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SONIA CARMELITA DI GESU
IL DIRITTO ALL'IMMAGINE
E LA SUA TUTELA
2
Capitolo 1
I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ
§ 1 Premessa; § 2 Diritti fondamentali: a) Genesi
dei diritti fondamentali; b) Codificazione delle prime
forme dei diritti fondamentali; § 3 Diritti fondamentali
nell‟Ordinamento italiano; a) Diritti della personalità;
b) Diritti inviolabili nella Costituzione
§ 1 PREMESSA.
La
nozione
di
“immagine”
certamente
ricomprende, ma anche supera ampiamente il concetto
di raffigurazione fisica della persona 1, per investire
tutti quegli aspetti che, con appropriata definizione,
sono stati
unificati nel concetto di “identità
personale”.
E anche quando ci si rivolge al giudice per
l'abusiva divulgazione o esposizione dell'immagine
come “ritratto”, il più delle volte le ragioni di
contestazione varcano la questione, in sé, del mancato
consenso alla pubblicazione, per lamentare, invece, la
lesione del diritto all'identità personale dell'individuo
1
E ciò prima che nel diritto anche nel sentire comune,
laddove, quando si afferma che un soggetto “ci tiene alla
propria immagine”, ben si capisce che non è all'aspetto fisico
che quella persona si riferisce, bensì soprattutto alla
considerazione nell'ambiente sociale, in cui si svolge la sua
personalità (e già emerge, per come si intuisce, il primo
riferimento costituzionale).
3
rappresentato, che si è realizzata con una esposizione
non autorizzata.
Semmai il “consenso” da parte del titolare
dell'immagine- e per questo se ne parlerà
diffusamente nel presente lavoro – costituisce, spesso,
il discrimine tra quello che è consentito agli altri e
quello che, invece, è da ritenersi interdetto.
Infatti, è all'interessato che spetta, in prima
battuta,
la
valutazione
se
una
determinata
divulgazione possa incidere sulla sua identità
personale, la quale comprende, tra i tanti molteplici
aspetti anche quello di essere lasciato “in pace” o
“nell'oblio”, oppure di non essere accostato a
determinate ideologie o a determinati prodotti
commerciali, oppure di non essere considerato così
attaccato al “vil”
denaro da esporsi in pubblicità
commerciali: come si può, quindi, rilevare sin da
adesso, è infinita la gamma di situazioni che può
riguardare il diritto all'identità personale e le svariate
modalità della sua lesione e, quindi, delle esigenze di
tutela giudiziaria.
La nozione di immagine come identità personale
ha consentito, per come si vedrà nei capitoli che
seguono, una specifica tutela anche con riguardo alle
persone giuridiche, ed enti collettivi in generale, a
Stati e finanche con riguardo ad organismi privi di
personalità
giuridica
(pure
associazioni
non
riconosciute), con specifico riferimento testuale (nel
nostro Ordinamento) agli articoli 2 e 3 della
Costituzione.
Un discorso sul diritto all'immagine, nei termini
sopra precisati, necessita di una
introduzione sui
diritti della personalità, nonché sui diritti fondamentali,
4
dei quali quelli della personalità costituiscono la parte
più significativa, oltre che più visibile e cospicua.
Si può, quindi, raffigurare l'insieme dei diritti
fondamentali, o inviolabili, come un cerchio, al cui
interno si collocano i diritti della personalità, che, a
loro volta, comprendono il diritto all'immagine, inteso,
appunto, non come potere giuridico (esclusivo)
all'utilizzo del proprio aspetto fisico, ripreso in un
ritratto, bensì come insieme di facoltà giuridiche che
costituiscono il diritto all'identità personale.
La inclusione del diritto all'immagine nei diritti
fondamentali, unitamente agli altri diritti della
personalità dei quali fa parte, ha non un mero
significato descrittivo, bensì un preciso valore
giuridico, con riguardo alla tipologia della tutela, e
questo spiega gli sforzi profusi dalla dottrina e dalla
giurisprudenza (soprattutto costituzionale
e
di
legittimità) per dare giustificazione a una consistente
tutela giudiziaria del diritto all'immagine (appunto, in
quanto aspetto del diritto all'identità personale), sia in
ordine all'an sia in ordine al quantum, sia in ordine al
quomodo, anche al di là della sua espressa previsione
codicistica (e costituzionale).
In altre parole, l'immagine, grazie alla sua
inclusione, come diritto all'identità personale, nei diritti
della personalità, gode del grado di tutela
costituzionale spettante ai c.d. diritti fondamentali o
inviolabili dell'uomo, e che non solo gli Ordinamenti
interni dei Paesi con un un certo grado di civiltà, ma
anche quello internazionale ormai riconoscono da
tempo; anzi, di solito, ormai la partecipazione degli
Stati agli Ordinamenti internazionali è, per Statuto o
5
Trattato subordinata al riconoscimento appunto dei
diritti inviolabili.
§ 2 – I DIRITTI FONDAMENTALI
a)- Genesi dei diritti fondamentali
Secondo taluni studiosi la genesi dei diritti in
questione è da ricercare in una dimensione morale,
sempre esistita, seppur talora in nuce, in base alla
quale ogni uomo nasce con una sua specifica dignità,
in sé e per sé, a prescindere dalle sue condizioni di
razza o di lignaggio, come riconoscimento intuitivo
delle condizioni antropologiche e culturali che fanno
dell'uomo un unicum rispetto a tutti gli altri essere
viventi, quanto meno per la sua capacità di raziocinio.
Il riconoscimento di tale dignità lo si ritrova anche
nelle più antiche culture, le quali hanno ammantato
spesse volte con il mito (soprattutto religioso), che fa
riferimento a un ceppo comune o ad una comunanza
di origine di tutti gli uomini, l'esigenza di attribuire
almeno un minimo di rispetto a tutti gli esseri umani a
prescindere dalla loro condizione sociale (donne,
stranieri, e, per taluni aspetti, anche agli schiavi).
Appunto per questo, nell'antichità si faceva
generico riferimento a uno ius gentium, non scritto,
derivante da ancora più remote consuetudini, o al
volere degli dei, che avrebbero punito i violatori della
dignità dell'uomo minima di base, in quanto tale, per
dare a questa una qualche valenza di principio, anche
6
se non ancora di diritto 2 e, quindi, in concreto, privo
di sanzioni giuridiche.
Il rispetto di tale dignità implicava quindi
l'osservanza
di
taluni
principi,
ricondotti
cumulativamente nella nozione di un diritto o, più
precisamente, di un principio primordiale, per
contrapporlo al diritto positivo, cioè a quello codificato,
oppure riconosciuto attraverso specifiche consuetudini.
D'altra parte, riflettendo, è agevole rilevare come
i Dieci Comandamenti o le XII Tavole dei Romani o le
Tavole di Hammurabi, o certi principi umanitari di cui
si parla nell'Iliade e nell'Odissea, costituiscono in
buona sostanza lo sforzo dell'umanità per darsi delle
regole di base e tramandarle in tale veste ai Posteri, il
cui valore discendeva, appunto, non dalla loro
redazione per iscritto o dalla statuizione di un monarca
o di un'assemblea, ma dal riconoscimento che erano
state imposte dalla Divinità o comunque costituivano
antiche consuetudini, il cui ricordo si perdeva nella
notte dei tempi.
A ben vedere, si può anche affermare che i
principi in questione (che secondo la più antica
tradizione andranno a costituire il fulcro del diritto
naturale) nascono come antica e ancestrale risposta
alla prima necessità dell'uomo,
quella della
sopravvivenza, che in tanto si può realizzare in quanto
2
Un ricordo di tale concezione si ritrova nelle tragedie
greche, nelle quali la violazione di taluni principi da parte di
chi deteneva un potere, per definizione illimitato, non
trovava una sanzione legale, bensì era punita dall'intervento
degli dei vindici, nel suo significato latino di “garante”
(vindex) della violazione perpetrata.
7
ognuno riconosca agli altri quel valore minimo di base
di cui si ha bisogno per vivere (e sopravvivere).
E il primo valore è sicuramente la dignità
dell‟uomo come tale, a prescindere dalle sue condizioni
sociali, ed ha la sua prima espressione nel diritto alla
vita: non per nulla, l'Ordinamento romano, anche il
più antico, attribuiva la libertà allo schiavo che venisse
abbandonato, malato, dal padrone.
Sotto tale profilo, ancor prima dell'epoca di
ideazione dei Dieci Comandamenti, dati direttamente
dalla Divinità secondo la tradizione biblica, nello stesso
Antico Testamento sia l'episodio della (mancata)
immolazione di Isacco, nel quale Jahve prima richiede
il sacrificio umano e poi all'ultimo momento ne
impedisce l'esecuzione, sia quello, ancora precedente,
in cui lo stesso Jahve, agli albori della vita, al timore
espresso dal fratricida Caino, di poter essere ucciso da
chiunque lo incontri, si fa garante della sua vita, pena
la vendetta divina, possono essere interpretati come
un ancestrale riconoscimento della sacralità della vita,
poiché la Divinità non vuole sacrifici umani e nel
contempo fa divieto di vendette sommarie e popolari
(senza processo, diremmo oggi).
E' intuitivo, poi, che, come corollario del diritto
alla vita, come base per la sopravvivenza del genere
umano, l'ulteriore valore che ciascun uomo vuole che
gli venga riconosciuto è un minimo di dignità come
persona, necessaria per garantire una esistenza poco
superiore alla mera sopravvivenza belluina.
Si deve, quindi, dare per assioma che il consenso
ideale che ciascun uomo vuole per sé - e che, per
reciprocità necessitata, deve ammettere per gli altri al
fine di una minima ordinata vita di relazione - è quello
8
del riconoscimento della sua dignità di uomo, primo
valore fondamentale.
Dal concetto di dignità dell'uomo si sono
sviluppati, anche se lentamente, i valori della libertà e
dell'uguaglianza, imprescindibili nella vita di relazione,
ed ha preso corpo, col tempo, il concetto di “identità
personale”.
Sotto tale aspetto si può dire che la nozione di
diritti fondamentali trova la sua comprensione, quindi,
in concetti come dignità, libertà e uguaglianza.
La nozione in questione è però un prodotto tipico
dell'età moderna: con ciò si vuol dire che, mentre le
idee di dignità umana, di libertà e di uguaglianza si
possono ritrovare, anche se con molti limiti e
“distinguo”, anche in epoche antiche, sulla base di
riflessioni filosofiche, etiche e religiose, è soltanto
nell'età moderna (prima con l'Illuminismo e poi con
l'avvento dello Stato liberale) che assurgono, in modo
più o meno pronunciato, a dimensione di "diritti
fondamentali".
Tutto ciò è avvenuto, in parte, a seguito della
trasformazione del contesto economico, da agricolo e
artigianale a industriale, che aveva determinato nuove
esigenze, e, quindi, per ragioni spesso prosaiche 3 ,
3
V., ad esempio, l’esigenza dell’economia
più
industrializzata di una maggiore mobilità della forza lavoro,
che indusse una parte degli Stati Uniti d’America a
propugnare l’abrogazione della schiavitù, sulla quale viveva
l’economia agricola degli Stati del Sud, con ciò dando
origine, quanto meno nell’immediato, a una massa di
proletari, ma creando – va riconosciuto – anche le
premesse per una emancipazione di una parte di umanità
9
ma anche per ragioni di ordine sociale culturale e
politico,
con
la
liberazione
dell'individuo
dall'assoggettamento alla corporazione ed allo status
della casta (nobile - plebeo - servo della gleba schiavo) per una conquistata dignità che lo pone
comunque in correlazione con una riconosciuta pari
dignità (almeno, di base) dei suoi consimili.
Nella loro genesi, i diritti fondamentali sorgono e
si sviluppano (quanto meno in parte) in un primo
momento come limite al potere degli Organi dello
Stato, sulla base delle idee del contratto sociale e dei
diritti naturali, posizioni soggettive che si intendono
affermare come preesistenti allo Stato stesso.
In questo modo si può dire che si laicizza quel
concetto di dignità e libertà dell'uomo che in
precedenza (e ci riferisce ovviamente, per quel che ci
riguarda, soprattutto alla cultura occidentale, che con
il cristianesimo si era sviluppata), trovava il suo
principale difensore nella Religione e il credo religioso
riguarda.
Non per nulla uno dei primi e principali diritti
fondamentali che si è affermato nell'evo moderno è
stato la libertà di coscienza e di religione con il famoso
"Editto di Nantes" del 1598, con il quale il re di Francia
riconobbe libertà di culto ai calvinisti.
Alla radice dei primi diritti fondamentali è stata
quindi l'affermazione della libertà dell'uomo, come
diritto alla non interferenza da parte dello Stato in
materia di libertà religiosa.
che era stata strappata violentemente dalla propria terra di
origine.
10
Il
merito
storico
(se
così
vuol
dirsi)
dell'elaborazione di un primo nucleo di diritti inviolabili
spetta indubbiamente al mondo anglosassone, nel
quale già in epoca medievale si andò affermando l'idea
di diritti, derivanti da antica tradizione, coperti da
specifiche garanzie che i sudditi potevano far valere
nei confronti del principe.
Trattasi di primi diritti di libertà individuale, che
non potevano subire restrizioni da parte dell'autorità,
se non con la garanzia costituita dall'intervento di un
giudice.
Il potere giudiziario nel sistema anglosassone ha
rappresentato, quindi, (ed è stato considerato) per
tradizione secolare non un braccio dell'autorità 4, bensì
il tipico strumento di garanzia di libertà, che col tempo
ha addirittura costruito ed elaborato lo stesso sistema
di diritti inviolabili, mediante una evoluzione degli
stessi principi: è la garanzia della "Rule of law".
Precisamente, il nucleo, dal quale è partita la
costruzione dei diritti fondamentali, è costituito dai
principi di libertà personale, accanto a quelli della
sovranità del Parlamento e della divisione dei Poteri.
Il riferimento agli "antichi diritti di libertà" degli
inglesi viene fatto risalire alla "Magna Charta
Libertatum" del 1215, concessa da Giovanni Senza
Terra, e valeva per ribadire che il sovrano si limitava a
riconoscere antichi diritti e non ad attribuirli ex novo,
con la conseguenza che gli era interdetto di toglierli o
modificarne la consistenza.
4
V., al contrario, il giudice di collodiana memoria.
11
Nel contesto di quei principi - che in buona
sostanza potevano anche giustificare il regicidio, come
reazione nei confronti del sovrano che fosse venuto
meno
all'impegno
di
rispettarli
e
garantirne
l'osservanza - viene individuato e impostato il rapporto
tra principe e sudditi, in cui il primo s'impegnava a
garantire il rispetto di diritti che trovavano fondamento
in antiche tradizioni, e si colloca l‟habeas corpus act
del 1679, che consentiva al cittadino, arrestato
illegalmente, di ottenere immediatamente la libertà
rivolgendosi al giudice.
Al giudice quindi spettava (e spetta) di verificare
che non vi fosse prevaricazione nel comportamento del
Potere (che potremmo dire esecutivo) in ordine alle
libertà fondamentali del suddito (poi cittadino).
La tradizione dei diritti inviolabili è transitata
dall'Inghilterra alle Colonie inglesi costituite in
America, portando col tempo a una compiuta
elaborazione giuridica, recepita formalmente in "Carte
o Dichiarazioni di Diritti", poi trasfuse (con ulteriori
affinamenti) nelle Costituzioni dei singoli Stati, nella
"Dichiarazione dei Diritti" e infine nella Costituzione
degli Stati Uniti.
Le Dichiarazioni in questione hanno costituito,
quindi, in primo luogo, 5 un limite allo stesso
5
Significativo, al riguardo il primo emendamento della
Costituzione federale degli Stati uniti, adottato nel 1791
(nello stesso periodo, quindi, della "Dichiarazione dei Diritti",
deliberata in Francia nel 1789), con il quale si stabiliva che il
Congresso non poteva fare alcuna legge che imponesse un
culto o ne impedisse altri, che conculcasse la libertà di
parola e di stampa o il diritto del popolo di riunirsi
12
legislatore, ergendosi finanche come limite esterno
all'applicazione delle altre norme di common law, con
la conseguenza che taluni principi sono da ritenersi
collocati in un gradino superiore alle altre leggi e allo
stesso Ordinamento costituito, il quale non li può né
violare né disattendere, e quindi è tenuto a rispettarli
e farli rispettare dai consociati, nonchè dai governanti.
Circa l'origine di tali diritti era dominante all'epoca
(in America) l'idea che si trattasse di diritti innati, in
quanto trasfusi da Dio nel cuore di ogni uomo 6, e
come tali non disponibili, né oggetto di possibile
negoziazione: da ciò la loro definizione di "Diritti
inviolabili".
L'accantonamento del Divino (soprattutto nei
Paesi dell'Europa continentale sotto l'influsso dei
principi ispiratori dell'Illuminismo e della Rivoluzione
francese) fortunatamente non ha inciso sul carattere di
inviolabilità di tali diritti, variamente fatti derivare
dalla retta "Ragione" e da valori naturali "etico-sociali".
b) Codificazione delle prime forme dei diritti
fondamentali
Così delineata la genesi del concetto di diritti
fondamentali, è da rilevare che nelle prime
Dichiarazioni di diritti, i tre ambiti principali di diritti
fondamentali furono individuati nelle libertà individuali
(correlate al concetto di tolleranza, come principio di
pacificamente e di presentare petizioni al Governo per la
riparazione di un torto.
6
V. richiami in Enciclopedia Giuridica Treccani: voce
"Diritti inviolabili" di A. Baldassarre
13
tutela della libertà individuale, soprattutto in materia
di coscienza, dal potere dello Stato), nei diritti politici
e di partecipazione e nelle garanzie processuali.
I diritti politici e di partecipazione si sviluppano
attraverso il passaggio dalla giustificazione teologica
del potere al concetto di “contratto sociale”: ciò
porterà, con il Montesquieu, al principio del riparto dei
poteri (legislativo - esecutivo e giudiziario) ed alla
attribuzione della sovranità al popolo che la esercita
mediante il "diritto fondamentale" di partecipazione,
con il suffragio del voto.
Così, per andare direttamente al principio della
dignità umana, significativo è stato nel '700 il
movimento di umanizzazione del diritto penale e
processuale 7, che conduce, a sua volta, ai (primi)
diritti fondamentali in materia di diritto penale e di
garanzie processuali: contestazione della tortura, sia
come strumento per raggiungere la prova, con
l‟affermazione del principio di legalità, che richiede la
necessità di una procedura con delle garanzie a tutela
dell'incolpato, sia come pena perché non violi la
dignità della persona.
Con l'affermazione della Rivoluzione liberale si
avvierà, in modo compiuto, il primo nucleo dei diritti
fondamentali nei tre ambiti sopra indicati (diritti di
libertà - diritti politici e di partecipazione - garanzie
penali e processuali), mediante un processo di
codificazione e internazionalizzazione.
La codificazione si rende necessaria per una
maggiore certezza e garanzia dei diritti fondamentali,
7
Si pensi al libretto "Dei delitti e delle Pene" di Cesare
Beccaria.
14
attesa l'insufficienza del concetto in sé di diritti
naturali, e per una più sicura protezione processuale
degli stessi, ed è grazie ad essa che i diritti
fondamentali, basati sul principio della dignità
dell'uomo, transitano da principi etici, preesistenti allo
stesso Stato, a norme giuridiche cogenti per lo Stato e
per i consociati: la codificazione è quindi il segno
dell'accettazione da parte della società organizzata di
principi, che, dal punto di vista naturale, preesistono
allo Stato stesso.
Il processo d'internazionalizzazione dei diritti
fondamentali si pose poi come una necessità per una
più efficace difesa degli stessi, nonché per evitarne
una facile elusione soprattutto da parte degli Stati di
più recente formazione; ma l'affermazione di tali
diritti, per essere efficace, ha bisogno di strumenti
internazionali che in atto non possono che basarsi sul
consenso dei singoli Stati (Convenzioni) o comunque
su
regolamentazioni
che,
già
stabilite
dalla
maggioranza degli Stati, i nuovi Stati siano indotte ad
accettare per beneficiare di agevolazioni di altro tipo.
Significativo è il fatto che l'internazionalizzazione
di diritti fondamentali si è raggiunta per aree
geografiche e in relazione ad ideologie omogenee
oppure mediante inclusione dei diritti in questione in
preesistenti Organismi sovranazionali, originati da
motivazioni di economia comune (così nell'ambito
dell'Europa occidentale).
Tra le fonti internazionali dei diritti inviolabili si
ritiene utile ricordare la Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle
Nazioni Unite in data 10 dicembre 1948, la
Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri
15
dell'uomo, firmata a Bogotà nel 1948, la Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950
ed i successivi otto Protocolli addizionali.
Trattasi di atti contenenti la formulazione solenne
dei
principi
che,
affermati
dalla
Comunità
internazionale, dovrebbero essere accettati da tutti gli
ordinamenti statuali; tali principi, purtroppo, di fatto
sono ben lungi dall'essere osservati, sol che si
considerino le frequenti denunce di Amnesty
international e di altre Organizzazioni umanitarie,
talora riguardanti anche Stati che si fregiano di essere
culle di civiltà e di democrazia.
§ 3 DIRITTI FONDAMENTALI
NELL’ORDINAMENTO ITALIANO.
a) Diritti della personalità.
Il merito della costruzione della categoria dei
diritti della personalità spetta in primo luogo al Diritto
civile, il quale nel tempo diede veste giuridica a tutta
una serie di attributi della persona come individuo
(diritto alla identità personale, e quindi al nome, diritto
alla inviolabilità fisica e morale, diritto a difendersi, e
così via), ponendoli come assoluti, acquisiti a titolo
originario e imprescrittibili.
Costituendo veri diritti, nel senso civilistico del
termine, trovano tutela con gli strumenti (giudizio
civile - procedimenti cautelari ecc., azione aquilana ex
16
articolo 2043 c.c.) previsti, appunto, per tali posizioni
giuridiche dal nostro ordinamento 8.
Proprio per la loro valenza di diritti soggettivi
perfetti, neppure in passato si sono nutrite incertezze
circa la pienezza della tutela, ma riguardo al pubblico
potere (prima il principe poi il governo, più o meno
democraticamente costituito) la questione era più
dubbia, considerata la possibilità, per questo, di poterli
in qualche modo comprimere (o, di fatto, annullarli),
anche senza il ricorso a una formale prevaricazione,
attribuendosi una spiccata prevalenza al c. d. pubblico
interesse (che la stessa autorità verificava e dichiarava
con la massima discrezionalità attraverso un proprio
atto).
Appunto per tale ragione, nelle pagine che
precedono, si è ritenuto utile descrivere l‟evoluzione,
nel costume, nelle consuetudini e poi in formali
Dichiarazioni di diritti, dei diritti della personalità,
come facoltà dell‟individuo, prima suddito e poi
cittadino, che anche l‟autorità era tenuta a riconoscere
ed a rispettare.
b) Diritti inviolabili nella Costituzione
b-1) In sede di elaborazione della Costituzione
italiana si pose in primo luogo il problema della veste e
della posizione da dare ai "diritti inviolabili".
L'Assemblea costituente appariva formata da tre
diverse
componenti,
che
avevano
comunque
partecipato alla lotta partigiana, quella cattolica, quella
8
V. F. Gazzoni - Manuale di diritto privato - Edizioni
Scientifiche Italiane, pagg. 167 e segg. e passim.
17
di sinistra (social-comunista) e quella laica (a sua volta
comprendente sia un'ala liberale sia un'ala più
conservatrice, emersa in sede elettorale, seppur,
quanto meno in parte, non del tutto scevra di legami
con il passato regime), ciascuna portatrice di
specifiche concezioni; ma, grazie allo spirito ideale
che, nell'insieme, la pervadeva, giunse agevolmente a
un accordo di massima sulla base dell'accettazione
unanime di tre principi 9: - prius della persona rispetto
allo Stato; - primato dei valori della dignità umana e
dei valori di socialità-solidarietà; - anteriorità
dei
diritti della persona e delle comunità sociali rispetto
allo stesso Stato.
Con riguardo al terzo principio, è stato, appunto,
osservato 10 che nella Costituzione si è parlato di
"riconoscimento" dei diritti inviolabili, per significare
che lo Stato non crea tale tipologia di diritti, ma li
trova radicati nella coscienza sociale e s'impegna ad
assicurarne il rispetto senza mai farli venir meno.
Sul punto va ricordata la concezione del rapporto
tra Stato e cittadino, riguardo ai diritti inviolabili, che
(soprattutto) nel passato ha opposto gli ordinamenti
anglo-americani da quelli dell'Europa continentale,
anche successivamente all'affermarsi dei principi
introdotti dalla Rivoluzione francese.
Mentre negli ordinamenti anglo-americani è stato
sempre un dato incontestato che taluni diritti (detti
appunto fondamentali o inviolabili) sono preesistenti
9
V. Enc. Giuridica Treccani: Voce Diritti inviolabili di A
Baldassarre.
10
V. Mortati Costantino, Istituzioni di diritto pubblico Cedam 1962 - : pagg. 718 e segg.; 834 e segg.
18
allo Stato, qualsiasi Stato, il quale non si arroga quindi
la presunzione di essere il creatore di tali diritti, ma
s'impegna invece a rispettarli (e a farli rispettare),
negli ordinamenti dell'Europa continentale lo Stato
(seppur poi liberale), venendo considerato il prius
logico di qualsiasi substrato sociale, si è ritenuto il
fondamento di tutti i diritti, e quindi anche di quelli c.
d. fondamentali, con l'argomentazione che spetta al
popolo sovrano (direttamente o per il tramite dei suoi
rappresentati) il potere di individuare in concreto i
diritti
spettanti
al
cittadino,
oppure
(anche
riconoscendo la sussistenza di posizioni fondamentali
preesistenti) comunque di determinarne modalità di
esercizio ed eventuali limitazioni o sospensioni
nell'interesse del popolo (sovrano).
In questo modo, di fatto, malgrado il
riconoscimento formale di diritti fondamentali, si è
giustificato qualsiasi limite se non al diritto in sé,
almeno all'esercizio di esso nell'interesse superiore del
popolo (e dello Stato, come ente esponenziale della
comunità, che in nome del popolo la sovranità
esercita).
Il costituente italiano, al contrario - per come si è
detto – ha preferito ancorarsi in modo deciso alla
concezione anglo-americana, affermando l'inviolabilità
(anche da parte del legislatore) di talune posizioni
fondamentali 11 .
11
E il Mortati (v. nell'opera citata nella nota
precedente) prosegue ricordando che la indicazione
dell'aggettivazione "inviolabili" rispetto all'altra che era stata
proposta di "naturali" fu una vera scelta di campo sia per
indicare l'impegno solenne che in tal senso si assumeva il
nuovo stato democratico di rispettarli e fare rispettare (con
19
Tornando alla genesi della nostra Costituzione è
da dire che il merito di favorire e poi illustrare il
compromesso raggiunto tra le varie componenti
(soprattutto tra quella cattolica e quella di sinistra), va
a un notevole esponente cattolico, ma aperto agli
orientamenti di sinistra e del Laicismo liberale.
La differenza (ideologica) era, in buona sostanza,
tra la concezione "giusnaturalistica", all'interno della
quale una parte dei cattolici c. d. integralisti poneva
l'accento sul carattere trascendente del diritto
naturale, e quella "storica" (della sinistra)
circa
l'origine di tali diritti, e tra la concezione
rigorosamente "individualistica" della componente laica
e quella “sociale e solidaristica” di una parte dei
cattolici e della sinistra.
Il c. d. compromesso consistette nel fatto che si
riconobbe il prius di tali diritti rispetto allo Stato, il che
implicava anche un corrispondente riconoscimento di
taluni valori dell'individuo, inviolabili dallo Stato
stesso, e, nel contempo, l'attribuzione di un valore
costituzionale a taluni principi di solidarietà sociale.
Fu una perspicace soluzione, che fece superare
l'impasse,
in
cui
sembrava
essersi
arenata
l'Assemblea, e che, tutto sommato, non era neppure
un vero e proprio compromesso.
b-2) Oggi una questione circa l'origine dei diritti
inviolabili (trascendente - naturale - storica, legata,
gli strumenti giuridici posti a disposizione della persona), sia
per evitare un rinvio a un concetto suscettibile di variazione
nel tempo, e, come tale, meno pregnante per l'impegno che
l'Ordinamento assumeva.
20
cioè, all'affermazione del principio della sovranità
popolare) non solo può dirsi sterile, ma potrebbe
rivelarsi, alla lunga, negativa, bastando negare la
premessa per metterne in discussione la validità, come
d'altra parte (e l'esperienza di taluni regimi totalitari,
come pure quella di un esasperato liberalismo
mercantile, sono state, a questo proposito, maestre)
se da un lato taluni diritti dell'individuo non devono
essere conculcati, dall'altro, la solidarietà sociale, alla
lunga, giova non soltanto alle classi più derelitte,
perché porta oltre che alla pace tra le varie
componenti della società, anche a un maggior
benessere per tutti.
Quel che conta, in altre parole, è che lo Stato, e
così anche gli Ordinamenti sopranazionali, hanno
preso piena coscienza che i diritti relativi alla dignità
dell'individuo e alla libera manifestazione del pensiero
ed alla difesa (in giudizio) si pongono come un prius
da riconoscere, rispettare e garantire.
Eliminato il riferimento all'origine dei diritti – che
costituiva, per come si è appena detto, uno degli scogli
tra le varie componenti della Costituente- e collocati
nello stesso contesto i diritti della persona come
"individuo" con i diritti della persona come parte di
"formazioni sociali" e quindi come "cittadino", con
l'ulteriore riferimento ai doveri di solidarietà che fanno
carico su tutti, si pose il problema se l'affermazione
solenne dei diritti inviolabili dovesse essere inserita in
un preambolo esterno oppure nel testo della
Costituzione: prevalse quest'ultima tesi per ragioni di
ordine
sistematico;
per
analoghe
ragioni
(sistematiche) fu accantonata la proposta del
Calamandrei di dichiarare i diritti in questione superiori
21
alla legge, non modificabili e non eliminabili neppure
dal potere di revisione costituzionale, anche se fu
unanime l'idea che, trattandosi, appunto, di diritti
preesistenti allo Stato e che questi si limitava a
riconoscere e a garantire, il legislatore non avrebbe
potuto (neppure con il sistema della revisione
costituzionale) introdurre normative che costituissero
violazione di tali diritti.
A questo punto non fu difficile passare
all'elaborazione del testo, ponendo l'accento (nei primi
tre articoli della Costituzione) sulla concezione
democratica dello Stato (art. 1), sulla concezione dei
diritti inviolabili, che lo Stato s'impegnava a garantire,
con riferimento anche ai doveri “inderogabili” di
solidarietà politica, economica e sociale (art. 2) e sulla
pari dignità ed eguaglianza di tutti, che lo Stato,
analogamente, s'impegnava a garantire e a realizzare
nella sostanza (art. 3).
Precisamente, nell'articolo 2 si fa riferimento ai
diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nella
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,
mentre nell'articolo 3 si afferma solennemente la pari
dignità sociale di tutti i cittadini, la loro eguaglianza
davanti alla legge e l‟esigenza di assicurare il pieno
sviluppo della persona umana.
E proprio l'articolo 2 costituirà – per come si
andrà a illustrare nei capitoli che seguono – il dato
giuridico fondamentale per una più puntuale tutela del
diritto all'immagine (come diritto alla identità
personale).
Il richiamo poi alle "formazioni sociali, ove la
personalità del singolo si svolge" e ai "doveri
inderogabili di solidarietà", costituiva una notevole
22
innovazione rispetto alle concezioni individualistiche
nate dalla rivoluzione francese, nonché accettazione di
un fondamento etico dei diritti stessi, al fine di evitare
che l'esasperato individualismo andasse a nuocere alla
effettività della tutela dei diritti inviolabili che lo Stato
riconosceva.
Significativa è, al riguardo, la differenza tra la
solenne proclamazione dell'eguaglianza e della pari
dignità davanti alla legge contenuta nell'art. 3 Cost. e
l'affermazione contenuta nell'art. 24 dello Statuto
Albertino che affermava l'eguaglianza, peraltro in
senso soltanto formale, davanti alla legge e conferiva
a tutti "i regnicoli" il godimento dei diritti civili e
politici, salve le eccezioni determinate dalle leggi.
I
diritti
della
personalità,
pur
essendo
indubbiamente diritti soggettivi di natura civilistica,
dalle discipline giuspubblicistiche sono stati considerati
anche come categoria dei diritti soggettivi pubblici12,
diretti alla tutela della persona (come esercizio di
determinate facoltà e come pretesa a che la spettanza
dei medesimi non sia disconosciuta o che il loro
godimento non sia turbato da altri).
Tra tali diritti (per rimanere nelle tematiche del
presente lavoro) è stato individuato il diritto al rispetto
dei segni che contraddistinguono la persona e i diritti
di libertà civile, come sfera in cui si estrinseca
l'autonoma attività dell‟individuo.
Oltre che tra i "Principi fondamentali" (articoli 112), anche nella "Parte Prima" della Costituzione
(articoli 13 - 28) si riscontrano ulteriori utili indicazioni
per la individuazione dei diritti della personalità,
12
V. Mortati, citato.
23
laddove si parla della inviolabilità della libertà
personale e del domicilio, della libertà e segretezza
della corrispondenza e di ogni altra forma di
comunicazione.
Tra questi diritti non è dubbio che va annoverata,
poi, anche la libera manifestazione del proprio
pensiero (con la connessa libertà di stampa): art. 21,
che, per certi versi, per come si vedrà in prosieguo, va
a confrontarsi e spesso a collidere con il diritto alla
identità personale.
Vi rientra poi il diritto alla difesa in ogni stato e
grado del procedimento(art. 24), non per nulla definito
anche questo dal Costituente "diritto inviolabile", utile
per una interpretazione “costituzionalmente orientata”
di talune disposizioni processuali, e, per tale profilo,
anche questo strumento per una maggiore tutela della
dignità e della identità personale. 13
Come è agevole rilevare, la gamma di facoltà
attraverso le quali si esplica giuridicamente la
personalità dell'individuo è pressoché illimitata, ma il
contenuto specifico del presente lavoro costringe ad
esaminare solo taluni profili, in cui vengono a
incrociarsi tra soggetti diversi - non sempre
pacificamente - le varie facoltà della persona,
rientranti tutte nei diritti della personalità, posto che
13
Forse ricordo pregnante e doloroso che nei Paesi
totalitari e dittatoriali uno dei modi di compressione della
personalità degli oppositori ai regimi consisteva (e tuttora
purtroppo continua a consistere) nell'arrestare e tenere in
detenzione, senza processo o con farsa di processo, le
persone scomode, così cercando di demolirne la personalità,
non solo per renderle più docili, ma anche a insegnamento
per gli altri.
24
se a tutti gli uomini vanno riconosciuti i diritti della
personalità, chiaramente l'esercizio di talune facoltà da
parte di un individuo può andare a interferire con
contrapposte facoltà, anche queste costituzionalmente
garantite, di altri soggetti.
Ci si riferisce precisamente all'incontro/scontro tra
i diritti della personalità che ogni uomo ha il diritto di
proteggere e il contemporaneo diritto di altri di
manifestare liberamente il proprio pensiero o di
ricercare (nei confronti della P.A. o di altri soggetti ad
evidenza pubblica) elementi a tutela e difesa di proprie
posizioni giuridiche.
L'incontro/scontro va a verificarsi allorquando
l'esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero
va a interferire con il diritto, spettante a ciascuno, di
tutelare elementi imprescindibili della propria persona,
come appunto quello della dignità personale e quello
della identità personale, per cui si pone un problema di
bilanciamento tra contrapposte situazioni giuridiche
soggettive, tutte quante, in astratto e in linea di
principio, meritevoli di tutela e quindi della massima
considerazione.
Oggetto del presente lavoro è, appunto, la tutela
dell'immagine (sotto il profilo civilistico), anche
allorquando venga lesa da altri soggetti in presunto
esercizio (e non) di altre contrapposte facoltà
giuridiche.
25
CAPITOLO 2
DIRITTO ALL'IMMAGINE
§ 1- Generalità; § 2 Posizione autonoma del
diritto all'immagine
§ 1- GENERALITÀ
Tra i diritti della personalità ha senza dubbio
assunto nel corso del tempo un rilievo crescente il
diritto all‟immagine, soprattutto come uno degli aspetti
più
significativi del complesso diritto all'identità
personale.
Il diritto in questione, sebbene non sia indicato
testualmente
in
nessuno
degli
articoli
della
14
Costituzione , va ricondotto nell‟ambito dei diritti
fondamentali dell‟uomo, elencati o enucleabili dai
principi e dalle disposizioni della parte prima della
nostra Carta: è, quindi, un diritto assoluto ed esclusivo
e tale è stato considerato15.
Con riferimento, poi, all'immagine in senso stretto
(peraltro spesso come aspetto dell'identità personale),
correlate ad esso si sono sviluppate diverse
problematiche, a causa dell‟incremento dei mezzi di
riproduzione nonché degli scopi, sempre più variegati
e diversi, per i quali l‟immagine viene diffusa.
Va anche considerato che la stessa nozione di
diritto all‟immagine, anche se in senso letterale indica
14
all'identità personale, se non come diritto al rispetto della
vita privata e familiare: v. articolo 8.
15
Immagine (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX,
Milano, 1970, 144 ss.
Va o
26
la rappresentazione visiva delle sembianze di una
persona, e cioè la riproduzione delle sue fattezze,
tuttavia, come sarà meglio illustrato in prosieguo,
progressivamente ha ampliato il suo significato,
finendo per sfumare o addirittura coincidere –
ricevendo come tale più pregnante tutela – con il
diverso diritto all‟identità personale.
L‟elaborazione intervenuta tanto in dottrina
quanto in giurisprudenza ha, infatti, portato a
considerare l‟immagine un segno distintivo essenziale,
idoneo a rappresentare le sembianze, l'aspetto fisico
del soggetto, ma anche l'espressione, o il modo
d'essere della personalità nel suo complesso16.
Espressione della stessa tendenza è, inoltre,
l'affermazione
dell‟orientamento
dottrinario
e
giurisprudenziale, secondo cui la violazione del diritto
all'immagine può avvenire anche a mezzo della
riproduzione filmica della persona (la c.d. maschera
scenica) e non necessariamente tramite l'immagine
reale della stessa17.
In particolare, per come sarà approfondito nelle
pagine che seguono, si è ritenuto che possa ledere il
diritto all'immagine anche la rappresentazione della
persona attraverso l'interpretazione di un attore, sia
quando la rappresentazione risulti fedele o si riferisca
alla sua reale fisionomia, sia nel caso di caricature,
immagini dell'infanzia di un soggetto adulto, nonché
16
Dogliotti, in Trattato. di diritto. Privato, diretto da P.
Rescigno, 2, Torino, 1982, 117.
17
Giovanni Piazza, Davide Goetz, Il diritto all'immagine
nella giurisprudenza dell'ultimo decennio, in Resp. civ. e
prev. 1998, 2, 350.
27
l‟utilizzazione di un sosia di un personaggio noto, ad
esempio per una campagna pubblicitaria, anche solo
per catturare immediatamente l‟attenzione dello
spettatore,
nonché
l'ipotesi
di
raffigurazione
immaginaria di un soggetto proiettato nel futuro, vale
a dire rappresentato con quei caratteri somatici che
potrebbe assumere nella vecchiaia18.
La progressiva estensione della nozione di
“immagine” ha portato la giurisprudenza a ritenere
realizzata una lesione del diritto in questione anche nel
caso di un messaggio pubblicitario effettuato
attraverso la rappresentazione di oggetti notoriamente
usati da un famoso cantante, poiché non solo i tratti
fisici, ma anche determinati accessori, possono
caratterizzare un individuo in modo così forte da
consentire allo spettatore l‟immediato richiamo, nella
propria mente, proprio di quel personaggio19. Così, ad
esempio, è da ritenere tutelato il diritto all'immagine
anche nel caso di utilizzo di una sagoma, appena
accennata, con una pistola in pugno che richiami
l'inizio dei numerosi film del famoso 007.
§ 2 POSIZIONE AUTONOMA DEL DIRITTO
ALL'IMMAGINE
A questo punto è già bene precisare che
l‟Ordinamento giuridico tutela il diritto all‟immagine
come posizione soggettiva autonomamente rilevante,
18
Trib. Roma, 2 febbraio, Clemi Cineamt. c. Geraci, in
Foro it., 1994, I, 1936.
19
Pret. Roma, 18 aprile 1984, Dalla / Autovox, in
Giur. it., 1985, I, 2, 544.
28
a prescindere dalla lesione di altri diritti, quali l‟onore,
dignità, reputazione, decoro, per come si desume
dall‟art. 10 c.c. che pone il divieto di esposizione
dell‟altrui immagine fuori dei casi in cui la legge lo
consente, ovvero con pregiudizio al decoro o alla
reputazione della persona stessa, prevedendo quindi
un‟ipotesi ulteriore e distinta.
Ed è significativo come già la dottrina, alla
pubblicazione del nuovo Codice civile, ha da subito
sostenuto che l'immagine 20 costituisce un diritto
strettamente inerente alla persona, quindi una delle
possibili proiezioni esteriori della personalità, uno dei
modi dell‟essere personale, come il nome e l‟identità.
Il riferimento alla possibile lesione dell‟onore o del
decoro, dunque, ha rilievo soltanto al fine di estendere
la tutela dell‟immagine a casi in cui, altrimenti, la
riproduzione della stessa sarebbe consentita, ma
assolutamente non esaurisce l'ambito di tutela
dell'immagine.
Ne consegue che ciascun individuo ha, in linea di
principio, la libertà di fare rappresentare e fare
apparire la propria immagine solo se e in quanto lo
voglia, e quindi un interesse giuridicamente protetto a
circondarsi di un certo riserbo, soprattutto con
riferimento alla vita privata; in corrispondenza di tale
facoltà, si pone il divieto di fare uso dell‟altrui
immagine, vale a dire riprodurla e diffonderla, contro
la volontà del titolare, anche se la riproduzione e la
20
Ferrara L., Il diritto sulla propria immagine nel nuovo
codice civile e nella nuova legge sul diritto d’autore, Roma,
1942.
29
diffusione non siano idonee a ledere il decoro e l'onore
della persona rappresentata.
Alla luce di queste considerazioni è stato
sostenuto21 che il diritto in questione è una delle
manifestazioni positive del diritto alla riservatezza e,
non a caso, il cammino per l'individuazione di
quest‟ultimo, ugualmente ricondotto all'art. 2 Cost., ha
coinvolto proprio il diritto all'immagine.
Il principio in base al quale il ritratto di una
persona non possa essere esposto, riprodotto o messo
in commercio, senza il consenso di questa, trova delle
eccezioni: si tratta di ipotesi, normativamente
previste, in presenza delle quali la diffusione
dell‟immagine è consentita nonostante sia mancato il
consenso del titolare del diritto, al fine di soddisfare
interessi considerati di particolare rilevanza pubblica e
sociale (artt. 96 e 97 l. 633/1941).
Dall‟esame delle norme in materia emerge, di
conseguenza,
l‟esistenza
di
limiti
al
diritto
all‟immagine, quindi dei casi nei quali il titolare non
possa fare valere un suo potere di divieto né attivare i
rimedi inibitori, risarcitori ed in forma specifica,
previsti dall'Ordinamento per la tutela di esso.
21
A. De Cupis, I diritti della personalità, II ed. riveduta
e aggiornata, in Trattato Cicu-Messineo continuato da L.
Mengoni, vol. IV, Milano, 1982, 283 ss.
30
CAPITOLO 3
IL CONSENSO
§ 1 Natura e forma del consenso; §2 Condizioni
di efficacia e presupposti del consenso; § 3
L'immagine del minore; § 4 Interesse del minore e
consenso; § 5 I limiti soggettivi ed oggettivi del
consenso
§ 1 NATURA E FORMA DEL CONSENSO
Il diritto all‟immagine, in quanto diritto della
personalità, presenta i tratti che tipicamente
caratterizzano queste posizioni giuridiche soggettive,
in particolare l‟assolutezza, l‟imprescrittibilità e
l‟intrasmissibilità, nel senso di una cessione ad altri del
diritto di esprimere sempre e comunque il consenso in
vece del titolare dell'immagine.
Inoltre, per come si può agevolmente desumere
dalle disposizioni contenute nella legge n. 633 del
1941 sul diritto d‟autore, è un diritto parzialmente
disponibile, in quanto il soggetto può prestare il
proprio consenso alla riproduzione ed esposizione del
proprio ritratto, in mancanza del quale la diffusione
dell‟immagine sarà lecita solo laddove ricorra una delle
ipotesi previste dall‟art. 97.
Posto che l‟immagine di un individuo è, per sua
natura, destinata ad essere conosciuta dai terzi, non
sarebbe, peraltro, neppure concepibile l‟esistenza di un
divieto posto dalla legge di guardare le sembianze
altrui laddove siano mostrate, altrimenti tale diritto
assumerebbe un‟estensione incompatibile con il vivere
sociale, per cui ciò che è vietato è l‟uso dell‟immagine
31
della persona, vale a dire la sua riproduzione e
diffusione, oltre i limiti posti dalla volontà del titolare e
dalla legge.
Allo stesso modo è consentita, salvo, comunque,
il diniego dell'interessato, la semplice fissazione delle
fattezze del soggetto in un ritratto fotografico (o di
diverso genere), non destinato alla divulgazione,
fermo restando che l‟individuo risulta tutelato anche
nei confronti dell‟autore del ritratto, in quanto il suo
diritto alla diffusione e spaccio delle fotografie, pur
rientrando nel generico diritto riconosciuto ex art. 87
della l. 633/1941, rimane subordinato, in generale, al
consenso della persona che vi è ritratta, per cui
nell'intersecarsi dei due interessi - del fotografo e della
persona - il diritto all'immagine prevale su quello
d'autore riconosciuto al fotografo22.
Occorre precisare inoltre che, essendo quello
all‟immagine un diritto personalissimo ed inalienabile,
il consenso di cui si tratta, che secondo la tesi
dominante sia in dottrina che in giurisprudenza
costituisce un negozio unilaterale23, non ha ad oggetto
il diritto medesimo ma soltanto il suo esercizio,
22
Cassazione civile , sez. III, 10 giugno 1997, n.
5175,
23
Tribunale Torino, sez. IX, 26/1/2006: “Il consenso
può essere occasionalmente inserito in un contratto,
tuttavia da esso resta distinto ed autonomo (ciò rileva
anche ai fini della sua revocabilità, quale che sia il termine
eventualmente indicato per la pubblicazione consentita), e
la pattuizione del compenso non costituisce un elemento
del negozio autorizzativo in questione”.
32
meglio, il suo utilizzo, sempre nei limiti intrinseci che
siano desumibili dal contratto intervenuto tra autore
del ritratto (ad esempio agenzia fotografica) e il
soggetto rappresentato, dovendosi escludere la liceità
di un negozio che consenta un uso illimitato della
riproduzione fotografica.
Ulteriore corollario della natura di questo diritto è
la revocabilità del consenso da parte di chi lo aveva in
precedenza prestato, con la conseguenza che il
destinatario non potrà opporsi alla decisione del
titolare del diritto (secondo una tesi24, anche
nell‟ipotesi di revoca immotivata o sorretta da ingiusti
motivi) ed avrà solo il diritto all'eventuale risarcimento
dei danni, da valutarsi in relazione al pregiudizio
effettivamente subito, alla difficoltà di dare esecuzione
alla revoca e ad altri parametri.
§2 CONDIZIONI DI EFFICACIA E PRESUPPOSTI
DEL CONSENSO
Affinché il consenso risulti efficace, e quindi
idoneo a legittimare la diffusione dell‟immagine, risulta
imprescindibile che sia prestato da chi possa
validamente disporre di tale diritto, vale a dire
l‟individuo maggiorenne capace di intendere e di
volere.
In linea generale, quindi, con le disposizioni in
materia di capacità di agire, di conseguenza, il
soggetto minore d‟età non può disporre della propria
immagine, a meno che l‟utilizzazione del ritratto
costituisca un naturale corollario di un precedente
24
Ferrara L., op. citata.
33
rapporto validamente costituito dallo stesso, come ad
esempio nel caso di contratto con prestazioni
artistiche25.
Al di fuori di questa ipotesi, quindi, spetta al
rappresentante legale del minore o della persona
comunque priva della capacità di agire, nel rispetto dei
limiti posti dalle comuni norme in materia, di dare il
consenso alla diffusione dell‟immagine del soggetto
sottoposto a tutela, purché ciò determini una qualche
utilità per l‟incapace e, in ogni caso, senza pregiudizio
per il medesimo.
Come, quindi, è facile intuire, laddove venga in
considerazione la divulgazione dell‟immagine di un
minore appare necessario affrontare con particolare
attenzione il problema circa l‟esistenza e la validità del
consenso prestato dal rappresentante legale; e, in
ogni caso, in relazione, appunto, al preminente
interesse dell‟incapace, occorre prestare particolare
attenzione all'ipotesi in cui il consenso non risulti
prestato espressamente, ma lo si debba desumere
implicitamente da un comportamento tacito e
concludente.
Sebbene non siano mancate voci contrarie26, è
ormai pacificamente riconosciuto, infatti, tanto in
25
P. Vercellone, Il diritto sul proprio ritratto,Torino,
1959.
26
Tribunale Roma, 12 marzo 2004, in Danno e resp.
2005, 879 nota Tassone : “poiché l'immagine rientra fra i
dati personali protetti dalla normativa sulla "privacy", il
consenso alla suo utilizzo non può essere tacito o implicito
(secondo quando stabiliva la giurisprudenza formatasi sulle
disposizioni dettate dalla legge sul diritto d'autore in
34
dottrina quanto in giurisprudenza, che il consenso alla
diffusione dell‟immagine possa essere dato in qualsiasi
forma, visto che la legge non ne impone una specifica,
quindi non necessariamente in modo esplicito bensì
anche in modo
tacito27, implicito o per fatto
concludente, sempre che si sia in presenza di un
comportamento
idoneo
a
manifestare
inequivocabilmente la volontà del soggetto ritratto in
ordine alla diffusione della propria immagine.
E‟ evidente che, per garantire al meglio la tutela
del soggetto rappresentato, occorre verificare in modo
particolarmente rigoroso l‟effettiva esistenza di un
consenso, anche se in forma tacita, o implicita che dir
si voglia; al medesimo fine, laddove si affacci
l'ulteriore eventualità che la diffusione dell'immagine
sia idonea a determinare la lesione di beni rilevanti
quali l‟onore e la reputazione, è da ritenere che il
consenso debba risultare in modo esplicito, in modo
che non possano sussistere dubbi sulla sussistenza di
questo, posto che va a impingere anche beni
personali, quali, appunto, l'onore e la reputazione, che
fruiscono anche di tutela penale.
Anzi, ad avviso di chi scrive, sarebbe da
verificare, in questi casi, che sussista quello che in altri
campi – materia sanitaria e privacy - è detto
“consenso informato”, da parte della persona
raffigurata, e cioè la piena consapevolezza degli effetti
(negativi) che possano derivare dalla diffusione di
certe immagini, ad evitare che questi soggetti, di solito
materia di diritto all'immagine), ma deve essere espresso
ai sensi dell'art. 23 del codice alla "privacy".
27
V. Cass. civile, sez. I 17-2-2004, n. 3014
35
agenzie o rotocalchi, molto esperti su quello che può
essere l'impatto nei mass media di una determinata
diffusione, avuto soprattutto riguardo al contesto, e
più interessate al proprio utile che non al rispetto
dell'altrui
dignità,
possano
spregiudicatamente
estorcere un assenso, senza che l'interessato, a causa
del suo livello culturale o della sua particolare
situazione psicofisica, sia in grado di rendersi conto
degli effetti perversi della diffusione – e secondo certe
modalità - della propria immagine.
Il pensiero va a certe pubblicazioni che
ridicolizzano la persona raffigurata, con un effetto che
supera il comune intento delle due parti, poiché
risulterà inaspettato (e non voluto) all'interessato da
un lato e del tutto indifferente al coloro che procedono
alla pubblicazione.
Orbene. Una particolare attenzione alla forma del
consenso,
per
così
dire,
informato,
trova
giustificazione nella considerazione che di solito la
persona ci tiene a non venire rappresentata secondo
modalità che possano nuocere alla sua reputazione,
anche questa aspetto dell'identità personale, diritto
fondamentale della persona e costituzionalmente
riconosciuto e garantito.
Tornando al consenso tacito, è da dire che una
classica ipotesi si pone nel caso in cui una persona,
volontariamente o almeno consapevolmente, si ponga
in condizione di apparire accanto a personaggi noti,
come nel caso di chi si accompagni ad un noto artista,
o di chi si sia, comunque, collocato tra personaggi
"pubblici", così dimostrando gradimento oppure,
quantomeno, consapevolezza o indifferenza alla
36
eventualità di essere ripreso accanto al personaggio
noto.
Diversamente, non può ritenersi esistente tale
forma di consenso, laddove un soggetto si sia trovato
in una data situazione del tutto casualmente, ad
esempio passeggiando in una pubblica via, e senza
rendersi conto di essere ripreso, o essendo stato
ritratto in una foto destinata alla pubblicazione perché
posto accidentalmente alle spalle di un personaggio
noto.
La sussistenza di un consenso tacito, inoltre, può
desumersi
anche
dalle
caratteristiche
della
riproduzione nonché dalle circostanze in presenza delle
quali il soggetto si è fatto ritrarre: pensiamo all‟ipotesi
del modello di un quadro o di una scultura, e ciò
indipendentemente dalla previsione di un corrispettivo
a suo favore, dal momento che può dirsi notorio che
quando la riproduzione assuma la forma di un‟opera
d‟arte, è naturalmente destinata alla diffusione presso
il pubblico.
Resta salva, ovviamente, la possibilità per il
soggetto ritratto di dimostrare la sua preventiva
opposizione in ordine alla divulgazione, in quanto il
suo assenso era limitato alla mera riproduzione delle
sue fattezze per un utilizzo strettamente privato (suo,
se committente, oppure dell'artista): questo caso
ricorre spesso nel caso di fotografie, da considerarsi
osé, che magari l'individuo si ritrova a distanza di anni
pubblicate in una rivista per soli uomini.
Analoga considerazione può essere fatta laddove
una
persona
abbia
deciso
di
sottoporsi
spontaneamente ad una serie di fotografie presso una
agenzia fotografica (al di fuori di una specifica
37
commissione): potrà ritenersi esistente un consenso
tacito alla diffusione della propria immagine, poiché,
diversamente che per il comune fotografo, è questa la
principale finalità del lavoro proprio dell'agenzia
fotografica, la quale, normalmente, non riceve alcun
compenso dalla persona fotografata, specie se notoria
ed operante in determinati settori, come quello
cinematografico, ma trae la propria rimunerazione
dalla diffusione delle immagini28.
Consentendone la ripresa, il soggetto, quindi, non
può ignorarne lo scopo; anzi, implicitamente mostra di
desiderare proprio la pubblicazione e divulgazione
delle sue immagini, e spesso di condividerne la finalità
o quanto meno di tollerarne la diffusione 29.
Per verificare l‟esistenza di un consenso tacito,
quindi, è necessario esaminare attentamente le
circostanze del caso concreto, in cui venne effettuata
la riproduzione dell'immagine, al fine di individuare
quegli elementi che possono apparire indicativi di una
28
Analogamente Tribunale Roma, 24/1/2002, Califano
c. Soc. Rusconi ed., in Giur. Romana 2002, 242: “deve
presumersi implicitamente concesso il consenso alla
diffusione della propria immagine, da parte di chi si lasci
ritrarre, senza compenso, da un'agenzia di stampa,
conoscendo la qualifica del fotografo ed in occasione di una
cerimonia, ancorché privata, ma alla quale partecipino
personaggi pubblici”.
29
Cass. civile, sez. III, 10/6/1997, n. 5175, Casa
Editrice Universo c. PMF.
38
volontà del soggetto ritratto in ordine alla divulgazione
del proprio ritratto30.
In uno dei tanti casi sottoposti all‟esame della
giurisprudenza31, ad esempio, l‟esistenza di un
consenso tacito alla divulgazione di foto di una donna,
è stato desunto dalla circostanza che si trattava di
fotografie non occasionali, come si evinceva dalle
30
Sull’esistenza di un consenso espresso o tacito v.
Corte appello Bologna, 01 agosto 2006, n. 940, Il merito
2006, 12 36: “ L'utilizzazione dell'immagine di un
dipendente pubblico, sotto forma di sagome di cartone
delle dimensioni di un uomo in divisa da vigile urbano,
senza il consenso dell'avente diritto, pur finalizzata alla
tutela della sicurezza pubblica (nella fattispecie della
sicurezza stradale), deve ritenersi uso indebito ed
illegittimo che comporta a carico della p.a. l'obbligo di
risarcimento dei danni subiti dal dipendente. Infatti, attesa
la natura personalissima ed inalienabile del diritto
all'immagine, la mera esistenza del rapporto di lavoro tra
l'Amministrazione comunale e il vigile urbano, non
autorizza di per sé, in difetto del consenso espresso o
tacito di quest'ultimo, lo sfruttamento dell'immagine del
lavoratore.
In
sostanza
si
potrebbe
ritenere
l'amministrazione pubblica esente da responsabilità solo
laddove questa riuscisse a dimostrare che, nel contratto di
lavoro
sottoscritto
con
il
dipendente,
sia
stata
appositamente inserita una clausola con la quale il
dipendente, esclusivo titolare del diritto all'immagine, ne
aveva autorizzato l'impiego nell'ambito di iniziative
rientranti nei progetti per la sicurezza stradale”.
31
Cass. civile , sez. I, 16 maggio 2006, n. 11491, in
Giust. civ. Mass. 2006, 5
39
pose, per cui era da desumere che fossero destinate,
appunto, alla pubblicazione: si è ritenuta quindi che il
consenso al cosiddetto provino, non contestato dalla
interessata, implicasse il consenso anche alla
pubblicazione dei ritratti così prodotti.
Altro elemento significativo, inoltre, è stato
considerato la circostanza che, dopo la produzione del
materiale fotografico, spettava solo al committente –
eventualmente diverso dalla persona ripresa valutarne l'effettiva idoneità allo scopo per il quale era
stato prodotto, con la conseguenza che la persona
ritratta non ne aveva più la disponibilità, avendone
autorizzato preventivamente la pubblicazione.
Anche il dato cronologico, vale a dire il decorso di
alcuni anni durante i quali le fotografie erano state
utilizzate a scopo pubblicitario dal committente senza
alcuna obiezione da parte del soggetto (nella specie,
una donna), è stato interpretato, nel caso esaminato
dai Giudici, come prova ulteriore del fatto che la
pubblicazione delle fotografie era da ritenersi appunto
già autorizzata sin dal momento in cui erano state
prodotte su incarico del committente.
§ 3 L’IMMAGINE DEL MINORE
A parte la legge 3 agosto 1998, n. 269 “Norme
contro lo sfruttamento della prostituzione, della
pornografia, del turismo sessuale in danno di minori,
quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, che
contiene delle disposizioni relative anche al materiale
pedopornografico, e, quindi, allo sfruttamento di
immagini del minore per ragioni turpi, incidenti oltre
che sul piano penale anche su quello della tutela
40
civilistica (oggetto specifico del presente lavoro), è da
ricordare che la situazione dei minori è stata oggetto
di un apposito accordo internazionale “Convenzione sui
diritti del fanciullo”, adottata a New York il 20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall'Italia
con legge 27 maggio 1991, n. 176, la quale contiene
talune disposizioni che, in qualche modo, riguardano
anche l'immagine del minore.
Si tratta delle disposizioni contenute nell'articolo
16, il quale stabilisce che
“nessun fanciullo sarà
oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua
vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o
nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali
al suo onore e alla sua reputazione”; e che “il fanciullo
ha diritto alla protezione della legge contro tali
interferenze o tali affronti”, nonché nell'articolo 3, il
quale, disponendo che “in tutte le decisioni relative ai
fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o
private di assistenza sociale, dei tribunali, della
autorità amministrative o degli organi legislativi,
l'interesse superiore del fanciullo deve essere una
considerazione preminente", fornisce un'utile chiave di
lettura e di interpretazione, proprio in ordine al
consenso concernente l'immagine di un minore.
E
invero,
nell‟ipotesi
in
cui
venga
in
considerazione l‟immagine di questi, è di fondamentale
importanza, per come è già si è accennato nelle
pagine precedenti, che la valutazione circa la
sussistenza delle condizioni legittimanti la divulgazione
del suo ritratto sia effettuata con particolare rigore,
avuto, appunto, riguardo soprattutto all'interesse del
minore.
41
Il rischio, precisamente, è che si giunga a
riconoscere l‟esistenza di un valido ed efficace
consenso, espresso o tacito, da parte di colui che
esercita la potestà (in genere il genitore) senza quella
cautela che, invece, è assolutamente necessaria al fine
di tutelare gli interessi del minore.
Un primo problema che in proposito si può porre,
e su cui è necessario prestare la dovuta attenzione,
riguarda i presupposti nonché le condizioni necessarie
affinché sia ravvisabile un consenso tacito da parte
dell‟esercente la potestà alla pubblicazione del ritratto
del figlio minore,
generalmente immortalato in
presenza anche del genitore.
Se, per come evidenziato nelle pagine precedenti,
normalmente è necessario verificare con attenzione la
sussistenza di quegli indizi dai quali sia possibile
desumere l‟esistenza di un consenso tacito, da parte
del soggetto rappresentato, alla diffusione della
propria immagine, a maggior ragione questo
accertamento dovrà essere effettuato con particolare
rigore nel caso in cui la diffusione riguardi l‟immagine
di un minore.
In questa ipotesi, infatti, si tratta di verificare se
possa ritenersi la sussistenza di un consenso in forma
tacita con riguardo non soltanto alla propria immagine,
ma anche a quella del minore, i cui interessi
(sicuramente) sono di solito differenti o possono
divergere rispetto a quelli dell'adulto.
Occorre inoltre distinguere il caso in cui il minore
sia in compagnia di chi esercita la patria potestà, dal
caso in cui l'accompagnatore sia, invece, una persona
diversa.
42
Infatti, nel primo caso, seppur con particolare
attenzione allo scopo della diffusione, si può pure
ritenere che un consenso tacito possa riguardare
anche il minore, in relazione alle circostanze di fatto:
così, ad esempio, va sicuramente ritenuto il consenso
se l'adulto esercente la patria potestà si metta in posa
per la foto, con accanto o in braccio il minore;
diversamente, invece, ove si sia in presenza di foto o
ripresa carpite dal paparazzo: in questo caso se può
ammettersi il consenso tacito per l'adulto, è da
escludere riguardo alla divulgazione del ritratto del
minore, il cui diritto all'immagine va rigorosamente
rispettato.
Ove poi il minore sia accompagnato da adulto
diverso da chi eserciti la patria potestà, chiaramente è
da escludere qualsiasi forma di consenso, con riguardo
all'immagine di questi.
Riassumendo, quindi, sul punto: è da escludere
qualsiasi forma di consenso, tacito o esplicito, da parte
dell'accompagnatore adulto, che sia persona diversa
da chi eserciti la patria potestà; nel caso di adulto,
che, invece, sia, ad esempio, un genitore del minore,
è, del pari, da escludere un consenso tacito, riguardo
al minore, per le foto o le riprese carpite, anche se si
sia in un luogo pubblico, atteso che il consenso tacito
può riguardare l'adulto ripreso e non il minore; è da
ammettere, invece, la sussistenza di un consenso
tacito, qualora si tratti di immagini di posa: in questo
caso si può ipotizzare anche una lesione del diritto
all'immagine del minore, ma chiaramente l'azione non
potrebbe essere promossa dal genitore consenziente,
ma, semmai dall'altro genitore, ove in concreto vi sia
una lesione dell'immagine del figlio.
43
Chiaramente, poiché spetta all'esercente la patria
potestà proporre poi ogni azione (della quale si parlerà
in prosieguo) a tutela dell'immagine del minore, un
problema di verifica della sussistenza, in concreto, di
un consenso, si porrà soltanto in caso di lite
giudiziaria.
In un caso sottoposto all‟attenzione della
Suprema Corte, ad esempio, su un giornale era stata
pubblicata l‟immagine di un bambino di otto anni,
immortalato, senza alcuna cautela per renderlo
irriconoscibile, mentre si trovava in spiaggia in
compagnia del padre e di una giovane attrice 32.
Esattamente la Suprema Corte non tenne in alcun
conto il consenso tacito, che si poteva presumere nel
genitore, il quale nella spiaggia si produceva “in assalti
erotici” nei confronti della giovane, posto che tale
consenso poteva riguardare i due adulti, ma non
certamente il bambino ripreso accanto a loro, e del
quale il rotocalco indicava anche il rapporto di
parentela con l'uomo.
Tralasciando, per adesso, i profili attinenti al
diritto di cronaca e alla privacy, che saranno
approfonditi in prosieguo, va rilevato come da un lato
potrebbe sostenersi che il soggetto che si trova in un
luogo pubblico -ad esempio una spiaggia- in
compagnia di un personaggio noto, presumibilmente è
consapevole della presenza dei fotografi e, quindi,
della possibilità che la sua immagine sia immortalata.
32
Cass. civile, Sez. III 5/9/2006 n. 19069, in D&G Dir. e giust. 2006, 36 22.
44
Si potrebbe, pertanto, giungere alla conclusione
che sia ravvisabile anche un consenso tacito alla
pubblicazione del proprio ritratto.
D‟altro canto, tuttavia, non va dimenticato che il
consenso presunto sussiste solo ed esclusivamente in
presenza di un comportamento idoneo a manifestare
inequivocabilmente la volontà del soggetto in ordine
alla diffusione della propria immagine, e va accertato
caso per caso in modo rigoroso, tenendo conto di tutti
quegli indizi da cui è possibile desumerne la sua
sussistenza.
Quindi, se accompagnarsi in un luogo pubblico ad
un personaggio noto di solito può dirsi che implichi un
consenso tacito alla divulgazione della propria
immagine, poiché è notorio che i rotocalchi vivono di
questo genere di attività, ciò non è sempre ed
automaticamente vero, nel caso in cui la riproduzione
fotografica o cinematografica coinvolga un minore: in
questo caso l'esistenza del consenso va verificata in
concreto e rigorosamente.
E invero, nel caso in cui l‟immagine che si intende
divulgare è quella di un minore, la questione appare
più complessa e deve essere risolta con maggiore
cautela, in
particolare tenendo sempre in
considerazione i suoi preminenti interessi, per come
peraltro anche espressamente previsto, per come
detto, dalla Convenzione di New York del 1989 sulla
tutela dei minori.
Innanzi tutto, infatti, un conto è riconoscere
l‟esistenza di un consenso tacito alla divulgazione della
propria immagine da parte di chi, consapevolmente, si
accompagni ad un personaggio noto, decidendo di
recarsi in un luogo pubblico affollato (come una
45
spiaggia in estate): è fatto notorio, infatti, l‟interesse
che possono suscitare nel pubblico le vicende di una
persona famosa, con conseguente probabile presenza
di fotografi pronti ad immortalare anche chi si trovi in
compagnia della medesima.
Diverso discorso, invece, vale –o
dovrebbe
valere- con riferimento a terze persone, coinvolte solo
indirettamente, in particolare se si tratti di minori:
sarebbe, infatti, eccessivo, ad avviso di chi scrive,
ritenere esistente un consenso tacito da parte del
padre, che si accompagna a personaggio famoso, alla
divulgazione dell‟immagine, non solo propria, ma
anche del figlio minore, essendo tutto da dimostrare –
e di solito è indimostrabile, perché, appunto,
insussistente- un ipotetico presumibile interesse da
parte del pubblico, quindi dei fotografi, rivolto anche a
questi.
Inoltre, per come sarà evidenziato nelle pagine
successive, neppure può ritenersi giustificata la
divulgazione dell‟immagine in quanto collegata a “fatti
svoltisi in pubblico”, ex art. 97 l. n. 633/1941, perché,
secondo l‟interpretazione preferibile, occorre che
questi presentino un particolare interesse per la
collettività, distaccandosi dalla normalità quotidiana,
con la conseguenza che non è sufficiente trovarsi in un
luogo
pubblico
affinché
si
possa
ritenere
automaticamente legittima la riproduzione dell‟altrui
ritratto.
Analoga considerazione può essere fatta per
quanto riguarda la notorietà della persona: infatti, per
come sarà rilevato in prosieguo, se è vero che la
notorietà di un soggetto, idonea a giustificare la
diffusione dell‟immagine in assenza di consenso, può
46
coinvolgere, in qualche modo, anche altri soggetti
(amici, familiari ecc.), tuttavia è costantemente
affermata la necessità di una diretta connessione della
pubblicazione a preminenti ed attuali esigenze
pubbliche di informazione.
In questa, come in altre simili ipotesi, invece,
appare una forzatura riconoscere l‟esistenza di un
prevalente
interesse
generale
alla
conoscenza
dell‟immagine, non solo del personaggio noto, non solo
del suo nuovo “amore” (non famoso), ma anche del
figlio minore di quest‟ultimo.
L‟unico elemento che verosimilmente sussiste – e
sul quale fanno purtroppo leva taluni rotocalchi - sarà,
semmai, una morbosa curiosità del pubblico, tuttavia
decisamente inidonea a comprimere il diritto
all‟immagine, a maggior ragione di un minore.
Infine non va dimenticato che, in nessun caso, la
pubblicazione può ledere l‟onore del soggetto
ritratto33; per verificare
questa circostanza è
necessario
prendere
in
considerazione
anche
l‟eventuale testo posto a corredo della fotografia
pubblicata in un giornale, come nel caso definito con le
sentenze citate, dove il giornalista poneva l‟accento sul
comportamento, forse poco decoroso della coppia
ritratta, sottolineandosi il suo svolgimento davanti al
minore, quindi, coinvolto nella riproduzione della
scena.
33
V. art. 10 c.c. e art. 97, comma 2, l. n. 633/1941.
47
§ 4 INTERESSE DEL MINORE E CONSENSO
Si è parlato, fino ad ora, dell‟ipotesi di
riproduzione dell‟immagine del minore in assenza di un
esplicito consenso da parte dell‟esercente la potestà, al
fine di stabilire se, ed entro che limiti, possa
considerarsi legittima.
Tuttavia è quantomeno preoccupante rilevare
come, nei tempi più recenti, soprattutto personaggi
non particolarmente noti, ma desiderosi di catturare
un‟attenzione che, altrimenti, difficilmente avrebbero,
utilizzino proprio l‟immagine dei figli minori, per
moltiplicare le occasioni di apparire su questo o quel
giornale.
Insomma, spesso non si pone di certo un
problema relativo all‟assenza di consenso da parte del
personaggio noto alla divulgazione dell‟immagine del
figlio, perché, in realtà, tale consenso è prestato di
buon grado, spesso accompagnato da una (ben
remunerata) clausola di esclusiva a favore del giornale
“prescelto” per la pubblicazione delle “eccezionali”
fotografie del bambino appena nato, o della sua
“riservatissima” festa di compleanno, o del pargolo
vestito con cura per augurare (in copertina, si intende)
“a tutti i gentili lettori” i migliori auguri di buon Natale.
Ma in questi casi è davvero tutelato l‟interesse del
minore?
Ad avviso di chi scrive, il più delle volte non
corrisponde agli interessi di un bambino la massiccia
diffusione della sua immagine, solo perché ha avuto la
48
fortuna (?) di avere una madre o un padre
appartenenti al mondo dello spettacolo o dello sport 34.
E, a proposito dell'opportunità che sia mantenuta
viva l'esigenza di una consistente riservatezza nella
pubblicazione di immagini di minori, appare utile
ricordare, seppur risalente al lontano 1927, il più
tristemente (e antico) noto caso di kidnapping
verificatosi in passato, agevolato appunto da una
improvvida divulgazione dell'immagine di un bimbo di
due anni. Trattasi del caso Lindberg, il famoso
trasvolatore dell'Atlantico nel 1927: il figlio venne
rapito a scopo di estorsione e poi ucciso dai rapitori,
allorquando si sentirono braccati dalle forze di polizia.
Orbene, questi, quando furono arrestati, dichiararono
che l'idea di rapire il figlio del famoso pilota sorse nella
loro mente criminale, perché ne avevano visto
l'immagine in un rotocalco, accanto alla baby sitter,
per cui non soltanto seppero dell'esistenza del
bambino dalla pubblicazione della foto, ma pensarono
anche ad una facilità del fatto criminoso, per la
circostanza che veniva accudita da un'estranea e non
direttamente dalla madre.
Altre volte i giornali hanno dato notizia di casi di
pedofili che si sono indirizzati a specifici bambini,
perché ne hanno visto riprodotte le immagini in
qualche trasmissione: il rigore con il quale il legislatore
(ma non sempre i rotocalchi e certi spettacoli) ha
affrontato la problematica della divulgazione di
immagini di minori ha quindi un legittimo fondamento,
anche nella esigenza di salvaguardarne per quanto
34
E qui, ancora una volta, si ritiene utile richiamare la
già indicata Convenzione di New York.
49
possibile l'anonimato da pedofili e criminali di altro
tipo.
Insomma, se è vero che spetta all‟esercente la
potestà la possibilità di prestare il consenso alla
diffusione dell‟immagine del minore, non andrebbe,
tuttavia, dimenticato che, in ogni caso, proprio perché
viene in rilievo una “potestà” la stessa deve essere
esercitata, per definizione, non nel proprio, ma
nell‟interesse del soggetto sottoposto.
Di conseguenza, il diritto all‟immagine del minore,
in definitiva, è da ritenersi non liberamente
disponibile; il consenso, quindi, alla divulgazione di
fotografie o riprese del medesimo non dovrebbe poter
essere prestato senza limitazioni, ma solo laddove ciò
corrisponda, effettivamente, ai suoi interessi e,
sicuramente, senza alcun pericolo di pregiudizio per il
medesimo.
Infine andrebbe considerato un particolare –
spesso tralasciato- ma in realtà fondamentale: la
tutela del minore deve essere sempre effettiva, e mai
soltanto formale.
Viceversa, frequentemente vengono pubblicate
delle immagini di minori considerate teoricamente
legittime, solo perché riprodotte con delle alterazioni,
pressoché irrilevanti, che dovrebbero servire – ma non
servono - a renderne irriconoscibile le fattezze: ci si
riferisce a quell‟effetto “sfumato” che va a coprire –
impercettibilmente- gli occhi della persona ritratta e
che soltanto in base ad una concezione formalistica e
non sostanziale della salvaguardia del minore può
essere considerato una strumento efficace per la
difesa degli interessi dello stesso.
50
Nel complesso, pertanto, la sensazione è che per i
motivi più disparati -talvolta accampando dubbie
esigenze pubbliche di informazione, altre volte volendo
intravedere un tacito consenso del genitore alla
riproduzione dell‟immagine del figlio, altre volte ancora
con consensi dati da sprovveduti (e spesso
spregiudicati) genitori, ritenendo sufficienti dei blandi
accorgimenti per considerare non riconoscibile il voltosi finisca per far prevalere ragioni per lo più di natura
economica a scapito di interessi che, invece,
dovrebbero sempre prevalere.
§ 3 I LIMITI SOGGETTIVI ED OGGETTIVI DEL
CONSENSO
Se, per come più volte ribadito in dottrina e
giurisprudenza, un consenso tacito o implicito, da
accertare pur sempre in modo rigoroso35, è in linea di
principio ammissibile, tuttavia appare fondamentale
che lo stesso sia circoscritto entro ragionevoli limiti,
soggettivi ed oggettivi, nonché temporali.
Anche in tale ambito, infatti, l‟autonomia privata
non ha un‟estensione diversa a seconda della forma,
35
Tribunale Roma, 02 novembre 1994, Corrente c.
Soc. Excelsior international ed., in Dir. informatica 1995,
367: “ Il consenso del ritrattato alla pubblicazione
dell'immagine può bensì essere espresso o tacito, ma deve
essere oggetto di rigoroso accertamento da parte del
giudice, dovendosene quindi escludere la ricorrenza ove
l'effigiato si riservi di sottoscrivere una dichiarazione
liberatoria all'esito di successivi accordi”.
51
espressa o tacita, utilizzata per manifestare il
consenso; di conseguenza la pubblicazione dovrà
avvenire pur sempre nel rispetto dei relativi limiti
(che, vertendosi nell'ambito di un diritto proprio della
persona, assumono una particolare rilevanza), sia
laddove il consenso è espresso, sia laddove risulti
implicitamente, con la differenza che mentre nel primo
caso i limiti in questione saranno più facilmente
individuabili, perché manifestati in genere nel negozio
in cui è stato espresso il consenso, nella seconda
ipotesi, invece, saranno determinabili attraverso
l‟interpretazione di atti comportamentali della persona
ritratta.
I limiti, da valutare sempre in modo rigido e
restrittivo, possono essere soggettivi, per cui il
consenso alla diffusione dell‟immagine sarà efficace
solo in favore del soggetto per il quale è stato
prestato, ed oggettivi, vale a dire riguardanti aspetti
che prescindono dalla persona del destinatario come,
ad esempio, la finalità della divulgazione, le modalità
della stessa, la tipologia di riviste su cui potrà
intervenire, nonché
il tempo, non
potendosi
ammettere un consenso sine die36 poiché andrebbe a
determinare una eccessiva compressione del diritto in
questione, che per come si è ripetutamente affermato
ha valenza di diritto fondamentale, come tale
costituzionalmente garantito.
Al fine di una piena ed effettiva tutela di questo
fondamentale diritto della personalità deve, viceversa,
escludersi la validità di un consenso generico alla
36
Cassazione civile , sez. I, 17 febbraio 2004, n. 3014
cit.; Corte d’appello Roma, 19/5/2000.
52
divulgazione, senza alcuna determinazione di modalità
concrete, sia in ordine alla scelta delle singole
immagini da esporre, sia riguardo al tipo di
pubblicazione cui destinarli.
Pertanto il problema dei limiti soggettivi ed
oggettivi
del consenso deve essere in ogni caso
affrontato, in quanto questi, pur non condizionandone
la validità, ne circoscrivono ugualmente l‟efficacia.
In un caso sottoposto recentemente all'esame
della Suprema Corte37, riguardante la pubblicazione di
foto di nudo che ritraevano una nota attrice all‟inizio
della carriera, è stato affrontato proprio il problema
della individuazione dei limiti oggettivi del consenso e
dei soggetti responsabili del loro superamento.
Nella fattispecie in questione, infatti, dall‟esame
della c.d. “liberatoria” firmata dall‟attrice era possibile
individuare almeno un duplice ordine di limiti
oggettivi: il primo consisteva nel riferimento espresso
alla realizzazione di un servizio, non di moda, ma di
charme, che notoriamente comprende anche foto di
nudo, elemento che la Corte territoriale aveva preso in
considerazione unitamente alla circostanza che la nota
attrice, in occasioni anteriori, concomitanti e
successive, aveva consentito a pubblicazioni di questo
tipo.
Tuttavia, secondo la Corte di cassazione – che
accolse sul punto il ricorso dell'attrice con rimessione
al giudice di 2° grado - il giudice d‟appello non aveva
tenuto in debito conto l‟altro limite oggettivo espresso
nella “liberatoria”,
consistente nella precisa
37
Corte di Cassazione, sez. I civile, 1/9/2008 n.
21995 Marini/Ram studio.
53
indicazione che queste foto fossero destinate
esclusivamente “a riviste di prestigio internazionale”.
Questa indagine, invece, risultava necessaria
proprio per potere valutare se la pubblicazione
contestata fosse giustificata o meno dal consenso
dell‟attrice ritratta, posto che, come viene ribadito
nella pronuncia in questione, il consenso alla diffusione
su una o determinate riviste non autorizza la
pubblicazione su giornali diversi da quelli indicati.
La sentenza, infine, ribadisce il principio per il
quale la diffusione di immagini in violazione dei limiti
previsti, o comunque desumibili dalle circostanze del
caso concreto, può comportare la responsabilità di
tutti coloro che concorrono nel processo creativo,
attuativo e divulgativo, quindi non solo dell'agente cui
è
materialmente imputabile la pubblicazione, ma
anche del fotografo, in quanto questi non può essere
considerato estraneo alla pubblicazione, poiché, in
quanto titolare del diritto esclusivo alla riproduzione e
diffusione del ritratto fotografico, aveva l'onere di
vigilare sul tipo di pubblicazione per la quale aveva
ceduto i diritti relativi, salva, appunto, la rigorosa
dimostrazione, a suo carico probatorio, della sua
estraneità alla causazione del fatto dannoso.
Dall‟esame della giurisprudenza in materia, in
effetti, il problema della
violazione dei limiti del
consenso
emerge
frequentemente
proprio
in
fattispecie di pubblicazione di foto di nudo: si tratta, in
genere, di ritratti realizzati in un periodo risalente nel
tempo, spesso agli inizi della carriera, e poi
successivamente divulgati in giornali più o meno
scandalistici.
54
Anche in questi casi è necessario verificare
rigorosamente se è intervenuta la lesione del diritto
all‟immagine attraverso il superamento dei limiti
soggettivi ed oggettivi, in quanto il consenso alla
pubblicazione prestato nel passato dovrà in ogni caso
ritenersi subordinato al criterio “dell‟uso prevedibile“38,
anche laddove non fosse stato espressamente limitato
ad un prestabilito arco di tempo.
Occorre, infatti, considerare che il decorso del
tempo normalmente comporta una modificazione di
tanti aspetti della vita del soggetto fotografato, del suo
percorso artistico, delle sue scelte professionali, della
connotazione che ha inteso dare alla sua carriera,
quindi, in definitiva, un mutamento delle esigenze o
delle
prospettive
ipotizzabili
all‟epoca
della
realizzazione delle foto, in altre parole, una evoluzione
della sua identità personale.
Allo stesso modo può costituire una violazione del
diritto all‟immagine la pubblicazione di fotografie
risalenti nel tempo, ma accostate ad altre recenti, in
quanto potrebbe determinare nei lettori un giudizio di
disvalore sulle
qualità artistiche della persona
ritratta39.
E, allora, non sussistendo più le originarie
condizioni in presenza delle quali era stato prestato il
consenso alla pubblicazione, il medesimo si dovrà
38
Trib. Roma, 16 giugno 1990, Rode c. RCS Ed., in
Foro it., 1992, I, 1958, nota di Chiarolla.
39
Trib. Roma, 7 ottobre 1988, Bonaccorti c. Peruzzo e
altri, in Dir. inf., 1989, 173.
55
ritenere revocato, con conseguente illegittimità di
un‟eventuale successiva ed ulteriore diffusione.40
In definitiva può accadere che un certo tipo di
manifestazione dell‟immagine, un tempo ritenuta
adatta alla propria personalità, possa successivamente
non apparire ormai consona alle proprie attuali
necessità e, in generale, a se stessi, ciò che esclude la
sussistenza – per come di è detto – di un consenso
che possa ritenersi dato per un tempo indeterminato.
Emerge, quindi, un ulteriore aspetto della
problematica in questione, che nel proseguo sarà
meglio approfondito, vale a dire l‟eventuale lesione,
attraverso la pubblicazione illecita dell‟altrui immagine,
anche di un diverso diritto fondamentale: l‟identità
personale.
Come sarà evidenziato, infatti, queste due
posizioni soggettive trovano punti di contatto, per cui
spesso un medesimo comportamento è idoneo a
determinare la contestuale violazioni di entrambe.
E‟ altrettanto frequente, tuttavia, che diritto
all‟immagine ed all‟identità personale entrino in
conflitto con altri diritti costituzionalmente garantiti,
come quello di cronaca, con conseguente necessità di
stabilire in che modo bilanciare contrapposte esigenze
considerate di fondamentale rilievo per l‟ordinamento
giuridico.
Concludendo sul punto, quindi, è da dirsi che il
consenso non può essere mai considerato assoluto o
totalitario, malgrado qualsiasi espressione in contrario
40
Pret. Milano, 19 dicembre 1989, Fenech c. Soc.
Polieditor, in Foro it., 1991, I, 2863; Corte d’appello Roma,
8 settembre 1986, in Foro it., 1987, I, 919.
56
formulata dalle parti per iscritto in sede di negozio
giuridico o qualsiasi prassi diversa, seguita nel
passato, atteso che si è in presenza di un diritto
fondamentale,
appunto,
quello
all'immagine
e
all'identità personale, insuscettibili, come tale, di
rinunce generalizzate proiettate nel futuro.
57
CAPITOLO 4
LA DIVULGAZIONE DELL’IMMAGINE
IN ASSENZA DI CONSENSO
§ 1 La notorietà; § 2 Limiti alla divulgazione
dell'immagine; § 3 Interesse pubblico e “gossip”; § 4
Fatti, avvenimenti, cerimonie pubbliche o di interesse
pubblico;
§ 5 Altre ipotesi di divulgazione
dell'immagine senza necessità di consenso
§ 1 LA NOTORIETÀ
L‟esistenza di un valido consenso –espresso o
tacito- da parte del soggetto ritratto costituisce, per
come è stato evidenziato nella pagine che precedono,
condizione normalmente necessaria per la legittima
diffusione dell‟immagine altrui.
Dal combinato disposto degli artt. 10 c.c. e 97 l.
n. 633/1941 emerge, tuttavia, l‟esistenza di ipotesi in
presenza della quali la pubblicazione dell‟immagine
può intervenire pur in mancanza di una manifestazione
di consenso (espresso o tacito).
Questi
casi,
previsti
specificamente
dal
legislatore, presentano in comune una caratteristica:
la sussistenza di un interesse pubblico e sociale, che
giustifica
la
compressione
dell‟altrui
diritto
41
all‟immagine , di cui, quindi, viene ammesso il
sacrificio proprio in funzione di una esigenza
preminente della collettività42.
41
Cassazione civile, sez. I, 28 marzo 1990, n. 2527,
Tattilo editrice spa c. Sandrelli.
42
Ricca-Barberis, Restrizioni del diritto all’immagine
ed eccezioni ad esso, in Dir. econ., 1957.
58
Tutte queste ipotesi previste ex art. 97 l. n.
633/1941 hanno, peraltro, carattere eccezionale, in
quanto vanno a interferire con la regola generale della
necessità del consenso da parte dell'interessato, per
cui devono essere interpretate ed applicate da parte
del giudice in modo restrittivo e rigoroso, soprattutto
avendo sempre riguardo alla sussistenza di un
interesse pubblico, che sia attuale, serio nonché
preminente rispetto all‟altrui diritto all‟immagine.
Questo aspetto, per come sarà illustrato nel
proseguo, pone anche diverse questioni attinenti, in
particolare, al rapporto tra diritti della personalità,
quali
immagine
(con
l'identità
personale)
e
riservatezza da un lato, e diritto di cronaca e critica,
nonché ai criteri idonei a risolvere i conflitti tra queste
situazioni giuridiche soggettive.
Non occorre, pertanto, il consenso della persona
interessata, laddove la diffusione del suo ritratto è
giustificata dalla notorietà o dall‟ufficio pubblico
ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi
scientifici, didattici o culturali, o quando la
riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti,
cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico
(art. 97, comma 1, l. n. 633/1941).
Si è posto, a tale proposito, il problema se la
ripresa televisiva dell'udienza penale possa consentirsi
in assenza di un consenso delle parti interessate; si è
giunti alla conclusione che possa consentirsi, qualora
l'immagine sia collegata a fatti svoltisi in pubblico,
tenuto anche conto che le udienze dibattimentali sono
pubbliche a pena di nullità ai sensi dell'art. 423 c.p.p.,
attesa l'esimente del diritto costituzionalmente tutelato
di informazione, per cui sussiste un diritto della
59
collettività di conoscere le modalità di amministrazione
della giustizia penale, allorquando sia da escludere che
la ripresa televisiva arrechi pregiudizio all'onore, alla
reputazione o al decoro dei soggetti ritratti43.
E infatti, va immediatamente precisato, peraltro,
che in nessun caso l‟immagine può essere divulgata in
pregiudizio all‟onore, alla reputazione o al decoro del
soggetto (art. 97, comma 2, l. n. 633/1941).
Tra
queste
ipotesi,
l‟attenzione
della
giurisprudenza si è soffermata più frequentemente
sulla notorietà della persona e sul collegamento della
pubblicazione dell‟immagine a fatti di interesse
pubblico o verificatisi in pubblico, in quanto fonte di
maggiori problematiche.
Innanzi tutto, la notorietà sussiste quando una
persona, a prescindere dalle ragioni, ha richiamato su
di sé l‟attenzione generale della collettività, anche in
un periodo del passato, e quindi le “notabilità”
dell‟arte, della scienza, dello sport, della politica; ma –
purtroppo, per l'interessato – anche quella che deriva
dall'essere stato coinvolto in una disgrazia o in un
delitto oppure oggetto di un destino che devia dalla
normalità: in tutti questi ed altri casi consimili,
l‟individuo è conosciuto da una generalità di persone
indeterminati 44.
La notorietà del soggetto può coinvolgere, in
qualche modo, anche i suoi familiari, riguardo ai quali
43
V. Tribunale Torino, 22 settembre 1988, in Dir.
informatica 1989, 484.
44
Pugliatti, La trascrizione,in Trattato di diritto civile e
commerciale, XIV-I, 1957.
60
si parla 45 di una "relativa" rilevanza pubblica, nel
senso che le loro esigenze di privacy possono venire
sacrificate solo in connessione col "personaggio
pubblico", e nella misura necessaria a soddisfare
l'esigenza di mettere in luce la figura dello stesso.
§ 2 – LIMITI ALLA DIVULGAZIONE
DELL'IMMAGINE.
E‟ necessario evidenziare come la notorietà, in sé
e per sé, non è, o –per meglio dire- non dovrebbe
essere elemento sufficiente a giustificare sempre e
comunque la compressione del diritto all‟immagine, e
quindi la divulgazione del ritratto senza il consenso
dell‟interessato, in quanto –a rigore- secondo un
principio abbastanza condiviso è altresì necessario che
la pubblicazione sia direttamente connessa a
preminenti ed attuali esigenze pubbliche e sociali di
informazione46.
Da questo principio derivano alcune conseguenze:
in primo luogo la divulgazione non può considerarsi
lecita se rivolta ad altri fini, primo tra tutti quello
A. Cataudella, La tutela civile della vita privata,
Milano, 1972,109 ss.
46
Tribunale Torino, 02 marzo 2000, Soc. Going c.
Zanin, in
Resp. civ. e prev. 2001, 174 nota Piazza;
Cassazione civile, sez. I, 28/3/1990 n. 2527 cit.; Tribunale
Bologna, 27 novembre 1997, Grassi c. Soc. Poligrafici ed.,
in Dir. autore 1999, 121, nota Solari.
45
61
pubblicitario, commerciale
o, più in generale, di
47
lucro .
Per verificare la sussistenza di una lesione del
diritto all‟immagine, pertanto, è necessario prendere in
considerazione tutte le circostanze del caso concreto,
come le modalità della diffusione e la tipologia della
rivista su cui è intervenuta la pubblicazione.
E‟ possibile, ad esempio, che il personaggio noto
avesse consentito alla divulgazione della sua
immagine, ma in circostanze e per finalità
completamente diverse da quelle in cui è intervenuta;
ugualmente e a maggior ragione dovrà considerarsi
illegittima la pubblicazione di una fotografia in un
contesto del tutto differente e tale da determinare un
pregiudizio all‟onore ed alla reputazione48.
In una fattispecie sottoposta all‟esame della
Suprema Corte49, pertanto, si è esclusa la possibilità di
invocare l‟interesse pubblico all‟informazione, a causa
proprio del carattere del giornale, avente fine
esclusivamente di lucro, su cui erano apparse delle
immagini tratte da un film: il contesto, quindi, era
47
Tribunale Roma, 23 maggio 2001 Morace c. Soc.
Stampa sportiva in
Dir. informatica
2001, 881:
“L'utilizzazione dell'immagine di un personaggio noto
attraverso la pubblicazione della fotografia sulla copertina di
un libro a scopo di sfruttamento commerciale è, in caso di
mancato consenso del ritrattato, lesiva sia del diritto
all'immagine che del diritto all'identità personale”. V. inoltre
Cassazione civile , sez. III, 13 aprile 2007, n. 8838;
Tribunale Tortona, 24 novembre 2003, V.B. c. Soc. L., in
Danno e resp. 2004, 533 nota Pardolesi.
48
Tribunale Bologna, 27 novembre 1997, in Dir.
autore 1999, cit.
49
Cassazione civile, sez. I, 28/3/1990 n. 2527 cit..
62
assolutamente
diverso
da
quello
dell‟opera
cinematografica e della sua commercializzazione.
La pronuncia, peraltro, affronta un ulteriore
profilo, che sarà successivamente approfondito,
relativo ai rapporti tra diritto all‟immagine e diritto di
critica cinematografica.
In applicazione di questi principi, ormai
consolidati, la Suprema Corte 50 ha, allo stesso modo,
ritenuto responsabili tanto il committente quanto una
stazione televisiva per avere, rispettivamente,
ordinato e trasmesso un filmato pubblicitario
interpretato da tre attori, al quale era stata
maldestramente adattata una canzoncina pubblicitaria,
così da rendere l'opera intera goffa e ridicola, con
danno per i medesimi, a cui non era stato chiesto il
dovuto consenso per la riproduzione del filmato.
Trattandosi di un filmato divulgato a scopo
pubblicitario, infatti, è mancato l‟interesse pubblico
all‟informazione, per cui la diffusione dell‟immagine dei
tre attori non è apparsa – esattamente - giustificata
dalla loro notorietà; di conseguenza, non essendo
sussistente un consenso né espresso né tacito, la
Suprema Corte ha ritenuto leso il loro diritto, da parte
anche del responsabile della stazione televisiva,
perché, in quanto tale, questi deve essere a
conoscenza del contenuto del video e, in ogni caso,
deve esercitare un controllo su tutto ciò che viene
trasmesso.
50
cit..
Cassazione civile , sez. III, 13 aprile 2007, n. 8838
63
Non sempre, peraltro, è agevole stabilire se sia
prevalente lo scopo di pubblica informazione o quello
commerciale, pure sussistente, di lucro.
Il problema si è posto per la vendita di figurine
ritraenti calciatori, destinate ad essere raccolte in
appositi album, ed ha trovato soluzioni diverse in
giurisprudenza.
In proposito si è sostenuto51 che il supporto
utilizzato ha una natura peculiare, suscettibile di
fruizione autonoma rispetto all'album stesso, per cui
l'attività di commercializzazione ha ad oggetto, in
effetti, la raffigurazione sulle figurine, per cui lo scopo
di lucro è stato ritenuto prevalente rispetto a quello
informativo o didattico-culturale.
Di conseguenza, in casi come questo non risulta
applicabile l'esimente di cui all'art. 97 della l. n.
633/1941, in quanto le scarne indicazioni fornite
dall'album per ogni squadra e ogni giocatore fanno
apparire troppo tenue, secondario e occasionale il
nesso tra l'immagine e lo scopo culturale o il pubblico
evento richiesto per l'integrazione della deroga della
notorietà.
Volendo
sintetizzare
possiamo,
pertanto,
affermare che la divulgazione dell'immagine di una
persona nota è ammessa, anche senza il consenso del
soggetto ritratto,
a condizione che non sia
pregiudicata la sua dignità, la divulgazione rientri
nell'ambito territoriale in cui opera la persona nota,
non sia fatta a fine prevalentemente lucrativo e la
51
Trib. Milano, 6 luglio 1994, Panini S.r.l. c. Service
line Italy, in Dir. inf., 1995, 355.
64
notorietà della persona giustifichi un effettivo interesse
pubblico ed una completa informazione 52.
La necessità che la diffusione dell‟immagine di
personaggio noto, in assenza del suo consenso, sia
direttamente connessa a preminenti ed attuali
esigenze pubbliche e sociali
di informazione o
conoscenza,
comporta,
oltre
all‟esclusione
dell‟esimente di cui all‟art. 97 l n. 633/1941, nel caso
in cui sia ravvisabile anche uno scopo di lucro,
pubblicitario e commerciale, un‟ulteriore conseguenza.
Anche la persona che ha raggiunto un certo grado
di notorietà conserva, o almeno dovrebbe conservare,
ugualmente quella sfera intima che attiene alla propria
vita privata, vale a dire, per come sarà approfondito in
prosieguo, quel settore che normalmente ciascun
individuo desidera (e ha il diritto di) sottrarre
all‟ingerenza dei terzi.
Con riferimento a questo settore, pertanto, anche
il personaggio noto conserva il diritto all‟immagine e
può sempre farlo valere, poiché si tratta di una sfera
di interessi e di attività personali, estranee alle ragioni
della notorietà, che non hanno attinenza a quelle
esigenze pubbliche di conoscenza necessarie, affinché
possa considerarsi giustificata la compressione del
diritto in questione
Dinnanzi a questi interessi la divulgazione
dell‟immagine non può avvenire legittimamente,
perché
sarebbe
finalizzata
principalmente
o
esclusivamente a soddisfare la mera curiosità dei terzi,
unitamente a consistenti interessi di lucro di tutti i
52
Trib. Napoli, 19 maggio 1989, in Dir. inf., 1990,
520; in Dir. aut., 1990, 382.
65
soggetti,
la
pubblicazione.
cui
attività
ruota
attorno
alla
§ 3 INTERESSE PUBBLICO E “GOSSIP”
A questo punto, tuttavia, appare d‟obbligo fare
almeno una breve riflessione sui principi sopra esposti
in materia di notorietà ed interesse pubblico alla
conoscenza.
L‟esperienza quotidiana dimostra, in effetti, come
sempre più spesso le regole in materia siano
costantemente violate e adattate ad esigenze tutt‟altro
che meritevoli di protezione.
Sebbene nel corso del tempo l‟attenzione di
dottrina e giurisprudenza si sia soffermata sempre di
più sul problema della tutela dei diritti della
personalità, in particolare privacy ed immagine (con
l'identità personale), tuttavia è altrettanto evidente la
tendenza, da parte della stampa (rotocalchi, ma anche
quotidiani) e della televisione, spesso anche in
programmi
–almeno teoricamente- impegnati, ad
assecondare la crescente attenzione, in parte
sicuramente morbosa, da parte del pubblico verso
tutte le vicende intime, personali, familiari e
sentimentali dei personaggi dello spettacolo, dello
sport, della politica.
E‟ sufficiente, pertanto, seguire una delle tante
trasmissioni televisive o sfogliare un giornale c.d. di
gossip per avere quantomeno la sensazione che,
attualmente, si sia determinata una vera e propria
discrasia tra i principi elaborati in materia e la realtà
quotidiana.
66
Come sostenere, ad esempio, che la foto della
soubrette di turno mentre cammina per strada con il
bambino in braccio, o del calciatore sorpreso in
compagnia di una donna diversa dalla moglie possano
rispondano ad esigenze pubbliche di informazione?
Se, da un lato, è vero che spesso i medesimi
personaggi consentono almeno tacitamente alla
diffusione, perché interessati ad un aumento della loro
(spesso scarsa) notorietà, o addirittura essi stessi
avvertono i fotografi dei loro spostamenti nel
ristorante alla moda o nella discoteca più frequentata,
è altrettanto vero, tuttavia, che, per come i più recenti
fatti di cronaca hanno dimostrato, questo sistema si
presta a pericolosi abusi e illecite interferenze nella
vita privata, sicuramente oltre i limiti della legalità,
non sempre gradite dai diretti interessati, e spesso
riguardanti anche minori d‟età con conseguente rischio
per la loro sicurezza.
Pertanto è auspicabile, ad avviso di chi scrive,
una maggiore accortezza nella diffusione di immagini e
notizie, non assecondando sempre e comunque la
morbosa curiosità del pubblico, anche a costo (ma
forse è proprio questo il vero problema?) di sacrificare
l‟audience di parecchie trasmissioni televisive o la
tiratura di molte riviste.
§
4
FATTI,
AVVENIMENTI,
CERIMONIE
PUBBLICHE O DI INTERESSE PUBBLICO
Altra ipotesi di frequente applicazione, in
presenza della quale è ammessa la diffusione
dell‟altrui immagine a prescindere dal consenso
dell‟interessato, ricorre quando la riproduzione è
67
collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse
pubblico o svoltesi in pubblico
Buona parte delle considerazioni fatte con
riguardo alla notorietà della persona valgono anche in
questo caso, in quanto comune è la ratio della
disposizione, vale a dire il soddisfacimento di un
interesse generale di informazione, considerato
prevalente sul diritto individuale all‟immagine, e quindi
idoneo a comprimerlo.
Nell‟esaminare questa ipotesi, pertanto, è sempre
necessario avere ben presente la finalità della norma
in esame, al fine di una corretta interpretazione ed
applicazione
della medesima nonché di una più
agevole risoluzione dei dubbi che possono sorgere in
proposito.
La disposizione prevede, in effetti, due distinte
ipotesi: che i fatti, avvenimenti, cerimonie siano di
interesse pubblico ovvero che si siano svolte in
pubblico.
La diffusione dell‟immagine in assenza di
consenso è giustificata, in primo luogo, laddove sia
collegata ad avvenimenti che presentano un interesse
pubblico, con la conseguenza che anche fatti o
cerimonie svoltesi in luogo privato, ma
che si
distacchino dalla normalità quotidiana, soddisfacendo
l'esigenza di una completa informazione giornalistica,
possono legittimare la divulgazione dell‟altrui ritratto.
La fattispecie che può creare maggiori dubbi è,
invece, quella dei fatti, avvenimenti o cerimonie
“svoltesi in pubblico”, in quanto la dizione della legge è
68
considerata alquanto infelice, perché idonea a trarre in
inganno sulla sua reale portata53.
Si
potrebbe
ritenere,
stando
ad
una
interpretazione
strettamente
letterale,
che
la
pubblicazione dell‟immagine sia consentita tutte le
volte in cui appaia connessa a fatti svolti in pubblico, a
prescindere dalla sussistenza di un interesse pubblico
alla conoscenza, con conseguente rischio di svuotare
di ogni contenuto il diritto
in questione, ferma
restando la possibilità di opporsi alla divulgazione
laddove sia ravvisabile un pregiudizio all‟onore, al
decoro o alla reputazione.
Nella maggior parte dei casi, pertanto, il diritto
all‟immagine non sarebbe autonomamente tutelato,
ma soltanto come aspetto di altre posizioni giuridiche
soggettive54.
E‟ preferibile, invece, interpretare la norma sia
tenendo conto della ratio della stessa sia collegando le
due formule “fatti di interesse pubblico” e “fatti svoltisi
in pubblico”.
Ne consegue che, affinché la pubblicazione
dell‟immagine in assenza di consenso si possa
considerare lecita sarà necessario che i fatti,
avvenimenti o cerimonie presentino un particolare
interesse per la collettività, distaccandosi dalla
normalità quotidiana55.
53
Immagine (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX,
Milano, 1970, 144 ss.
54
Luigi Gaudino, Dell’immagine, del “luogo pubblico” e
della tutela del minore, in Resp. civ. e prev. 2007,4, 815,
nota a Cass. civile n. 21172/’06 3 n. 19069/’06.
55
Cfr. De Cupis e Vercellone op. cit.
69
In effetti, già il termine “fatto” di per sé evoca
l‟idea di un episodio rilevante per le sue singolarità o
per le circostanze in cui si è verificato, quindi di un
certo rilievo per l‟informazione del pubblico.
Viceversa non sarà sufficiente che la persona sia
ritratta in un luogo pubblico, come una piazza, una
strada, una spiaggia o un ristorante, laddove non sia
accaduto anche un fatto di una certa importanza, a cui
si connette l‟immagine.
In questi casi, peraltro, non sarà neppure
possibile ritenere l‟esistenza di un consenso tacito o
presunto per il solo fatto di trovarsi in una pubblica via
o in un locale pubblico, posto che, per come si è visto,
affinché la diffusione del proprio ritratto si possa
considerare
tacitamente
assentita
occorre
un
comportamento
idoneo
a
manifestare
inequivocabilmente la volontà del soggetto ritratto,
come nel caso del passante che, essendosi reso conto
della
presenza
di
un
cameraman,
si
sia
spontaneamente
sottoposto
ad
una
ripresa;
diversamente nell‟ipotesi in cui il filmato sia stato
effettuato di nascosto, con uno stratagemma, per
realizzare una candid camera. Esattamente, quindi, la
riproduzione dell'immagine di un soggetto nell'ambito
di un programma di "candid camera" è stato ritenuta
illecita in assenza del consenso dell'interessato, con
conseguente obbligo anche al risarcimento dei danni.56
56
Tribunale Roma, 24 aprile 2002, Pesce e altro c.
Soc. R.T.I. , in Dir. informatica 2002, 801
70
L‟interpretazione dell‟art. 97 l. n. 633/1941
che si è accolta appare più coerente con le
considerazioni sopra svolte in ordine all‟esigenza
che, affinché possa considerarsi ammissibile il
sacrificio di un interesse individuale, debba ricorra
un generale interesse, effettivo ed attuale,
all‟informazione
ed
alla
conoscenza.
La
giurisprudenza,
pertanto,
ha
considerato
illegittima la pubblicazione della fotografia di due
persone su una barca, scattata in un porto
turistico, e pubblicata sulla copertina di un elenco
telefonico57, nonché quella di un artigiano delle
calzature intento al proprio lavoro, diffusa al fine
di evocare l'immagine generica di chi esercita quel
tipo di mestiere58.
Va, in ogni caso, ribadita la necessità di un
collegamento tra la rappresentazione dell‟immagine
della persona e le situazioni ipotizzate dalla legge, per
cui essa non può essere avulsa dal contesto
dell‟avvenimento, né è possibile alterare le circostanza
di tempo e di luogo.
Pertanto la diffusione è da ritenersi illegittima, se
effettuata senza un nesso di pertinenza rispetto
all'evento, ad esempio per scopi pubblicitari, in quanto
deve essere finalizzata alla soddisfazione dell'interesse
sociale ad una esatta conoscenza del fatto svoltosi in
pubblico, interesse che deve non soltanto sussistere al
momento della fissazione dell'immagine, ma anche
seguire tutto l'arco temporale di divulgazione di essa,
57
Trib. Torino, 14 febbraio 1996, in Dir. inf., 1996,
251.
58
Trib. Roma, 31 ottobre 1992, in Dir. inf., 1993, 390.
71
connotando, sia pure in versione rievocativa
dell'evento iniziale, tutti i successivi episodi di
riproduzione59.
Allo stesso modo non può considerarsi consentita
la divulgazione giornalistica di un'immagine, se posta a
corredo di un articolo che l'accosta a un concetto che
esprime un disvalore e identifica, per ciò stesso, un
comportamento sociale disapprovato dalla collettività,
rispetto a cui l'immagine stessa assume valenza
simbolica; oppure adoperare il ritratto in forma
tendenziosa e maliziosa, così da elevare la persona
raffigurata a paradigma di un comportamento non
positivamente considerato da tutti, o addirittura
riprovevole60.
§ 5 ALTRE
DELL'IMMAGINE
CONSENSO
IPOTESI
SENZA
DI DIVULGAZIONE
NECESSITÀ
DI
Le altre ipotesi previste dall‟art. 97 l. n. 633/1941
idonee a giustificare, in mancanza del consenso della
persona ritratta, la divulgazione dell‟altrui immagine,
quindi la compressione del relativo diritto, si realizzano
quando la pubblicazione di dell'immagine di un
individuo sia giustificata dall‟ufficio pubblico da questi
ricoperto, oppure da necessità di giustizia o polizia, o
da scopi scientifici, didattici o culturali.
59
Trib. Roma, 12 marzo 2004, in Danno e resp. 2005,
879 nota Tassone cit.
60
Giudice di pace Bari, 25 ottobre 2004, in
Giurisprudenza locale , Bari 2004.
72
Questi casi, come quelli già esaminati, hanno in
comune la ricorrenza di un interesse generale alla
diffusione dell‟altrui ritratto, che è considerato
preminente, a fronte del quale la posizione soggettiva
individuale è da ritenersi recessiva.
Per quanto concerne la prima ipotesi, è necessario
che la diffusione dell‟immagine si riferisca alla persona
nell‟atto in cui svolge le funzioni relative all‟ufficio
pubblico ricoperto.
Poiché, generalmente, chi ricopre un pubblico
ufficio richiama su di sé l‟attenzione della collettività,
in quanto gli atti dallo stesso compiuti sono diretti ad
un ampio novero di interessati, per cui sussiste un
certo interesse generale alla conoscenza delle sue
sembianze, è stato sostenuto che questa ipotesi, il più
delle volte, non ha carattere autonomo rispetto a
quella della notorietà61, quindi presenterebbe la
medesima giustificazione.
Per quanto riguarda le caratteristiche che
dovrebbe presentare un ufficio pubblico, affinché si
possa applicare la norma in questione, è condivisibile
la tesi62 secondo cui è sterile una specificazione a
priori dell'ambito di una nozione di “ufficio pubblico”,
essendo invece più utile verificare, in base alle
circostanze del caso concreto, se, considerata la ratio
della previsione, sussistano quei prevalenti interessi
61
De Cupis, Sul fondamento delle limitazioni legali del
diritto all’immagine, in Foro it., 1959, I, 200.
62
Immagine (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX,
Milano, 1970, 144 ss.
73
della collettività idonei a giustificare la compressione
dell‟altrui diritto all‟immagine.
Altra ipotesi prevista dall‟art. 97 l. n. 633/1941 si
realizza quando la diffusione dell‟immagine è
giustificata da necessità di giustizia o polizia, pertanto
vanno a prevalere sul diritto in questione, quindi a
legittimarne una compressione,
le esigenze degli
organi suddetti, che devono essere messi in grado di
svolgere efficacemente le proprie pubbliche funzioni.
Pensiamo al caso in cui vi sia il bisogno di
pubblicare il ritratto della persona evasa dal carcere,
per facilitarne la cattura, o di chi sia scomparso da
casa.
Dalla formulazione della norma, in particolare dal
termine “necessità”, si può desumere che la
disposizione debba trovare applicazione soltanto
quando sussistano realmente ed oggettivamente
queste esigenze, quindi non per soddisfare la mera
curiosità del pubblico.
Con riguardo alla divulgazione di un'immagine
senza il consenso (o, meglio, con la sicura opposizione
da parte dell'interessato), merita, a questo punto, una
qualche riflessione la proposta che da qualche tempo
di fa strada, a causa dei ripetuti casi di pedofilia, di
consentire in Italia, per come già si sta diffondendo in
taluni Paesi occidentali, la apposizione di manifesti,
nelle vie pubbliche del centro abitato, o quanto meno
del quartiere, in cui vada ad abitare un soggetto, a
carico del quale in passato sia stato accertato un reato
di pedofilia, riportanti l'immagine e i suoi dati.
Può dirsi necessità di giustizia o di polizia una
siffatta pubblicità negativa, sicuramente non gradita
dall'individuo raffigurato, oppure occorrerebbe una
74
specifica legge al riguardo, tenuto conto che il secondo
comma dell'indicato art. 97 stabilisce che “il ritratto
non può tuttavia essere esposto o messo in
commercio, quando l'esposizione o messa in
commercio rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione
od anche al decoro nella persona ritrattata.” ?
Ad avviso di chi scrive un'esigenza di sicurezza,
tra l'altro a tutela dei soggetti più deboli e indifesi,
quali sono i minori, si impone, e trattasi di esigenza
che può assumere i caratteri della prevalenza rispetto
all'opposto diritto di privacy di chi si è macchiato di
questi turpi reati, che, non di rado, sfociano anche
nella soppressione della vittima innocente, quando il
pedofilo tema di essere scoperto.
E' da ritenere, peraltro, che la disposizione
contenuta nell'articolo 97 della legge n. 633 del 1941,
nella sua attuale formulazione ponga dei limiti alla
pubblicazione di manifesti di questo tipo, che
sicuramente costituirebbero pregiudizio per l'immagine
dell'interessato, ai sensi del secondo comma della
norma in questione.
E' necessaria, quindi, un'apposita disposizione
normativa
che
nell'autorizzare
la
divulgazione
dell'immagine e dei dati del pedofilo, nel contempo, ne
tuteli, per quanto possibile, anche il diritto di privacy,
stabilendo modalità e limiti, ad evitare eccessi in senso
opposto.
Infatti, se da un lato si pone ormai come
indifferibile la necessità di una più incisiva difesa dei
minori in una società di permissivismo eccessivo,
anche mediante una certa divulgazione dei dati del
pedofilo, il quale, sol che cambi quartiere, spesso
ricomincia come e più di prima, dall'altro non bisogna
75
dimenticare anche la giusta tutela di questi da facili
ritorsioni e giustizie sommarie.
Infine, la diffusione del ritratto, senza che occorra
un consenso da parte dell‟interessato, può avvenire
quando è giustificata da scopi scientifici, didattici o
culturali, posto che, anche con riferimento ad essi, è
individuabile un interesse generale.
La norma può porre dei dubbi interpretativi, in
particolare sul modo in cui è preferibile intendere la
portata di questi scopi, se in senso strettamente
letterale, con conseguente esclusione di finalità non
menzionate, ma ugualmente rilevanti, come quelle
artistiche, oppure dando rilievo anche a finalità che,
pur non essendo espressamente elencate, tuttavia
rientrino nell‟ampio concetto di “scopi culturali”,
ovviamente purché seriamente apprezzabili e non
pretestuosi.
In applicazione di questi principi si è ritenuto, ad
esempio, che la riproduzione, all'interno di un
periodico, di alcuni disegni raffiguranti una modella di
fama internazionale, realizzati da un noto pittore, non
costituisce violazione del diritto all'immagine perché,
appunto, ricorrono quelle finalità di natura culturale
considerate dall'art. 97 l. dir. autore come causa di
libera circolazione del ritratto 63.
In ogni caso, affinché la pubblicazione si possa
considerare legittima, occorre che questa appaia
63
Si trattava, nella specie, di un poster realizzato dalla
rivista Max e contenente diversi disegni - opera del pittore
Mel Ramos- che ritraevano in maniera molto fedele la
modella Claudia Schiffer: V. Tribunale Milano, 23 dicembre
1999, Schiffer c. Soc. RCS ed. e altro, in Dir. informatica
2000, 622.
76
effettivamente funzionale allo scopo indicato dalla
norma; viceversa la compressione del diritto
all‟immagine non è consentita se la stessa finalità
poteva essere realizzata diversamente, come nel caso
della rivista scientifica che riproduca l‟immagine di una
persona affetta da una certa malattia: in questo caso
non necessariamente (e comunque non sempre) è
funzionale che le fattezze del malato siano facilmente
identificabili.
In proposito va osservato che, in effetti, nel corso
del tempo si è giustamente sviluppata, anche in
questo ambito, una maggiore considerazione per la
dignità della persona, a maggior ragione se ammalata,
e quindi sostanzialmente spesso debole e indifesa: è
sufficiente consultare un manuale medico-scientifico
del passato64 per rendersi conto di come la tutela della
dignità dell‟individuo, specie del malato di mente,
quasi sempre non fosse considerata una priorità
rispetto agli scopi di divulgazione scientifica.
64
V. ad esempio le numerose immagini di malati di
mente, riprodotte senza alcun accorgimento diretto a
rendere non riconoscibili i malati ritratti, contenute in “I
disturbi dell’anima. Patologia speciale delle anomalie dello
spirito”, di L. Lugiato, ed. Ulrico Hoelpi, Milano, 1922, con
una crudezza che da un lato non giovava alla scienza e
dall'altro rivelava una scarsa o nulla sensibilità da parte
dell'autore, a scusante del quale può dirsi soltanto che si
trattava di insensibilità generalizzata, in un'epoca in cui le
teorie del Lombroso sulla fisiognomica delle devianze
regnavano sovrane.
77
CAPITOLO 5
L’IDENTITÀ PERSONALE
§1 Immagine e identità personale; § 2 Nome e
identità personale; § 3 Il fondamento normativo
dell‟identità personale; § 4 La lesione del diritto
all‟identità personale
§1 IMMAGINE E IDENTITÀ PERSONALE
1-a) Nelle pagine precedenti si sono analizzati la
nozione, il contenuto ed i tratti caratterizzanti il diritto
all‟immagine, nonché le varie ipotesi di lesione del
medesimo.
Da questa analisi è emersa una progressiva
evoluzione della fisionomia del diritto in questione,
poiché se originariamente –ed in senso letteralel‟immagine è soltanto la rappresentazione delle
sembianze reali di un soggetto, gradualmente si è
estesa sempre di più, finendo con l‟intersecarsi e
andare a confluire in altri diritti della personalità, in
origine considerati con caratteristiche del tutto
distinte.
In particolare, si è visto come, in diverse
occasioni, la giurisprudenza ha riconosciuto la
violazione del diritto all'immagine, non solo ed
esclusivamente tramite la diffusione illegittima della
raffigurazione reale dell'individuo (per intenderci, il
ritratto fotografico), ma anche a mezzo della
riproduzione filmica della persona (la c.d. maschera
78
scenica), oppure attraverso l‟utilizzo di un sosia65, o
sotto forma di caricatura66, e fin qui l'evoluzione
interpretativa si poteva dire naturale, bensì anche
attraverso la rappresentazione di oggetti notoriamente
usati da un personaggio noto, sulla base della
considerazione secondo cui non solo i tratti fisici, ma
anche determinati accessori, possono caratterizzare un
individuo in modo così forte da consentire allo
spettatore l‟immediato richiamo, nella propria mente,
proprio di quel personaggio.
Si è manifestata, pertanto, nel corso del tempo,
una tendenza da parte della giurisprudenza a
riconoscere margini sempre più ampi di tutela al diritto
all‟immagine, in una direzione che ha portato ad
intersecarsi, talvolta, con altre situazioni soggettive, in
particolare col diritto all‟identità personale, nel quale,
infine, si può dire, che, spesso, in sede di tutela in
concreto, è andato a confluire, così dandosi
giustificazione a una più pregnante tutela, atteso il
rilievo di diritto fondamentale, riconosciuto all'identità
personale.
Di conseguenza, il diritto all‟immagine viene
ormai inteso (e quindi tutelato) in senso ampio,
riconoscendo che il ritratto costituisce il veicolo
attraverso il quale si ha una diffusione o espressione
delle connotazioni principali del soggetto - che vanno
ben al di là dell'aspetto fisico- dalla sua moralità, alle
sue opinioni e al suo intimo sentire; per cui è evidente
65
Trib. Roma, 28/1/1992, in Rassegna Diritto Civile
93, 935.
66
Trib. Roma, 11/2/1997, in Giurisprudenza Civile 98,
I, 551; Cass. civile n. 4993/1996, in Foro it. 96, I, 2368.
79
che l'esposizione di un'immagine in un certo contesto
(come un articolo di stampa) o unitamente ad altre
immagini o ad uno slogan, anche al di fuori di un
intento offensivo, possono fornire una connotazione
dell'identità personale, distorta o non aderente alle
idee del soggetto, o comunque da questi non voluta o
rifiutata.
In questa direzione si è posto il graduale
riconoscimento, da parte di dottrina e giurisprudenza,
di un diritto all‟immagine anche in capo a persone
giuridiche, pubbliche e private, nonché ad enti
collettivi non riconosciuti (per come si dirà più
diffusamente nel prossimo capitolo): non trattandosi di
persone fisiche è chiaro che la nozione in questione
non può, ovviamente, essere intesa in senso letterale,
poiché l'ente diverso dalla persona fisica non è
chiaramente dotato di fattezze fisiche, bensì in un
modo necessariamente figurato, come reputazione
complessiva di cui l'ente collettivo gode presso la
comunità dei consociati, suscettibile di lesione da parte
dei suoi rappresentanti e dipendenti, nonché da parte
dei terzi.
Da ciò deriva che la nozione giuridica di immagine
finisce per confluire nel diritto all‟identità personale
giungendo sovente, anche a coincidere con questo.
1-b) Un diritto all'identità personale non è
testualmente contemplato in alcuna disposizione di
legge, ma è andato emergendo, su impulso della
dottrina e della giurisprudenza67, come diritto del
67
Nell’ampia elaborazione giurisprudenziale assume un
particolare interesse la sentenza della Corte di Cassazione, I
80
soggetto ad essere se stesso rispetto ai propri simili,
vale a dire ad essere rappresentato nella vita di
relazione con la sua vera identità, così come questa,
nella realtà sociale, generale o particolare, è percepita
dagli altri, o poteva esserlo con l'applicazione dei
criteri della normale diligenza e della buona fede.
Quindi non viene in rilievo “l‟identità” intesa in
senso soggettivo, vale a dire come opinione che la
persona ha del “proprio io”, bensì in un significato
oggettivo, e cioè come è percepita dalla comunità con
la quale il soggetto si relaziona, anche per quanto
riguarda le sue ideologie e i suoi modi di considerare la
vita e le cose che lo circondano.
Pertanto si riconosce che ciascun individuo ha il
diritto -autonomamente tutelatoad essere
rappresentato correttamente ed in modo fedele
all‟esterno, quindi a non vedere alterato, travisato,
offuscato, contestato il proprio patrimonio ideologico,
professionale, politico, religioso e sociale, quale si è
estrinsecato, od appariva, in base a circostanze
concrete ed univoche, nonché destinato ad esprimersi
nell'ambiente sociale.
L‟autonoma rilevanza di questo diritto comporta,
pertanto, che, indipendentemente dalla lesione di altri
valori, può risultare illegittima la falsa attribuzione di
un certo comportamento o di una certa opinione non
propria, nonché, viceversa, il disconoscimento della
sez. civile, 22/6/1985 n. 3769, relativa all’utilizzo di
dichiarazioni, sapientemente decontestualizzate, del noto
oncologo Veronesi, presidente della lega anticancro, per
pubblicizzare una marca di sigarette. Sul rilievo di tale
sentenza, anche riguardo all'immagine degli enti collettivi, si
tornerà nel prossimo capitolo.
81
paternità di un‟azione propria, in realtà compiuta,
poiché,
in
definitiva,
determina
una
errata
rappresentazione all‟esterno della
persona, non
importa se in melius o in peius.
L‟identità personale, pertanto, è un concetto che
riassume e sintetizza il modo d‟essere che
contraddistingue la persona globalmente, nella
molteplicità delle sue caratteristiche.
1-c) Se diritto all‟immagine e diritto all‟identità
personale presentano dei punti di contatto68, tant‟è
che in diverse decisioni (specie del passato) si giunge
al riconoscimento del secondo attraverso l‟adozione di
una nozione elastica del primo, tuttavia non devono
essere completamente sovrapposti, con conseguente
annullamento dei confini esistenti tra queste due
posizioni soggettive, in quanto tra queste non esiste
un rapporto di coincidenza, bensì di correlazione.
Infatti, mentre la nozione giuridica di immagine,
sebbene non si esaurisca in questo, è costituita da un
elemento materialmente percepibile, che identifica una
persona nelle sue sembianze fisiche, invece l‟identità
personale attiene ad una serie di aspetti che
caratterizzano
nel
complesso
il
patrimonio
intellettuale, professionale, ideologico dell‟individuo,
con la conseguenza che può essere considerata come
una sorta di dilatazione, o proiezione sul piano eticosociale, del concetto di immagine.
68
“Diritto all'immagine e all'identità personale”, nota
a Tribunale Verona, 26 Febbraio 1996, di Claudia Zhara
Buda, in Giur. merito 1997, 1, 32.
82
Ulteriore conseguenza è che mentre l‟identità
personale, proprio in quanto proiezione sociale della
personalità dell‟individuo, in tutte le sue numerose e
variegate manifestazioni -da quelle comportamentali
(azioni materiali, intellettuali, politiche), a quelle
psichiche (carattere) ed affettive (sentimenti), da
quelle materiali (tenore di vita) alle relazioni (familiari,
professionali, sociali ecc.)- non può che essere una
realtà dinamica, viceversa l‟immagine ha una natura
essenzialmente più stabile.
La correlazione esistente tra queste due posizioni
soggettive comporta, pertanto, che attraverso la tutela
dell‟immagine può essere salvaguardato anche il
diritto all‟identità personale: nella divulgazione del
ritratto, infatti, non è consentito, per come è stato
evidenziato nelle pagine precedenti, introdurre né
modificazioni attinenti strettamente alle sembianze
fisiche, né alterazioni relative ad altri elementi, tali da
compromettere
l‟esatta
rappresentazione
della
personalità dell‟individuo.
§ 2 NOME E IDENTITÀ PERSONALE
2-a)
Numerosi
sono
gli
elementi
che
contribuiscono
all‟esatta
individuazione
ed
identificazione di una persona.
Innanzi tutto vengono in considerazione i c. d.
“segni distintivi”, quali, ad esempio, il nome e lo
pseudonimo.
Invero, nell‟ambiente sociale proprio di ciascun
soggetto, vale a dire nell‟ambito della collettività dove
“svolge la personalità” (ex art. 2 Cost.), il nome ed il
83
cognome consentono, già di per sé, di individuare
correttamente la persona.
Pertanto, è sempre stato sussistente un intrinseco
legame tra la persona ed il nome, tanto nelle comunità
primitive, quanto in quella attuale, giungendo ad
acquisire un significato giuridico e sociale: non a caso
proprio la privazione del nome e la sua degradazione a
numero costituirono una delle pratiche effettuate nei
lager
nazisti,
dirette
alla
spersonalizzazione
dell‟individuo.
Tra i segni distintivi e l‟identità personale,
indubbiamente,
sussiste
pertanto
una
stretta
relazione, in un certo senso strumentale, posto che
fungono da mezzo di distinzione ed evocazione, non
solo del soggetto, ma anche dei suoi attributi, quindi
contribuiscono a determinarne l‟identità.
La fondamentale rilevanza del diritto al nome è,
peraltro,
confermata
dall‟art.
22
Cost.
che
espressamente esclude la possibilità di privare un
individuo, per motivi politici, tanto della capacità
giuridica, quanto della cittadinanza e del nome.
Significativo, in tal senso, è stato l‟espresso
riconoscimento da parte della Corte Costituzionale69
che il cognome gode di una distinta tutela, anche nella
sua funzione di strumento identificativo della persona,
69
Corte Costituzionale, 3/2/1994 n. 13, relativa ad
una fattispecie nella quale il ricorrente chiedeva di
conservare il cognome ricevuto alla nascita, e con il quale
era ormai noto nel suo ambiente sociale, sebbene fosse
stata accolta, con un provvedimento dell’autorità, la
richiesta dell’ascendente di mutamento del cognome di
famiglia.
84
e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed
irrinunciabile della personalità.
La Corte sottolinea come si tratti di tutela di
rilievo costituzionale perché il nome, che costituisce il
primo e più immediato elemento che caratterizza
l‟identità personale, è riconosciuto come bene oggetto
di autonomo diritto, riconducibile nell'ambito dell'art. 2
Cost.
E' interessante rilevare come nella sentenza
appena citata la Corte afferma che “il diritto alla
identità
personale
costituisce
tipico
diritto
fondamentale, rientrando esso tra i diritti che formano
il patrimonio irretrattabile della persona umana”.
Riprendendo questi concetti, lo stesso giudice
delle leggi, con sentenza 23 luglio 1996, n. 297,
intervenendo proprio sull'articolo 262 del Codice civile,
ha dichiarato incostituzionale tale norma nella parte in
cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il
cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa
ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a
mantenere, anteponendo o (a sua scelta) aggiungendo
a questo, il cognome precedentemente attribuitogli
con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia
divenuto autonomo segno distintivo della sua identità
personale.
2-b) Il nome (costituito dal prenome e dal
cognome), pertanto, si manifesta quale simbolo
dell‟identità della persona, quindi anche, più in
generale, del suo modo d‟essere.
Nel corso del tempo, infatti, vi è stato il passaggio
da una concezione del cognome quale mero segno di
identificazione della discendenza familiare, ad una
85
visione che lo inquadra tra gli elementi costitutivi
dell'identità personale, intesa come un bene a sé,
indipendente dallo status familiare.
Pertanto il cognome non esprime soltanto la
titolarità di una determinata posizione all‟interno della
famiglia, bensì è un elemento costitutivo della
personalità di ciascun individuo.
In particolare, in un caso sottoposto all‟attenzione
della Suprema Corte70, di riconoscimento di un figlio
naturale da parte della madre, che gli aveva
trasmesso il cognome, e, solo successivamente, anche
da parte del padre, il quale notoriamente apparteneva
alla malavita, si ribadisce che la ratio dell'art. 262 c.c.
non va rintracciata soltanto nell'esigenza di parificare,
il più possibile, la posizione del figlio naturale a quella
del figlio legittimo, privilegiando l'assunzione del
cognome paterno, ma sopratutto in quella di garantire
l'interesse del minore a conservare, o non cambiare, il
cognome con cui è conosciuto nell'ambito delle proprie
relazioni sociali.
Nella sentenza con la quale vennero, appunto,
confermati i precedenti decreti (del Tribunale e della
Corte d'appello) che avevano respinto la richiesta del
padre (che aveva a distanza di anni riconosciuto il
figlio naturale, nato da una relazione, e già
riconosciuto dalla madre), finalizzato all'attribuzione al
figlio del proprio cognome in sostituzione di quello
della madre, la Suprema Corte esprime delle
considerazioni, che meritano di essere riportate per
70
Cassazione civile, Sez. I, 26 maggio 2006, n. 12641,
in Dir. famiglia 2006, 4, 1649, nota di Gazzoni.
86
intero, per il notevole contributo che portano alla
problematica in discorso:
“La interpretazione della norma di cui all'articolo
262 c.c. implica la necessità di considerare la funzione
del cognome nel nostro ordinamento, di individuare la
ratio dell'enunciato normativo, in una prospettiva più
generale, di tenere conto della emersione nel sistema
e nel costume sociale di una tendenza a mettere in
discussione la regola dalla automatica attribuzione dal
patronimico.
E' dato ormai incontrovertibile che il cognome nel
nostro ordinamento giuridico non svolga solo una
funziona pubblicistica, tesa a offrire una tutela della
famiglia consentendo ai suoi membri di essere
identificati come appartenenti a un determinato nucleo
familiare, ma assolve anche a una fondamentale
funzione di natura privatistica, quale strumento
identificativo della persona. La protezione dell'identità
personale,
immancabilmente
contraddistinta
da
peculiari connotati morali, culturali, ideologici, trova,
infatti, il suo nucleo centrale nella tutela del nome, che
viene considerato non tanto come mezzo necessario di
individuazione del singolo nell'ambito dei soggetti di
un ordinamento giuridico secondo principi normativi di
interesse generale, quanto piuttosto nella sua corrente
qualità di simbolo emblematico della identità personale
di un individuo e quindi come aspetto, meritevole di
protezione, della personalità umana. Come è stato
rilevato in dottrina, la tutela costituzionale del diritto al
mantenimento del nome attribuito alla persona al
momento della nascita in accordo con le norme di
legge deve ritenersi assoluta. Nel caso di filiazione
naturale, peraltro, non essendovi una famiglia
87
legittima da tutelare, il cognome del figlio assolve quanto meno in prevalenza - alla funzione privatistica,
in virtù della quale il cognome è una componente
dell'inviolabile diritto di ciascun uomo ad avere una
propria identità personale (artt. 2 e 22 Cost.”
E' da dire, peraltro, che tale evoluzione della
concezione del nome, quale autonomo segno distintivo
della identità personale dell'individuo, prima ancora
che della ascendenza familiare, era stata, peraltro,
riconosciuta anche dal Giudice delle leggi con decisione
in data 11 maggio 2001 n. 120, e già in precedenza,
con la sentenza 3 febbraio 1994 n. 13, e n. 297 del
23-7-1996, nonché dalla stessa Corte di cassazione
con sentenza n. 6098/2001.
La decisione in esame, pertanto, evidenzia come,
in seno al processo di adeguamento del diritto di
famiglia ai valori costituzionali, sia entrato in
irreversibile
crisi
il
principio
dell'automatica,
preferenziale attribuzione del cognome paterno,
principio che appare in contrasto con quello di
uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, nel quadro,
più generale, del principio di uguaglianza di cui all'art.
3 Cost..
L'attuale sistema di attribuzione del cognome è
retaggio, in realtà, di una concezione patriarcale della
famiglia legittima e della potestà maritale, entrambe
da tempo tramontate: non è più attuale e plausibile un
criterio di trasmissione del cognome assolutamente
affidato a rigidi meccanismi automatici, perché se, da
un lato, possono proteggere interessi ed esigenze
formali di ordine pubblico, non riescono dall'altro, né
ad impedire forme di discriminazione basate sul sesso,
88
né tutelare adeguatamente
connesse all'uso del cognome.
situazioni
esistenziali
2-c) L‟orientamento in base al quale l'acquisto del
cognome paterno, da parte del figlio naturale, non è
automatico, ma, anzi, va escluso qualora, tra i due
riconoscimenti,
il
minore
abbia
acquistato
e
consolidato una sua precisa consapevole individualità
con il cognome materno e con quest'ultimo sia
conosciuto, è ormai consolidato.
Il giudice, pertanto, deve prescindere da qualsiasi
meccanismo di automatica attribuzione del cognome
del padre, proprio perché occorre tutelare in primo
luogo l'interesse del minore alla propria identità
personale, di cui il cognome è espressione, e quindi
l'eguaglianza tra i genitori.
Di conseguenza, l'assunzione del patronimico non
va autorizzata sia quando ne possa derivare un danno
per il minore, ad esempio - come nel caso esaminato per la cattiva reputazione della famiglia paterna, sia,
più in generale, allorquando il cognome materno, per il
tempo intercorso tra i due riconoscimenti, si sia ormai
radicato nel contesto sociale in cui il minore vive,
atteso che precludere a quest'ultimo il diritto di
mantenerlo si risolverebbe in una ingiusta privazione
di un elemento della sua personalità, il c.d. diritto ad
essere se stesso.
Alla luce di queste considerazioni, è ritenuto da
più parti auspicabile un intervento legislativo che
adegui la disciplina del cognome alla struttura ed alle
esigenze della famiglia attuale, conciliando il diritto
all'identità della famiglia legittima con lo stesso diritto
di quella naturale.
89
In tal senso, è significativa una recente pronuncia
della Corte di Cassazione71 che è tornata ad occuparsi
di una questione molto rilevante: la possibilità di
assegnare al figlio minore legittimo il cognome
materno, invece di quello paterno, su concorde
richiesta dei coniugi.
Questa problematica è stata affrontata più volte
dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale: la
Corte Costituzionale72, nel 2006, aveva dichiarato,
tuttavia, inammissibile la questione di legittimità delle
norme che prevedono l‟automatica assegnazione del
cognome paterno al figlio legittimo, nonostante una
diversa volontà dei genitori. La Consulta, in questa
occasione, pur avendo preso atto della non
corrispondenza dell‟assetto normativo italiano con i
principi di eguaglianza tra i coniugi, aveva tuttavia
escluso la possibilità di un proprio intervento, che
sarebbe stato manipolativo, attese le diverse soluzioni
adottabili, in quanto esorbitante dalle proprie
attribuzioni, auspicando, piuttosto, una modifica della
disciplina da parte del legislatore.
La Suprema Corte73, pertanto, a chiusura di quel
medesimo
procedimento
e
richiamandosi
alla
pronuncia della Corte Costituzionale, aveva ribadito
che il quadro normativo vigente relativo alla filiazione
legittima prevede, a differenza da quello riguardante i
figli
naturali,
un
meccanismo
di
automatica
71
Cass. civile, sez. I, ordinanza 22/9/2008 n. 23934,
in Foro it., 2008, I, 3097.
72
Corte Cost., 16/2/2006, n. 61, in Foro it., 2006, I,
1673.
73
Cass. civile, 14/7/2006, n. 16093, in Foro it.,
Repertorio 2006, voce Stato civile.
90
attribuzione del cognome, che non può essere
derogato neppure in presenza di una concorde volontà
dei coniugi, retaggio –in effetti- di una concezione
patriarcale della famiglia ormai non più in armonia con
le fonti sopranazionali.
La questione, tuttavia, ha ricevuto un nuovo
impulso grazie alla recente pronuncia della Suprema
Corte, cui si accennava sopra, che è giunta a
conclusioni diverse rispetto al passato: viene
evidenziata, infatti, la contrarietà della disciplina
italiana ad alcune risoluzioni e raccomandazioni del
Consiglio
d‟Europa
in
materia
di
misure
antidiscriminatorie in ambito familiare, nonché alla
Convenzione europea dei diritti dell‟uomo, alla
Convenzione di New York del 18/12/1979 e al Patto
internazionale sui diritti civili e politici adottato
dall‟ONU il 19/12/1969 (entrambi ratificati dall‟Italia).
Viene, inoltre, in rilevo la riforma al Trattato
sull‟Unione ed a quello istitutivo della Comunità
europea, sottoscritta a Lisbona il 13/12/2007,
anch‟essa ratificata dal nostro Stato, che recepisce la
Carta di Nizza.
Nell‟ordinanza in questione74 si rileva come la
violazione di queste disposizioni da parte di norme
interne comporta l‟incostituzionalità delle medesime, in
quanto –per come affermato in precedenza dalla
Consulta75- il nuovo testo dell‟art. 117, comma 1,
Cost. ha previsto l‟obbligo del legislatore ordinario di
rispettare
i
vincoli
derivanti
dall‟ordinamento
74
La n. 23934 del 22 settembre 2008, già citata
Corte Costituzionale, 24/10/2007, n. 348 e 349, in
Foro it. 2008, I, 39.
75
91
comunitario e dagli obblighi internazionali, cosa che
non era stata presa in considerazione dalla sentenza
della Corte Costituzionale del 2006.
Di conseguenza, la disciplina nazionale in
contrasto con queste norme viola l‟art. 117 Cost.,
perché la norma convenzionale, alla quale quella
costituzionale fa un “rinvio mobile”, “dà vita e
contenuto agli obblighi internazionale genericamente
evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere
comunemente qualificata norma interposta ”.
Per queste ragioni la Suprema Corte ha trasmesso
gli atti al prima presidente, per l‟eventuale rimessione
alle Sezioni Unite, affinché valuti se possa essere
adottata un‟interpretazione “evolutiva”, vale a dire
costituzionalmente orientata, oppure, laddove questa
soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell‟attività
interpretativa,
se
rimettere
nuovamente
il
procedimento dinnanzi alla Corte Costituzionale.
Non resta, pertanto, che attendere i successivi
sviluppi della questione, che appare di particolare
interesse per i tanti aspetti coinvolti.
§
3
IL
FONDAMENTO
DELL’IDENTITÀ PERSONALE
NORMATIVO
3-a) Il diritto all‟identità personale, per come è
stato definito nelle pagine precedenti, non è
espressamente contemplato né disciplinato dal
legislatore italiano.
Si aggiunge che il nomen di “diritto all'identità
personale” non risulta né nella Convenzione Europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e neppure nel
Trattato dell'Unione Europea.
92
Considerato, peraltro, che è intuitivo che l'identità
personale costituisce un, anzi, il valore fondamentale
dell'uomo 76, si è posto il problema dell‟individuazione
del suo fondamento normativo, nonché del suo rilievo
costituzionale.
Va rilevato, al riguardo, che il concetto di identità
personale” come un bene giuridico da salvaguardare è
maturato lentamente, prima nella coscienza sociale e
poi in dottrina e in giurisprudenza, per l'esigenza di
una necessità di tutela, probabilmente avvertita a
causa dell'aumentato e variegato modo di violazione di
questo valore, facilitato dai mass media oggi
imperanti.
Si è passati, quindi, dal concetto dell'identità
personale” quale valore umano al corrispondente
concetto quale bene giuridico rilevante, e poi ad una
sua enucleazione come posizione soggettiva giuridica a
se stante.
Il riconoscimento del diritto, come è attualmente
inteso, è avvenuto, pertanto, in modo graduale, anche
attraverso una serie di pronunce della giurisprudenza,
tanto di merito quanto di legittimità, dalle quali è
emersa la progressiva elaborazione del concetto di
identità personale, sebbene, in un primo tempo, senza
neppure l‟uso di questa espressione, che sapeva tanto
di nozione descrittiva e naturalistica.
76
In qualche modo, in senso naturalistico e descrittivo
– e a volte anche affettivo - riconosciamo l'identità anche a
parecchi degli animali con i quali veniamo a contatto, ed ai
quali diamo, appunto, anche un nome, che gli stessi
mostrano di riconoscere, quanto meno, come richiamo.
93
Un provvedimento giudiziario da considerare
significativo risale al 197477: si tratta di un‟ordinanza
del Pretore di Roma con cui è stata accordata tutela
urgente ad una coppia di persone, ritratte a loro
insaputa ed esposte, quindi, in un manifesto della
propaganda
antidivorzista,
ciò
che
poteva
implicitamente condurre ad attribuire alle medesime
falsamente un orientamento contrario alla legge di
recente approvata e, quindi, favorevole al referendum
con cui si proponeva l‟abrogazione della legge che
aveva introdotto il divorzio nell'Ordinamento italiano.
Per ragioni in parte analoghe, lo stesso Pretore, il
giorno successivo, emise un altro provvedimento
urgente78, in quanto una certa frase attribuita all‟on.
Togliatti, decontestualizzata, era stata inserita
maliziosamente in un manifesto sempre della
propaganda favorevole al referendum, così da indurre
la collettività a ritenere –erroneamente- che il defunto
leader del P.C.I. fosse contrario all‟istituto in
questione.
Se in questo secondo caso, in effetti, si era in
presenza della pubblicazione di una idea distorta,
ricavata mediante la estrapolazione di una frase da un
più complesso e articolato contesto, nel caso della
coppia raffigurata nel manifesto antidivorzista si coglie
proprio una maggiore sensibilità da parte del Giudice
nei confronti del concetto di “identità personale”, come
diritto della persona a che neppure indirettamente gli
77
Pretura di Roma, ord. 6/5/1974, in Giurisprudenza
it., 1975, I, 2, 514.
78
Pretura di Roma, ord. 7/5/1974, in Foro it. 1975, I,
3227.
94
altri possano essere indotti, da una divulgazione non
autorizzata dell'immagine fotografata, ad attribuire al
soggetto raffigurato, in relazione al contesto della
pubblicazione, una opinione da questi non condivisa ,
o, comunque, non manifestata o dichiarata.
In effetti, già in precedenza, la giurisprudenza
talvolta aveva fatto riferimento, in modo più o meno
diretto, a questa posizione soggettiva, così, ad
esempio, nella sentenza della Suprema Corte, relativa
ad un servizio giornalistico sulla vita di Claretta
Petacci79, dove, dopo avere negato l‟esistenza di un
diritto alla riservatezza (che, peraltro, come sarà
evidenziato nel prosieguo, ha dei punti di contatto
tanto con l‟immagine quanto con l‟identità personale),
veniva riconosciuta la lesione del diritto a non vedere
alterata la verità della tragica vicenda umana e storica
della congiunta, come diritto alla manifestazione del
pensiero e, quindi, a non vedersi attribuite idee non
condivise o mai espresse: diritto riguardo al quale
veniva riconosciuta anche la legittimazione dei
familiari.
La posizione soggettiva in questione ha,
indubbiamente, una stretta correlazione tanto con il
diritto all‟immagine quanto con il diritto al nome,
tuttavia, poiché presenta delle peculiarità che non
consentono di inquadrarla perfettamente né nell‟uno
né nell‟altro, ed essendo
caratterizzata da una
posizione di autonoma rilevanza nell‟ambito del nostro
ordinamento giuridico, si pone il problema di
individuarne il fondamento normativo.
79
43.
Cass. civile, 7/12/1960 n. 3199, in Foro it., 1961, I,
95
3-b) L‟identità personale, per come è stato
evidenziato nelle pagine precedenti, pur avendo dei
punti di contato col diritto all‟immagine (in particolare,
se inteso in senso non strettamente letterale) non vi
coincide perfettamente, e neppure si risolve nei singoli
segni distintivi, come il nome e lo pseudonimo, in
quanto essa tende, più complessivamente, a
rappresentare la personalità individuale ed a
qualificare l‟individuo, con tutti i suoi attributi e
caratteristiche80.
Per queste ragioni il fondamento del diritto in
questione non è ravvisabile né nell‟art. 6 né nell‟art.
10 c.c..
Fatta questa precisazione, non può, tuttavia,
trascurarsi che anche il riferimento agli articoli 6 e 7
c.c., in materia di diritto al nome, ha costituito uno dei
punti di partenza verso il riconoscimento del diritto
all‟identità personale, quale posizione soggettiva
autonomamente rilevante.
In particolare, è stata espressione di questo
fenomeno la tendenza della giurisprudenza ad
ammettere, nel corso del tempo, margini più ampi per
l‟esperibilità dell‟azione di usurpazione, proprio in una
direzione
che
ha,
progressivamente,
portato
all‟emersione del diritto in questione.
L‟art. 7 c.c. prevede, infatti, a tutela del diritto al
nome la possibilità di esercitare l‟azione di reclamo,
nel caso in cui all‟interessato sia contestato il diritto
all‟uso del proprio nome, nonché quella di
80
Identità (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX, Milano,
1970, 953 e ss.
96
usurpazione, laddove una persona risenta pregiudizio
dall‟uso che altri ne faccia indebitamente.
In entrambe le ipotesi, pertanto, il soggetto che
ritiene offeso il proprio diritto potrà chiedere al giudice
la cessazione del fatto lesivo ed il risarcimento dei
danni.
Se, in origine, la giurisprudenza
ammetteva
l‟esperibilità dell‟azione di usurpazione soltanto nei casi
in cui l‟uso del nome altrui potesse trarre in inganno,
vale a dire richiedeva come presupposto necessario la
c.d.
“confondibilità”
tra
i
due
soggetti,
successivamente i confini della tutela del diritto al
nome sono stati ampliati.
Precisamente, è stata riconosciuta, dapprima, la
possibilità di agire in giudizio anche nell‟ipotesi di
attribuzione del nome a personaggi di fantasia o di
film, presentati in modo ridicolo, sebbene
non
81
sussistesse possibilità di confusione , dunque,
essenzialmente,
a
salvaguardia
dell‟onore,
e,
successivamente, in tutti quei casi in cui, a
prescindere dalla lesione di altri valori (reputazione,
onorabilità, dignità) il nome fosse stato utilizzato in un
contesto o situazione tale da falsare l‟identità
personale.
Questa evoluzione giurisprudenziale è significativa
della progressiva emersione di un diritto ad essere se
stessi, ad essere rappresentati come si è, e, quindi, a
non vedersi attribuiti fatti o caratteri che non
rispecchiano il modo d‟essere del soggetto.
La
giurisprudenza,
pertanto,
è
giunta,
gradualmente, ad ammettere l‟autonoma rilevanza del
81
Cass. civile, n. 2748/1963, in Foro it. 64, I, 306.
97
diritto all‟identità personale e, di conseguenza, la
possibilità di lesione del medesimo attraverso un fatto
che non sia, nel contempo, offensivo anche di altre
posizioni soggettive, come l‟immagine o il nome.
Il fondamento dell‟identità personale, pertanto,
non va ravvisato né nell‟art. 10 né nell‟art. 7 c.c.,
sebbene, per come si è detto, sussista una certa
connessione sia con l‟immagine sia col diritto al nome,
bensì nell‟art. 2 della Costituzione, la cui finalità è
proprio quella di tutelare la persona umana nei suoi
aspetti e modi di essere essenziali.
A questa conclusione, precisamente, è giunta la
Suprema Corte82 in una fattispecie relativa all‟uso di
alcune
dichiarazioni,
sapientemente
decontestualizzate, rese da un noto oncologo
presidente della Lega anticancro, per pubblicizzare una
marca di sigarette, attraverso la falsa attribuzione al
medico di una posizione favorevole al consumo di quel
prodotto 83.
Secondo parte della dottrina84, peraltro, la
pronuncia in questione, pur assumendo un particolare
interesse nell‟ampia elaborazione giurisprudenziale in
materia,
sotto alcuni profili presenta delle
82
Cass. civile, 22/6/1985 n. 3769, in Foro it., 1985, I,
2211, Soc. Austria Tabakwerche e altri c. Veronesi-Istituto
Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, cit.
83
Si tornerà sulla sentenza di cui alla nota che
precede, a proposito della tutela dell'immagine negli enti
collettivi.
84
Giuseppe Cassano “Contenuto e limiti del diritto
all'identità personale (in margine allo sceneggiato sul caso
"Re Cecconi"), nota a Cass. civile, sez. I, 7/2/1996 n. 978,
in Riv. inf. e informatica 1997, 1, 118.
98
contraddizioni, perché sembrerebbe non esprimere con
chiarezza che l‟identità personale è diritto di rilevanza
costituzionale.
Ad ogni modo, attualmente è opinione ormai
consolidata, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza,
che questo diritto, avente fondamento nel principio
cardine espresso nell'art. 2 Cost., e, più precisamente,
nel combinato disposto di quest‟ultimo con l‟art. 3
Cost.85, entrambi diretti a riconoscere e tutelare i
diritti fondamentali, a garanzia di sviluppo della
personalità dell‟individuo, ha un indubbio rilievo
costituzionale.
Viene così recepita, secondo gli insegnamenti
della dottrina più avanzata, la nozione di “clausola
aperta” dell'art. 2 Cost., intesa quale norma idonea ad
accogliere differenti posizioni soggettive (e non
soltanto quelle direttamente ricollegabili ad altri
principi costituzionali o, comunque, da essi derivati),
talora
emergenti,
come
esigenze
nuove,
particolarmente sentite ed apprezzate dalla coscienza
sociale86.
Da allora, il diritto all'identità ha trovato sempre
più frequenti affermazioni nella giurisprudenza e nella
prevalente dottrina: identità personale, dunque, non
come mero valore politico o semplice rilevazione
sociologica, ma come vera e propria situazione
giuridica soggettiva, di rilevanza costituzionale.
85
Cfr. Pret. Roma 2 giugno 1980, in Giust. civ., 1981,
I, 632.
86
2, 90.
Barbera, in Commentario della Costituzione, sub art.
99
§ 4 LA LESIONE DEL DIRITTO ALL’IDENTITÀ
PERSONALE
4-a) Dopo avere definito il contenuto ed il
fondamento del diritto all‟identità personale, nonché le
sue connessioni con altre posizioni soggettive di
rilevanza costituzionale, è necessario approfondire
alcune problematiche attinenti più strettamente alle
ipotesi di lesione di questa situazione soggettiva.
Poiché il concetto stesso di “identità personale”
ha, per come si è detto, una estensione piuttosto
ampia, in quanto riassume e sintetizza il modo
d‟essere che contraddistingue la persona globalmente,
nella molteplicità dei suoi aspetti, e con il suo
patrimonio intellettuale, professionale, ideologico,
altrettanto variegate e numerose sono le possibilità di
lesione di questo diritto, nonché i settori che possono
venire in rilievo.
Sebbene -specie in passato- non siano mancate
voci contrarie, è ormai consolidata la tesi secondo cui
il diritto in questione riceve un‟autonoma tutela, che
prescinde dalla lesione di altri valori, nonostante
l‟indubbio
collegamento
tra
questa
posizione
soggettiva e differenti interessi, quali l‟immagine,
l‟onore, il nome, la reputazione e la riservatezza, ai
quali si riconosce, come sarà evidenziato in prosieguo,
un obiettivo, per così dire, negativo alla "non
rappresentazione" all'esterno di proprie vicende
personali, in luogo di quello positivo, alla fedeltà della
rappresentazione, che connota l'identità personale.
Peraltro, secondo i fautori della teoria “monistica”
dei diritti della personalità, nonostante l‟utilità di
queste distinzioni, non deve trascurarsi che tutti questi
100
aspetti confluiscono in un valore unitario, vale a dire
quello della persona umana nella sua interezza,
diversamente dai sostenitori di quella “pluralistica”,
secondo cui esistono tanti diritti della personalità ben
differenziati e distinti, pur con caratteristiche comuni,
che trovano tutela solo se sono stati specifico oggetto
di un intervento legislativo87.
L‟autonoma rilevanza del diritto all‟identità
personale comporta, pertanto, che sarà considerata
lesiva dello stesso qualsiasi travisamento o alterazione
(anche se, eventualmente, in positivo) della
personalità
dell‟individuo,
nelle
sue
molteplici
manifestazioni, in quanto infedelmente rappresentata,
sia se derivi dall‟attribuzione di caratteristiche
inesistenti, sia se derivi dall‟omissione di aspetti
realmente posseduti.
Sotto tale profilo, ad avviso di chi scrive, è da
preferire la teoria “monistica”, che tutela in modo più
pregnante la persona, senza che si possa dar luogo a
quelle
diatribe,
di
tipo
“bizantino”,
che
frammenterebbero le varie sfaccettature del diritto
all'identità personale.
Se, viceversa, questa posizione soggettiva non
fosse unitariamente considerata e autonomamente
tutelata, bensì solo in relazione ad altri valori come, ad
87
In Italia, la dottrina prevalente è ancora oggi
orientata sulla pluralità dei diritti della personalità: v. De
Cupis, I diritti della personalità, Milano, 1982, 43 ss.; per
un primo riconoscimento esplicito dell'unitario diritto della
personalità, vedi Cass. 20 aprile 1963 n. 900, in Giust. civ.,
1963, I, 1280, e, successivamente, Cass. 27 maggio 1975
n. 2129, ibidem, 1976, I, 2895.
101
esempio, la reputazione e l‟onore, sarebbe illegittima
solo l‟attribuzione di fatti suscettibili di causare un
giudizio di disvalore.
4-b) Un settore dove, tradizionalmente, viene in
rilievo un problema di violazione del diritto in
questione è proprio quello attinente alle opinioni
politiche: tra i molteplici aspetti che contribuiscono a
delineare la complessiva personalità dell‟individuo vi
sono, infatti, anche le posizioni ideologiche, vale a dire
la c.d. “identità politica”.
Di conseguenza, sebbene l‟attribuzione ad una
persona di determinate idee politiche, piuttosto che di
altre, o l‟errata affermazione della sua appartenenza
ad un certo partito, non può considerasi di per sé
disonorevole, tuttavia può essere
idonea a
determinare
una
inesatta
rappresentazione
dell‟individuo all‟esterno, con conseguente lesione
della sua identità personale.
Pertanto,
la giurisprudenza ha affermato, ad
esempio, che l'accusa, rivelatasi poi priva di
fondamento, ad un noto uomo politico di aver militato
in un movimento molto lontano dalle idee da lui
attualmente professate, costituisce un attentato alla
sua personalità, appunto come identità personale,
nonostante non sia lesiva dell‟onore o della
reputazione, in tal modo ipotizzando una
figura
diversa rispetto alle tradizionali ipotesi di violazione
dell‟onore88.
88
2079.
Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Foro it., 1980, I,
102
Proprio l‟identità politica viene in rilievo in un
caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, che
assume un particolare interesse, anche perché mette
in evidenza la stretta connessione tra violazione del
diritto all‟immagine ed alterazione della personalità
dell‟individuo89.
Com‟è stato anticipato nelle pagine precedenti, la
correlazione esistente tra questi due fondamentali
diritti della personalità fa sì che, sovente, l‟illegittima
divulgazione dell‟immagine altrui, quindi intervenuta
senza il consenso dell‟interessato e al di fuori delle
ipotesi di cui all‟art. 97 l. n. 633/1941, determini
anche una violazione del diritto all‟identità personale.90
Pertanto, sebbene il diritto in questione possa
essere pregiudicato in vari modi, tuttavia una delle
ipotesi più frequenti è proprio quella connessa
all‟illegittima diffusione del ritratto altrui, perché tra
l'uso non autorizzato dell‟immagine e la lesione del
diritto all'identità personale il nesso, sovente, è così
stretto da essere difficilmente distinguibile.
Nel caso in esame l‟immagine di un sacerdote,
ritratto durante la celebrazione della Messa, venne
pubblicata, senza il consenso dell‟interessato, in un
opuscolo di propaganda elettorale della Lega Nord e
della Liga Veneta dal titolo “La lega Nord e la Chiesa
contro la corruzione. I cattolici votano Lega”.
89
Tribunale Verona, 26 febbraio 1996, Brutti c. Lega
Nord e altro, in Giur. merito 1997, 32.
90
V., appunto, il caso della coppia ritratta nel
manifesto antidivorzista, di cui si è detto.
103
La conclusione a cui giunge la sentenza è che
sono ravvisabili la violazione sia del diritto
all‟immagine sia dell‟identità personale.
Sotto il primo profilo, venne osservato che la
divulgazione del ritratto non era intervenuta
legittimamente in quanto né l‟interessato vi aveva
consentito (in modo espresso o tacitamente), né
sussisteva una di quelle ipotesi in presenza delle quali
la pubblicazione è ugualmente giustificata.
In particolare, anche riconoscendo che la
celebrazione
religiosa possa considerarsi “fatto di
interesse pubblico” oppure “svoltosi in pubblico”, ex
art. 97 l. n. 633/1941, non va dimenticato che, per
l‟applicazione di questa norma, è necessaria la
sussistenza di un collegamento tra l‟immagine e
l‟evento in occasione del quale è stata immortalata,
evento che, in ogni caso, deve distaccarsi dalla
normalità quotidiana e presentare un certo interesse
per la collettività, con conseguente soddisfazione di un
interesse
pubblico
all‟informazione,
ritenuto
preminente e tale da giustificare la compressione
dell‟altrui diritto.
Nel caso in questione, invece, l‟immagine del
prete durante la celebrazione della Messa non soltanto
era avulsa dal contesto originale, ma era stata, inoltre,
inserita in uno diverso, attraverso il suo accostamento
ad uno slogan avente una precisa valenza (“I cattolici
votano Lega”), al fine di propaganda di un determinato
partito politico, portatore di idee ben diverse di quelle
facenti parte del patrimonio intellettuale, ideologico e
104
sociale del soggetto91, così ingenerando nel pubblico
un erroneo convincimento in ordine alla sua identità
personale e, quindi, un travisamento della personalità
vera del rappresentato.
Pertanto era palese la violazione del diritto
all‟immagine e, tramite questo, del diritto all‟identità
personale del prete ritratto, il quale aveva – tra l'altro
- da sempre espresso delle idee e tenuto dei
comportamenti (accoglienza dei diversi,
aiuto agli
emarginati, stranieri, extracomunitari) differenti –per
non dire in antitesi- rispetto a quelli manifestati in
varie occasioni –anche nel corso della medesima
campagna
elettoraledal
partito
politico
in
92
questione .
Fattispecie come questa, in cui oltre ad un uso
non consentito dell‟immagine altrui, si realizza anche
una sua decontestualizzazione e, quindi, un‟alterazione
del patrimonio intellettuale, politico o sociale del
rappresentato, con conseguente sovrapposizione dei
due diritti (immagine ed identità personale), sono
piuttosto frequenti, soprattutto con riferimento a
personaggi noti.
4-c) Il più delle volte, pertanto, ad essere lesa è,
in particolare, la c. d. “identità artistica” della persona
91
Giuseppe Cassano,“Falsa luce negli occhi dei fedeli:
novità i tema di risarcimento del danno da lesione ai diritti
della personalità”, in Dir. famiglia 2000, 1, 421, nota a Trib.
Verona 26/2/1996.
92
Massimo Dogliotti,“Immagine ed identità personale:
soggetti forti e soggetti deboli”, nota a Trib. Verona, 26
Febbraio 1996, in Dir. famiglia, 1997, 4, 1436.
105
famosa: pensiamo, ad esempio, al caso in cui siano
diffuse delle immagini di un'attrice, risalenti ad una
fase della carriera ormai superata da una nuova
connotazione professionale impressa alla sua attività,
senza le necessarie precisazioni atte a collocare
esattamente nel tempo passato la prestazione resa
dalla medesima, con conseguente possibilità che il
pubblico, presso cui ha assunto una diversa immagine
sociale ed artistica, le consideri frutto di un attuale
lavoro: in fattispecie come questa la giurisprudenza ha
chiaramente riconosciuto la lesione dell‟identità
personale,
a
prescindere
dall‟impossibilità
di
configurare una violazione del diritto all‟immagine,
all‟onore o alla reputazione del soggetto ritratto93.
Emerge, allora, anche un altro aspetto della
difesa di questo diritto: va tutelata l‟esigenza di
manifestarsi all‟esterno ed essere rappresentati quali
realmente si è al momento presente, attuale, ferma
restando, peraltro, la necessità di ancorare la
salvaguardia del medesimo a riscontri oggettivi, senza
la pretesa di estenderla all'idea, all'immagine che
ognuno ha di sé, agli aspetti mentali e psicologici, in
quanto ciò potrebbe
portare, per come sarà
evidenziato nel prosieguo, ad una ingiustificata
compressione
della
contrapposta
libertà
di
manifestazione del pensiero.
Anche con riferimento all‟identità personale,
inoltre, vale la considerazione fatta in precedenza
relativamente ai sosia di personaggi noti: è, pertanto,
93
Pret. Roma, 10 febbraio 1988, Cassini e altro c.
Società Tattilo ed., in Dir. informatica 1988, 860.
106
possibile che l‟utilizzazione dell'immagine di un sosia
possa comportare contestualmente la violazione di
entrambi i diritti in questione, in particolare nel caso in
cui la persona sia ritratta in pose “osé”94, cagionando
dei danni da valutarsi in relazione alla diffusione della
pubblicazione, al rilievo della stessa e alla gravità della
lesione.
Peraltro, in ipotesi come queste, l‟illegittima
divulgazione dell‟immagine del personaggio noto (o del
suo sosia) interviene, sovente, per finalità lucrative,
con conseguente violazione anche del diritto allo
sfruttamento commerciale del proprio ritratto, per cui
saranno risarcibili –per come sarà approfondito nelle
pagine successive- oltre ai danni non patrimoniali ex
art. 2059 c.c., anche quelli patrimoniali95.
94
Trib. Roma, 28 gennaio 1992, Russo c. Società
Tattilo ed., in Rassegna dir. civ. 1993, 935, con nota di
Gigliotti.
95
Tribunale Roma, 23 maggio 2001, Morace c. Soc.
Stampa Sportiva, in Dir. informatica 2001, 880 :” È illecita
la pubblicazione della foto di un personaggio famoso senza il
suo consenso sulla copertina di un libro, che affronta un
argomento inerente all'attività svolta dal personaggio
stesso, in quanto lede il diritto all’identità personale ed allo
sfruttamento commerciale della propria immagine. Pertanto,
deve essere inibita l'ulteriore commercializzazione del libro
con l'immagine in copertina e condannata la società che ha
pubblicato il libro a corrispondere al personaggio,
illecitamente ritratto, la metà del prezzo di copertina per
ogni copia commercializzata in violazione del divieto, oltre al
risarcimento dei danni da determinarsi anche in via
equitativa.”
107
Come ha rilevato la dottrina96, quindi, nel nostro
ordinamento è salvaguardata anche quella posizione
soggettiva che nell'esperienza nordamericana è
chiamata right of publicity, perché, sebbene non esista
un autonomo diritto personale avente ad oggetto la
propria notorietà, tuttavia quest‟ultima ha una tutela
assicurata attraverso quella che ricevono il nome o
l'immagine della persona.
Pertanto, l'indebita utilizzazione commerciale
dell'altrui immagine, che costituisce illecito aquiliano,
sarà fonte di un obbligo risarcitorio da commisurarsi al
danno per il consenso mancato, vale a dire il “prezzo
del consenso”, che
può essere
quantificato –a
secondo dei casi- avendo riguardo o alla quotazione
pubblicitaria del ritratto per prestazioni equivalenti,
rese nel periodo in cui è stato commesso l'illecito,
oppure all'indebito guadagno percepito dalla rivista,
consistente nell'aumento della tiratura determinato
dalla pubblicazione, ovvero alla sottratta possibilità
dello sfruttamento del ritratto, quindi al rischio di una
sua
minore
appetibilità
derivante
dal
c.d.
97
"inflazionamento" o “annacquamento” dello stesso .
Sebbene la violazione del diritto all‟identità
personale venga spesso realizzata, per come si è
rilevato,
attraverso
un‟illegittima
pubblicazione
dell‟immagine della persona, vale a dire delle sue
96
Giovanni
Piazza,
Davide
Goetz
“Il
diritto
all’immagine nella giurisprudenza dell’ultimo decennio” cit..
97
Cass. civ., 6 febbraio 1993, n. 1503, Bartali c. Soc.
Bozzi, in Giur. it., 1993, I, 1, 1423; su questo tema v.
inoltre Borelli, La quantificazione del danno per violazione
del right of publicity, in Danno e resp., 1996, 166.
108
fattezze fisiche, non mancano ipotesi di lesione attuata
con modalità diverse.
A tale proposito, in un caso singolare sottoposto
all‟attenzione della giurisprudenza, ad esempio, è stata
ritenuta idonea a pregiudicare la posizione soggettiva
di un noto cantante l‟abbinamento promozionale,
effettuato senza il suo consenso, tra un prodotto e una
sua opera dell‟ingegno .
Precisamente, un‟azienda produttrice di detersivi,
per promuoverne la vendita, aveva inserito nelle
confezioni, come omaggio destinato agli acquirenti,
alcune registrazioni del cantante in questione98.
Questo abbinamento promozionale è stato
considerato lesivo, in quanto capace di determinare
un‟alterazione dell‟immagine del personaggio noto,
contrastante pienamente con le sue opinioni di
assoluta contrarietà ai prodotti chimici, ritenuti
dannosi all‟equilibrio ecologico.
In realtà, nella fattispecie di cui si tratta, si
ipotizza un pregiudizio al nome e all‟immagine,
tuttavia questa viene intesa come “complesso delle
qualificazioni che individualizzano un soggetto”, quindi
98
Pretura Roma, 15 novembre 1986, C. Baglioni c.
Società Colgate Palmolive, in Foro it. 1987, I, 973 “Lede il
diritto al nome e all'immagine, intesa come complesso delle
qualificazioni
che
individualizzano
un
soggetto,
l'abbinamento promozionale, effettuato senza il consenso
del titolare, fra un prodotto (nella fattispecie, un fustino di
detersivo) e un'opera dell'ingegno del soggetto medesimo
(audiocassetta contenente alcune canzoni di Baglioni)”.
109
con un significato che, in realtà, si avvicina -o
addirittura coincide- con la definizione normalmente
data all‟identità personale, confermando, pertanto,
quanto rilevato nelle pagine precedenti in ordine alla
progressiva estensione del concetto di immagine.
Nelle numerose e -per come si è potuto rilevarevariegate fattispecie di lesione dei diritti della
personalità
spesso
emerge
anche
un‟ulteriore
problematica: il possibile conflitto tra questi ed altri
diritti costituzionalmente garantiti, in particolare
cronaca e critica.
Basti pensare, ad esempio, alla possibilità che sia
lamentata dall‟interessato la lesione dell‟identità
personale a seguito di un‟asserita alterazione del
contenuto
di
un‟intervista,
con
deformazione
99
dell‟originario significato .
99
Tribunale Roma, 11 dicembre 2002, Feltri c. De
Gregori e altro, in Dir. informatica 2003, 149 “Costituisce
lesione dell’identità personale la alterazione del contenuto di
una intervista rilasciata dalla persona lesa con deformazione
del significato originario” (nella fattispecie una intervista
rilasciata dal cantante Francesco De Gregori era stata
manipolata attribuendo all'intervistato affermazioni di
contenuto diverso da quelle effettivamente pronunciate).
110
Come sarà evidenziato in prosieguo, in questi
come in altri analoghi casi, si tratta –essenzialmentedi stabilire se, ed a quali condizioni, la compressione
dei diritto all‟immagine e all‟identità personale possa
considerarsi giustificata, quindi legittima, per il
prevalere di altre
posizioni giuridiche soggettive
confliggenti.
111
Capitolo 6
RAPPORTO CON ALTRI DIRITTI
§ 1 Premessa; § 2 Incontro/scontro tra diritti della
personalità e diritto di cronaca; § 3 Fattispecie in tema
di immagine, identità personale e diritto di cronaca; §
4 I diritti della personalità e la creazione artistica
§ 1 PREMESSA
Nei capitoli precedenti sono state evidenziate le
principali caratteristiche di alcuni fondamentali diritti
della personalità -quali immagine, identità personale e
nome- ed è emersa una correlazione tra le situazioni
soggettive in questione così intrinseca, che, di
frequente, il nome, ma soprattutto l'immagine,
trovano tutela, anche nei casi in cui il comportamento
altrui appaia privo di offensività, nei limiti e nella parte
in cui l‟uno e l‟altra vanno a costituire anche
espressione del diritto alla identità personale.
Sebbene, quindi, sia il nome sia l'immagine sia
l'identità personale, siano singolarmente connotate da
un‟autonoma rilevanza e da specifiche caratteristiche
che le contraddistinguono, si è rilevato, in particolare,
un rapporto di reciproca connessione tra gli stessi, che
porta, in alcune circostanze, ad una loro parziale
sovrapposizione e, di conseguenza, talora, anche a
qualche difficoltà nell‟esatta individuazione dei loro
confini.
Del resto, secondo quanto affermato in diverse
occasioni dalla giurisprudenza e da parte della
dottrina, nell‟ambito dei diritti della personalità umana,
112
il diritto all‟immagine, al nome, all‟identità personale,
alla riservatezza, nonché alla reputazione sono
omogenei, essendo unico il bene protetto, in quanto
non sono che singoli aspetti della rilevanza che la
persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel
sistema della Costituzione100.
Ora, com'è agevole rilevare, se la gamma di
facoltà attraverso cui si esplica giuridicamente
l'individuo è pressoché illimitata, allora è ben possibile
che vengano a incrociarsi tra soggetti diversi - non
sempre pacificamente - le varie facoltà della persona,
rientranti tutte nei diritti della personalità.
Emerge, pertanto, un ulteriore aspetto della
questione, cui si è fatto cenno nei capitoli precedenti:
il conflitto tra situazioni soggettive contrapposte di
individui diversi, seppur sia le une che le altre trovino
uguale riconoscimento nella Costituzione, come diritti
fondamentali.
In altre parole, se a tutti gli uomini vanno
riconosciuti i diritti della personalità, chiaramente
l'esercizio di talune facoltà da parte di un individuo
può andare a interferire con contrapposte facoltà di
altri soggetti.
Si pone, pertanto, il problema di individuare i
criteri di contemperamento tra le situazioni soggettive
confliggenti, al fine di stabilire quale tra i diritti
coinvolti possa considerarsi, nel caso concreto,
prevalente rispetto all‟altro, ed entro che limiti possa
ritenersi giustificata una compressione di quest‟ultimo.
100
Cass. civile, sez. III, 10/5/2001 n. 6507, in Giust.
Civ., 2001, I.
113
D‟altra parte, non va dimenticato, il fenomeno è
tutt‟altro che limitato ai diritti della personalità, poiché
si può dire che investe tutti rapporti tra i soggetti, nei
quali i diritti dell‟uno si pongono in contrapposizione o
in correlazione con quelli degli altri.
§ 2 INCONTRO/SCONTRO TRA DIRITTI DELLA
PERSONALITÀ E DIRITTO DI CRONACA
2-a) Per quanto concerne l‟ambito di cui si tratta,
un‟ipotesi molto frequente di conflitto tra situazioni
giuridiche si realizza, allorché il diritto all‟immagine o
quello all‟identità personale si scontrano con il
contemporaneo diritto di altri di manifestare
liberamente il proprio pensiero.
L'incontro/scontro va a verificarsi quando
l'esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero,
riconosciuto dall‟art. 21 Cost., oppure il diritto di
cronaca e critica (che sono considerati esplicazione del
primo) vanno a interferire con il diritto, spettante a
ciascuno, di tutelare elementi imprescindibili della
propria persona, come nome ed identità personale, per
cui si pone un problema di bilanciamento tra
contrapposte situazioni giuridiche soggettive, tutte
quante, in astratto e in linea di principio, meritevoli di
tutela e quindi della massima considerazione.
La dottrina e la giurisprudenza hanno poi
sviscerato le varie forme possibili di manifestazione
della libera espressione del pensiero, che va dal diritto
di manifestare le proprie idee, al diritto di
informazione nei suoi vari aspetti, al diritto di critica
<giudiziaria, politica e storica>, al diritto di cronaca, al
114
diritto di satira e così via, sino allo speculare diritto
all'informazione da parte della generalità dei cittadini.
In particolare, mentre la cronaca consiste in una
mera e acritica narrazione di accadimenti al fine di
informare la collettività, la critica comporta, per sua
natura, l‟apprezzamento e la valutazione dei fatti,
quindi anche la manifestazione di un giudizio di
consenso o dissenso, da parte di colui che esercita
questo diritto, rispetto all‟analisi delle situazioni
descritte101.
Poiché nella critica, pertanto, prevale l‟aspetto
valutativo
che,
a
sua
volta,
è
fondato
sull‟interpretazione necessariamente soggettiva di
determinati eventi, comportamenti o situazioni, non si
pone tanto il problema di valutare la verità delle
asserzioni fatte –visto che il giudizio critico non può
essere ricondotto a canoni di verità rigorosamente
oggettivi102- bensì di stimare la correttezza delle
espressioni usate, che mai devono sfociare in mero
dileggio o gratuita denigrazione, anche nel caso in cui
venga in rilievo la satira103.
101
Nappi, Ingiuria e diffamazione, in Enc. giur.
Treccani, XVII, Roma 1989.
102
Pelissaro, Diritto di critica e verità dei fatti, in Riv. it.
dir. pen., 1992, 1227 ss.
103
Cassazione civile , sez. III, 07 novembre 2000, n.
14485 (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto
superati i limiti del diritto di critica e satira da parte del
giornalista Giampaolo Pansa, che aveva definito, in due
articoli pubblicati sul settimanale “L’Espresso”, un noto
conduttore RAI di un famoso programma televisivo “sicario,
bovino umidoso, ma con lampi di sadismo che promettono
sfracelli”).
115
Le fattispecie concrete nelle quali, pertanto, si
può porre un problema di interazione tra queste
posizioni soggettive, ugualmente rilevanti, sono
innumerevoli.
Per come è stato anticipato nei capitoli
precedenti, ad esempio, frequentemente, al fine di
giustificare la pubblicazione di un‟immagine di
personaggio noto in assenza di consenso, viene
invocata –in modo più o meno fondato- l‟esistenza di
un prevalente interesse pubblico all‟informazione,
ovvero, più precisamente, l‟esercizio del diritto di
cronaca e di critica da parte del soggetto che ha
diffuso le immagini stesse.
Tuttavia, se diritto di cronaca, di critica e, in
generale, di libera manifestazione del pensiero, sono
tutelati e riconosciuti a livello costituzionale, tuttavia
ciò non implica che ogni compressione di altre
posizioni soggettive ugualmente rilevanti, dovuta al
loro esercizio, sia sempre e comunque giustificata 104.
Nell‟ipotesi in cui, pertanto, i diritti in questione
entrano in conflitto occorre effettuare una verifica
articolata, che si pone su diversi livelli: ad esempio in
materia di divulgazione di una foto in una rivista o in
un quotidiano, innanzi tutto è necessario stabilire, in
via preliminare, se la pubblicazione delle immagini si
possa considerare –effettivamente- esplicazione del
diritto di cronaca e/o di critica.
Non è detto, infatti, che la divulgazione del
ritratto altrui sia intervenuta realmente per queste
finalità.
104
Informazione (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX,
Milano, 1970.
116
2-b) La pubblicazione di fotografie di una nota
attrice, tratte da un film, su un periodico destinato ad
un pubblico prettamente maschile, ad esempio, è stata
considerata lesiva del diritto all‟immagine ed
ingiustificata, in quanto non riconducibile all‟esercizio
né del diritto di cronaca né di critica 105.
L‟art. 70 l. 633/1941 prevede espressamente,
infatti, che la riproduzione di parti di opera, per scopi
di critica è libera nei limiti giustificati da tale finalità.
Al fine di escludere, nel caso concreto, che la
divulgazione fosse connessa a scopi di questo genere
(in particolare di critica cinematografica) è stato
considerato rilevante il riferimento al carattere della
rivista, nonché alle modalità di pubblicazione.
Affinché la riproduzione, all‟interno di un giornale,
di fotogrammi tratti da un‟opera cinematografica si
possa ricondurre al legittimo esercizio del diritto di
cronaca e critica, infatti, è necessario che essa abbia la
finalità precipua di offrire ai lettori notizie o giudizi su
quel film.
A diversa conclusione, invece, deve giungersi se –
come in quel caso giudiziario- la divulgazione sia
diretta essenzialmente solo alla presentazione, per
scopi commerciali, di immagini aventi contenuto
erotico, così come, analogamente, deve escludersi la
ricorrenza,
in
tal
caso,
della
finalità
di
commercializzazione dell‟opera cinematografica.
105
Cassazione civile, sez. I, 28 marzo 1990, n. 2527,
Tattilo editrice spa c. Sandrelli.
117
Ipotesi come questa ricorrono frequentemente in
quanto, per testate giornalistiche di vario genere -non
necessariamente scandalistiche, ma anche di attualità
e politica- il ricorrere ad immagini, specie femminili,
ammiccanti, per vendere un numero maggiore di copie
non solo è diventato uno stratagemma alquanto
diffuso, ma spesso è mascherato da inesistenti finalità
di cronaca e critica 106.
Di conseguenza può anche accadere che
fotografie tratte da film o altri lavori precedentemente
realizzati, ed avulse dal contesto originario, senza un
effettivo scopo di critica o cronaca, siano pubblicate
senza il consenso dell‟interessata, con conseguente
pregiudizio di natura patrimoniale e non patrimoniale.
Pertanto, sulla base di vari elementi (modalità
della pubblicazione, intervenuta in un contesto diverso
dall‟opera cinematografica, carattere della rivista,
avente fine esclusivamente o prevalentemente di lucro
ecc.) sarà possibile escludere che, nella fattispecie
concreta, la compressione del diritto all‟immagine sia
giustificata,
appunto
perché
non
intervenuta
nell‟esercizio legittimo di un diritto altrettanto tutelato,
com'è quello della libera espressione del pensiero .
Poiché la riconduzione della pubblicazione delle
fotografie all'esercizio di uno di questi diritti si risolve
in una causa di giustificazione di un comportamento di
per sé illecito (v. art. 51 c.p.), che comporta
l‟eliminazione dell'antigiuridicità obiettiva del fatto,
106
E'
sufficiente avvicinarsi
ad
un'edicola
per
riscontrare il massiccio ricorso a tali mezzucci da parte di
settimanali che, peraltro, usano ammantarsi di un'aureola di
serietà censorea con riguardo anche agli spetti di costume.
118
questa deve essere dimostrata dalla parte che ha
interesse ad avvalersi di una tale causa di
giustificazione.
Una volta accertato che, nel caso concreto, la
compressione del diritto all‟immagine (o di altro diritto
della personalità) è –in effetti- direttamente collegata
ad un‟esplicazione del diritto di cronaca e critica, è poi
necessaria un‟ulteriore verifica.
Infatti, poiché vanno a confliggere dei diritti di
pari rango, entrambi costituzionalmente garantiti,
deve
essere
effettuato
un
vero
e
proprio
107
bilanciamento , in virtù del quale la compressione del
diritto all‟immagine (o all‟identità personale) può
essere considerata legittima a condizione che la stessa
risulti strettamente funzionale al corretto -vale a dire
contenuto entro certi confini- esercizio del diritto di
cronaca o critica, ferma restando l‟esistenza di un
persistente interesse pubblico all‟informazione.
Il giusto contemperamento tra diritti di pari rango
costituzionale, pertanto, di solito è raggiunto facendo
riferimento ai limiti di ciascuno di essi, affinché non si
verifichi un‟illegittima ed ingiustificata prevaricazione
dell‟uno sull‟altro.
Di conseguenza, l‟esistenza dell‟esimente non
comporta la compressione, senza alcun limite, della
situazione soggettiva contrapposta; quindi non ogni
lesione è sempre e comunque giustificata, ma lo è
soltanto laddove l‟esercizio del diritto “prevalente” non
abbia travalicato certi margini.
107
5658.
Cassazione civile , sez. III, 09 giugno 1998, n.
119
2-c) Indicati, nei capitoli precedenti, gli ambiti del
diritto all‟immagine e all‟identità personale, non resta
che individuare quelli attinenti alle altre posizioni
soggettive che possono entrare in conflitto con questi.
Al riguardo, secondo dottrina e giurisprudenza
ormai costante108, nel conflitto fra gli opposti valori
costituzionali, di cui si discorre, perché il diritto di
cronaca prevalga sugli altri valori della persona (non
solo immagine ed identità, ma anche onore,
riservatezza ecc) devono ricorrere le seguenti
condizioni: l‟utilità sociale della notizia, vale a dire
l‟interesse
pubblico
alla
conoscenza
(c.d.
“pertinenza”); la verità dei fatti esposti (che può
essere anche soltanto putativa, purché frutto di un
diligente e serio lavoro di ricerca, il che è escluso
quando vengano riferiti fatti veri, ma incompleti); e la
forma civile della esposizione dei fatti e della loro
valutazione, non eccedente rispetto allo scopo
informativo, quindi improntata a serena obiettività
(c.d. “continenza”).
Quest‟ultima va ritenuta esclusa allorquando sia
ravvisabile un preconcetto intento denigratorio, ovvero
un accostamento o accorpamento di notizie, che
108
V. Cass. Civile , sez. III, 13/2/2002 n. 2066, Minoli
c. Feltri: in questo caso, una battaglia tra giornalisti, in cui
il primo si lamentava soprattutto della titolazione e del tono
dell’articolo “L’Italia ci truffa”, comparso sul giornale
l’Europeo, in cui si portava a conoscenza del pubblico che i
servizi e le interviste concernenti i Kennedy, Benazir
Bhutto e Nelson Mandela, che in un servizio RAI risultavano
attribuiti a Gianni Minoli, in effetti non erano stati da questi
realizzati direttamente. V. inoltre Cass. civ., 18 ottobre
1984, n. 5259, in Foro it., 1984, I, 2711.
120
conducano a un‟espansione di significati, con possibile
attitudine diffamatoria, o un uso di determinate
espressioni nella consapevolezza che il pubblico le
intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al
loro significato letterale, oppure un tono complessivo
della notizia o una titolazione tendenziose.
Per quanto riguarda l'ambito del diritto di
cronaca, afferma che, per l'esimente, devono ricorrere
le seguenti condizioni: la verità oggettiva della notizia
pubblicata, l'interesse pubblico alla conoscenza del
fatto (così detta pertinenza) e la correttezza formale
della esposizione (così detta continenza). Spetta,
quindi, al giornalista non solo di controllare
l'attendibilità della fonte, ma anche di accertare e di
rispettare la verità sostanziale dei fatti oggetto della
notizia, con la conseguenza che solo se tale obbligo sia
stato scrupolosamente osservato, potrà essere
utilmente invocata l'esimente dell'esercizio del diritto
di cronaca 109.
109
V. in tal senso, tra le tante, Cassazione civile , sez.
III, 29 maggio 1996, n. 4993. La sentenza -con la quale
venne negata l'esimente del diritto di cronaca e di satira,
dal momento che il fatto processuale riguardava non un
caso di “corruzione”, bensì di illecito finanziamento, al
quale era estraneo il segretario di quel partito- si riferisce
alla pubblicazione, in data 7 febbraio 1987, in un
quotidiano della Capitale, di un articolo intitolato "La
magistratura porta alla luce un inquietante caso politicofinanziario". Corruzione a Torino. Si, lo confesso, prima di
fallire ho finanziato il partito di Craxi", con accanto, con
evidente riferimento alla vicenda, di una vignetta nella
quale era rappresentato un personaggio rassomigliante a
Craxi , vestito da ladro e con un garofano all'orecchio
121
In particolare, poi, in ordine al diritto di cronaca e
di satira, risultante da vignette, la Giurisprudenza
ritiene insufficiente, riguardo alla satira, che il
personaggio messo alla berlina sia persona nota e che
la satira si limiti all'aspetto pubblico, osservando, in
contrario, che questo diritto, pur trovando garanzia
negli articoli della Costituzione sulla libera espressione
del pensiero, deve, comunque, ritenersi soggetto a
limiti secondo criteri di coerenza causale tra qualità
della dimensione pubblica del personaggio, fatto
oggetto di satira, ed il contenuto artistico-espressivo.
Verità dei fatti esposti, continenza ed interesse
pubblico alla conoscenza sono state definite, pertanto,
in dottrina110 “una vera e propria cartina di tornasole”,
attraverso cui la giurisprudenza si orienta per
l'accertamento del corretto esercizio dei diritti di
cronaca e di critica, in occasione della lesione di diritti
della personalità, mentre per quanto concerne il diritto
di critica nonché di satira, deve essere rispettato il
requisito
della
correttezza
formale
nonché
dell‟interesse pubblico alla conoscenza, non essendo
consentite espressioni di gratuito disprezzo tali da
ledere la dignità umana della persona.
Secondo un insegnamento ormai consolidato in
materia penale, dove sono state approfondite con
particolare attenzione le problematiche attinenti al
funzionamento delle cause di giustificazione, è
destro, il quale diceva: "quanto mi piace questo giornale da
quando ha Portfolio".
110
Davide Goetz, “Diritto di critica storica e dovere di
verità”, nota a Tribunale Roma, 29 Giugno 1998, in Resp.
civ. e prev. 1999, 2, 484.
122
necessario, altresì, che ricorra un rapporto di
proporzionalità tra
queste e la lesione del diritto
antagonista; in caso contrario è sanzionato, ex art. 55
c.p., l‟eccesso nell‟esercizio delle stesse.
Applicando questa regola al settore civilistico ne
consegue che, anche in materia di lesione
dell‟immagine e/o di altri diritti della personalità
(riservatezza,
identità
ecc.),
il
giudizio
di
bilanciamento tra le contrapposte situazioni soggettive
consta di questa ulteriore verifica, consistente nella
valutazione in ordine alla proporzionalità tra la causa
di giustificazione –vale a dire l‟esercizio del diritto di
cronaca o critica- e la lesione della
posizione
111
antagonista .
Pertanto
l'accertamento
della
causa
di
giustificazione deve essere compiuta in relazione al
111
Cass. civile, sez. III, 9/6/1998, n. 5658, Girardi c.
Rai-Tv, in Danno e resp. 1998, 865, nota di Orestano :”
Nell'ipotesi di conflitto e necessario bilanciamento tra diritti
di rango costituzionale come il diritto alla riservatezza
garantito dall'art. 2 cost. e il diritto di cronaca garantito
dall'art. 21 cost., pur in presenza dell'interesse pubblico alla
conoscenza dei fatti divulgati, nonché di una forma civile di
esposizione e valutazione di essi, non è consentita la
compressione senza alcun limite del diritto alla riservatezza,
atteso che non ogni lesione del diritto "soccombente" può
ritenersi giustificata, essendo giustificata la lesione solo nei
limiti in cui è strettamente funzionale al corretto esercizio
del diritto vittorioso, ed essendo altresì necessaria una
valutazione di proporzionalità tra la causa di giustificazione
(esercizio del diritto vittorioso) e la lesione del diritto
antagonista, valutazione che va effettuata in relazione al
concreto atteggiarsi dei diritti in contrapposizione” .
123
singolo diritto preso in considerazione, e non ad altro,
ed in relazione a quest‟ultimo va effettuata la
valutazione di proporzionalità.
Questa puntualizzazione, apparentemente ovvia,
è in realtà importante, in particolare nell‟ipotesi –
ricorrente- in cui siano contestualmente lesi più diritti
della personalità a causa di uno stesso comportamento
che si ponga come manifestazione del diritto di
cronaca o critica.
Per finire in materia di diritto all'immagine nel suo
incontro/scontro con la libera espressione del
pensiero, si ritiene utile riportare in nota, la massima
tratta dalla decisione della Corte Europea dei diritti
dell'uomo di Strasburgo, completa del fatto, che si
considera interessante anche per avere una più
precisa percezione di come sia considerato a livello
internazionale il diritto di cronaca e di critica con
riguardo al suo incontro-scontro con i diritti della
personalità 112.
112
Sentenza 13 novembre 2003 - Scharsach e altro c.
Rep. Austria, per come pubblicata in Juris Data – Ed. Giuffrè
“Nel 1995 il primo ricorrente (N. R.: trattasi di ricorso
proposto dal giornalista che era stato condannato dai
tribunali dell'Austria per diffamazione nei confronti di Jorg
Haider, il noto politico morto di recente in un incidente
d'auto) aveva pubblicato un articolo nel quale indicava le
ragioni per cui, a suo modo di vedere, un governo di
coalizione sotto la guida di Jorg Haider (leader del partito
FPO dal 1986) sarebbe stato assolutamente indesiderabile.
Il giornalista - richiamandosi alle dichiarazioni di Haider e di
altri membri del partito - accusava il FPO di essere
eccessivamente sciovinista ed incline al razzismo e
riferendosi esplicitamente ad alcuni esponenti del partito tra cui in particolare tale sig.ra Rosenhranz - denunciava la
124
presenza nella compagine dei FPO di personaggi
dichiaratamente filonazisti che definiva, con un termine
coniato da Steger, leader dei FPO durante gli anni '80,
"hellernazi" (nazisti che non ammettono di essere tali n.
d.r.). La sig.ra Rosenhranz, membro dei Parlamento
Regionale della Bassa Austria e presidente delegato del
ramo regionale del FPO - nonché moglie di un noto
esponente dell'estrema destra editore di una rivista
dichiaratamente xenofoba, alla redazione della quale la
donna collaborava saltuariamente - aveva denunciato il
primo ricorrente per diffamazione ed aveva agito in giudizio
contro il secondo, nella sua qualità di editore, per ottenere
un risarcimento. Le autorità nazionali avevano condannato
entrambi i ricorrenti, i quali lamentavano innanzi alla Corte
una violazione dell'art. 10 Cedu. La decisione in esame è
particolarmente analitica, a testimonianza della delicatezza
della questione, anche in considerazione degli interessi di un
soggetto terzo, quale la persona supposta diffamata.
Constatato che le condanne inflitte ai ricorrenti costituissero
un'indubbia interferenza - non priva di fondamento giuridico
e di scopo legittimo - con il diritto alla libertà di espressione
di costoro, la Corte si è preoccupata di sondare la
necessarietà in una società democratica dell'interferenza
suddetta. Ha innanzitutto rammentato che la stampa riveste
un ruolo fondamentale in una società democratica, poiché sebbene debba osservare i limiti imposti dal rispetto della
reputazione e dei diritti altrui - ha il dovere di fornire
informazioni su tutte le materie di pubblico interesse.
D'altro canto, è innegabile che la libertà di espressione
costituisca un fondamento essenziale di ciascuna società
democratica ed una condizione basilare per il suo progresso
e la realizzazione di ciascun individuo. I limiti e le eccezioni
posti a tale diritto, previsti dallo stesso art. 10 paragrafo 2
Cedu, devono essere definiti con precisione, mentre
l'indispensabilità di restrizioni deve essere stabilita in modo
efficace. Simili limiti alla libertà di espressione trovano
applicazione anche con riferimento al dialogo politico ed al
125
dibattito su questioni di pubblico interesse, sebbene ciascun
personaggio politico - poiché per scelta sottopone se stesso
e le proprie posizioni al vaglio dell'opinione pubblica - sia
tenuto ad un maggiore grado di tolleranza alle critiche. La
Corte ha poi preso in considerazione la natura
dell'interferenza nella libertà di espressione dei ricorrenti, le
rispettive posizioni dell'autore dell'articolo e della persona
che aveva lamentato la diffamazione, l'oggetto dell'articolo
e le ragioni indicate dalle autorità nazionali a fondamento
delle due condanne, ritenendo che tali ragioni, per quanto
rilevanti non fossero tuttavia sufficienti a giustificare
l'interferenza con il diritto alla libertà di espressione dei
ricorrenti. Particolare attenzione è stata riservata al termine
"hellernazi", dal momento che le argomentazioni presentate
dalle parti concernevano in larga misura la natura dello
stesso. Riconoscendo - come sostenuto dal ricorrente - che
il termine suddetto costituisse un mero giudizio di valore su
una questione particolarmente importante e di pubblico
interesse, la Corte ha concluso il suo impiego non fosse
inaccettabile nelle particolari circostanze del caso. I giudici
di Strasburgo, infine, hanno sottolineato come il grado di
precisione con cui un organo pubblico deve verificare il
fondamento di un'accusa è assai diverso da quello che
ciascun giornalista è tenuto ad osservare nell'esprimere la
propria opinione su una materia di pubblico interesse,
soprattutto allorquando tale opinione costituisca un mero
giudizio di valore. Sono, infatti, ben diversi gli "standards da
applicare nel vagliare l'attività politica sotto il profilo di
conformità alla legge, rispetto a quelli che si utilizzano per
verificare se l'operato politico risponda o meno a parametri
morali. Riconoscendo una violazione dell'art. 10 Cedu, la
Corte ha in definitiva ritenuto che l'interferenza non fosse
da considerarsi necessaria in una società democratica,
rilevando, in particolare, la mancanza di ragioni sufficienti a
giustificare le condanne comminate ai ricorrenti e l'assenza
di proporzione tra l'interferenza e lo scopo da questa
perseguito.”
126
§ 3 FATTISPECIE IN TEMA DI IMMAGINE,
IDENTITÀ PERSONALE E DIRITTO DI CRONACA
Le fattispecie concrete nelle quali può sorgere un
problema di interazione tra contrapposte situazioni
soggettive, quali immagine, identità personale,
riservatezza, da un lato, e diritto di cronaca, critica,
satira, dall‟altro, sono piuttosto numerose e variegate.
Va precisato che, sebbene nei molti casi
sottoposti all‟attenzione della giurisprudenza spesso
venga in rilievo anche la lesione di valori come la
dignità, l‟onore e la reputazione, tuttavia non mancano
ipotesi nelle quali l‟esercizio del diritto di cronaca o di
critica –andato oltre i confini descritti nelle pagine
precedentipregiudichi esclusivamente
l‟identità
personale, l‟immagine e/o la riservatezza, in quanto
non sono ravvisabili espressioni diffamatorie o
comportamenti denigratori da parte dell‟agente.
Fatta tale puntualizzazione, si può rilevare come
questa gamma di ipotesi si manifesti sotto molteplici
profili, in particolare sia con riferimento alle modalità
di lesione dei diritti in questione, sia avuto riguardo
alla tipologia di limiti illegittimamente superati da
parte del giornalista.
Per quanto riguarda il primo aspetto, un‟indebita
violazione del diritto all‟immagine, di quello all‟identità
personale o della privacy può derivare, ad esempio,
ricorrendo determinate condizioni, non solo dalla
127
pubblicazione su un giornale del ritratto di una
persona coinvolta in fatti che hanno avuto una certa
risonanza, oppure dalla diffusione delle fattezze
dell‟interessato in un filmato avente finalità di cronaca,
ma anche dall‟indicazione, nel contesto di un articolo,
o del nome della persona vittima di gravi fatti
delittuosi o di particolari così dettagliati da renderla
ugualmente identificabile.
Vi sono, infatti, circostanze in presenza delle quali
l‟interesse pubblico alla conoscenza deve arretrare, in
relazione alla necessità di salvaguardia di posizioni
soggettive da considerarsi prevalenti: per tale ragione
se, normalmente, il giornalista può, nel contesto del
proprio articolo, indicare i nomi dei soggetti coinvolti
nelle situazioni narrate (ma al riguardo, nelle cronache
più recenti si nota una maggiore attenzione da parte
del giornalista nell‟omettere il nominativo della
vittima), laddove, invece, vengano in considerazione
fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, deve
astenersi dal fornire indicazioni tali da consentire
l‟esatta individuazione della vittima, e dal fornire
dettagli della violenza, salvo che si tratti di particolari
essenziali (art. 8 Codice di deontologia dei
giornalisti).113.
In
applicazione
di
questi
principi,
nel
bilanciamento tra diritti della personalità e diritto di
cronaca, è stata considerata lesiva della privacy e
113
L‟art. 8, comma 1, cit. prevede che “salva
l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce
notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti
in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, né si
sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la
rilevanza sociale della notizia o dell’immagine”.
128
dell‟identità personale la descrizione, in un articolo
giornalistico dal titolo "Il sacco, la carota e altre storie
di nonni", di una vicenda di angherie e violenze subita
da un giovane aviere, raccontata con dovizia di
particolari114.
Nella fattispecie viene messa in evidenza, in
primo luogo, l‟estrema lesività nei fatti raccontati della
dignità della vittima, accentuata dalle stesse modalità
narrative; è, poi, affermata la non essenzialità, ai fini
dell'esercizio del diritto di informazione, della
pubblicazione del nome della vittima e dei suoi dati
identificativi, in quanto le medesime esigenze di
completezza di cronaca sarebbero potute essere
soddisfatte ugualmente in altro modo (ad esempio,
mediante la sola indicazione delle iniziali).
L'articolo, comunque, ben difficilmente si sarebbe
potuto
qualificare
come
“cronaca
giudiziaria”,
considerata la labilità dei riferimenti processuali, ridotti
all'accenno ai verbali raccapriccianti, alla data (non
esatta) in cui sarebbe iniziato il processo e alla
enunciazione delle pene pecuniarie previste, avendo,
piuttosto, la struttura della dichiarazione resa dalla
parte offesa, quasi come una vera e propria intervista
(invece non avvenuta).
La
facile
identificazione
aveva,
pertanto,
determinato un‟interferenza negativa nella sfera
privata della vittima e, di conseguenza, della sua
famiglia, dal momento che erano stati esposti alla
curiosità, non tanto degli indeterminati e sconosciuti
lettori,
quanto
della
stessa
comunità
cui
114
Cassazione civile , sez. III, 31 marzo 2006, n. 7607.
129
appartenevano, con la diffusione tra amici e
conoscenti, di fatti di una vicenda particolarmente
dolorosa, umiliante e lesiva della dignità personale del
soggetto.
Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, la
lamentata interferenza nella sfera privata si era
rivelata
arbitraria
ed
illegittima,
perché,
nel
bilanciamento tra valori contrapposti, l‟esercizio del
diritto di cronaca non era stato correttamente
esercitato.
Anche sotto questo profilo, vale a dire quello
attinente ai limiti del diritto di cronaca e di critica, la
varietà di situazioni ipotizzabili è notevole: è possibile
che la lesione risulti ingiustificata perché o non è
ravvisabile l‟interesse pubblico alla conoscenza, o che
gli accadimenti descritti non corrispondono a verità,
oppure, che, pur essendo fatti “veri”, tuttavia sono
stati esposti senza la necessaria correttezza formale
(“continenza”).
Analogamente, non sussiste l‟esercizio del diritto
di cronaca o di critica, come scriminante riguardo a
una
compressione
delle
situazioni
soggettive
(immagine e identità personale), nel caso in cui la
medesima esigenza di informazione si sarebbe potuta
realizzare con degli accorgimenti diretti ad evitare –o
quantomeno contenere- il pregiudizio al diritto
tutelato.
Pertanto, è stata ritenuta lesiva della riservatezza
e dell‟identità personale l‟indicazione nominativa,
contenuta su un quotidiano nazionale, di alcuni
soggetti che lavoravano presso una casa editrice, con
130
l‟attribuzione, di un determinato orientamento politicoideologico, opposto rispetto a quello del titolare115.
La finalità dell‟articolo era, essenzialmente,
quella di evidenziare il clima di pluralismo presente
nell‟azienda ed avvalorare la tesi secondo cui i
dipendenti godevano di piena indipendenza ed
autonomia; pertanto erano stati riportati diversi
nominativi, non solo di personaggi pubblici, le cui idee
erano già note alla collettività, ma anche di lavoratori
dei quali, fino a quel momento, non era nota
all‟esterno la propria opinione politica.
A seguito del giudizio instaurato da uno dei
dipendenti coinvolti per lesione della privacy, in quanto
era stato diffuso un dato sensibile (orientamento
ideologico), e del diritto all‟identità personale, perché,
sebbene
le espressioni utilizzate non rivestissero
carattere diffamatorio (sia pure in un contesto
sottilmente denigratorio) era stata fornita, comunque,
una visione distorta della propria immagine personale
e professionale, l‟operato del quotidiano è stato
considerato illegittimo sotto diversi profili.
Pur
riconoscendo
l‟esistenza
dell‟interesse
pubblico alla conoscenza –per il rilievo della casa
editrice in questione- è stato ritenuto carente, innanzi
tutto, il requisito della “verità”, sulla base di varie
considerazioni relative alle anonime fonti (“interne”
all‟azienda) utilizzate al fine di avvalorare quanto
sostenuto dall‟autore dell‟articolo (che, peraltro, non
si era preoccupato di contattare i dipendenti coinvolti
115
Trib. Milano, 26/11/2004, in Giust. Civ. 2005, 5,
1385, nota di Francesco Brugnatelli “Privacy, diritto
all’informazione e diritti della personalità”.
131
per verificare le notizie ricevute), nonché agli altri
indizi portati a supporto di quanto affermato, ma
considerati dal Giudice non conferenti.
Nel caso in questione, inoltre, la lesione
lamentata è stata giudicata illegittima anche a causa
del superamento del canone della c.d. “essenzialità
dell‟informazione”,
specificato dal Codice di
deontologia adottato dal Consiglio dell'Ordine dei
giornalisti116, in virtù del quale possono ritenersi
consentite solo quelle compressioni dei diritti della
personalità strettamente funzionali all‟esercizio del
diritto di cronaca, con esclusione, pertanto, di quelle
lesioni che, soddisfacendo ugualmente l‟interesse
pubblico all‟informazione, si sarebbero potute evitare.
116
L‟art. 5 del Codice deontologico prevede che “Nel
raccogliere dati personali atti a rivelare [...] opinioni
politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o
sindacale
[...]
il
giornalista
garantisce
il
diritto
all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto
dell'essenzialità dell'informazione, evitando riferimenti [...]
ad altri soggetti non interessati ai fatti.
In relazione a
dati riguardanti circostanze o fatti resi noti direttamente
dagli interessati o attraverso loro comportamenti in
pubblico, è fatto salvo il diritto di addurre successivamente
motivi legittimi meritevoli di tutela”.
Il successivo art.
6 stabilisce che “ La divulgazione di notizie di rilevante
interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto
della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata,
sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della
relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto,
nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata
delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve
essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun
rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”.
132
Pertanto, l‟indicazione nominativa del dipendente
con l‟attribuzione di un determinato orientamento
politico, non poteva essere considerata legittima
esplicazione del diritto di cronaca in quanto la finalità
informativa perseguita, vale a dire la dimostrazione
del pluralismo politico della casa editrice e
l‟indipendenza dei dipendenti, si sarebbe potuta
realizzare efficacemente in un altro modo, ad esempio
attraverso il riferimento a certi dati riportati in termini
meramente quantitativi e anonimi.
Dalle considerazioni fatte emerge, quindi, come la
verifica in ordine al corretto esercizio del diritto di
cronaca o di critica può presentarsi più o meno
complessa, a seconda delle circostanze del caso
concreto e, in particolare, delle modalità attraverso cui
è stata realizzata la compressione dei diritti della
personalità.
Non mancano, infatti, casi in cui la violazione dei
diritti della personalità, a seguito di uno scorretto
esercizio del diritto di cronaca o di critica, non è
realizzata sic et simpliciter mediante l‟illegittima
pubblicazione
di
un‟immagine
o
l‟ingiustificata
indicazione di particolari non essenziali, bensì
attraverso un‟attività più complessa che, sebbene
abbia delle dichiarate finalità di cronaca, finisce,
invece, per rielaborare determinati fatti in modo
talmente arbitrario e parziale da fornire un‟immagine
del soggetto distorta e falsata.
Ipotesi ancora diversa, e che pone ulteriori
problematiche relative al rapporto tra situazioni
soggettive contrapposte, ricorre quando la violazione
di uno o più diritti della personalità scaturisce da
un‟attività artistica e creativa, la quale –per sua
133
natura- può discostarsi dalla realtà ma, laddove si
ispiri a fatti veramente accaduti o personaggi
realmente esistenti, non è priva di limitazioni, che
deve rigorosamente rispettare.
Per quanto riguarda il caso del diritto di cronaca
esercitato attraverso un‟attività rielaborativa, un
esempio significativo è rappresentato da una
fattispecie
sottoposta
all‟attenzione
della
giurisprudenza, che assume un particolare interesse
sia per i diversi
problemi affrontati, sia per le
modalità mediante le quali è intervenuta la lesione
lamentata117.
Nella fattispecie, infatti, era stata realizzata e
distribuita nelle edicole, come allegato ad un noto
settimanale, una videocassetta intitolata "Verità e
Bugie: parla la supertestimone del pool", contenente
stralci di una deposizione resa da una donna dinnanzi
al G.I.P. in sede di incidente probatorio, in una grossa
vicenda che coinvolse alcuni personaggi molto noti
della politica nazionale.
La
peculiarità
di
questo
caso
risiede,
precisamente, nel fatto che, attraverso una sapiente
opera di selezione di determinati momenti della
deposizione, di ridimensionamento della medesima –
dalle complessive quaranta ore a meno di un‟oranonché mediante l‟introduzione di maliziosi commenti
fuori campo diretti ad evidenziare i momenti di
incertezza della teste, si era finito per dare una
rappresentazione manipolata della testimonianza, che,
come tale, andava a risultare non veritiera, con un
117
Corte d’Appello Milano, sez. I, 8/2/2006, Arnoldo
Mondadori Editore c. S. A.
134
complessivo screditamento della immagine della teste,
o, comunque, una sua distorsione.
La voce fuori campo evidenziava, inoltre, le
finalità della videocassetta, partendo dal presupposto
che la donna fosse una teste chiave e che le sue
dichiarazioni fossero il cuore dell'indagine, lasciando,
tuttavia, intendere che era ben poco credibile e, nel
complesso, gettando una cattiva luce sulla sua
personalità, già a partire dallo stesso titolo scelto,
basato proprio sulla contrapposizione tra verità e
bugie.
Una
complessa
opera
di
selezione
e
rielaborazione avente tali caratteristiche, pertanto, non
può essere considerata legittima manifestazione di un
corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, a
maggior ragione se –come nel caso di cui si trattapresentata al pubblico proprio come semplice
narrazione, vale a dire descrizione neutra ed
oggettiva, volta ad informare i lettori in ordine alla
deposizione resa da una testimone d'accusa in uno dei
processi più seguiti del momento, e non come
espressione di un‟attività artistica e creativa.
In una fattispecie come quella descritta, pertanto,
l‟esercizio del diritto di cronaca non può essere
considerato corretto né rispettoso dei suoi ordinari
limiti, non essendo stato osservato, in particolare, il
requisito della verità dei fatti rappresentati.
Va precisato che effettuare un‟opera di sintesi e
selezione di determinate parti, nell‟ambito di un
filmato avente una durata originale di molte ore, non
determina, di per se automaticamente e per ciò solo,
un difetto di verità dei fatti rappresentati, bensì una
rappresentazione parziale, vale a dire non completa.
135
Tuttavia, se le concrete modalità attraverso cui la
rielaborazione è realizzata sono tali da trasformarla
in una vera e propria manipolazione tendenziosa e non
equilibrata, l‟oggettività dello strumento utilizzato
(trascrizione della testimonianza)
diventa soltanto
teorica, quindi dovrà ritenersi violato il limite della
“verità” dei fatti, per cui è ben possibile che il risultato
finale possa ledere illegittimamente l‟immagine,
l‟identità personale e la riservatezza del soggetto.
§ 4 I DIRITTI DELLA
CREAZIONE ARTISTICA
PERSONALITÀ
E
LA
4-a) Nel paragrafo precedente si è parlato
dell‟attività giornalistica diretta a fornire, quantomeno
nell‟intento dichiarato, una mera esposizione di
determinati fatti; adesso, invece, appare utile
occuparsi dei casi in cui venga in rilievo una vera e
propria creazione artistica.
Anche la creazione artistica, in tutte le varie
forme ipotizzabili (opera letteraria, cinematografica,
rappresentazione teatrale ecc.) è riconducibile, come
la cronaca e la critica, al diritto di manifestazione del
pensiero previsto ex art. 21 Cost.
Un‟attività di questo genere ovviamente non pone
problemi di interazione con diritti della personalità
facenti capo ad altri soggetti, che si trovano in
posizione di confliggenza, laddove la creazione sia
frutto esclusivamente della fantasia dell‟autore.
A diversa conclusione deve giungersi se –come
talvolta accade- l‟opera realizzata ha la precipua
finalità di dare una rappresentazione fedele della vita
di personaggi della Storia, più o meno recente,
136
dell‟arte, della politica (c.d. “opera biografica”), o se,
quantomeno, è ispirata a fatti realmente accaduti e ad
individui realmente esistenti (o esistiti).
In casi come questi, l‟accertamento dell‟eventuale
lesione di diritti della personalità (in particolare
l‟identità personale) presenta ulteriori difficoltà:
occorre, infatti, considerare che se, da un lato, l‟opera
artistica, proprio per sua natura, implica un‟attività di
creazione, affidata alla fantasia dell‟autore, dall‟altro,
tuttavia, poiché coinvolge accadimenti e soggetti non
immaginari, bensì reali, non dovrebbe spingersi fino al
punto di deformare ed alterare la personalità dei
protagonisti.
Non è cronaca in senso stretto ma è, comunque,
una “cronaca romanzata”, come tale percepita dallo
stesso spettatore118.
La questione presenta maggiori difficoltà di
soluzione, in particolare, nell‟ipotesi in cui l‟opera
realizzata è soltanto ispirata ad avvenimenti e persone
reali -ad esempio un fatto di cronaca o la vita di un
personaggio famoso- senza porsi, tuttavia, come
fedele rappresentazione di quelle vicende: in questo
inevitabile intreccio tra verità e fantasia ci si chiede
entro che limiti possa spingersi l‟immaginazione
dell‟autore, e se possa andare esente da ogni forma di
responsabilità trincerandosi dietro la nota dizione
“liberamente ispirata ecc. ecc.”.
118
Giuseppe Cassano “Contenuto e limiti del diritto
all'identità personale (in margine allo sceneggiato sul caso
"Re Cecconi"), nota a Cass. civile, sez. I, 7/2/1996 n. 978,
in Riv. inf. e informatica 1997, 1, 118, cit.
137
Ad avviso di chi scrive, in tutti quei casi (sempre
più ricorrenti, forse –ma è solo una supposizione- a
causa anche di un preoccupante prosciugamento della
vena creativa di alcuni sceneggiatori) in cui un‟opera –
in genere si tratta di fiction- ripercorre, sia pure
“liberamente”, fatti e personaggi reali è necessario il
rispetto, nella rappresentazione di queste vicende, dei
tratti essenziali della personalità dei protagonisti119.
Pertanto, potrà considerarsi lecita l‟aggiunta, alle
vicende reali, di episodi nati esclusivamente dalla
fantasia dell‟autore, per soddisfare esigenze di
sceneggiatura, a condizione che non presentino un
valore determinante ai fini della rappresentazione della
personalità del soggetto; solo, in tal caso, non sono
idonei a ledere il diritto all‟identità personale del
personaggio cui si riferisce l'opera.
Viceversa, non possono (o non dovrebbero)
essere introdotti avvenimenti tali da determinare
119
Non mancano, peraltro, autori secondo i quali la
realtà conserva sempre una totale autonomia dalla finzione,
che è creazione nascente dalla fantasia dell’autore, anche
nei casi in cui presenti qualche connessione con il reale (a
cui si ispira). Pertanto l’opera artistica finisce per vivere di
vita propria, come una nuova realtà, in quanto gli elementi
reali vengono trasfigurati dalla creatività dell’artista.
In
proposito v. Schermi, Il diritto assoluto della personalità ed
il rispetto della verità nella cronaca, nell'opera storiografica,
nell'opera biografica e nell'opera di fantasia, in Giust. civ.,
1966, I, 1252.
138
un‟alterazione
sostanziale
dell'immagine
del
personaggio, quindi un effettivo travisamento della
personalità, delle idee e delle opinioni del soggetto
rappresentato; in caso contrario, infatti, viene meno il
requisito della “verità”, proprio con riferimento a
circostanze di essenziale rilievo, con conseguente
ingiustificata lesione del diritto all‟identità personale.
Infatti, si deve ritenere che, sebbene sia
caratterizzata da tratti distintivi propri, tali da
differenziarla dal diritto di cronaca e di critica, anche la
creazione artistica vada esplicata nel rispetto dei limiti
descritti in precedenza (verità, continenza, interesse
pubblico), sebbene si atteggino in modo peculiare
(soprattutto il primo).
Nel verificare l‟eventuale violazione dell‟identità
personale, in particolare sotto il profilo del rispetto
della “verità”, ad avviso di chi scrive, è necessaria, in
ipotesi come questa, una speciale attenzione, tenendo
sempre ben presente due considerazioni essenziali.
Innanzi tutto, occorre riflettere sulle particolari
sensazioni ed emozioni che un film o una fiction
"ispirati a fatti realmente accaduti” ispira nello
spettatore, o, quantomeno, in alcune categorie di
spettatori: se è vero che non è compito (quanto meno
non sempre) della televisione fare o divulgare la
cultura, quindi contribuire alla corretta conoscenza di
certe vicende, storiche o di cronaca, tuttavia è -ormai
da decenni- una realtà innegabile la forza mediatica di
questo mezzo, che porta spesso e volentieri alcuni
(anzi, numerosi) spettatori a riporre una notevole
fiducia sull‟attendibilità di quanto appreso attraverso la
televisione (più della radio), e di conseguenza a
qualche difficoltà di discernimento dinnanzi ad una
139
rappresentazione, che di solito si presenta come molto
realistica di quanto percepito.
Anche per questa ragione, nello sceneggiare
quelle opere filmiche ispirate alla realtà, e
nell‟arricchirle di particolari di fantasia, sarebbe
opportuno seguire una certa cautela, onde evitare di
alterare la personalità dei soggetti rappresentati.
In secondo luogo, occorre considerare che la
violazione del diritto all‟identità personale, nel contesto
di una creazione artistica, talora interviene non tanto
a causa dell‟introduzione di eclatanti episodi (non
corrispondenti alla realtà) riguardanti il protagonista,
bensì
attraverso
una
serie
di
particolari
–
apparentemente
non
significativima
che,
combinandosi tra loro, possono portare (a prescindere
dall‟eventuale lesione dell‟onore) ad un travisamento
dell‟identità personale.
Proprio questo è ciò che hanno lamentato i
congiunti di un noto cantante (Rino Gaetano),
deceduto da parecchi anni, la cui vita ha ispirato uno
sceneggiato televisivo realizzato recentemente: a
detta dei familiari, nel rappresentare le sue vicende
artistiche
e
personali
erano
stati
inseriti,
evidentemente per le note esigenze di copione, alcuni
dialoghi relativi ad episodi mai intervenuti che, nel
complesso, avevano contribuito a fare un quadro del
protagonista travisato ed alterato, in particolare
evidenziando una personalità aggressiva –specie nei
confronti del padre- e sregolata, non corrispondente
alla realtà.
140
4-b) In proposito, tuttavia, è necessario, a
questo punto, ribadire una precisazione, già fatta nelle
pagine che precedono.
Non
bisogna
dimenticare,
nel
verificare
l‟eventuale violazione del diritto di cui si tratta, che
l‟identità personale va intesa non in senso soggettivo,
come opinione o idea che ciascuno ha di se stesso120,
quindi come necessaria coincidenza tra questa visione
personale e quanto viene rappresentato (nel caso in
questione, in un‟opera artistica, ma la considerazione
vale più in generale), altrimenti non sarebbe
concepibile nessun tipo di descrizione, se non sempre
e comunque in termini positivi, e giammai con note
critiche.
Viceversa –per come è stato evidenziato nei
capitoli precedenti- l‟identità personale va intesa in
senso oggettivo, quale diritto della persona di essere
rappresentato all‟esterno in modo corretto, vale a dire
con tutti quei tratti caratterizzanti che, nella realtà
sociale (generale o particolare) sono conosciuti, o
conoscibili in base agli ordinari criteri della normale
diligenza e della buona fede.
Applicando questi principi, è stata decisa una
fattispecie sottoposta all‟attenzione della Suprema
Corte, relativa ad uno sceneggiato televisivo dal titolo
“L‟appello”, nel quale veniva ripercorso un noto caso di
cronaca che aveva visto l‟uccisione del calciatore della
società sportiva Lazio Luciano Re Cecconi da parte di
120
Cassazione civile , sez. I, 07 febbraio 1996, n. 978,
Tabocchini c. RAI- Radiotelevisione Italiana SPA.
141
un gioielliere, in occasione di una finta rapina da lui
ideata per scherzo.
Il caso (generalmente citato dalla dottrina
penalistica come esemplificazione della legittima difesa
putativa121 ex combinato disposto artt. 52 e 59, ultimo
comma, c.p.) contiene in sé tutte quelle problematiche
attinenti al rapporto tra creazione artistica e diritto
all‟identità personale di cui si discute.
Il protagonista della vicenda e la moglie,
lamentarono, infatti, una lesione della loro identità
personale per le modalità attraverso cui venivano
rappresentati nello sceneggiato: il gioielliere descritto
come individuo incolto, impacciato, attaccato ai suoi
averi ed al denaro, e lei, riduttivamente, come donna
intenta soltanto a riporre oggetti negli scaffali.
La Suprema Corte, tuttavia, giunse ad escludere
l‟esistenza di una violazione dei loro diritti proprio sulla
considerazione della “verità” dei fatti, che erano stati
narrati in modo tale da fare un quadro corretto –né
denigratorio né deformato- della personalità dei
protagonisti, tra l'altro, per come essi stessi si erano
rappresentati in sede processuale, forse per esigenze
difensive; egli stesso, infatti, si era presentato alla
stampa come uomo di scarsa cultura, in quanto non
aveva avuto la possibilità di studiare, e pressato
dall‟esigenza di guadagnare, per cui l'attaccamento al
denaro –che traspariva dalla rappresentazionederivava da reali comportamenti pregressi, anche
aggressivi, del gioielliere, il quale già nel passato
121
G. Fiandaca, E. Musco “Diritto penale. Parte
generale”, Zanichelli editore, quarta edizione, pag. 252 e ss.
142
aveva ferito un rapinatore e fatto ricorso alle armi per
evitare uno scippo alla moglie.
Quanto alla donna, l‟essere rappresentata
nell'atto di riporre oggetti negli scaffali non è stato
giudicato deformante della sua personalità, essendo
questo un gesto connaturale all'attività svolta nel
negozio.
Nell‟analizzare i problemi relativi all‟interazione
tra creazione artistica e diritto all‟identità personale, si
è rivolta l‟attenzione in particolare alla “verità” dei
fatti, nonché, in ogni caso, alla c. d. “continenza”.
4-c) (L'attualità della notizia)
Non deve, peraltro, essere tralasciato un altro
requisito, la cui sussistenza è necessaria al fine di
giustificare una compressione dei diritti della
personalità, e cioè l‟interesse sociale attuale ed
effettivo alla conoscenza dei fatti narrati, che va
accertato con attenzione in quanto potrebbe mancare,
in particolare, laddove venissero in considerazione
vicende accadute in tempi lontani.
Decorsi molti anni dal verificarsi di certi
avvenimenti, infatti, l‟interesse alla rievocazione degli
stessi ed alla conseguente (ulteriore) divulgazione di
solito perde il carattere dell‟attualità.
Certamente, la solo circostanza del decorso del
tempo non è assolutamente idonea ad escludere
l‟attualità dell‟interesse alla conoscenza, anzi vale
l‟esatto contrario per tutti quegli accadimenti che
hanno assunto un valore tale da entrare a fare parte –
a pieno titolo- nella Storia.
Il problema si pone, in particolare, per quei fatti
di cronaca che, pur avendo suscitato un certo clamore
143
all‟epoca
della
loro
verificazione,
hanno
progressivamente perso interesse
sociale, in
concomitanza con il rientro di tutti gli aspetti della
vicenda nell'anonimato 122.
Nel caso prima esaminato, la Suprema Corte
ritenne soddisfatto –con argomentazioni più o meno
condivisibili- anche questo limite, considerando la
vicenda emblematica di un particolare periodo storico
caratterizzato da una diffusa violenza, manifestata
tanto dal comportamento dell'aggressore, quanto dalla
tipologia di scherzo fatto dalla vittima, che aveva
portato al tragico epilogo.
Il problema della reale sussistenza di un interesse
della collettività a conoscere determinate vicende,
tuttavia, può venire in considerazione anche in ipotesi
dove non è lamentata la lesione del diritto all‟identità
personale, bensì alla riservatezza o, più precisamente,
all‟oblio, detto anche diritto “ad essere lasciati soli con
se stessi e con le proprie vicende”.
Ciò che viene contestata, in questi altri casi, non
è tanto l‟alterazione della personalità dei soggetti
all‟epoca dei fatti rappresentati, bensì la rievocazione
di notizie, nel passato rese di pubblico dominio, ormai
non più attuali e dimenticate dalla collettività, con
conseguente ed indesiderata nuova notorietà dei
soggetti all‟epoca coinvolti, ma da tempo rientrati
122
Tribunale Roma, 21 Novembre 1996, in Dir. famiglia
1999, 1, 141, nota di Giuseppe Cassano: “Soluzioni
controverse di casi concernenti i diritti della personalità nelle
trasmissioni televisive”.
144
nell‟anonimato, e/o la non corrispondenza tra l‟identità
personale descritta e quella attuale.
In altre parole, se la privacy di determinati
individui, nel passato, era stata recessiva a fronte di
un interesse pubblico all‟informazione ritenuto
all‟epoca prevalente, ciò non implica anche il perenne
permanere di quest‟ultimo, perché è ben possibile che
il decorso del tempo faccia sfumare l‟interesse
pubblico in questione, con una successiva riespansione
del diritto alla riservatezza con riferimento a quelle
stesse vicende.
La lesione del diritto della personalità, quindi, non
risulterà giustificata dal confliggente diritto di cronaca
o di critica, che, pertanto, è da giudicarsi illecita.
4-d) Va, a questo punto, fatta una riflessione.
E‟ praticamente inevitabile che il giudizio di
bilanciamento tra situazioni soggettive contrapposte,
in particolare tra creazione artistica e diritti della
personalità, sebbene effettuato in modo attento, possa
condurre a risultati non sempre coerenti: se è vero
che ogni fattispecie è diversa dall‟altra, tuttavia non si
può negare che, talvolta, situazioni aventi tratti
caratterizzanti molto simili sono state giudicate sulla
base
di
argomentazioni
quasi
opposte,
con
conseguente scarsa coerenza del complessivo sistema.
Pertanto non ci si deve sorprendere se, a fronte
di decisioni che –forse in modo forzato- ravvisano
l‟attualità di un interesse pubblico alla rievocazione di
vicende passate, ve ne siano delle altre –come quella
relativa al c.d. mostro di Firenze- che, invece
manifestino una tendenza a prediligere, a fronte del
diritto di cronaca, di critica e, più in generale, di libera
145
manifestazione del pensiero, riconosciuto ex art. 21
Cost., altre posizioni soggettive quali immagine,
identità personale e riservatezza123.
Probabilmente queste diversità di giudizi sono più
prosaicamente da attribuire anche ad una diversa
sensibilità delle singole persone che rivestono le
funzioni giudicanti, rispetto a determinati valori.
Partendo da tale sensibilità, che non ha, in sé,
rilievo giuridico, il Giudice offre poi, in sede di
motivazione, una argomentazione di diritto a quanto
da lui intimamente sentito.
Conclusivamente, quindi, va verificata con
particolare rigore la sussistenza delle condizioni che, in
nome della libertà di pensiero, possano giustificare la
compressione dei diritti all'immagine, all'identità
personale e alla privacy.
123
Pretura Firenze, 03 marzo 1986, Nencini e altro c.
Titanus distribuzione, in Resp. civ. e prev. 1987, 118 ”Lede
l'immagine, la riservatezza e la reputazione l'opera
cinematografica rielaboratrice di fatti di cronaca ove per la
somiglianza degli attori, le vicende narrate, le scene
riportate sia possibile l'identificazione dei soggetti reali e si
rappresentino fatti intimi e di brutalità, in assenza, peraltro,
di una finalità informativa sulla quale prevale la finalità
lucrativa” .
146
Capitolo 7
IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ
PERSONALE NEGLI ENTI COLLETTIVI
(persone giuridiche e non)
§ 1 Generalità; § 2 Il diritto all'immagine e all'identità
personale nelle associazioni non riconosciute. I partiti
politici; 3 Lesione all'immagine e all'identità personale delle
aggregazioni politico-sociali; § 4 Danni risarcibili agli enti
collettivi; § 4 Diritto all'immagine della persona giuridica
pubblica.
§ 1 GENERALITÀ
Dottrina
e
giurisprudenza
riconoscono
pacificamente il diritto all'immagine anche alle
soggettività diverse dalla persona fisica124, ovviamente
con riguardo ai profili, come il nome e l'identità
personale, in tutti i suoi molteplici aspetti, che
prescindono dalla
rappresentazione fisica della
persona, chiaramente non configurabile in un ente
collettivo. 125
124
Volutamente si è scelto un locuzione generica,
poiché, per come si vedrà a breve, i diritti in questione
vengono riconosciuti anche ad entità diverse dalle persone
giuridiche.
125
E si anticipa sin da adesso che questa diversa
tipologia dell'immagine dell'ente collettivo ha creato,
quantomeno all'inizio, non pochi problemi per la esatta
individuazione del pregiudizio risarcibile con riferimento alla
sua lesione.
147
Va rilevato, infatti, che, secondo ormai opinione
consolidata,
anche
l'organismo
collettivo
–
indipendentemente dal suo riconoscimento- è dotato
di una certa soggettività giuridica, e al riguardo un
autorevole riferimento si trova, tra l'altro, proprio
all'articolo 2 della Costituzione, laddove è scritto che la
Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità . . . ”.
Anche i fenomeni aggregativi sono dunque titolari
di diritti ed obblighi, nonché della capacità richiesta
per l'esercizio di posizioni soggettive loro riferibili;
volendo utilizzare la terminologia codicistica, possiamo
dire che sono dotati della capacità giuridica e di agire.
Accogliendo
tale
ricostruzione,
pertanto,
l'elemento idoneo a differenziare l'organismo non
riconosciuto dalla “persona giuridica” in senso stretto,
si può dire che consista -essenzialmente- nel tratto
formale del riconoscimento, che si manifesta, in
particolare, in una maggiore autonomia patrimoniale e
in una più precisa configurazione normativa degli
organi sociali e dei loro poteri, con un qualche
controllo formale da parte dell'autorità, in relazione
agli scopi che l'organismo collettivo si è prefissati.
Una volta ammesso, quindi, che in linea generale
gli enti collettivi, e cioè qualsiasi ente diverso dalla
persona fisica, sono titolari di posizioni soggettive,
giuridicamente e anche costituzionalmente rilevanti,
costituisce conseguente corollario la riferibilità agli
stessi anche di taluni diritti della personalità,
ovviamente, per come già si è accennato, con gli
adattamenti necessari.
148
Precisamente dottrina e giurisprudenza già da
tempo hanno qualificato come posizione di diritto
soggettivo -alla stregua dei principi fissati dall'art. 2
costit., in tema di difesa della personalità nella
complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, e
in applicazione analogica della disciplina dettata
dall'art. 7 del Codice civile, con riguardo al diritto al
nome- l'interesse dell'ente collettivo, persona giuridica
o non, a preservare la propria identità personale, nel
senso di immagine sociale, come coacervo di valori
(intellettuali, politici, religiosi, professionali, di
reputazione e così via), per come si presenta (ed è
conosciuta) nella comunità sociale, in cui si svolge la
sua attività.
Ha, quindi, correlativamente, il diritto di insorgere
contro comportamenti altrui che menomino tale
immagine, anche se trattasi di comportamenti che non
ne offendano l'onore o la reputazione, e, quindi, non
assurgano a fatti penalmente rilevanti. 126
Nella specie, decisa con la sentenza in nota, già
citata nelle pagine precedenti, un'intervista concessa
dal direttore dell'Istituto nazionale per lo studio e la
cura dei tumori era stata utilizzata, mediante
estrapolazione di alcune frasi dal complessivo
contesto, per avvalorare una campagna promozionale
della vendita di sigarette leggere, come se quel
direttore (coinvolgendo anche l'Istituto), anziché
contrario ad ogni uso di tabacco, si fosse manifestato
126
V. Cassazione civile , sez. I, 22 giugno 1985, n.
3769 Società Austria c. Veronesi, in Resp. civ. e prev. 1985,
578; Dir. famiglia 1985, 901; Dir. autore 1986, 307; Giust.
civ. 1985, I, 3049; Foro it. 1985, I,2211; Dir. informatica
1985, 965.
149
in senso favorevole al consumo di determinati tipi di
sigarette contenenti meno nicotina.
La decisione viene ricordata in questa sede, per il
fatto che il Giudice ritenne leso il diritto all'immagine,
oltre che dell'illustre clinico, anche dell'Istituto, nel
senso che così facendo, la società commerciale, che
aveva artatamente utilizzato l'intervista, aveva in
concreto leso, oltre che l'identità personale del
direttore intervistato, anche il diritto dell'ente
collettivo ad essere rappresentato con la sua vera
identità, così come questa nella realtà sociale,
generale o particolare, era conosciuta o poteva essere
riconosciuta con l'esplicazione dei criteri della normale
diligenza e della buona fede oggettiva.
Per gli enti collettivi con fine di lucro, la tutela
dell'immagine (con l'identità personale) acquisisce poi
una sua specifica peculiarità, anche in relazione
all'attività da questi espletata, che trova un riferimento
testuale nella Costituzione, oltre che nell'indicato
articolo 2 anche nel successivo articolo 41,
concernente l'iniziativa economica privata, essendo
abbastanza intuitivo come la modalità secondo cui la
società commerciale si presenta nell'ambito territoriale
(e sociale) in cui opera, costituisce di per se un
notevole elemento non solo di mantenimento della
fetta di mercato, ma anche di crescita, e questo ben
sanno gli operatori commerciali, i quali riservano una
consistente fetta delle loro spese proprio in massicce
operazioni di marketing e di maquillage (non per nulla
viene utilizzato un termine che si riferisce alle
operazioni finalizzate a mantenere la bellezza delle
donne – o la loro presentabilità).
150
Ora, la lesione dell'immagine nel senso sopra
indicato è idonea a incidere nella reputazione che
l'ente collettivo cerca continuamente di mantenere e
anche di migliorare (per come si è detto, anche con
costose
operazioni):
di
conseguenza,
appare
appropriato riconoscere piena tutela al diritto in
questione, in relazione a precise disposizioni che nella
Costituzione trovano riscontro, anche con riferimento
alle società commerciali.
§
2
IL
DIRITTO
ALL'IMMAGINE
E
ALL'IDENTITÀ PERSONALE NELLE ASSOCIAZIONI
NON RICONOSCIUTE. I PARTITI POLITICI.
Si è detto che il diritto all'immagine è da
attribuirsi anche ad organismi non riconosciuti.
A questo proposito, il problema si è posto in
primo luogo per i partiti politici e i sindacati, organismi
durevoli nel tempo, ma anche per i comitati (come, ad
esempio, per quelli referendari), solitamente costituiti
per uno scopo determinato, al cui raggiungimento poi
si sciolgono e aggregazioni in genere costituite per
scopi meritevoli di tutela.
Per quanto riguarda i partiti politici è agevole
rilevare come questi, seppur privi di personalità
giuridica, hanno una loro precisa connotazione, con
capacità di incidere e notevolmente nel contesto
sociale.
Essi costituiscono sicuramente una formazione
sociale in cui si esplica la personalità dell'uomo, oltre
che ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, con
151
specifico riferimento al successivo articolo 49, con la
conseguenza che sono titolari anche di quei tipici diritti
della personalità, come, ad esempio, il diritto al nome
– costituito da un insieme anche grafico -,
all'immagine –nel senso di reputazione nei confronti
dei consociati-, e all'identità personale in tutte le sue
possibili sfaccettature.
A tale proposito sono di notevole interesse gli
orientamenti, in materia, che si sono formati,
allorquando il “terremoto” Tangentopoli condusse alla
distruzione
di
taluni
schieramenti
ed
alla
trasformazione di altri, con conseguente proliferazione
da questi di gruppi di iscritti, detti in genere “gli
scissionisti”, che fedeli ai simboli e sigle tradizionali,
nonché alle vecchie ideologie, non condividendo i
deliberati assembleari, che quelle modifiche avevano
introdotto, in qualche modo si ritenevano autorizzati
ad utilizzare il simbolo e la sigla, in tutto o in parte
dismessi dalle formazioni originarie.
Iniziò così una vera e propria guerra di carta
bollata, con numerosi interventi della magistratura, la
quale, applicando i principi civilistici in materia di
associazioni non riconosciute, ha cercato di fare
chiarezza, dirimendo questioni parecchio complesse.
Specificamente, la giurisprudenza ha precisato
che, nel caso di modifica della denominazione, con
dismissione – in parte - dei vecchi simboli, delle sigle e
del nome, intervenuta con delibera assembleare, non
si è in presenza di una nuova associazione, ma della
prosecuzione di quella già esistente, con la
conseguenza che il partito politico con il nome
modificato, è titolare della vecchia identità, con tutto il
patrimonio culturale e politico, già acquisito e, tra
152
questi, il simbolo, che, seppur in parte dismesso,
continua a far parte del nome, con riguardo alla tutela
giuridica, la quale, quindi, va estesa a qualsiasi
attributo individualizzante, benché costituisca solo una
parte della denominazione residuata alla formazione
partitica trasformata.
In applicazione di tale principio è stata ritenuta
legittima la contestazione fatta da due partiti politici
nei confronti di altre neo formazioni, che nel simbolo
avevano inserito elementi grafici ed anche la sigla del
partito
che
aveva
modificato
la
propria
127
denominazione .
Sempre con applicazione dei principi civilistici in
materia di associazioni non riconosciute, si è ritenuta
la piena validità degli accordi intervenuti tra il Partito
Popolare Italiano (P.P.I.), in cui si era trasformata la
Democrazia Cristiana, a seguito dell'assemblea del 18
gennaio 1994 e il partito di nuova formazione dei
Cristiani Democratici Uniti (C.D.U.), concernente il
reciproco riconoscimento della titolarità di nome e
simbolo del partito democristiano.
In conseguenza, in virtù di quegli accordi, è stata
ritenuta la legittimazione del C.D.U., ai sensi dell'art. 7
c.c., oltre che all'uso del simbolo e della
denominazione della vecchia formazione, anche ad
ottenere, in via cautelare e urgente, che fosse inibito a
una diversa (nuova) formazione politica l'uso del nome
"Democrazia Cristiana" e del simbolo dello scudo
127
V. Tribunale Roma, 26 aprile 1991 - Partito
Democratico della Sinistra c. Partito Comunista Italiano, in
Dir. informatica 1991, 868 e in
Temi romana 1991;
Tribunale Roma, 13 aprile 1995 - Alleanza naz. c.
Movimento sociale it. e altro, in Rass. dir. civ. 1995, 928 .
153
crociato con la scritta "Libertas", in occasione delle
elezioni per il Parlamento europeo, del 2004.128
Come si può, quindi, rilevare, anche le
associazioni non riconosciute sono titolari di tutela
forte, con riguardo a quelli che costituiscono il nome e
l'identità personale, seppur intervengano modifiche
nelle sigle e nei simboli, atteso che anche quelli
dismessi continuano a costituire elementi dell'identità
personale, acquisita nel tempo, che non si dismette
con il mutare della denominazione formale.
§ 3 – LESIONE ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ
PERSONALE DELLE AGGREGAZIONI POLITICOSOCIALI
La lesione dell'identità personale può avvenire
mediante l'attribuzione di fatti denigratori o,
comunque, di comportamenti e opinioni, che, seppur
oggettivamente non offensivi, offrono un'immagine
diversa da quella con la quale il partito, o movimento
che sia, è riconosciuto dai consociati.
A questo proposito è da chiedersi se, in relazione
a quelli che sono i compiti del partito politico (o di
movimenti comunque consimili), aduso a un dialogo
spesse volte aspro e a dibattiti che di frequente si
svolgono con toni sopra le righe ed atteggiamenti
passionali, non si possa pretendere, a sua volta, un
maggiore grado di tolleranza (e il discorso vale
ovviamente anche per il personaggio politico
attraverso cui il partito si esprime) alle critiche che
128
V. Tribunale Roma, 15 aprile 2004 - Giur. merito
2005, 114 .
154
possano derivare dalla stampa, atteso che il
movimento politico liberamente espone se stesso e le
proprie posizioni al vaglio dell'opinione pubblica .
Ora, senza giungere ad affermare che i movimenti
politici (e i loro esponenti) godano di una minore
tutela dei diritti della personalità o che questi siano in
qualche modo affievoliti (discorso forse pericoloso,
poiché potrebbe condurre ad una attenuazione, di
fatto, della tutela che si desume dagli articolo 2 e 49
della Costituzione), è da ritenere che una maggiore
tolleranza, con riguardo alle opinioni espresse dalla
stampa nei loro confronti, possa trovare giustificazione
-sempre che non sia superato il limite della veridicità
dei fatti e della congruità delle espressioni utilizzatecon la considerazione che i partiti, appunto, sono
abituati a toni sopra le righe nel confronto politico e di
opinione che si svolge non solo nelle aule del
Parlamenta (e basta scorrere un qualsiasi resoconto
parlamentare), ma anche fuori delle Camere (è
sufficiente
leggere
le
decisioni
della
Corte
Costituzionale sui numerosi conflitti che vengono
sollevati tra magistratura e camere, riguardo
all'applicazione dell'articolo 68, primo comma, della
Costituzione).
Pertanto, sebbene anche a tutela dei partiti
politici trovino senza dubbio applicazione i requisiti
della verità, interesse pubblico e continenza, necessari
affinché l‟esercizio del diritto di manifestazione del
pensiero da parte di altri soggetti (e degli organi di
stampa) possa considerarsi legittimo (con conseguente
giustificazione di una qualche menomazione di altre
situazioni giuridiche rilevanti), deve tuttavia ritenersi
che, considerata la peculiarità di queste associazioni e
155
del dibattito politico loro riferito, l‟elemento della
“correttezza formale” delle espressioni utilizzate debba
essere valutato, se non proprio con minor rigore,
quantomeno in modo adeguato alle caratteristiche di
tali tipologie di associazioni, che ritenga consentita,
anche una qualche asprezza dei toni, non ammissibile
riguardo ad altre aggregazioni sociali.
Non è stata rintracciata giurisprudenza italiana
specifica al riguardo; ma sul punto si è, invece,
pronunciata, nel senso che sia da pretendere una
siffatta tolleranza, la Corte europea dei diritti
dell'uomo con la decisione 13 novembre 2003, emessa
contro la Repubblica austriaca e di cui è stata riportata
in nota la massima per esteso, nel capitolo relativo ai
“Rapporti con gli altri diritti”.
A tale proposito si ritiene utile riprodurre in nota
la parte qui d'interesse.129
129
pubblicata in Legisl. pen. 2004, 357 e in Juris Data –
Ed. Giuffrè: “La stampa riveste un ruolo fondamentale in
una società democratica, poiché - sebbene debba osservare
i limiti imposti dal rispetto della reputazione e dei diritti
altrui - ha il dovere di fornire informazioni su tutte le
materie di pubblico interesse. D'altro canto, è innegabile
che la libertà di espressione costituisca un fondamento
essenziale di ciascuna società democratica ed una
condizione basilare per il suo progresso e la realizzazione di
ciascun individuo. I limiti e le eccezioni posti a tale diritto,
previsti dallo stesso art. 10 paragrafo 2 Cedu, devono
essere definiti con precisione, mentre l'indispensabilità di
restrizioni deve essere stabilita in modo efficace. Simili limiti
alla libertà di espressione trovano applicazione anche con
riferimento al dialogo politico ed al dibattito su questioni di
pubblico interesse, sebbene ciascun personaggio politico poiché per scelta sottopone se stesso e le proprie posizioni
156
Chiaramente, invece, nessuna tolleranza può
ammettersi, ove la lesione del diritto all'identità
personale sia conseguente a gravi fatti di intimidazione
oppure –e purtroppo non sono stati rari- a fatti
delittuosi che, colpendo, ad esempio, le sedi
dell'organismo, o, cosa ancor più grave, i dirigenti del
movimento, abbiano un effetto in qualche modo
destabilizzante, creando attorno al partito (oppure
anche soltanto essendo idoneo a creare) una sorta di
terra bruciata, così riducendogli la capacità di incidere
nel tessuto sociale, con violazione oltre che dei diritti
di cui al più volte citato articolo 2 della Costituzione,
anche quello espressamente enunciato nel successivo
articolo 49.
Così esattamente, ad avviso di chi scrive, è stata
riconosciuta la lesione alla identità personale del
partito, in casi di omicidio di persone che rivestivano
importanti incarichi nella compagine del partito (nella
specie il PSI) o, addirittura, di vertice, in quanto il
fatto di sangue, causato da motivazione politica,
chiaramente mira a intaccare la formazione sociale
nella sua essenza e nella sua struttura, provocando
intuitivo sbandamento e turbamento all'interno della
istituzione 130.
al vaglio dell'opinione pubblica - sia tenuto ad un maggiore
grado di tolleranza alle critiche.”
130
V. Cassazione penale , sez. I, 28 gennaio 1993 Del
Savio Mass. pen. cass. 1994, fasc. 3, 2; Corte
assise
Roma, 26 aprile 1982 Triaca e altro, in Difesa pen. 1983,
89; Corte assise Roma, 26 aprile 1982, ma, in senso
contrario, Corte assise Genova, 02 febbraio 1983, entrambe
in Foro it. 1983, II,129, salvo che fosse stata dedotta la
lesione alla sua personalità, sotto il profilo della
157
Come per i partiti politici, analogamente, per le
associazioni sindacali di categoria non si pongono
particolari problemi circa la sussistenza nei loro
confronti dei diritti della personalità (e, quindi, tra
questi, il diritto all'immagine e all'identità personale)
131
.
In applicazione sempre dell'articolo 2 della
Costituzione, è da riconoscere la sussistenza dei diritti
della personalità oltre che alle associazioni che sono
destinate a durare nel tempo, anche ai comitati che
sorgono spontanei per l'esercizio di una facoltà politica
(così, ad esempio, ai comitati referendari, elettorali,
promotori di proposte di legge e così via), o,
comunque, aventi rilevanza sociale o finalizzati alla
compromissione
dell'interesse
come
organizzazione
portatrice di interessi collettivi specifici, Corte assise
Genova, 02 febbraio 1983, Lo Bianco e altro, in Difesa pen.
1983, 89.
Soltanto per curiosità storica, va ricordato
che, nel lontano 1977, venne attribuita, ai fini della tutela
del diritto all'identità personale, natura di partito politico,
nel senso della definizione data dall'art. 49 cost., il quale
stabilisce che “tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale”, anche a
"Lotta continua", così riconoscendogli la lesione all'identità
personale in un caso di emarginazione, nell'ambito
lavorativo,
di
lavoratore,
che
veniva
riferita
all'appartenenza di questi al movimento in questione: V.
Pretura Treviso, 02 maggio 1977, in Giur. merito 1979, 164.
131
V. Tribunale Milano, 23 gennaio 2006, Cobas c. Soc.
Fiat GM Power Train Italia, in Bollettino trib. 2006, 2 425,
con nota di Vescovini
158
tutela di valori che l'Ordinamento riconosce meritevoli
di considerazione 132.
Il nostro ordinamento riconosce i diritti della
personalità anche (ed è ovvio) agli Stati esteri, i quali
sono appunto portatori di valori, che possono ricevere
lesione, ad esempio, dalla pubblicazione di notizie che
possono in qualche modo denigrarne l'immagine.
In applicazione di tale principio133, venne
riconosciuta la lesione del diritto all'immagine
dell'IRAN, con inibizione
alla Racing Pictures
produttrice (nonché alla Titanus Produzione S.p.A.,
società distributrice del film) di far circolare nel
territorio italiano copie del film "Dolce e selvaggio",
contenenti una sequenza particolarmente violenta e
raccapricciante, di un uomo (indicato dal commento
parlato come militare iracheno) legato per le braccia a
due autocarri, condotti da due persone, indicate come
soldati iraniani (regolari o irregolari che fossero), che,
dirigendosi in direzioni opposte, ne provocavano lo
squartamento.
La
lesione
all'immagine
venne
riconosciuta con la considerazione che, seppur il
filmato
veniva
presentato
al
pubblico
come
documentario, nessuna delle scene costituenti la
sequenza in questione conteneva elementi idonei a
rendere verosimile l'attribuzione dei fatti rappresentati
all'esercito
regolare
iraniano,
né
la
società
132
V., ad esempio, per un caso sollevato da un
comitato
referendario,
finalizzato
ad
una
parziale
abrogazione della legge n. 194 del 1978, Pretura Roma, 11
maggio 1981, in Temi romana 1981, 94, e in Foro it. 1981,
I,1738.
133
V. Cassazione civile , sez. I, 05 dicembre 1992, n.
12951
159
cinematografica aveva documentato che che si fosse
verificato un fatto del genere rappresentato.
Per quanto riguarda il risarcimento del danno non
patrimoniale subito da quello Stato, la Corte,
richiamando anche un proprio precedente (10 luglio
1991 n. 7642) ha rilevato che non poteva condividersi
l'equazione fra danno non patrimoniale e danno
morale (c.d. "pecunia doloris"), in questo caso
chiaramente non riscontrabile, con la considerazione
che il danno non patrimoniale comprende qualsiasi
conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non
prestandosi ad una valutazione monetaria basata su
criteri di mercato, seppur non possa ritenersi oggetto
di risarcimento in senso stretto, è comunque
suscettibile di riparazione (pecuniaria), riguardando
aspetti quale la tutela dell'onore, della reputazione,
dell'identità personale, che possono subire un
pregiudizio
non
patrimoniale
dalla
correlativa
aggressione, ed ottenerne la riparazione anche
attraverso l'attribuzione di una somma di denaro,
secondo un giudizio per sua natura equitativo, affidato
all'apprezzamento del giudice del merito (v. comunque
il paragrafo che segue).
§ 4 DANNI
COLLETTIVI.
RISARCIBILI
AGLI
ENTI
Si è già detto che per quanto riguarda il danno
patrimoniale, chiaramente non si pongono specifici
problemi per l'ente collettivo.
Ora, il risarcimento del danno non patrimoniale
deriva dalla considerazione che questo si riferisce a
160
lesione di diritti, che rappresentano l'equivalente, in
relazione alla persona giuridica o all'ente collettivo, dei
diritti della persona fisica aventi fondamento diretto
nella Costituzione e precisamente nell'articolo 2.
Per tali diritti la risarcibilità del danno non
patrimoniale è ritenuta come conseguenza diretta della
loro valenza come diritti inviolabili dell'uomo, cioè
della persona fisica, anche nelle formazioni sociali, di
cui, appunto, anche gli enti collettivi costituiscono una
esplicitazione, a prescindere del fatto che si tratti di
ente dotato della personalità giuridica o oppure di una
meno formale soggettività.
Sarebbe, invero, contraddittorio riconoscere la
risarcibilità del danno non patrimoniale per lesione di
un diritto fondamentale al soggetto persona fisica
quando agisce direttamente come tale e non
riconoscerla alla "formazione sociale", la quale è pur
sempre espressione della persona ed è testualmente,
come tale, indicata nelle norma costituzionale, che in
tal modo ne afferma il diritto all'esistenza con una sua
specifica dimensione nell'ambito della comunità
sociale.
Va, peraltro, rilevato, sul punto, che, con riguardo
alla lesione del diritto all'immagine, per primo si è
fatto strada in favore dell'ente collettivo il danno
patrimoniale, atteso che quello non patrimoniale
equiparato a quello “morale”, come pretium doloris,
non soltanto era limitato alle ipotesi di reato, ma non
era ovviamente percepibile nei riguardi dell'ente
collettivo; ma, di pari passo al riconoscimento del
danno non patrimoniale in favore della persona fisica,
(a prescindere della sussistenza o non di un reato o di
una espressa previsione normativa) si è riconosciuto
161
col tempo , detto danno anche in favore degli enti,
mediante un allargamento delle ipotesi di danno non
patrimoniale 134, ovviamente con gli adattamenti del
caso.
Ma ancora nel 1992135 non sempre veniva
riconosciuto il danno non patrimoniale in se e per se,
soprattutto per l'equiparazione, che ha stentato ad
essere ripudiata, tra danno non patrimoniale e danno
morale, per come sarà evidenziato nel capitolo 9.
Infatti,
pur
ammettendosi che
la
tutela
dell'interesse diffuso all'ambiente fa capo all'ente
territoriale, preposto al controllo ed alla gestione nel
settore ecologico, si affermava che l'azione di
risarcimento del danno non patrimoniale poteva essere
promossa soltanto quando sussistesse un pregiudizio
concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il
profilo dell'alterazione, del deterioramento o della
distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. In altre
parole, la lesione dell'immagine dell'ente territoriale,
come lesione del prestigio derivante dall'affidamento di
compiti di controllo o gestione, costituiva danno non
risarcibile autonomamente, bensì soltanto se collegato
a un danno ambientale, accertato in concreto.
A ogni modo può dirsi ormai ius receptum che nei
confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente
collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non
134
V. oltre, nonché, tra le tante decisioni, della
Suprema Corte di Cassazione, 26 giugno 2007, n. 14766 16 aprile 2003, n. 6022 - 8 maggio 2002, n. 6591 - Cass. 3
marzo 2000, n. 2367.
135
V. Cassazione penale , sez. III, con sentenza 19
marzo 1992, in Riv. pen. 1993, 607.
162
patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una
situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente
che sia equivalente ai diritti fondamentali della
persona umana garantiti dalla Costituzione.
Tra tali diritti rientra l'immagine della persona
giuridica, privata o pubblica che sia (secondo la
nozione complessa già in precedenza illustrata), con il
diritto all'identità personale.
Ammessa, pertanto, la risarcibilità del danno non
patrimoniale, si pongono le problematiche relative alle
tipologie di danno non patrimoniale risarcibile.
Invero, ai fini della risarcibilità non viene ritenuta
sufficiente la lesione di un diritto costituzionalmente
garantito, bensì è necessaria anche l‟individuazione
delle
conseguenze
pregiudizievoli
causalmente
collegate all‟evento dannoso.
In proposito, la giurisprudenza ha, in numerose
occasioni, ribadito che il danno non patrimoniale
risarcibile è da ritenersi “danno conseguenza”, e non
“danno evento”, nel senso che non basta la lesione per
ottenere automaticamente un risarcimento, ma
occorre,
comunque,
una
individuazione
e
prospettazione dello stesso, eventualmente facendoo
ricorso a presunzioni, mentre, in ordine alla sua
quantificazione in termini monetari, ben può farsi
ricorso a criteri equitativi, per come consentito
dall'articolo 1226 c.c.
In primo luogo, danno non patrimoniale è quello
conseguente alla diminuzione della considerazione
della persona giuridica o dell'ente da parte della
comunità interna o internazionale oppure anche
nell'ambito di settori o categorie di essi con le quali la
163
persona giuridica o l'ente di norma interagisca.
La
diminuzione
della
considerazione
che
attraverso i suoi organi è riferibile all'ente,
concretandosi in una incidenza negativa sull'agire delle
persone fisiche che ricoprano gli organi della persona
giuridica o dell'ente collettivo, rappresenta un danno
non patrimoniale che non si identifica nella lesione
dell'immagine in se, ma ne rappresenta un effetto.
In tal senso si esprime nel 2007 la giurisprudenza
della Suprema Corte 136.
Nella specie era stata accertata in danno della
società una indebita segnalazione da parte di istituto
bancario della società alla Centrale rischi della Banca
d'Italia quale soggetto in posizione di c.d. sofferenza.
Per tale fatto venne riconosciuto il danno non
patrimoniale per lesione del diritto all'immagine.
La tutela che può derivare da danno all'immagine
può spaziare anche al di là della inibitoria o del
risarcimento (o riparazione della lesione), potendo
toccare anche il campo del rapporto di lavoro.
Precisamente la lesione dell'immagine della
società datore di lavoro è stata ritenuta dalla Suprema
Corte giusta causa di licenziamento.
Nella fattispecie, un assistente di volo dell'Alitalia
era stato trovato, al ritorno da un volo internazionale,
in possesso di modica quantità di stupefacente;
l'azienda aveva licenziato il dipendente, ma i giudici di
merito avevano ritenuto non sussistere una giusta
causa di risoluzione del rapporto.
136
V. Cassazione civile , sez. III, 04 giugno 2007, n.
12929 - Soc. Icg Ingegneria Costr. Gen. e altro c. Deutsche
Bank, in Giust. civ. Mass. 2007, 6.
164
La Suprema Corte cassò la sentenza di appello137,
ritenendo che – a parte la omessa valutazione della
compromissione dell'elemento fiduciario, idonea a
impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro, attesa
la delicatezza delle funzioni affidate al soggetto
durante il servizio a bordo, i profili di grave pericolo
per la incolumità dei passeggeri e l'assoluto divieto di
uso di droga previsto per gli operatori di bordo dal
manuale operativo del settore – non era stato
considerato il discredito creato nell'utenza dalla scarsa
sicurezza di un servizio prestato da chi usava e
portava con se droga nei voli e l'immanente lesività
dell'immagine imprenditoriale della società.
La tutela dell'immagine, quindi, può dar luogo, a
parte le azioni inibitorie e risarcitorie, anche alla
risoluzione del rapporto di lavoro, il che appare un
profilo interessante soprattutto nel caso di lesione
dell'immagine di una p. a.
Per quanto riguarda il danno morale (e quello
biologico), in linea di principio se ne deve escludere la
ipotizzabilità, non potendo la società soffrire di patemi
d'animo e di altre forme di sofferenza, che sono di per
sé riferibili soltanto alla persona fisica.
E' da dire, peraltro, che riguardo al danno da
lungaggini processuali, la giurisprudenza, in relazione
a quanto espressamente previsto dall'articolo 2 della
legge n. 89 del 24 marzo 2001 (c. d. legge Pinto), ha
dovuto confrontarsi (e, in qualche modo, conformarsi)
con gli orientamenti che erano stati espressi, sul
punto, dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
137
V. sez. lav., 27 marzo 1998, n. 3270 - Soc. Alitalia
c. Andreucci, in Giust. civ. 1998, I,2206.
165
Con specifico riguardo alla materia di cui trattasi,
pertanto, oltre che riconoscere la lesione del diritto
all'immagine degli enti collettivi, in coerenza, peraltro,
con quanto già affermato in precedenza in generale138,
qualora queste abbiano inciso su quell'insieme di
aspetti dei diritti della personalità (e quindi anche
dell'immagine), pregiudicandoli per effetto del
perdurare della situazione d'incertezza connessa alla
pendenza della causa, ha ritenuto di dover riconoscere
anche a favore della società il danno morale, con
riferimento a quello patito (personalmente) dai
rappresentanti dell'ente collettivo, o, in generale, da
coloro che agiscono nell'interesse del soggetto
collettivo, e considerando, quindi, i disagi e i
turbamenti di carattere psicologico che la lesione di
tale diritto solitamente provoca alle persone preposte
alla gestione dell'ente o ai suoi membri, non
diversamente da quanto avviene per il danno morale
da lunghezza eccessiva del processo subito dagli
individui - persone fisiche.
In conseguenza, pur dovendo escludersi la
configurabilità di un danno in re ipsa, ovvero di un
danno automaticamente e necessariamente insito
nell'accertamento della violazione, una volta accertata
e determinata l'entità della violazione relativa alla
durata ragionevole del processo, ad avviso della
giurisprudenza, il giudice deve ritenere tale danno
esistente, salvo che non risulti il concorso, nel caso
concreto, di circostanze particolari che facciano
positivamente escludere che un simile danno sia stato
138
12110.
V. Cassazione civile , sez. I, 02 luglio 2004, n.
166
subito dalla parte ricorrente139.
Sinora non risulta in giurisprudenza una
estensione, ad altre ipotesi di lesione dell'immagine,
dei principi affermati con riguardo alla lesione
dell'identità personale a causa delle lungaggini
processuali; ma non può escludersi che ciò avvenga.
Ad avviso di chi scrive, è stata eccessiva
l'accondiscendenza della Suprema Corte ai principi
affermati dal CEDU, forse al fine di evitare l'ennesima
bacchettata da parte della Corte internazionale.
In effetti appare poco plausibile e scarsamente
percepibile in capo all'ente collettivo un danno morale
(e accanto a questo un danno biologico): se il danno
c'è stato non può che essere in capo alla persona fisica
preposta o dipendente dell'ente e non alla figura
dell'ente.
Attribuire, quindi, il ristoro di un danno morale in
favore dell'ente collettivo appare una soluzione idonea
ad ingenerare una certa confusione e sovrapposizione
tra pregiudizio dell'ente e pregiudizio subito dalle
persone fisiche operanti all‟interno di un ente ed a
favorire intenti di speculazione.
Semmai è da ammettere il diverso danno (in
questo caso patrimoniale) che possa essere derivato
all'ente dalle minori prestazioni del soggetto fisico,
legato all'ente stesso da rapporto di servizio, che, in
139
V. S.U. 26 gennaio 2004 n. 1339; V. Cassazione
civile , sez. I, 05 aprile 2007, n. 8604 L. &Ra. leasing e
rappresentanze s.n.c. c. Min. Giustizia, in Giust. civ. 2007,
7-8 1589, orientamento che costituisce superamento d
quello che era stato affermato da Cassazione civile , sez. I,
30 settembre 2004, n. 19647 - Soc. Afim c. Min. giust., in
Giust. civ. 2005, 1 I, 59.
167
conseguenza della lesione all'immagine o all'identità
personale, abbia a su volta subito un danno alla
persona, quando tale danno sia causa della minore
prestazione in favore dell'ente.
Ammettere, invece, tout court l'ente collettivo al
risarcimento, in suo favore, del danno subito dal
rappresentante o dal dipendente appare, invece,
fuorviante potendo, tra l'altro, costituire fonte di abusi,
alla fine dei quali danneggiata e beffata potrebbe
restare la persona fisica, effettivamente lesa.
§ 4 DIRITTO ALL'IMMAGINE DELLA PERSONA
GIURIDICA PUBBLICA
Nel primo paragrafo del presente capitolo si è
parlato, in generale, del diritto all'immagine degli enti
diversi dalla persona fisica e si è precisato che anche
per questi organismi, che ricomprendono non soltanto
le entità munite di personalità giuridica, ma anche
organizzazioni che ne sono prive, il diritto all'immagine
(con l'identità personale) costituisce un diritto
fondamentale che trova il primo riscontro (e tutela),
per quanto riguarda il nostro Ordinamento nell'articolo
2 della Costituzione, ma anche in altri articoli, come ad
esempio nell'articolo 49, per i partiti politici, e
nell'articolo 39, per le organizzazioni sindacali, in
quanto
tali
organismi
comunque
costituiscono
manifestazioni
dell'autonomia
aggregativa
della
persona fisica in quella disposizione prevista e presa in
considerazione.
Ora, in ordine alle persone giuridiche pubbliche, è
da dire, innanzi tutto, che per definire il concetto di
“immagine” della p. a., è necessario avere come punto
168
di riferimento l'articolo 97, comma 1 della
Costituzione,
il
quale
sancisce
che
l'agire
amministrativo deve essere improntato ad imparzialità
e finalizzato a garantire il buon andamento.
Pertanto, sono proprio questi gli elementi
caratterizzanti l'immagine di un ente pubblico.
La lesione dell'immagine di un ente pubblico può
derivare dal comportamento di un terzo estraneo,
soggetto fisico o collettivo: in questo caso, valgono i
principi già affermati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza ordinaria riguardo ai rapporti tra
privati.
Ma non è dubbio che l'ipotesi più frequente è
quella del comportamento illecito di un soggetto fisico,
interno
alla
stessa
(funzionario,
dirigente,
amministratore e così via) dal quale sia derivato
discredito, minore credibilità e diminuzione del
prestigio della p.a., con una correlata diminuzione in
capo al cittadino della fiducia nel buon funzionamento
della istituzione pubblica.
In questo caso, l'elaborazione dei principi in
materia di lesione all'immagine e di danno risarcibile
ha seguito, dal punto di vista giurisprudenziale, un
percorso diverso, atteso che (per come si vedrà più
ampiamente
in
prosieguo
a
proposito
della
competenza,
in
cui si tratterà
anche
della
giurisdizione) la cognizione della vertenza spetta alla
Corte dei conti, come giudice della responsabilità
amministrativa (e civile) delle persone fisiche aventi
rapporto di servizio con la p. a..
E infatti, mancando la funzione nomofilattica della
169
Corte di cassazione140, si è giunti a una definizione dei
principi in materia soltanto dopo un lungo percorso,
attraverso una giurisprudenza in qualche modo
ondivaga delle diverse Sezioni regionali della Corte dei
conti, e soltanto a seguito del deferimento -ai sensi
dell'art. 1 comma 7 d.l. n. 453/93, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 19/94alle Sezioni
Riunite della stessa Corte di una serie di
problematiche, costituenti, appunto, questioni di
massima141, originate da alcune vicende, purtroppo
tutt'altro che rare, riguardanti diversi casi di
concussione con incasso di tangenti, a danno di
soggetti privati, posti in essere da ufficiali e sottufficiali
della Guardia di Finanza nel corso delle consuete
ispezioni fiscali.
Con riguardo al danno all'immagine degli enti
pubblici, alla sua tipologia e ai soggetti interessati, in
relazione alla giurisprudenza contabile e della Suprema
Corte di Cassazione, si possono, pertanto, riassumere,
come consolidati, i seguenti principi:
-a) Attribuzione della giurisdizione, in via
esclusiva, della Corte dei conti142, attesa l'autonomia
140
Com'è noto, le decisioni della Corte dei conti, come
quelle del giudice amministrativo, sono soggette al ricorso
per cassazione soltanto per motivi attinenti alla
giurisdizione: v. articolo 111, comma 3, della Costituzione.
141
V. sentenza 23 aprile 2003, n. 10, per esteso, in
Iuris Data – Ed. Giuffrè.
142
V. Cassazione civile , sez. un., 22 febbraio 2007, n.
4112, in Giust. civ. Mass. 2007, 2; Corte Conti , sez. II, 01
luglio 2005, n. 223, in Foro amm. CDS 2005, 7/8 2373;
Corte Conti , sez. I, 02 aprile 2007, n. 80, in Diritto &
Giustizia 2007; Corte Conti , sez. II, 20 marzo 2006, n.
170
nei rapporti tra azione civile e azione penale (v.
articolo 75 Codice di procedura penale del 1988) e
soprattutto dopo l'adozione delle leggi n. 142 del
1990, nn. 19 e 20 del 1994 e n. 639 del 1996, da
ritenersi estesa a qualunque danno, anche se
conseguente alla commissione di reati, cagionato alle
pp. aa. da dipendenti, amministratori, contabili o,
comunque, da soggetti legati da un rapporto d'impiego
o di servizio.
Sul punto è irrilevante il titolo in base al quale la
gestione del pubblico denaro è svolta, potendo
consistere anche in una concessione amministrativa
(ad esempio di esercizio di un pubblico servizio o di
costruzione di un'opera pubblica) o in un contratto
privato. La giurisdizione della Corte dei conti si
estende poi anche ai danni conseguenti ad illeciti
ascrivibili ad amministratori di enti pubblici economici
e società pubbliche, come ad esempio le società di
capitali costituite e possedute da enti pubblici,
Da
ciò
consegue
che
anche
la
tutela
dell'immagine, a carico di soggetti che rivestono una
delle figure su indicate, spetta alla cognizione della
Corte dei conti, seppur trattasi di danno, per natura,
aquiliano, ai sensi dell'articolo 2043 (o dell'articolo
2059) del Codice civile.
A tale proposito deve essere ritenuta superata la
vecchia giurisprudenza contabile, secondo la quale la
cognizione della Corte dei conti era limitata alla
125, in Foro amm. CDS 2006, 3 1042; Corte Conti , sez. II,
23 maggio 2005, n. 182, in Riv. corte conti 2005, 3 83
171
responsabilità amministrativa, di natura latu sensu
contrattuale e patrimoniale, in quanto collegata
rigorosamente alle funzioni espletate in sede di
rapporto di servizio e al danno materialmente arrecato
alle ragioni dell'Erario.
-b) Rielaborazione della nozione di responsabilità
amministrativa. Dall'intervenuta evoluzione del quadro
normativo di riferimento è derivata una configurazione
della responsabilità amministrativa nella quale trova
collocazione anche la tutela di interessi ulteriori
rispetto a quelli della semplice integrità patrimoniale,
ma allo stesso modo fondamentali in una società
moderna, tesa all'efficienza dei propri apparati
pubblici, ed espressi dai principi costituzionali dell'art.
97, 1° e 2° comma, recepiti anche nella nuova
disciplina dell'azione amministrativo (legge n. 241 del
1990), passando, quindi, ad una configurazione della
responsabilità
amministrativa
nella
quale
alla
tradizionale funzione restauratrice del patrimonio
pubblico, si accompagna la tutela di altri sostanziali
interessi della collettività che sono di generale
rilevanza.
-c) Individuazione del fondamento giuridico della
responsabilità. Il fondamento in questione viene
individuato dalla giurisprudenza della Corte dei conti
nella generale previsione dell'art. 82 del r.d. n. 2440
del 1923, dell'art. 52 del r.d. n. 1214 del 1934,
dell'art. 18 del d.p.r. n. 3 del 1957 e delle norme ad
esse successive, che sanzionano l'obbligo di rispondere
del danno cagionato alle pubbliche amministrazioni
nell'esercizio delle loro funzioni, senza indicazione del
limite
in
quello
patrimoniale.
Secondo
la
giurisprudenza del Giudice contabile, tali norme, in
172
relazione ai principi di cui agli articoli 2 e 97 della
Costituzione, attribuendo protezione e tutela ad altri
determinati interessi di carattere generale, seppur non
di carattere patrimoniale, conferiscono a questi natura
di bene giuridico, riferendolo al contempo alle
amministrazioni stesse.
-d) Accertamento incidentale di fatto costituente
reato. Per quanto riguarda l'accertamento del fatto
illecito (penale) da parte del Giudice contabile e il
rapporto, comunque, tra decisioni emesse in sede
penale e giudizio di competenza della Corte dei conti,
al fine di giudicare sul danno da lesione dell'immagine
della p.a., valgono le considerazioni fatte dalla
Suprema Corte di Cassazione con riguardo alla
possibilità di accertamento del reato –al limitato fine di
condannare al ristoro del danno- da parte del Giudice
ordinario sia in caso di patteggiamento sia in caso di
estinzione del reato stesso, sia indipendentemente da
qualsiasi pronuncia penale143.
-d) Profilo ontologico del danno all'immagine.
Ad avviso di chi scrive, il riferimento alle norme
contabili, per come rivisitate dalla stessa Corte dei
conti, e ai principi costituzionali, non richiederebbe una
particolare disamina di altri aspetti, per riconoscere la
risarcibilità (o riparabilità) del danno non patrimoniale,
derivante dalla lesione all'immagine.
Soltanto per completezza espositiva, deve darsi
atto che le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno
anche proceduto ad una rielaborazione delle categorie
143
V. Sentenze della Cassazione n. 13425 del
9.10.2000, in Giust. civ. mass. 2000,2114 – n. 2367 del
3.3.2000, in Giust. civ. mass. 2000, 518
173
di danno, avuto riguardo alla disposizione contenuta
nell'articolo 2059, che pone dei limiti alla risarcibilità
del danno non patrimoniale.
Invero, secondo la dottrina tradizionale144, tutta
una vasta area di danni, sicuramente percepibili, ma di
natura non patrimoniale, risultavano esclusi dalla
risarcibilità, ciò che aveva portato finanche a dubitare
della costituzionalità dell'articolo 2059 in questione,
con la considerazione che se il danno morale, che,
secondo l'interpretazione tradizionale esaurisce la
portata della norma in questione, è risarcibile solo se
conseguente a reato, esso, non esaurisce la gamma
dei danni non patrimoniali, che investono tutta una
serie di valori, la cui lesione dà luogo ad ulteriori forme
di pregiudizio alla sfera giuridica anche delle pp. aa.,
sicuramente avvertiti e, quindi, rilevanti, seppur non
traducibili immediatamente in una perdita di carattere
patrimoniale.
La irrisarcibilità di tutti i danni non patrimoniali
era derivata, in effetti, da una (affrettata e poco
sensibile) equiparazione tra “danno non patrimoniale”
e “danno morale”, finalmente disconosciuta dalla
Suprema Corte145, che ne aveva definito la differenza,
rilevando che il "danno non patrimoniale” comprende
ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che non
si presta per sua natura ad una diretta valutazione
monetaria di mercato, mentre il “danno morale”
consiste nella cosiddetta nella sofferenza psichica del
soggetto, di per se di natura transeunte, rispetto alla
144
E per come si illustrerà più ampiamente nell'ultima
parte di questo lavoro.
145
V. Cass. civ., 3 marzo 2000, n. 2367, citata
174
quale il ristoro è detto, con significativa espressione,
"pecunia doloris".
La Corte costituzionale, a sua volta, con più
pronunce nell'arco di dieci anni146, seppur aveva
confermato la legittimità costituzionale dell'art. 2059
(e dell'articolo 2043, quando ne veniva in discussione
la legittimità costituzionale) del Codice civile, in
relazione ai trattamenti differenziati, riguardo alle
diverse conseguenze tra fatto costituente reato e fatto
dannoso integrante esclusivamente illecito civile,
aveva puntualizzato che la discrezionalità del
legislatore ordinario nel fissare la tutela era recessiva
rispetto a "situazioni soggettive costituzionalmente
garantite". Di conseguenza la Corte aveva chiarito che
solo la possibilità di tutelare aliunde le altre fattispecie
faceva ritenere non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 2059 (o dell'articolo 2043) del
Codice civile, - in riferimento agli artt. 2, 3, comma
primo, 24, comma primo, e 32, comma primo, Cost. in quanto, con una interpretazione delle due norme
“costituzionalmente orientata”, non risultava limitata
la risarcibilità del danno non patrimoniale, derivante
dalla lesione di un diritto costituzionale tutelato, ai casi
costituenti reato.
E seppur, nella specie, il Giudice delle leggi si era
riferito alla risarcibilità delle posizioni collegate al
principio costituzionale del diritto alla salute, di cui
all'art. 32 Costituzione, l'argomentazione si prestava –
ha osservato la Corte dei conti nella citata sentenza a ricomprendere, nella gamma dei pregiudizi risarcibili,
146
sentenze n. 184 del 1986 e n. 37 del 1994 ed
ordinanza n. 293 del 1996.
175
anche quelli non patrimoniali, che ostacolano attività
realizzatrici della persona umana, derivanti dalla
lesione di altri valori costituzionali, appunto i diritti
della personalità.
A tal fine, la Corte dei Conti, accanto al danno
patrimoniale e a quello non patrimoniale (come danno
morale ex art. 2059 c.c.), ha compiuto una
rielaborazione della categoria del danno biologico
(risarcibile anche se non collegato a reato), come
tertium genus di danno, da porre accanto alle
categorie del danno patrimoniale e di quello non
patrimoniale, definendo tale tertium genus quale
danno esistenziale, in cui quello biologico costituisce
solo una delle varie ipotesi.
A
questo
proposito
va
rilevato
che
la
147
giurisprudenza , a sua volta, seppur traendo spunto
da una fattispecie in materia di usura psico-fisica
derivante da lavoro, si è fatta carico di rispondere alla
preoccupazione di parte della dottrina, secondo cui
ammettere, accanto al danno morale, la autonoma
risarcibilità anche di quello esistenziale, determinasse
necessariamente
una
(quanto
meno
parziale)
duplicazione risarcitoria, liquidando due volte la
pecunia doloris per le medesime privazioni.
E, al fine, di evidenziare la differenza sostanziale
tra danno morale e danno esistenziale aveva osservato
che con tale nozione (di danno esistenziale) occorreva
riferirsi alla lesione di posizioni costituzionalmente
garantite, anche diverse dall'art. 32, concernente il
tema di tutela di altri valori, e tra questi, quello del
147
V. Cassazione Sezione lavoro, 03 luglio 2001, n.
9009, in Iuris Data – Ed Giuffrè.
176
buon andamento dell'amministrazione pubblica (e così
si arriva a un concetto complesso di tutela
dell'immagine della p.a.), posizioni che, risultando
ugualmente
dotate
di
adeguata
copertura
costituzionale, devono essere anch'esse risarcite (o
riparate, che dir si voglia), ove lese.
La Corte dei conti ha, quindi, enucleato, in
generale, tre categorie: danno patrimoniale - danno
morale – danno esistenziale, laddove la giurisprudenza
ordinaria semmai individuava nell'ambito della
categoria
del
danno
non
patrimoniale
tre
sottocategorie: il danno morale, il danno biologico e,
appunto, il danno esistenziale, che si distingue da
quello biologico, poiché non attiene all'integrità psicofisica, e da quello morale, in quanto non attiene alla
sfera interiore dell'individuo, mentre riguarda la sfera
del fare areddituale del soggetto (cioè la sfera dello
svago e della vita di relazione con gli altri, insomma
delle attività realizzatrici della persona umana, della
serenità familiare e così via), la cui compromissione,
effettivamente e oggettivamente percepibile, va a
costituire pregiudizio risarcibile, in quanto trattasi della
sfera di attività riferibili ai valori fondamentali della
persona, solennemente garantiti dall'articolo 2 della
Costituzione.
È da dire, peraltro, che proprio di recente la
Suprema Corte di cassazione a Sezioni Unite148 ,
affermando solennemente che la risarcibilità del danno
non patrimoniale è ammessa, oltre che nelle ipotesi
148
Sentenza 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it.
2009, I, 121 e segg.: Si tornerà sulla decisione nell'ultima
parte di questo lavoro.
177
previste da una norma di legge, anche nei casi in cui
il fatto illecito leda diritti inviolabili della persona,
costituzionalmente protetti, ha negato dignità di
categoria (il tertium genus individuato dalla Corte dei
conti nel danno esistenziale), osservando che dalle
norme codicistiche (articoli 2043 e 2059) si desumono
soltanto le due categorie, rispettivamente, del “danno
patrimoniale” e del “danno non patrimoniale”, la
seconda
delle
quali
espressamente
indicata
nell'articolo 2059, il quale testualmente stabilisce che
la risarcibilità del danno non patrimoniale -con tale
termine comprendendo tutti i tipi di danno non aventi
immediata valenza economica- è ammessa “solo nei
casi determinati dalla legge”, ricomprendendo nella
legge oltre che l'articolo 185 c.p., anche le singole
leggi che prevedano espressamente la risarcibilità di
tale tipo di danno (così le leggi ordinarie n. 117/1988
e la n. 89/2001, nonché le disposizioni costituzionali,
in primis l'articolo 2, che riconoscono determinati
valori fondamentali, quali i diritti della personalità e ne
prevedano la tutela in caso di lesione.
Per la risarcibilità di tale danno occorrono,
comunque, anche i presupposti indicati nell'articolo
2043 (dolo o colpa e ingiustizia del danno stesso, in
quanto iniuria datum)Si è detto che manca per i giudizi contabili la
funzione nomofilattica della Corte di cassazione, per
cui non è escluso che si verifichi, in materia di danno
non patrimoniale una discrasia tra giurisprudenza
contabile149 e giurisprudenza ordinaria.
149
E il discorso vale anche per la giustizia
amministrativa, la quale si può ben trovare, nell'ambito
178
Per tale ragione, atteso che il danno non
patrimoniale delle persone giuridiche pubbliche,
provocato da individui con rapporto di servizio con
l'ente, è individuato e definito in via esclusiva dal
Giudice contabile, si ritiene utile, in questa sede,
accennare alla ricostruzione che ne hanno fatto le
Sezioni Riunite con la citata sentenza del 2003.
La Corte è partita dalla premessa secondo cui il
danno esistenziale si differenzia dalle categorie
tradizionali di danno in quanto, rispetto al danno
biologico, sussiste indipendentemente da una lesione
fisica o psichica, rispetto al morale, poiché non
consiste in una sofferenza meramente soggettiva (la
quale può rappresentare una ulteriore conseguenza,
ma non si identifica con esso), bensì consiste in un
deterioramento oggettivo e non soltanto interiore
dell'attività di relazione concreta, giungendo alla
conclusione che esso è da configurare quale
pregiudizio areddituale, che prescinde dal reddito del
danneggiato.
Per tale ragione, tale danno è “non patrimoniale”
e costituisce un tertium genus, tendenzialmente
omnicomprensivo di tutti i pregiudizi derivanti dalla
lesione di valori costituzionalmente potetti e
consistenti nella impossibilità (o nella maggiore
difficoltà) di svolgere attività realizzatrici della
persona, seppur non aventi diretta valenza economica.
All'interno di questa terza categoria, il Giudice
contabile individua le sottocategorie del danno
della sua giurisdizione, anche di legittimità, a decidere
questioni di danno anche non patrimoniale, in base alle
riforme introdotte con la legge n. 205 del 2000.
179
biologico di natura psichicofisica (come delineato dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n. 372/94), di
norma non riscontrabile con riguardo ad enti diversi
dalla persona fisica150, ed altre ipotesi risarcitorie
diverse dalla tutela del diritto alla salute di cui si detto
prima,
ma
comunque
derivanti
da
posizioni
costituzionalmente garantite.
In altre parole, il danno all'immagine della
persona giuridica pubblica viene fatto rientrare -dalla
Corte dei conti- a pieno titolo, nel contesto fin qui
delineato del danno esistenziale, come tutela della
propria identità personale, del proprio buon nome,
della propria reputazione e credibilità in sé
considerate, valori che vengono individuati, per come
si è detto, nella generale previsione dell'art. 2 della
Costituzione, relativa alla tutela delle formazioni
sociali, e nelle disposizioni contenute nell'art. 97,
primo e secondo comma, secondo i parametri di
trasparenza, economicità e produttività, ai quali l'ente
pubblico deve conformare il proprio operato, che
hanno trovato una ulteriore esplicazione nella legge n.
241 del 1990.
La Corte fa riferimento anche ai valori indicati nel
secondo comma dell'articolo 97 Cost., laddove si fa
riferimento alle sfere di competenza, attribuzioni e
responsabilità proprie dei funzionari.
150
Sul punto, peraltro, si richiama quanto rilevato
all'inizio di questo capitolo, in ordine al riconoscimento di
tale tipologia di danno, anche agli enti collettivi, da parte
della Suprema Corte di Cassazione, con riguardo al danno
all'identità
personale
conseguente
alle
lungaggini
processuali, per adeguare la giurisprudenza interna a talune
pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo.
180
E' considerato evidente, nell'ambito del rispetto
dell'immagine ed identità personale, l'interesse
costituzionalmente garantito a che le competenze
individuate vengano rispettate, le funzioni assegnate
vengano esercitate, le responsabilità proprie dei
funzionari vengano attivate e che l'ente goda del
prestigio che le compete.
Ogni azione del pubblico, dipendente di un ente
pubblico o amministratore (gestore) che leda tali
interessi si traduce in un'alterazione dell'identità della
pubblica amministrazione e anche nella manifestazione
di una sua immagine negativa (si potrebbe dire,
pubblicità negativa), mettendo in evidenza una
struttura pubblica organizzata confusamente, gestita
in
maniera
inefficiente,
non
responsabile
né
responsabilizzata, a parte i casi più gravi di peculato,
corruzione e concussione, che evidenziano un grave
abuso ad uso personale nell'esercizio di un pubblico
servizio o di una pubblica funzione.
Il diritto di realizzarsi e di operare in modo
efficace, efficiente, imparziale e trasparente nei
confronti dei propri dipendenti e dei propri
amministrati è così un diritto costituzionalmente
garantito dall'art. 97 a tutte le pp. aa. ed enti
equiparati, che, seppur in forma privatistica gestiscono
pubbliche risorse e pubblici servizi.
In tali ipotesi il danno non potrà che consistere
nella mancata realizzazione della specifica finalità
perseguita dalla norma di tutela e quindi coincidere
con la violazione della stessa.
La violazione del diritto all'immagine, intesa come
diritto al conseguimento, al mantenimento ed al
riconoscimento della propria identità come persona
181
giuridica
pubblica,
seppur
non
direttamente
patrimoniale,
è,
comunque,
economicamente
valutabile (in genere in termini equitativi, in quanto
riparativi più che ricostitutivi di un patrimonio), per
non dire che spesso la violazione all'immagine si
risolve in un onere finanziario che si ripercuote
sull'intera collettività, dando luogo ad una carente
utilizzazione delle risorse pubbliche ed a costi
aggiuntivi per correggere gli effetti distorsivi che
sull'organizzazione della pubblica amministrazione si
riflettono in termini di minor credibilità e prestigio e di
diminuzione di potenzialità operativa.
A questo proposito, è da condividere una
pronuncia del giudice contabile151, che ha ritenuto
priva di pregio l'allegazione di un sindaco, il quale
aveva contestato la sussistenza di un danno
all'immagine da un suo illecito comportamento,
evidenziando a riprova che, in sede locale, non vi era
stata alcuna percezione negativa dei fatti in questione,
tant'è che era stato nuovamente eletto nella carica di
sindaco, malgrado i fatti che gli erano stati addebitati.
La Corte, al contrario, ha osservato che
l'avvenuta rielezione del responsabile nella carica di
sindaco non implicava nessun giudizio, positivo o
negativo, sull'efficienza ed imparzialità della pubblica
amministrazione, ma è determinato dalle valutazioni
politiche dei cittadini sui candidati e sul loro
151
V. Corte Conti sez. II 20 marzo 2007 n. 64
(appello), in Juris Data ed. Giuffrè: il sindaco poi rieletto
aveva offerto a parenti ed amici numerose cene, caricandole
all'ente locale quali spese di rappresentanza.
182
programma e quindi non escludeva la sussistenza del
danno all'immagine.
Concludendo,
quindi,
si
può
dire
ormai
definitivamente accolto il riconoscimento della lesione
del diritto all'immagine con conseguente tutela
inibitoria e risarcitoria.
Appare poi più pertinente, con riguardo al danno
non patrimoniale parlare più che di tutela “risarcitoria”
(che fa pensare a una funzione di ripristino del
patrimonio) a una tutela “riparatoria”, che meglio si
riferisce al pregiudizio, che seppur non reca un danno
patrimoniale da recuperare, è sicuramente avvertito
nella coscienza sociale, quanto meno in termini di
disdoro per la cosa pubblica.
Ad esempio, si pensi al disdoro che è derivato per
lo Stato italiano, soprattutto nella considerazione
internazionale, dalle lungaggini processuali o da
inammissibili ritardi nel deposito delle sentenze,
soprattutto penali o da comportamenti che, comunque
denotino sciatteria nell'amministrazione della Giustizia:
quando ciò sia imputabile alle persone dell'apparato
amministrativo o giudiziario, il riferimento a una tutela
risarcitoria, come recuperatoria di un patrimonio, è
chiaramente riduttiva, laddove appare più esatto
parlare di tutela riparatoria, il che non è solo una
diversità terminologica, ma è idonea a introdurre e
valorizzare i termini di una equitativa valutazione del
pregiudizio in termini monetari.
Ad avviso di chi scrive è senz'altro ammirevole lo
sforzo compiuto dalla magistratura contabile e da
quella ordinaria, sulla base anche delle pronunce della
Consulta per individuare la fonte giuridica della tutela
risarcitoria del danno non patrimoniale, conseguente
183
alla lesione di determinati valori costituzionalmente
protetti; meno condivisibile e non eccessivamente
pertinente,
avuto
riguardo
agli
scopi
della
giurisdizione, appare, invece, l'affanno con cui le
stesse magistrature hanno inteso catalogare soprattutto in passato- in categorie e sottocategorie i
vari tipi di danno.
Trattasi di attività che, a sommesso avviso di chi
scrive, è propria della dottrina, alla quale spetta la
costruzione degli istituti giuridici.
184
CAPITOLO 8
I MEZZI DI TUTELA
§ 1 Generalità; § 2 Le varie forme di tutela; § 3
Inibitoria petitum e inibitoria strumento processuale;
§ 4 La tutela urgente; § 5 Presupposti processuali per
il provvedimento d'urgenza; § 6 Competenza per
materia e per territorio; § 7 Competenza per territorio
in materia di danno all'immagine da pubblicazione a
mezzo stampa; § 8 Competenza per territorio in
materia di danno all'immagine da pubblicazione con
mezzi radiotelevisivi o per via telematica; § 9
Procedimento cautelare nella lesione dell'immagine a
mezzo stampa; .
§ 1 GENERALITÀ
Gli strumenti di tutela ipotizzabili a fronte di
un‟ingiustificata lesione dei diritti della personalità
esaminati nei capitoli precedenti –in particolare
immagine ed identità personale- sono di varia natura e
possono essere ripartiti in due grandi categorie.
Da un lato, vi sono quelle misure volte
all‟eliminazione diretta del pregiudizio subito, nonché
ad evitare l‟ulteriore protrarsi delle conseguenze
dannose derivanti dal fatto illecito152,
dall'altro il
ristoro per equivalente.
152
Va chiarito che il termine “inibitoria” qui è assunto in
senso sostanziale, nel suo significato etimologico (divieto
di fare e cioè di porre in essere una determinata
attività); in senso processuale – del quale si dirà in
prosieguo – indica la sospensione dell'efficacia esecutiva
185
Resta, al riguardo, da chiedersi se siano possibili
altre modalità di rimedi, non previsti espressamente
dal nostro Ordinamento, ma ben sperimentati in
altri153.
Per come scrive l'autore nella riportata nota, la
discussione è aperta.
Ad avviso di chi scrive, la risposta, alla luce della
legislazione vigente, è da ritenersi negativa, tenuto
conto che che non possono consentirsi misure di
natura sanzionatoria non previste da specifiche
disposizioni di legge, ma, non è da escluderne
l'opportunità, de iure condendo, nella considerazione
che nel frequente scontro tra persone deboli e poteri
forti, soltanto una sanzione in crescendo potrebbe
indurre il danneggiante -che talvolta si fa arrogante
della sentenza di primo o di secondo grado da parte del
giudice di appello
153
V. Nota di Massimo Dogliotti a sentenza del
Tribunale Verona, 26 Febbraio 1996 - Immagine ed
identità personale: soggetti forti e soggetti deboli, in Dir.
famiglia 1997, 4, 1436, il quale scrive:“la giurisprudenza
inglese conosce, accanto ai danni «compensativi», quelli
«punitivi» od «esemplari». Ancora, i giudici francesi
frequentemente ricorrono al sistema delle c.d.
astreintes, quando il fatto lesivo sia ancora in atto: si
ordina la cessazione del fatto e si commina una pena
pecuniaria di entità progressiva per ogni giorno di
ulteriore protrazione del fatto lesivo, collegando così
l'opportunità di una restaurazione morale per il titolare
del diritto leso, del tutto svincolata da una logica
risarcitoria in termini strettamente economici e
monetari, ad una precipua funzione di «punizione» ed
«ammonimento»
per
l'autore
della
lesione,
indispensabile per un'efficace e compiuta difesa da ogni
aggressione alla personalità dell'individuo.”
186
per la sua prevalenza economica- a cessare da
comportamenti lesivi di un diritto fondamentale, quale
quello all'immagine e all'identità personale, che seppur
colpiscano nel fondo la persona umana, spesso danno
luogo a ristori che non sono punitivi, perché irrisori,
rispetto alla potenza economica del danneggiante.
Esclusi
rimedi
non
previsti
dal
nostro
ordinamento, accanto al rimedio inibitorio e del
risarcimento in forma specifica, rimane quello del
risarcimento per equivalente, vale a dire la
corresponsione di una somma di denaro pari al danno
–patrimoniale e non patrimoniale- sofferto dal titolare
del diritto.
§2 LE VARIE FORME DI TUTELA
In linea generale sono “inibitorie” quelle azioni (in
via ordinaria o in via d'urgenza) dirette a conseguire
una sentenza con cui viene ordinata la cessazione
immediata di una determinata attività, nonché
l‟astensione dalla stessa per il futuro, al fine di evitare
il ripetersi nel tempo di un fatto antigiuridico, idoneo a
ledere o porre in pericolo un altrui diritto154.
Poiché questo rimedio ha per presupposto il
compimento
di
un‟attività
oggettivamente
pregiudizievole per il diritto all'immagine (o all'identità
personale), l‟azione diretta alla cessazione dell‟abuso
può essere utilmente esperita a prescindere dalla
sussistenza dell‟elemento soggettivo del dolo o della
colpa in capo all‟agente, a differenza di quella diretta
154
F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni
Scientifiche Italiane, XI edizione.
187
al risarcimento del danno, che, al contrario, richiede,
per come si è detto nei precedenti capitoli, anche i
presupposti soggettivi indicati nell'articolo 2043 c.c.
Il provvedimento inibitorio, pertanto, svolge una
funzione (anche) essenzialmente preventiva155, in
quanto volto ad evitare che le conseguenze dannose
già realizzatesi continuino a prodursi anche per il
futuro, differenziandosi, in tal modo da quegli altri
strumenti finalizzati, viceversa, soltanto a rimuovere le
conseguenze della violazione, quindi che intervengono
ex post, vale a dire soltanto dopo la piena
realizzazione del pregiudizio.
La possibilità di emettere provvedimenti aventi
questo contenuto, secondo una tesi rigorosa, sarebbe
limitata ai casi previsti espressamente dalla legge, e,
al più, a materie analoghe, in quanto, non essendo
ravvisabile un rimedio giudiziario diretto ad ordinare
un generale divieto di porre in pericolo per il futuro
una posizione soggettiva altrui156, questo rimedio
avrebbe carattere eccezionale157.
155
Tribunale Napoli, 20 ottobre 1995 - Soc. Brevetti e
Co. c. Soc. Swinger International , in Dir. industriale 1996,
473.
156
Val la pena di ricordare che le denunzie di nuova
opera e di danno temuto, di cui agli articoli 1171 e 1172
c.c., costituiscono azioni a tutela del possesso di cose: V.
Cassazione civile , sez. II, 27 dicembre 2004, n. 24026,
Giust. civ. Mass. 2005, 1.
157
R. Scognamiglio, Novissimo digesto italiano, VIII,
169.
188
Tuttavia, per come ha avuto occasione di rilevare
la
giurisprudenza,
che
ha
affrontato
queste
problematiche, in particolare con riferimento al danno
alla salute derivante da immissioni elettromagnetiche,
la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di
un diritto, in linea generale, si estrinseca prima nel
“vietare agli altri consociati di tenere comportamenti
che contraddicano il diritto, e poi nel sanzionare gli
effetti lesivi della condotta illecita obbligando il
responsabile al risarcimento del danno”158.
Di conseguenza, secondo questa impostazione,
l‟azione inibitoria non deve essere considerata un
rimedio eccezionale, bensì può ritenersi parte
integrante di un complessivo sistema di tutela dei
diritti, sempre che –ovviamente- la violazione non
abbia carattere istantaneo ma permanente, accanto
agli
altri
strumenti
messi
a
disposizione
dall‟ordinamento giuridico a favore dei soggetti che
vedono lesa o messa in pericolo una loro posizione
rilevante.
Per quanto riguarda i diritti di cui si tratta,
peraltro, non sorgono dubbi in ordine alla possibilità di
esperire l‟azione inibitoria, in quanto è espressamente
prevista, non solo, per come è stato rilevato nei
capitoli precedenti, dall‟art. 7 c.c. in materia di diritto
al nome (azione di reclamo e di usurpazione), ma
anche dall‟art. 10 c.c. a tutela del diritto all‟immagine.
158
Cassazione civile , sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893,
Genovese c. Enel Spa , in D&G - Diritto e giust., 2000, 37
48.
189
Dal combinato disposto degli artt. 10 c.c. e 97 l.
n. 633/1941, infatti, discende che qualora l‟immagine
altrui sia stata divulgata illegittimamente, vale a dire
senza il consenso dell‟interessato né la sussistenza
delle altre circostanze in presenza delle quali la
pubblicazione può ugualmente intervenire (notorietà,
ufficio pubblico ricoperto, necessità di giustizia o di
polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, fatti,
avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi
in pubblico), ovvero con pregiudizio all‟onore, alla
reputazione o al decoro del soggetto, l‟autorità
giudiziaria, su istanza della persona stessa, dei
genitori, del coniuge o dei figli, può ordinare la
cessazione dell‟abuso, salvo il risarcimento del danno.
Sebbene il rimedio inibitorio sia espressamente
previsto dalla legge a tutela del nome, dell‟immagine
e, secondo alcuni autori, dell‟onore, tuttavia esso è
ritenuto senza dubbio esperibile anche a garanzia del
diritto all‟identità personale, vale a dire a fronte di
indebite alterazioni o travisamenti del complessivo
modo d‟essere di un soggetto, con tutte quelle
molteplici caratteristiche che lo contraddistinguono e
contribuiscono a differenziarlo dagli altri individui159.
In linea generale deve, pertanto, ritenersi
ammissibile un‟applicazione analogica di questo
strumento ai vari aspetti di tutela della personalità,
anche ove non sia espressamente previsto.
159
A. De Cupis, I diritti della personalità, II ed. riveduta
e aggiornata, in Trattato Cicu-Messineo continuato da L.
Mengoni, vol. IV, Milano, 1982, 283 ss., cit.
190
La varietà di situazioni ipotizzabili in questo
settore è notevole: la sentenza inibitoria potrà
determinare il ritiro dal commercio di immagini (in
genere di personaggi
famosi) illegittimamente
divulgate, spesso a scopo di lucro, oppure –in
particolare- la preclusione dell‟ulteriore diffusione di
messaggi pubblicitari realizzati attraverso il richiamo di
persone note160 senza il necessario consenso, o il
divieto di commercializzazione di prodotti intervenuta
attraverso l‟uso abusivo del ritratto altrui.
In applicazione di questi principi è stata
considerata illegittima, e di conseguente inibita, ad
esempio, la riproduzione dell'immagine e della firma di
un noto artista, senza il suo consenso, nelle pagine di
un calendario, in quanto fonte di un pregiudizio alla
suo personalità, tenuto anche conto della notorietà del
soggetto161.
Allo stesso modo, nelle ipotesi -esaminate nei
capitoli precedenti- di lesione della riservatezza e/o
dell‟identità personale attraverso la c.d. “creazione
artistica” (opera filmica destinata al cinema o alla
televisione, videocassetta realizzata a scopo di cronaca
giudiziaria ecc.), ritenuta idonea a determinare un
illegittimo travisamento della complessiva personalità
dell‟interessato,
è
stata
considerata
misura
appropriata l‟inibizione della messa in onda dello
sceneggiato o del film, oppure, più limitatamente, di
160
Trib. Roma, 22 dicembre 1994, De Curtis c. Centro
Acustico S.r.l., in Foro it., 1995, I, 2285.
161
Pretura Roma, 18 febbraio 1986, Baglioni c. Società
Eretel, in Dir. autore, 1986, 215.
191
talune parti162, ovvero il divieto
distribuzione del prodotto realizzato.
di
ulteriore
§ 3 INIBITORIA PETITUM E INIBITORIA
STRUMENTO PROCESSUALE
Si è detto che è chiara la differenza concettuale
tra “inibitoria”, come oggetto del petitum della
domanda giudiziale, e “inibitoria”, come termine
comunemente utilizzato per indicare i provvedimenti
d'urgenza (cioè quelli ex art. 700 c.p.c.) 163:
L'inibitoria come petitum costituisce di solito il
contenuto tipico della domanda (petitum) per impedire
il formarsi del pregiudizio o il suo mantenimento e/o
protrarsi nel tempo e consiste nel divieto di utilizzare
quell'aspetto dell'identità personale (immagine – nome
– pseudonimo – anche la sagoma della persona,
162
Pretura Firenze, 03 marzo 1986, Nencini e altro c.
Titanus distribuzione, in Resp. civ. e prev. 1987, 118
“Violano il diritto all'immagine nonché il diritto alla
riservatezza e all'onore, le scene contenute in una
rappresentazione filmica (nella specie quella relativa alla
ben nota vicenda de "Il mostro di Firenze") in quanto,
attraverso dati precisi e specifici, consentono di identificare
chiaramente le persone alle quali si riferiscono e in quanto
riproducono situazioni strettamente private per loro natura
destinate a rimanere riservate: va pertanto accolta la
richiesta soppressione delle sequenze relative”.
163
In diritto processuale civile, col termine “inibitoria” si
intende anche il procedimento diretto alla sospensione
dell'esecuzione provvisoria da parte del giudice di appello
della sentenza di condanna di primo grado (art. 283 c.p.c.)
o di quella di secondo grado riguardo alle decisioni gravate
di ricorso per cassazione (art. 373 c.p.c.) .
192
oppure anche un oggetto, ad esempio una pipa o un
capo di abbigliamento)
oppure di procedere e/o
proseguire nella divulgazione di una notizia o di un
manifesto che costituisca lesione del diritto della
personalità altrui.
Anche lo sfruttamento a scopi pubblicitari
dell'immagine di un sosia della persona nota,
perpetrato senza il consenso di quest'ultima, può dar
luogo, ad esempio, a inibitoria, qualora il messaggio
pubblicitario tragga in errore i destinatari circa la vera
identità della persona ritrattata, oppure possa
solamente indurre a supporre la non estraneità della
stessa persona nota all'operazione pubblicitaria164.
In tutti questi casi l'inibitoria si consegue
attraverso la condanna a un facere (o anche un non
facere), diretto a far venir meno il pregiudizio.
In relazione alla tipologia del pregiudizio, che
provoca di solito la lesione dell'immagine, non è
dubbio, quindi, che il primo e principale rimedio è
costituito dalla “inibitoria”, cioè dal divieto di fare o
dall'obbligo di porre in essere un determinato
comportamento, che impedisca che si realizzi o che si
aggravi la lesione paventata.
Più volte, peraltro, per come si è già accennato,
un più efficace rimedio si consegue attraverso lo
strumento processuale del provvedimento d'urgenza,
che anticipa gli effetti della sentenza definitiva, ma per
questo occorre da un lato la sussistenza di determinati
presupposti e dall'altro che non vi siano specifici limiti
164
V. Pretura Roma, 06 luglio 1987 - Ceciarelli c.
Società Rizzoli editore e altro, in Dir. autore 1989, 468.
193
legali al suo utilizzo ( e di ciò si parlerà nel prossimo
paragrafo).
Uno specifico limite legale, ad esempio, è
contenuto nell'articolo 21 della Costituzione, in materia
di stampa: di tale limite si dirà oltre.
§ 4 LA TUTELA URGENTE
Si è detto che per tutela “inibitoria” , a differenza
di quella risarcitoria, si intende quella finalizzata a far
cessare comportamenti pregiudizievoli per il diritto
all'immagine o all'identità personale, oppure ad
apprestare i mezzi per eliminare il pregiudizio già
verificatosi (ad esempio, eliminazione di un cartellone
pubblicitario già affisso o di un manifesto che
costituisca lesione dell'identità personale o ritiro di una
pubblicazione) oppure ad impedirne la prosecuzione in
futuro, seppur in atto siano cessati (quindi, anche
ordine di non facere).
La tutela in questione si può conseguire mediante
un ordinario giudizio di cognizione, a conclusione del
quale il Giudice dispone l'inibitoria, cioè l'ordine di
facere o di non facere.
Ora, se la tutela, attuata mediante un giudizio di
cognizione ordinario, è talora idonea a soddisfare le
numerose esigenze di tutela che possono sorgere nel
settore dei diritti della personalità, tuttavia non
mancano ipotesi nelle quali l‟adozione di un
provvedimento di questo genere, soltanto a seguito di
un processo a cognizione piena, non consente di
salvaguardare pienamente la posizione soggettiva.
In particolare, è possibile che nell'attesa del
tempo di solito necessario per l‟espletamento
194
dell‟ordinario
processo cognizione, il diritto della
personalità venga a risultare
irreversibilmente
pregiudicato: in tal caso chiaramente lo strumento
ordinario non appare in grado di rimuovere la lesione
ormai realizzata.
Pertanto, ad evitare che un diritto sia
compromesso in modo irrimediabile proprio a causa
della durata del processo, l‟ordinamento predispone
delle forme urgenti di tutela da adottare in tempi
brevi, quindi nell‟immediatezza della lesione, a seguito
di una cognizione sommaria: i c.d. procedimenti
cautelari.
Il tratto che tipicamente caratterizza l‟azione
cautelare è la funzione, non autonoma, bensì
strumentale rispetto alla fruttuosità della cognizione o
dell‟esecuzione, funzione che talvolta è realizzata
attraverso un provvedimento interinale avente un
contenuto essenzialmente anticipatorio rispetto a
quello definitivo.
Presupposti per l‟adozione della misura cautelare
sono la sussistenza di un pericolo al quale la normale
durata del processo può esporre il diritto di cui si
chiede la tutela (c.d. periculum in mora), e la
verosimiglianza circa l‟esistenza dello stesso (c.d.
fumus boni iuris).
Al fine di assicurare il pieno soddisfacimento delle
molteplici e varie esigenze cautelari che, nella
fattispecie concreta, possono profilarsi, il legislatore ha
previsto, accanto a procedimenti tipici, una norma di
chiusura, con funzione sussidiaria, che costituisce
fondamento di misure atipiche, aventi la medesima
funzione strumentale: l‟art. 700 c.p.c..
195
Pertanto, in base a quanto stabilito da questa
disposizione, quando non risultino pienamente efficaci
applicabili altre misure165, chi ha fondato motivo di
temere che durante il tempo necessario per fare valere
il proprio diritto in via ordinaria, questo sia minacciato
da un pregiudizio imminente ed irreparabile, può
chiedere al giudice i provvedimenti atipici che, secondo
le circostanze, appaiano idonei ad assicurare in via
provvisoria gli effetti della decisione sul merito.
L‟art. 700 c.p.c., quindi, costituisce il fondamento
normativo di tutte quelle misure cautelari, non
espressamente previste dalla legge, quindi aventi un
contenuto non predeterminato, tuttavia necessarie, nel
caso concreto, per evitare che durante il tempo del
processo si realizzi l‟irreversibile pregiudizio di un
diritto166.
Sebbene la norma sia nata in funzione sussidiaria
e residuale rispetto alle misure cautelari tipiche, nel
corso del tempo ha assunto un rilievo notevole; e,
proprio nel campo dei diritti della personalità, ha
trovato numerose occasioni di applicazione perché, nel
caso di lesione di queste posizioni soggettive, una
tutela veramente effettiva ed efficace si può realizzare
solo se effettuata nell‟immediatezza del fatto lesivo,
previo accertamento sommario in ordine alla
ricorrenza dei presupposti che non condiziona la
decisione finale di merito.
165
Frignani, L’injunction nella common law e l’inibitoria
nel diritto italiano, Milano, 1974.
166
C. Mandrioli, Diritto processuale civile, vol. III,
Giappichelli editore.
196
Il rimedio inibitorio, invero, ove intervenenga
solo dopo la completa lesione del diritto, proprio per
la particolare natura delle posizioni soggettive di cui si
tratta, non è efficace a determinare una tutela
adeguata; né, d'altra parte, quello risarcitorio è
sempre idoneo a far conseguire una tutela del diritto
pienamente soddisfacente.
L‟efficacia del provvedimento ex art. 700 c.p.c.
emerge
tanto
più
se
si
considera
l‟ampia
discrezionalità attribuita da questa norma al giudice
per la determinazione del suo contenuto, che,
pertanto, risulta atipico.
Di conseguenza potrà avere –a seconda delle
esigenze sussistenti nella concreta fattispecie- non
soltanto carattere inibitorio, con ordine di immediata
cessazione del fatto lesivo (ad es. divieto di ulteriore
distribuzione di un‟opera artistica),
ma anche di
imposizione di un obbligo di fare, come la
pubblicazione di rettifiche, o di pubblicazione di notizie
dirette a ristabilire la verità –come, ad esempio, di un
“comunicato di chiarimento” relativo al contesto di
provenienza dell‟immagine- nonché di cancellazione di
quelle parti di film o sceneggiato idonee a travisare la
personalità del soggetto interessato.
§ 5 PRESUPPOSTI PROCESSUALI
PROVVEDIMENTO D'URGENZA
PER
IL
Le condizioni per il ricorso ai provvedimenti
d'urgenza, sono prescritte nell'articolo 700 c.p.c., il
quale stabilisce testualmente quanto segue: “ Fuori dei
casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo (il
terzo del libro quarto del Codice di rito), chi ha fondato
197
motivo di temere che durante il tempo occorrente per
far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia
minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile,
può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti
d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più
idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della
decisione sul merito.”
I presupposti per il ricorso all'art. 700 c.p.c.,
considerato come strumento processuale, sono quindi:
-a) che il rimedio richiesto non sia ricompreso nelle
precedenti sezioni dello stesso capo; -b) che sussista a
un esame sommario una parvenza di fondatezza in
diritto (c. d. fumus boni iuris); -c) che si sia in
presenza di un pregiudizio imminente e irreparabile (c.
d. periculum in mora).
Il contenuto poi è il più vario (facere, non facere,
pati e così via): l'indeterminatezza della norma
consente, quindi, al giudice tutto un ventaglio di
interventi, i cui effetti, comunque, non possono
superare il petitum di un normale giudizio di
cognizione, posto che sono finalizzati ad anticipare gli
effetti della eventuale futura sentenza favorevole.
Il riportato articolo 700 costituisce la sezione V
del capo III del libro IV del Codice di rito e le
precedenti sezioni II, III e IV (la prima tratta dell'iter
processuale, in generale, di tutti i procedimenti
cautelari)
si
occupano,
rispettivamente
del
“sequestro”,
giudiziario
e
conservativo,
del
procedimento di denuncia di nuova opera e di danno
temuto e dei procedimenti di istruzione preventiva.
Ora, considerato che il sequestro giudiziario
concerne la proprietà o il possesso di un bene oppure
di carte e atti in genere, di registri e quant'altro, come
198
mezzi di prova documentale, e quello conservativo la
garanzia del proprio credito, che la denuncia di nuova
opera o di danno temuto, i pericoli che possano
derivare a un proprio immobile, e che i procedimenti di
istruzione preventiva riguardano la formazione delle
prove in funzione del processo, consegue che è
frequente l'applicazione dell'articolo 700 c.p.c. in
materia di tutela tempestiva del diritto all'immagine.
Per l'attuazione di tale tutela cautelare è
necessario che si sia in presenza del presupposto di
“un pregiudizio imminente e irreparabile” (c. d.
periculum in mora).
Molto ampia è la casistica giurisprudenziale per
quanto riguarda la sussistenza del presupposto in
questione, in materia di lesione del diritto
all'immagine, il che fornisce l'ulteriore conferma della
varietà dei possibili pregiudizi che possono derivare
dalla lesione (anche solo minacciata) del diritto
all'immagine e all'identità personale.
Così, ad esempio, è stato riconosciuto il
pregiudizio
(con i caratteri dell'imminenza e
dell'irreparabilità, che giustificassero il ricorso ex art.
700 c.p.c.) nel fatto di un manifesto per scopi politici
costituito da un fotogramma di un film riguardo al
quale l'attore aveva ceduto ogni diritto di sfruttamento
economico: venne riconosciuta167, in primo luogo, la
legittimazione attiva dell'artista, malgrado questi non
potesse accampare diritti economici sull'uso del film e
di ogni singolo fotogramma, nella considerazione che
lo specifico utilizzo (manifesto politico) andasse a
167
V. tribunale di Roma - sentenza 24 maggio 2005, in
Giur. merito 2005, fasc. 11, 2346.
199
ledere il diritto all'identità personale, dando a
intendere un'appartenenza o comunque una qualche
adesione al partito che aveva stampata il manifesto.
Con riguardo alla lesione dell'identità personale, il
pregiudizio era sicuramente imminente e anche
irreparabile, atteso che veniva dedotto non l'utilizzo
abusivo dell'immagine dell'attore senza un previo
accordo sul compenso168, bensì la lesione di un diritto
della personalità, costituito dall'identità personale, in
ordine agli orientamenti politici dell'attore, riguardo al
quale l'efficacia del rimedio consisteva in primo luogo
in
una
tempestiva
rimozione
del
manifesto,
possibilmente accompagnata da un immediato
comunicato stampa, a carico di coloro che
arbitrariamente
avevano
utilizzato
l'immagine
dell'artista per il manifesto politico, lesione, che, per
come ripetutamente detto, prescinde dalla sussistenza
di un danno patrimoniale.
Siamo -com'è noto – in un periodo economico di
contraffazione di grandi firme del mondo della moda: il
che è reato.
Ma, anche se non si giunge alla contraffazione
vera e propria, è frequente la c. d. “imitazione servile”
di uno stile, allorquando, senza apporre il marchio
altrui, si imita il capo famoso o la borsa particolare,
168
Riguardo alla quale l'artista era sicuramente privo di
legittimazione attiva, avendo ceduto tutti i diritti sull'utilizzo
commerciale del film e di ciascun fotogramma, e sarebbe
stato ritenuto insussistente il periculum per il procedimento
d'urgenza, potendo il pregiudizio di natura economica
essere suscettibile di pieno soddisfacimento con una
sentenza di condanna al pagamento di una somma di
denaro.
200
così ledendo l'immagine della grande casa produttrice.
Orbene, con riferimento allo strumento cautelare
ex articolo 700 c.p.c., è stato ritenuto il periculum in
mora, anche quando l'attività di imitazione sia cessata
dato, ove occorra ripristinare l'immagine dell'azienda
lesa dalla precedente imitazione e può altresì essere
concesso se vi è concreto rischio di reiterazione del
comportamento imitativo con riferimento agli oggetti,
desumibile dalla esistenza di precisi indici sintomatici
della concreta possibilità che, nel prossimo futuro, sarà
effettuata l'imitazione anche delle nuove collezioni
dello stesso stilista169.
Quindi, lo strumento cautelare può essere
utilizzato anche in relazione a un futuro eventuale
pregiudizio; chiaramente, non è sufficiente il mero
timore, ma occorre, in ogni caso la presenza di indici
sintomatici di questo pregiudizio: il periculum in mora,
sufficiente per il procedimento ex art. 700, può essere,
quindi, anche solo eventuale, analogamente al danno
temuto di cui all'articolo 1171 c.c., concernente le
azioni a difesa del possesso, e il cui strumento
processuale non per nulla è stabilito nello stesso capo
dell'art. 700 c.p.c., alla sezione III.
In materia di tutela all'immagine, quindi, la
giurisprudenza si mostra particolarmente sensibile,
attesa
la
rilevanza
costituzionale
del
diritto
all'immagine.
Altra materia interessante alla quale è stato
applicato lo strumento del provvedimento d'urgenza, è
stata quella dei brevetti per modelli ornamentali.
169
V. Tribunale Napoli, 20 ottobre 1995, in
industriale 1996, 473.
Dir.
201
Anche in questo caso è stato invocato il diritto
all'identità personale, in questo caso dell'impresa che
aveva ideato un modello ornamentale, e si è ritenuta
la sussistenza del "fumus boni iuris" anche nel caso in
cui fosse intervenuta soltanto la presentazione della
domanda di brevetto, per cui il giudice con
provvedimento ex art. 700 c.p.c. ha disposto, come
rimedio, il ritiro dei cartelloni pubblicitari170.
Come è agevole rilevare, l'inibitoria in materia di
tutela dell'immagine e dell'identità personale, può
spaziare nei più diversi campi ed è variegato
l'intervento del giudice in sede di provvedimento
d'urgenza.
Particolare, e forse non pienamente giustificato
nella fattispecie, è da ritenere - anche con riguardo
alla ritenuta competenza - il rimedio cautelare
accordato in danno della CONSOB, in favore di
un'impresa che lamentava una lesione all'immagine e
alla reputazione, che si assumeva derivante da un
procedimento sanzionatorio in itinere avviato dalla
Consob, ai sensi dell'art. 195 d.lg. n. 58 del 1998.
Il tribunale di Napoli 171, adito ex art. 700 c.p.c.
per l'inibitoria, dichiarò, in primo luogo, la propria
competenza -la cognizione della impugnazione del
provvedimento sanzionatorio spetta alla Corte
d'appello- e concesse l'inibitoria, consistente nel
divieto di proseguire nel procedimento, ai richiedenti,
nel
presupposto
che
l'adozione
di
misure
170
V. Tribunale Firenze, 31 luglio 1993, in Riv. dir. ind.
1993, II, 403.
171
Ordinanza 15 ottobre 1999, in Juris Data – Ed.
Giuffrè.
202
sanzionatorie,
alla
quale
era
finalizzato
il
procedimento, avrebbe pregiudicato la loro immagine
professionale.
Il giudice affermò poi la sussistenza del fumus
riguardo al fatto, dedotto dai ricorrenti, secondo cui
era da ritenersi tardiva la contestazione perché non
effettuata nei termini previsti dall'art. 14 della legge
24 novembre 1981, n. 689.
Nella specie sembra forzata sia la ritenuta
competenza sia la sussistenza del periculum in mora, a
quanto si può desumere dalla massima (mentre
ovviamente non si è nelle condizioni di pronunciarsi sul
fumus).
Ora, per quanto riguarda la competenza, rilevato
che l'articolo 669-ter stabilisce che la cognizione
spetta al giudice del merito 172, desta perplessità che il
tribunale si sia attribuita la competenza, laddove,
proprio riguardo alla sussistenza del fumus, ha fatto
riferimento a un profilo concernente la legittimità della
eventuale emananda sanzione, in ordine al quale si
presenta sicura la competenza della Corte d'appello,
per come dispone l'articolo 195 del D. lgs. n. 58 del
1998, i cui commi 4 e 6 stabilisco quanto segue: co. 4
: “Contro il provvedimento di applicazione delle
sanzioni è ammessa opposizione alla corte d'appello
del luogo in cui ha sede la società o l'ente cui
appartiene l'autore della violazione ovvero, nei casi in
cui tale criterio non sia applicabile, nel luogo in cui la
violazione è stata commessa.. . “
co. 5: “L'opposizione non sospende l'esecuzione del
172
Tranne che competente sia il giudice di pace o un
giudice straniero o un collegio arbitrale
203
provvedimento. La corte d'appello, se ricorrono gravi
motivi, può disporre la sospensione con decreto
motivato.”
In conseguenza, atteso che il tribunale non era
competente per il merito, la cognizione anche per il
procedimento d'urgenza spettava alla Corte d'appello,
ai sensi degli articoli 669-ter e 669-octies c.p.c.
Purtroppo, l'impossibilità di reperire l'ordinanza
per esteso non ha consentito di verificare in che
termini il tribunale abbia ritenuto di risolvere la
questione della competenza né quale seguito abbia
avuto la vicenda.
Con riguardo poi al profilo dell'imminenza del
pregiudizio, va, inoltre, osservato che la eventuale
lesione dell'immagine sarebbe potuta derivare non
tanto dal procedimento sanzionatorio (riguardo al
quale non è prevista alcuna forma di pubblicità) bensì
dal provvedimento conclusivo del procedimento, o
meglio,
dalla
pubblicità
prevista
per
questo
(pubblicazione per estratto sul bollettino della Banca
d'Italia o della CONSOB e altre possibili modalità
(pubblicazione in giornali e così via): riguardo al
pregiudizio derivante dalla pubblicazione, la Corte
d'appello ben avrebbe potuto sospendere l'efficacia
esecutiva del provvedimento sanzionatorio.
In questo caso il tribunale è andato, invece, a
paralizzare un procedimento amministrativo, con una
sicura interferenza nei poteri al riguardo spettanti alla
CONSOB, in materia di accertamento delle violazioni in
materia di intermediazione finanziaria.
Per finire, sul punto, va osservato come -a
seguito delle modifiche introdotte al Codice di rito
dall'articolo 2, comma 3, lettera e-bis, n. 2.3 del d. l.
204
14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni,
nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ai sensi
dell'articolo 669-octies, commi 5 e 6- il rimedio
cautelare, accordato a norma dell'art. 700, è destinato
ad acquisire efficacia definitiva, qualora il giudizio di
merito non sia iniziato nei termini previsti, oppure, se
iniziato, il giudizio si è estinto.
In altre parole il giudizio di merito diventa
eventuale173.
Alla riassunzione del giudizio di merito, quindi,
provvederà
il
convenuto
soccombente
nel
procedimento cautelare, ma ovviamente soltanto ove
ritenga di poter dimostrare nel giudizio a cognizione
piena che la pretesa del ricorrente accolta in via
cautelare sia priva di fondamento, altrimenti gli
converrà acquietarsi, tenuto conto che avrà,
comunque, evitato la condanna al risarcimento del
danno; a sua volta, il ricorrente se intende ottenere
anche il risarcimento del danno, e, quindi, conseguire
173
Ciò non sempr; infatti il prosieguo del giudizio è
necessario, per come dispone il successivo articolo 669novies, ultimo comma, nel caso che la cognizione della
vertenza di merito spetti a un giudice straniero oppure sia
compromessa ad ad un collegio arbitrale. Ma, in questo
caso, il limite trova giustificazione nella considerazione che
il giudice adito ha una competenza in via eccezionale e solo
limitatamente alla fase cautelare; fuori dei due casi sopra
considerati, invece, il giudice competente per il cautelare
coincide con quello di merito (tranne che la cognizione
spetti in primo grado al giudice di pace: ma anche in questo
caso il mantenimento degli effetti trova giustificazione nel
fatto che, comunque, il tribunale sarebbe competente per il
merito, seppur in grado di appello): v. articolo 669-ter,
commi 2 e 3.
205
effetti ulteriori rispetto alla inibitoria, è tenuto ad
iniziare il giudizio di merito, atteso che l'autorità del
provvedimento cautelare concesso non può essere
invocata in un giudizio diverso, per come dispone
testualmente il comma 7 del citato articolo 669-octies.
Una volta tanto, il legislatore ha introdotto una
innovazione positiva e ragionevole nel Codice di rito,
solitamente oggetto di modifiche perverse e
cervellotiche.
E, infatti, in questo caso ha dettato una
disposizione in qualche modo deflattiva dei giudizi,
poiché consente la chiusura veloce di una vertenza,
che, in passato, a volte si trascinava nel merito per
anni e anni, con aggravio di costi non soltanto per le
parti, ma anche per la Giustizia, e, tutto ciò, soltanto
per avere (spesso), alla fine, una conferma del
provvedimento emesso in sede cautelare.
In questo modo, è dato alle parti un certo
margine di tempo (solitamente di 60 giorni: v. primo
comma dell'articolo 669-novies c.p.c.) per ponderare
se sia il caso di dare inizio o non al giudizio vero e
proprio, oppure se sia opportuno acquietarsi sul
provvedimento emesso in sede cautelare.
Si può dire che solitamente il procedimento si
chiude con il cautelare, in genere satisfattivo in
materia di tutela dell'immagine o dell'identità
personale, salvo che alla base della vicenda vi siano
grossi interessi economici, ai quali una delle parti non
intenda rinunciare
§ 6 COMPETENZA
TERRITORIO
PER
MATERIA
E
PER
206
Trattando del caso del procedimento cautelare
proposto nei confronti della Consob si è già accennato
della competenza per materia e per territorio,
osservando che, per quanto riguarda la cognizione ex
art. 700 c.p.c., questa spetta al giudice competente
per il merito, tranne il caso in cui competente per il
merito sia il giudice straniero o un collegio arbitrale
oppure il giudice di pace (artt. 669-ter e 669quinquies c.p.c.).
In questi casi, ove competente nel merito sia un
giudice straniero, la competenza (per il cautelare)
spetta al giudice del luogo dove deve eseguirsi il
provvedimento d'urgenza; se invece la cognizione del
merito è deferita ad un collegio arbitrale, la cognizione
del cautelare spetta al giudice che sarebbe sarebbe
stato competente nel caso di inesistenza della clausola
arbitrale. se trattasi di vertenza la cui cognizione al
giudice di pace, l'inibitoria compete, invece, al giudice
al tribunale competente per il giudizio di appello.
Per quanto riguarda le vertenze la cui cognizione
di merito spetta al giudice amministrativo (ad esempio
in materia di appalti, impiego non contrattualizzato
ecc.) ed alla Corte dei conti (in materia, ad esempio,
di responsabilità dei pubblici dipendenti), è pacifico
che spettino alle predette giurisdizioni anche i
procedimenti cautelari, e quindi, quelli ex art. 700
c.p.c., in relazione a quanto previsto dall'art. 48 r.d. n.
1038 del 1933, art. 5, comma 2, e ss. d.l. 15
novembre 1993 n. 453, conv. in l. 14 gennaio 1994 n.
19174.
174
V. Cass. Sez. Un., 10 novembre 1986, n. 6564 - 02
agosto 1989, n. 3568 - 12 novembre 2003, n. 17078.
207
I procedimenti cautelari in materia di tutela
dell'immagine non fanno eccezione alle regole sopra
indicate.
Quindi, se trattasi di lesione all'immagine
dell'amministrazione di appartenenza da parte del
dipendente, poiché il giudizio di merito esula dalla
giurisdizione ordinaria, in favore della Corte dei
Conti175, anche l'eventuale procedimento cautelare
rientrerà nella competenza dello stesso giudice, con
applicazione delle disposizioni di cui all'art. 700
c.p.c.176.
E la giurisdizione della Corte dei conti, in materia
di danno all'immagine dell'ente è riconosciuta anche
per quello non patrimoniale, poiché in ogni caso è da
ritenere suscettibile di valutazione patrimoniale177,
quanto meno sotto il profilo riparatorio.
E' interessante la casistica enucleata dalla Corte
Conti , sez. riun., nella sentenza 19 marzo 2002, n. 4,
in ordine alla competenza per territorio, con riguardo
alle varie fattispecie in materia di responsabilità dei
175
V. Cassazione civile , sez. un., 02 aprile 2007, n.
8098: “Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti anche
l'azione di responsabilità per il danno arrecato da pubblici
dipendenti (o da soggetti comunque inseriti nell'apparato
organizzativo di una pubblica amministrazione) all'immagine
dell'ente, trattandosi di danno che, anche se non comporta
una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile
di valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa
necessaria al ripristino del bene giuridico leso.”
176
V., in ordine all'applicazione del codice di procedura
civile, C. Conti reg. Piemonte, sez. giurisd., 12 maggio
2004, n. 105, in Riv. corte conti 2004, 3 157.
177
V. Cassazione civile , sez. un., 02 aprile 2007, n.
8098 in Resp. civ. e prev. 2007, 7-8 1566.
208
pubblici dipendenti e di amministratori, ovviamente
applicabile anche nei casi in cui il danno derivi da
lesione all'immagine della p. a., casistica che si ritiene
utile riassumere: a) In ipotesi di concentrazione di più
fattispecie di danno in un atto di citazione, ove
vengano individuati più giudici competenti, va disposta
la separazione delle cause, stante l'inderogabilità della
competenza
funzionale
attribuita
alle
sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei conti; b) Il
criterio principale per l'attribuzione di competenza alle
Sezioni regionali della Corte dei conti è costituito
dall'incardinazione del pubblico amministratore o
dipendente - supposto autore del comportamento
illecito - nella sede o ufficio ubicati nella regione;
mentre, qualora, nella produzione del danno contabile,
concorrano o confluiscano più comportamenti illeciti di
soggetti incardinati presso uffici o sedi di diverse
regioni, criterio ulteriore per determinare il giudice
competente è dato dall'individuazione del fatto
giuridico (o dell'attività gestoria) necessariamente
causativo del danno e la sua ascrizione al soggetto che
lo ha posto in essere, in forza dell'incardinazione
presso una sede, un ufficio, un organo dello Stato o di
un ente pubblico.
Avuto riguardo all'incardinamento in uno specifico
ufficio, peraltro, in precedenza la stessa Corte dei
conti178, aveva precisato che “nel caso in cui il
Ministero della sanità si avvale del proprio potere
sostitutivo delle regioni per stipulare una convenzione
sul servizio di lettura ottica delle ricette di una
178
V. C. conti reg. Lazio, sez. giurisd., 13 aprile 1999,
n. 344, in Iuris Data – ed dott. Giuffrè – 2007,
209
regione, il giudizio per danno erariale per l'inutilità
della spesa e per il danno dell'immagine conseguente
all'apprensione di tangenti appartiene alla competenza
della sezione Lazio, trattandosi di attività non delegata
ma propria dello Stato quale titolo del Fondo sanitario
nazionale,
irrilevante
essendo
che
il
danno
conseguente alla spesa per l'esecuzione della
convenzione ridondi sui fondi gestiti dalla regione
Campania.”
Per quanto riguarda l'individuazione del foro
competente per territorio, trovano applicazione gli
articoli 18, 19 e 20 ( a scelta del ricorrente): e, quindi,
il foro del luogo in cui è sorta l'obbligazione (in buona
sostanza dove si è verificato il fatto lesivo), oppure
dove l'obbligazione deve eseguirsi, ad esempio, se si
richiede la rimozione di un manifesto, entrambi i criteri
portano al medesimo tribunale (art. 20); oppure,
alternativamente, il foro relativo alla
residenza,
domicilio o dimora – secondo tale ordine - del
danneggiante, qualora l‟autore sia persona fisica; ove
poi queste siano sconosciute, oppure se il
danneggiante risiede all'estero, è competente il giudice
del luogo dove risiede il danneggiato (art. 18; se poi
danneggiante è una persona giuridica, competente è il
giudice del luogo in cui questa ha la sede legale,
oppure
uno
stabilimento
con
rappresentante
autorizzato a stare in giudizio; se trattasi di società
non aventi personalità giuridica o di associazione non
riconosciuta o di comitati si fa riferimento al luogo
dove svolgono attività in modo continuativo (art. 19).
210
§ 7 COMPETENZA PER TERRITORIO IN MATERIA
DI DANNO ALL'IMMAGINE DA PUBBLICAZIONE A
MEZZO STAMPA
Se, in genere, non crea particolari problemi la
individuazione del giudice competente in materia di
lesione all'immagine, ove, invece, il fatto lesivo sia
avvenuto a mezzo stampa, appare più complessa la
individuazione del c. d. forum commissi delicti, attesa
la variegata modalità di diffusione del fatto lesivo.
In generale bisogna distinguere a seconda del tipo
di stampa.
a) Lesione avvenuta con la pubblicazione di un
libro (fatto tutt'altro che raro): territorialmente
competente, sia per la domanda cautelare di inibitoria
che per quella di merito risarcitoria, è il giudice del
luogo ove ha sede l'editore (se persona giuridica), ex
art. 19 c.p.c., ovvero dove viene stampata per la
prima volta l'opera, ex art. 20 c.p.c.; è da escludere,
invece la competenza del giudice dei vari luoghi in cui
il libro viene diffuso oppure quella del giudice del luogo
ove il danneggiato ha il domicilio o residenza179.
b) Lesione avvenuta con la pubblicazione su
stampa periodica.
Molto spesso la lesione dell'immagine e
dell'identità
personale
avvengono
mediante
pubblicazione su quotidiani o altre stampe periodiche.
179
V.Tribunale Napoli, 30 luglio 1999 - Soc. Pironti ed.
c. Soc. Einaudi ed., in Giur. napoletana 2000, 73.
211
In questo caso, la competenza è del giudice in
cui ha sede la redazione centrale del quotidiano e non
quello delle trasmissioni in facsimile delle copie a
diffusione regionale e tanto meno quello delle
redazioni delle
testate
giornalistiche
televisive
nazionali che, nel corso delle edizioni notturne
precedenti l'uscita del quotidiano in edicola, danno
lettura delle notizie di maggior rilievo, mostrando
anche l'immagine relativa allo stampato180.
Ma se, al contrario, si tratta di un periodico a
diffusione nazionale, ma corredato di edizioni locali
stampate in luoghi diversi, la competenza per territorio
si determina con riferimento al luogo di stampa
dell'edizione per mezzo della quale è stato realizzato
l'illecito181.
Può peraltro accadere che la stessa notizia lesiva
dell'immagine o dell'identità personale venga diffusa
da più testate giornalistiche.
In questa ipotesi, va tenuto conto che la lesività e
maggiore rispetto al caso in cui la pubblicazione
avvenga soltanto su una sola testata e che in relazione
alla disposizione contenuta nell'articolo 2055 c.c.
sussiste la solidarietà passiva tra tutti i soggetti ai
quali a qualsiasi titolo il fatto dannoso risulti
imputabile, risolvendosi la questione della graduazione
delle rispettive colpe nei soli rapporti interni tra
condebitori solidali.
180
V. Cassazione civile , sez. III, 25 maggio 2007, n.
12234 - Matarrese e altro c. Pignatelli e altro, in Giust. civ.
Mass. 2007, 5.
181
V. Cassazione penale , sez. I, 26 gennaio 2006, n.
15523, in Jiuris Data – Ed. Giuffrè.
212
Pertanto al danneggiato è consentito di
individuare il giudice competente per una delle testate
e davanti a questo convenirle tutte, per connessione ai
sensi dell'articolo 33 c.p.c.
In questo caso, quindi, si può dire –una volta
tanto- favorito il soggetto leso182.
Ma la divulgazione di una notizia che lede
l'immagine di un soggetto può derivare anche dalla
stampa internazionale.
In questo caso, in applicazione anche delle
disposizioni, in materia di giurisdizione, contenute
nell'art. 5 n. 3 della Convenzione di Lugano 16
settembre 1988, ratificata dalla l. 10 febbraio 1992 n.
198 -analogo all'art. 5 n. 3 della convenzione di
Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale- la
giurisdizione in ordine ad una domanda di risarcimento
dei
danni
conseguenti
ad
una
diffamazione
internazionale a mezzo stampa appartiene, oltre che al
giudice dello Stato del convenuto responsabile
dell'illecito, anche al giudice del luogo nel quale è
diffusa la pubblicazione diffamatoria.
Resta, peraltro, da precisare che mentre l'azione
giudiziaria proposta nello Stato in cui l'Editore ha lo
stabilimento può avere per contenuto il risarcimento
182
V. Cassazione civile , sez. III, 21 giugno 2004, n.
11560, in Giust. civ. Mass. 2004, 10 . Ma il cumulo ex art.
33 c.p.c., invece, non consentito, se si è in presenza di una
divulgazione all'Estero effettuata da organi di stampa
stranieri, e in Italia da parte di organi di stampa italiani: v.
nota che segue.
213
integrale, ovunque la notizia sia stata divulgata,
invece l'azione proposta presso uno degli Stati in cui si
sia propagata la notizia, può riguardare soltanto il
risarcimento del danno in tale Stato verificatosi.
In conseguenza spetta al danneggiato di valutare
se sia opportuno agire in giudizio nello Stato
dell'Editore, per tutto il danno, oppure se proporre
tante azioni giudiziarie, quanti siano gli Stati dove
venga divulgato quella pubblicazione.
E in questo casi, il domicilio del danneggiato non
rileva, ove quella pubblicazione non sia distribuita
anche nell'ambito del territorio dello Stato del
danneggiato.
Accade, peraltro, che una notizia diffusa da una
stampa estera, sia poi ripresa in Italia da un organo di
stampa italiano.
In questo caso, si è in presenza di un fatto illecito
totalmente diverso, perché è generato da un
comportamento che ha una sua autonomia causale. In
conseguenza, riguardo alla competenza, valgono le
regole di cui si è detto in precedenza, con la
precisazione che non può assommarsi il danno subito
all'Estero, a causa dell'originaria notizia, con quello
subito in Italia a causa della divulgazione data dalla
stampa italiana183.
183
V., in tal senso Cassazione civile , sez. un., 27
ottobre 2000, n. 1141 - Parietti c. Soc. Can Publishing e
altro, in D&G - Dir. e giust. 2000, 40-41 28.
214
§ 8 COMPETENZA PER TERRITORIO IN MATERIA
DI DANNO ALL'IMMAGINE DA PUBBLICAZIONE
CON MEZZI RADIOTELEVISIVI O PER VIA
TELEMATICA.
L'incremento dei mezzi, attraverso cui possono
diffondersi le notizie, e, quindi, anche il proliferare
delle modalità del fatto lesivo dell'immagine, ha posto
ulteriori problemi per la individuazione del giudice
competente.
Attraverso lo strumento radiotelevisivo le notizie
giungono in tutte le nostre case, e, quindi, a una
prima visione sommaria del problema, si sarebbe
indotti a ritenere che, ai sensi dell'articolo 20 c.p.c.,
essendosi il fatto lesivo verificato in una innumerevole
serie di luoghi (dovunque sia stata ascoltata la notizia
lesiva) si sia in presenza di un numero indeterminato
di “fora commissi delicti”, che renda competenti potenzialmente- tutti i giudici, dovunque possa essere
giunta la divulgazione del fatto.
In tal modo, peraltro, potrebbe ritenersi violato il
principio del giudice naturale, fissato nell'articolo 25
della Costituzione, poiché al danneggiato – di fatto –
sarebbe consentito di scegliersi a suo piacimento il
giudice che debba occuparsi della vicenda processuale.
Altro problema deriva dal fatto che una stessa
trasmissione può essere irradiata più volte, "in diretta"
e "in differita".
Ora, considerato che gli effetti negativi per il
soggetto si verificano soprattutto dove questi vive e si
relaziona, perché lì si realizza la maggiore percezione
del contenuto della notizia che lede il diritto
215
all'immagine, si fa riferimento a tali luoghi, per la
individuazione del luogo di commissione del fatto, e,
quindi, del luogo dove è sorta l'obbligazione aquiliana
ai sensi dell'articolo 20 c.p.c..
In buona sostanza, quindi, la residenza e il
domicilio dell'attore vengono in riferimento come luogo
in cui è sorta l'obbligazione, perché lì si è verificato
l'eventum damni, e non come foro dell'attore, ai sensi
dell'articolo 18, ultimo comma dello stesso Codice di
rito 184.
A tale proposito, nella sentenza in nota, la
Suprema Corte ha rilevato che tali conclusioni sono,
tra l'altro, in sintonia con la Convenzione di Bruxelles,
le cui norme, riprese dal Regolamento CE n. 44/2001,
danno rilievo al domicilio dell'attore, configurabile, tra
l'altro, come la parte più debole del rapporto, così
come anche con le disposizioni di origine comunitaria
sulla protezione del consumatore, che fanno
riferimento al foro del domicilio del consumatore
stesso; inoltre ha tratto argomento di sostegno
dall'art. 30 della legge n. 223 del 1990, che ha
assunto come forum commissi delicti, nel caso del
reato di diffamazione commesso attraverso l'impiego
del mezzo radiotelevisivo, quello del luogo di residenza
della persona offesa, allorquando venga a quest'ultima
attribuito un fatto determinato, e dal fatto che tale
disciplina sia stata considerata giustificata dalla Corte
costituzionale nel 1996185, con la precisazione che
184
V. Cassazione civile , sez. III, 01 dicembre 2004, n.
22586 -Soc. Reti Televisive it. c. Rubini e altro, in Jiuris
Data – Ed. Giuffrè.
185
Corte costituzionale, 23 febbraio 1996, n. 42, in
Giur. cost. 1996, 330.
216
un'analoga espressa previsione normativa non era
necessaria in materia civile, perché la competenza
territoriale del medesimo giudice è individuabile sulla
base del coordinamento dell'art. 20 c.p.c. con gli art.
2043 e 2059 c.c.186.
La diffusione di INTERNET ha creato un ulteriore
problema, tenuto conto che non soltanto è resa talora
oltremodo difficoltosa -e spesso assolutamente
impossibile- la individuazione del luogo da dove si sia
originata la notizia, ma di frequente trattasi di notizie
rimbalzate dall'Estero e anche da Paesi con i quali vi
sia scarsa facoltà di intervento.
In
tema
di
risarcimento
del
danno
extracontrattuale, patrimoniale e non patrimoniale, per
lesione del diritto all'immagine o all'identità personale
compiuta mediante l'inserimento nella rete telematica,
attraverso un "news group", di frasi offensive, il
"forum commissi delicti", ai fini della individuazione del
giudice territorialmente competente a decidere la
causa a norma dell'art. 20 c.p.c., è stato, con analoga
argomentazione, individuato nel luogo di verificazione
dei danni in conseguenza dell'evento diffamatorio,
facendolo, quindi, coincidere con il luogo in cui il
186
In senso contrario si era espressa, peraltro la stessa
Cassazione civile che, a norma dell'art. 20 c.p.c., aveva
individuato il foro competente nel giudice della località dove
sono situati gli studi televisivi nei quali è stato realizzato e
diffuso il programma televisivo, sez. III, 14 luglio 2000, n.
9369 Soc. Rti c. Sgarbi Giust. civ. Mass. 2000, 1553, e in
Giust. civ. 2000, I,2870.
217
soggetto offeso ha il proprio domicilio, atteso che,
essendo il domicilio la sede principale degli affari e
degli interessi, esso rappresenta il luogo in cui si
realizzano le ricadute negative dell'offesa alla
reputazione e, comunque, gli effetti del discredito187.
Analoghe conclusioni, per quanto riguarda la
competenza, valgono nel caso di notizie divulgate da
Agenzia di Stampa, che ledano l'immagine o l'identità
personale.
Infatti, in tal caso, il forum commissi delicti, ai
fini dell'individuazione del giudice territorialmente
competente ai sensi dell'art. 20 c.p.c., non può essere
identificato nel luogo in cui la notizia diffamatoria è
stata resa pubblica attraverso la stampa, atteso che
che manca la testata in senso materiale e considerato
che i dispacci di agenzia vengono trasmessi per via
telematica, con una diffusione potenzialmente globale.
La contestualità della diffusione delle notizie da
parte
degli
abbonati,
rende
inapplicabile
la
presunzione di priorità temporale della pubblicità delle
stesse nel luogo in cui vengono diffuse, che è alla
base, in caso di diffamazione commessa con il mezzo
della stampa periodica, dell'individuazione del giudice
competente con quello del luogo in cui il periodico
viene stampato. Per tale ragione trovano applicazione i
principi elaborati in riferimento all'illecito commesso
con l'impiego di strumenti di comunicazione a
diffusione multipla e generalizzata, che conducono ad
187
V. Tribunale Roma, sez. II, 16 febbraio 2005 Coni c.
L. - Juris Data – Ed. Giuffrè; Cassazione civile , sez. III, 08
maggio 2002, n. 6591, in Resp. civ. e prev. 2002, 1327
218
identificare il forum commissi delicti nel luogo in cui si
sono verificati i danni, patrimoniali e non, derivanti
dall'evento diffamatorio, ovvero nel luogo in cui il
soggetto offeso aveva il proprio domicilio all'epoca del
fatto188.
§ 9 – PROCEDIMENTO CAUTELARE NELLA
LESIONE DELL'IMMAGINE A MEZZO STAMPA
Si è parlato della competenza per territorio (con
accenni anche alla giurisdizione italiana rispetto a
quella dei giudici stranieri) in ordine agli illeciti nella
materia di cui trattasi, commessi a mezzo stampa.
Occorre, peraltro, sottolineare che, in questo
caso, la tutela cautelare dell‟immagine
attraverso
l‟emanazione di provvedimenti ex art.700 c.p.c., trova
un rilevante limite nell‟art. 21, comma 3, Cost., il
quale pone un generale divieto di sequestro di
stampati, salvo vi sia un atto motivato dell‟autorità
giudiziaria nel caso di delitti per il quale la legge sulla
stampa espressamente lo autorizzi, oppure di
violazione delle norme che la stessa prescrive per
l‟indicazione dei responsabili.
Non è sufficiente, quindi, la sussistenza di un
illecito civile -al quale ci si riferisce nel presente
lavoro- per ottenere un provvedimento di natura
cautelare .
188
V., in tal senso, Cassazione civile , sez. I, 23
settembre 2005, n. 18665 - Ansa c. Barbieri - Giust. civ.
Mass. 2005, 6
219
Si è, pertanto, posto il problema di stabilire quale
sia, sotto questo profilo, il giusto punto di equilibrio tra
l‟esigenza di una tutela urgente (cautelare) del diritto
all‟immagine e/o all‟identità personale, e la libertà di
manifestazione del pensiero, anch‟essa posizione
costituzionalmente garantita.
Come ha avuto occasione di precisare la Corte
Costituzionale in due note pronunce189, la ratio dell‟art.
21, comma 3, Cost. risiede nell‟esigenza di
salvaguardare la libertà di stampa in quanto strumento
di diffusione del pensiero, ed il divieto posto dallo
stesso riguarda la censura preventiva, vale a dire il
controllo preventivo sulla stampa,
circostanza
confermata dal riferimento proprio alla misura del
“sequestro”.
Da
queste
considerazioni
discendono
due
principali conseguenze.
Innanzi tutto, poiché l‟art. 21, comma 3,
Costituzione pone determinati limiti per evitare
esclusivamente
provvedimenti
cautelari
che
impediscano la libera circolazione delle pubblicazioni,
non può ritenersi preclusa, viceversa, la possibilità di
irrogare una sanzione per fatti illeciti accertati con
sentenza definitiva, attraverso la condanna ad un non
facere consistente nell‟ordine di non reiterare la
condotta lesiva di diritti altrui e anche in un facere
specifico, consistente nel ritiro della pubblicazione che
ha leso quelli che sono, alla stessa stregua, valori
altrettanto costituzionali.
189
Corte Cost. 9/7/1970 n. 122, in F. it., 1970, I, 2294,
e Corte Cost. 12/4/1973 n. 38, in Giust. civ., 1973, III, 173.
220
Inoltre, allo stesso modo,
poiché questa
disposizione si riferisce agli “stampati”, vale a dire al
materiale stampato attraverso cui si estrinseca il
pensiero umano, non impedisce la possibilità di
tutelare il diritto in questione attraverso la misura del
sequestro di immagini, purché non ancora pubblicate,
vale a dire rispetto a quelle attività strumentali ed a
quelle cose che, trovandosi nella disponibilità di
un‟impresa giornalistica, possono essere considerate
destinate alla pubblicazione, in quanto in tal caso il
provvedimento urgente non incide sulla stampa ma su
atti preparatori.
È da escludere, quindi, in linea di principio,
l'emanazione di misure cautelari, in particolare di un
sequestro, o di un provvedimento ex art. 700 c.p.c.,
ovvero di altri provvedimenti atipici che producano
effetti analoghi al sequestro, da parte del giudice
civile, al di fuori dei casi in cui ricorrano le condizioni
previste nella norma costituzionale, e pertanto, al fine,
ad esempio, di ottenere misure restrittive della
circolazione di un libro, costituente estrinsecazione del
diritto di libera manifestazione del pensiero, ancorché
contenente l'attribuzione di fatti di reato a carico di
una persona determinata190.
Una eccezione, in ordine alla possibilità di
emanazione di provvedimenti cautelari in materia di
stampa è contenuta, peraltro negli articoli 156 e segg.
della legge 22 aprile 1941, n. 633 - Protezione del
diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio, successive modifiche e integrazioni, le quali
190
V., in tal senso,Tribunale Torino, 14 maggio 2004,
Giur. merito 2005, 4 847.
221
consentono la emanazione di provvedimenti in
argomento, che comunque, si riferiscono ad aspetti
economici191.
Ci si è chiesti se tali norme, peraltro modificate
dopo l'entrata in vigore della Costituzione e anche di
recente, possano ritenersi legittime con riferimento al
contenuto dell'articolo 21 Costituzione, e non è
mancato
chi,
dando
una
interpretazione
costituzionalmente orientata della disciplina, ha
escluso la possibilità di concedere provvedimenti di
urgenza, che, di fatto, si risolvano in limiti alla libertà
di stampa192.
Ad avviso di chi scrive, è da escludere, in linea di
191
Art. 156: 1. Chi ha ragione di temere la violazione di
un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtù
di questa legge oppure intende impedire la continuazione o
la ripetizione di una violazione già avvenuta sia da parte
dell'autore della violazione che di un intermediario i cui
servizi sono utilizzati per tale violazione può agire in giudizio
per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia vietato il
proseguimento della violazione. Pronunciando l'inibitoria, il
giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o
inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo
nell'esecuzione del provvedimento.
192
Tribunale Milano, 22 novembre 1999, in Dir. autore
2000, 147: “La libertà di manifestazione del pensiero a
mezzo stampa non può essere compressa da misure
cautelari civili (nella specie, sequestro degli esemplari
stampati o inibitoria dell'ulteriore diffusione) se non nei casi
in cui la legge espressamente le autorizzi e sempre che a
mezzo degli stampati sia stato commesso un delitto. Può,
invece, ammettersi inibitoria di proseguire nella stampa o
ristampa del libro, giacché tale provvedimento non appare
nè strutturalmente nè funzionalmente equiparabile al
sequestro di stampati.”
222
principio, che la norma in questione, la quale tutela la
libertà di manifestazione del pensiero, si risolva,
sempre e comunque, nella prevalenza di questo
rispetto a qualunque altro, con la conseguenza che
ogni qualvolta si pone un possibile contrasto tra il
principio di libertà di manifestazione del pensiero e
quello di tutela degli altri diritti della persona, deve
procedersi ad un giudizio di comparazione e di
prevalenza, alla stregua dei criteri previsti dalla legge
o desumibili dai principi dell'ordinamento.
Va poi considerato che, di frequente, la violazione
del diritto all'immagine, specialmente quando questa
va a confluire nel diritto all'identità personale,
costituisce illecito oltre che civile anche penale: in
questo caso, il provvedimento cautelare da parte del
giudice civile, dovrebbe ritenersi consentito, qualora
questi sia investito della cognizione di fatti integranti
gli estremi di un delitto commesso a mezzo della
stampa193.
193
V. Tribunale Napoli, 16 dicembre 2003, in Dir.
informatica 2004, 83, che contiene delle interessanti
riflessioni sulla ratio che ha ispirato il costituente in sede di
formulazione dell'articolo 21. Si legge: “Il divieto di
sequestro, a tutela della libertà di manifestazione del
pensiero, opera essenzialmente in un ambito intimamente
«pubblicistico», a tutela appunto di situazioni giuridiche
soggettive qualificate - prima che «diritti» - «libertà». In
altre parole, il costituente, all'indomani del ripristino della
democrazia, ha voluto tutelare essenzialmente e in primo
luogo la libertà «politica» di informazione, senza peraltro
voler dare a questo la prevalenza, ove tale libertà vada a
scontrarsi con l'altrui diritto all'onore e alla reputazione o
con altri diritti costituzionalmente garantiti. . . “
223
In ogni caso va osservato, infine, che la Direttiva
del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rispetto dei
diritti di proprietà intellettuale 29/4/2004 n.48
04/48/CE, attuata in Italia il Decreto legislativo di
attuazione 16 marzo 2006 n. 140, che ha modificato,
appunto, tra l'altro, gli artt. 156 e segg. della legge sul
diritto d'autore n. 633 del 22 aprile 1941, ha
introdotto specifiche disposizioni194.
Precisamente, la direttiva in questione, dopo
avere fissato all'articolo 4 i criteri per la individuazione
dell'autore di un'opera letteraria e artistica, a tutela
del diritto d'autore, all'art. 9 “Misure provvisorie e
cautelari” stabilisce testualmente che gli Stati membri
assicurano che le competenti autorità giudiziarie
possano, su richiesta dell'attore: “a) emettere nei
confronti del presunto autore della violazione
un'ingiunzione interlocutoria volta a prevenire qualsiasi
violazione imminente di un diritto di proprietà
intellettuale, o a vietare, a titolo provvisorio e,
imponendo se del caso il pagamento di una pena
pecuniaria suscettibile di essere reiterata, ove sia
previsto dalla legislazione nazionale, il proseguimento
di asserite violazioni di tale diritto, o a subordinare
l'azione alla costituzione di garanzie finalizzate ad
assicurare il risarcimento del titolare; un'ingiunzione
interlocutoria può inoltre essere emessa, alle stesse
condizioni, contro un intermediario, i cui servizi sono
utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà
intellettuale; ingiunzioni contro intermediari i cui
194
V. in commento alla Direttiva Luca Nivarra L'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale dopo la
direttiva 2004/48/CE, in Riv. dir. ind. 2005, 1, 33.
224
servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto
d'autore o un diritto connesso sono contemplate dalla
direttiva 2001/29/CE; b) disporre il sequestro o la
consegna dei prodotti sospettati di pregiudicare un
diritto di proprietà intellettuale per impedirne
l'ingresso o la circolazione nei circuiti commerciali, con
cessazione degli effetti, su richiesta del convenuto, se
l'attore non promuove un'azione di merito dinanzi
all'autorità giudiziaria competente entro un periodo
ragionevole.
Come si può rilevare, in adempimento degli
obblighi comunitari, l'Italia ha dovuto ampliare i casi di
intervento da parte del giudice civile, in sede di
provvedimento d'urgenza, in materia di stampa.
Le ipotesi che giustificano tale intervento si
muovono –ad avviso di chi scrive– nel senso delineato
nell'ordinanza del tribunale di Napoli, riportata in nota,
che si condivide pienamente.
Invero, va considerato che, se la libertà di
manifestazione
del
pensiero
è
un
principio
irrinunciabile, deve ritenersi comunque possibile
l'intervento cautelare del giudice civile, a tutela di altri
valori che hanno altrettanto rilievo costituzionale.
D'altra
parte,
attesa
la
unitarietà
della
giurisdizione, deve ritenersi sufficiente e adeguata nel
merito la valutazione di un Giudice, anche se civile, in
ordine alla sussistenza di una violazione di diritti della
personalità, quali appunto quello all'immagine e
all'identità
personale,
che
giustifichi
non
la
compromissione della libertà di stampa, come
principio, bensì
la emanazione di provvedimenti
cautelari, quando si accerti che dietro il principio di cui
225
all'articolo 21, in concreto si va a celare un abuso da
parte dell'agente.
226
CAPITOLO 9
IL RISTORO DEL DANNI DA LESIONE
DELL'IMMAGINE E DELL'IDENTITÀ
PERSONALE. LA RETTIFICA DELLE NOTIZIE
§ 1 Il risarcimento del danno;
patrimoniale; § 3 Conclusioni
§ 2 Il danno non
§ 1 IL RISARCIMENTO DEL DANNO
Nell‟esaminare gli strumenti messi a disposizione
dall‟ordinamento giuridico a favore del soggetto, che
abbia subito la lesione di un diritto all'immagine o
all'identità personale, va riservata una particolare
attenzione ai rimedi sostanziali che l'ordinamento
italiano appresta al danneggiato, in quanto la tematica
di uno di questi rimedi, in particolare quello riparatorio
del risarcimento “per equivalente” -specie del danno
non patrimoniale- ha ricevuto, negli anni più recenti,
interessanti impulsi ad opera della dottrina e della
giurisprudenza, appunto con riguardo alla violazione di
posizioni soggettive costituzionalmente garantite .
In linea generale, il risarcimento, come
riparazione per la l'illecito subito, può consistere nella
rimozione diretta dell'effetto della lesione, quindi
risarcimento “in forma specifica” oppure nella
compensazione pecuniaria del danno ingiusto sofferto,
risarcimento, appunto, “per equivalente”.
Della rimozione diretta si è in parte parlato,
allorquando si è trattato della nozione di inibitoria, nel
duplice significato sostanziale e processuale.
Ora, la rimozione diretta del pregiudizio derivante
dalla lesione non sempre è possibile, atteso che certi
227
fatti producono, con il solo venire in essere, la lesione
del bene, per cui, salvo i rari casi in cui con un
provvedimento d'urgenza si riesca a paralizzare sul
nascere gli effetti pregiudizievoli della lesione -questo
soprattutto se l'illecito è in fieri- qualunque
dichiarazione o qualunque atto di senso contrario
imposti dal giudice al danneggiante, spesse volte sono
inadeguati, talvolta costituiscono soltanto dei palliativi
inefficaci e, talora, possono essere fonte, a loro volta,
di ulteriore danno all'immagine e all'identità
personale195.
Nel caso, appunto, in cui la lesione sia
intervenuta, a mezzo stampa, l‟art. 8. l. n. 47/1948
prevede la vera e propria “rettifica”.
Di conseguenza il direttore dell‟organo di stampa
(o il responsabile) è tenuto a fare inserire
gratuitamente nel periodico o nel quotidiano le
dichiarazioni del soggetto di cui sia stata pubblicata
l‟immagine oppure a cui siano stati attribuiti atti e frasi
o pensieri lesivi della dignità o, comunque, contrari a
verità.
Dalla formulazione della norma emerge come
questo
strumento
di
tutela
non
venga
in
considerazione esclusivamente a fronte di notizie
diffamatorie, quindi idonee a violare l‟onore, il decoro
o la reputazione di una persona, ma anche per porre
195
Basti pensare a talune rettifiche che gli organi di
stampa pongono in essere, su richiesta del danneggiato,
che hanno l'effetto perverso di far conoscere anche a chi la
notizia era sfuggita in sede di pubblicazione la
comunicazione lesiva, soprattutto se accompagnata -come
spesso succede- da un ambiguo breve commento, non per
questo meno micidiale della notizia a suo tempo divulgata.
228
rimedio ad un‟alterazione dell‟identità di un soggetto,
di cui sia stata fornita all‟esterno una inesatta
rappresentazione, a causa di un travisamento del
proprio patrimonio culturale, ideologico, professionale,
politico, religioso.
La rettifica può, sotto alcuni profili, essere
considerata una sorta di risarcimento in forma
specifica -peraltro particolarmente efficace se si
considera che alla stessa deve essere riservata la
medesima evidenza grafica data alla notizia errata196sebbene, a rigore, non comporti un accertamento della
verità ma, piuttosto, un accesso privilegiato della
persona lesa al mezzo di comunicazione, al fine di
garantire una maggiore dialettica informativa197 . Dei
rischi di tale mezzo di tutela si è accennato in una
delle ultime note.
Non deve escludersi, di conseguenza, che il
soggetto la cui identità personale abbia subito
un‟alterazione possa conservare l‟interesse a coltivare
anche un‟azione di accertamento della verità; pertanto
la rettifica può essere considerato un mezzo ulteriore a
tutela dello stesso interesse198.
Va, infine, ricordato che una diretta riparazione
del pregiudizio subito a seguito di una violazione di un
diritto della personalità può essere effettuata anche
attraverso la pubblicazione, in uno o più giornali, della
decisione con la quale è accertata l‟avvenuta
196
Tribunale Roma, 21/10/1992, in Nuova giur. civ.
comm., 1993, I, 637.
197
Cass. civile, 22/6/1985 n. 3769, in Foro it., 1985, I,
2211.
198
Zeno Zencovich, La rettifica: diritto soggettivo o
rimedio processuale?, in Dir. inf., 1986, 945.
229
violazione: a parte la previsione contenuta nell‟art.
186 del codice penale, relativa ai casi di reato, l‟art.
120 c.p.c. prevede, infatti, in generale la possibilità
per il giudice civile di disporre su istanza di parte la
pubblicazione della sentenza, nei casi in cui può
contribuire alla riparazione del danno.
Tuttavia non è detto che questo sia sempre uno
strumento atto per rimediare a lesioni di diritti della
personalità: infatti laddove sia lamentata, in
particolare, la violazione di un diritto come la privacy,
una pubblicità ulteriore di certi fatti, invece di
attenuare le conseguenze pregiudizievoli subite
dall‟interessato,
potrebbe
determinare
un
peggioramento della concreta situazione.
A tale proposito, è noto, nel migliore dei casi il
malvezzo di pubblicare talora le rettifiche in modo tale
che di fatto sfuggano all'attenzione dei lettori, oppure
corredate di un ulteriore commento, che, di fatto, va a
costituire una ulteriore denigrazione della persona
danneggiata.
Sono, quindi, da condividere quelle decisioni che
impongono all'organo di stampa di dare alla notizia di
senso contrario lo stesso risalto che è stato dato a
quella denigratoria199.
199
V. ad esempio, Pretura Roma, 02 giugno 1980, in
Foro it. 1980, I,2046, che, in sede di provvedimento
d'urgenza, avanzata dall'esponente di un movimento
politico (Partito Radicale) che lamentava la lesione del
diritto all'identità personale, propria e del partito
rappresentato, conseguente alla pubblicazione su un
quotidiano nazionale ("Paese Sera") di un articolo in cui,
senza distinguere tra notizia e commento, si prospettava la
collusione con altra forza politica (Democrazia Cristiana)
230
Ma non sempre, per come già si è detto nelle
pagine che precedono, è possibile conseguire la
rimozione degli effetti della lesione mediante un
contrarius actus, imposto al danneggiante, per cui è
più frequente il ricorso a una misura pecuniaria
riparatoria.
La corresponsione di una somma di denaro per
compensare il pregiudizio sofferto, diretta a ristorare il
danneggiato delle conseguenze negative subite a
causa della lesione di una propria posizione soggettiva
giuridicamente rilevante, rappresenta, pertanto, la
forma più comune di tutela (e si può anche dire, di
maggiore afflittività della pena per il danneggiante).
La liquidazione,
vale a dire la traduzione in
termini monetari del danno patito, avverrà tenendo
conto di parametri diversi a secondo della tipologia di
pregiudizio
lamentato,
patrimoniale
e/o
non
patrimoniale, che va provato secondo le regole
allo scopo di negare l'autorizzazione a procedere in giudizio
contro alcuni parlamentari e si affermava, inoltre, in
contrasto con la realtà dei fatti, il successo della presunta
manovra dilatoria, riteneva che l'ambito della tutela della
ricorrente non fosse esaurito dalla pubblicazione, tardiva e
non conforme alle modalità previste dall'art. 8 della legge
sulla stampa, di una lettera di rettifica, per cui ordinava
l'ulteriore pubblicazione, con qualche modifica, nella stessa
pagina del giornale in cui era comparso l'articolo all'origine
della controversia, unitamente al dispositivo dell'ordinanza
di accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c. che era stato
proposto.
.
231
ordinarie (più rigoroso il primo, anche per presunzioni
e per notorio, il secondo).
Accantonando provvisoriamente la tematica del
danno non patrimoniale, che sarà esaminata nel
successivo paragrafo, per quanto concerne quello di
natura patrimoniale va immediatamente precisato che
dall‟illegittima divulgazione di un‟immagine può
derivare, innanzi tutto, un pregiudizio pari al c. d.
“prezzo del consenso”200, da rendere in termini
monetari,
avendo
riguardo
alla
quotazione
pubblicitaria del soggetto raffigurato, per prestazioni
equivalenti rese nel periodo in cui è stato commesso
l'illecito, oppure all'indebito guadagno percepito dal
soggetto (ad esempio, l'editore di un rotocalco) che ha
diffuso
l'immagine,
ricavandone
un
beneficio
economicamente valutabile, o anche alla sottratta
possibilità dello sfruttamento dell'immagine del
soggetto danneggiato, quindi al rischio di una minore
appetibilità, a causa del c.d. "inflazionamento" o
“annacquamento”, dovuto alla pubblicazione (abusiva)
dell'immagine (e chiaramente, in questo caso, ci si
riferisce alla divulgazione eccessiva del ritratto di una
persona nota nel mondo dello spettacolo, dell'arte o
dello sport).
Pertanto anche nel nostro ordinamento è da
ritenersi salvaguardata quella posizione soggettiva
che nell'esperienza nordamericana è chiamata right of
publicity; infatti, sebbene non esista un autonomo
diritto personale avente ad oggetto la propria
200
Per la lesione del diritto all'identità personale,
invece, chiaramente, non si potrà mai parlare di prezzo del
consenso.
232
notorietà, tuttavia quest‟ultima ha una tutela
assicurata attraverso quella che ricevono il nome o
l'immagine della persona.
Va, peraltro, precisato che, non soltanto il
personaggio famoso, ma anche una persona non nota
può subire un pregiudizio a causa della illegittima
diffusione della propria immagine; in tal caso, può
risultare maggiormente difficoltosa non soltanto
l‟esatta determinazione del pregiudizio subito, non
potendo farsi ricorso a certi parametri (ad esempio la
quotazione pubblicitaria del ritratto per prestazioni
equivalenti), ma finanche la precisa individuazione del
pregiudizio201.
201
V., ad esempio, Cassazione civile , sez. I, 25 marzo
2003, n. 4366. Nella fattispecie, (il caso riguardava la
pubblicazione da parte di una rivista di moda, senza
consenso, di tre foto di una donna, risalenti a 25 anni
addietro, all'epoca modella, ma adesso fuori del mondo
patinato) la Suprema Corte, pur riconoscendo l'illiceità della
pubblicazione, in quanto era mancato il consenso
dell'interessata, e pur ammettendo in linea di principio che
anche la persona non nota può subire un pregiudizio
patrimoniale
e/o
non
patrimoniale
per
l'illecita
pubblicazione, in concreto negò, appunto, il risarcimento,
con il rilievo che non può parlarsi di danno in re ipsa, ma
che il pregiudizio, morale o patrimoniale che sia, attesa la
maggiore ampiezza dell'illecito in questione rispetto a quello
che si realizza nel caso di lesione del decoro, dell'onore o
della reputazione, deve essere provato secondo le regole
ordinarie, prova, che, nel caso in esame, non era stata
fornita, neppure approssimativamente, per cui non poteva
farsi ricorso neppure alla valutazione equitativa del danno ai
sensi dell'art 1226 cc, che legittima il giudice alla
determinazione del danno secondo equità, quando questo
sia certo, ma ne è incerto l'ammontare i termini pecuniari.
233
Oltre alla corresponsione di una somma di denaro
equivalente al pregiudizio subito, il nostro ordinamento
prevede, per come si è appena accennato, la forma di
tutela del risarcimento in forma specifica, che
dovrebbe costituire, a rigore, la forma principale di
eliminazione del pregiudizio.
Secondo la tesi maggioritaria202, infatti, la diretta
eliminazione degli effetti della lesione, mediante la
rimozione della causa dell'illecito e delle sue
conseguenze, rientra, per come si è detto, nel genus
risarcitorio, costituendo nel nostro ordinamento,
assieme al risarcimento per equivalente, uno dei modi
ordinari attraverso cui si può porre rimedio al danno
ingiusto.
A sostegno di questa tesi, si mette in evidenza
come il risarcimento in forma specifica presenti la
caratteristica tipica dello strumento risarcitorio,
costituendo una forma di reintegrazione dell‟interesse
del danneggiato mediante una prestazione diversa e
succedanea rispetto al contenuto del dovere di
salvaguardia del diritto altrui (o del rapporto
obbligatorio,
laddove
venga
in
rilievo
un
inadempimento).
Per come già detto, è da precisare che questo
strumento sostanziale non va confuso con altre
tecniche di tutela che, in realtà, si collocano su piani
202
Castronovo, Il risarcimento del danno in forma
specifica come risarcimento del danno, in Processo e
tecniche di attuazione dei diritti , a cura di Mazzamuto, I,
Napoli, 1989, 481; C. M. Bianca, Diritto civile. Vol. V: la
responsabilità, Giuffrè editore, Milano; F. Caringella, Corso
di diritto amministrativo. Tomo I, Giuffrè editore, 2005.
234
diversi, sebbene contigui203, come l‟azione di esatto
adempimento, l‟esecuzione forzata in forma specifica
(che è finalizzata all‟attuazione coercitiva di un diritto),
nonché l‟inibitoria (quale forma di tutela preventiva),
strumento processuale, di cui si è scritto nel capitolo
che precede.
Poiché il risarcimento in forma specifica non
costituisce una forma eccezionale né sussidiaria di
risarcimento, bensì uno dei modi mediante cui è
possibile reagire al danno subito -rimedio che, pur
essendo previsto ex. art. 2058 c.c. in materia di
responsabilità extracontrattuale, è ritenuto applicabile
anche all‟inadempimento- può concernere anche i
diritti della personalità.
In ogni caso dovrà tenersi conto dei due limiti
generali posti dall‟art. 2058 c.c. all‟utilizzabilità di
questo rimedio, vale a dire la effettiva possibilità di
farvi ricorso e la non eccessiva onerosità per il
debitore; di conseguenza non potrà essere disposto se
comporta un costo ampiamente sproporzionato
rispetto all‟entità del pregiudizio ed al vantaggio recato
a favore del creditore.
Accertata con sentenza definitiva l‟illegittima
violazione del diritto, pertanto, potrà essere disposto,
a favore del soggetto che abbia subito un pregiudizio
all‟immagine o un travisamento della propria identità
personale (anche, ad esempio, attraverso la falsa
attribuzione di opinioni o di comportamenti), a titolo di
risarcimento in forma specifica, il compimento da
203
Salvi, Il risarcimento del danno in forma specifica, ,
in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, I, Napoli,
1989.
235
parte del danneggiante di tutti quegli atti idonei
all‟eliminazione del pregiudizio e della sua fonte, come
il ritiro dal commercio dell‟opera lesiva (libro, film,
rivista ecc.), oppure la distruzione della stessa, o la
cancellazione di quelle frasi o parti ritenute
pregiudizievoli, eventualmente accompagnata da una
risposta da parte del soggetto interessato, oppure la
divulgazione, con lo stesso mezzo e la medesima
ampiezza dati al comportamento abusivo, della esatta
opinione dell'interessato.
§ 2 IL DANNO NON PATRIMONIALE
2-a) La tematica del danno non patrimoniale,
derivante dalla lesione di diritti costituzionalmente
garantiti, ha ricevuto negli ultimi anni interessanti
impulsi grazie all‟opera della dottrina e della
giurisprudenza, le quali, dopo avere dapprima
ricondotto la fattispecie della lesione di tali diritti
nell'alveo dell'articolo 2043 c.c., sulla base di una
lettura
costituzionalmente
orientata
di
tale
disposizione, provocata da ripetute rimessioni alla
Corte costituzionale della questione di legittimità
dell'articolo 2059 c.c, infine hanno portato ad una
nuova lettura dell‟art. 2059 c.c., anche questa
“costituzionalmente orientata”,
tale da superare gli
stringenti limiti a cui, secondo l‟interpretazione
tradizionale di tale norma, era sottoposta la
risarcibilità di questa tipologia di pregiudizio.
2-b) Sul punto, nel capitolo concernente gli enti
collettivi, e precisamente nel paragrafo relativo alle
236
persone giuridiche pubbliche, si è scritto della
interpretazione restrittiva che la Corte dei conti diede,
con la sentenza n. 10 del 2003, all‟articolo 2059 c.c.,
limitandone l‟ambito al danno c. d. “morale”, sulla
base delle pronunce del Giudice di legittimità e del
Giudice delle leggi, sino ad allora intervenute, con la
conseguenza che, al fine di giustificare giuridicamente
il ristoro degli altri danni di natura non patrimoniale,
ritenne di ricondurli nell‟alveo dell'articolo 2043 c.c..
La Corte dei conti, in tale sede, soprattutto, sulla
base delle argomentazioni contenute nell'ordinanza
della Corte costituzionale 22 luglio 1996, n. 293,
accolse e fece propria, accanto a quelle del danno
patrimoniale e del danno morale, una terza categoria,
e cioè quella del danno esistenziale, anche questa
relativa ai danni non patrimoniali, al pari di quella del
danno morale, nella quale fare confluire oltre il danno
biologico (costituzionalmente riconosciuto ai sensi
dell'articolo 32 Costituzione), anche gli ulteriori danni
risarcibili, in quanto conseguenti a lesione di altri diritti
fondamentali, come, appunto, quelli all'immagine e
all'identità personale.
Mediante tale ricostruzione teorica, affermò la
risarcibilità, da parte dello stesso giudice contabile, dei
danni all'immagine e all'identità personale, subiti da
enti pubblici, e altri soggetti a questi assimilati ai fini
della giurisdizione contabile (ad esempio le società
aventi come unico socio lo Stato: ad esempio l'ANAS).
La elaborazione sistematica di tale terza
categoria, costituita dal danno esistenziale, peraltro, è
stata ripudiata in prosieguo dalla Suprema Corte di
237
Cassazione, in ultimo con la sentenza delle Sezioni
Unite civili 11 novembre 2008, n. 26973204.
2-c) A prescindere dalla sistemazione teorica
data alla materia205, va rilevato, peraltro, che, posto
che immagine ed identità personale godono di un
indubbio fondamento costituzionale, la tutela di queste
posizioni soggettive, nella sostanza è risultata
arricchita da questo travaglio giurisprudenziale (con
connotazioni
dottrinarie),
nel
senso
che
sembrerebbero definitivamente (si spera) fugati i
dubbi in ordine alla possibilità di riconoscere al titolare
del diritto il risarcimento del danno derivante dalla
lesione di interessi, che, proprio per il loro alto valore
e per l'attinenza a diritti fondamentali dell'uomo, si
presentano di solito, come tali, di natura non
patrimoniale, in quanto insuscettibili, secondo la
coscienza sociale, di valutazione economica, e ciò non
perché di scarsa valenza, bensì, all'opposto, perché
una commisurazione, secondo schemi rigidamente
patrimoniali, sarebbe semplicemente riduttiva.
2-d) Si è detto che la disposizione fondamentale
civilistica riguardo al danno aquiliano e contenuta
nell'articolo 2043, che fissa condizioni e presupposti.
Il successivo articolo 2059 dispone, però, come
limite al risarcimento, che il danno non patrimoniale è
risarcito solo nei casi determinati dalla legge. Secondo
204
in F. it. 2009, I, 120 e segg. con note .
e che, ad avviso di chi scrive, è più compito della
dottrina che non della giurisprudenza, la quale dovrebbe
esprimere solo giudizi su casi concreti e non operare
costruzioni sistematiche della materia giuridica
205
238
l'interpretazione tradizionale la disposizione consentiva
il risarcimento di questo tipo di pregiudizio,
esclusivamente nel caso della sussistenza di una
norma primaria, che contemplasse espressamente la
condanna al risarcimento del danno non patrimoniale,
e, quindi, soltanto se, per quella tipologia di fatto
illecito, vi fosse stata da parte del legislatore
un‟esplicita previsione in tal senso.
Si è
accennato al fatto
che,
all‟epoca
dell‟emanazione del codice civile del 1942 l‟unica
previsione esplicita era quella contenuta nell‟art. 185
c.p. (danno conseguente a reato), mentre soltanto in
seguito sono state introdotte
altre ipotesi di
riconoscimento espresso del risarcimento dei danni
non patrimoniali (ad esempio, quello che derivi da
privazione della libertà personale, nei casi di
responsabilità civile del giudice, ai sensi dell'articolo 2
della legge 13 aprile 1988, n. 117, quello per illecito
trattamento di dati personali, quello derivante da
irragionevole durata del processo206, ex lege n. 89 del
2001, della quale si è già detto).
206
A questo proposito, va peraltro precisato che la
Suprema Corte di Cassazione, al fine di arginare le
numerose richieste di risarcimento del danno non
patrimoniale per lungaggini processuali, soprattutto per i
ritardi di decenni accumulati nei giudizi amministrativi, ha
escluso categoricamente la sussistenza di un danno non
patrimoniale per l'ansia dell'eccessivo prolungarsi del
giudizio, e, quindi, per il perdurare dell'incertezza
sull'assetto
delle
posizioni
coinvolte
dal
dibattito
processuale, in presenza dell'originaria consapevolezza
dell'inconsistenza della propria pretesa (ma il discorso, che
vale per il ricorrente, ovviamente potrebbe non valere per
l'eventuale controinteressato innocente coinvolto nella lite):
239
Pertanto per lungo tempo prevalse la tesi secondo
cui
l‟art.
2059
c.c.
dovesse
essere
letto,
essenzialmente, in rapporto all‟art. 185 c.p. che,
prevedendo, in caso di reato, l‟obbligo per il colpevole
del risarcimento del danno patrimoniale e non,
andava a rappresentare, se non proprio l‟unica,
sicuramente la più significativa ipotesi di risarcibilità
del danno non patrimoniale207.
Secondo l‟impostazione giuridica tradizionale,
quindi, il danno non patrimoniale, risarcibile nei limiti
fissati dall'art. 2059 c.c., andava ad identificare e ad
esaurire, in buona sostanza, col c.d. “danno morale
soggettivo”, vale a dire quei patimenti dell‟animo e
sofferenze spirituali derivanti da una fattispecie di
reato.
Si metteva in evidenza, in particolare, come il
principio della irrisarcibilità dei danni non patrimoniali,
e –viceversa- della generale risarcibilità ex art. 2043
c.c. di quelli patrimoniali, fosse collegato alla
tradizionale concezione del diritto privato, quale
sistema posto a tutela di interessi economici; per
questa ragione le posizioni soggettive insuscettibili di
diretta valutazione economica, e salva la possibilità di
ricorrere alla valutazione equitativa del danno
(comunque patrimoniale) ex art. 1226 c.c., dovevano
essere considerate irrisarcibili, salvo ipotesi specifiche
connotate dalla rilevanza pubblica di taluni valori
(proprio come nel caso di danni da reato, posto che le
V. Cass. Sez. I 22 ottobre 2008, n. 25595, in Mass. Giur. it.
anno 2008.
207
Bonilini, Danno morale, in Digesto delle discipline
privatistiche, Sezione civile, V, Torino, 1989.
240
norme penalistiche tutelano proprio beni-interessi di
rilievo pubblico)208.
In dottrina, peraltro, non mancavano alcune voci
discordanti,
orientate
verso
un
generalizzato
riconoscimento della risarcibilità del danno non
patrimoniale in tutte le ipotesi di lesione di diritti
fondamentali dell‟uomo, sul presupposto che le
specifiche
norme
statuenti
espressamente
la
risarcibilità di danni personali dovessero essere intese
come espressione del generale principio di tutela della
persona umana sancito ex artt. 2 e 3 della
Costituzione209.
Questa esposizione dei principali orientamenti del
passato,
relativi
al
danno
non
patrimoniale,
rappresenta il necessario presupposto per meglio
comprendere tutte le questioni attinenti alla tutela
risarcitoria del diritto all‟immagine e del diritto
all‟identità personale.
Poiché, infatti, era nettamente prevalente
l‟interpretazione tradizionale dell‟art. 2059 c.c.,
secondo cui la disposizione in questione si riferiva
esclusivamente al caso in cui il fatto dannoso rivestiva
carattere di reato210 non erano poche le difficoltà
208
Alpa e Bessone, Danno non patrimoniale, in La
responsabilità civile, V, Torino, 1987.
209
G. B. Ferri, in Rdcomm, 1984, I, 151; Rabitti
Bedogni, in Giustizia civile, 1986, I, 570.
210
Interpretazione, peraltro, che aveva un preciso
riferimento nella stessa relazione al codice civile, secondo
la quale «soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa
all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una
più energica repressione con carattere anche preventivo».
241
incontrate al fine di riconoscere il risarcimento anche
del pregiudizio non patrimoniale in capo all‟avente
diritto, in altre ipotesi che apparivano anche queste
meritevoli di tutela, seppur non collegate alla
commissione di illeciti, costituenti reato.
Accogliendo la lettura più restrittiva, basata sul
necessario collegamento tra questa disposizione ed il
disposto di cui all‟art. 185 c.p., infatti, si finiva per
considerare risarcibile il danno non patrimoniale
esclusivamente nelle ipotesi in cui fosse ravvisabile,
accanto all‟abusiva divulgazione dell‟immagine e/o
l‟alterazione dell‟identità personale, una fattispecie –
quantomeno materiale- di reato, quindi un fatto lesivo
di un interesse penalmente tutelato,
come, ad
esempio, l‟onore o la reputazione.
In altre parole, la violazione del diritto
all‟immagine ed all‟identità personale non era ritenuta
sufficiente al fine di riconoscere all‟interessato, oltre al
risarcimento del pregiudizio patrimoniale, anche quello
di natura non patrimoniale, a meno che non si fosse
nel contempo realizzata anche la lesione di un
interesse rilevante per la legge penale (come, ad
esempio, nel caso di attribuzione denigratoria di un
certo comportamento, o divulgazione di un‟immagine
tale da compromettere la dignità del soggetto ritratto
e tale da fare ipotizzare quanto meno una
diffamazione).
Tuttavia non erano mancati tentativi rivolti al
riconoscimento di una più ampia tutela risarcitoria, che
prescindesse dalla sussistenza di una fatto materiale di
reato, senza comunque ricorrere ad un‟interpretazione
dell‟art. 2059 c.c. del tutto distaccata da quella
tradizionale.
242
In particolare, era stato rilevato come la norma
consentisse espressamente il risarcimento del danno
non patrimoniale in tutti i “casi determinati dalla
legge”, quindi, non soltanto nelle fattispecie costituenti
reato, ma anche in altre ipotesi di norme diverse da
quelle penali, che, prevedendo un illecito di natura
civile, facessero generico riferimento al risarcimento
del danno211.
Di conseguenza, l‟esplicito riconoscimento da
parte dell‟art. 10 c.c. del diritto al risarcimento del
danno
nel
caso
di
illegittima
divulgazione
dell‟immagine, può avere senso soltanto se riferito al
pregiudizio non patrimoniale, quindi al fine di precisare
che quella fattispecie riceve una tutela in linea di
principio omnicomprensiva212.
Dalla pubblicazione illegittima di un‟immagine,
infatti, un soggetto può subire delle conseguenze
pregiudizievoli sia di natura patrimoniale (da valutare
in relazione al c.d. “prezzo del consenso”), sia non
patrimoniale, vale a dire insuscettibili di una diretta
valutazione economica, secondo la coscienza sociale, e
proprio a queste ultime si riferirebbe l‟art. 10 c.c..
211
Questa risulta, appunto, la ricostruzione iniziale,
riguardo alla risarcibilità dei danni non patrimoniali per
lesione dell'immagine, effettuata dalla Corte dei conti –
Sezioni riunite – n. 10 del 23 aprile 2003, richiamata nel
paragrafo concernente il danno alle persone giuridiche
pubbliche.
212
Breccia, Delle persone fisiche, in Comm. Scialoja –
Branca, a cura di Galgano (artt. 1-10 c.c.), Bologna –
Roma, 1988, 475
243
In caso contrario, infatti, la previsione sarebbe
inutile, poiché la risarcibilità del danno ingiusto di
natura patrimoniale è espressione di un principio
generale sancito dall‟art. 2043 c.c., che non necessita,
quindi, di esplicite statuizioni contenute in singole
norme.
Di conseguenza l‟art. 10 c.c. (ma ugualmente può
dirsi per il diritto al nome ed allo pseudonimo ex artt.
7 e 9 c.c) poteva, secondo questa interpretazione,
essere considerato uno di quei “casi determinati dalla
legge” di cui all‟art. 2059 c.c. nei quali il danno non
patrimoniale può essere risarcito.
In tal modo, pertanto, da un lato veniva
mantenuta ferma la tradizionale interpretazione
dell‟art. 2059 c.c., secondo la quale è necessaria
un‟esplicita previsione di legge al fine di ammettere la
risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale, dall‟altro,
tuttavia, si svincolava la piena tutela del diritto
all‟immagine dalla ricorrenza di una fattispecie
materiale di reato, ritenendosi che la previsione di cui
all‟art. 10 c.c. rappresentasse una delle ipotesi diverse ed ulteriori rispetto all‟art. 185 c.p.- di
risarcibilità del danno non patrimoniale.
Partendo da queste considerazioni, inoltre, la
possibilità di riconoscere il risarcimento del danno non
patrimoniale poteva essere ulteriormente ampliata,
mediante un'interpretazione estensiva dell‟art. 10 c.c.,
ad altri aspetti della personalità, come l‟identità
personale.
Non soltanto nella dottrina, ma anche nella
giurisprudenza anteriore al 2003 –anno in cui, come
sarà evidenziato, si è imposta una lettura dell‟art.
2059 c.c. diversa da quella tradizionale- emergono
244
alcune incertezze ed oscillazioni in ordine alla via da
percorrere per riconoscere la risarcibilità del danno
non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto
all‟immagine ed all‟identità personale.
Nella decisione relativa al caso -esaminato in
precedenza- del sacerdote illegittimamente ritratto in
un volantino elettorale213, ad esempio, dopo avere
affermato che la pubblicazione integra la violazione del
diritto all‟identità personale, protetto ex art. 2 Cost., in
quanto l‟immagine era avulsa dal contesto originale ed
inserita in uno diverso, con conseguente travisamento
del patrimonio intellettuale, politico, ideologico del
rappresentato, si riconosce anche il diritto al
risarcimento del danno, da liquidare in via equitativa
ex art. 1226 e 2056 c.c., tenuto conto della
riconoscibilità del raffigurato, della entità della
divulgazione, dei destinatari e dell'attitudine lesiva del
testo a corredo.
La sentenza, tuttavia, piuttosto che accogliere
una interpretazione dell‟art. 2059 c.c. diversa da
quella tradizionale, giunge al riconoscimento della
risarcibilità del pregiudizio derivante dalla lesione
dell‟identità personale mediante estensione della
nozione di patrimonio, come qualcosa comprendente
non soltanto utilità economiche, ma anche beniinteressi culturali, familiari e sociali.
Accogliendo una nozione di patrimonio così
ampia, il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ha
finito, pertanto, per avere dei contorni molto ristretti,
213
Tribunale Verona, 26 febbraio 1996, Brutti c. Lega
Nord e altro, in Giur. merito 1997, 32, cit.
245
identificandosi ed esaurendosi col danno morale
soggettivo da reato.
La problematica relativa alla risarcibilità del
pregiudizio non patrimoniale derivante dalla violazione
di interessi aventi fondamento costituzionale, come
immagine ed identità personale, è stata superata negli
ultimi anni grazie all‟impulso della giurisprudenza che,
dopo diversi tentativi, peraltro avallati dal Giudice
delle leggi, di fare rientrare il risarcimento del danno
non patrimoniale, in tali casi, nell'alveo dell'articolo
2043, mediante una lettura “costituzionalmente
orientata” di questa norma, infine ha accolto una
lettura dell‟art. 2059 c.c. più ampia rispetto a quella
tradizionale e, in particolare, svincolata dal necessario
collegamento all‟art. 185 c.p., quindi alla ricorrenza di
un fatto di reato.
2-e) È da dire che è stato un percorso
travagliato, che è incominciato, allorquando i giudici di
merito, acquisita una maggiore sensibilità riguardo a
casi di morte o di lesioni personali da incidente
stradale, nei quali non era intervenuta pronuncia
penale di condanna a carico del danneggiante, si sono
posti il problema della risarcibilità del danno morale e
di altri tipi di danno non patrimoniale, ad esempio,
quello biologico, che in base alla dottrina e
giurisprudenza non trovavano tutela, malgrado che
riguardassero valori fondamentali dell'individuo.
Le questioni, quindi, cominciarono ad essere
sollevate, di solito alternativamente, con riguardo agli
articoli 2043 e 2059 del Codice civile.
246
La ragione di tale scelta è evidente. Le norme di
riferimento riguardo al danno aquiliano sono le due
sopra citate.
L'articolo 2043 prevede il risarcimento del danno
ingiusto (senza alcuna specificazione se patrimoniale o
non) causato da un fatto doloso o colposo.
A sua volta, il successivo articolo 2059 stabilisce
che il risarcimento del danno non patrimoniale è
dovuto solo nei casi determinati dalla legge.
La seconda disposizione limita, quindi, l'ambito
della disposizione contenuta nell'articolo 2043.
La Corte costituzionale con due pronunce di pari
data n. 87 e n. 88 del 26 luglio 1979214, chiamata ad
affrontare, rispettivamente, con il primo giudizio, una
questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2059
c.c., nella parte in cui, in correlazione con quanto
disposto dall'art. 185 cod. pen., limita la risarcibilità
dei danni non patrimoniali a quelli derivanti da fatti
illeciti costituenti reato, e con il secondo una questione
di legittimità costituzionale dell'articolo 2043 c.c., con
riferimento agli articoli 3, 24 e 32 della Costituzione,
riaffermò per entrambe la legittimità costituzionale,
ribadendo con la prima decisione215, che non ha
fondamento giuridico l'assunto riguardante la asserita
sussistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto
incondizionato al risarcimento del danno non
patrimoniale, al di fuori delle ipotesi in cui il fatto
214
Entrambe in Juris Data – Ed. Giuffrè.
Nella fattispecie si era verificato un incidente
mortale da circolazione stradale e i due responsabili erano
stati assolti dal giudice penale dal reato di omicidio colposo
loro ascritto, rispettivamente, per difetto e per insufficienza
di prove sull'elemento soggettivo.
215
247
costituisca reato, e con la seconda, che la questione
appariva irrilevante, atteso che il danneggiato trovava
tutela nell'articolo 2059 c. c., dal momento che per il
fatto era intervenuta pronuncia penale di condanna nei
confronti del convenuto.
Meno di un decennio dopo, il Giudice delle leggi,
venne chiamato di nuovo a pronunciarsi a seguito di
una vicenda giudiziaria, anche questa avente ad
oggetto il risarcimento dei danni subiti a seguito di un
incidente stradale, sulla legittimità costituzionale
dell'art. 2059 codice civile, nella parte in cui prevede
che il c.d. danno biologico (inteso come danno non
patrimoniale derivante dalla lesione del diritto,
costituzionalmente garantito, alla tutela della salute)
sia risarcibile soltanto in conseguenza di un reato in
riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., sollevata proprio
qualche mese dopo la pubblicazione della decisione di
rigetto.
Poteva apparire una vera e propria provocazione,
ma la questione venne provvidenzialmente decisa
sette anni dopo216, e quindi, dopo che erano maturati
ulteriori tempi di riflessione.
Questa volta la Corte, dopo avere dato atto che
l'esame della legislazione e dei relativi lavori
preparatori nonché della giurisprudenza e della
dottrina induceva a ritenere che nella nozione di danno
non patrimoniale, di cui all'art. 2059 c.c., vi fossero
compresi soltanto i danni morali subiettivi, considerava
che, in effetti, il danno evidenziato nell'ordinanza di
rinvio, si riferiva chiaramente alla salute, bene
216
Sentenza 14 luglio 1986, n. 184, in Juris Data – Ed.
Giuffrè.
248
giuridico costituzionalmente tutelato dall'art. 32 Cost.,
la cui lesione comporta di per se la menomazione biopsichica del soggetto offeso, mediante l'impedimento
delle manifestazioni delle attività extralavorative non
retribuite, che, accanto alle attività lavorative
retribuite, esprimono, realizzandola, la salute in senso
fisio-psichico della persona umana.
Proprio in quanto espressione di un valore della
persona, costituzionalmente protetto dall'articolo 32,
la lesione di tale diritto meritava piena riparazione,
che non poteva essere preclusa o limitata da
legislatore alle ipotesi di reato.
È vero che anche questa decisione fu
formalmente di rigetto, ma con l'argomentazione
secondo cui un problema di costituzionalità si sarebbe
posto, se nell'ordinamento non fossero esistite altre
norme o non fossero rinvenibili altri principi relativi al
danno biologico e, pertanto, quest'ultimo fosse
risarcibile solo ai sensi dell'art. 2059 c.c..
L'ulteriore passo della Corte fu che il collegamento
tra l'art. 32 Cost. e l'art. 2043 c.c., imponendo una
lettura "costituzionale" di quest'ultimo articolo,
consentiva di interpretarlo come comprendente il
risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: era la
lettura "costituzionale" dello stesso articolo, da
ritenersi una sorta di "norma in bianco", in quanto non
indicava i beni giuridici la cui lesione era da ritenersi
vietata, da individuarsi in altre norme -e per quel che
qui interessa- nei precetti della Costituzione, quali
valori fondamentali.
E, infatti, portando l'esame all'articolo 2043 del
Codice civile, nel cui alveo si ritenne che la questione
249
andasse risolta, la Corte sottolineò che per rendere
pienamente efficace la tutela dei valori fondamentali,
occorreva procedere ad “una rilettura costituzionale di
tutto il sistema codicistico dell'illecito civile”, con la
conseguenza che l'articolo 2043 andava
esteso fino a comprendere il risarcimento, non
solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma, con la
sola esclusione dei danni morali soggettivi (per
intenderci, la pecunia doloris, limitata ai casi di reato),
di tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano
le attività realizzatrici della persona umana.
Alla luce di tali argomentazioni, che hanno
costituito la chiave di volta delle interpretazioni future,
la Corte, con una decisione formalmente di rigetto, ha
aperto le porte dell'ammissibilità del ristoro del danno
non patrimoniale – a parte quello morale soggettivo,
limitato alle ipotesi di reato217- , a tutte le ipotesi di
lesione degli altri valori aventi rilevanza costituzionale.
Con la successiva sentenza 27 ottobre 1994, n.
372, la Corte, sempre con formale riferimento
all'articolo 32 della Costituzione, si spinse ad
individuare un danno non patrimoniale risarcibile
217
Ma, anche a questo proposito -come si vedràoffrendo ulteriori aperture per i casi di illecito, molto
prossimi a quelli penali: V., ad esempio, Cassazione civile ,
sez. III, 10 ottobre 2007, n. 21281, in Juris Data – Ed.
Giuffrè.
secondo cui la risarcibilità del danno non
patrimoniale ex art. 2059 c.c. e 185 c.p. non postula il
positivo accertamento della colpa del danneggiante qualora
questa, come nel caso di cui all’art. 2054 c.c., debba
ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e
se, ricorrendo la colpa, il fatto sia qualificabile come reato.
250
anche nel caso del danno morale, che, anziché
esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato
d'angoscia transeunte, fosse degenerato in un trauma
fisico o psichico permanente, con perdita in termini di
qualità della vita, mentre con la successiva sentenza
22 luglio 1996, n. 293 tornava a ribadire che il danno
morale, che non fosse debordato nei termini di cui si è
appena detto e che fosse rimasto nell'ambito
soggettivo, non essendo assistito dalla garanzia
dell'art.
32
Costituzionale
poteva
essere
discrezionalmente
limitato
dal
legislatore
a
determinate ipotesi, come quelle, appunto, sanzionate
dall'art. 185 cod. pen., cui rinvia sotto questo aspetto
l'art. 2059 cod. civ.
2-f) Questo lo stato della giurisprudenza,
allorquando, la Corte di Cassazione218, con due ormai
celebri sentenze emesse nel 2003, nonché, nel
medesimo anno,
la Corte Costituzionale219, sono
218
Corte di Cassazione, 31/5/2003 nn. 8827 e 8828, in
Foro it., 2003, I, 2272, con nota di Navarretta “Danni non
patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente”.
219
Corte Costituzionale, 11/7/2003 n. 233, Foro it.,
2003, I, 2201, con nota di Navarretta “La Corte
Costituzionale e il danno alla persona in fieri”. Va, peraltro,
rilevato come l'ampliamento della portata della disposizione
contenuta nell'articolo 2059 ad altre ipotesi di illecito
diverse dal reato, in concreto ha costituito – nella sentenza
– un obiter dictum, dal momento che, in buona sostanza, la
Corte ha di fatto ampliato – per giustificare la risarcibilità
del danno non patrimonale – l'ambito di operatività
dell'articolo 185, facendo rientrare nella nozione di reato, ivi
contemplata, qualunque caso di attribuzione, ope legis, di
una responsabilità
di natura civile, per un fatto
astrattamente costituente reato (Nella fattispecie si trattava
251
giunte ad accogliere una nuova lettura dell‟art. 2059
c.c., quale norma non avente, come sostenuto in
passato, funzione “preventiva - sanzionatoria”, vale a
dire deterrente, bensì “tipizzante”, in quanto diretta
essenzialmente a stabilire quando il danno non
patrimoniale è risarcibile.
Il danno non patrimoniale è stato, quindi,
sottratto dall'alveo dell'articolo 2043 e ricondotto
nell'ambito del successivo articolo 2059, con una
nuova rilettura delle disposizioni in questo contenute.
Di conseguenza, questa norma è stata sganciata
dal necessario collegamento con l„art. 185 c.p. –che
portava a riconoscere la risarcibilità del danno non
patrimoniale essenzialmente soltanto quando fosse
ravvisabile una fattispecie di reatofinendo per
ricomprendere, oltre alla classica figura del danno
morale soggettivo, tutte le ipotesi di pregiudizio
derivante da lesione di diritti costituzionalmente
garantiti.
Si è argomentato che, dopo l‟entrata in vigore
della Costituzione, il rinvio ai “casi consentiti dalla
legge”, presente nell‟art. 2059 c.c, deve essere riferito
anche alle previsioni della Legge fondamentale, in
quanto la circostanza che certi diritti –come immagine,
identità personale, salute ecc.- inerenti la persona
abbiano fondamento nella Costituzione è di per sé
di un incidente mortale da circolazione di veicoli, riguardo al
quale il giudice, adito in sede civile da alcuni familiari della
persona deceduta, in mancanza di precise prove sullo
svolgimento dei fatti, si era indotto ad applicare la
presunzione di responsabilità di stabilita nell'articolo 2054
c.c.).
252
indicativo della volontà del legislatore di accordare loro
piena tutela, anche risarcitoria.
Pertanto quando la lesione riguarda diritti aventi
fondamento nella Costituzione, un‟interpretazione
conforme alla medesima impone di ritenere il
risarcimento del danno non patrimoniale svincolato dai
limiti di cui all‟art. 185 c.p.
Resta, invece, ferma l'impossibilità di risarcire il
danno non patrimoniale, in assenza di una ingiustizia
costituzionalmente qualificata, e cioè, quando non
derivi –in assenza di una disposizione espressa del
legislatore ordinario- dalla violazione di un valore
costituzionalmente riconosciuto220.
Di conseguenza, nell‟ambito dell‟art. 2059 c.c.
rientrano –secondo questa nuova interpretazione
“costituzionalmente orientata”- ogni danno di natura
non patrimoniale derivante dalla lesione di valori
inerenti alla persona: quindi oltre alla classica figura
del danno morale soggettivo da reato, anche il danno
biologico (da lesione dell‟integrità fisico-psichica
medicalmente accertata), nonché tutte le altre ipotesi
di pregiudizio (spesso definito in dottrina ed in
giurisprudenza come “esistenziale”) connesso ad una
violazione di altri interessi di rango costituzionale.
Si va a definire, pertanto, un sistema bipolare
fondato sulla dicotomia tra danno non patrimoniale –
220
V., in tal senso, Cassa. Sez. III civile, 9 aprile 2009,
n. 8703, inedita, che ha annullato senza rinvio la decisione
di un giudice di pace, che aveva riconosciuto, per violazione
del principio del “neminem ledere”, il danno non
patrimoniale consistente nel turbamento di un contribuente,
per il comportamento posto in essere da un'agenzia delle
Entrate.
253
previsto dall‟art. 2043 c.c.- e danno non patrimoniale
ax art. 2059 c.c., in quanto quest‟ultimo, liberato dalla
tradizionale interpretazione della riserva di legge, si
pone sullo stesso piano di quello patrimoniale, purché
la violazione riguardi un diritto avente fondamento
nella Costituzione221.
Da
questa
nuova
interpretazione
–ormai
consolidatadiscende
che
il
pregiudizio
non
patrimoniale derivante dalla violazione del diritto
all‟immagine e del diritto all‟identità personale è senza
dubbio risarcibile, in quanto si tratta di posizioni
soggettive costituzionalmente rilevanti, sempre che sia
ravvisabile un‟effettiva compromissione delle attività
realizzatrici della persona, non avente natura
meramente
emotiva
ed
interiore,
bensì
oggettivamente accertabile attraverso la prova di
scelte di vita diverse da quelle che altrimenti si
sarebbero fatte222.
2-g) Sulle condizioni e sui limiti della risarcibilità
del
danno
non
patrimoniale
è
intervenuta
recentemente una pronuncia delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, diretta a chiarire alcuni aspetti
relativamente ai quali erano sorti dubbi che avevano
portato a decisioni opposte, anche all‟interno della
stessa Suprema Corte223.
221
Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno
morale: una svolta per il danno alla persona, in Corriere
giuridico, 8/2003, 1032.
222
Corte di Cassazione, sezioni unite civili, n.
6572/2006.
223
Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sent.
11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009, I, 120, con note di
254
In particolare, viene esclusa (accanto alla
tradizionale figura del danno morale soggettivo da
reato) la configurabilità di un‟autonoma categoria
denominata “danno esistenziale”, poiché il danno non
patrimoniale non è suscettibile di divisione in
sottocategorie variamente etichettate.
E‟ corretto, invece, parlare di danno non
patrimoniale, inteso nella sua accezione più ampia di
danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la
persona , anche se non connotati da rilevanza
economica,
derivante
da
lesione
di
diritti
costituzionalmente garantiti, per il cui risarcimento
occorre la verifica della sussistenza degli elementi nei
quali si articola l'illecito civile aquiliano, per come
definito dall'articolo 2043 del Codice civile. Il
successivo articolo 2059, a sua volta, non delimita una
diversa fattispecie di illecito, bensì pone dei limiti alla
risarcibilità di quello non patrimoniale, come sopra
inteso, ai casi stabiliti dalla legge, comprendendo in
tale dizione non solo l'articolo 185 del Codice penale,
bensì ogni altra disposizione normativa ordinaria che lo
preveda,
nonché
le
disposizioni
della
Carta
costituzionale che riconoscono e danno tutela ai diritti
fondamentali o inviolabili, tra i quali sono da
annoverare il dritto all'immagine, al nome, all'identità
personale e così via.
A. Palmieri “La rifondazione del danno non patrimoniale,
all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche
attenuazione) e dell’unitarietà”; di R. Pardolesi e R. Simone
“Danno esistenziale (e sistema fragile: die hard”); di G.
Ponzanelli “Sezioni unite: il nuovo statuto del danno non
patrimoniale”; e di E. Navarretta “Il Valore della persona nei
diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali”.
255
La risarcibilità del danno non patrimoniale nel
caso di lesione di diritti fondamentali, tra i quali,
appunto, quelli di cui si è trattato nel presente lavoro,
discende quindi, dal fatto che la tutela di questi è
costituzionalmente prevista e che il principio minimo di
tutela costituzionale comprende necessariamente
quella risarcitoria, senza alcun limite al solo danno
patrimoniale.
Per come si è detto, anche per il danno non
patrimoniale, in quanto aquiliano, valgono le regole
fissate nell'articolo 2043, in ordine alla prova della
sussistenza di tutti gli elementi che lo compongono:
condotta – nesso causale tra condotta ed evento
dannoso, che deve essere connotato da ingiustizia (e,
quindi, assenza di una causa di giustificazione) –
danno (come danno conseguenza).
A parte la distinzione tra danno patrimoniale e
danno non patrimoniale, contenuta nel Codice, ogni
altra fattispecie di danno (non patrimoniale) è
meramente descrittiva degli innumerevoli tipi di
pregiudizio.
Il danno non patrimoniale, inteso come dannoconseguenza e non come danno in re ipsa, va allegato
e provato, ma, chiaramente, non in termini
quantitativi, appunto perché il danno non è di natura
patrimoniale: a tal fine il giudice può fare ricorso a
presunzioni, ma il danneggiato deve pur sempre
allegare tutti gli elementi idonei a fornire, nella
concreta fattispecie, la serie concatenata di fatti noti
attraverso cui risalire a quelli ignoti, mentre per la sua
quantificazione in denaro il giudice ovviamente si
avvale dei poteri previsti dall'articolo 1226 del Codice
civile.
256
La Suprema Corte, inoltre, precisa che l‟offesa al
diritto avente fondamento costituzionale deve essere
grave ed il pregiudizio serio.
Poiché
diritto
all‟immagine
ed
all‟identità
personale sono riconosciuti quali posizioni soggettive
costituzionalmente rilevanti, le osservazione contenute
nella pronuncia in esame appaiono utili anche per
risolvere alcuni dubbi in ordine alla risarcibilità del
pregiudizio non patrimoniale derivante dalla loro
violazione.
§ 3 CONCLUSIONI
Riepilogando sul danno non patrimoniale
Il diritto all'immagine e all'identità personale
appartiene alla categoria dei diritti fondamentali
dell'uomo, e precisamente fa parte dei diritti della
personalità, che ne rappresenta la parte più cospicua e
appariscente.
Per tale ragione, partendo da una tutela
ammessa, soltanto se collegata a comportamenti in
qualche modo denigratori dell'onore
e della
reputazione, si è passati a una tutela sempre più
incisiva, che prescinde dalla prova di un concreto
pregiudizio per l'interessato - sia esso una persona
fisica, una persona giuridica, pubblica o privata, o una
qualsiasi aggregazione, permanente o temporanea,
purché costituita per scopi che rientrino nell'ambito
dell'articolo 2 della Costituzione oppure in altre
disposizioni della stessa aventi valenza di principi
fondamentali (salute, famiglia ecc.)- il quale ha diritto
di essere rappresentato per quello che egli è ed è
riconosciuto nella comunità in cui si relaziona, senza
257
che gli vengano attribuiti profili e opinioni, che, seppur
oggettivamente non denigratori e neutri, non
corrispondono a quelli che costituiscono la sua identità
e il suo sentire di se.
La Suprema Corte con l'ultima sentenza osserva
che una tutela minima dei valori inviolabili, riconosciuti
e tutelati dalla Carta Costituzionale, non può non
ricomprendere il risarcimento in tutte le sue forme, e,
quindi, anche quello non patrimoniale, che può
ricomprendere varie tipologie, meramente descrittive
della varietà del pregiudizio che il danneggiato può
subire, ma che non costituiscono rigide categorie o
sottocategorie in cui incasellare necessariamente il
danno stesso.
Per la prova del danno valgono valgono, peraltro,
le disposizioni contenute nell'articolo 2043 del Codice,
con la sola precisazione che, riguardo alla
quantificazione va fatto riferimento necessario alla
valutazione equitativa prevista nell'articolo 1226 del
Codice.
Quindi qualsiasi pregiudizio di natura non
patrimoniale per la lesione del diritto all'immagine e
all'identità personale deve essere risarcito, ferma
restando una seria allegazione e comprova.
Per finire va rilevato che il ristoro del danno di
natura non patrimoniale, derivante da lesione
dell'immagine e dell'identità personale, ha superato
anche lo scoglio dei presupposti indicati nell'articolo
2043 (colpa o dolo – danno iniuria datum).
Al riguardo è significativo, che, pur in assenza
della ingiustizia del pregiudizio, dal momento che si è
in presenza di un indennizzo per atto legittimo, qual è,
appunto, l'esercizio del potere giudiziario in materia
258
penale, con riguardo all'equa riparazione per ingiusta
detenzione, prevista dall'articolo 314 del Codice di
procedura penale del 1988, la giurisprudenza fa
riferimento, ai fini della quantificazione dell'indennizzo,
anche alle conseguenze personali, di natura morale,
fisica e psichica, del periodo di detenzione, ivi
compreso il danno all'immagine e all'identità
personale, dando attribuzione di rilevanza, ai fini
dell'aumento dell'importo derivante dal calcolo
aritmetico, quindi, agli eventuali, ulteriori effetti
pregiudizievoli, personali, familiari, professionali e
sociali che siano scaturiti dalla detenzione ingiusta, da
valutarsi con criterio equitativo, col solo limite del
tetto massimo ex art. 315, comma 2, c.p.p.224 .
Eppure la norma non fa riferimento al danno non
patrimoniale.
Ciò significa chiaramente che, attraverso un
processo evolutivo in ordine alla effettività della tutela,
ci si avvia al riconoscimento del ristoro – in ogni caso
– dei danni conseguenti alla lesione dei valori
inviolabili,
costituzionalmente
riconosciuti
nella
Costituzione, anche a prescindere dalla illiceità
dell'atto che ha prodotto la lesione, e, quindi, con
potenziale estensione anche ai casi di indennizzo da
attività lecita225, con il rilievo che deve ricadere sulla
224
V. Corte appello Firenze, 07 dicembre 1992 Gelli, in
Difesa pen. 1993, fasc. 38, 81; Cassazione penale , sez.
un., 06 marzo 1992, in Cass. pen. 1992, 2035 e in Foro it.
1992, II,556; Cassazione penale, sez. V, 22 marzo 2007, n.
11950, in Resp. civ. e prev. 2007, 7-8 1576 .
225
In tal senso sembra avviarsi, il TAR Sicilia – Sez.
staccata di Catania il quale con ordinanza n. 219 del 29
aprile 2009, inedita, ha sollevato questione di legittimità
259
costituzionale della normativa antimafia e di quella degli
appalti nella parte in cui non prevede un indennizzo della
lesione di taluni valori della costituzione per il caso che il
diniego di nulla osta, per sospette ingerenze mafiose, che
ha precluso l'accesso a un pubblico appalto, sia stato
legittimamente reso, però sulla base di una informativa poi
superata da un proscioglimento pieno. : La Corte
Costituzionale, tuttavia, non è giunta all’esame del merito
della questione in quanto, con sentenza n. 58 del
24/2/2010, ha giudicato inammissibile la medesima sotto
vari profili.
Ha ritenuto la Corte, innanzi tutto, che la questione fosse
stata sollevata dal giudice a quo genericamente con
riferimento all’intero complesso normativo delle disposizioni
in materia di certificazioni e informative anti-mafia, quindi
senza la precisa individuazione, da parte del rimettente,
della norma censurata.
Ad avviso della Corte, inoltre, la decisione sul merito della
questione avrebbe implicato, in assenza di una soluzione
costituzionalmente obbligata, un’ingerenza in valutazioni
riservate al legislatore nell’ambito dei generali indirizzi di
politica criminale, avendo il giudice rimettente chiesto di
aggiungere, nel corpo delle disposizioni in materia, la
previsione di un “appropriato indennizzo”, senza tuttavia
individuare la sedes materiae.
La decisione della Corte, essendo di mera inammissibilità,
avuto riguardo alle norme denunciate, non esclude una
riproposizione della questione, con riguardo ad altre
disposizioni, che già prevedono indennizzi per attività lecita
da parte della pubblica amministrazione e, nel contempo,
può fare da stimolo per interventi del legislatore in favore
dei soggetti danneggiati da attività lecite dello Stato, anche
se poste in essere a tutela di interessi pubblici di rilevo
costituzionale.
260
intera Comunità, e non sul singolo individuo leso, ma
innocente, il costo delle attività pubbliche poste in
essere nell'interesse della stessa Comunità statuale
Questa sarebbe da ritenere una conquista di
civiltà giuridica.
261
IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E LA SUA TUTELA
INDICE
Cap. 1 - I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ
§ 1 Premessa
pag. 1
§ 2 Diritti fondamentali:
a)- Genesi dei diritti fondamentali pag. 4
b) Codificazione delle prime forme dei diritti fondamentali
pag. 11
§ 3 Diritti fondamentali nell‟Ordinamento italiano:
a) Diritti della personalità
pag. 14
b) Diritti inviolabili nella Costituzione
pag. 15
CAP. 2 - DIRITTO ALL'IMMAGINE
§ 1- Generalità
pag. 24
§ 2 Posizione autonoma del diritto all'immagine pag. 26
CAP. 3 - IL CONSENSO
§ 1 Natura e forma del consenso pag. 29
§2 Condizioni di efficacia e presupposti del consenso
pag. 31
§ 3 L'immagine del minore
pag. 38
§ 4 Interesse del minore e consenso
pag. 45
§ 5 I limiti soggettivi ed oggettivi del consenso pag. 49
CAPITOLO 4 - LA DIVULGAZIONE DELL‟IMMAGINE IN
ASSENZA DI CONSENSO
§ 1 La notorietà 55
§ 2 Limiti alla divulgazione dell'immagine pag. 58
§ 3 Interesse pubblico e “gossip”
pag. 62
§ 4 Fatti, avvenimenti, cerimonie pubbliche o di interesse
pubblico
pag. 64
§ 5 Altre ipotesi di divulgazione dell'immagine senza
necessità di consenso pag. 69
262
Capitolo 5 - L‟IDENTITÀ PERSONALE
§1 Immagine e identità personale
pag. 75
§ 2 Nome e identità personale
pag. 80
§ 3 Il fondamento normativo dell‟identità personale pag. 89
§ 4 La lesione del diritto all‟identità personale pag. 96
Capitolo 6 - RAPPORTO CON ALTRI DIRITTI
§ 1 Premessa
pag. 108
§ 2 Incontro/scontro tra diritti della personalità e diritto di
cronaca pag. 112
§ 3 Fattispecie in tema di immagine, identità personale e
diritto di cronaca
pag. 126
§ 4 I diritti della personalità e la creazione artistica
pag.
135
Capitolo 7 - IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ
PERSONALE NEGLI ENTI COLLETTIVI (persone giuridiche e
non)
§ 1 Generalità pag. 149
§ 2 Il diritto all'immagine e all'identità personale nelle
associazioni non riconosciute. I partiti politici pag. 153
§ 3 Lesione all'immagine e all'identità personale delle
aggregazioni politico-sociali pag. 156
§ 4 Danni risarcibili agli enti collettivi pag. 163
§ 4 Diritto all'immagine della persona giuridica pubblica
pag. 170
CAPITOLO 8 - I MEZZI DI TUTELA
§ 1 Generalità
pag. 187
§ 2 – Varie forme di tutela
pag. 190
§ 3 Inibitoria petitum e inibitoria strumento processuale
pag. 194
263
§ 4 La tutela urgente
pag. 196
§ 5 Presupposti processuali per il provvedimento d'urgenza
pag. 200
§ 6 Competenza per materia e per territorio pag. 209
§ 7 Competenza per territorio in materia di danno
all'immagine da pubblicazione a mezzo stampa pag. 214
§ 8 Competenza per territorio in materia di danno
all'immagine da pubblicazione con mezzi radiotelevisivi o
per via telematica
pag. 218
§ 9 – Procedimento cautelare nella lesione dell'immagine a
mezzo stampa.
pag. 222
CAPITOLO 9 – IL RISTORO DEL DANNO DA LESIONE
DELL'IMMAGINE
E
DELL'IDENTITÀ
PERSONALE.
LA
RETTIFICA DELLE NOTIZIE
§ 1 Il risarcimento del danno pag. 230
§ 2 Il danno non patrimoniale pag. 239
§ 3 Conclusioni
pag. 261
264
265
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Baroli - nota a Cassazione civile, sez. III, 07 novembre
2000, n. 14485, in
Giur. it. 2001
Boghetich - Cognome materno ai figli legittimi: a decidere
268
sarà la Corte costituzionale, nota a Cass. 17 luglio 2004 n.
13298, in Diritto e giustizia, 2004
Bonamore - nota a Corte costituzionale, 03-2-1994, n. 13,
in Giust. civ. 1994
Bonilini - “Danno morale”, in Digesto delle discipline
privatistiche, Sezione civile, V, Torino, 1989.
Bordon – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in
Giur. it. 2006
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right of publicity, in Danno e resp., 1996
Breccia, Delle persone fisiche, in Comm. Scialoja – Branca,
a cura di Galgano (artt. 1-10 c.c.), Bologna – Roma, 1988
Brugnatelli F. “Privacy, diritto all’informazione e diritti
della personalità” - nota a Trib. Milano, 26/11/2004, in Giust.
Civ. 2005
Buffa – nota a Cass. civ., sez. III, 08-5-2002, n. 6591, in
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Bugetti, Il cognome della famiglia tra istanze individuali e
principio di eguaglianza, in Familia, 2006
Carbone - Non è attribuibile al figlio legittimo il cognome
della madre anche con l'accordo dei coniugi, nota a C. cost.
16 febbraio 2006 n. 61, in Corr. giur., 2006, 1352.
Carbone – nota a Cass. civile , sez. III, 03 marzo 2000, n.
2367, in Danno e resp. 2000
Carbone – nota a Cassazione civile , sez. III, 07 novembre
2000, n. 14485, in Danno e resp. 2001
Carbone nota a Cass. civile 29-5-1996, n. 4993, in Danno
e resp. 1996
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personale (in margine allo sceneggiato sul caso "Re Cecconi)"
nota a Cass. civile, sez. I, 7/2/1996 n. 978, in Riv. inf. e
informatica 1997
269
Cassano – Nota a Cass. civile 10 giugno 1997, n. 5175, in
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di risarcimento del danno da lesione ai diritti della
personalità”, nota a Trib. Verona 26/2/1996 in Dir. famiglia
2000, 1, 421
Cassano “Soluzioni controverse di casi concernenti i diritti
della personalità nelle trasmissioni televisive”- nota a Trib.
Roma, 21-11-1996, in Dir. famiglia 1999
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De Cristofaro – nota a Cass. civ., sez. un., 27-10-2000, n.
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all’immagine, in Foro it., 1959
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270
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12641, in Dir. famiglia 2006
Giacalone – nota a Cass. civ., sez. III, 08-5-2002, n.
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271
Goetz Davide “Diritto di critica storica e dovere di verità”,
nota a Tribunale Roma, 29 Giugno 1998, in Resp. civ. e prev.
1999, 2
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9893, in Corriere giuridico 2001
Mirate nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio
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Morozzo della Rocca nota a Cassazione civile , sez. un., 26
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Navarretta “Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il
nuovo diritto vivente” - nota a Cass.31-5-2003 nn. 8827 e
8828, in Foro it., 2003
272
Navarretta “Il Valore della persona nei diritti inviolabili e la
sostanza dei danni non patrimoniali” - nota a Cass., sezioni
unite civili, sent. 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009
Navarretta “La Corte Costituzionale e il danno alla persona
in fieri” - nota a Corte Costituzionale, 11/7/2003 n. 233, Foro
it., 2003
Nivarra L. - L'enforcement dei diritti di proprietà
intellettuale dopo la direttiva 2004/48/CE, in Riv. dir. ind.
2005
Orestano - nota a Cass. civile, III, 9/6/1998, n. 5658, in
Danno e resp. 1998
Pace - nota a Corte costituzionale, 03 febbraio 1994, n.
13, in Giur. cost. 1994
Pagliara- nota a Cassazione penale , sez. III, 19 marzo
1992, in Cass. pen. 1993
Palici Di Suni - Il nome di famiglia: la Corte costituzionale
si tira ancora una volta indietro, ma non convince. Il
cognome familiare tra marito e moglie. Com'è difficile
pensare le relazioni tra i sessi fuori dallo schema di
uguaglianza, nota a C. cost. 16 febbraio 2006 n. 61, in Giur.
cost., 2006, 543
Palmieri A. “La rifondazione del danno non patrimoniale,
all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche
attenuazione) e dell’unitarietà” - nota a Cass., sezioni unite
civili, sent. 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009
Pardolesi – nota a Tribunale Tortona, 24-11-2003 in
Danno e resp. 2004
Pardolesi R. e Simone R. “Danno esistenziale (e sistema
fragile: die hard” - nota a Cass. Civ., sezioni unite
11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009
Pelissaro - Diritto di critica e verità dei fatti, in Riv. it. dir.
pen., 1992
Peron in Resp. civ. e prev. 2005
273
Peron nota a Cassazione civile , sez. III, 29 maggio 1996,
n. 4993, in Resp. civ. e prev. 1997
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prev. 2001
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Ponzanelli G. “Sezioni unite: il nuovo statuto del danno
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11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009
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