annales de
Didactique et de Sciences Cognitives, 5, IREM,
Strasbourg.
Duval, R. (1994), Les représentations graphiques:
fonctionnement et conditions de leur apprentissage, Actes
de la Quarantesixieme Rencountre Internationale de la
CIEAEM (in via di pubblicazione).
Eneström, G. (1912), Zur Geschichte der unendlichen
Reihen in die mitte des siebzehnten Jahrhunderte,
Biblioteca Matematica, 135-148.
Enriques F. & de Santillana, G. (1936), Compendio di
storia del pensiero scientifico, Zanichelli, Bologna
(ristampa anastatica: Zanichelli, Bologna 1973).
Enriques F. (1930), Gli Elementi di Euclide e la critica
antica e moderna Zanichelli, Bologna.
Enriques F. (1938), Le matematiche nella storia e nella
cultura, Zanichelli, Bologna (ristampa anastatica:
Zanichelli, Bologna 1982).
Euclide (1970), Gli Elementi, Frajese, A. & Maccioni, L. (a
cura di), UTET, Torino.
Favaro, A. (1885), Bonaventura Cavalieri nello Studio di
Bologna, Fava e Garagnani, Bologna.
Ferro, R. (1992), Definire, argomentare, dimostrare: il ruolo
della logica, Furinghetti, F. (a cura di), Definire,
argomentare e dimostrare nel biennio e nel triennio:
opinioni, esperienze e risultati di ricerche a confronto,
Atti del secondo Internucleo della Scuola secondaria
superiore, Progetto strategico del CNR, Tecnologie e
innovazioni didattiche, Quaderno n. 13, 61-82.
Fischbein, E. (1993), The theory of figural concepts,
Educational Studies in Mathematics, 24, 139-162.
Frajese, A. (1969), Attraverso la storia della matematica,
Le Monnier, Firenze.
Freguglia, P. (1982), Fondamenti storici della Geometria,
Feltrinelli, Milano.
Furinghetti, F. & Somaglia, A. (1997), Storia della
matematica in classe, L’educazione mate matica, XVIII,
V, 2, 1.
Furinghetti, F. (1993), Insegnare matematica in una
prospettiva storica, L’educazione matematica , III, IV,
123-134.
Furinghetti, F. (a cura di) (1992), Definire, argomentare e
dimostrare nel biennio e nel triennio: opinioni,
esperienze e risultati di ricerche a confronto, Atti del
secondo Internucleo della Scuola secondaria superiore,
Progetto strategico del CNR, Tecnologie e innovazioni
didattiche, Quaderno n. 13.
Gagatsis, A. & Thomaidis, J. (1995), Eine Studie zur
historischen Entwicklung und didactischen Transposition
des Begriffs “absoluter Betrag”, Journal für MathematikDidactik, 16, 1/2, 3-46.
Gallo, E. (1985), Geometria, percezione, linguaggio,
L’educazione matematica , 6, 61-104.
Gantchev, I. (1994), La période pré-grecque et grecque dans
le développement des Mathématiques en tant que source
de la didactique des Mathématiques, Gagatsis, A. (1994),
Histoire et enseignement des Mathématiques, Cahiers de
didactique des Mathématiques, Thessaloniki, 14-15, 195209.
Geymonat, L. (1970), Storia del pensiero filosofico e
scientifico, Garzanti, Milano.
Giuntini, S.; Giusti, E. & Ulivi, E. (1985), Opere inedite di
Bonaventura Cavalieri, Bollettino di Storia delle scienze
matematiche, V, 1-2, 3-352.
Giusti, E. (1980), Bonaventura Cavalieri and the theory of
indivisibles, saggio introduttivo a: Cavalieri, B.,
Exercitationes geometricae sex, rist. anastatica, U.M.I.,
Cremonese, Roma.
Giusti, E. (1982), Dopo Cavalieri. La dicussione sugli
indivisibili, Montaldo, O. & Grugnetti, L. (a cura di), La
storia delle matematiche in Italia, Università di Cagliari,
85-114.
Giusti, E. (1993), Euclides reformatus. La teoria delle
proporzioni nella scuola galileiana, Bollati Boringhieri,
Torino.
Grugnetti, L. (1992), L’histoire des mathématiques: une
expérience interdisciplinaire fondée sur l’histoire des
mathématiques, Plot, 60, 17-21.
Hanna, G. (1997), Il valore permanente della dimostrazione,
La matematica e la sua didattica, 3, 236-252.
Hoffer, G. (1981), Geometry is more than proof,
Mathematics teacher, 74, 1, 11-18.
Kitcher, P. (1984), The nature of mathematical knowledge,
Oxford University Press, New York.
Kline, M. (1982), La matematica nella cultura occidentale,
Feltrinelli, Milano (Mathematics in western culture,
Oxford University Press, New York 1953).
Kline, M. (1985), Matematica: la perdita della certezza,
Mondadori, Milano (Mathematics: the loss of certainity,
Oxford University Press, New York 1980).
Kline, M. (1991), Storia del pensiero matematico, I-II,
Einaudi, Torino (Mathematical thought from ancient to
modern times, Oxford University Press, New York 1972).
Koyré, A. (1973), Bonaventura Cavalieri et la géometrie des
continus, Études d’histoire de la pensée scientifique ,
Gallimard, Paris.
Laugwitz, D. (1998), Bernhard Riemann 1826-1866,
Turning Points in the Conception of Mathematics,
Birkhäuser, Basel.
Lolli, G. (1982), La dimostrazione in matematica: analisi di
un dibattito, Bollettino UMI, 6.
Loria, G. (1914), Le scienze esatte nell’antica Grecia ,
Hoepli, Milano.
Loria, G. (1929-1933), Storia delle matematiche dall’alba
delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino
(riedizione: Hoepli, Milano 1950; ristampa anastatica:
Cisalpino-Goliardica, Milano 1982).
Maracchia, S. (1992), Luca Valerio matematico Linceo,
Conti, L. (a cura di), La matematizzazione dell’universo.
Momenti della cultura matematica tra ‘500 e ‘600, 253302, Università di Perugia, Porziuncola, Assisi.
Mazzanti, G. & Piochi, B. (1990), Riflessioni sulla
dimostrazione in didattica della matematica, Didattica
delle scienze e dell’informatica nella scuola , 149, 45-50.
Menghini, M. (1982), Cavalieri e Leibniz: dagli indivisibili
al differenziale, Montaldo, O. & Grugnetti, L. (a cura di),
La storia delle matematiche in Italia, Università di
Cagliari, 385-394.
Pepe, L. (1982), Note sulla diffusione della Géométrie di
Descartes in Italia nel secolo XVII, Bollettino di Storia
delle scienze matematiche, II.
Raymond, P. (1979), La storia e le scienze, Editori Riuniti,
Roma.
Riccardi, P. (1887-1890), Saggio di una Bibliografia
Euclidea, Gamberini e Parmeggiani.
Riccardi, P. (1952), Biblioteca matematica italiana,
Gorlich, Milano (ristampa).
Segre, B. (1958), La vita e l’opera di E. Torricelli,
Archimede, 4.
Smith, D.E. (1959), A source book in Mathematics, Dover,
New York (prima edizione: McGraw-Hill, 1929).
Speranza, F. (1987), A che cosa serve la filosofia della
matematica?, La matematica e la sua didattica, 1, 14-24.
Speranza, F. (1992), La Geometria nelle scuole superiori:
dimostrazioni o progetto di razionalità, Furinghetti, F. (a
cura di), Definire, argomentare e dimostrare nel biennio
e nel triennio: opinioni, esperienze e risultati di ricerche
a confronto, Atti del secondo Internucleo della Scuola
secondaria superiore, Progetto strategico del CNR,
Tecnologie e innovazioni didattiche, Quaderno n. 13,
135-141.
Speranza, F. (1994), A la recherche d’une philosophie de la
mathématique idoine pour la didactique, Gagatsis, A. (a
cura di) (1994), Histoire et enseignement des
Mathématiques,
Cahiers
de
didactique
des
Mathématiques, Thessaloniki, 14-15, 187-194.
Struik, D.J. (1981), Matematica: un profilo storico, Il
Mulino, Bologna (A Concise History of Mathematics,
Dover, New York 1948).
Trudeau, F. (1987), La rivoluzione non euclidea, Bollati
Boringhieri, Torino.
Ulivi, E. (1987), Le fonti di Bonaventura Cavalieri: la
costruzione delle coniche fino allo Specchio Ustorio,
Bollettino di Storia delle scienze matematiche, VII, 1,
117-119.
Vacca, G. (1915), Sulle scoperte di Pietro Mengoli, Atti
dell’Accademia Nazionale dei Lincei (Classe di Scienze
Fisiche, Matematiche e Naturali), 24, 508-513, 617-620.
Vacca, G. (1929), Apollonio, Enciclopedia Italiana, III, pp.
686-687, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.
Vacca, G. (1932), Euclide, Enciclopedia Italiana, XIV, pp.
549-550, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.
Van der Waerden, B.L. (1983), Geometry and Algebra in
Ancient Civilizations, Springer Verlag, Berlin.
Testi originali riferiti al capitolo 3
Apollonio (1655), Apollonii Pergaei Conicorum Libri IV.
Cum commentariis R.P. Claudii Richardi, Verdussen,
Antwerpiae.
Apollonio (1661), Apollonii Pergaei Conicorum Lib. V, VI,
VII, paraphraste Abalphato Asphahanensi... Abrahamus
Ecchellensis Maronita... lat. reddidit, Io: Alfonsus
Borellus... curam in geom. vers. contulit, Cocchini,
Firenze.
Cavalieri, B. (1643), Trigonometria plana, et sphaerica,
linearis, & logarithmica, Benatij, Bologna.
Clavio, C. (1603), Euclidis Elementorum Libri XV, apud
Aloysium Zannettum, Roma (quarta edizione; la prima
edizione è del 1574).
Clavio, C. (1738), Aritmetica, Viezzeri, Venezia.
Commandino, F. (1619), Euclidis Elementorum Libri XV,
Typis Flaminij Concordiae, Pesaro (prima edizione:
1572; traduzione italiana: Urbino, 1575).
Descartes, R. (1682-1711), Epistolæ, I-II, Blaev,
Amstelodami, III, Halma, Leovardiæ.
Descartes, R. (1695), Geometria, una cum notis Florimondi
De Beaune, in lucem editu à Petro à Schooten, Knoch,
Francoforte sul Meno.
Legendre, A.M. (1831), Elementi di Geometria piana (I);
Elementi di Geometria solida (II), Di Napoli, Napoli.
Legendre, A.M. (1846), Éléments de Géométrie, Firmin
Didot Frères, Paris (14.me édition).
Mascheroni, L. (1798), Géométrie du compas, Doprat,
Paris.
Mascheroni, L. (1802), Problemi di Geometria, Genio
Tipografico, Milano.
Maurolico, F. (1575), De lineis horarijs libri tres, Francisci
Maurolyci Abbati Messanensi Opuscula Mathematica.
Liber I, 161-210; Liber II, 211-262; Liber III, 263-285;
apud Franciscum Franciscium Senensem, Venezia.
Monge, G. (1839), Géométrie descriptive, Hauman,
Bruxelles (7.me édition).
Euler, L. (1777), Saggio di una difesa della Divina
Rivelazione, Fontana, G. (a cura di) Bolzani, Pavia.
Franceschinis, F.M. (1787), Opuscoli matematici del P. D.
Francesco Maria Franceschinis Bernabita, Remondini,
Bassano.
Franceschinis, F.M. (1808), Delle matematiche applicate,
Nicolò Zanon Bettoni, Padova.
Frisi, P. (1825), Elogio di Bonaventura Cavalieri milanese,
Operette scelte, Silvestri, Milano, 183-248.
Pappo (1658), Mathematicae Collectiones, Commandino
(Ed.), De Duccijs, Bologna.
Piola, G. (1844), Elogio di Bonaventura Cavalieri,
Bernardoni, Milano.
Riccardi, P. (1887-1890), Saggio di una Bibliografia
Euclidea, Gamberini e Parmeggiani.
Riemann, B. (1898), Oeuvres mathématiques, GauthierVillars, Paris.
Rondelli, G. (1693), Elementa... a Hiemyniano Rondelli,
Longo, Bologna.
Tacquet, A. (1694), Elementa Geometriae, Tipografia del
Seminario, Padova.
Torricelli, E. (1644), Opera geometrica, Massae et de
Landis, Firenze.
Valerio, L. (1661), De centro gravitatis solidorum libri tres,
Dozza, Bologna (prima edizione: Roma 1604).
Syllogismos.it
History and Epistemology for Mathematics Education
(Giorgio T. Bagni, Editor)
Scarica

Capitolo 3