www.ildirittoamministrativo.it SONIA CARMELITA DI GESU IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E LA SUA TUTELA 2 Capitolo 1 I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ § 1 Premessa; § 2 Diritti fondamentali: a) Genesi dei diritti fondamentali; b) Codificazione delle prime forme dei diritti fondamentali; § 3 Diritti fondamentali nell‟Ordinamento italiano; a) Diritti della personalità; b) Diritti inviolabili nella Costituzione § 1 PREMESSA. La nozione di “immagine” certamente ricomprende, ma anche supera ampiamente il concetto di raffigurazione fisica della persona 1, per investire tutti quegli aspetti che, con appropriata definizione, sono stati unificati nel concetto di “identità personale”. E anche quando ci si rivolge al giudice per l'abusiva divulgazione o esposizione dell'immagine come “ritratto”, il più delle volte le ragioni di contestazione varcano la questione, in sé, del mancato consenso alla pubblicazione, per lamentare, invece, la lesione del diritto all'identità personale dell'individuo 1 E ciò prima che nel diritto anche nel sentire comune, laddove, quando si afferma che un soggetto “ci tiene alla propria immagine”, ben si capisce che non è all'aspetto fisico che quella persona si riferisce, bensì soprattutto alla considerazione nell'ambiente sociale, in cui si svolge la sua personalità (e già emerge, per come si intuisce, il primo riferimento costituzionale). 3 rappresentato, che si è realizzata con una esposizione non autorizzata. Semmai il “consenso” da parte del titolare dell'immagine- e per questo se ne parlerà diffusamente nel presente lavoro – costituisce, spesso, il discrimine tra quello che è consentito agli altri e quello che, invece, è da ritenersi interdetto. Infatti, è all'interessato che spetta, in prima battuta, la valutazione se una determinata divulgazione possa incidere sulla sua identità personale, la quale comprende, tra i tanti molteplici aspetti anche quello di essere lasciato “in pace” o “nell'oblio”, oppure di non essere accostato a determinate ideologie o a determinati prodotti commerciali, oppure di non essere considerato così attaccato al “vil” denaro da esporsi in pubblicità commerciali: come si può, quindi, rilevare sin da adesso, è infinita la gamma di situazioni che può riguardare il diritto all'identità personale e le svariate modalità della sua lesione e, quindi, delle esigenze di tutela giudiziaria. La nozione di immagine come identità personale ha consentito, per come si vedrà nei capitoli che seguono, una specifica tutela anche con riguardo alle persone giuridiche, ed enti collettivi in generale, a Stati e finanche con riguardo ad organismi privi di personalità giuridica (pure associazioni non riconosciute), con specifico riferimento testuale (nel nostro Ordinamento) agli articoli 2 e 3 della Costituzione. Un discorso sul diritto all'immagine, nei termini sopra precisati, necessita di una introduzione sui diritti della personalità, nonché sui diritti fondamentali, 4 dei quali quelli della personalità costituiscono la parte più significativa, oltre che più visibile e cospicua. Si può, quindi, raffigurare l'insieme dei diritti fondamentali, o inviolabili, come un cerchio, al cui interno si collocano i diritti della personalità, che, a loro volta, comprendono il diritto all'immagine, inteso, appunto, non come potere giuridico (esclusivo) all'utilizzo del proprio aspetto fisico, ripreso in un ritratto, bensì come insieme di facoltà giuridiche che costituiscono il diritto all'identità personale. La inclusione del diritto all'immagine nei diritti fondamentali, unitamente agli altri diritti della personalità dei quali fa parte, ha non un mero significato descrittivo, bensì un preciso valore giuridico, con riguardo alla tipologia della tutela, e questo spiega gli sforzi profusi dalla dottrina e dalla giurisprudenza (soprattutto costituzionale e di legittimità) per dare giustificazione a una consistente tutela giudiziaria del diritto all'immagine (appunto, in quanto aspetto del diritto all'identità personale), sia in ordine all'an sia in ordine al quantum, sia in ordine al quomodo, anche al di là della sua espressa previsione codicistica (e costituzionale). In altre parole, l'immagine, grazie alla sua inclusione, come diritto all'identità personale, nei diritti della personalità, gode del grado di tutela costituzionale spettante ai c.d. diritti fondamentali o inviolabili dell'uomo, e che non solo gli Ordinamenti interni dei Paesi con un un certo grado di civiltà, ma anche quello internazionale ormai riconoscono da tempo; anzi, di solito, ormai la partecipazione degli Stati agli Ordinamenti internazionali è, per Statuto o 5 Trattato subordinata al riconoscimento appunto dei diritti inviolabili. § 2 – I DIRITTI FONDAMENTALI a)- Genesi dei diritti fondamentali Secondo taluni studiosi la genesi dei diritti in questione è da ricercare in una dimensione morale, sempre esistita, seppur talora in nuce, in base alla quale ogni uomo nasce con una sua specifica dignità, in sé e per sé, a prescindere dalle sue condizioni di razza o di lignaggio, come riconoscimento intuitivo delle condizioni antropologiche e culturali che fanno dell'uomo un unicum rispetto a tutti gli altri essere viventi, quanto meno per la sua capacità di raziocinio. Il riconoscimento di tale dignità lo si ritrova anche nelle più antiche culture, le quali hanno ammantato spesse volte con il mito (soprattutto religioso), che fa riferimento a un ceppo comune o ad una comunanza di origine di tutti gli uomini, l'esigenza di attribuire almeno un minimo di rispetto a tutti gli esseri umani a prescindere dalla loro condizione sociale (donne, stranieri, e, per taluni aspetti, anche agli schiavi). Appunto per questo, nell'antichità si faceva generico riferimento a uno ius gentium, non scritto, derivante da ancora più remote consuetudini, o al volere degli dei, che avrebbero punito i violatori della dignità dell'uomo minima di base, in quanto tale, per dare a questa una qualche valenza di principio, anche 6 se non ancora di diritto 2 e, quindi, in concreto, privo di sanzioni giuridiche. Il rispetto di tale dignità implicava quindi l'osservanza di taluni principi, ricondotti cumulativamente nella nozione di un diritto o, più precisamente, di un principio primordiale, per contrapporlo al diritto positivo, cioè a quello codificato, oppure riconosciuto attraverso specifiche consuetudini. D'altra parte, riflettendo, è agevole rilevare come i Dieci Comandamenti o le XII Tavole dei Romani o le Tavole di Hammurabi, o certi principi umanitari di cui si parla nell'Iliade e nell'Odissea, costituiscono in buona sostanza lo sforzo dell'umanità per darsi delle regole di base e tramandarle in tale veste ai Posteri, il cui valore discendeva, appunto, non dalla loro redazione per iscritto o dalla statuizione di un monarca o di un'assemblea, ma dal riconoscimento che erano state imposte dalla Divinità o comunque costituivano antiche consuetudini, il cui ricordo si perdeva nella notte dei tempi. A ben vedere, si può anche affermare che i principi in questione (che secondo la più antica tradizione andranno a costituire il fulcro del diritto naturale) nascono come antica e ancestrale risposta alla prima necessità dell'uomo, quella della sopravvivenza, che in tanto si può realizzare in quanto 2 Un ricordo di tale concezione si ritrova nelle tragedie greche, nelle quali la violazione di taluni principi da parte di chi deteneva un potere, per definizione illimitato, non trovava una sanzione legale, bensì era punita dall'intervento degli dei vindici, nel suo significato latino di “garante” (vindex) della violazione perpetrata. 7 ognuno riconosca agli altri quel valore minimo di base di cui si ha bisogno per vivere (e sopravvivere). E il primo valore è sicuramente la dignità dell‟uomo come tale, a prescindere dalle sue condizioni sociali, ed ha la sua prima espressione nel diritto alla vita: non per nulla, l'Ordinamento romano, anche il più antico, attribuiva la libertà allo schiavo che venisse abbandonato, malato, dal padrone. Sotto tale profilo, ancor prima dell'epoca di ideazione dei Dieci Comandamenti, dati direttamente dalla Divinità secondo la tradizione biblica, nello stesso Antico Testamento sia l'episodio della (mancata) immolazione di Isacco, nel quale Jahve prima richiede il sacrificio umano e poi all'ultimo momento ne impedisce l'esecuzione, sia quello, ancora precedente, in cui lo stesso Jahve, agli albori della vita, al timore espresso dal fratricida Caino, di poter essere ucciso da chiunque lo incontri, si fa garante della sua vita, pena la vendetta divina, possono essere interpretati come un ancestrale riconoscimento della sacralità della vita, poiché la Divinità non vuole sacrifici umani e nel contempo fa divieto di vendette sommarie e popolari (senza processo, diremmo oggi). E' intuitivo, poi, che, come corollario del diritto alla vita, come base per la sopravvivenza del genere umano, l'ulteriore valore che ciascun uomo vuole che gli venga riconosciuto è un minimo di dignità come persona, necessaria per garantire una esistenza poco superiore alla mera sopravvivenza belluina. Si deve, quindi, dare per assioma che il consenso ideale che ciascun uomo vuole per sé - e che, per reciprocità necessitata, deve ammettere per gli altri al fine di una minima ordinata vita di relazione - è quello 8 del riconoscimento della sua dignità di uomo, primo valore fondamentale. Dal concetto di dignità dell'uomo si sono sviluppati, anche se lentamente, i valori della libertà e dell'uguaglianza, imprescindibili nella vita di relazione, ed ha preso corpo, col tempo, il concetto di “identità personale”. Sotto tale aspetto si può dire che la nozione di diritti fondamentali trova la sua comprensione, quindi, in concetti come dignità, libertà e uguaglianza. La nozione in questione è però un prodotto tipico dell'età moderna: con ciò si vuol dire che, mentre le idee di dignità umana, di libertà e di uguaglianza si possono ritrovare, anche se con molti limiti e “distinguo”, anche in epoche antiche, sulla base di riflessioni filosofiche, etiche e religiose, è soltanto nell'età moderna (prima con l'Illuminismo e poi con l'avvento dello Stato liberale) che assurgono, in modo più o meno pronunciato, a dimensione di "diritti fondamentali". Tutto ciò è avvenuto, in parte, a seguito della trasformazione del contesto economico, da agricolo e artigianale a industriale, che aveva determinato nuove esigenze, e, quindi, per ragioni spesso prosaiche 3 , 3 V., ad esempio, l’esigenza dell’economia più industrializzata di una maggiore mobilità della forza lavoro, che indusse una parte degli Stati Uniti d’America a propugnare l’abrogazione della schiavitù, sulla quale viveva l’economia agricola degli Stati del Sud, con ciò dando origine, quanto meno nell’immediato, a una massa di proletari, ma creando – va riconosciuto – anche le premesse per una emancipazione di una parte di umanità 9 ma anche per ragioni di ordine sociale culturale e politico, con la liberazione dell'individuo dall'assoggettamento alla corporazione ed allo status della casta (nobile - plebeo - servo della gleba schiavo) per una conquistata dignità che lo pone comunque in correlazione con una riconosciuta pari dignità (almeno, di base) dei suoi consimili. Nella loro genesi, i diritti fondamentali sorgono e si sviluppano (quanto meno in parte) in un primo momento come limite al potere degli Organi dello Stato, sulla base delle idee del contratto sociale e dei diritti naturali, posizioni soggettive che si intendono affermare come preesistenti allo Stato stesso. In questo modo si può dire che si laicizza quel concetto di dignità e libertà dell'uomo che in precedenza (e ci riferisce ovviamente, per quel che ci riguarda, soprattutto alla cultura occidentale, che con il cristianesimo si era sviluppata), trovava il suo principale difensore nella Religione e il credo religioso riguarda. Non per nulla uno dei primi e principali diritti fondamentali che si è affermato nell'evo moderno è stato la libertà di coscienza e di religione con il famoso "Editto di Nantes" del 1598, con il quale il re di Francia riconobbe libertà di culto ai calvinisti. Alla radice dei primi diritti fondamentali è stata quindi l'affermazione della libertà dell'uomo, come diritto alla non interferenza da parte dello Stato in materia di libertà religiosa. che era stata strappata violentemente dalla propria terra di origine. 10 Il merito storico (se così vuol dirsi) dell'elaborazione di un primo nucleo di diritti inviolabili spetta indubbiamente al mondo anglosassone, nel quale già in epoca medievale si andò affermando l'idea di diritti, derivanti da antica tradizione, coperti da specifiche garanzie che i sudditi potevano far valere nei confronti del principe. Trattasi di primi diritti di libertà individuale, che non potevano subire restrizioni da parte dell'autorità, se non con la garanzia costituita dall'intervento di un giudice. Il potere giudiziario nel sistema anglosassone ha rappresentato, quindi, (ed è stato considerato) per tradizione secolare non un braccio dell'autorità 4, bensì il tipico strumento di garanzia di libertà, che col tempo ha addirittura costruito ed elaborato lo stesso sistema di diritti inviolabili, mediante una evoluzione degli stessi principi: è la garanzia della "Rule of law". Precisamente, il nucleo, dal quale è partita la costruzione dei diritti fondamentali, è costituito dai principi di libertà personale, accanto a quelli della sovranità del Parlamento e della divisione dei Poteri. Il riferimento agli "antichi diritti di libertà" degli inglesi viene fatto risalire alla "Magna Charta Libertatum" del 1215, concessa da Giovanni Senza Terra, e valeva per ribadire che il sovrano si limitava a riconoscere antichi diritti e non ad attribuirli ex novo, con la conseguenza che gli era interdetto di toglierli o modificarne la consistenza. 4 V., al contrario, il giudice di collodiana memoria. 11 Nel contesto di quei principi - che in buona sostanza potevano anche giustificare il regicidio, come reazione nei confronti del sovrano che fosse venuto meno all'impegno di rispettarli e garantirne l'osservanza - viene individuato e impostato il rapporto tra principe e sudditi, in cui il primo s'impegnava a garantire il rispetto di diritti che trovavano fondamento in antiche tradizioni, e si colloca l‟habeas corpus act del 1679, che consentiva al cittadino, arrestato illegalmente, di ottenere immediatamente la libertà rivolgendosi al giudice. Al giudice quindi spettava (e spetta) di verificare che non vi fosse prevaricazione nel comportamento del Potere (che potremmo dire esecutivo) in ordine alle libertà fondamentali del suddito (poi cittadino). La tradizione dei diritti inviolabili è transitata dall'Inghilterra alle Colonie inglesi costituite in America, portando col tempo a una compiuta elaborazione giuridica, recepita formalmente in "Carte o Dichiarazioni di Diritti", poi trasfuse (con ulteriori affinamenti) nelle Costituzioni dei singoli Stati, nella "Dichiarazione dei Diritti" e infine nella Costituzione degli Stati Uniti. Le Dichiarazioni in questione hanno costituito, quindi, in primo luogo, 5 un limite allo stesso 5 Significativo, al riguardo il primo emendamento della Costituzione federale degli Stati uniti, adottato nel 1791 (nello stesso periodo, quindi, della "Dichiarazione dei Diritti", deliberata in Francia nel 1789), con il quale si stabiliva che il Congresso non poteva fare alcuna legge che imponesse un culto o ne impedisse altri, che conculcasse la libertà di parola e di stampa o il diritto del popolo di riunirsi 12 legislatore, ergendosi finanche come limite esterno all'applicazione delle altre norme di common law, con la conseguenza che taluni principi sono da ritenersi collocati in un gradino superiore alle altre leggi e allo stesso Ordinamento costituito, il quale non li può né violare né disattendere, e quindi è tenuto a rispettarli e farli rispettare dai consociati, nonchè dai governanti. Circa l'origine di tali diritti era dominante all'epoca (in America) l'idea che si trattasse di diritti innati, in quanto trasfusi da Dio nel cuore di ogni uomo 6, e come tali non disponibili, né oggetto di possibile negoziazione: da ciò la loro definizione di "Diritti inviolabili". L'accantonamento del Divino (soprattutto nei Paesi dell'Europa continentale sotto l'influsso dei principi ispiratori dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese) fortunatamente non ha inciso sul carattere di inviolabilità di tali diritti, variamente fatti derivare dalla retta "Ragione" e da valori naturali "etico-sociali". b) Codificazione delle prime forme dei diritti fondamentali Così delineata la genesi del concetto di diritti fondamentali, è da rilevare che nelle prime Dichiarazioni di diritti, i tre ambiti principali di diritti fondamentali furono individuati nelle libertà individuali (correlate al concetto di tolleranza, come principio di pacificamente e di presentare petizioni al Governo per la riparazione di un torto. 6 V. richiami in Enciclopedia Giuridica Treccani: voce "Diritti inviolabili" di A. Baldassarre 13 tutela della libertà individuale, soprattutto in materia di coscienza, dal potere dello Stato), nei diritti politici e di partecipazione e nelle garanzie processuali. I diritti politici e di partecipazione si sviluppano attraverso il passaggio dalla giustificazione teologica del potere al concetto di “contratto sociale”: ciò porterà, con il Montesquieu, al principio del riparto dei poteri (legislativo - esecutivo e giudiziario) ed alla attribuzione della sovranità al popolo che la esercita mediante il "diritto fondamentale" di partecipazione, con il suffragio del voto. Così, per andare direttamente al principio della dignità umana, significativo è stato nel '700 il movimento di umanizzazione del diritto penale e processuale 7, che conduce, a sua volta, ai (primi) diritti fondamentali in materia di diritto penale e di garanzie processuali: contestazione della tortura, sia come strumento per raggiungere la prova, con l‟affermazione del principio di legalità, che richiede la necessità di una procedura con delle garanzie a tutela dell'incolpato, sia come pena perché non violi la dignità della persona. Con l'affermazione della Rivoluzione liberale si avvierà, in modo compiuto, il primo nucleo dei diritti fondamentali nei tre ambiti sopra indicati (diritti di libertà - diritti politici e di partecipazione - garanzie penali e processuali), mediante un processo di codificazione e internazionalizzazione. La codificazione si rende necessaria per una maggiore certezza e garanzia dei diritti fondamentali, 7 Si pensi al libretto "Dei delitti e delle Pene" di Cesare Beccaria. 14 attesa l'insufficienza del concetto in sé di diritti naturali, e per una più sicura protezione processuale degli stessi, ed è grazie ad essa che i diritti fondamentali, basati sul principio della dignità dell'uomo, transitano da principi etici, preesistenti allo stesso Stato, a norme giuridiche cogenti per lo Stato e per i consociati: la codificazione è quindi il segno dell'accettazione da parte della società organizzata di principi, che, dal punto di vista naturale, preesistono allo Stato stesso. Il processo d'internazionalizzazione dei diritti fondamentali si pose poi come una necessità per una più efficace difesa degli stessi, nonché per evitarne una facile elusione soprattutto da parte degli Stati di più recente formazione; ma l'affermazione di tali diritti, per essere efficace, ha bisogno di strumenti internazionali che in atto non possono che basarsi sul consenso dei singoli Stati (Convenzioni) o comunque su regolamentazioni che, già stabilite dalla maggioranza degli Stati, i nuovi Stati siano indotte ad accettare per beneficiare di agevolazioni di altro tipo. Significativo è il fatto che l'internazionalizzazione di diritti fondamentali si è raggiunta per aree geografiche e in relazione ad ideologie omogenee oppure mediante inclusione dei diritti in questione in preesistenti Organismi sovranazionali, originati da motivazioni di economia comune (così nell'ambito dell'Europa occidentale). Tra le fonti internazionali dei diritti inviolabili si ritiene utile ricordare la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite in data 10 dicembre 1948, la Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri 15 dell'uomo, firmata a Bogotà nel 1948, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 ed i successivi otto Protocolli addizionali. Trattasi di atti contenenti la formulazione solenne dei principi che, affermati dalla Comunità internazionale, dovrebbero essere accettati da tutti gli ordinamenti statuali; tali principi, purtroppo, di fatto sono ben lungi dall'essere osservati, sol che si considerino le frequenti denunce di Amnesty international e di altre Organizzazioni umanitarie, talora riguardanti anche Stati che si fregiano di essere culle di civiltà e di democrazia. § 3 DIRITTI FONDAMENTALI NELL’ORDINAMENTO ITALIANO. a) Diritti della personalità. Il merito della costruzione della categoria dei diritti della personalità spetta in primo luogo al Diritto civile, il quale nel tempo diede veste giuridica a tutta una serie di attributi della persona come individuo (diritto alla identità personale, e quindi al nome, diritto alla inviolabilità fisica e morale, diritto a difendersi, e così via), ponendoli come assoluti, acquisiti a titolo originario e imprescrittibili. Costituendo veri diritti, nel senso civilistico del termine, trovano tutela con gli strumenti (giudizio civile - procedimenti cautelari ecc., azione aquilana ex 16 articolo 2043 c.c.) previsti, appunto, per tali posizioni giuridiche dal nostro ordinamento 8. Proprio per la loro valenza di diritti soggettivi perfetti, neppure in passato si sono nutrite incertezze circa la pienezza della tutela, ma riguardo al pubblico potere (prima il principe poi il governo, più o meno democraticamente costituito) la questione era più dubbia, considerata la possibilità, per questo, di poterli in qualche modo comprimere (o, di fatto, annullarli), anche senza il ricorso a una formale prevaricazione, attribuendosi una spiccata prevalenza al c. d. pubblico interesse (che la stessa autorità verificava e dichiarava con la massima discrezionalità attraverso un proprio atto). Appunto per tale ragione, nelle pagine che precedono, si è ritenuto utile descrivere l‟evoluzione, nel costume, nelle consuetudini e poi in formali Dichiarazioni di diritti, dei diritti della personalità, come facoltà dell‟individuo, prima suddito e poi cittadino, che anche l‟autorità era tenuta a riconoscere ed a rispettare. b) Diritti inviolabili nella Costituzione b-1) In sede di elaborazione della Costituzione italiana si pose in primo luogo il problema della veste e della posizione da dare ai "diritti inviolabili". L'Assemblea costituente appariva formata da tre diverse componenti, che avevano comunque partecipato alla lotta partigiana, quella cattolica, quella 8 V. F. Gazzoni - Manuale di diritto privato - Edizioni Scientifiche Italiane, pagg. 167 e segg. e passim. 17 di sinistra (social-comunista) e quella laica (a sua volta comprendente sia un'ala liberale sia un'ala più conservatrice, emersa in sede elettorale, seppur, quanto meno in parte, non del tutto scevra di legami con il passato regime), ciascuna portatrice di specifiche concezioni; ma, grazie allo spirito ideale che, nell'insieme, la pervadeva, giunse agevolmente a un accordo di massima sulla base dell'accettazione unanime di tre principi 9: - prius della persona rispetto allo Stato; - primato dei valori della dignità umana e dei valori di socialità-solidarietà; - anteriorità dei diritti della persona e delle comunità sociali rispetto allo stesso Stato. Con riguardo al terzo principio, è stato, appunto, osservato 10 che nella Costituzione si è parlato di "riconoscimento" dei diritti inviolabili, per significare che lo Stato non crea tale tipologia di diritti, ma li trova radicati nella coscienza sociale e s'impegna ad assicurarne il rispetto senza mai farli venir meno. Sul punto va ricordata la concezione del rapporto tra Stato e cittadino, riguardo ai diritti inviolabili, che (soprattutto) nel passato ha opposto gli ordinamenti anglo-americani da quelli dell'Europa continentale, anche successivamente all'affermarsi dei principi introdotti dalla Rivoluzione francese. Mentre negli ordinamenti anglo-americani è stato sempre un dato incontestato che taluni diritti (detti appunto fondamentali o inviolabili) sono preesistenti 9 V. Enc. Giuridica Treccani: Voce Diritti inviolabili di A Baldassarre. 10 V. Mortati Costantino, Istituzioni di diritto pubblico Cedam 1962 - : pagg. 718 e segg.; 834 e segg. 18 allo Stato, qualsiasi Stato, il quale non si arroga quindi la presunzione di essere il creatore di tali diritti, ma s'impegna invece a rispettarli (e a farli rispettare), negli ordinamenti dell'Europa continentale lo Stato (seppur poi liberale), venendo considerato il prius logico di qualsiasi substrato sociale, si è ritenuto il fondamento di tutti i diritti, e quindi anche di quelli c. d. fondamentali, con l'argomentazione che spetta al popolo sovrano (direttamente o per il tramite dei suoi rappresentati) il potere di individuare in concreto i diritti spettanti al cittadino, oppure (anche riconoscendo la sussistenza di posizioni fondamentali preesistenti) comunque di determinarne modalità di esercizio ed eventuali limitazioni o sospensioni nell'interesse del popolo (sovrano). In questo modo, di fatto, malgrado il riconoscimento formale di diritti fondamentali, si è giustificato qualsiasi limite se non al diritto in sé, almeno all'esercizio di esso nell'interesse superiore del popolo (e dello Stato, come ente esponenziale della comunità, che in nome del popolo la sovranità esercita). Il costituente italiano, al contrario - per come si è detto – ha preferito ancorarsi in modo deciso alla concezione anglo-americana, affermando l'inviolabilità (anche da parte del legislatore) di talune posizioni fondamentali 11 . 11 E il Mortati (v. nell'opera citata nella nota precedente) prosegue ricordando che la indicazione dell'aggettivazione "inviolabili" rispetto all'altra che era stata proposta di "naturali" fu una vera scelta di campo sia per indicare l'impegno solenne che in tal senso si assumeva il nuovo stato democratico di rispettarli e fare rispettare (con 19 Tornando alla genesi della nostra Costituzione è da dire che il merito di favorire e poi illustrare il compromesso raggiunto tra le varie componenti (soprattutto tra quella cattolica e quella di sinistra), va a un notevole esponente cattolico, ma aperto agli orientamenti di sinistra e del Laicismo liberale. La differenza (ideologica) era, in buona sostanza, tra la concezione "giusnaturalistica", all'interno della quale una parte dei cattolici c. d. integralisti poneva l'accento sul carattere trascendente del diritto naturale, e quella "storica" (della sinistra) circa l'origine di tali diritti, e tra la concezione rigorosamente "individualistica" della componente laica e quella “sociale e solidaristica” di una parte dei cattolici e della sinistra. Il c. d. compromesso consistette nel fatto che si riconobbe il prius di tali diritti rispetto allo Stato, il che implicava anche un corrispondente riconoscimento di taluni valori dell'individuo, inviolabili dallo Stato stesso, e, nel contempo, l'attribuzione di un valore costituzionale a taluni principi di solidarietà sociale. Fu una perspicace soluzione, che fece superare l'impasse, in cui sembrava essersi arenata l'Assemblea, e che, tutto sommato, non era neppure un vero e proprio compromesso. b-2) Oggi una questione circa l'origine dei diritti inviolabili (trascendente - naturale - storica, legata, gli strumenti giuridici posti a disposizione della persona), sia per evitare un rinvio a un concetto suscettibile di variazione nel tempo, e, come tale, meno pregnante per l'impegno che l'Ordinamento assumeva. 20 cioè, all'affermazione del principio della sovranità popolare) non solo può dirsi sterile, ma potrebbe rivelarsi, alla lunga, negativa, bastando negare la premessa per metterne in discussione la validità, come d'altra parte (e l'esperienza di taluni regimi totalitari, come pure quella di un esasperato liberalismo mercantile, sono state, a questo proposito, maestre) se da un lato taluni diritti dell'individuo non devono essere conculcati, dall'altro, la solidarietà sociale, alla lunga, giova non soltanto alle classi più derelitte, perché porta oltre che alla pace tra le varie componenti della società, anche a un maggior benessere per tutti. Quel che conta, in altre parole, è che lo Stato, e così anche gli Ordinamenti sopranazionali, hanno preso piena coscienza che i diritti relativi alla dignità dell'individuo e alla libera manifestazione del pensiero ed alla difesa (in giudizio) si pongono come un prius da riconoscere, rispettare e garantire. Eliminato il riferimento all'origine dei diritti – che costituiva, per come si è appena detto, uno degli scogli tra le varie componenti della Costituente- e collocati nello stesso contesto i diritti della persona come "individuo" con i diritti della persona come parte di "formazioni sociali" e quindi come "cittadino", con l'ulteriore riferimento ai doveri di solidarietà che fanno carico su tutti, si pose il problema se l'affermazione solenne dei diritti inviolabili dovesse essere inserita in un preambolo esterno oppure nel testo della Costituzione: prevalse quest'ultima tesi per ragioni di ordine sistematico; per analoghe ragioni (sistematiche) fu accantonata la proposta del Calamandrei di dichiarare i diritti in questione superiori 21 alla legge, non modificabili e non eliminabili neppure dal potere di revisione costituzionale, anche se fu unanime l'idea che, trattandosi, appunto, di diritti preesistenti allo Stato e che questi si limitava a riconoscere e a garantire, il legislatore non avrebbe potuto (neppure con il sistema della revisione costituzionale) introdurre normative che costituissero violazione di tali diritti. A questo punto non fu difficile passare all'elaborazione del testo, ponendo l'accento (nei primi tre articoli della Costituzione) sulla concezione democratica dello Stato (art. 1), sulla concezione dei diritti inviolabili, che lo Stato s'impegnava a garantire, con riferimento anche ai doveri “inderogabili” di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2) e sulla pari dignità ed eguaglianza di tutti, che lo Stato, analogamente, s'impegnava a garantire e a realizzare nella sostanza (art. 3). Precisamente, nell'articolo 2 si fa riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, mentre nell'articolo 3 si afferma solennemente la pari dignità sociale di tutti i cittadini, la loro eguaglianza davanti alla legge e l‟esigenza di assicurare il pieno sviluppo della persona umana. E proprio l'articolo 2 costituirà – per come si andrà a illustrare nei capitoli che seguono – il dato giuridico fondamentale per una più puntuale tutela del diritto all'immagine (come diritto alla identità personale). Il richiamo poi alle "formazioni sociali, ove la personalità del singolo si svolge" e ai "doveri inderogabili di solidarietà", costituiva una notevole 22 innovazione rispetto alle concezioni individualistiche nate dalla rivoluzione francese, nonché accettazione di un fondamento etico dei diritti stessi, al fine di evitare che l'esasperato individualismo andasse a nuocere alla effettività della tutela dei diritti inviolabili che lo Stato riconosceva. Significativa è, al riguardo, la differenza tra la solenne proclamazione dell'eguaglianza e della pari dignità davanti alla legge contenuta nell'art. 3 Cost. e l'affermazione contenuta nell'art. 24 dello Statuto Albertino che affermava l'eguaglianza, peraltro in senso soltanto formale, davanti alla legge e conferiva a tutti "i regnicoli" il godimento dei diritti civili e politici, salve le eccezioni determinate dalle leggi. I diritti della personalità, pur essendo indubbiamente diritti soggettivi di natura civilistica, dalle discipline giuspubblicistiche sono stati considerati anche come categoria dei diritti soggettivi pubblici12, diretti alla tutela della persona (come esercizio di determinate facoltà e come pretesa a che la spettanza dei medesimi non sia disconosciuta o che il loro godimento non sia turbato da altri). Tra tali diritti (per rimanere nelle tematiche del presente lavoro) è stato individuato il diritto al rispetto dei segni che contraddistinguono la persona e i diritti di libertà civile, come sfera in cui si estrinseca l'autonoma attività dell‟individuo. Oltre che tra i "Principi fondamentali" (articoli 112), anche nella "Parte Prima" della Costituzione (articoli 13 - 28) si riscontrano ulteriori utili indicazioni per la individuazione dei diritti della personalità, 12 V. Mortati, citato. 23 laddove si parla della inviolabilità della libertà personale e del domicilio, della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. Tra questi diritti non è dubbio che va annoverata, poi, anche la libera manifestazione del proprio pensiero (con la connessa libertà di stampa): art. 21, che, per certi versi, per come si vedrà in prosieguo, va a confrontarsi e spesso a collidere con il diritto alla identità personale. Vi rientra poi il diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento(art. 24), non per nulla definito anche questo dal Costituente "diritto inviolabile", utile per una interpretazione “costituzionalmente orientata” di talune disposizioni processuali, e, per tale profilo, anche questo strumento per una maggiore tutela della dignità e della identità personale. 13 Come è agevole rilevare, la gamma di facoltà attraverso le quali si esplica giuridicamente la personalità dell'individuo è pressoché illimitata, ma il contenuto specifico del presente lavoro costringe ad esaminare solo taluni profili, in cui vengono a incrociarsi tra soggetti diversi - non sempre pacificamente - le varie facoltà della persona, rientranti tutte nei diritti della personalità, posto che 13 Forse ricordo pregnante e doloroso che nei Paesi totalitari e dittatoriali uno dei modi di compressione della personalità degli oppositori ai regimi consisteva (e tuttora purtroppo continua a consistere) nell'arrestare e tenere in detenzione, senza processo o con farsa di processo, le persone scomode, così cercando di demolirne la personalità, non solo per renderle più docili, ma anche a insegnamento per gli altri. 24 se a tutti gli uomini vanno riconosciuti i diritti della personalità, chiaramente l'esercizio di talune facoltà da parte di un individuo può andare a interferire con contrapposte facoltà, anche queste costituzionalmente garantite, di altri soggetti. Ci si riferisce precisamente all'incontro/scontro tra i diritti della personalità che ogni uomo ha il diritto di proteggere e il contemporaneo diritto di altri di manifestare liberamente il proprio pensiero o di ricercare (nei confronti della P.A. o di altri soggetti ad evidenza pubblica) elementi a tutela e difesa di proprie posizioni giuridiche. L'incontro/scontro va a verificarsi allorquando l'esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero va a interferire con il diritto, spettante a ciascuno, di tutelare elementi imprescindibili della propria persona, come appunto quello della dignità personale e quello della identità personale, per cui si pone un problema di bilanciamento tra contrapposte situazioni giuridiche soggettive, tutte quante, in astratto e in linea di principio, meritevoli di tutela e quindi della massima considerazione. Oggetto del presente lavoro è, appunto, la tutela dell'immagine (sotto il profilo civilistico), anche allorquando venga lesa da altri soggetti in presunto esercizio (e non) di altre contrapposte facoltà giuridiche. 25 CAPITOLO 2 DIRITTO ALL'IMMAGINE § 1- Generalità; § 2 Posizione autonoma del diritto all'immagine § 1- GENERALITÀ Tra i diritti della personalità ha senza dubbio assunto nel corso del tempo un rilievo crescente il diritto all‟immagine, soprattutto come uno degli aspetti più significativi del complesso diritto all'identità personale. Il diritto in questione, sebbene non sia indicato testualmente in nessuno degli articoli della 14 Costituzione , va ricondotto nell‟ambito dei diritti fondamentali dell‟uomo, elencati o enucleabili dai principi e dalle disposizioni della parte prima della nostra Carta: è, quindi, un diritto assoluto ed esclusivo e tale è stato considerato15. Con riferimento, poi, all'immagine in senso stretto (peraltro spesso come aspetto dell'identità personale), correlate ad esso si sono sviluppate diverse problematiche, a causa dell‟incremento dei mezzi di riproduzione nonché degli scopi, sempre più variegati e diversi, per i quali l‟immagine viene diffusa. Va anche considerato che la stessa nozione di diritto all‟immagine, anche se in senso letterale indica 14 all'identità personale, se non come diritto al rispetto della vita privata e familiare: v. articolo 8. 15 Immagine (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX, Milano, 1970, 144 ss. Va o 26 la rappresentazione visiva delle sembianze di una persona, e cioè la riproduzione delle sue fattezze, tuttavia, come sarà meglio illustrato in prosieguo, progressivamente ha ampliato il suo significato, finendo per sfumare o addirittura coincidere – ricevendo come tale più pregnante tutela – con il diverso diritto all‟identità personale. L‟elaborazione intervenuta tanto in dottrina quanto in giurisprudenza ha, infatti, portato a considerare l‟immagine un segno distintivo essenziale, idoneo a rappresentare le sembianze, l'aspetto fisico del soggetto, ma anche l'espressione, o il modo d'essere della personalità nel suo complesso16. Espressione della stessa tendenza è, inoltre, l'affermazione dell‟orientamento dottrinario e giurisprudenziale, secondo cui la violazione del diritto all'immagine può avvenire anche a mezzo della riproduzione filmica della persona (la c.d. maschera scenica) e non necessariamente tramite l'immagine reale della stessa17. In particolare, per come sarà approfondito nelle pagine che seguono, si è ritenuto che possa ledere il diritto all'immagine anche la rappresentazione della persona attraverso l'interpretazione di un attore, sia quando la rappresentazione risulti fedele o si riferisca alla sua reale fisionomia, sia nel caso di caricature, immagini dell'infanzia di un soggetto adulto, nonché 16 Dogliotti, in Trattato. di diritto. Privato, diretto da P. Rescigno, 2, Torino, 1982, 117. 17 Giovanni Piazza, Davide Goetz, Il diritto all'immagine nella giurisprudenza dell'ultimo decennio, in Resp. civ. e prev. 1998, 2, 350. 27 l‟utilizzazione di un sosia di un personaggio noto, ad esempio per una campagna pubblicitaria, anche solo per catturare immediatamente l‟attenzione dello spettatore, nonché l'ipotesi di raffigurazione immaginaria di un soggetto proiettato nel futuro, vale a dire rappresentato con quei caratteri somatici che potrebbe assumere nella vecchiaia18. La progressiva estensione della nozione di “immagine” ha portato la giurisprudenza a ritenere realizzata una lesione del diritto in questione anche nel caso di un messaggio pubblicitario effettuato attraverso la rappresentazione di oggetti notoriamente usati da un famoso cantante, poiché non solo i tratti fisici, ma anche determinati accessori, possono caratterizzare un individuo in modo così forte da consentire allo spettatore l‟immediato richiamo, nella propria mente, proprio di quel personaggio19. Così, ad esempio, è da ritenere tutelato il diritto all'immagine anche nel caso di utilizzo di una sagoma, appena accennata, con una pistola in pugno che richiami l'inizio dei numerosi film del famoso 007. § 2 POSIZIONE AUTONOMA DEL DIRITTO ALL'IMMAGINE A questo punto è già bene precisare che l‟Ordinamento giuridico tutela il diritto all‟immagine come posizione soggettiva autonomamente rilevante, 18 Trib. Roma, 2 febbraio, Clemi Cineamt. c. Geraci, in Foro it., 1994, I, 1936. 19 Pret. Roma, 18 aprile 1984, Dalla / Autovox, in Giur. it., 1985, I, 2, 544. 28 a prescindere dalla lesione di altri diritti, quali l‟onore, dignità, reputazione, decoro, per come si desume dall‟art. 10 c.c. che pone il divieto di esposizione dell‟altrui immagine fuori dei casi in cui la legge lo consente, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa, prevedendo quindi un‟ipotesi ulteriore e distinta. Ed è significativo come già la dottrina, alla pubblicazione del nuovo Codice civile, ha da subito sostenuto che l'immagine 20 costituisce un diritto strettamente inerente alla persona, quindi una delle possibili proiezioni esteriori della personalità, uno dei modi dell‟essere personale, come il nome e l‟identità. Il riferimento alla possibile lesione dell‟onore o del decoro, dunque, ha rilievo soltanto al fine di estendere la tutela dell‟immagine a casi in cui, altrimenti, la riproduzione della stessa sarebbe consentita, ma assolutamente non esaurisce l'ambito di tutela dell'immagine. Ne consegue che ciascun individuo ha, in linea di principio, la libertà di fare rappresentare e fare apparire la propria immagine solo se e in quanto lo voglia, e quindi un interesse giuridicamente protetto a circondarsi di un certo riserbo, soprattutto con riferimento alla vita privata; in corrispondenza di tale facoltà, si pone il divieto di fare uso dell‟altrui immagine, vale a dire riprodurla e diffonderla, contro la volontà del titolare, anche se la riproduzione e la 20 Ferrara L., Il diritto sulla propria immagine nel nuovo codice civile e nella nuova legge sul diritto d’autore, Roma, 1942. 29 diffusione non siano idonee a ledere il decoro e l'onore della persona rappresentata. Alla luce di queste considerazioni è stato sostenuto21 che il diritto in questione è una delle manifestazioni positive del diritto alla riservatezza e, non a caso, il cammino per l'individuazione di quest‟ultimo, ugualmente ricondotto all'art. 2 Cost., ha coinvolto proprio il diritto all'immagine. Il principio in base al quale il ritratto di una persona non possa essere esposto, riprodotto o messo in commercio, senza il consenso di questa, trova delle eccezioni: si tratta di ipotesi, normativamente previste, in presenza delle quali la diffusione dell‟immagine è consentita nonostante sia mancato il consenso del titolare del diritto, al fine di soddisfare interessi considerati di particolare rilevanza pubblica e sociale (artt. 96 e 97 l. 633/1941). Dall‟esame delle norme in materia emerge, di conseguenza, l‟esistenza di limiti al diritto all‟immagine, quindi dei casi nei quali il titolare non possa fare valere un suo potere di divieto né attivare i rimedi inibitori, risarcitori ed in forma specifica, previsti dall'Ordinamento per la tutela di esso. 21 A. De Cupis, I diritti della personalità, II ed. riveduta e aggiornata, in Trattato Cicu-Messineo continuato da L. Mengoni, vol. IV, Milano, 1982, 283 ss. 30 CAPITOLO 3 IL CONSENSO § 1 Natura e forma del consenso; §2 Condizioni di efficacia e presupposti del consenso; § 3 L'immagine del minore; § 4 Interesse del minore e consenso; § 5 I limiti soggettivi ed oggettivi del consenso § 1 NATURA E FORMA DEL CONSENSO Il diritto all‟immagine, in quanto diritto della personalità, presenta i tratti che tipicamente caratterizzano queste posizioni giuridiche soggettive, in particolare l‟assolutezza, l‟imprescrittibilità e l‟intrasmissibilità, nel senso di una cessione ad altri del diritto di esprimere sempre e comunque il consenso in vece del titolare dell'immagine. Inoltre, per come si può agevolmente desumere dalle disposizioni contenute nella legge n. 633 del 1941 sul diritto d‟autore, è un diritto parzialmente disponibile, in quanto il soggetto può prestare il proprio consenso alla riproduzione ed esposizione del proprio ritratto, in mancanza del quale la diffusione dell‟immagine sarà lecita solo laddove ricorra una delle ipotesi previste dall‟art. 97. Posto che l‟immagine di un individuo è, per sua natura, destinata ad essere conosciuta dai terzi, non sarebbe, peraltro, neppure concepibile l‟esistenza di un divieto posto dalla legge di guardare le sembianze altrui laddove siano mostrate, altrimenti tale diritto assumerebbe un‟estensione incompatibile con il vivere sociale, per cui ciò che è vietato è l‟uso dell‟immagine 31 della persona, vale a dire la sua riproduzione e diffusione, oltre i limiti posti dalla volontà del titolare e dalla legge. Allo stesso modo è consentita, salvo, comunque, il diniego dell'interessato, la semplice fissazione delle fattezze del soggetto in un ritratto fotografico (o di diverso genere), non destinato alla divulgazione, fermo restando che l‟individuo risulta tutelato anche nei confronti dell‟autore del ritratto, in quanto il suo diritto alla diffusione e spaccio delle fotografie, pur rientrando nel generico diritto riconosciuto ex art. 87 della l. 633/1941, rimane subordinato, in generale, al consenso della persona che vi è ritratta, per cui nell'intersecarsi dei due interessi - del fotografo e della persona - il diritto all'immagine prevale su quello d'autore riconosciuto al fotografo22. Occorre precisare inoltre che, essendo quello all‟immagine un diritto personalissimo ed inalienabile, il consenso di cui si tratta, che secondo la tesi dominante sia in dottrina che in giurisprudenza costituisce un negozio unilaterale23, non ha ad oggetto il diritto medesimo ma soltanto il suo esercizio, 22 Cassazione civile , sez. III, 10 giugno 1997, n. 5175, 23 Tribunale Torino, sez. IX, 26/1/2006: “Il consenso può essere occasionalmente inserito in un contratto, tuttavia da esso resta distinto ed autonomo (ciò rileva anche ai fini della sua revocabilità, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita), e la pattuizione del compenso non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione”. 32 meglio, il suo utilizzo, sempre nei limiti intrinseci che siano desumibili dal contratto intervenuto tra autore del ritratto (ad esempio agenzia fotografica) e il soggetto rappresentato, dovendosi escludere la liceità di un negozio che consenta un uso illimitato della riproduzione fotografica. Ulteriore corollario della natura di questo diritto è la revocabilità del consenso da parte di chi lo aveva in precedenza prestato, con la conseguenza che il destinatario non potrà opporsi alla decisione del titolare del diritto (secondo una tesi24, anche nell‟ipotesi di revoca immotivata o sorretta da ingiusti motivi) ed avrà solo il diritto all'eventuale risarcimento dei danni, da valutarsi in relazione al pregiudizio effettivamente subito, alla difficoltà di dare esecuzione alla revoca e ad altri parametri. §2 CONDIZIONI DI EFFICACIA E PRESUPPOSTI DEL CONSENSO Affinché il consenso risulti efficace, e quindi idoneo a legittimare la diffusione dell‟immagine, risulta imprescindibile che sia prestato da chi possa validamente disporre di tale diritto, vale a dire l‟individuo maggiorenne capace di intendere e di volere. In linea generale, quindi, con le disposizioni in materia di capacità di agire, di conseguenza, il soggetto minore d‟età non può disporre della propria immagine, a meno che l‟utilizzazione del ritratto costituisca un naturale corollario di un precedente 24 Ferrara L., op. citata. 33 rapporto validamente costituito dallo stesso, come ad esempio nel caso di contratto con prestazioni artistiche25. Al di fuori di questa ipotesi, quindi, spetta al rappresentante legale del minore o della persona comunque priva della capacità di agire, nel rispetto dei limiti posti dalle comuni norme in materia, di dare il consenso alla diffusione dell‟immagine del soggetto sottoposto a tutela, purché ciò determini una qualche utilità per l‟incapace e, in ogni caso, senza pregiudizio per il medesimo. Come, quindi, è facile intuire, laddove venga in considerazione la divulgazione dell‟immagine di un minore appare necessario affrontare con particolare attenzione il problema circa l‟esistenza e la validità del consenso prestato dal rappresentante legale; e, in ogni caso, in relazione, appunto, al preminente interesse dell‟incapace, occorre prestare particolare attenzione all'ipotesi in cui il consenso non risulti prestato espressamente, ma lo si debba desumere implicitamente da un comportamento tacito e concludente. Sebbene non siano mancate voci contrarie26, è ormai pacificamente riconosciuto, infatti, tanto in 25 P. Vercellone, Il diritto sul proprio ritratto,Torino, 1959. 26 Tribunale Roma, 12 marzo 2004, in Danno e resp. 2005, 879 nota Tassone : “poiché l'immagine rientra fra i dati personali protetti dalla normativa sulla "privacy", il consenso alla suo utilizzo non può essere tacito o implicito (secondo quando stabiliva la giurisprudenza formatasi sulle disposizioni dettate dalla legge sul diritto d'autore in 34 dottrina quanto in giurisprudenza, che il consenso alla diffusione dell‟immagine possa essere dato in qualsiasi forma, visto che la legge non ne impone una specifica, quindi non necessariamente in modo esplicito bensì anche in modo tacito27, implicito o per fatto concludente, sempre che si sia in presenza di un comportamento idoneo a manifestare inequivocabilmente la volontà del soggetto ritratto in ordine alla diffusione della propria immagine. E‟ evidente che, per garantire al meglio la tutela del soggetto rappresentato, occorre verificare in modo particolarmente rigoroso l‟effettiva esistenza di un consenso, anche se in forma tacita, o implicita che dir si voglia; al medesimo fine, laddove si affacci l'ulteriore eventualità che la diffusione dell'immagine sia idonea a determinare la lesione di beni rilevanti quali l‟onore e la reputazione, è da ritenere che il consenso debba risultare in modo esplicito, in modo che non possano sussistere dubbi sulla sussistenza di questo, posto che va a impingere anche beni personali, quali, appunto, l'onore e la reputazione, che fruiscono anche di tutela penale. Anzi, ad avviso di chi scrive, sarebbe da verificare, in questi casi, che sussista quello che in altri campi – materia sanitaria e privacy - è detto “consenso informato”, da parte della persona raffigurata, e cioè la piena consapevolezza degli effetti (negativi) che possano derivare dalla diffusione di certe immagini, ad evitare che questi soggetti, di solito materia di diritto all'immagine), ma deve essere espresso ai sensi dell'art. 23 del codice alla "privacy". 27 V. Cass. civile, sez. I 17-2-2004, n. 3014 35 agenzie o rotocalchi, molto esperti su quello che può essere l'impatto nei mass media di una determinata diffusione, avuto soprattutto riguardo al contesto, e più interessate al proprio utile che non al rispetto dell'altrui dignità, possano spregiudicatamente estorcere un assenso, senza che l'interessato, a causa del suo livello culturale o della sua particolare situazione psicofisica, sia in grado di rendersi conto degli effetti perversi della diffusione – e secondo certe modalità - della propria immagine. Il pensiero va a certe pubblicazioni che ridicolizzano la persona raffigurata, con un effetto che supera il comune intento delle due parti, poiché risulterà inaspettato (e non voluto) all'interessato da un lato e del tutto indifferente al coloro che procedono alla pubblicazione. Orbene. Una particolare attenzione alla forma del consenso, per così dire, informato, trova giustificazione nella considerazione che di solito la persona ci tiene a non venire rappresentata secondo modalità che possano nuocere alla sua reputazione, anche questa aspetto dell'identità personale, diritto fondamentale della persona e costituzionalmente riconosciuto e garantito. Tornando al consenso tacito, è da dire che una classica ipotesi si pone nel caso in cui una persona, volontariamente o almeno consapevolmente, si ponga in condizione di apparire accanto a personaggi noti, come nel caso di chi si accompagni ad un noto artista, o di chi si sia, comunque, collocato tra personaggi "pubblici", così dimostrando gradimento oppure, quantomeno, consapevolezza o indifferenza alla 36 eventualità di essere ripreso accanto al personaggio noto. Diversamente, non può ritenersi esistente tale forma di consenso, laddove un soggetto si sia trovato in una data situazione del tutto casualmente, ad esempio passeggiando in una pubblica via, e senza rendersi conto di essere ripreso, o essendo stato ritratto in una foto destinata alla pubblicazione perché posto accidentalmente alle spalle di un personaggio noto. La sussistenza di un consenso tacito, inoltre, può desumersi anche dalle caratteristiche della riproduzione nonché dalle circostanze in presenza delle quali il soggetto si è fatto ritrarre: pensiamo all‟ipotesi del modello di un quadro o di una scultura, e ciò indipendentemente dalla previsione di un corrispettivo a suo favore, dal momento che può dirsi notorio che quando la riproduzione assuma la forma di un‟opera d‟arte, è naturalmente destinata alla diffusione presso il pubblico. Resta salva, ovviamente, la possibilità per il soggetto ritratto di dimostrare la sua preventiva opposizione in ordine alla divulgazione, in quanto il suo assenso era limitato alla mera riproduzione delle sue fattezze per un utilizzo strettamente privato (suo, se committente, oppure dell'artista): questo caso ricorre spesso nel caso di fotografie, da considerarsi osé, che magari l'individuo si ritrova a distanza di anni pubblicate in una rivista per soli uomini. Analoga considerazione può essere fatta laddove una persona abbia deciso di sottoporsi spontaneamente ad una serie di fotografie presso una agenzia fotografica (al di fuori di una specifica 37 commissione): potrà ritenersi esistente un consenso tacito alla diffusione della propria immagine, poiché, diversamente che per il comune fotografo, è questa la principale finalità del lavoro proprio dell'agenzia fotografica, la quale, normalmente, non riceve alcun compenso dalla persona fotografata, specie se notoria ed operante in determinati settori, come quello cinematografico, ma trae la propria rimunerazione dalla diffusione delle immagini28. Consentendone la ripresa, il soggetto, quindi, non può ignorarne lo scopo; anzi, implicitamente mostra di desiderare proprio la pubblicazione e divulgazione delle sue immagini, e spesso di condividerne la finalità o quanto meno di tollerarne la diffusione 29. Per verificare l‟esistenza di un consenso tacito, quindi, è necessario esaminare attentamente le circostanze del caso concreto, in cui venne effettuata la riproduzione dell'immagine, al fine di individuare quegli elementi che possono apparire indicativi di una 28 Analogamente Tribunale Roma, 24/1/2002, Califano c. Soc. Rusconi ed., in Giur. Romana 2002, 242: “deve presumersi implicitamente concesso il consenso alla diffusione della propria immagine, da parte di chi si lasci ritrarre, senza compenso, da un'agenzia di stampa, conoscendo la qualifica del fotografo ed in occasione di una cerimonia, ancorché privata, ma alla quale partecipino personaggi pubblici”. 29 Cass. civile, sez. III, 10/6/1997, n. 5175, Casa Editrice Universo c. PMF. 38 volontà del soggetto ritratto in ordine alla divulgazione del proprio ritratto30. In uno dei tanti casi sottoposti all‟esame della giurisprudenza31, ad esempio, l‟esistenza di un consenso tacito alla divulgazione di foto di una donna, è stato desunto dalla circostanza che si trattava di fotografie non occasionali, come si evinceva dalle 30 Sull’esistenza di un consenso espresso o tacito v. Corte appello Bologna, 01 agosto 2006, n. 940, Il merito 2006, 12 36: “ L'utilizzazione dell'immagine di un dipendente pubblico, sotto forma di sagome di cartone delle dimensioni di un uomo in divisa da vigile urbano, senza il consenso dell'avente diritto, pur finalizzata alla tutela della sicurezza pubblica (nella fattispecie della sicurezza stradale), deve ritenersi uso indebito ed illegittimo che comporta a carico della p.a. l'obbligo di risarcimento dei danni subiti dal dipendente. Infatti, attesa la natura personalissima ed inalienabile del diritto all'immagine, la mera esistenza del rapporto di lavoro tra l'Amministrazione comunale e il vigile urbano, non autorizza di per sé, in difetto del consenso espresso o tacito di quest'ultimo, lo sfruttamento dell'immagine del lavoratore. In sostanza si potrebbe ritenere l'amministrazione pubblica esente da responsabilità solo laddove questa riuscisse a dimostrare che, nel contratto di lavoro sottoscritto con il dipendente, sia stata appositamente inserita una clausola con la quale il dipendente, esclusivo titolare del diritto all'immagine, ne aveva autorizzato l'impiego nell'ambito di iniziative rientranti nei progetti per la sicurezza stradale”. 31 Cass. civile , sez. I, 16 maggio 2006, n. 11491, in Giust. civ. Mass. 2006, 5 39 pose, per cui era da desumere che fossero destinate, appunto, alla pubblicazione: si è ritenuta quindi che il consenso al cosiddetto provino, non contestato dalla interessata, implicasse il consenso anche alla pubblicazione dei ritratti così prodotti. Altro elemento significativo, inoltre, è stato considerato la circostanza che, dopo la produzione del materiale fotografico, spettava solo al committente – eventualmente diverso dalla persona ripresa valutarne l'effettiva idoneità allo scopo per il quale era stato prodotto, con la conseguenza che la persona ritratta non ne aveva più la disponibilità, avendone autorizzato preventivamente la pubblicazione. Anche il dato cronologico, vale a dire il decorso di alcuni anni durante i quali le fotografie erano state utilizzate a scopo pubblicitario dal committente senza alcuna obiezione da parte del soggetto (nella specie, una donna), è stato interpretato, nel caso esaminato dai Giudici, come prova ulteriore del fatto che la pubblicazione delle fotografie era da ritenersi appunto già autorizzata sin dal momento in cui erano state prodotte su incarico del committente. § 3 L’IMMAGINE DEL MINORE A parte la legge 3 agosto 1998, n. 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, che contiene delle disposizioni relative anche al materiale pedopornografico, e, quindi, allo sfruttamento di immagini del minore per ragioni turpi, incidenti oltre che sul piano penale anche su quello della tutela 40 civilistica (oggetto specifico del presente lavoro), è da ricordare che la situazione dei minori è stata oggetto di un apposito accordo internazionale “Convenzione sui diritti del fanciullo”, adottata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, la quale contiene talune disposizioni che, in qualche modo, riguardano anche l'immagine del minore. Si tratta delle disposizioni contenute nell'articolo 16, il quale stabilisce che “nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione”; e che “il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”, nonché nell'articolo 3, il quale, disponendo che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, della autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente", fornisce un'utile chiave di lettura e di interpretazione, proprio in ordine al consenso concernente l'immagine di un minore. E invero, nell‟ipotesi in cui venga in considerazione l‟immagine di questi, è di fondamentale importanza, per come è già si è accennato nelle pagine precedenti, che la valutazione circa la sussistenza delle condizioni legittimanti la divulgazione del suo ritratto sia effettuata con particolare rigore, avuto, appunto, riguardo soprattutto all'interesse del minore. 41 Il rischio, precisamente, è che si giunga a riconoscere l‟esistenza di un valido ed efficace consenso, espresso o tacito, da parte di colui che esercita la potestà (in genere il genitore) senza quella cautela che, invece, è assolutamente necessaria al fine di tutelare gli interessi del minore. Un primo problema che in proposito si può porre, e su cui è necessario prestare la dovuta attenzione, riguarda i presupposti nonché le condizioni necessarie affinché sia ravvisabile un consenso tacito da parte dell‟esercente la potestà alla pubblicazione del ritratto del figlio minore, generalmente immortalato in presenza anche del genitore. Se, per come evidenziato nelle pagine precedenti, normalmente è necessario verificare con attenzione la sussistenza di quegli indizi dai quali sia possibile desumere l‟esistenza di un consenso tacito, da parte del soggetto rappresentato, alla diffusione della propria immagine, a maggior ragione questo accertamento dovrà essere effettuato con particolare rigore nel caso in cui la diffusione riguardi l‟immagine di un minore. In questa ipotesi, infatti, si tratta di verificare se possa ritenersi la sussistenza di un consenso in forma tacita con riguardo non soltanto alla propria immagine, ma anche a quella del minore, i cui interessi (sicuramente) sono di solito differenti o possono divergere rispetto a quelli dell'adulto. Occorre inoltre distinguere il caso in cui il minore sia in compagnia di chi esercita la patria potestà, dal caso in cui l'accompagnatore sia, invece, una persona diversa. 42 Infatti, nel primo caso, seppur con particolare attenzione allo scopo della diffusione, si può pure ritenere che un consenso tacito possa riguardare anche il minore, in relazione alle circostanze di fatto: così, ad esempio, va sicuramente ritenuto il consenso se l'adulto esercente la patria potestà si metta in posa per la foto, con accanto o in braccio il minore; diversamente, invece, ove si sia in presenza di foto o ripresa carpite dal paparazzo: in questo caso se può ammettersi il consenso tacito per l'adulto, è da escludere riguardo alla divulgazione del ritratto del minore, il cui diritto all'immagine va rigorosamente rispettato. Ove poi il minore sia accompagnato da adulto diverso da chi eserciti la patria potestà, chiaramente è da escludere qualsiasi forma di consenso, con riguardo all'immagine di questi. Riassumendo, quindi, sul punto: è da escludere qualsiasi forma di consenso, tacito o esplicito, da parte dell'accompagnatore adulto, che sia persona diversa da chi eserciti la patria potestà; nel caso di adulto, che, invece, sia, ad esempio, un genitore del minore, è, del pari, da escludere un consenso tacito, riguardo al minore, per le foto o le riprese carpite, anche se si sia in un luogo pubblico, atteso che il consenso tacito può riguardare l'adulto ripreso e non il minore; è da ammettere, invece, la sussistenza di un consenso tacito, qualora si tratti di immagini di posa: in questo caso si può ipotizzare anche una lesione del diritto all'immagine del minore, ma chiaramente l'azione non potrebbe essere promossa dal genitore consenziente, ma, semmai dall'altro genitore, ove in concreto vi sia una lesione dell'immagine del figlio. 43 Chiaramente, poiché spetta all'esercente la patria potestà proporre poi ogni azione (della quale si parlerà in prosieguo) a tutela dell'immagine del minore, un problema di verifica della sussistenza, in concreto, di un consenso, si porrà soltanto in caso di lite giudiziaria. In un caso sottoposto all‟attenzione della Suprema Corte, ad esempio, su un giornale era stata pubblicata l‟immagine di un bambino di otto anni, immortalato, senza alcuna cautela per renderlo irriconoscibile, mentre si trovava in spiaggia in compagnia del padre e di una giovane attrice 32. Esattamente la Suprema Corte non tenne in alcun conto il consenso tacito, che si poteva presumere nel genitore, il quale nella spiaggia si produceva “in assalti erotici” nei confronti della giovane, posto che tale consenso poteva riguardare i due adulti, ma non certamente il bambino ripreso accanto a loro, e del quale il rotocalco indicava anche il rapporto di parentela con l'uomo. Tralasciando, per adesso, i profili attinenti al diritto di cronaca e alla privacy, che saranno approfonditi in prosieguo, va rilevato come da un lato potrebbe sostenersi che il soggetto che si trova in un luogo pubblico -ad esempio una spiaggia- in compagnia di un personaggio noto, presumibilmente è consapevole della presenza dei fotografi e, quindi, della possibilità che la sua immagine sia immortalata. 32 Cass. civile, Sez. III 5/9/2006 n. 19069, in D&G Dir. e giust. 2006, 36 22. 44 Si potrebbe, pertanto, giungere alla conclusione che sia ravvisabile anche un consenso tacito alla pubblicazione del proprio ritratto. D‟altro canto, tuttavia, non va dimenticato che il consenso presunto sussiste solo ed esclusivamente in presenza di un comportamento idoneo a manifestare inequivocabilmente la volontà del soggetto in ordine alla diffusione della propria immagine, e va accertato caso per caso in modo rigoroso, tenendo conto di tutti quegli indizi da cui è possibile desumerne la sua sussistenza. Quindi, se accompagnarsi in un luogo pubblico ad un personaggio noto di solito può dirsi che implichi un consenso tacito alla divulgazione della propria immagine, poiché è notorio che i rotocalchi vivono di questo genere di attività, ciò non è sempre ed automaticamente vero, nel caso in cui la riproduzione fotografica o cinematografica coinvolga un minore: in questo caso l'esistenza del consenso va verificata in concreto e rigorosamente. E invero, nel caso in cui l‟immagine che si intende divulgare è quella di un minore, la questione appare più complessa e deve essere risolta con maggiore cautela, in particolare tenendo sempre in considerazione i suoi preminenti interessi, per come peraltro anche espressamente previsto, per come detto, dalla Convenzione di New York del 1989 sulla tutela dei minori. Innanzi tutto, infatti, un conto è riconoscere l‟esistenza di un consenso tacito alla divulgazione della propria immagine da parte di chi, consapevolmente, si accompagni ad un personaggio noto, decidendo di recarsi in un luogo pubblico affollato (come una 45 spiaggia in estate): è fatto notorio, infatti, l‟interesse che possono suscitare nel pubblico le vicende di una persona famosa, con conseguente probabile presenza di fotografi pronti ad immortalare anche chi si trovi in compagnia della medesima. Diverso discorso, invece, vale –o dovrebbe valere- con riferimento a terze persone, coinvolte solo indirettamente, in particolare se si tratti di minori: sarebbe, infatti, eccessivo, ad avviso di chi scrive, ritenere esistente un consenso tacito da parte del padre, che si accompagna a personaggio famoso, alla divulgazione dell‟immagine, non solo propria, ma anche del figlio minore, essendo tutto da dimostrare – e di solito è indimostrabile, perché, appunto, insussistente- un ipotetico presumibile interesse da parte del pubblico, quindi dei fotografi, rivolto anche a questi. Inoltre, per come sarà evidenziato nelle pagine successive, neppure può ritenersi giustificata la divulgazione dell‟immagine in quanto collegata a “fatti svoltisi in pubblico”, ex art. 97 l. n. 633/1941, perché, secondo l‟interpretazione preferibile, occorre che questi presentino un particolare interesse per la collettività, distaccandosi dalla normalità quotidiana, con la conseguenza che non è sufficiente trovarsi in un luogo pubblico affinché si possa ritenere automaticamente legittima la riproduzione dell‟altrui ritratto. Analoga considerazione può essere fatta per quanto riguarda la notorietà della persona: infatti, per come sarà rilevato in prosieguo, se è vero che la notorietà di un soggetto, idonea a giustificare la diffusione dell‟immagine in assenza di consenso, può 46 coinvolgere, in qualche modo, anche altri soggetti (amici, familiari ecc.), tuttavia è costantemente affermata la necessità di una diretta connessione della pubblicazione a preminenti ed attuali esigenze pubbliche di informazione. In questa, come in altre simili ipotesi, invece, appare una forzatura riconoscere l‟esistenza di un prevalente interesse generale alla conoscenza dell‟immagine, non solo del personaggio noto, non solo del suo nuovo “amore” (non famoso), ma anche del figlio minore di quest‟ultimo. L‟unico elemento che verosimilmente sussiste – e sul quale fanno purtroppo leva taluni rotocalchi - sarà, semmai, una morbosa curiosità del pubblico, tuttavia decisamente inidonea a comprimere il diritto all‟immagine, a maggior ragione di un minore. Infine non va dimenticato che, in nessun caso, la pubblicazione può ledere l‟onore del soggetto ritratto33; per verificare questa circostanza è necessario prendere in considerazione anche l‟eventuale testo posto a corredo della fotografia pubblicata in un giornale, come nel caso definito con le sentenze citate, dove il giornalista poneva l‟accento sul comportamento, forse poco decoroso della coppia ritratta, sottolineandosi il suo svolgimento davanti al minore, quindi, coinvolto nella riproduzione della scena. 33 V. art. 10 c.c. e art. 97, comma 2, l. n. 633/1941. 47 § 4 INTERESSE DEL MINORE E CONSENSO Si è parlato, fino ad ora, dell‟ipotesi di riproduzione dell‟immagine del minore in assenza di un esplicito consenso da parte dell‟esercente la potestà, al fine di stabilire se, ed entro che limiti, possa considerarsi legittima. Tuttavia è quantomeno preoccupante rilevare come, nei tempi più recenti, soprattutto personaggi non particolarmente noti, ma desiderosi di catturare un‟attenzione che, altrimenti, difficilmente avrebbero, utilizzino proprio l‟immagine dei figli minori, per moltiplicare le occasioni di apparire su questo o quel giornale. Insomma, spesso non si pone di certo un problema relativo all‟assenza di consenso da parte del personaggio noto alla divulgazione dell‟immagine del figlio, perché, in realtà, tale consenso è prestato di buon grado, spesso accompagnato da una (ben remunerata) clausola di esclusiva a favore del giornale “prescelto” per la pubblicazione delle “eccezionali” fotografie del bambino appena nato, o della sua “riservatissima” festa di compleanno, o del pargolo vestito con cura per augurare (in copertina, si intende) “a tutti i gentili lettori” i migliori auguri di buon Natale. Ma in questi casi è davvero tutelato l‟interesse del minore? Ad avviso di chi scrive, il più delle volte non corrisponde agli interessi di un bambino la massiccia diffusione della sua immagine, solo perché ha avuto la 48 fortuna (?) di avere una madre o un padre appartenenti al mondo dello spettacolo o dello sport 34. E, a proposito dell'opportunità che sia mantenuta viva l'esigenza di una consistente riservatezza nella pubblicazione di immagini di minori, appare utile ricordare, seppur risalente al lontano 1927, il più tristemente (e antico) noto caso di kidnapping verificatosi in passato, agevolato appunto da una improvvida divulgazione dell'immagine di un bimbo di due anni. Trattasi del caso Lindberg, il famoso trasvolatore dell'Atlantico nel 1927: il figlio venne rapito a scopo di estorsione e poi ucciso dai rapitori, allorquando si sentirono braccati dalle forze di polizia. Orbene, questi, quando furono arrestati, dichiararono che l'idea di rapire il figlio del famoso pilota sorse nella loro mente criminale, perché ne avevano visto l'immagine in un rotocalco, accanto alla baby sitter, per cui non soltanto seppero dell'esistenza del bambino dalla pubblicazione della foto, ma pensarono anche ad una facilità del fatto criminoso, per la circostanza che veniva accudita da un'estranea e non direttamente dalla madre. Altre volte i giornali hanno dato notizia di casi di pedofili che si sono indirizzati a specifici bambini, perché ne hanno visto riprodotte le immagini in qualche trasmissione: il rigore con il quale il legislatore (ma non sempre i rotocalchi e certi spettacoli) ha affrontato la problematica della divulgazione di immagini di minori ha quindi un legittimo fondamento, anche nella esigenza di salvaguardarne per quanto 34 E qui, ancora una volta, si ritiene utile richiamare la già indicata Convenzione di New York. 49 possibile l'anonimato da pedofili e criminali di altro tipo. Insomma, se è vero che spetta all‟esercente la potestà la possibilità di prestare il consenso alla diffusione dell‟immagine del minore, non andrebbe, tuttavia, dimenticato che, in ogni caso, proprio perché viene in rilievo una “potestà” la stessa deve essere esercitata, per definizione, non nel proprio, ma nell‟interesse del soggetto sottoposto. Di conseguenza, il diritto all‟immagine del minore, in definitiva, è da ritenersi non liberamente disponibile; il consenso, quindi, alla divulgazione di fotografie o riprese del medesimo non dovrebbe poter essere prestato senza limitazioni, ma solo laddove ciò corrisponda, effettivamente, ai suoi interessi e, sicuramente, senza alcun pericolo di pregiudizio per il medesimo. Infine andrebbe considerato un particolare – spesso tralasciato- ma in realtà fondamentale: la tutela del minore deve essere sempre effettiva, e mai soltanto formale. Viceversa, frequentemente vengono pubblicate delle immagini di minori considerate teoricamente legittime, solo perché riprodotte con delle alterazioni, pressoché irrilevanti, che dovrebbero servire – ma non servono - a renderne irriconoscibile le fattezze: ci si riferisce a quell‟effetto “sfumato” che va a coprire – impercettibilmente- gli occhi della persona ritratta e che soltanto in base ad una concezione formalistica e non sostanziale della salvaguardia del minore può essere considerato una strumento efficace per la difesa degli interessi dello stesso. 50 Nel complesso, pertanto, la sensazione è che per i motivi più disparati -talvolta accampando dubbie esigenze pubbliche di informazione, altre volte volendo intravedere un tacito consenso del genitore alla riproduzione dell‟immagine del figlio, altre volte ancora con consensi dati da sprovveduti (e spesso spregiudicati) genitori, ritenendo sufficienti dei blandi accorgimenti per considerare non riconoscibile il voltosi finisca per far prevalere ragioni per lo più di natura economica a scapito di interessi che, invece, dovrebbero sempre prevalere. § 3 I LIMITI SOGGETTIVI ED OGGETTIVI DEL CONSENSO Se, per come più volte ribadito in dottrina e giurisprudenza, un consenso tacito o implicito, da accertare pur sempre in modo rigoroso35, è in linea di principio ammissibile, tuttavia appare fondamentale che lo stesso sia circoscritto entro ragionevoli limiti, soggettivi ed oggettivi, nonché temporali. Anche in tale ambito, infatti, l‟autonomia privata non ha un‟estensione diversa a seconda della forma, 35 Tribunale Roma, 02 novembre 1994, Corrente c. Soc. Excelsior international ed., in Dir. informatica 1995, 367: “ Il consenso del ritrattato alla pubblicazione dell'immagine può bensì essere espresso o tacito, ma deve essere oggetto di rigoroso accertamento da parte del giudice, dovendosene quindi escludere la ricorrenza ove l'effigiato si riservi di sottoscrivere una dichiarazione liberatoria all'esito di successivi accordi”. 51 espressa o tacita, utilizzata per manifestare il consenso; di conseguenza la pubblicazione dovrà avvenire pur sempre nel rispetto dei relativi limiti (che, vertendosi nell'ambito di un diritto proprio della persona, assumono una particolare rilevanza), sia laddove il consenso è espresso, sia laddove risulti implicitamente, con la differenza che mentre nel primo caso i limiti in questione saranno più facilmente individuabili, perché manifestati in genere nel negozio in cui è stato espresso il consenso, nella seconda ipotesi, invece, saranno determinabili attraverso l‟interpretazione di atti comportamentali della persona ritratta. I limiti, da valutare sempre in modo rigido e restrittivo, possono essere soggettivi, per cui il consenso alla diffusione dell‟immagine sarà efficace solo in favore del soggetto per il quale è stato prestato, ed oggettivi, vale a dire riguardanti aspetti che prescindono dalla persona del destinatario come, ad esempio, la finalità della divulgazione, le modalità della stessa, la tipologia di riviste su cui potrà intervenire, nonché il tempo, non potendosi ammettere un consenso sine die36 poiché andrebbe a determinare una eccessiva compressione del diritto in questione, che per come si è ripetutamente affermato ha valenza di diritto fondamentale, come tale costituzionalmente garantito. Al fine di una piena ed effettiva tutela di questo fondamentale diritto della personalità deve, viceversa, escludersi la validità di un consenso generico alla 36 Cassazione civile , sez. I, 17 febbraio 2004, n. 3014 cit.; Corte d’appello Roma, 19/5/2000. 52 divulgazione, senza alcuna determinazione di modalità concrete, sia in ordine alla scelta delle singole immagini da esporre, sia riguardo al tipo di pubblicazione cui destinarli. Pertanto il problema dei limiti soggettivi ed oggettivi del consenso deve essere in ogni caso affrontato, in quanto questi, pur non condizionandone la validità, ne circoscrivono ugualmente l‟efficacia. In un caso sottoposto recentemente all'esame della Suprema Corte37, riguardante la pubblicazione di foto di nudo che ritraevano una nota attrice all‟inizio della carriera, è stato affrontato proprio il problema della individuazione dei limiti oggettivi del consenso e dei soggetti responsabili del loro superamento. Nella fattispecie in questione, infatti, dall‟esame della c.d. “liberatoria” firmata dall‟attrice era possibile individuare almeno un duplice ordine di limiti oggettivi: il primo consisteva nel riferimento espresso alla realizzazione di un servizio, non di moda, ma di charme, che notoriamente comprende anche foto di nudo, elemento che la Corte territoriale aveva preso in considerazione unitamente alla circostanza che la nota attrice, in occasioni anteriori, concomitanti e successive, aveva consentito a pubblicazioni di questo tipo. Tuttavia, secondo la Corte di cassazione – che accolse sul punto il ricorso dell'attrice con rimessione al giudice di 2° grado - il giudice d‟appello non aveva tenuto in debito conto l‟altro limite oggettivo espresso nella “liberatoria”, consistente nella precisa 37 Corte di Cassazione, sez. I civile, 1/9/2008 n. 21995 Marini/Ram studio. 53 indicazione che queste foto fossero destinate esclusivamente “a riviste di prestigio internazionale”. Questa indagine, invece, risultava necessaria proprio per potere valutare se la pubblicazione contestata fosse giustificata o meno dal consenso dell‟attrice ritratta, posto che, come viene ribadito nella pronuncia in questione, il consenso alla diffusione su una o determinate riviste non autorizza la pubblicazione su giornali diversi da quelli indicati. La sentenza, infine, ribadisce il principio per il quale la diffusione di immagini in violazione dei limiti previsti, o comunque desumibili dalle circostanze del caso concreto, può comportare la responsabilità di tutti coloro che concorrono nel processo creativo, attuativo e divulgativo, quindi non solo dell'agente cui è materialmente imputabile la pubblicazione, ma anche del fotografo, in quanto questi non può essere considerato estraneo alla pubblicazione, poiché, in quanto titolare del diritto esclusivo alla riproduzione e diffusione del ritratto fotografico, aveva l'onere di vigilare sul tipo di pubblicazione per la quale aveva ceduto i diritti relativi, salva, appunto, la rigorosa dimostrazione, a suo carico probatorio, della sua estraneità alla causazione del fatto dannoso. Dall‟esame della giurisprudenza in materia, in effetti, il problema della violazione dei limiti del consenso emerge frequentemente proprio in fattispecie di pubblicazione di foto di nudo: si tratta, in genere, di ritratti realizzati in un periodo risalente nel tempo, spesso agli inizi della carriera, e poi successivamente divulgati in giornali più o meno scandalistici. 54 Anche in questi casi è necessario verificare rigorosamente se è intervenuta la lesione del diritto all‟immagine attraverso il superamento dei limiti soggettivi ed oggettivi, in quanto il consenso alla pubblicazione prestato nel passato dovrà in ogni caso ritenersi subordinato al criterio “dell‟uso prevedibile“38, anche laddove non fosse stato espressamente limitato ad un prestabilito arco di tempo. Occorre, infatti, considerare che il decorso del tempo normalmente comporta una modificazione di tanti aspetti della vita del soggetto fotografato, del suo percorso artistico, delle sue scelte professionali, della connotazione che ha inteso dare alla sua carriera, quindi, in definitiva, un mutamento delle esigenze o delle prospettive ipotizzabili all‟epoca della realizzazione delle foto, in altre parole, una evoluzione della sua identità personale. Allo stesso modo può costituire una violazione del diritto all‟immagine la pubblicazione di fotografie risalenti nel tempo, ma accostate ad altre recenti, in quanto potrebbe determinare nei lettori un giudizio di disvalore sulle qualità artistiche della persona ritratta39. E, allora, non sussistendo più le originarie condizioni in presenza delle quali era stato prestato il consenso alla pubblicazione, il medesimo si dovrà 38 Trib. Roma, 16 giugno 1990, Rode c. RCS Ed., in Foro it., 1992, I, 1958, nota di Chiarolla. 39 Trib. Roma, 7 ottobre 1988, Bonaccorti c. Peruzzo e altri, in Dir. inf., 1989, 173. 55 ritenere revocato, con conseguente illegittimità di un‟eventuale successiva ed ulteriore diffusione.40 In definitiva può accadere che un certo tipo di manifestazione dell‟immagine, un tempo ritenuta adatta alla propria personalità, possa successivamente non apparire ormai consona alle proprie attuali necessità e, in generale, a se stessi, ciò che esclude la sussistenza – per come di è detto – di un consenso che possa ritenersi dato per un tempo indeterminato. Emerge, quindi, un ulteriore aspetto della problematica in questione, che nel proseguo sarà meglio approfondito, vale a dire l‟eventuale lesione, attraverso la pubblicazione illecita dell‟altrui immagine, anche di un diverso diritto fondamentale: l‟identità personale. Come sarà evidenziato, infatti, queste due posizioni soggettive trovano punti di contatto, per cui spesso un medesimo comportamento è idoneo a determinare la contestuale violazioni di entrambe. E‟ altrettanto frequente, tuttavia, che diritto all‟immagine ed all‟identità personale entrino in conflitto con altri diritti costituzionalmente garantiti, come quello di cronaca, con conseguente necessità di stabilire in che modo bilanciare contrapposte esigenze considerate di fondamentale rilievo per l‟ordinamento giuridico. Concludendo sul punto, quindi, è da dirsi che il consenso non può essere mai considerato assoluto o totalitario, malgrado qualsiasi espressione in contrario 40 Pret. Milano, 19 dicembre 1989, Fenech c. Soc. Polieditor, in Foro it., 1991, I, 2863; Corte d’appello Roma, 8 settembre 1986, in Foro it., 1987, I, 919. 56 formulata dalle parti per iscritto in sede di negozio giuridico o qualsiasi prassi diversa, seguita nel passato, atteso che si è in presenza di un diritto fondamentale, appunto, quello all'immagine e all'identità personale, insuscettibili, come tale, di rinunce generalizzate proiettate nel futuro. 57 CAPITOLO 4 LA DIVULGAZIONE DELL’IMMAGINE IN ASSENZA DI CONSENSO § 1 La notorietà; § 2 Limiti alla divulgazione dell'immagine; § 3 Interesse pubblico e “gossip”; § 4 Fatti, avvenimenti, cerimonie pubbliche o di interesse pubblico; § 5 Altre ipotesi di divulgazione dell'immagine senza necessità di consenso § 1 LA NOTORIETÀ L‟esistenza di un valido consenso –espresso o tacito- da parte del soggetto ritratto costituisce, per come è stato evidenziato nella pagine che precedono, condizione normalmente necessaria per la legittima diffusione dell‟immagine altrui. Dal combinato disposto degli artt. 10 c.c. e 97 l. n. 633/1941 emerge, tuttavia, l‟esistenza di ipotesi in presenza della quali la pubblicazione dell‟immagine può intervenire pur in mancanza di una manifestazione di consenso (espresso o tacito). Questi casi, previsti specificamente dal legislatore, presentano in comune una caratteristica: la sussistenza di un interesse pubblico e sociale, che giustifica la compressione dell‟altrui diritto 41 all‟immagine , di cui, quindi, viene ammesso il sacrificio proprio in funzione di una esigenza preminente della collettività42. 41 Cassazione civile, sez. I, 28 marzo 1990, n. 2527, Tattilo editrice spa c. Sandrelli. 42 Ricca-Barberis, Restrizioni del diritto all’immagine ed eccezioni ad esso, in Dir. econ., 1957. 58 Tutte queste ipotesi previste ex art. 97 l. n. 633/1941 hanno, peraltro, carattere eccezionale, in quanto vanno a interferire con la regola generale della necessità del consenso da parte dell'interessato, per cui devono essere interpretate ed applicate da parte del giudice in modo restrittivo e rigoroso, soprattutto avendo sempre riguardo alla sussistenza di un interesse pubblico, che sia attuale, serio nonché preminente rispetto all‟altrui diritto all‟immagine. Questo aspetto, per come sarà illustrato nel proseguo, pone anche diverse questioni attinenti, in particolare, al rapporto tra diritti della personalità, quali immagine (con l'identità personale) e riservatezza da un lato, e diritto di cronaca e critica, nonché ai criteri idonei a risolvere i conflitti tra queste situazioni giuridiche soggettive. Non occorre, pertanto, il consenso della persona interessata, laddove la diffusione del suo ritratto è giustificata dalla notorietà o dall‟ufficio pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico (art. 97, comma 1, l. n. 633/1941). Si è posto, a tale proposito, il problema se la ripresa televisiva dell'udienza penale possa consentirsi in assenza di un consenso delle parti interessate; si è giunti alla conclusione che possa consentirsi, qualora l'immagine sia collegata a fatti svoltisi in pubblico, tenuto anche conto che le udienze dibattimentali sono pubbliche a pena di nullità ai sensi dell'art. 423 c.p.p., attesa l'esimente del diritto costituzionalmente tutelato di informazione, per cui sussiste un diritto della 59 collettività di conoscere le modalità di amministrazione della giustizia penale, allorquando sia da escludere che la ripresa televisiva arrechi pregiudizio all'onore, alla reputazione o al decoro dei soggetti ritratti43. E infatti, va immediatamente precisato, peraltro, che in nessun caso l‟immagine può essere divulgata in pregiudizio all‟onore, alla reputazione o al decoro del soggetto (art. 97, comma 2, l. n. 633/1941). Tra queste ipotesi, l‟attenzione della giurisprudenza si è soffermata più frequentemente sulla notorietà della persona e sul collegamento della pubblicazione dell‟immagine a fatti di interesse pubblico o verificatisi in pubblico, in quanto fonte di maggiori problematiche. Innanzi tutto, la notorietà sussiste quando una persona, a prescindere dalle ragioni, ha richiamato su di sé l‟attenzione generale della collettività, anche in un periodo del passato, e quindi le “notabilità” dell‟arte, della scienza, dello sport, della politica; ma – purtroppo, per l'interessato – anche quella che deriva dall'essere stato coinvolto in una disgrazia o in un delitto oppure oggetto di un destino che devia dalla normalità: in tutti questi ed altri casi consimili, l‟individuo è conosciuto da una generalità di persone indeterminati 44. La notorietà del soggetto può coinvolgere, in qualche modo, anche i suoi familiari, riguardo ai quali 43 V. Tribunale Torino, 22 settembre 1988, in Dir. informatica 1989, 484. 44 Pugliatti, La trascrizione,in Trattato di diritto civile e commerciale, XIV-I, 1957. 60 si parla 45 di una "relativa" rilevanza pubblica, nel senso che le loro esigenze di privacy possono venire sacrificate solo in connessione col "personaggio pubblico", e nella misura necessaria a soddisfare l'esigenza di mettere in luce la figura dello stesso. § 2 – LIMITI ALLA DIVULGAZIONE DELL'IMMAGINE. E‟ necessario evidenziare come la notorietà, in sé e per sé, non è, o –per meglio dire- non dovrebbe essere elemento sufficiente a giustificare sempre e comunque la compressione del diritto all‟immagine, e quindi la divulgazione del ritratto senza il consenso dell‟interessato, in quanto –a rigore- secondo un principio abbastanza condiviso è altresì necessario che la pubblicazione sia direttamente connessa a preminenti ed attuali esigenze pubbliche e sociali di informazione46. Da questo principio derivano alcune conseguenze: in primo luogo la divulgazione non può considerarsi lecita se rivolta ad altri fini, primo tra tutti quello A. Cataudella, La tutela civile della vita privata, Milano, 1972,109 ss. 46 Tribunale Torino, 02 marzo 2000, Soc. Going c. Zanin, in Resp. civ. e prev. 2001, 174 nota Piazza; Cassazione civile, sez. I, 28/3/1990 n. 2527 cit.; Tribunale Bologna, 27 novembre 1997, Grassi c. Soc. Poligrafici ed., in Dir. autore 1999, 121, nota Solari. 45 61 pubblicitario, commerciale o, più in generale, di 47 lucro . Per verificare la sussistenza di una lesione del diritto all‟immagine, pertanto, è necessario prendere in considerazione tutte le circostanze del caso concreto, come le modalità della diffusione e la tipologia della rivista su cui è intervenuta la pubblicazione. E‟ possibile, ad esempio, che il personaggio noto avesse consentito alla divulgazione della sua immagine, ma in circostanze e per finalità completamente diverse da quelle in cui è intervenuta; ugualmente e a maggior ragione dovrà considerarsi illegittima la pubblicazione di una fotografia in un contesto del tutto differente e tale da determinare un pregiudizio all‟onore ed alla reputazione48. In una fattispecie sottoposta all‟esame della Suprema Corte49, pertanto, si è esclusa la possibilità di invocare l‟interesse pubblico all‟informazione, a causa proprio del carattere del giornale, avente fine esclusivamente di lucro, su cui erano apparse delle immagini tratte da un film: il contesto, quindi, era 47 Tribunale Roma, 23 maggio 2001 Morace c. Soc. Stampa sportiva in Dir. informatica 2001, 881: “L'utilizzazione dell'immagine di un personaggio noto attraverso la pubblicazione della fotografia sulla copertina di un libro a scopo di sfruttamento commerciale è, in caso di mancato consenso del ritrattato, lesiva sia del diritto all'immagine che del diritto all'identità personale”. V. inoltre Cassazione civile , sez. III, 13 aprile 2007, n. 8838; Tribunale Tortona, 24 novembre 2003, V.B. c. Soc. L., in Danno e resp. 2004, 533 nota Pardolesi. 48 Tribunale Bologna, 27 novembre 1997, in Dir. autore 1999, cit. 49 Cassazione civile, sez. I, 28/3/1990 n. 2527 cit.. 62 assolutamente diverso da quello dell‟opera cinematografica e della sua commercializzazione. La pronuncia, peraltro, affronta un ulteriore profilo, che sarà successivamente approfondito, relativo ai rapporti tra diritto all‟immagine e diritto di critica cinematografica. In applicazione di questi principi, ormai consolidati, la Suprema Corte 50 ha, allo stesso modo, ritenuto responsabili tanto il committente quanto una stazione televisiva per avere, rispettivamente, ordinato e trasmesso un filmato pubblicitario interpretato da tre attori, al quale era stata maldestramente adattata una canzoncina pubblicitaria, così da rendere l'opera intera goffa e ridicola, con danno per i medesimi, a cui non era stato chiesto il dovuto consenso per la riproduzione del filmato. Trattandosi di un filmato divulgato a scopo pubblicitario, infatti, è mancato l‟interesse pubblico all‟informazione, per cui la diffusione dell‟immagine dei tre attori non è apparsa – esattamente - giustificata dalla loro notorietà; di conseguenza, non essendo sussistente un consenso né espresso né tacito, la Suprema Corte ha ritenuto leso il loro diritto, da parte anche del responsabile della stazione televisiva, perché, in quanto tale, questi deve essere a conoscenza del contenuto del video e, in ogni caso, deve esercitare un controllo su tutto ciò che viene trasmesso. 50 cit.. Cassazione civile , sez. III, 13 aprile 2007, n. 8838 63 Non sempre, peraltro, è agevole stabilire se sia prevalente lo scopo di pubblica informazione o quello commerciale, pure sussistente, di lucro. Il problema si è posto per la vendita di figurine ritraenti calciatori, destinate ad essere raccolte in appositi album, ed ha trovato soluzioni diverse in giurisprudenza. In proposito si è sostenuto51 che il supporto utilizzato ha una natura peculiare, suscettibile di fruizione autonoma rispetto all'album stesso, per cui l'attività di commercializzazione ha ad oggetto, in effetti, la raffigurazione sulle figurine, per cui lo scopo di lucro è stato ritenuto prevalente rispetto a quello informativo o didattico-culturale. Di conseguenza, in casi come questo non risulta applicabile l'esimente di cui all'art. 97 della l. n. 633/1941, in quanto le scarne indicazioni fornite dall'album per ogni squadra e ogni giocatore fanno apparire troppo tenue, secondario e occasionale il nesso tra l'immagine e lo scopo culturale o il pubblico evento richiesto per l'integrazione della deroga della notorietà. Volendo sintetizzare possiamo, pertanto, affermare che la divulgazione dell'immagine di una persona nota è ammessa, anche senza il consenso del soggetto ritratto, a condizione che non sia pregiudicata la sua dignità, la divulgazione rientri nell'ambito territoriale in cui opera la persona nota, non sia fatta a fine prevalentemente lucrativo e la 51 Trib. Milano, 6 luglio 1994, Panini S.r.l. c. Service line Italy, in Dir. inf., 1995, 355. 64 notorietà della persona giustifichi un effettivo interesse pubblico ed una completa informazione 52. La necessità che la diffusione dell‟immagine di personaggio noto, in assenza del suo consenso, sia direttamente connessa a preminenti ed attuali esigenze pubbliche e sociali di informazione o conoscenza, comporta, oltre all‟esclusione dell‟esimente di cui all‟art. 97 l n. 633/1941, nel caso in cui sia ravvisabile anche uno scopo di lucro, pubblicitario e commerciale, un‟ulteriore conseguenza. Anche la persona che ha raggiunto un certo grado di notorietà conserva, o almeno dovrebbe conservare, ugualmente quella sfera intima che attiene alla propria vita privata, vale a dire, per come sarà approfondito in prosieguo, quel settore che normalmente ciascun individuo desidera (e ha il diritto di) sottrarre all‟ingerenza dei terzi. Con riferimento a questo settore, pertanto, anche il personaggio noto conserva il diritto all‟immagine e può sempre farlo valere, poiché si tratta di una sfera di interessi e di attività personali, estranee alle ragioni della notorietà, che non hanno attinenza a quelle esigenze pubbliche di conoscenza necessarie, affinché possa considerarsi giustificata la compressione del diritto in questione Dinnanzi a questi interessi la divulgazione dell‟immagine non può avvenire legittimamente, perché sarebbe finalizzata principalmente o esclusivamente a soddisfare la mera curiosità dei terzi, unitamente a consistenti interessi di lucro di tutti i 52 Trib. Napoli, 19 maggio 1989, in Dir. inf., 1990, 520; in Dir. aut., 1990, 382. 65 soggetti, la pubblicazione. cui attività ruota attorno alla § 3 INTERESSE PUBBLICO E “GOSSIP” A questo punto, tuttavia, appare d‟obbligo fare almeno una breve riflessione sui principi sopra esposti in materia di notorietà ed interesse pubblico alla conoscenza. L‟esperienza quotidiana dimostra, in effetti, come sempre più spesso le regole in materia siano costantemente violate e adattate ad esigenze tutt‟altro che meritevoli di protezione. Sebbene nel corso del tempo l‟attenzione di dottrina e giurisprudenza si sia soffermata sempre di più sul problema della tutela dei diritti della personalità, in particolare privacy ed immagine (con l'identità personale), tuttavia è altrettanto evidente la tendenza, da parte della stampa (rotocalchi, ma anche quotidiani) e della televisione, spesso anche in programmi –almeno teoricamente- impegnati, ad assecondare la crescente attenzione, in parte sicuramente morbosa, da parte del pubblico verso tutte le vicende intime, personali, familiari e sentimentali dei personaggi dello spettacolo, dello sport, della politica. E‟ sufficiente, pertanto, seguire una delle tante trasmissioni televisive o sfogliare un giornale c.d. di gossip per avere quantomeno la sensazione che, attualmente, si sia determinata una vera e propria discrasia tra i principi elaborati in materia e la realtà quotidiana. 66 Come sostenere, ad esempio, che la foto della soubrette di turno mentre cammina per strada con il bambino in braccio, o del calciatore sorpreso in compagnia di una donna diversa dalla moglie possano rispondano ad esigenze pubbliche di informazione? Se, da un lato, è vero che spesso i medesimi personaggi consentono almeno tacitamente alla diffusione, perché interessati ad un aumento della loro (spesso scarsa) notorietà, o addirittura essi stessi avvertono i fotografi dei loro spostamenti nel ristorante alla moda o nella discoteca più frequentata, è altrettanto vero, tuttavia, che, per come i più recenti fatti di cronaca hanno dimostrato, questo sistema si presta a pericolosi abusi e illecite interferenze nella vita privata, sicuramente oltre i limiti della legalità, non sempre gradite dai diretti interessati, e spesso riguardanti anche minori d‟età con conseguente rischio per la loro sicurezza. Pertanto è auspicabile, ad avviso di chi scrive, una maggiore accortezza nella diffusione di immagini e notizie, non assecondando sempre e comunque la morbosa curiosità del pubblico, anche a costo (ma forse è proprio questo il vero problema?) di sacrificare l‟audience di parecchie trasmissioni televisive o la tiratura di molte riviste. § 4 FATTI, AVVENIMENTI, CERIMONIE PUBBLICHE O DI INTERESSE PUBBLICO Altra ipotesi di frequente applicazione, in presenza della quale è ammessa la diffusione dell‟altrui immagine a prescindere dal consenso dell‟interessato, ricorre quando la riproduzione è 67 collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico Buona parte delle considerazioni fatte con riguardo alla notorietà della persona valgono anche in questo caso, in quanto comune è la ratio della disposizione, vale a dire il soddisfacimento di un interesse generale di informazione, considerato prevalente sul diritto individuale all‟immagine, e quindi idoneo a comprimerlo. Nell‟esaminare questa ipotesi, pertanto, è sempre necessario avere ben presente la finalità della norma in esame, al fine di una corretta interpretazione ed applicazione della medesima nonché di una più agevole risoluzione dei dubbi che possono sorgere in proposito. La disposizione prevede, in effetti, due distinte ipotesi: che i fatti, avvenimenti, cerimonie siano di interesse pubblico ovvero che si siano svolte in pubblico. La diffusione dell‟immagine in assenza di consenso è giustificata, in primo luogo, laddove sia collegata ad avvenimenti che presentano un interesse pubblico, con la conseguenza che anche fatti o cerimonie svoltesi in luogo privato, ma che si distacchino dalla normalità quotidiana, soddisfacendo l'esigenza di una completa informazione giornalistica, possono legittimare la divulgazione dell‟altrui ritratto. La fattispecie che può creare maggiori dubbi è, invece, quella dei fatti, avvenimenti o cerimonie “svoltesi in pubblico”, in quanto la dizione della legge è 68 considerata alquanto infelice, perché idonea a trarre in inganno sulla sua reale portata53. Si potrebbe ritenere, stando ad una interpretazione strettamente letterale, che la pubblicazione dell‟immagine sia consentita tutte le volte in cui appaia connessa a fatti svolti in pubblico, a prescindere dalla sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza, con conseguente rischio di svuotare di ogni contenuto il diritto in questione, ferma restando la possibilità di opporsi alla divulgazione laddove sia ravvisabile un pregiudizio all‟onore, al decoro o alla reputazione. Nella maggior parte dei casi, pertanto, il diritto all‟immagine non sarebbe autonomamente tutelato, ma soltanto come aspetto di altre posizioni giuridiche soggettive54. E‟ preferibile, invece, interpretare la norma sia tenendo conto della ratio della stessa sia collegando le due formule “fatti di interesse pubblico” e “fatti svoltisi in pubblico”. Ne consegue che, affinché la pubblicazione dell‟immagine in assenza di consenso si possa considerare lecita sarà necessario che i fatti, avvenimenti o cerimonie presentino un particolare interesse per la collettività, distaccandosi dalla normalità quotidiana55. 53 Immagine (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX, Milano, 1970, 144 ss. 54 Luigi Gaudino, Dell’immagine, del “luogo pubblico” e della tutela del minore, in Resp. civ. e prev. 2007,4, 815, nota a Cass. civile n. 21172/’06 3 n. 19069/’06. 55 Cfr. De Cupis e Vercellone op. cit. 69 In effetti, già il termine “fatto” di per sé evoca l‟idea di un episodio rilevante per le sue singolarità o per le circostanze in cui si è verificato, quindi di un certo rilievo per l‟informazione del pubblico. Viceversa non sarà sufficiente che la persona sia ritratta in un luogo pubblico, come una piazza, una strada, una spiaggia o un ristorante, laddove non sia accaduto anche un fatto di una certa importanza, a cui si connette l‟immagine. In questi casi, peraltro, non sarà neppure possibile ritenere l‟esistenza di un consenso tacito o presunto per il solo fatto di trovarsi in una pubblica via o in un locale pubblico, posto che, per come si è visto, affinché la diffusione del proprio ritratto si possa considerare tacitamente assentita occorre un comportamento idoneo a manifestare inequivocabilmente la volontà del soggetto ritratto, come nel caso del passante che, essendosi reso conto della presenza di un cameraman, si sia spontaneamente sottoposto ad una ripresa; diversamente nell‟ipotesi in cui il filmato sia stato effettuato di nascosto, con uno stratagemma, per realizzare una candid camera. Esattamente, quindi, la riproduzione dell'immagine di un soggetto nell'ambito di un programma di "candid camera" è stato ritenuta illecita in assenza del consenso dell'interessato, con conseguente obbligo anche al risarcimento dei danni.56 56 Tribunale Roma, 24 aprile 2002, Pesce e altro c. Soc. R.T.I. , in Dir. informatica 2002, 801 70 L‟interpretazione dell‟art. 97 l. n. 633/1941 che si è accolta appare più coerente con le considerazioni sopra svolte in ordine all‟esigenza che, affinché possa considerarsi ammissibile il sacrificio di un interesse individuale, debba ricorra un generale interesse, effettivo ed attuale, all‟informazione ed alla conoscenza. La giurisprudenza, pertanto, ha considerato illegittima la pubblicazione della fotografia di due persone su una barca, scattata in un porto turistico, e pubblicata sulla copertina di un elenco telefonico57, nonché quella di un artigiano delle calzature intento al proprio lavoro, diffusa al fine di evocare l'immagine generica di chi esercita quel tipo di mestiere58. Va, in ogni caso, ribadita la necessità di un collegamento tra la rappresentazione dell‟immagine della persona e le situazioni ipotizzate dalla legge, per cui essa non può essere avulsa dal contesto dell‟avvenimento, né è possibile alterare le circostanza di tempo e di luogo. Pertanto la diffusione è da ritenersi illegittima, se effettuata senza un nesso di pertinenza rispetto all'evento, ad esempio per scopi pubblicitari, in quanto deve essere finalizzata alla soddisfazione dell'interesse sociale ad una esatta conoscenza del fatto svoltosi in pubblico, interesse che deve non soltanto sussistere al momento della fissazione dell'immagine, ma anche seguire tutto l'arco temporale di divulgazione di essa, 57 Trib. Torino, 14 febbraio 1996, in Dir. inf., 1996, 251. 58 Trib. Roma, 31 ottobre 1992, in Dir. inf., 1993, 390. 71 connotando, sia pure in versione rievocativa dell'evento iniziale, tutti i successivi episodi di riproduzione59. Allo stesso modo non può considerarsi consentita la divulgazione giornalistica di un'immagine, se posta a corredo di un articolo che l'accosta a un concetto che esprime un disvalore e identifica, per ciò stesso, un comportamento sociale disapprovato dalla collettività, rispetto a cui l'immagine stessa assume valenza simbolica; oppure adoperare il ritratto in forma tendenziosa e maliziosa, così da elevare la persona raffigurata a paradigma di un comportamento non positivamente considerato da tutti, o addirittura riprovevole60. § 5 ALTRE DELL'IMMAGINE CONSENSO IPOTESI SENZA DI DIVULGAZIONE NECESSITÀ DI Le altre ipotesi previste dall‟art. 97 l. n. 633/1941 idonee a giustificare, in mancanza del consenso della persona ritratta, la divulgazione dell‟altrui immagine, quindi la compressione del relativo diritto, si realizzano quando la pubblicazione di dell'immagine di un individuo sia giustificata dall‟ufficio pubblico da questi ricoperto, oppure da necessità di giustizia o polizia, o da scopi scientifici, didattici o culturali. 59 Trib. Roma, 12 marzo 2004, in Danno e resp. 2005, 879 nota Tassone cit. 60 Giudice di pace Bari, 25 ottobre 2004, in Giurisprudenza locale , Bari 2004. 72 Questi casi, come quelli già esaminati, hanno in comune la ricorrenza di un interesse generale alla diffusione dell‟altrui ritratto, che è considerato preminente, a fronte del quale la posizione soggettiva individuale è da ritenersi recessiva. Per quanto concerne la prima ipotesi, è necessario che la diffusione dell‟immagine si riferisca alla persona nell‟atto in cui svolge le funzioni relative all‟ufficio pubblico ricoperto. Poiché, generalmente, chi ricopre un pubblico ufficio richiama su di sé l‟attenzione della collettività, in quanto gli atti dallo stesso compiuti sono diretti ad un ampio novero di interessati, per cui sussiste un certo interesse generale alla conoscenza delle sue sembianze, è stato sostenuto che questa ipotesi, il più delle volte, non ha carattere autonomo rispetto a quella della notorietà61, quindi presenterebbe la medesima giustificazione. Per quanto riguarda le caratteristiche che dovrebbe presentare un ufficio pubblico, affinché si possa applicare la norma in questione, è condivisibile la tesi62 secondo cui è sterile una specificazione a priori dell'ambito di una nozione di “ufficio pubblico”, essendo invece più utile verificare, in base alle circostanze del caso concreto, se, considerata la ratio della previsione, sussistano quei prevalenti interessi 61 De Cupis, Sul fondamento delle limitazioni legali del diritto all’immagine, in Foro it., 1959, I, 200. 62 Immagine (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX, Milano, 1970, 144 ss. 73 della collettività idonei a giustificare la compressione dell‟altrui diritto all‟immagine. Altra ipotesi prevista dall‟art. 97 l. n. 633/1941 si realizza quando la diffusione dell‟immagine è giustificata da necessità di giustizia o polizia, pertanto vanno a prevalere sul diritto in questione, quindi a legittimarne una compressione, le esigenze degli organi suddetti, che devono essere messi in grado di svolgere efficacemente le proprie pubbliche funzioni. Pensiamo al caso in cui vi sia il bisogno di pubblicare il ritratto della persona evasa dal carcere, per facilitarne la cattura, o di chi sia scomparso da casa. Dalla formulazione della norma, in particolare dal termine “necessità”, si può desumere che la disposizione debba trovare applicazione soltanto quando sussistano realmente ed oggettivamente queste esigenze, quindi non per soddisfare la mera curiosità del pubblico. Con riguardo alla divulgazione di un'immagine senza il consenso (o, meglio, con la sicura opposizione da parte dell'interessato), merita, a questo punto, una qualche riflessione la proposta che da qualche tempo di fa strada, a causa dei ripetuti casi di pedofilia, di consentire in Italia, per come già si sta diffondendo in taluni Paesi occidentali, la apposizione di manifesti, nelle vie pubbliche del centro abitato, o quanto meno del quartiere, in cui vada ad abitare un soggetto, a carico del quale in passato sia stato accertato un reato di pedofilia, riportanti l'immagine e i suoi dati. Può dirsi necessità di giustizia o di polizia una siffatta pubblicità negativa, sicuramente non gradita dall'individuo raffigurato, oppure occorrerebbe una 74 specifica legge al riguardo, tenuto conto che il secondo comma dell'indicato art. 97 stabilisce che “il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata.” ? Ad avviso di chi scrive un'esigenza di sicurezza, tra l'altro a tutela dei soggetti più deboli e indifesi, quali sono i minori, si impone, e trattasi di esigenza che può assumere i caratteri della prevalenza rispetto all'opposto diritto di privacy di chi si è macchiato di questi turpi reati, che, non di rado, sfociano anche nella soppressione della vittima innocente, quando il pedofilo tema di essere scoperto. E' da ritenere, peraltro, che la disposizione contenuta nell'articolo 97 della legge n. 633 del 1941, nella sua attuale formulazione ponga dei limiti alla pubblicazione di manifesti di questo tipo, che sicuramente costituirebbero pregiudizio per l'immagine dell'interessato, ai sensi del secondo comma della norma in questione. E' necessaria, quindi, un'apposita disposizione normativa che nell'autorizzare la divulgazione dell'immagine e dei dati del pedofilo, nel contempo, ne tuteli, per quanto possibile, anche il diritto di privacy, stabilendo modalità e limiti, ad evitare eccessi in senso opposto. Infatti, se da un lato si pone ormai come indifferibile la necessità di una più incisiva difesa dei minori in una società di permissivismo eccessivo, anche mediante una certa divulgazione dei dati del pedofilo, il quale, sol che cambi quartiere, spesso ricomincia come e più di prima, dall'altro non bisogna 75 dimenticare anche la giusta tutela di questi da facili ritorsioni e giustizie sommarie. Infine, la diffusione del ritratto, senza che occorra un consenso da parte dell‟interessato, può avvenire quando è giustificata da scopi scientifici, didattici o culturali, posto che, anche con riferimento ad essi, è individuabile un interesse generale. La norma può porre dei dubbi interpretativi, in particolare sul modo in cui è preferibile intendere la portata di questi scopi, se in senso strettamente letterale, con conseguente esclusione di finalità non menzionate, ma ugualmente rilevanti, come quelle artistiche, oppure dando rilievo anche a finalità che, pur non essendo espressamente elencate, tuttavia rientrino nell‟ampio concetto di “scopi culturali”, ovviamente purché seriamente apprezzabili e non pretestuosi. In applicazione di questi principi si è ritenuto, ad esempio, che la riproduzione, all'interno di un periodico, di alcuni disegni raffiguranti una modella di fama internazionale, realizzati da un noto pittore, non costituisce violazione del diritto all'immagine perché, appunto, ricorrono quelle finalità di natura culturale considerate dall'art. 97 l. dir. autore come causa di libera circolazione del ritratto 63. In ogni caso, affinché la pubblicazione si possa considerare legittima, occorre che questa appaia 63 Si trattava, nella specie, di un poster realizzato dalla rivista Max e contenente diversi disegni - opera del pittore Mel Ramos- che ritraevano in maniera molto fedele la modella Claudia Schiffer: V. Tribunale Milano, 23 dicembre 1999, Schiffer c. Soc. RCS ed. e altro, in Dir. informatica 2000, 622. 76 effettivamente funzionale allo scopo indicato dalla norma; viceversa la compressione del diritto all‟immagine non è consentita se la stessa finalità poteva essere realizzata diversamente, come nel caso della rivista scientifica che riproduca l‟immagine di una persona affetta da una certa malattia: in questo caso non necessariamente (e comunque non sempre) è funzionale che le fattezze del malato siano facilmente identificabili. In proposito va osservato che, in effetti, nel corso del tempo si è giustamente sviluppata, anche in questo ambito, una maggiore considerazione per la dignità della persona, a maggior ragione se ammalata, e quindi sostanzialmente spesso debole e indifesa: è sufficiente consultare un manuale medico-scientifico del passato64 per rendersi conto di come la tutela della dignità dell‟individuo, specie del malato di mente, quasi sempre non fosse considerata una priorità rispetto agli scopi di divulgazione scientifica. 64 V. ad esempio le numerose immagini di malati di mente, riprodotte senza alcun accorgimento diretto a rendere non riconoscibili i malati ritratti, contenute in “I disturbi dell’anima. Patologia speciale delle anomalie dello spirito”, di L. Lugiato, ed. Ulrico Hoelpi, Milano, 1922, con una crudezza che da un lato non giovava alla scienza e dall'altro rivelava una scarsa o nulla sensibilità da parte dell'autore, a scusante del quale può dirsi soltanto che si trattava di insensibilità generalizzata, in un'epoca in cui le teorie del Lombroso sulla fisiognomica delle devianze regnavano sovrane. 77 CAPITOLO 5 L’IDENTITÀ PERSONALE §1 Immagine e identità personale; § 2 Nome e identità personale; § 3 Il fondamento normativo dell‟identità personale; § 4 La lesione del diritto all‟identità personale §1 IMMAGINE E IDENTITÀ PERSONALE 1-a) Nelle pagine precedenti si sono analizzati la nozione, il contenuto ed i tratti caratterizzanti il diritto all‟immagine, nonché le varie ipotesi di lesione del medesimo. Da questa analisi è emersa una progressiva evoluzione della fisionomia del diritto in questione, poiché se originariamente –ed in senso letteralel‟immagine è soltanto la rappresentazione delle sembianze reali di un soggetto, gradualmente si è estesa sempre di più, finendo con l‟intersecarsi e andare a confluire in altri diritti della personalità, in origine considerati con caratteristiche del tutto distinte. In particolare, si è visto come, in diverse occasioni, la giurisprudenza ha riconosciuto la violazione del diritto all'immagine, non solo ed esclusivamente tramite la diffusione illegittima della raffigurazione reale dell'individuo (per intenderci, il ritratto fotografico), ma anche a mezzo della riproduzione filmica della persona (la c.d. maschera 78 scenica), oppure attraverso l‟utilizzo di un sosia65, o sotto forma di caricatura66, e fin qui l'evoluzione interpretativa si poteva dire naturale, bensì anche attraverso la rappresentazione di oggetti notoriamente usati da un personaggio noto, sulla base della considerazione secondo cui non solo i tratti fisici, ma anche determinati accessori, possono caratterizzare un individuo in modo così forte da consentire allo spettatore l‟immediato richiamo, nella propria mente, proprio di quel personaggio. Si è manifestata, pertanto, nel corso del tempo, una tendenza da parte della giurisprudenza a riconoscere margini sempre più ampi di tutela al diritto all‟immagine, in una direzione che ha portato ad intersecarsi, talvolta, con altre situazioni soggettive, in particolare col diritto all‟identità personale, nel quale, infine, si può dire, che, spesso, in sede di tutela in concreto, è andato a confluire, così dandosi giustificazione a una più pregnante tutela, atteso il rilievo di diritto fondamentale, riconosciuto all'identità personale. Di conseguenza, il diritto all‟immagine viene ormai inteso (e quindi tutelato) in senso ampio, riconoscendo che il ritratto costituisce il veicolo attraverso il quale si ha una diffusione o espressione delle connotazioni principali del soggetto - che vanno ben al di là dell'aspetto fisico- dalla sua moralità, alle sue opinioni e al suo intimo sentire; per cui è evidente 65 Trib. Roma, 28/1/1992, in Rassegna Diritto Civile 93, 935. 66 Trib. Roma, 11/2/1997, in Giurisprudenza Civile 98, I, 551; Cass. civile n. 4993/1996, in Foro it. 96, I, 2368. 79 che l'esposizione di un'immagine in un certo contesto (come un articolo di stampa) o unitamente ad altre immagini o ad uno slogan, anche al di fuori di un intento offensivo, possono fornire una connotazione dell'identità personale, distorta o non aderente alle idee del soggetto, o comunque da questi non voluta o rifiutata. In questa direzione si è posto il graduale riconoscimento, da parte di dottrina e giurisprudenza, di un diritto all‟immagine anche in capo a persone giuridiche, pubbliche e private, nonché ad enti collettivi non riconosciuti (per come si dirà più diffusamente nel prossimo capitolo): non trattandosi di persone fisiche è chiaro che la nozione in questione non può, ovviamente, essere intesa in senso letterale, poiché l'ente diverso dalla persona fisica non è chiaramente dotato di fattezze fisiche, bensì in un modo necessariamente figurato, come reputazione complessiva di cui l'ente collettivo gode presso la comunità dei consociati, suscettibile di lesione da parte dei suoi rappresentanti e dipendenti, nonché da parte dei terzi. Da ciò deriva che la nozione giuridica di immagine finisce per confluire nel diritto all‟identità personale giungendo sovente, anche a coincidere con questo. 1-b) Un diritto all'identità personale non è testualmente contemplato in alcuna disposizione di legge, ma è andato emergendo, su impulso della dottrina e della giurisprudenza67, come diritto del 67 Nell’ampia elaborazione giurisprudenziale assume un particolare interesse la sentenza della Corte di Cassazione, I 80 soggetto ad essere se stesso rispetto ai propri simili, vale a dire ad essere rappresentato nella vita di relazione con la sua vera identità, così come questa, nella realtà sociale, generale o particolare, è percepita dagli altri, o poteva esserlo con l'applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede. Quindi non viene in rilievo “l‟identità” intesa in senso soggettivo, vale a dire come opinione che la persona ha del “proprio io”, bensì in un significato oggettivo, e cioè come è percepita dalla comunità con la quale il soggetto si relaziona, anche per quanto riguarda le sue ideologie e i suoi modi di considerare la vita e le cose che lo circondano. Pertanto si riconosce che ciascun individuo ha il diritto -autonomamente tutelatoad essere rappresentato correttamente ed in modo fedele all‟esterno, quindi a non vedere alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio ideologico, professionale, politico, religioso e sociale, quale si è estrinsecato, od appariva, in base a circostanze concrete ed univoche, nonché destinato ad esprimersi nell'ambiente sociale. L‟autonoma rilevanza di questo diritto comporta, pertanto, che, indipendentemente dalla lesione di altri valori, può risultare illegittima la falsa attribuzione di un certo comportamento o di una certa opinione non propria, nonché, viceversa, il disconoscimento della sez. civile, 22/6/1985 n. 3769, relativa all’utilizzo di dichiarazioni, sapientemente decontestualizzate, del noto oncologo Veronesi, presidente della lega anticancro, per pubblicizzare una marca di sigarette. Sul rilievo di tale sentenza, anche riguardo all'immagine degli enti collettivi, si tornerà nel prossimo capitolo. 81 paternità di un‟azione propria, in realtà compiuta, poiché, in definitiva, determina una errata rappresentazione all‟esterno della persona, non importa se in melius o in peius. L‟identità personale, pertanto, è un concetto che riassume e sintetizza il modo d‟essere che contraddistingue la persona globalmente, nella molteplicità delle sue caratteristiche. 1-c) Se diritto all‟immagine e diritto all‟identità personale presentano dei punti di contatto68, tant‟è che in diverse decisioni (specie del passato) si giunge al riconoscimento del secondo attraverso l‟adozione di una nozione elastica del primo, tuttavia non devono essere completamente sovrapposti, con conseguente annullamento dei confini esistenti tra queste due posizioni soggettive, in quanto tra queste non esiste un rapporto di coincidenza, bensì di correlazione. Infatti, mentre la nozione giuridica di immagine, sebbene non si esaurisca in questo, è costituita da un elemento materialmente percepibile, che identifica una persona nelle sue sembianze fisiche, invece l‟identità personale attiene ad una serie di aspetti che caratterizzano nel complesso il patrimonio intellettuale, professionale, ideologico dell‟individuo, con la conseguenza che può essere considerata come una sorta di dilatazione, o proiezione sul piano eticosociale, del concetto di immagine. 68 “Diritto all'immagine e all'identità personale”, nota a Tribunale Verona, 26 Febbraio 1996, di Claudia Zhara Buda, in Giur. merito 1997, 1, 32. 82 Ulteriore conseguenza è che mentre l‟identità personale, proprio in quanto proiezione sociale della personalità dell‟individuo, in tutte le sue numerose e variegate manifestazioni -da quelle comportamentali (azioni materiali, intellettuali, politiche), a quelle psichiche (carattere) ed affettive (sentimenti), da quelle materiali (tenore di vita) alle relazioni (familiari, professionali, sociali ecc.)- non può che essere una realtà dinamica, viceversa l‟immagine ha una natura essenzialmente più stabile. La correlazione esistente tra queste due posizioni soggettive comporta, pertanto, che attraverso la tutela dell‟immagine può essere salvaguardato anche il diritto all‟identità personale: nella divulgazione del ritratto, infatti, non è consentito, per come è stato evidenziato nelle pagine precedenti, introdurre né modificazioni attinenti strettamente alle sembianze fisiche, né alterazioni relative ad altri elementi, tali da compromettere l‟esatta rappresentazione della personalità dell‟individuo. § 2 NOME E IDENTITÀ PERSONALE 2-a) Numerosi sono gli elementi che contribuiscono all‟esatta individuazione ed identificazione di una persona. Innanzi tutto vengono in considerazione i c. d. “segni distintivi”, quali, ad esempio, il nome e lo pseudonimo. Invero, nell‟ambiente sociale proprio di ciascun soggetto, vale a dire nell‟ambito della collettività dove “svolge la personalità” (ex art. 2 Cost.), il nome ed il 83 cognome consentono, già di per sé, di individuare correttamente la persona. Pertanto, è sempre stato sussistente un intrinseco legame tra la persona ed il nome, tanto nelle comunità primitive, quanto in quella attuale, giungendo ad acquisire un significato giuridico e sociale: non a caso proprio la privazione del nome e la sua degradazione a numero costituirono una delle pratiche effettuate nei lager nazisti, dirette alla spersonalizzazione dell‟individuo. Tra i segni distintivi e l‟identità personale, indubbiamente, sussiste pertanto una stretta relazione, in un certo senso strumentale, posto che fungono da mezzo di distinzione ed evocazione, non solo del soggetto, ma anche dei suoi attributi, quindi contribuiscono a determinarne l‟identità. La fondamentale rilevanza del diritto al nome è, peraltro, confermata dall‟art. 22 Cost. che espressamente esclude la possibilità di privare un individuo, per motivi politici, tanto della capacità giuridica, quanto della cittadinanza e del nome. Significativo, in tal senso, è stato l‟espresso riconoscimento da parte della Corte Costituzionale69 che il cognome gode di una distinta tutela, anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona, 69 Corte Costituzionale, 3/2/1994 n. 13, relativa ad una fattispecie nella quale il ricorrente chiedeva di conservare il cognome ricevuto alla nascita, e con il quale era ormai noto nel suo ambiente sociale, sebbene fosse stata accolta, con un provvedimento dell’autorità, la richiesta dell’ascendente di mutamento del cognome di famiglia. 84 e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità. La Corte sottolinea come si tratti di tutela di rilievo costituzionale perché il nome, che costituisce il primo e più immediato elemento che caratterizza l‟identità personale, è riconosciuto come bene oggetto di autonomo diritto, riconducibile nell'ambito dell'art. 2 Cost. E' interessante rilevare come nella sentenza appena citata la Corte afferma che “il diritto alla identità personale costituisce tipico diritto fondamentale, rientrando esso tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana”. Riprendendo questi concetti, lo stesso giudice delle leggi, con sentenza 23 luglio 1996, n. 297, intervenendo proprio sull'articolo 262 del Codice civile, ha dichiarato incostituzionale tale norma nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendo o (a sua scelta) aggiungendo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale. 2-b) Il nome (costituito dal prenome e dal cognome), pertanto, si manifesta quale simbolo dell‟identità della persona, quindi anche, più in generale, del suo modo d‟essere. Nel corso del tempo, infatti, vi è stato il passaggio da una concezione del cognome quale mero segno di identificazione della discendenza familiare, ad una 85 visione che lo inquadra tra gli elementi costitutivi dell'identità personale, intesa come un bene a sé, indipendente dallo status familiare. Pertanto il cognome non esprime soltanto la titolarità di una determinata posizione all‟interno della famiglia, bensì è un elemento costitutivo della personalità di ciascun individuo. In particolare, in un caso sottoposto all‟attenzione della Suprema Corte70, di riconoscimento di un figlio naturale da parte della madre, che gli aveva trasmesso il cognome, e, solo successivamente, anche da parte del padre, il quale notoriamente apparteneva alla malavita, si ribadisce che la ratio dell'art. 262 c.c. non va rintracciata soltanto nell'esigenza di parificare, il più possibile, la posizione del figlio naturale a quella del figlio legittimo, privilegiando l'assunzione del cognome paterno, ma sopratutto in quella di garantire l'interesse del minore a conservare, o non cambiare, il cognome con cui è conosciuto nell'ambito delle proprie relazioni sociali. Nella sentenza con la quale vennero, appunto, confermati i precedenti decreti (del Tribunale e della Corte d'appello) che avevano respinto la richiesta del padre (che aveva a distanza di anni riconosciuto il figlio naturale, nato da una relazione, e già riconosciuto dalla madre), finalizzato all'attribuzione al figlio del proprio cognome in sostituzione di quello della madre, la Suprema Corte esprime delle considerazioni, che meritano di essere riportate per 70 Cassazione civile, Sez. I, 26 maggio 2006, n. 12641, in Dir. famiglia 2006, 4, 1649, nota di Gazzoni. 86 intero, per il notevole contributo che portano alla problematica in discorso: “La interpretazione della norma di cui all'articolo 262 c.c. implica la necessità di considerare la funzione del cognome nel nostro ordinamento, di individuare la ratio dell'enunciato normativo, in una prospettiva più generale, di tenere conto della emersione nel sistema e nel costume sociale di una tendenza a mettere in discussione la regola dalla automatica attribuzione dal patronimico. E' dato ormai incontrovertibile che il cognome nel nostro ordinamento giuridico non svolga solo una funziona pubblicistica, tesa a offrire una tutela della famiglia consentendo ai suoi membri di essere identificati come appartenenti a un determinato nucleo familiare, ma assolve anche a una fondamentale funzione di natura privatistica, quale strumento identificativo della persona. La protezione dell'identità personale, immancabilmente contraddistinta da peculiari connotati morali, culturali, ideologici, trova, infatti, il suo nucleo centrale nella tutela del nome, che viene considerato non tanto come mezzo necessario di individuazione del singolo nell'ambito dei soggetti di un ordinamento giuridico secondo principi normativi di interesse generale, quanto piuttosto nella sua corrente qualità di simbolo emblematico della identità personale di un individuo e quindi come aspetto, meritevole di protezione, della personalità umana. Come è stato rilevato in dottrina, la tutela costituzionale del diritto al mantenimento del nome attribuito alla persona al momento della nascita in accordo con le norme di legge deve ritenersi assoluta. Nel caso di filiazione naturale, peraltro, non essendovi una famiglia 87 legittima da tutelare, il cognome del figlio assolve quanto meno in prevalenza - alla funzione privatistica, in virtù della quale il cognome è una componente dell'inviolabile diritto di ciascun uomo ad avere una propria identità personale (artt. 2 e 22 Cost.” E' da dire, peraltro, che tale evoluzione della concezione del nome, quale autonomo segno distintivo della identità personale dell'individuo, prima ancora che della ascendenza familiare, era stata, peraltro, riconosciuta anche dal Giudice delle leggi con decisione in data 11 maggio 2001 n. 120, e già in precedenza, con la sentenza 3 febbraio 1994 n. 13, e n. 297 del 23-7-1996, nonché dalla stessa Corte di cassazione con sentenza n. 6098/2001. La decisione in esame, pertanto, evidenzia come, in seno al processo di adeguamento del diritto di famiglia ai valori costituzionali, sia entrato in irreversibile crisi il principio dell'automatica, preferenziale attribuzione del cognome paterno, principio che appare in contrasto con quello di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, nel quadro, più generale, del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.. L'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio, in realtà, di una concezione patriarcale della famiglia legittima e della potestà maritale, entrambe da tempo tramontate: non è più attuale e plausibile un criterio di trasmissione del cognome assolutamente affidato a rigidi meccanismi automatici, perché se, da un lato, possono proteggere interessi ed esigenze formali di ordine pubblico, non riescono dall'altro, né ad impedire forme di discriminazione basate sul sesso, 88 né tutelare adeguatamente connesse all'uso del cognome. situazioni esistenziali 2-c) L‟orientamento in base al quale l'acquisto del cognome paterno, da parte del figlio naturale, non è automatico, ma, anzi, va escluso qualora, tra i due riconoscimenti, il minore abbia acquistato e consolidato una sua precisa consapevole individualità con il cognome materno e con quest'ultimo sia conosciuto, è ormai consolidato. Il giudice, pertanto, deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome del padre, proprio perché occorre tutelare in primo luogo l'interesse del minore alla propria identità personale, di cui il cognome è espressione, e quindi l'eguaglianza tra i genitori. Di conseguenza, l'assunzione del patronimico non va autorizzata sia quando ne possa derivare un danno per il minore, ad esempio - come nel caso esaminato per la cattiva reputazione della famiglia paterna, sia, più in generale, allorquando il cognome materno, per il tempo intercorso tra i due riconoscimenti, si sia ormai radicato nel contesto sociale in cui il minore vive, atteso che precludere a quest'ultimo il diritto di mantenerlo si risolverebbe in una ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, il c.d. diritto ad essere se stesso. Alla luce di queste considerazioni, è ritenuto da più parti auspicabile un intervento legislativo che adegui la disciplina del cognome alla struttura ed alle esigenze della famiglia attuale, conciliando il diritto all'identità della famiglia legittima con lo stesso diritto di quella naturale. 89 In tal senso, è significativa una recente pronuncia della Corte di Cassazione71 che è tornata ad occuparsi di una questione molto rilevante: la possibilità di assegnare al figlio minore legittimo il cognome materno, invece di quello paterno, su concorde richiesta dei coniugi. Questa problematica è stata affrontata più volte dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale: la Corte Costituzionale72, nel 2006, aveva dichiarato, tuttavia, inammissibile la questione di legittimità delle norme che prevedono l‟automatica assegnazione del cognome paterno al figlio legittimo, nonostante una diversa volontà dei genitori. La Consulta, in questa occasione, pur avendo preso atto della non corrispondenza dell‟assetto normativo italiano con i principi di eguaglianza tra i coniugi, aveva tuttavia escluso la possibilità di un proprio intervento, che sarebbe stato manipolativo, attese le diverse soluzioni adottabili, in quanto esorbitante dalle proprie attribuzioni, auspicando, piuttosto, una modifica della disciplina da parte del legislatore. La Suprema Corte73, pertanto, a chiusura di quel medesimo procedimento e richiamandosi alla pronuncia della Corte Costituzionale, aveva ribadito che il quadro normativo vigente relativo alla filiazione legittima prevede, a differenza da quello riguardante i figli naturali, un meccanismo di automatica 71 Cass. civile, sez. I, ordinanza 22/9/2008 n. 23934, in Foro it., 2008, I, 3097. 72 Corte Cost., 16/2/2006, n. 61, in Foro it., 2006, I, 1673. 73 Cass. civile, 14/7/2006, n. 16093, in Foro it., Repertorio 2006, voce Stato civile. 90 attribuzione del cognome, che non può essere derogato neppure in presenza di una concorde volontà dei coniugi, retaggio –in effetti- di una concezione patriarcale della famiglia ormai non più in armonia con le fonti sopranazionali. La questione, tuttavia, ha ricevuto un nuovo impulso grazie alla recente pronuncia della Suprema Corte, cui si accennava sopra, che è giunta a conclusioni diverse rispetto al passato: viene evidenziata, infatti, la contrarietà della disciplina italiana ad alcune risoluzioni e raccomandazioni del Consiglio d‟Europa in materia di misure antidiscriminatorie in ambito familiare, nonché alla Convenzione europea dei diritti dell‟uomo, alla Convenzione di New York del 18/12/1979 e al Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall‟ONU il 19/12/1969 (entrambi ratificati dall‟Italia). Viene, inoltre, in rilevo la riforma al Trattato sull‟Unione ed a quello istitutivo della Comunità europea, sottoscritta a Lisbona il 13/12/2007, anch‟essa ratificata dal nostro Stato, che recepisce la Carta di Nizza. Nell‟ordinanza in questione74 si rileva come la violazione di queste disposizioni da parte di norme interne comporta l‟incostituzionalità delle medesime, in quanto –per come affermato in precedenza dalla Consulta75- il nuovo testo dell‟art. 117, comma 1, Cost. ha previsto l‟obbligo del legislatore ordinario di rispettare i vincoli derivanti dall‟ordinamento 74 La n. 23934 del 22 settembre 2008, già citata Corte Costituzionale, 24/10/2007, n. 348 e 349, in Foro it. 2008, I, 39. 75 91 comunitario e dagli obblighi internazionali, cosa che non era stata presa in considerazione dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2006. Di conseguenza, la disciplina nazionale in contrasto con queste norme viola l‟art. 117 Cost., perché la norma convenzionale, alla quale quella costituzionale fa un “rinvio mobile”, “dà vita e contenuto agli obblighi internazionale genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata norma interposta ”. Per queste ragioni la Suprema Corte ha trasmesso gli atti al prima presidente, per l‟eventuale rimessione alle Sezioni Unite, affinché valuti se possa essere adottata un‟interpretazione “evolutiva”, vale a dire costituzionalmente orientata, oppure, laddove questa soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell‟attività interpretativa, se rimettere nuovamente il procedimento dinnanzi alla Corte Costituzionale. Non resta, pertanto, che attendere i successivi sviluppi della questione, che appare di particolare interesse per i tanti aspetti coinvolti. § 3 IL FONDAMENTO DELL’IDENTITÀ PERSONALE NORMATIVO 3-a) Il diritto all‟identità personale, per come è stato definito nelle pagine precedenti, non è espressamente contemplato né disciplinato dal legislatore italiano. Si aggiunge che il nomen di “diritto all'identità personale” non risulta né nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e neppure nel Trattato dell'Unione Europea. 92 Considerato, peraltro, che è intuitivo che l'identità personale costituisce un, anzi, il valore fondamentale dell'uomo 76, si è posto il problema dell‟individuazione del suo fondamento normativo, nonché del suo rilievo costituzionale. Va rilevato, al riguardo, che il concetto di identità personale” come un bene giuridico da salvaguardare è maturato lentamente, prima nella coscienza sociale e poi in dottrina e in giurisprudenza, per l'esigenza di una necessità di tutela, probabilmente avvertita a causa dell'aumentato e variegato modo di violazione di questo valore, facilitato dai mass media oggi imperanti. Si è passati, quindi, dal concetto dell'identità personale” quale valore umano al corrispondente concetto quale bene giuridico rilevante, e poi ad una sua enucleazione come posizione soggettiva giuridica a se stante. Il riconoscimento del diritto, come è attualmente inteso, è avvenuto, pertanto, in modo graduale, anche attraverso una serie di pronunce della giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, dalle quali è emersa la progressiva elaborazione del concetto di identità personale, sebbene, in un primo tempo, senza neppure l‟uso di questa espressione, che sapeva tanto di nozione descrittiva e naturalistica. 76 In qualche modo, in senso naturalistico e descrittivo – e a volte anche affettivo - riconosciamo l'identità anche a parecchi degli animali con i quali veniamo a contatto, ed ai quali diamo, appunto, anche un nome, che gli stessi mostrano di riconoscere, quanto meno, come richiamo. 93 Un provvedimento giudiziario da considerare significativo risale al 197477: si tratta di un‟ordinanza del Pretore di Roma con cui è stata accordata tutela urgente ad una coppia di persone, ritratte a loro insaputa ed esposte, quindi, in un manifesto della propaganda antidivorzista, ciò che poteva implicitamente condurre ad attribuire alle medesime falsamente un orientamento contrario alla legge di recente approvata e, quindi, favorevole al referendum con cui si proponeva l‟abrogazione della legge che aveva introdotto il divorzio nell'Ordinamento italiano. Per ragioni in parte analoghe, lo stesso Pretore, il giorno successivo, emise un altro provvedimento urgente78, in quanto una certa frase attribuita all‟on. Togliatti, decontestualizzata, era stata inserita maliziosamente in un manifesto sempre della propaganda favorevole al referendum, così da indurre la collettività a ritenere –erroneamente- che il defunto leader del P.C.I. fosse contrario all‟istituto in questione. Se in questo secondo caso, in effetti, si era in presenza della pubblicazione di una idea distorta, ricavata mediante la estrapolazione di una frase da un più complesso e articolato contesto, nel caso della coppia raffigurata nel manifesto antidivorzista si coglie proprio una maggiore sensibilità da parte del Giudice nei confronti del concetto di “identità personale”, come diritto della persona a che neppure indirettamente gli 77 Pretura di Roma, ord. 6/5/1974, in Giurisprudenza it., 1975, I, 2, 514. 78 Pretura di Roma, ord. 7/5/1974, in Foro it. 1975, I, 3227. 94 altri possano essere indotti, da una divulgazione non autorizzata dell'immagine fotografata, ad attribuire al soggetto raffigurato, in relazione al contesto della pubblicazione, una opinione da questi non condivisa , o, comunque, non manifestata o dichiarata. In effetti, già in precedenza, la giurisprudenza talvolta aveva fatto riferimento, in modo più o meno diretto, a questa posizione soggettiva, così, ad esempio, nella sentenza della Suprema Corte, relativa ad un servizio giornalistico sulla vita di Claretta Petacci79, dove, dopo avere negato l‟esistenza di un diritto alla riservatezza (che, peraltro, come sarà evidenziato nel prosieguo, ha dei punti di contatto tanto con l‟immagine quanto con l‟identità personale), veniva riconosciuta la lesione del diritto a non vedere alterata la verità della tragica vicenda umana e storica della congiunta, come diritto alla manifestazione del pensiero e, quindi, a non vedersi attribuite idee non condivise o mai espresse: diritto riguardo al quale veniva riconosciuta anche la legittimazione dei familiari. La posizione soggettiva in questione ha, indubbiamente, una stretta correlazione tanto con il diritto all‟immagine quanto con il diritto al nome, tuttavia, poiché presenta delle peculiarità che non consentono di inquadrarla perfettamente né nell‟uno né nell‟altro, ed essendo caratterizzata da una posizione di autonoma rilevanza nell‟ambito del nostro ordinamento giuridico, si pone il problema di individuarne il fondamento normativo. 79 43. Cass. civile, 7/12/1960 n. 3199, in Foro it., 1961, I, 95 3-b) L‟identità personale, per come è stato evidenziato nelle pagine precedenti, pur avendo dei punti di contato col diritto all‟immagine (in particolare, se inteso in senso non strettamente letterale) non vi coincide perfettamente, e neppure si risolve nei singoli segni distintivi, come il nome e lo pseudonimo, in quanto essa tende, più complessivamente, a rappresentare la personalità individuale ed a qualificare l‟individuo, con tutti i suoi attributi e caratteristiche80. Per queste ragioni il fondamento del diritto in questione non è ravvisabile né nell‟art. 6 né nell‟art. 10 c.c.. Fatta questa precisazione, non può, tuttavia, trascurarsi che anche il riferimento agli articoli 6 e 7 c.c., in materia di diritto al nome, ha costituito uno dei punti di partenza verso il riconoscimento del diritto all‟identità personale, quale posizione soggettiva autonomamente rilevante. In particolare, è stata espressione di questo fenomeno la tendenza della giurisprudenza ad ammettere, nel corso del tempo, margini più ampi per l‟esperibilità dell‟azione di usurpazione, proprio in una direzione che ha, progressivamente, portato all‟emersione del diritto in questione. L‟art. 7 c.c. prevede, infatti, a tutela del diritto al nome la possibilità di esercitare l‟azione di reclamo, nel caso in cui all‟interessato sia contestato il diritto all‟uso del proprio nome, nonché quella di 80 Identità (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX, Milano, 1970, 953 e ss. 96 usurpazione, laddove una persona risenta pregiudizio dall‟uso che altri ne faccia indebitamente. In entrambe le ipotesi, pertanto, il soggetto che ritiene offeso il proprio diritto potrà chiedere al giudice la cessazione del fatto lesivo ed il risarcimento dei danni. Se, in origine, la giurisprudenza ammetteva l‟esperibilità dell‟azione di usurpazione soltanto nei casi in cui l‟uso del nome altrui potesse trarre in inganno, vale a dire richiedeva come presupposto necessario la c.d. “confondibilità” tra i due soggetti, successivamente i confini della tutela del diritto al nome sono stati ampliati. Precisamente, è stata riconosciuta, dapprima, la possibilità di agire in giudizio anche nell‟ipotesi di attribuzione del nome a personaggi di fantasia o di film, presentati in modo ridicolo, sebbene non 81 sussistesse possibilità di confusione , dunque, essenzialmente, a salvaguardia dell‟onore, e, successivamente, in tutti quei casi in cui, a prescindere dalla lesione di altri valori (reputazione, onorabilità, dignità) il nome fosse stato utilizzato in un contesto o situazione tale da falsare l‟identità personale. Questa evoluzione giurisprudenziale è significativa della progressiva emersione di un diritto ad essere se stessi, ad essere rappresentati come si è, e, quindi, a non vedersi attribuiti fatti o caratteri che non rispecchiano il modo d‟essere del soggetto. La giurisprudenza, pertanto, è giunta, gradualmente, ad ammettere l‟autonoma rilevanza del 81 Cass. civile, n. 2748/1963, in Foro it. 64, I, 306. 97 diritto all‟identità personale e, di conseguenza, la possibilità di lesione del medesimo attraverso un fatto che non sia, nel contempo, offensivo anche di altre posizioni soggettive, come l‟immagine o il nome. Il fondamento dell‟identità personale, pertanto, non va ravvisato né nell‟art. 10 né nell‟art. 7 c.c., sebbene, per come si è detto, sussista una certa connessione sia con l‟immagine sia col diritto al nome, bensì nell‟art. 2 della Costituzione, la cui finalità è proprio quella di tutelare la persona umana nei suoi aspetti e modi di essere essenziali. A questa conclusione, precisamente, è giunta la Suprema Corte82 in una fattispecie relativa all‟uso di alcune dichiarazioni, sapientemente decontestualizzate, rese da un noto oncologo presidente della Lega anticancro, per pubblicizzare una marca di sigarette, attraverso la falsa attribuzione al medico di una posizione favorevole al consumo di quel prodotto 83. Secondo parte della dottrina84, peraltro, la pronuncia in questione, pur assumendo un particolare interesse nell‟ampia elaborazione giurisprudenziale in materia, sotto alcuni profili presenta delle 82 Cass. civile, 22/6/1985 n. 3769, in Foro it., 1985, I, 2211, Soc. Austria Tabakwerche e altri c. Veronesi-Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, cit. 83 Si tornerà sulla sentenza di cui alla nota che precede, a proposito della tutela dell'immagine negli enti collettivi. 84 Giuseppe Cassano “Contenuto e limiti del diritto all'identità personale (in margine allo sceneggiato sul caso "Re Cecconi"), nota a Cass. civile, sez. I, 7/2/1996 n. 978, in Riv. inf. e informatica 1997, 1, 118. 98 contraddizioni, perché sembrerebbe non esprimere con chiarezza che l‟identità personale è diritto di rilevanza costituzionale. Ad ogni modo, attualmente è opinione ormai consolidata, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che questo diritto, avente fondamento nel principio cardine espresso nell'art. 2 Cost., e, più precisamente, nel combinato disposto di quest‟ultimo con l‟art. 3 Cost.85, entrambi diretti a riconoscere e tutelare i diritti fondamentali, a garanzia di sviluppo della personalità dell‟individuo, ha un indubbio rilievo costituzionale. Viene così recepita, secondo gli insegnamenti della dottrina più avanzata, la nozione di “clausola aperta” dell'art. 2 Cost., intesa quale norma idonea ad accogliere differenti posizioni soggettive (e non soltanto quelle direttamente ricollegabili ad altri principi costituzionali o, comunque, da essi derivati), talora emergenti, come esigenze nuove, particolarmente sentite ed apprezzate dalla coscienza sociale86. Da allora, il diritto all'identità ha trovato sempre più frequenti affermazioni nella giurisprudenza e nella prevalente dottrina: identità personale, dunque, non come mero valore politico o semplice rilevazione sociologica, ma come vera e propria situazione giuridica soggettiva, di rilevanza costituzionale. 85 Cfr. Pret. Roma 2 giugno 1980, in Giust. civ., 1981, I, 632. 86 2, 90. Barbera, in Commentario della Costituzione, sub art. 99 § 4 LA LESIONE DEL DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE 4-a) Dopo avere definito il contenuto ed il fondamento del diritto all‟identità personale, nonché le sue connessioni con altre posizioni soggettive di rilevanza costituzionale, è necessario approfondire alcune problematiche attinenti più strettamente alle ipotesi di lesione di questa situazione soggettiva. Poiché il concetto stesso di “identità personale” ha, per come si è detto, una estensione piuttosto ampia, in quanto riassume e sintetizza il modo d‟essere che contraddistingue la persona globalmente, nella molteplicità dei suoi aspetti, e con il suo patrimonio intellettuale, professionale, ideologico, altrettanto variegate e numerose sono le possibilità di lesione di questo diritto, nonché i settori che possono venire in rilievo. Sebbene -specie in passato- non siano mancate voci contrarie, è ormai consolidata la tesi secondo cui il diritto in questione riceve un‟autonoma tutela, che prescinde dalla lesione di altri valori, nonostante l‟indubbio collegamento tra questa posizione soggettiva e differenti interessi, quali l‟immagine, l‟onore, il nome, la reputazione e la riservatezza, ai quali si riconosce, come sarà evidenziato in prosieguo, un obiettivo, per così dire, negativo alla "non rappresentazione" all'esterno di proprie vicende personali, in luogo di quello positivo, alla fedeltà della rappresentazione, che connota l'identità personale. Peraltro, secondo i fautori della teoria “monistica” dei diritti della personalità, nonostante l‟utilità di queste distinzioni, non deve trascurarsi che tutti questi 100 aspetti confluiscono in un valore unitario, vale a dire quello della persona umana nella sua interezza, diversamente dai sostenitori di quella “pluralistica”, secondo cui esistono tanti diritti della personalità ben differenziati e distinti, pur con caratteristiche comuni, che trovano tutela solo se sono stati specifico oggetto di un intervento legislativo87. L‟autonoma rilevanza del diritto all‟identità personale comporta, pertanto, che sarà considerata lesiva dello stesso qualsiasi travisamento o alterazione (anche se, eventualmente, in positivo) della personalità dell‟individuo, nelle sue molteplici manifestazioni, in quanto infedelmente rappresentata, sia se derivi dall‟attribuzione di caratteristiche inesistenti, sia se derivi dall‟omissione di aspetti realmente posseduti. Sotto tale profilo, ad avviso di chi scrive, è da preferire la teoria “monistica”, che tutela in modo più pregnante la persona, senza che si possa dar luogo a quelle diatribe, di tipo “bizantino”, che frammenterebbero le varie sfaccettature del diritto all'identità personale. Se, viceversa, questa posizione soggettiva non fosse unitariamente considerata e autonomamente tutelata, bensì solo in relazione ad altri valori come, ad 87 In Italia, la dottrina prevalente è ancora oggi orientata sulla pluralità dei diritti della personalità: v. De Cupis, I diritti della personalità, Milano, 1982, 43 ss.; per un primo riconoscimento esplicito dell'unitario diritto della personalità, vedi Cass. 20 aprile 1963 n. 900, in Giust. civ., 1963, I, 1280, e, successivamente, Cass. 27 maggio 1975 n. 2129, ibidem, 1976, I, 2895. 101 esempio, la reputazione e l‟onore, sarebbe illegittima solo l‟attribuzione di fatti suscettibili di causare un giudizio di disvalore. 4-b) Un settore dove, tradizionalmente, viene in rilievo un problema di violazione del diritto in questione è proprio quello attinente alle opinioni politiche: tra i molteplici aspetti che contribuiscono a delineare la complessiva personalità dell‟individuo vi sono, infatti, anche le posizioni ideologiche, vale a dire la c.d. “identità politica”. Di conseguenza, sebbene l‟attribuzione ad una persona di determinate idee politiche, piuttosto che di altre, o l‟errata affermazione della sua appartenenza ad un certo partito, non può considerasi di per sé disonorevole, tuttavia può essere idonea a determinare una inesatta rappresentazione dell‟individuo all‟esterno, con conseguente lesione della sua identità personale. Pertanto, la giurisprudenza ha affermato, ad esempio, che l'accusa, rivelatasi poi priva di fondamento, ad un noto uomo politico di aver militato in un movimento molto lontano dalle idee da lui attualmente professate, costituisce un attentato alla sua personalità, appunto come identità personale, nonostante non sia lesiva dell‟onore o della reputazione, in tal modo ipotizzando una figura diversa rispetto alle tradizionali ipotesi di violazione dell‟onore88. 88 2079. Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Foro it., 1980, I, 102 Proprio l‟identità politica viene in rilievo in un caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, che assume un particolare interesse, anche perché mette in evidenza la stretta connessione tra violazione del diritto all‟immagine ed alterazione della personalità dell‟individuo89. Com‟è stato anticipato nelle pagine precedenti, la correlazione esistente tra questi due fondamentali diritti della personalità fa sì che, sovente, l‟illegittima divulgazione dell‟immagine altrui, quindi intervenuta senza il consenso dell‟interessato e al di fuori delle ipotesi di cui all‟art. 97 l. n. 633/1941, determini anche una violazione del diritto all‟identità personale.90 Pertanto, sebbene il diritto in questione possa essere pregiudicato in vari modi, tuttavia una delle ipotesi più frequenti è proprio quella connessa all‟illegittima diffusione del ritratto altrui, perché tra l'uso non autorizzato dell‟immagine e la lesione del diritto all'identità personale il nesso, sovente, è così stretto da essere difficilmente distinguibile. Nel caso in esame l‟immagine di un sacerdote, ritratto durante la celebrazione della Messa, venne pubblicata, senza il consenso dell‟interessato, in un opuscolo di propaganda elettorale della Lega Nord e della Liga Veneta dal titolo “La lega Nord e la Chiesa contro la corruzione. I cattolici votano Lega”. 89 Tribunale Verona, 26 febbraio 1996, Brutti c. Lega Nord e altro, in Giur. merito 1997, 32. 90 V., appunto, il caso della coppia ritratta nel manifesto antidivorzista, di cui si è detto. 103 La conclusione a cui giunge la sentenza è che sono ravvisabili la violazione sia del diritto all‟immagine sia dell‟identità personale. Sotto il primo profilo, venne osservato che la divulgazione del ritratto non era intervenuta legittimamente in quanto né l‟interessato vi aveva consentito (in modo espresso o tacitamente), né sussisteva una di quelle ipotesi in presenza delle quali la pubblicazione è ugualmente giustificata. In particolare, anche riconoscendo che la celebrazione religiosa possa considerarsi “fatto di interesse pubblico” oppure “svoltosi in pubblico”, ex art. 97 l. n. 633/1941, non va dimenticato che, per l‟applicazione di questa norma, è necessaria la sussistenza di un collegamento tra l‟immagine e l‟evento in occasione del quale è stata immortalata, evento che, in ogni caso, deve distaccarsi dalla normalità quotidiana e presentare un certo interesse per la collettività, con conseguente soddisfazione di un interesse pubblico all‟informazione, ritenuto preminente e tale da giustificare la compressione dell‟altrui diritto. Nel caso in questione, invece, l‟immagine del prete durante la celebrazione della Messa non soltanto era avulsa dal contesto originale, ma era stata, inoltre, inserita in uno diverso, attraverso il suo accostamento ad uno slogan avente una precisa valenza (“I cattolici votano Lega”), al fine di propaganda di un determinato partito politico, portatore di idee ben diverse di quelle facenti parte del patrimonio intellettuale, ideologico e 104 sociale del soggetto91, così ingenerando nel pubblico un erroneo convincimento in ordine alla sua identità personale e, quindi, un travisamento della personalità vera del rappresentato. Pertanto era palese la violazione del diritto all‟immagine e, tramite questo, del diritto all‟identità personale del prete ritratto, il quale aveva – tra l'altro - da sempre espresso delle idee e tenuto dei comportamenti (accoglienza dei diversi, aiuto agli emarginati, stranieri, extracomunitari) differenti –per non dire in antitesi- rispetto a quelli manifestati in varie occasioni –anche nel corso della medesima campagna elettoraledal partito politico in 92 questione . Fattispecie come questa, in cui oltre ad un uso non consentito dell‟immagine altrui, si realizza anche una sua decontestualizzazione e, quindi, un‟alterazione del patrimonio intellettuale, politico o sociale del rappresentato, con conseguente sovrapposizione dei due diritti (immagine ed identità personale), sono piuttosto frequenti, soprattutto con riferimento a personaggi noti. 4-c) Il più delle volte, pertanto, ad essere lesa è, in particolare, la c. d. “identità artistica” della persona 91 Giuseppe Cassano,“Falsa luce negli occhi dei fedeli: novità i tema di risarcimento del danno da lesione ai diritti della personalità”, in Dir. famiglia 2000, 1, 421, nota a Trib. Verona 26/2/1996. 92 Massimo Dogliotti,“Immagine ed identità personale: soggetti forti e soggetti deboli”, nota a Trib. Verona, 26 Febbraio 1996, in Dir. famiglia, 1997, 4, 1436. 105 famosa: pensiamo, ad esempio, al caso in cui siano diffuse delle immagini di un'attrice, risalenti ad una fase della carriera ormai superata da una nuova connotazione professionale impressa alla sua attività, senza le necessarie precisazioni atte a collocare esattamente nel tempo passato la prestazione resa dalla medesima, con conseguente possibilità che il pubblico, presso cui ha assunto una diversa immagine sociale ed artistica, le consideri frutto di un attuale lavoro: in fattispecie come questa la giurisprudenza ha chiaramente riconosciuto la lesione dell‟identità personale, a prescindere dall‟impossibilità di configurare una violazione del diritto all‟immagine, all‟onore o alla reputazione del soggetto ritratto93. Emerge, allora, anche un altro aspetto della difesa di questo diritto: va tutelata l‟esigenza di manifestarsi all‟esterno ed essere rappresentati quali realmente si è al momento presente, attuale, ferma restando, peraltro, la necessità di ancorare la salvaguardia del medesimo a riscontri oggettivi, senza la pretesa di estenderla all'idea, all'immagine che ognuno ha di sé, agli aspetti mentali e psicologici, in quanto ciò potrebbe portare, per come sarà evidenziato nel prosieguo, ad una ingiustificata compressione della contrapposta libertà di manifestazione del pensiero. Anche con riferimento all‟identità personale, inoltre, vale la considerazione fatta in precedenza relativamente ai sosia di personaggi noti: è, pertanto, 93 Pret. Roma, 10 febbraio 1988, Cassini e altro c. Società Tattilo ed., in Dir. informatica 1988, 860. 106 possibile che l‟utilizzazione dell'immagine di un sosia possa comportare contestualmente la violazione di entrambi i diritti in questione, in particolare nel caso in cui la persona sia ritratta in pose “osé”94, cagionando dei danni da valutarsi in relazione alla diffusione della pubblicazione, al rilievo della stessa e alla gravità della lesione. Peraltro, in ipotesi come queste, l‟illegittima divulgazione dell‟immagine del personaggio noto (o del suo sosia) interviene, sovente, per finalità lucrative, con conseguente violazione anche del diritto allo sfruttamento commerciale del proprio ritratto, per cui saranno risarcibili –per come sarà approfondito nelle pagine successive- oltre ai danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., anche quelli patrimoniali95. 94 Trib. Roma, 28 gennaio 1992, Russo c. Società Tattilo ed., in Rassegna dir. civ. 1993, 935, con nota di Gigliotti. 95 Tribunale Roma, 23 maggio 2001, Morace c. Soc. Stampa Sportiva, in Dir. informatica 2001, 880 :” È illecita la pubblicazione della foto di un personaggio famoso senza il suo consenso sulla copertina di un libro, che affronta un argomento inerente all'attività svolta dal personaggio stesso, in quanto lede il diritto all’identità personale ed allo sfruttamento commerciale della propria immagine. Pertanto, deve essere inibita l'ulteriore commercializzazione del libro con l'immagine in copertina e condannata la società che ha pubblicato il libro a corrispondere al personaggio, illecitamente ritratto, la metà del prezzo di copertina per ogni copia commercializzata in violazione del divieto, oltre al risarcimento dei danni da determinarsi anche in via equitativa.” 107 Come ha rilevato la dottrina96, quindi, nel nostro ordinamento è salvaguardata anche quella posizione soggettiva che nell'esperienza nordamericana è chiamata right of publicity, perché, sebbene non esista un autonomo diritto personale avente ad oggetto la propria notorietà, tuttavia quest‟ultima ha una tutela assicurata attraverso quella che ricevono il nome o l'immagine della persona. Pertanto, l'indebita utilizzazione commerciale dell'altrui immagine, che costituisce illecito aquiliano, sarà fonte di un obbligo risarcitorio da commisurarsi al danno per il consenso mancato, vale a dire il “prezzo del consenso”, che può essere quantificato –a secondo dei casi- avendo riguardo o alla quotazione pubblicitaria del ritratto per prestazioni equivalenti, rese nel periodo in cui è stato commesso l'illecito, oppure all'indebito guadagno percepito dalla rivista, consistente nell'aumento della tiratura determinato dalla pubblicazione, ovvero alla sottratta possibilità dello sfruttamento del ritratto, quindi al rischio di una sua minore appetibilità derivante dal c.d. 97 "inflazionamento" o “annacquamento” dello stesso . Sebbene la violazione del diritto all‟identità personale venga spesso realizzata, per come si è rilevato, attraverso un‟illegittima pubblicazione dell‟immagine della persona, vale a dire delle sue 96 Giovanni Piazza, Davide Goetz “Il diritto all’immagine nella giurisprudenza dell’ultimo decennio” cit.. 97 Cass. civ., 6 febbraio 1993, n. 1503, Bartali c. Soc. Bozzi, in Giur. it., 1993, I, 1, 1423; su questo tema v. inoltre Borelli, La quantificazione del danno per violazione del right of publicity, in Danno e resp., 1996, 166. 108 fattezze fisiche, non mancano ipotesi di lesione attuata con modalità diverse. A tale proposito, in un caso singolare sottoposto all‟attenzione della giurisprudenza, ad esempio, è stata ritenuta idonea a pregiudicare la posizione soggettiva di un noto cantante l‟abbinamento promozionale, effettuato senza il suo consenso, tra un prodotto e una sua opera dell‟ingegno . Precisamente, un‟azienda produttrice di detersivi, per promuoverne la vendita, aveva inserito nelle confezioni, come omaggio destinato agli acquirenti, alcune registrazioni del cantante in questione98. Questo abbinamento promozionale è stato considerato lesivo, in quanto capace di determinare un‟alterazione dell‟immagine del personaggio noto, contrastante pienamente con le sue opinioni di assoluta contrarietà ai prodotti chimici, ritenuti dannosi all‟equilibrio ecologico. In realtà, nella fattispecie di cui si tratta, si ipotizza un pregiudizio al nome e all‟immagine, tuttavia questa viene intesa come “complesso delle qualificazioni che individualizzano un soggetto”, quindi 98 Pretura Roma, 15 novembre 1986, C. Baglioni c. Società Colgate Palmolive, in Foro it. 1987, I, 973 “Lede il diritto al nome e all'immagine, intesa come complesso delle qualificazioni che individualizzano un soggetto, l'abbinamento promozionale, effettuato senza il consenso del titolare, fra un prodotto (nella fattispecie, un fustino di detersivo) e un'opera dell'ingegno del soggetto medesimo (audiocassetta contenente alcune canzoni di Baglioni)”. 109 con un significato che, in realtà, si avvicina -o addirittura coincide- con la definizione normalmente data all‟identità personale, confermando, pertanto, quanto rilevato nelle pagine precedenti in ordine alla progressiva estensione del concetto di immagine. Nelle numerose e -per come si è potuto rilevarevariegate fattispecie di lesione dei diritti della personalità spesso emerge anche un‟ulteriore problematica: il possibile conflitto tra questi ed altri diritti costituzionalmente garantiti, in particolare cronaca e critica. Basti pensare, ad esempio, alla possibilità che sia lamentata dall‟interessato la lesione dell‟identità personale a seguito di un‟asserita alterazione del contenuto di un‟intervista, con deformazione 99 dell‟originario significato . 99 Tribunale Roma, 11 dicembre 2002, Feltri c. De Gregori e altro, in Dir. informatica 2003, 149 “Costituisce lesione dell’identità personale la alterazione del contenuto di una intervista rilasciata dalla persona lesa con deformazione del significato originario” (nella fattispecie una intervista rilasciata dal cantante Francesco De Gregori era stata manipolata attribuendo all'intervistato affermazioni di contenuto diverso da quelle effettivamente pronunciate). 110 Come sarà evidenziato in prosieguo, in questi come in altri analoghi casi, si tratta –essenzialmentedi stabilire se, ed a quali condizioni, la compressione dei diritto all‟immagine e all‟identità personale possa considerarsi giustificata, quindi legittima, per il prevalere di altre posizioni giuridiche soggettive confliggenti. 111 Capitolo 6 RAPPORTO CON ALTRI DIRITTI § 1 Premessa; § 2 Incontro/scontro tra diritti della personalità e diritto di cronaca; § 3 Fattispecie in tema di immagine, identità personale e diritto di cronaca; § 4 I diritti della personalità e la creazione artistica § 1 PREMESSA Nei capitoli precedenti sono state evidenziate le principali caratteristiche di alcuni fondamentali diritti della personalità -quali immagine, identità personale e nome- ed è emersa una correlazione tra le situazioni soggettive in questione così intrinseca, che, di frequente, il nome, ma soprattutto l'immagine, trovano tutela, anche nei casi in cui il comportamento altrui appaia privo di offensività, nei limiti e nella parte in cui l‟uno e l‟altra vanno a costituire anche espressione del diritto alla identità personale. Sebbene, quindi, sia il nome sia l'immagine sia l'identità personale, siano singolarmente connotate da un‟autonoma rilevanza e da specifiche caratteristiche che le contraddistinguono, si è rilevato, in particolare, un rapporto di reciproca connessione tra gli stessi, che porta, in alcune circostanze, ad una loro parziale sovrapposizione e, di conseguenza, talora, anche a qualche difficoltà nell‟esatta individuazione dei loro confini. Del resto, secondo quanto affermato in diverse occasioni dalla giurisprudenza e da parte della dottrina, nell‟ambito dei diritti della personalità umana, 112 il diritto all‟immagine, al nome, all‟identità personale, alla riservatezza, nonché alla reputazione sono omogenei, essendo unico il bene protetto, in quanto non sono che singoli aspetti della rilevanza che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione100. Ora, com'è agevole rilevare, se la gamma di facoltà attraverso cui si esplica giuridicamente l'individuo è pressoché illimitata, allora è ben possibile che vengano a incrociarsi tra soggetti diversi - non sempre pacificamente - le varie facoltà della persona, rientranti tutte nei diritti della personalità. Emerge, pertanto, un ulteriore aspetto della questione, cui si è fatto cenno nei capitoli precedenti: il conflitto tra situazioni soggettive contrapposte di individui diversi, seppur sia le une che le altre trovino uguale riconoscimento nella Costituzione, come diritti fondamentali. In altre parole, se a tutti gli uomini vanno riconosciuti i diritti della personalità, chiaramente l'esercizio di talune facoltà da parte di un individuo può andare a interferire con contrapposte facoltà di altri soggetti. Si pone, pertanto, il problema di individuare i criteri di contemperamento tra le situazioni soggettive confliggenti, al fine di stabilire quale tra i diritti coinvolti possa considerarsi, nel caso concreto, prevalente rispetto all‟altro, ed entro che limiti possa ritenersi giustificata una compressione di quest‟ultimo. 100 Cass. civile, sez. III, 10/5/2001 n. 6507, in Giust. Civ., 2001, I. 113 D‟altra parte, non va dimenticato, il fenomeno è tutt‟altro che limitato ai diritti della personalità, poiché si può dire che investe tutti rapporti tra i soggetti, nei quali i diritti dell‟uno si pongono in contrapposizione o in correlazione con quelli degli altri. § 2 INCONTRO/SCONTRO TRA DIRITTI DELLA PERSONALITÀ E DIRITTO DI CRONACA 2-a) Per quanto concerne l‟ambito di cui si tratta, un‟ipotesi molto frequente di conflitto tra situazioni giuridiche si realizza, allorché il diritto all‟immagine o quello all‟identità personale si scontrano con il contemporaneo diritto di altri di manifestare liberamente il proprio pensiero. L'incontro/scontro va a verificarsi quando l'esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero, riconosciuto dall‟art. 21 Cost., oppure il diritto di cronaca e critica (che sono considerati esplicazione del primo) vanno a interferire con il diritto, spettante a ciascuno, di tutelare elementi imprescindibili della propria persona, come nome ed identità personale, per cui si pone un problema di bilanciamento tra contrapposte situazioni giuridiche soggettive, tutte quante, in astratto e in linea di principio, meritevoli di tutela e quindi della massima considerazione. La dottrina e la giurisprudenza hanno poi sviscerato le varie forme possibili di manifestazione della libera espressione del pensiero, che va dal diritto di manifestare le proprie idee, al diritto di informazione nei suoi vari aspetti, al diritto di critica <giudiziaria, politica e storica>, al diritto di cronaca, al 114 diritto di satira e così via, sino allo speculare diritto all'informazione da parte della generalità dei cittadini. In particolare, mentre la cronaca consiste in una mera e acritica narrazione di accadimenti al fine di informare la collettività, la critica comporta, per sua natura, l‟apprezzamento e la valutazione dei fatti, quindi anche la manifestazione di un giudizio di consenso o dissenso, da parte di colui che esercita questo diritto, rispetto all‟analisi delle situazioni descritte101. Poiché nella critica, pertanto, prevale l‟aspetto valutativo che, a sua volta, è fondato sull‟interpretazione necessariamente soggettiva di determinati eventi, comportamenti o situazioni, non si pone tanto il problema di valutare la verità delle asserzioni fatte –visto che il giudizio critico non può essere ricondotto a canoni di verità rigorosamente oggettivi102- bensì di stimare la correttezza delle espressioni usate, che mai devono sfociare in mero dileggio o gratuita denigrazione, anche nel caso in cui venga in rilievo la satira103. 101 Nappi, Ingiuria e diffamazione, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma 1989. 102 Pelissaro, Diritto di critica e verità dei fatti, in Riv. it. dir. pen., 1992, 1227 ss. 103 Cassazione civile , sez. III, 07 novembre 2000, n. 14485 (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto superati i limiti del diritto di critica e satira da parte del giornalista Giampaolo Pansa, che aveva definito, in due articoli pubblicati sul settimanale “L’Espresso”, un noto conduttore RAI di un famoso programma televisivo “sicario, bovino umidoso, ma con lampi di sadismo che promettono sfracelli”). 115 Le fattispecie concrete nelle quali, pertanto, si può porre un problema di interazione tra queste posizioni soggettive, ugualmente rilevanti, sono innumerevoli. Per come è stato anticipato nei capitoli precedenti, ad esempio, frequentemente, al fine di giustificare la pubblicazione di un‟immagine di personaggio noto in assenza di consenso, viene invocata –in modo più o meno fondato- l‟esistenza di un prevalente interesse pubblico all‟informazione, ovvero, più precisamente, l‟esercizio del diritto di cronaca e di critica da parte del soggetto che ha diffuso le immagini stesse. Tuttavia, se diritto di cronaca, di critica e, in generale, di libera manifestazione del pensiero, sono tutelati e riconosciuti a livello costituzionale, tuttavia ciò non implica che ogni compressione di altre posizioni soggettive ugualmente rilevanti, dovuta al loro esercizio, sia sempre e comunque giustificata 104. Nell‟ipotesi in cui, pertanto, i diritti in questione entrano in conflitto occorre effettuare una verifica articolata, che si pone su diversi livelli: ad esempio in materia di divulgazione di una foto in una rivista o in un quotidiano, innanzi tutto è necessario stabilire, in via preliminare, se la pubblicazione delle immagini si possa considerare –effettivamente- esplicazione del diritto di cronaca e/o di critica. Non è detto, infatti, che la divulgazione del ritratto altrui sia intervenuta realmente per queste finalità. 104 Informazione (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XX, Milano, 1970. 116 2-b) La pubblicazione di fotografie di una nota attrice, tratte da un film, su un periodico destinato ad un pubblico prettamente maschile, ad esempio, è stata considerata lesiva del diritto all‟immagine ed ingiustificata, in quanto non riconducibile all‟esercizio né del diritto di cronaca né di critica 105. L‟art. 70 l. 633/1941 prevede espressamente, infatti, che la riproduzione di parti di opera, per scopi di critica è libera nei limiti giustificati da tale finalità. Al fine di escludere, nel caso concreto, che la divulgazione fosse connessa a scopi di questo genere (in particolare di critica cinematografica) è stato considerato rilevante il riferimento al carattere della rivista, nonché alle modalità di pubblicazione. Affinché la riproduzione, all‟interno di un giornale, di fotogrammi tratti da un‟opera cinematografica si possa ricondurre al legittimo esercizio del diritto di cronaca e critica, infatti, è necessario che essa abbia la finalità precipua di offrire ai lettori notizie o giudizi su quel film. A diversa conclusione, invece, deve giungersi se – come in quel caso giudiziario- la divulgazione sia diretta essenzialmente solo alla presentazione, per scopi commerciali, di immagini aventi contenuto erotico, così come, analogamente, deve escludersi la ricorrenza, in tal caso, della finalità di commercializzazione dell‟opera cinematografica. 105 Cassazione civile, sez. I, 28 marzo 1990, n. 2527, Tattilo editrice spa c. Sandrelli. 117 Ipotesi come questa ricorrono frequentemente in quanto, per testate giornalistiche di vario genere -non necessariamente scandalistiche, ma anche di attualità e politica- il ricorrere ad immagini, specie femminili, ammiccanti, per vendere un numero maggiore di copie non solo è diventato uno stratagemma alquanto diffuso, ma spesso è mascherato da inesistenti finalità di cronaca e critica 106. Di conseguenza può anche accadere che fotografie tratte da film o altri lavori precedentemente realizzati, ed avulse dal contesto originario, senza un effettivo scopo di critica o cronaca, siano pubblicate senza il consenso dell‟interessata, con conseguente pregiudizio di natura patrimoniale e non patrimoniale. Pertanto, sulla base di vari elementi (modalità della pubblicazione, intervenuta in un contesto diverso dall‟opera cinematografica, carattere della rivista, avente fine esclusivamente o prevalentemente di lucro ecc.) sarà possibile escludere che, nella fattispecie concreta, la compressione del diritto all‟immagine sia giustificata, appunto perché non intervenuta nell‟esercizio legittimo di un diritto altrettanto tutelato, com'è quello della libera espressione del pensiero . Poiché la riconduzione della pubblicazione delle fotografie all'esercizio di uno di questi diritti si risolve in una causa di giustificazione di un comportamento di per sé illecito (v. art. 51 c.p.), che comporta l‟eliminazione dell'antigiuridicità obiettiva del fatto, 106 E' sufficiente avvicinarsi ad un'edicola per riscontrare il massiccio ricorso a tali mezzucci da parte di settimanali che, peraltro, usano ammantarsi di un'aureola di serietà censorea con riguardo anche agli spetti di costume. 118 questa deve essere dimostrata dalla parte che ha interesse ad avvalersi di una tale causa di giustificazione. Una volta accertato che, nel caso concreto, la compressione del diritto all‟immagine (o di altro diritto della personalità) è –in effetti- direttamente collegata ad un‟esplicazione del diritto di cronaca e critica, è poi necessaria un‟ulteriore verifica. Infatti, poiché vanno a confliggere dei diritti di pari rango, entrambi costituzionalmente garantiti, deve essere effettuato un vero e proprio 107 bilanciamento , in virtù del quale la compressione del diritto all‟immagine (o all‟identità personale) può essere considerata legittima a condizione che la stessa risulti strettamente funzionale al corretto -vale a dire contenuto entro certi confini- esercizio del diritto di cronaca o critica, ferma restando l‟esistenza di un persistente interesse pubblico all‟informazione. Il giusto contemperamento tra diritti di pari rango costituzionale, pertanto, di solito è raggiunto facendo riferimento ai limiti di ciascuno di essi, affinché non si verifichi un‟illegittima ed ingiustificata prevaricazione dell‟uno sull‟altro. Di conseguenza, l‟esistenza dell‟esimente non comporta la compressione, senza alcun limite, della situazione soggettiva contrapposta; quindi non ogni lesione è sempre e comunque giustificata, ma lo è soltanto laddove l‟esercizio del diritto “prevalente” non abbia travalicato certi margini. 107 5658. Cassazione civile , sez. III, 09 giugno 1998, n. 119 2-c) Indicati, nei capitoli precedenti, gli ambiti del diritto all‟immagine e all‟identità personale, non resta che individuare quelli attinenti alle altre posizioni soggettive che possono entrare in conflitto con questi. Al riguardo, secondo dottrina e giurisprudenza ormai costante108, nel conflitto fra gli opposti valori costituzionali, di cui si discorre, perché il diritto di cronaca prevalga sugli altri valori della persona (non solo immagine ed identità, ma anche onore, riservatezza ecc) devono ricorrere le seguenti condizioni: l‟utilità sociale della notizia, vale a dire l‟interesse pubblico alla conoscenza (c.d. “pertinenza”); la verità dei fatti esposti (che può essere anche soltanto putativa, purché frutto di un diligente e serio lavoro di ricerca, il che è escluso quando vengano riferiti fatti veri, ma incompleti); e la forma civile della esposizione dei fatti e della loro valutazione, non eccedente rispetto allo scopo informativo, quindi improntata a serena obiettività (c.d. “continenza”). Quest‟ultima va ritenuta esclusa allorquando sia ravvisabile un preconcetto intento denigratorio, ovvero un accostamento o accorpamento di notizie, che 108 V. Cass. Civile , sez. III, 13/2/2002 n. 2066, Minoli c. Feltri: in questo caso, una battaglia tra giornalisti, in cui il primo si lamentava soprattutto della titolazione e del tono dell’articolo “L’Italia ci truffa”, comparso sul giornale l’Europeo, in cui si portava a conoscenza del pubblico che i servizi e le interviste concernenti i Kennedy, Benazir Bhutto e Nelson Mandela, che in un servizio RAI risultavano attribuiti a Gianni Minoli, in effetti non erano stati da questi realizzati direttamente. V. inoltre Cass. civ., 18 ottobre 1984, n. 5259, in Foro it., 1984, I, 2711. 120 conducano a un‟espansione di significati, con possibile attitudine diffamatoria, o un uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale, oppure un tono complessivo della notizia o una titolazione tendenziose. Per quanto riguarda l'ambito del diritto di cronaca, afferma che, per l'esimente, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblicata, l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (così detta pertinenza) e la correttezza formale della esposizione (così detta continenza). Spetta, quindi, al giornalista non solo di controllare l'attendibilità della fonte, ma anche di accertare e di rispettare la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia, con la conseguenza che solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente osservato, potrà essere utilmente invocata l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca 109. 109 V. in tal senso, tra le tante, Cassazione civile , sez. III, 29 maggio 1996, n. 4993. La sentenza -con la quale venne negata l'esimente del diritto di cronaca e di satira, dal momento che il fatto processuale riguardava non un caso di “corruzione”, bensì di illecito finanziamento, al quale era estraneo il segretario di quel partito- si riferisce alla pubblicazione, in data 7 febbraio 1987, in un quotidiano della Capitale, di un articolo intitolato "La magistratura porta alla luce un inquietante caso politicofinanziario". Corruzione a Torino. Si, lo confesso, prima di fallire ho finanziato il partito di Craxi", con accanto, con evidente riferimento alla vicenda, di una vignetta nella quale era rappresentato un personaggio rassomigliante a Craxi , vestito da ladro e con un garofano all'orecchio 121 In particolare, poi, in ordine al diritto di cronaca e di satira, risultante da vignette, la Giurisprudenza ritiene insufficiente, riguardo alla satira, che il personaggio messo alla berlina sia persona nota e che la satira si limiti all'aspetto pubblico, osservando, in contrario, che questo diritto, pur trovando garanzia negli articoli della Costituzione sulla libera espressione del pensiero, deve, comunque, ritenersi soggetto a limiti secondo criteri di coerenza causale tra qualità della dimensione pubblica del personaggio, fatto oggetto di satira, ed il contenuto artistico-espressivo. Verità dei fatti esposti, continenza ed interesse pubblico alla conoscenza sono state definite, pertanto, in dottrina110 “una vera e propria cartina di tornasole”, attraverso cui la giurisprudenza si orienta per l'accertamento del corretto esercizio dei diritti di cronaca e di critica, in occasione della lesione di diritti della personalità, mentre per quanto concerne il diritto di critica nonché di satira, deve essere rispettato il requisito della correttezza formale nonché dell‟interesse pubblico alla conoscenza, non essendo consentite espressioni di gratuito disprezzo tali da ledere la dignità umana della persona. Secondo un insegnamento ormai consolidato in materia penale, dove sono state approfondite con particolare attenzione le problematiche attinenti al funzionamento delle cause di giustificazione, è destro, il quale diceva: "quanto mi piace questo giornale da quando ha Portfolio". 110 Davide Goetz, “Diritto di critica storica e dovere di verità”, nota a Tribunale Roma, 29 Giugno 1998, in Resp. civ. e prev. 1999, 2, 484. 122 necessario, altresì, che ricorra un rapporto di proporzionalità tra queste e la lesione del diritto antagonista; in caso contrario è sanzionato, ex art. 55 c.p., l‟eccesso nell‟esercizio delle stesse. Applicando questa regola al settore civilistico ne consegue che, anche in materia di lesione dell‟immagine e/o di altri diritti della personalità (riservatezza, identità ecc.), il giudizio di bilanciamento tra le contrapposte situazioni soggettive consta di questa ulteriore verifica, consistente nella valutazione in ordine alla proporzionalità tra la causa di giustificazione –vale a dire l‟esercizio del diritto di cronaca o critica- e la lesione della posizione 111 antagonista . Pertanto l'accertamento della causa di giustificazione deve essere compiuta in relazione al 111 Cass. civile, sez. III, 9/6/1998, n. 5658, Girardi c. Rai-Tv, in Danno e resp. 1998, 865, nota di Orestano :” Nell'ipotesi di conflitto e necessario bilanciamento tra diritti di rango costituzionale come il diritto alla riservatezza garantito dall'art. 2 cost. e il diritto di cronaca garantito dall'art. 21 cost., pur in presenza dell'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti divulgati, nonché di una forma civile di esposizione e valutazione di essi, non è consentita la compressione senza alcun limite del diritto alla riservatezza, atteso che non ogni lesione del diritto "soccombente" può ritenersi giustificata, essendo giustificata la lesione solo nei limiti in cui è strettamente funzionale al corretto esercizio del diritto vittorioso, ed essendo altresì necessaria una valutazione di proporzionalità tra la causa di giustificazione (esercizio del diritto vittorioso) e la lesione del diritto antagonista, valutazione che va effettuata in relazione al concreto atteggiarsi dei diritti in contrapposizione” . 123 singolo diritto preso in considerazione, e non ad altro, ed in relazione a quest‟ultimo va effettuata la valutazione di proporzionalità. Questa puntualizzazione, apparentemente ovvia, è in realtà importante, in particolare nell‟ipotesi – ricorrente- in cui siano contestualmente lesi più diritti della personalità a causa di uno stesso comportamento che si ponga come manifestazione del diritto di cronaca o critica. Per finire in materia di diritto all'immagine nel suo incontro/scontro con la libera espressione del pensiero, si ritiene utile riportare in nota, la massima tratta dalla decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, completa del fatto, che si considera interessante anche per avere una più precisa percezione di come sia considerato a livello internazionale il diritto di cronaca e di critica con riguardo al suo incontro-scontro con i diritti della personalità 112. 112 Sentenza 13 novembre 2003 - Scharsach e altro c. Rep. Austria, per come pubblicata in Juris Data – Ed. Giuffrè “Nel 1995 il primo ricorrente (N. R.: trattasi di ricorso proposto dal giornalista che era stato condannato dai tribunali dell'Austria per diffamazione nei confronti di Jorg Haider, il noto politico morto di recente in un incidente d'auto) aveva pubblicato un articolo nel quale indicava le ragioni per cui, a suo modo di vedere, un governo di coalizione sotto la guida di Jorg Haider (leader del partito FPO dal 1986) sarebbe stato assolutamente indesiderabile. Il giornalista - richiamandosi alle dichiarazioni di Haider e di altri membri del partito - accusava il FPO di essere eccessivamente sciovinista ed incline al razzismo e riferendosi esplicitamente ad alcuni esponenti del partito tra cui in particolare tale sig.ra Rosenhranz - denunciava la 124 presenza nella compagine dei FPO di personaggi dichiaratamente filonazisti che definiva, con un termine coniato da Steger, leader dei FPO durante gli anni '80, "hellernazi" (nazisti che non ammettono di essere tali n. d.r.). La sig.ra Rosenhranz, membro dei Parlamento Regionale della Bassa Austria e presidente delegato del ramo regionale del FPO - nonché moglie di un noto esponente dell'estrema destra editore di una rivista dichiaratamente xenofoba, alla redazione della quale la donna collaborava saltuariamente - aveva denunciato il primo ricorrente per diffamazione ed aveva agito in giudizio contro il secondo, nella sua qualità di editore, per ottenere un risarcimento. Le autorità nazionali avevano condannato entrambi i ricorrenti, i quali lamentavano innanzi alla Corte una violazione dell'art. 10 Cedu. La decisione in esame è particolarmente analitica, a testimonianza della delicatezza della questione, anche in considerazione degli interessi di un soggetto terzo, quale la persona supposta diffamata. Constatato che le condanne inflitte ai ricorrenti costituissero un'indubbia interferenza - non priva di fondamento giuridico e di scopo legittimo - con il diritto alla libertà di espressione di costoro, la Corte si è preoccupata di sondare la necessarietà in una società democratica dell'interferenza suddetta. Ha innanzitutto rammentato che la stampa riveste un ruolo fondamentale in una società democratica, poiché sebbene debba osservare i limiti imposti dal rispetto della reputazione e dei diritti altrui - ha il dovere di fornire informazioni su tutte le materie di pubblico interesse. D'altro canto, è innegabile che la libertà di espressione costituisca un fondamento essenziale di ciascuna società democratica ed una condizione basilare per il suo progresso e la realizzazione di ciascun individuo. I limiti e le eccezioni posti a tale diritto, previsti dallo stesso art. 10 paragrafo 2 Cedu, devono essere definiti con precisione, mentre l'indispensabilità di restrizioni deve essere stabilita in modo efficace. Simili limiti alla libertà di espressione trovano applicazione anche con riferimento al dialogo politico ed al 125 dibattito su questioni di pubblico interesse, sebbene ciascun personaggio politico - poiché per scelta sottopone se stesso e le proprie posizioni al vaglio dell'opinione pubblica - sia tenuto ad un maggiore grado di tolleranza alle critiche. La Corte ha poi preso in considerazione la natura dell'interferenza nella libertà di espressione dei ricorrenti, le rispettive posizioni dell'autore dell'articolo e della persona che aveva lamentato la diffamazione, l'oggetto dell'articolo e le ragioni indicate dalle autorità nazionali a fondamento delle due condanne, ritenendo che tali ragioni, per quanto rilevanti non fossero tuttavia sufficienti a giustificare l'interferenza con il diritto alla libertà di espressione dei ricorrenti. Particolare attenzione è stata riservata al termine "hellernazi", dal momento che le argomentazioni presentate dalle parti concernevano in larga misura la natura dello stesso. Riconoscendo - come sostenuto dal ricorrente - che il termine suddetto costituisse un mero giudizio di valore su una questione particolarmente importante e di pubblico interesse, la Corte ha concluso il suo impiego non fosse inaccettabile nelle particolari circostanze del caso. I giudici di Strasburgo, infine, hanno sottolineato come il grado di precisione con cui un organo pubblico deve verificare il fondamento di un'accusa è assai diverso da quello che ciascun giornalista è tenuto ad osservare nell'esprimere la propria opinione su una materia di pubblico interesse, soprattutto allorquando tale opinione costituisca un mero giudizio di valore. Sono, infatti, ben diversi gli "standards da applicare nel vagliare l'attività politica sotto il profilo di conformità alla legge, rispetto a quelli che si utilizzano per verificare se l'operato politico risponda o meno a parametri morali. Riconoscendo una violazione dell'art. 10 Cedu, la Corte ha in definitiva ritenuto che l'interferenza non fosse da considerarsi necessaria in una società democratica, rilevando, in particolare, la mancanza di ragioni sufficienti a giustificare le condanne comminate ai ricorrenti e l'assenza di proporzione tra l'interferenza e lo scopo da questa perseguito.” 126 § 3 FATTISPECIE IN TEMA DI IMMAGINE, IDENTITÀ PERSONALE E DIRITTO DI CRONACA Le fattispecie concrete nelle quali può sorgere un problema di interazione tra contrapposte situazioni soggettive, quali immagine, identità personale, riservatezza, da un lato, e diritto di cronaca, critica, satira, dall‟altro, sono piuttosto numerose e variegate. Va precisato che, sebbene nei molti casi sottoposti all‟attenzione della giurisprudenza spesso venga in rilievo anche la lesione di valori come la dignità, l‟onore e la reputazione, tuttavia non mancano ipotesi nelle quali l‟esercizio del diritto di cronaca o di critica –andato oltre i confini descritti nelle pagine precedentipregiudichi esclusivamente l‟identità personale, l‟immagine e/o la riservatezza, in quanto non sono ravvisabili espressioni diffamatorie o comportamenti denigratori da parte dell‟agente. Fatta tale puntualizzazione, si può rilevare come questa gamma di ipotesi si manifesti sotto molteplici profili, in particolare sia con riferimento alle modalità di lesione dei diritti in questione, sia avuto riguardo alla tipologia di limiti illegittimamente superati da parte del giornalista. Per quanto riguarda il primo aspetto, un‟indebita violazione del diritto all‟immagine, di quello all‟identità personale o della privacy può derivare, ad esempio, ricorrendo determinate condizioni, non solo dalla 127 pubblicazione su un giornale del ritratto di una persona coinvolta in fatti che hanno avuto una certa risonanza, oppure dalla diffusione delle fattezze dell‟interessato in un filmato avente finalità di cronaca, ma anche dall‟indicazione, nel contesto di un articolo, o del nome della persona vittima di gravi fatti delittuosi o di particolari così dettagliati da renderla ugualmente identificabile. Vi sono, infatti, circostanze in presenza delle quali l‟interesse pubblico alla conoscenza deve arretrare, in relazione alla necessità di salvaguardia di posizioni soggettive da considerarsi prevalenti: per tale ragione se, normalmente, il giornalista può, nel contesto del proprio articolo, indicare i nomi dei soggetti coinvolti nelle situazioni narrate (ma al riguardo, nelle cronache più recenti si nota una maggiore attenzione da parte del giornalista nell‟omettere il nominativo della vittima), laddove, invece, vengano in considerazione fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, deve astenersi dal fornire indicazioni tali da consentire l‟esatta individuazione della vittima, e dal fornire dettagli della violenza, salvo che si tratti di particolari essenziali (art. 8 Codice di deontologia dei giornalisti).113. In applicazione di questi principi, nel bilanciamento tra diritti della personalità e diritto di cronaca, è stata considerata lesiva della privacy e 113 L‟art. 8, comma 1, cit. prevede che “salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine”. 128 dell‟identità personale la descrizione, in un articolo giornalistico dal titolo "Il sacco, la carota e altre storie di nonni", di una vicenda di angherie e violenze subita da un giovane aviere, raccontata con dovizia di particolari114. Nella fattispecie viene messa in evidenza, in primo luogo, l‟estrema lesività nei fatti raccontati della dignità della vittima, accentuata dalle stesse modalità narrative; è, poi, affermata la non essenzialità, ai fini dell'esercizio del diritto di informazione, della pubblicazione del nome della vittima e dei suoi dati identificativi, in quanto le medesime esigenze di completezza di cronaca sarebbero potute essere soddisfatte ugualmente in altro modo (ad esempio, mediante la sola indicazione delle iniziali). L'articolo, comunque, ben difficilmente si sarebbe potuto qualificare come “cronaca giudiziaria”, considerata la labilità dei riferimenti processuali, ridotti all'accenno ai verbali raccapriccianti, alla data (non esatta) in cui sarebbe iniziato il processo e alla enunciazione delle pene pecuniarie previste, avendo, piuttosto, la struttura della dichiarazione resa dalla parte offesa, quasi come una vera e propria intervista (invece non avvenuta). La facile identificazione aveva, pertanto, determinato un‟interferenza negativa nella sfera privata della vittima e, di conseguenza, della sua famiglia, dal momento che erano stati esposti alla curiosità, non tanto degli indeterminati e sconosciuti lettori, quanto della stessa comunità cui 114 Cassazione civile , sez. III, 31 marzo 2006, n. 7607. 129 appartenevano, con la diffusione tra amici e conoscenti, di fatti di una vicenda particolarmente dolorosa, umiliante e lesiva della dignità personale del soggetto. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, la lamentata interferenza nella sfera privata si era rivelata arbitraria ed illegittima, perché, nel bilanciamento tra valori contrapposti, l‟esercizio del diritto di cronaca non era stato correttamente esercitato. Anche sotto questo profilo, vale a dire quello attinente ai limiti del diritto di cronaca e di critica, la varietà di situazioni ipotizzabili è notevole: è possibile che la lesione risulti ingiustificata perché o non è ravvisabile l‟interesse pubblico alla conoscenza, o che gli accadimenti descritti non corrispondono a verità, oppure, che, pur essendo fatti “veri”, tuttavia sono stati esposti senza la necessaria correttezza formale (“continenza”). Analogamente, non sussiste l‟esercizio del diritto di cronaca o di critica, come scriminante riguardo a una compressione delle situazioni soggettive (immagine e identità personale), nel caso in cui la medesima esigenza di informazione si sarebbe potuta realizzare con degli accorgimenti diretti ad evitare –o quantomeno contenere- il pregiudizio al diritto tutelato. Pertanto, è stata ritenuta lesiva della riservatezza e dell‟identità personale l‟indicazione nominativa, contenuta su un quotidiano nazionale, di alcuni soggetti che lavoravano presso una casa editrice, con 130 l‟attribuzione, di un determinato orientamento politicoideologico, opposto rispetto a quello del titolare115. La finalità dell‟articolo era, essenzialmente, quella di evidenziare il clima di pluralismo presente nell‟azienda ed avvalorare la tesi secondo cui i dipendenti godevano di piena indipendenza ed autonomia; pertanto erano stati riportati diversi nominativi, non solo di personaggi pubblici, le cui idee erano già note alla collettività, ma anche di lavoratori dei quali, fino a quel momento, non era nota all‟esterno la propria opinione politica. A seguito del giudizio instaurato da uno dei dipendenti coinvolti per lesione della privacy, in quanto era stato diffuso un dato sensibile (orientamento ideologico), e del diritto all‟identità personale, perché, sebbene le espressioni utilizzate non rivestissero carattere diffamatorio (sia pure in un contesto sottilmente denigratorio) era stata fornita, comunque, una visione distorta della propria immagine personale e professionale, l‟operato del quotidiano è stato considerato illegittimo sotto diversi profili. Pur riconoscendo l‟esistenza dell‟interesse pubblico alla conoscenza –per il rilievo della casa editrice in questione- è stato ritenuto carente, innanzi tutto, il requisito della “verità”, sulla base di varie considerazioni relative alle anonime fonti (“interne” all‟azienda) utilizzate al fine di avvalorare quanto sostenuto dall‟autore dell‟articolo (che, peraltro, non si era preoccupato di contattare i dipendenti coinvolti 115 Trib. Milano, 26/11/2004, in Giust. Civ. 2005, 5, 1385, nota di Francesco Brugnatelli “Privacy, diritto all’informazione e diritti della personalità”. 131 per verificare le notizie ricevute), nonché agli altri indizi portati a supporto di quanto affermato, ma considerati dal Giudice non conferenti. Nel caso in questione, inoltre, la lesione lamentata è stata giudicata illegittima anche a causa del superamento del canone della c.d. “essenzialità dell‟informazione”, specificato dal Codice di deontologia adottato dal Consiglio dell'Ordine dei giornalisti116, in virtù del quale possono ritenersi consentite solo quelle compressioni dei diritti della personalità strettamente funzionali all‟esercizio del diritto di cronaca, con esclusione, pertanto, di quelle lesioni che, soddisfacendo ugualmente l‟interesse pubblico all‟informazione, si sarebbero potute evitare. 116 L‟art. 5 del Codice deontologico prevede che “Nel raccogliere dati personali atti a rivelare [...] opinioni politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale [...] il giornalista garantisce il diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell'essenzialità dell'informazione, evitando riferimenti [...] ad altri soggetti non interessati ai fatti. In relazione a dati riguardanti circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico, è fatto salvo il diritto di addurre successivamente motivi legittimi meritevoli di tutela”. Il successivo art. 6 stabilisce che “ La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. 132 Pertanto, l‟indicazione nominativa del dipendente con l‟attribuzione di un determinato orientamento politico, non poteva essere considerata legittima esplicazione del diritto di cronaca in quanto la finalità informativa perseguita, vale a dire la dimostrazione del pluralismo politico della casa editrice e l‟indipendenza dei dipendenti, si sarebbe potuta realizzare efficacemente in un altro modo, ad esempio attraverso il riferimento a certi dati riportati in termini meramente quantitativi e anonimi. Dalle considerazioni fatte emerge, quindi, come la verifica in ordine al corretto esercizio del diritto di cronaca o di critica può presentarsi più o meno complessa, a seconda delle circostanze del caso concreto e, in particolare, delle modalità attraverso cui è stata realizzata la compressione dei diritti della personalità. Non mancano, infatti, casi in cui la violazione dei diritti della personalità, a seguito di uno scorretto esercizio del diritto di cronaca o di critica, non è realizzata sic et simpliciter mediante l‟illegittima pubblicazione di un‟immagine o l‟ingiustificata indicazione di particolari non essenziali, bensì attraverso un‟attività più complessa che, sebbene abbia delle dichiarate finalità di cronaca, finisce, invece, per rielaborare determinati fatti in modo talmente arbitrario e parziale da fornire un‟immagine del soggetto distorta e falsata. Ipotesi ancora diversa, e che pone ulteriori problematiche relative al rapporto tra situazioni soggettive contrapposte, ricorre quando la violazione di uno o più diritti della personalità scaturisce da un‟attività artistica e creativa, la quale –per sua 133 natura- può discostarsi dalla realtà ma, laddove si ispiri a fatti veramente accaduti o personaggi realmente esistenti, non è priva di limitazioni, che deve rigorosamente rispettare. Per quanto riguarda il caso del diritto di cronaca esercitato attraverso un‟attività rielaborativa, un esempio significativo è rappresentato da una fattispecie sottoposta all‟attenzione della giurisprudenza, che assume un particolare interesse sia per i diversi problemi affrontati, sia per le modalità mediante le quali è intervenuta la lesione lamentata117. Nella fattispecie, infatti, era stata realizzata e distribuita nelle edicole, come allegato ad un noto settimanale, una videocassetta intitolata "Verità e Bugie: parla la supertestimone del pool", contenente stralci di una deposizione resa da una donna dinnanzi al G.I.P. in sede di incidente probatorio, in una grossa vicenda che coinvolse alcuni personaggi molto noti della politica nazionale. La peculiarità di questo caso risiede, precisamente, nel fatto che, attraverso una sapiente opera di selezione di determinati momenti della deposizione, di ridimensionamento della medesima – dalle complessive quaranta ore a meno di un‟oranonché mediante l‟introduzione di maliziosi commenti fuori campo diretti ad evidenziare i momenti di incertezza della teste, si era finito per dare una rappresentazione manipolata della testimonianza, che, come tale, andava a risultare non veritiera, con un 117 Corte d’Appello Milano, sez. I, 8/2/2006, Arnoldo Mondadori Editore c. S. A. 134 complessivo screditamento della immagine della teste, o, comunque, una sua distorsione. La voce fuori campo evidenziava, inoltre, le finalità della videocassetta, partendo dal presupposto che la donna fosse una teste chiave e che le sue dichiarazioni fossero il cuore dell'indagine, lasciando, tuttavia, intendere che era ben poco credibile e, nel complesso, gettando una cattiva luce sulla sua personalità, già a partire dallo stesso titolo scelto, basato proprio sulla contrapposizione tra verità e bugie. Una complessa opera di selezione e rielaborazione avente tali caratteristiche, pertanto, non può essere considerata legittima manifestazione di un corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, a maggior ragione se –come nel caso di cui si trattapresentata al pubblico proprio come semplice narrazione, vale a dire descrizione neutra ed oggettiva, volta ad informare i lettori in ordine alla deposizione resa da una testimone d'accusa in uno dei processi più seguiti del momento, e non come espressione di un‟attività artistica e creativa. In una fattispecie come quella descritta, pertanto, l‟esercizio del diritto di cronaca non può essere considerato corretto né rispettoso dei suoi ordinari limiti, non essendo stato osservato, in particolare, il requisito della verità dei fatti rappresentati. Va precisato che effettuare un‟opera di sintesi e selezione di determinate parti, nell‟ambito di un filmato avente una durata originale di molte ore, non determina, di per se automaticamente e per ciò solo, un difetto di verità dei fatti rappresentati, bensì una rappresentazione parziale, vale a dire non completa. 135 Tuttavia, se le concrete modalità attraverso cui la rielaborazione è realizzata sono tali da trasformarla in una vera e propria manipolazione tendenziosa e non equilibrata, l‟oggettività dello strumento utilizzato (trascrizione della testimonianza) diventa soltanto teorica, quindi dovrà ritenersi violato il limite della “verità” dei fatti, per cui è ben possibile che il risultato finale possa ledere illegittimamente l‟immagine, l‟identità personale e la riservatezza del soggetto. § 4 I DIRITTI DELLA CREAZIONE ARTISTICA PERSONALITÀ E LA 4-a) Nel paragrafo precedente si è parlato dell‟attività giornalistica diretta a fornire, quantomeno nell‟intento dichiarato, una mera esposizione di determinati fatti; adesso, invece, appare utile occuparsi dei casi in cui venga in rilievo una vera e propria creazione artistica. Anche la creazione artistica, in tutte le varie forme ipotizzabili (opera letteraria, cinematografica, rappresentazione teatrale ecc.) è riconducibile, come la cronaca e la critica, al diritto di manifestazione del pensiero previsto ex art. 21 Cost. Un‟attività di questo genere ovviamente non pone problemi di interazione con diritti della personalità facenti capo ad altri soggetti, che si trovano in posizione di confliggenza, laddove la creazione sia frutto esclusivamente della fantasia dell‟autore. A diversa conclusione deve giungersi se –come talvolta accade- l‟opera realizzata ha la precipua finalità di dare una rappresentazione fedele della vita di personaggi della Storia, più o meno recente, 136 dell‟arte, della politica (c.d. “opera biografica”), o se, quantomeno, è ispirata a fatti realmente accaduti e ad individui realmente esistenti (o esistiti). In casi come questi, l‟accertamento dell‟eventuale lesione di diritti della personalità (in particolare l‟identità personale) presenta ulteriori difficoltà: occorre, infatti, considerare che se, da un lato, l‟opera artistica, proprio per sua natura, implica un‟attività di creazione, affidata alla fantasia dell‟autore, dall‟altro, tuttavia, poiché coinvolge accadimenti e soggetti non immaginari, bensì reali, non dovrebbe spingersi fino al punto di deformare ed alterare la personalità dei protagonisti. Non è cronaca in senso stretto ma è, comunque, una “cronaca romanzata”, come tale percepita dallo stesso spettatore118. La questione presenta maggiori difficoltà di soluzione, in particolare, nell‟ipotesi in cui l‟opera realizzata è soltanto ispirata ad avvenimenti e persone reali -ad esempio un fatto di cronaca o la vita di un personaggio famoso- senza porsi, tuttavia, come fedele rappresentazione di quelle vicende: in questo inevitabile intreccio tra verità e fantasia ci si chiede entro che limiti possa spingersi l‟immaginazione dell‟autore, e se possa andare esente da ogni forma di responsabilità trincerandosi dietro la nota dizione “liberamente ispirata ecc. ecc.”. 118 Giuseppe Cassano “Contenuto e limiti del diritto all'identità personale (in margine allo sceneggiato sul caso "Re Cecconi"), nota a Cass. civile, sez. I, 7/2/1996 n. 978, in Riv. inf. e informatica 1997, 1, 118, cit. 137 Ad avviso di chi scrive, in tutti quei casi (sempre più ricorrenti, forse –ma è solo una supposizione- a causa anche di un preoccupante prosciugamento della vena creativa di alcuni sceneggiatori) in cui un‟opera – in genere si tratta di fiction- ripercorre, sia pure “liberamente”, fatti e personaggi reali è necessario il rispetto, nella rappresentazione di queste vicende, dei tratti essenziali della personalità dei protagonisti119. Pertanto, potrà considerarsi lecita l‟aggiunta, alle vicende reali, di episodi nati esclusivamente dalla fantasia dell‟autore, per soddisfare esigenze di sceneggiatura, a condizione che non presentino un valore determinante ai fini della rappresentazione della personalità del soggetto; solo, in tal caso, non sono idonei a ledere il diritto all‟identità personale del personaggio cui si riferisce l'opera. Viceversa, non possono (o non dovrebbero) essere introdotti avvenimenti tali da determinare 119 Non mancano, peraltro, autori secondo i quali la realtà conserva sempre una totale autonomia dalla finzione, che è creazione nascente dalla fantasia dell’autore, anche nei casi in cui presenti qualche connessione con il reale (a cui si ispira). Pertanto l’opera artistica finisce per vivere di vita propria, come una nuova realtà, in quanto gli elementi reali vengono trasfigurati dalla creatività dell’artista. In proposito v. Schermi, Il diritto assoluto della personalità ed il rispetto della verità nella cronaca, nell'opera storiografica, nell'opera biografica e nell'opera di fantasia, in Giust. civ., 1966, I, 1252. 138 un‟alterazione sostanziale dell'immagine del personaggio, quindi un effettivo travisamento della personalità, delle idee e delle opinioni del soggetto rappresentato; in caso contrario, infatti, viene meno il requisito della “verità”, proprio con riferimento a circostanze di essenziale rilievo, con conseguente ingiustificata lesione del diritto all‟identità personale. Infatti, si deve ritenere che, sebbene sia caratterizzata da tratti distintivi propri, tali da differenziarla dal diritto di cronaca e di critica, anche la creazione artistica vada esplicata nel rispetto dei limiti descritti in precedenza (verità, continenza, interesse pubblico), sebbene si atteggino in modo peculiare (soprattutto il primo). Nel verificare l‟eventuale violazione dell‟identità personale, in particolare sotto il profilo del rispetto della “verità”, ad avviso di chi scrive, è necessaria, in ipotesi come questa, una speciale attenzione, tenendo sempre ben presente due considerazioni essenziali. Innanzi tutto, occorre riflettere sulle particolari sensazioni ed emozioni che un film o una fiction "ispirati a fatti realmente accaduti” ispira nello spettatore, o, quantomeno, in alcune categorie di spettatori: se è vero che non è compito (quanto meno non sempre) della televisione fare o divulgare la cultura, quindi contribuire alla corretta conoscenza di certe vicende, storiche o di cronaca, tuttavia è -ormai da decenni- una realtà innegabile la forza mediatica di questo mezzo, che porta spesso e volentieri alcuni (anzi, numerosi) spettatori a riporre una notevole fiducia sull‟attendibilità di quanto appreso attraverso la televisione (più della radio), e di conseguenza a qualche difficoltà di discernimento dinnanzi ad una 139 rappresentazione, che di solito si presenta come molto realistica di quanto percepito. Anche per questa ragione, nello sceneggiare quelle opere filmiche ispirate alla realtà, e nell‟arricchirle di particolari di fantasia, sarebbe opportuno seguire una certa cautela, onde evitare di alterare la personalità dei soggetti rappresentati. In secondo luogo, occorre considerare che la violazione del diritto all‟identità personale, nel contesto di una creazione artistica, talora interviene non tanto a causa dell‟introduzione di eclatanti episodi (non corrispondenti alla realtà) riguardanti il protagonista, bensì attraverso una serie di particolari – apparentemente non significativima che, combinandosi tra loro, possono portare (a prescindere dall‟eventuale lesione dell‟onore) ad un travisamento dell‟identità personale. Proprio questo è ciò che hanno lamentato i congiunti di un noto cantante (Rino Gaetano), deceduto da parecchi anni, la cui vita ha ispirato uno sceneggiato televisivo realizzato recentemente: a detta dei familiari, nel rappresentare le sue vicende artistiche e personali erano stati inseriti, evidentemente per le note esigenze di copione, alcuni dialoghi relativi ad episodi mai intervenuti che, nel complesso, avevano contribuito a fare un quadro del protagonista travisato ed alterato, in particolare evidenziando una personalità aggressiva –specie nei confronti del padre- e sregolata, non corrispondente alla realtà. 140 4-b) In proposito, tuttavia, è necessario, a questo punto, ribadire una precisazione, già fatta nelle pagine che precedono. Non bisogna dimenticare, nel verificare l‟eventuale violazione del diritto di cui si tratta, che l‟identità personale va intesa non in senso soggettivo, come opinione o idea che ciascuno ha di se stesso120, quindi come necessaria coincidenza tra questa visione personale e quanto viene rappresentato (nel caso in questione, in un‟opera artistica, ma la considerazione vale più in generale), altrimenti non sarebbe concepibile nessun tipo di descrizione, se non sempre e comunque in termini positivi, e giammai con note critiche. Viceversa –per come è stato evidenziato nei capitoli precedenti- l‟identità personale va intesa in senso oggettivo, quale diritto della persona di essere rappresentato all‟esterno in modo corretto, vale a dire con tutti quei tratti caratterizzanti che, nella realtà sociale (generale o particolare) sono conosciuti, o conoscibili in base agli ordinari criteri della normale diligenza e della buona fede. Applicando questi principi, è stata decisa una fattispecie sottoposta all‟attenzione della Suprema Corte, relativa ad uno sceneggiato televisivo dal titolo “L‟appello”, nel quale veniva ripercorso un noto caso di cronaca che aveva visto l‟uccisione del calciatore della società sportiva Lazio Luciano Re Cecconi da parte di 120 Cassazione civile , sez. I, 07 febbraio 1996, n. 978, Tabocchini c. RAI- Radiotelevisione Italiana SPA. 141 un gioielliere, in occasione di una finta rapina da lui ideata per scherzo. Il caso (generalmente citato dalla dottrina penalistica come esemplificazione della legittima difesa putativa121 ex combinato disposto artt. 52 e 59, ultimo comma, c.p.) contiene in sé tutte quelle problematiche attinenti al rapporto tra creazione artistica e diritto all‟identità personale di cui si discute. Il protagonista della vicenda e la moglie, lamentarono, infatti, una lesione della loro identità personale per le modalità attraverso cui venivano rappresentati nello sceneggiato: il gioielliere descritto come individuo incolto, impacciato, attaccato ai suoi averi ed al denaro, e lei, riduttivamente, come donna intenta soltanto a riporre oggetti negli scaffali. La Suprema Corte, tuttavia, giunse ad escludere l‟esistenza di una violazione dei loro diritti proprio sulla considerazione della “verità” dei fatti, che erano stati narrati in modo tale da fare un quadro corretto –né denigratorio né deformato- della personalità dei protagonisti, tra l'altro, per come essi stessi si erano rappresentati in sede processuale, forse per esigenze difensive; egli stesso, infatti, si era presentato alla stampa come uomo di scarsa cultura, in quanto non aveva avuto la possibilità di studiare, e pressato dall‟esigenza di guadagnare, per cui l'attaccamento al denaro –che traspariva dalla rappresentazionederivava da reali comportamenti pregressi, anche aggressivi, del gioielliere, il quale già nel passato 121 G. Fiandaca, E. Musco “Diritto penale. Parte generale”, Zanichelli editore, quarta edizione, pag. 252 e ss. 142 aveva ferito un rapinatore e fatto ricorso alle armi per evitare uno scippo alla moglie. Quanto alla donna, l‟essere rappresentata nell'atto di riporre oggetti negli scaffali non è stato giudicato deformante della sua personalità, essendo questo un gesto connaturale all'attività svolta nel negozio. Nell‟analizzare i problemi relativi all‟interazione tra creazione artistica e diritto all‟identità personale, si è rivolta l‟attenzione in particolare alla “verità” dei fatti, nonché, in ogni caso, alla c. d. “continenza”. 4-c) (L'attualità della notizia) Non deve, peraltro, essere tralasciato un altro requisito, la cui sussistenza è necessaria al fine di giustificare una compressione dei diritti della personalità, e cioè l‟interesse sociale attuale ed effettivo alla conoscenza dei fatti narrati, che va accertato con attenzione in quanto potrebbe mancare, in particolare, laddove venissero in considerazione vicende accadute in tempi lontani. Decorsi molti anni dal verificarsi di certi avvenimenti, infatti, l‟interesse alla rievocazione degli stessi ed alla conseguente (ulteriore) divulgazione di solito perde il carattere dell‟attualità. Certamente, la solo circostanza del decorso del tempo non è assolutamente idonea ad escludere l‟attualità dell‟interesse alla conoscenza, anzi vale l‟esatto contrario per tutti quegli accadimenti che hanno assunto un valore tale da entrare a fare parte – a pieno titolo- nella Storia. Il problema si pone, in particolare, per quei fatti di cronaca che, pur avendo suscitato un certo clamore 143 all‟epoca della loro verificazione, hanno progressivamente perso interesse sociale, in concomitanza con il rientro di tutti gli aspetti della vicenda nell'anonimato 122. Nel caso prima esaminato, la Suprema Corte ritenne soddisfatto –con argomentazioni più o meno condivisibili- anche questo limite, considerando la vicenda emblematica di un particolare periodo storico caratterizzato da una diffusa violenza, manifestata tanto dal comportamento dell'aggressore, quanto dalla tipologia di scherzo fatto dalla vittima, che aveva portato al tragico epilogo. Il problema della reale sussistenza di un interesse della collettività a conoscere determinate vicende, tuttavia, può venire in considerazione anche in ipotesi dove non è lamentata la lesione del diritto all‟identità personale, bensì alla riservatezza o, più precisamente, all‟oblio, detto anche diritto “ad essere lasciati soli con se stessi e con le proprie vicende”. Ciò che viene contestata, in questi altri casi, non è tanto l‟alterazione della personalità dei soggetti all‟epoca dei fatti rappresentati, bensì la rievocazione di notizie, nel passato rese di pubblico dominio, ormai non più attuali e dimenticate dalla collettività, con conseguente ed indesiderata nuova notorietà dei soggetti all‟epoca coinvolti, ma da tempo rientrati 122 Tribunale Roma, 21 Novembre 1996, in Dir. famiglia 1999, 1, 141, nota di Giuseppe Cassano: “Soluzioni controverse di casi concernenti i diritti della personalità nelle trasmissioni televisive”. 144 nell‟anonimato, e/o la non corrispondenza tra l‟identità personale descritta e quella attuale. In altre parole, se la privacy di determinati individui, nel passato, era stata recessiva a fronte di un interesse pubblico all‟informazione ritenuto all‟epoca prevalente, ciò non implica anche il perenne permanere di quest‟ultimo, perché è ben possibile che il decorso del tempo faccia sfumare l‟interesse pubblico in questione, con una successiva riespansione del diritto alla riservatezza con riferimento a quelle stesse vicende. La lesione del diritto della personalità, quindi, non risulterà giustificata dal confliggente diritto di cronaca o di critica, che, pertanto, è da giudicarsi illecita. 4-d) Va, a questo punto, fatta una riflessione. E‟ praticamente inevitabile che il giudizio di bilanciamento tra situazioni soggettive contrapposte, in particolare tra creazione artistica e diritti della personalità, sebbene effettuato in modo attento, possa condurre a risultati non sempre coerenti: se è vero che ogni fattispecie è diversa dall‟altra, tuttavia non si può negare che, talvolta, situazioni aventi tratti caratterizzanti molto simili sono state giudicate sulla base di argomentazioni quasi opposte, con conseguente scarsa coerenza del complessivo sistema. Pertanto non ci si deve sorprendere se, a fronte di decisioni che –forse in modo forzato- ravvisano l‟attualità di un interesse pubblico alla rievocazione di vicende passate, ve ne siano delle altre –come quella relativa al c.d. mostro di Firenze- che, invece manifestino una tendenza a prediligere, a fronte del diritto di cronaca, di critica e, più in generale, di libera 145 manifestazione del pensiero, riconosciuto ex art. 21 Cost., altre posizioni soggettive quali immagine, identità personale e riservatezza123. Probabilmente queste diversità di giudizi sono più prosaicamente da attribuire anche ad una diversa sensibilità delle singole persone che rivestono le funzioni giudicanti, rispetto a determinati valori. Partendo da tale sensibilità, che non ha, in sé, rilievo giuridico, il Giudice offre poi, in sede di motivazione, una argomentazione di diritto a quanto da lui intimamente sentito. Conclusivamente, quindi, va verificata con particolare rigore la sussistenza delle condizioni che, in nome della libertà di pensiero, possano giustificare la compressione dei diritti all'immagine, all'identità personale e alla privacy. 123 Pretura Firenze, 03 marzo 1986, Nencini e altro c. Titanus distribuzione, in Resp. civ. e prev. 1987, 118 ”Lede l'immagine, la riservatezza e la reputazione l'opera cinematografica rielaboratrice di fatti di cronaca ove per la somiglianza degli attori, le vicende narrate, le scene riportate sia possibile l'identificazione dei soggetti reali e si rappresentino fatti intimi e di brutalità, in assenza, peraltro, di una finalità informativa sulla quale prevale la finalità lucrativa” . 146 Capitolo 7 IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ PERSONALE NEGLI ENTI COLLETTIVI (persone giuridiche e non) § 1 Generalità; § 2 Il diritto all'immagine e all'identità personale nelle associazioni non riconosciute. I partiti politici; 3 Lesione all'immagine e all'identità personale delle aggregazioni politico-sociali; § 4 Danni risarcibili agli enti collettivi; § 4 Diritto all'immagine della persona giuridica pubblica. § 1 GENERALITÀ Dottrina e giurisprudenza riconoscono pacificamente il diritto all'immagine anche alle soggettività diverse dalla persona fisica124, ovviamente con riguardo ai profili, come il nome e l'identità personale, in tutti i suoi molteplici aspetti, che prescindono dalla rappresentazione fisica della persona, chiaramente non configurabile in un ente collettivo. 125 124 Volutamente si è scelto un locuzione generica, poiché, per come si vedrà a breve, i diritti in questione vengono riconosciuti anche ad entità diverse dalle persone giuridiche. 125 E si anticipa sin da adesso che questa diversa tipologia dell'immagine dell'ente collettivo ha creato, quantomeno all'inizio, non pochi problemi per la esatta individuazione del pregiudizio risarcibile con riferimento alla sua lesione. 147 Va rilevato, infatti, che, secondo ormai opinione consolidata, anche l'organismo collettivo – indipendentemente dal suo riconoscimento- è dotato di una certa soggettività giuridica, e al riguardo un autorevole riferimento si trova, tra l'altro, proprio all'articolo 2 della Costituzione, laddove è scritto che la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità . . . ”. Anche i fenomeni aggregativi sono dunque titolari di diritti ed obblighi, nonché della capacità richiesta per l'esercizio di posizioni soggettive loro riferibili; volendo utilizzare la terminologia codicistica, possiamo dire che sono dotati della capacità giuridica e di agire. Accogliendo tale ricostruzione, pertanto, l'elemento idoneo a differenziare l'organismo non riconosciuto dalla “persona giuridica” in senso stretto, si può dire che consista -essenzialmente- nel tratto formale del riconoscimento, che si manifesta, in particolare, in una maggiore autonomia patrimoniale e in una più precisa configurazione normativa degli organi sociali e dei loro poteri, con un qualche controllo formale da parte dell'autorità, in relazione agli scopi che l'organismo collettivo si è prefissati. Una volta ammesso, quindi, che in linea generale gli enti collettivi, e cioè qualsiasi ente diverso dalla persona fisica, sono titolari di posizioni soggettive, giuridicamente e anche costituzionalmente rilevanti, costituisce conseguente corollario la riferibilità agli stessi anche di taluni diritti della personalità, ovviamente, per come già si è accennato, con gli adattamenti necessari. 148 Precisamente dottrina e giurisprudenza già da tempo hanno qualificato come posizione di diritto soggettivo -alla stregua dei principi fissati dall'art. 2 costit., in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, e in applicazione analogica della disciplina dettata dall'art. 7 del Codice civile, con riguardo al diritto al nome- l'interesse dell'ente collettivo, persona giuridica o non, a preservare la propria identità personale, nel senso di immagine sociale, come coacervo di valori (intellettuali, politici, religiosi, professionali, di reputazione e così via), per come si presenta (ed è conosciuta) nella comunità sociale, in cui si svolge la sua attività. Ha, quindi, correlativamente, il diritto di insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, anche se trattasi di comportamenti che non ne offendano l'onore o la reputazione, e, quindi, non assurgano a fatti penalmente rilevanti. 126 Nella specie, decisa con la sentenza in nota, già citata nelle pagine precedenti, un'intervista concessa dal direttore dell'Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori era stata utilizzata, mediante estrapolazione di alcune frasi dal complessivo contesto, per avvalorare una campagna promozionale della vendita di sigarette leggere, come se quel direttore (coinvolgendo anche l'Istituto), anziché contrario ad ogni uso di tabacco, si fosse manifestato 126 V. Cassazione civile , sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769 Società Austria c. Veronesi, in Resp. civ. e prev. 1985, 578; Dir. famiglia 1985, 901; Dir. autore 1986, 307; Giust. civ. 1985, I, 3049; Foro it. 1985, I,2211; Dir. informatica 1985, 965. 149 in senso favorevole al consumo di determinati tipi di sigarette contenenti meno nicotina. La decisione viene ricordata in questa sede, per il fatto che il Giudice ritenne leso il diritto all'immagine, oltre che dell'illustre clinico, anche dell'Istituto, nel senso che così facendo, la società commerciale, che aveva artatamente utilizzato l'intervista, aveva in concreto leso, oltre che l'identità personale del direttore intervistato, anche il diritto dell'ente collettivo ad essere rappresentato con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, era conosciuta o poteva essere riconosciuta con l'esplicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede oggettiva. Per gli enti collettivi con fine di lucro, la tutela dell'immagine (con l'identità personale) acquisisce poi una sua specifica peculiarità, anche in relazione all'attività da questi espletata, che trova un riferimento testuale nella Costituzione, oltre che nell'indicato articolo 2 anche nel successivo articolo 41, concernente l'iniziativa economica privata, essendo abbastanza intuitivo come la modalità secondo cui la società commerciale si presenta nell'ambito territoriale (e sociale) in cui opera, costituisce di per se un notevole elemento non solo di mantenimento della fetta di mercato, ma anche di crescita, e questo ben sanno gli operatori commerciali, i quali riservano una consistente fetta delle loro spese proprio in massicce operazioni di marketing e di maquillage (non per nulla viene utilizzato un termine che si riferisce alle operazioni finalizzate a mantenere la bellezza delle donne – o la loro presentabilità). 150 Ora, la lesione dell'immagine nel senso sopra indicato è idonea a incidere nella reputazione che l'ente collettivo cerca continuamente di mantenere e anche di migliorare (per come si è detto, anche con costose operazioni): di conseguenza, appare appropriato riconoscere piena tutela al diritto in questione, in relazione a precise disposizioni che nella Costituzione trovano riscontro, anche con riferimento alle società commerciali. § 2 IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ PERSONALE NELLE ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE. I PARTITI POLITICI. Si è detto che il diritto all'immagine è da attribuirsi anche ad organismi non riconosciuti. A questo proposito, il problema si è posto in primo luogo per i partiti politici e i sindacati, organismi durevoli nel tempo, ma anche per i comitati (come, ad esempio, per quelli referendari), solitamente costituiti per uno scopo determinato, al cui raggiungimento poi si sciolgono e aggregazioni in genere costituite per scopi meritevoli di tutela. Per quanto riguarda i partiti politici è agevole rilevare come questi, seppur privi di personalità giuridica, hanno una loro precisa connotazione, con capacità di incidere e notevolmente nel contesto sociale. Essi costituiscono sicuramente una formazione sociale in cui si esplica la personalità dell'uomo, oltre che ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, con 151 specifico riferimento al successivo articolo 49, con la conseguenza che sono titolari anche di quei tipici diritti della personalità, come, ad esempio, il diritto al nome – costituito da un insieme anche grafico -, all'immagine –nel senso di reputazione nei confronti dei consociati-, e all'identità personale in tutte le sue possibili sfaccettature. A tale proposito sono di notevole interesse gli orientamenti, in materia, che si sono formati, allorquando il “terremoto” Tangentopoli condusse alla distruzione di taluni schieramenti ed alla trasformazione di altri, con conseguente proliferazione da questi di gruppi di iscritti, detti in genere “gli scissionisti”, che fedeli ai simboli e sigle tradizionali, nonché alle vecchie ideologie, non condividendo i deliberati assembleari, che quelle modifiche avevano introdotto, in qualche modo si ritenevano autorizzati ad utilizzare il simbolo e la sigla, in tutto o in parte dismessi dalle formazioni originarie. Iniziò così una vera e propria guerra di carta bollata, con numerosi interventi della magistratura, la quale, applicando i principi civilistici in materia di associazioni non riconosciute, ha cercato di fare chiarezza, dirimendo questioni parecchio complesse. Specificamente, la giurisprudenza ha precisato che, nel caso di modifica della denominazione, con dismissione – in parte - dei vecchi simboli, delle sigle e del nome, intervenuta con delibera assembleare, non si è in presenza di una nuova associazione, ma della prosecuzione di quella già esistente, con la conseguenza che il partito politico con il nome modificato, è titolare della vecchia identità, con tutto il patrimonio culturale e politico, già acquisito e, tra 152 questi, il simbolo, che, seppur in parte dismesso, continua a far parte del nome, con riguardo alla tutela giuridica, la quale, quindi, va estesa a qualsiasi attributo individualizzante, benché costituisca solo una parte della denominazione residuata alla formazione partitica trasformata. In applicazione di tale principio è stata ritenuta legittima la contestazione fatta da due partiti politici nei confronti di altre neo formazioni, che nel simbolo avevano inserito elementi grafici ed anche la sigla del partito che aveva modificato la propria 127 denominazione . Sempre con applicazione dei principi civilistici in materia di associazioni non riconosciute, si è ritenuta la piena validità degli accordi intervenuti tra il Partito Popolare Italiano (P.P.I.), in cui si era trasformata la Democrazia Cristiana, a seguito dell'assemblea del 18 gennaio 1994 e il partito di nuova formazione dei Cristiani Democratici Uniti (C.D.U.), concernente il reciproco riconoscimento della titolarità di nome e simbolo del partito democristiano. In conseguenza, in virtù di quegli accordi, è stata ritenuta la legittimazione del C.D.U., ai sensi dell'art. 7 c.c., oltre che all'uso del simbolo e della denominazione della vecchia formazione, anche ad ottenere, in via cautelare e urgente, che fosse inibito a una diversa (nuova) formazione politica l'uso del nome "Democrazia Cristiana" e del simbolo dello scudo 127 V. Tribunale Roma, 26 aprile 1991 - Partito Democratico della Sinistra c. Partito Comunista Italiano, in Dir. informatica 1991, 868 e in Temi romana 1991; Tribunale Roma, 13 aprile 1995 - Alleanza naz. c. Movimento sociale it. e altro, in Rass. dir. civ. 1995, 928 . 153 crociato con la scritta "Libertas", in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo, del 2004.128 Come si può, quindi, rilevare, anche le associazioni non riconosciute sono titolari di tutela forte, con riguardo a quelli che costituiscono il nome e l'identità personale, seppur intervengano modifiche nelle sigle e nei simboli, atteso che anche quelli dismessi continuano a costituire elementi dell'identità personale, acquisita nel tempo, che non si dismette con il mutare della denominazione formale. § 3 – LESIONE ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ PERSONALE DELLE AGGREGAZIONI POLITICOSOCIALI La lesione dell'identità personale può avvenire mediante l'attribuzione di fatti denigratori o, comunque, di comportamenti e opinioni, che, seppur oggettivamente non offensivi, offrono un'immagine diversa da quella con la quale il partito, o movimento che sia, è riconosciuto dai consociati. A questo proposito è da chiedersi se, in relazione a quelli che sono i compiti del partito politico (o di movimenti comunque consimili), aduso a un dialogo spesse volte aspro e a dibattiti che di frequente si svolgono con toni sopra le righe ed atteggiamenti passionali, non si possa pretendere, a sua volta, un maggiore grado di tolleranza (e il discorso vale ovviamente anche per il personaggio politico attraverso cui il partito si esprime) alle critiche che 128 V. Tribunale Roma, 15 aprile 2004 - Giur. merito 2005, 114 . 154 possano derivare dalla stampa, atteso che il movimento politico liberamente espone se stesso e le proprie posizioni al vaglio dell'opinione pubblica . Ora, senza giungere ad affermare che i movimenti politici (e i loro esponenti) godano di una minore tutela dei diritti della personalità o che questi siano in qualche modo affievoliti (discorso forse pericoloso, poiché potrebbe condurre ad una attenuazione, di fatto, della tutela che si desume dagli articolo 2 e 49 della Costituzione), è da ritenere che una maggiore tolleranza, con riguardo alle opinioni espresse dalla stampa nei loro confronti, possa trovare giustificazione -sempre che non sia superato il limite della veridicità dei fatti e della congruità delle espressioni utilizzatecon la considerazione che i partiti, appunto, sono abituati a toni sopra le righe nel confronto politico e di opinione che si svolge non solo nelle aule del Parlamenta (e basta scorrere un qualsiasi resoconto parlamentare), ma anche fuori delle Camere (è sufficiente leggere le decisioni della Corte Costituzionale sui numerosi conflitti che vengono sollevati tra magistratura e camere, riguardo all'applicazione dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione). Pertanto, sebbene anche a tutela dei partiti politici trovino senza dubbio applicazione i requisiti della verità, interesse pubblico e continenza, necessari affinché l‟esercizio del diritto di manifestazione del pensiero da parte di altri soggetti (e degli organi di stampa) possa considerarsi legittimo (con conseguente giustificazione di una qualche menomazione di altre situazioni giuridiche rilevanti), deve tuttavia ritenersi che, considerata la peculiarità di queste associazioni e 155 del dibattito politico loro riferito, l‟elemento della “correttezza formale” delle espressioni utilizzate debba essere valutato, se non proprio con minor rigore, quantomeno in modo adeguato alle caratteristiche di tali tipologie di associazioni, che ritenga consentita, anche una qualche asprezza dei toni, non ammissibile riguardo ad altre aggregazioni sociali. Non è stata rintracciata giurisprudenza italiana specifica al riguardo; ma sul punto si è, invece, pronunciata, nel senso che sia da pretendere una siffatta tolleranza, la Corte europea dei diritti dell'uomo con la decisione 13 novembre 2003, emessa contro la Repubblica austriaca e di cui è stata riportata in nota la massima per esteso, nel capitolo relativo ai “Rapporti con gli altri diritti”. A tale proposito si ritiene utile riprodurre in nota la parte qui d'interesse.129 129 pubblicata in Legisl. pen. 2004, 357 e in Juris Data – Ed. Giuffrè: “La stampa riveste un ruolo fondamentale in una società democratica, poiché - sebbene debba osservare i limiti imposti dal rispetto della reputazione e dei diritti altrui - ha il dovere di fornire informazioni su tutte le materie di pubblico interesse. D'altro canto, è innegabile che la libertà di espressione costituisca un fondamento essenziale di ciascuna società democratica ed una condizione basilare per il suo progresso e la realizzazione di ciascun individuo. I limiti e le eccezioni posti a tale diritto, previsti dallo stesso art. 10 paragrafo 2 Cedu, devono essere definiti con precisione, mentre l'indispensabilità di restrizioni deve essere stabilita in modo efficace. Simili limiti alla libertà di espressione trovano applicazione anche con riferimento al dialogo politico ed al dibattito su questioni di pubblico interesse, sebbene ciascun personaggio politico poiché per scelta sottopone se stesso e le proprie posizioni 156 Chiaramente, invece, nessuna tolleranza può ammettersi, ove la lesione del diritto all'identità personale sia conseguente a gravi fatti di intimidazione oppure –e purtroppo non sono stati rari- a fatti delittuosi che, colpendo, ad esempio, le sedi dell'organismo, o, cosa ancor più grave, i dirigenti del movimento, abbiano un effetto in qualche modo destabilizzante, creando attorno al partito (oppure anche soltanto essendo idoneo a creare) una sorta di terra bruciata, così riducendogli la capacità di incidere nel tessuto sociale, con violazione oltre che dei diritti di cui al più volte citato articolo 2 della Costituzione, anche quello espressamente enunciato nel successivo articolo 49. Così esattamente, ad avviso di chi scrive, è stata riconosciuta la lesione alla identità personale del partito, in casi di omicidio di persone che rivestivano importanti incarichi nella compagine del partito (nella specie il PSI) o, addirittura, di vertice, in quanto il fatto di sangue, causato da motivazione politica, chiaramente mira a intaccare la formazione sociale nella sua essenza e nella sua struttura, provocando intuitivo sbandamento e turbamento all'interno della istituzione 130. al vaglio dell'opinione pubblica - sia tenuto ad un maggiore grado di tolleranza alle critiche.” 130 V. Cassazione penale , sez. I, 28 gennaio 1993 Del Savio Mass. pen. cass. 1994, fasc. 3, 2; Corte assise Roma, 26 aprile 1982 Triaca e altro, in Difesa pen. 1983, 89; Corte assise Roma, 26 aprile 1982, ma, in senso contrario, Corte assise Genova, 02 febbraio 1983, entrambe in Foro it. 1983, II,129, salvo che fosse stata dedotta la lesione alla sua personalità, sotto il profilo della 157 Come per i partiti politici, analogamente, per le associazioni sindacali di categoria non si pongono particolari problemi circa la sussistenza nei loro confronti dei diritti della personalità (e, quindi, tra questi, il diritto all'immagine e all'identità personale) 131 . In applicazione sempre dell'articolo 2 della Costituzione, è da riconoscere la sussistenza dei diritti della personalità oltre che alle associazioni che sono destinate a durare nel tempo, anche ai comitati che sorgono spontanei per l'esercizio di una facoltà politica (così, ad esempio, ai comitati referendari, elettorali, promotori di proposte di legge e così via), o, comunque, aventi rilevanza sociale o finalizzati alla compromissione dell'interesse come organizzazione portatrice di interessi collettivi specifici, Corte assise Genova, 02 febbraio 1983, Lo Bianco e altro, in Difesa pen. 1983, 89. Soltanto per curiosità storica, va ricordato che, nel lontano 1977, venne attribuita, ai fini della tutela del diritto all'identità personale, natura di partito politico, nel senso della definizione data dall'art. 49 cost., il quale stabilisce che “tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, anche a "Lotta continua", così riconoscendogli la lesione all'identità personale in un caso di emarginazione, nell'ambito lavorativo, di lavoratore, che veniva riferita all'appartenenza di questi al movimento in questione: V. Pretura Treviso, 02 maggio 1977, in Giur. merito 1979, 164. 131 V. Tribunale Milano, 23 gennaio 2006, Cobas c. Soc. Fiat GM Power Train Italia, in Bollettino trib. 2006, 2 425, con nota di Vescovini 158 tutela di valori che l'Ordinamento riconosce meritevoli di considerazione 132. Il nostro ordinamento riconosce i diritti della personalità anche (ed è ovvio) agli Stati esteri, i quali sono appunto portatori di valori, che possono ricevere lesione, ad esempio, dalla pubblicazione di notizie che possono in qualche modo denigrarne l'immagine. In applicazione di tale principio133, venne riconosciuta la lesione del diritto all'immagine dell'IRAN, con inibizione alla Racing Pictures produttrice (nonché alla Titanus Produzione S.p.A., società distributrice del film) di far circolare nel territorio italiano copie del film "Dolce e selvaggio", contenenti una sequenza particolarmente violenta e raccapricciante, di un uomo (indicato dal commento parlato come militare iracheno) legato per le braccia a due autocarri, condotti da due persone, indicate come soldati iraniani (regolari o irregolari che fossero), che, dirigendosi in direzioni opposte, ne provocavano lo squartamento. La lesione all'immagine venne riconosciuta con la considerazione che, seppur il filmato veniva presentato al pubblico come documentario, nessuna delle scene costituenti la sequenza in questione conteneva elementi idonei a rendere verosimile l'attribuzione dei fatti rappresentati all'esercito regolare iraniano, né la società 132 V., ad esempio, per un caso sollevato da un comitato referendario, finalizzato ad una parziale abrogazione della legge n. 194 del 1978, Pretura Roma, 11 maggio 1981, in Temi romana 1981, 94, e in Foro it. 1981, I,1738. 133 V. Cassazione civile , sez. I, 05 dicembre 1992, n. 12951 159 cinematografica aveva documentato che che si fosse verificato un fatto del genere rappresentato. Per quanto riguarda il risarcimento del danno non patrimoniale subito da quello Stato, la Corte, richiamando anche un proprio precedente (10 luglio 1991 n. 7642) ha rilevato che non poteva condividersi l'equazione fra danno non patrimoniale e danno morale (c.d. "pecunia doloris"), in questo caso chiaramente non riscontrabile, con la considerazione che il danno non patrimoniale comprende qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di mercato, seppur non possa ritenersi oggetto di risarcimento in senso stretto, è comunque suscettibile di riparazione (pecuniaria), riguardando aspetti quale la tutela dell'onore, della reputazione, dell'identità personale, che possono subire un pregiudizio non patrimoniale dalla correlativa aggressione, ed ottenerne la riparazione anche attraverso l'attribuzione di una somma di denaro, secondo un giudizio per sua natura equitativo, affidato all'apprezzamento del giudice del merito (v. comunque il paragrafo che segue). § 4 DANNI COLLETTIVI. RISARCIBILI AGLI ENTI Si è già detto che per quanto riguarda il danno patrimoniale, chiaramente non si pongono specifici problemi per l'ente collettivo. Ora, il risarcimento del danno non patrimoniale deriva dalla considerazione che questo si riferisce a 160 lesione di diritti, che rappresentano l'equivalente, in relazione alla persona giuridica o all'ente collettivo, dei diritti della persona fisica aventi fondamento diretto nella Costituzione e precisamente nell'articolo 2. Per tali diritti la risarcibilità del danno non patrimoniale è ritenuta come conseguenza diretta della loro valenza come diritti inviolabili dell'uomo, cioè della persona fisica, anche nelle formazioni sociali, di cui, appunto, anche gli enti collettivi costituiscono una esplicitazione, a prescindere del fatto che si tratti di ente dotato della personalità giuridica o oppure di una meno formale soggettività. Sarebbe, invero, contraddittorio riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale per lesione di un diritto fondamentale al soggetto persona fisica quando agisce direttamente come tale e non riconoscerla alla "formazione sociale", la quale è pur sempre espressione della persona ed è testualmente, come tale, indicata nelle norma costituzionale, che in tal modo ne afferma il diritto all'esistenza con una sua specifica dimensione nell'ambito della comunità sociale. Va, peraltro, rilevato, sul punto, che, con riguardo alla lesione del diritto all'immagine, per primo si è fatto strada in favore dell'ente collettivo il danno patrimoniale, atteso che quello non patrimoniale equiparato a quello “morale”, come pretium doloris, non soltanto era limitato alle ipotesi di reato, ma non era ovviamente percepibile nei riguardi dell'ente collettivo; ma, di pari passo al riconoscimento del danno non patrimoniale in favore della persona fisica, (a prescindere della sussistenza o non di un reato o di una espressa previsione normativa) si è riconosciuto 161 col tempo , detto danno anche in favore degli enti, mediante un allargamento delle ipotesi di danno non patrimoniale 134, ovviamente con gli adattamenti del caso. Ma ancora nel 1992135 non sempre veniva riconosciuto il danno non patrimoniale in se e per se, soprattutto per l'equiparazione, che ha stentato ad essere ripudiata, tra danno non patrimoniale e danno morale, per come sarà evidenziato nel capitolo 9. Infatti, pur ammettendosi che la tutela dell'interesse diffuso all'ambiente fa capo all'ente territoriale, preposto al controllo ed alla gestione nel settore ecologico, si affermava che l'azione di risarcimento del danno non patrimoniale poteva essere promossa soltanto quando sussistesse un pregiudizio concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il profilo dell'alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. In altre parole, la lesione dell'immagine dell'ente territoriale, come lesione del prestigio derivante dall'affidamento di compiti di controllo o gestione, costituiva danno non risarcibile autonomamente, bensì soltanto se collegato a un danno ambientale, accertato in concreto. A ogni modo può dirsi ormai ius receptum che nei confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non 134 V. oltre, nonché, tra le tante decisioni, della Suprema Corte di Cassazione, 26 giugno 2007, n. 14766 16 aprile 2003, n. 6022 - 8 maggio 2002, n. 6591 - Cass. 3 marzo 2000, n. 2367. 135 V. Cassazione penale , sez. III, con sentenza 19 marzo 1992, in Riv. pen. 1993, 607. 162 patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione. Tra tali diritti rientra l'immagine della persona giuridica, privata o pubblica che sia (secondo la nozione complessa già in precedenza illustrata), con il diritto all'identità personale. Ammessa, pertanto, la risarcibilità del danno non patrimoniale, si pongono le problematiche relative alle tipologie di danno non patrimoniale risarcibile. Invero, ai fini della risarcibilità non viene ritenuta sufficiente la lesione di un diritto costituzionalmente garantito, bensì è necessaria anche l‟individuazione delle conseguenze pregiudizievoli causalmente collegate all‟evento dannoso. In proposito, la giurisprudenza ha, in numerose occasioni, ribadito che il danno non patrimoniale risarcibile è da ritenersi “danno conseguenza”, e non “danno evento”, nel senso che non basta la lesione per ottenere automaticamente un risarcimento, ma occorre, comunque, una individuazione e prospettazione dello stesso, eventualmente facendoo ricorso a presunzioni, mentre, in ordine alla sua quantificazione in termini monetari, ben può farsi ricorso a criteri equitativi, per come consentito dall'articolo 1226 c.c. In primo luogo, danno non patrimoniale è quello conseguente alla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente da parte della comunità interna o internazionale oppure anche nell'ambito di settori o categorie di essi con le quali la 163 persona giuridica o l'ente di norma interagisca. La diminuzione della considerazione che attraverso i suoi organi è riferibile all'ente, concretandosi in una incidenza negativa sull'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente collettivo, rappresenta un danno non patrimoniale che non si identifica nella lesione dell'immagine in se, ma ne rappresenta un effetto. In tal senso si esprime nel 2007 la giurisprudenza della Suprema Corte 136. Nella specie era stata accertata in danno della società una indebita segnalazione da parte di istituto bancario della società alla Centrale rischi della Banca d'Italia quale soggetto in posizione di c.d. sofferenza. Per tale fatto venne riconosciuto il danno non patrimoniale per lesione del diritto all'immagine. La tutela che può derivare da danno all'immagine può spaziare anche al di là della inibitoria o del risarcimento (o riparazione della lesione), potendo toccare anche il campo del rapporto di lavoro. Precisamente la lesione dell'immagine della società datore di lavoro è stata ritenuta dalla Suprema Corte giusta causa di licenziamento. Nella fattispecie, un assistente di volo dell'Alitalia era stato trovato, al ritorno da un volo internazionale, in possesso di modica quantità di stupefacente; l'azienda aveva licenziato il dipendente, ma i giudici di merito avevano ritenuto non sussistere una giusta causa di risoluzione del rapporto. 136 V. Cassazione civile , sez. III, 04 giugno 2007, n. 12929 - Soc. Icg Ingegneria Costr. Gen. e altro c. Deutsche Bank, in Giust. civ. Mass. 2007, 6. 164 La Suprema Corte cassò la sentenza di appello137, ritenendo che – a parte la omessa valutazione della compromissione dell'elemento fiduciario, idonea a impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro, attesa la delicatezza delle funzioni affidate al soggetto durante il servizio a bordo, i profili di grave pericolo per la incolumità dei passeggeri e l'assoluto divieto di uso di droga previsto per gli operatori di bordo dal manuale operativo del settore – non era stato considerato il discredito creato nell'utenza dalla scarsa sicurezza di un servizio prestato da chi usava e portava con se droga nei voli e l'immanente lesività dell'immagine imprenditoriale della società. La tutela dell'immagine, quindi, può dar luogo, a parte le azioni inibitorie e risarcitorie, anche alla risoluzione del rapporto di lavoro, il che appare un profilo interessante soprattutto nel caso di lesione dell'immagine di una p. a. Per quanto riguarda il danno morale (e quello biologico), in linea di principio se ne deve escludere la ipotizzabilità, non potendo la società soffrire di patemi d'animo e di altre forme di sofferenza, che sono di per sé riferibili soltanto alla persona fisica. E' da dire, peraltro, che riguardo al danno da lungaggini processuali, la giurisprudenza, in relazione a quanto espressamente previsto dall'articolo 2 della legge n. 89 del 24 marzo 2001 (c. d. legge Pinto), ha dovuto confrontarsi (e, in qualche modo, conformarsi) con gli orientamenti che erano stati espressi, sul punto, dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 137 V. sez. lav., 27 marzo 1998, n. 3270 - Soc. Alitalia c. Andreucci, in Giust. civ. 1998, I,2206. 165 Con specifico riguardo alla materia di cui trattasi, pertanto, oltre che riconoscere la lesione del diritto all'immagine degli enti collettivi, in coerenza, peraltro, con quanto già affermato in precedenza in generale138, qualora queste abbiano inciso su quell'insieme di aspetti dei diritti della personalità (e quindi anche dell'immagine), pregiudicandoli per effetto del perdurare della situazione d'incertezza connessa alla pendenza della causa, ha ritenuto di dover riconoscere anche a favore della società il danno morale, con riferimento a quello patito (personalmente) dai rappresentanti dell'ente collettivo, o, in generale, da coloro che agiscono nell'interesse del soggetto collettivo, e considerando, quindi, i disagi e i turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui - persone fisiche. In conseguenza, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno in re ipsa, ovvero di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, ad avviso della giurisprudenza, il giudice deve ritenere tale danno esistente, salvo che non risulti il concorso, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che un simile danno sia stato 138 12110. V. Cassazione civile , sez. I, 02 luglio 2004, n. 166 subito dalla parte ricorrente139. Sinora non risulta in giurisprudenza una estensione, ad altre ipotesi di lesione dell'immagine, dei principi affermati con riguardo alla lesione dell'identità personale a causa delle lungaggini processuali; ma non può escludersi che ciò avvenga. Ad avviso di chi scrive, è stata eccessiva l'accondiscendenza della Suprema Corte ai principi affermati dal CEDU, forse al fine di evitare l'ennesima bacchettata da parte della Corte internazionale. In effetti appare poco plausibile e scarsamente percepibile in capo all'ente collettivo un danno morale (e accanto a questo un danno biologico): se il danno c'è stato non può che essere in capo alla persona fisica preposta o dipendente dell'ente e non alla figura dell'ente. Attribuire, quindi, il ristoro di un danno morale in favore dell'ente collettivo appare una soluzione idonea ad ingenerare una certa confusione e sovrapposizione tra pregiudizio dell'ente e pregiudizio subito dalle persone fisiche operanti all‟interno di un ente ed a favorire intenti di speculazione. Semmai è da ammettere il diverso danno (in questo caso patrimoniale) che possa essere derivato all'ente dalle minori prestazioni del soggetto fisico, legato all'ente stesso da rapporto di servizio, che, in 139 V. S.U. 26 gennaio 2004 n. 1339; V. Cassazione civile , sez. I, 05 aprile 2007, n. 8604 L. &Ra. leasing e rappresentanze s.n.c. c. Min. Giustizia, in Giust. civ. 2007, 7-8 1589, orientamento che costituisce superamento d quello che era stato affermato da Cassazione civile , sez. I, 30 settembre 2004, n. 19647 - Soc. Afim c. Min. giust., in Giust. civ. 2005, 1 I, 59. 167 conseguenza della lesione all'immagine o all'identità personale, abbia a su volta subito un danno alla persona, quando tale danno sia causa della minore prestazione in favore dell'ente. Ammettere, invece, tout court l'ente collettivo al risarcimento, in suo favore, del danno subito dal rappresentante o dal dipendente appare, invece, fuorviante potendo, tra l'altro, costituire fonte di abusi, alla fine dei quali danneggiata e beffata potrebbe restare la persona fisica, effettivamente lesa. § 4 DIRITTO ALL'IMMAGINE DELLA PERSONA GIURIDICA PUBBLICA Nel primo paragrafo del presente capitolo si è parlato, in generale, del diritto all'immagine degli enti diversi dalla persona fisica e si è precisato che anche per questi organismi, che ricomprendono non soltanto le entità munite di personalità giuridica, ma anche organizzazioni che ne sono prive, il diritto all'immagine (con l'identità personale) costituisce un diritto fondamentale che trova il primo riscontro (e tutela), per quanto riguarda il nostro Ordinamento nell'articolo 2 della Costituzione, ma anche in altri articoli, come ad esempio nell'articolo 49, per i partiti politici, e nell'articolo 39, per le organizzazioni sindacali, in quanto tali organismi comunque costituiscono manifestazioni dell'autonomia aggregativa della persona fisica in quella disposizione prevista e presa in considerazione. Ora, in ordine alle persone giuridiche pubbliche, è da dire, innanzi tutto, che per definire il concetto di “immagine” della p. a., è necessario avere come punto 168 di riferimento l'articolo 97, comma 1 della Costituzione, il quale sancisce che l'agire amministrativo deve essere improntato ad imparzialità e finalizzato a garantire il buon andamento. Pertanto, sono proprio questi gli elementi caratterizzanti l'immagine di un ente pubblico. La lesione dell'immagine di un ente pubblico può derivare dal comportamento di un terzo estraneo, soggetto fisico o collettivo: in questo caso, valgono i principi già affermati dalla dottrina e dalla giurisprudenza ordinaria riguardo ai rapporti tra privati. Ma non è dubbio che l'ipotesi più frequente è quella del comportamento illecito di un soggetto fisico, interno alla stessa (funzionario, dirigente, amministratore e così via) dal quale sia derivato discredito, minore credibilità e diminuzione del prestigio della p.a., con una correlata diminuzione in capo al cittadino della fiducia nel buon funzionamento della istituzione pubblica. In questo caso, l'elaborazione dei principi in materia di lesione all'immagine e di danno risarcibile ha seguito, dal punto di vista giurisprudenziale, un percorso diverso, atteso che (per come si vedrà più ampiamente in prosieguo a proposito della competenza, in cui si tratterà anche della giurisdizione) la cognizione della vertenza spetta alla Corte dei conti, come giudice della responsabilità amministrativa (e civile) delle persone fisiche aventi rapporto di servizio con la p. a.. E infatti, mancando la funzione nomofilattica della 169 Corte di cassazione140, si è giunti a una definizione dei principi in materia soltanto dopo un lungo percorso, attraverso una giurisprudenza in qualche modo ondivaga delle diverse Sezioni regionali della Corte dei conti, e soltanto a seguito del deferimento -ai sensi dell'art. 1 comma 7 d.l. n. 453/93, convertito, con modificazioni, nella legge n. 19/94alle Sezioni Riunite della stessa Corte di una serie di problematiche, costituenti, appunto, questioni di massima141, originate da alcune vicende, purtroppo tutt'altro che rare, riguardanti diversi casi di concussione con incasso di tangenti, a danno di soggetti privati, posti in essere da ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza nel corso delle consuete ispezioni fiscali. Con riguardo al danno all'immagine degli enti pubblici, alla sua tipologia e ai soggetti interessati, in relazione alla giurisprudenza contabile e della Suprema Corte di Cassazione, si possono, pertanto, riassumere, come consolidati, i seguenti principi: -a) Attribuzione della giurisdizione, in via esclusiva, della Corte dei conti142, attesa l'autonomia 140 Com'è noto, le decisioni della Corte dei conti, come quelle del giudice amministrativo, sono soggette al ricorso per cassazione soltanto per motivi attinenti alla giurisdizione: v. articolo 111, comma 3, della Costituzione. 141 V. sentenza 23 aprile 2003, n. 10, per esteso, in Iuris Data – Ed. Giuffrè. 142 V. Cassazione civile , sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4112, in Giust. civ. Mass. 2007, 2; Corte Conti , sez. II, 01 luglio 2005, n. 223, in Foro amm. CDS 2005, 7/8 2373; Corte Conti , sez. I, 02 aprile 2007, n. 80, in Diritto & Giustizia 2007; Corte Conti , sez. II, 20 marzo 2006, n. 170 nei rapporti tra azione civile e azione penale (v. articolo 75 Codice di procedura penale del 1988) e soprattutto dopo l'adozione delle leggi n. 142 del 1990, nn. 19 e 20 del 1994 e n. 639 del 1996, da ritenersi estesa a qualunque danno, anche se conseguente alla commissione di reati, cagionato alle pp. aa. da dipendenti, amministratori, contabili o, comunque, da soggetti legati da un rapporto d'impiego o di servizio. Sul punto è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere anche in una concessione amministrativa (ad esempio di esercizio di un pubblico servizio o di costruzione di un'opera pubblica) o in un contratto privato. La giurisdizione della Corte dei conti si estende poi anche ai danni conseguenti ad illeciti ascrivibili ad amministratori di enti pubblici economici e società pubbliche, come ad esempio le società di capitali costituite e possedute da enti pubblici, Da ciò consegue che anche la tutela dell'immagine, a carico di soggetti che rivestono una delle figure su indicate, spetta alla cognizione della Corte dei conti, seppur trattasi di danno, per natura, aquiliano, ai sensi dell'articolo 2043 (o dell'articolo 2059) del Codice civile. A tale proposito deve essere ritenuta superata la vecchia giurisprudenza contabile, secondo la quale la cognizione della Corte dei conti era limitata alla 125, in Foro amm. CDS 2006, 3 1042; Corte Conti , sez. II, 23 maggio 2005, n. 182, in Riv. corte conti 2005, 3 83 171 responsabilità amministrativa, di natura latu sensu contrattuale e patrimoniale, in quanto collegata rigorosamente alle funzioni espletate in sede di rapporto di servizio e al danno materialmente arrecato alle ragioni dell'Erario. -b) Rielaborazione della nozione di responsabilità amministrativa. Dall'intervenuta evoluzione del quadro normativo di riferimento è derivata una configurazione della responsabilità amministrativa nella quale trova collocazione anche la tutela di interessi ulteriori rispetto a quelli della semplice integrità patrimoniale, ma allo stesso modo fondamentali in una società moderna, tesa all'efficienza dei propri apparati pubblici, ed espressi dai principi costituzionali dell'art. 97, 1° e 2° comma, recepiti anche nella nuova disciplina dell'azione amministrativo (legge n. 241 del 1990), passando, quindi, ad una configurazione della responsabilità amministrativa nella quale alla tradizionale funzione restauratrice del patrimonio pubblico, si accompagna la tutela di altri sostanziali interessi della collettività che sono di generale rilevanza. -c) Individuazione del fondamento giuridico della responsabilità. Il fondamento in questione viene individuato dalla giurisprudenza della Corte dei conti nella generale previsione dell'art. 82 del r.d. n. 2440 del 1923, dell'art. 52 del r.d. n. 1214 del 1934, dell'art. 18 del d.p.r. n. 3 del 1957 e delle norme ad esse successive, che sanzionano l'obbligo di rispondere del danno cagionato alle pubbliche amministrazioni nell'esercizio delle loro funzioni, senza indicazione del limite in quello patrimoniale. Secondo la giurisprudenza del Giudice contabile, tali norme, in 172 relazione ai principi di cui agli articoli 2 e 97 della Costituzione, attribuendo protezione e tutela ad altri determinati interessi di carattere generale, seppur non di carattere patrimoniale, conferiscono a questi natura di bene giuridico, riferendolo al contempo alle amministrazioni stesse. -d) Accertamento incidentale di fatto costituente reato. Per quanto riguarda l'accertamento del fatto illecito (penale) da parte del Giudice contabile e il rapporto, comunque, tra decisioni emesse in sede penale e giudizio di competenza della Corte dei conti, al fine di giudicare sul danno da lesione dell'immagine della p.a., valgono le considerazioni fatte dalla Suprema Corte di Cassazione con riguardo alla possibilità di accertamento del reato –al limitato fine di condannare al ristoro del danno- da parte del Giudice ordinario sia in caso di patteggiamento sia in caso di estinzione del reato stesso, sia indipendentemente da qualsiasi pronuncia penale143. -d) Profilo ontologico del danno all'immagine. Ad avviso di chi scrive, il riferimento alle norme contabili, per come rivisitate dalla stessa Corte dei conti, e ai principi costituzionali, non richiederebbe una particolare disamina di altri aspetti, per riconoscere la risarcibilità (o riparabilità) del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione all'immagine. Soltanto per completezza espositiva, deve darsi atto che le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno anche proceduto ad una rielaborazione delle categorie 143 V. Sentenze della Cassazione n. 13425 del 9.10.2000, in Giust. civ. mass. 2000,2114 – n. 2367 del 3.3.2000, in Giust. civ. mass. 2000, 518 173 di danno, avuto riguardo alla disposizione contenuta nell'articolo 2059, che pone dei limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale. Invero, secondo la dottrina tradizionale144, tutta una vasta area di danni, sicuramente percepibili, ma di natura non patrimoniale, risultavano esclusi dalla risarcibilità, ciò che aveva portato finanche a dubitare della costituzionalità dell'articolo 2059 in questione, con la considerazione che se il danno morale, che, secondo l'interpretazione tradizionale esaurisce la portata della norma in questione, è risarcibile solo se conseguente a reato, esso, non esaurisce la gamma dei danni non patrimoniali, che investono tutta una serie di valori, la cui lesione dà luogo ad ulteriori forme di pregiudizio alla sfera giuridica anche delle pp. aa., sicuramente avvertiti e, quindi, rilevanti, seppur non traducibili immediatamente in una perdita di carattere patrimoniale. La irrisarcibilità di tutti i danni non patrimoniali era derivata, in effetti, da una (affrettata e poco sensibile) equiparazione tra “danno non patrimoniale” e “danno morale”, finalmente disconosciuta dalla Suprema Corte145, che ne aveva definito la differenza, rilevando che il "danno non patrimoniale” comprende ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che non si presta per sua natura ad una diretta valutazione monetaria di mercato, mentre il “danno morale” consiste nella cosiddetta nella sofferenza psichica del soggetto, di per se di natura transeunte, rispetto alla 144 E per come si illustrerà più ampiamente nell'ultima parte di questo lavoro. 145 V. Cass. civ., 3 marzo 2000, n. 2367, citata 174 quale il ristoro è detto, con significativa espressione, "pecunia doloris". La Corte costituzionale, a sua volta, con più pronunce nell'arco di dieci anni146, seppur aveva confermato la legittimità costituzionale dell'art. 2059 (e dell'articolo 2043, quando ne veniva in discussione la legittimità costituzionale) del Codice civile, in relazione ai trattamenti differenziati, riguardo alle diverse conseguenze tra fatto costituente reato e fatto dannoso integrante esclusivamente illecito civile, aveva puntualizzato che la discrezionalità del legislatore ordinario nel fissare la tutela era recessiva rispetto a "situazioni soggettive costituzionalmente garantite". Di conseguenza la Corte aveva chiarito che solo la possibilità di tutelare aliunde le altre fattispecie faceva ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 (o dell'articolo 2043) del Codice civile, - in riferimento agli artt. 2, 3, comma primo, 24, comma primo, e 32, comma primo, Cost. in quanto, con una interpretazione delle due norme “costituzionalmente orientata”, non risultava limitata la risarcibilità del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di un diritto costituzionale tutelato, ai casi costituenti reato. E seppur, nella specie, il Giudice delle leggi si era riferito alla risarcibilità delle posizioni collegate al principio costituzionale del diritto alla salute, di cui all'art. 32 Costituzione, l'argomentazione si prestava – ha osservato la Corte dei conti nella citata sentenza a ricomprendere, nella gamma dei pregiudizi risarcibili, 146 sentenze n. 184 del 1986 e n. 37 del 1994 ed ordinanza n. 293 del 1996. 175 anche quelli non patrimoniali, che ostacolano attività realizzatrici della persona umana, derivanti dalla lesione di altri valori costituzionali, appunto i diritti della personalità. A tal fine, la Corte dei Conti, accanto al danno patrimoniale e a quello non patrimoniale (come danno morale ex art. 2059 c.c.), ha compiuto una rielaborazione della categoria del danno biologico (risarcibile anche se non collegato a reato), come tertium genus di danno, da porre accanto alle categorie del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, definendo tale tertium genus quale danno esistenziale, in cui quello biologico costituisce solo una delle varie ipotesi. A questo proposito va rilevato che la 147 giurisprudenza , a sua volta, seppur traendo spunto da una fattispecie in materia di usura psico-fisica derivante da lavoro, si è fatta carico di rispondere alla preoccupazione di parte della dottrina, secondo cui ammettere, accanto al danno morale, la autonoma risarcibilità anche di quello esistenziale, determinasse necessariamente una (quanto meno parziale) duplicazione risarcitoria, liquidando due volte la pecunia doloris per le medesime privazioni. E, al fine, di evidenziare la differenza sostanziale tra danno morale e danno esistenziale aveva osservato che con tale nozione (di danno esistenziale) occorreva riferirsi alla lesione di posizioni costituzionalmente garantite, anche diverse dall'art. 32, concernente il tema di tutela di altri valori, e tra questi, quello del 147 V. Cassazione Sezione lavoro, 03 luglio 2001, n. 9009, in Iuris Data – Ed Giuffrè. 176 buon andamento dell'amministrazione pubblica (e così si arriva a un concetto complesso di tutela dell'immagine della p.a.), posizioni che, risultando ugualmente dotate di adeguata copertura costituzionale, devono essere anch'esse risarcite (o riparate, che dir si voglia), ove lese. La Corte dei conti ha, quindi, enucleato, in generale, tre categorie: danno patrimoniale - danno morale – danno esistenziale, laddove la giurisprudenza ordinaria semmai individuava nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale tre sottocategorie: il danno morale, il danno biologico e, appunto, il danno esistenziale, che si distingue da quello biologico, poiché non attiene all'integrità psicofisica, e da quello morale, in quanto non attiene alla sfera interiore dell'individuo, mentre riguarda la sfera del fare areddituale del soggetto (cioè la sfera dello svago e della vita di relazione con gli altri, insomma delle attività realizzatrici della persona umana, della serenità familiare e così via), la cui compromissione, effettivamente e oggettivamente percepibile, va a costituire pregiudizio risarcibile, in quanto trattasi della sfera di attività riferibili ai valori fondamentali della persona, solennemente garantiti dall'articolo 2 della Costituzione. È da dire, peraltro, che proprio di recente la Suprema Corte di cassazione a Sezioni Unite148 , affermando solennemente che la risarcibilità del danno non patrimoniale è ammessa, oltre che nelle ipotesi 148 Sentenza 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it. 2009, I, 121 e segg.: Si tornerà sulla decisione nell'ultima parte di questo lavoro. 177 previste da una norma di legge, anche nei casi in cui il fatto illecito leda diritti inviolabili della persona, costituzionalmente protetti, ha negato dignità di categoria (il tertium genus individuato dalla Corte dei conti nel danno esistenziale), osservando che dalle norme codicistiche (articoli 2043 e 2059) si desumono soltanto le due categorie, rispettivamente, del “danno patrimoniale” e del “danno non patrimoniale”, la seconda delle quali espressamente indicata nell'articolo 2059, il quale testualmente stabilisce che la risarcibilità del danno non patrimoniale -con tale termine comprendendo tutti i tipi di danno non aventi immediata valenza economica- è ammessa “solo nei casi determinati dalla legge”, ricomprendendo nella legge oltre che l'articolo 185 c.p., anche le singole leggi che prevedano espressamente la risarcibilità di tale tipo di danno (così le leggi ordinarie n. 117/1988 e la n. 89/2001, nonché le disposizioni costituzionali, in primis l'articolo 2, che riconoscono determinati valori fondamentali, quali i diritti della personalità e ne prevedano la tutela in caso di lesione. Per la risarcibilità di tale danno occorrono, comunque, anche i presupposti indicati nell'articolo 2043 (dolo o colpa e ingiustizia del danno stesso, in quanto iniuria datum)Si è detto che manca per i giudizi contabili la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, per cui non è escluso che si verifichi, in materia di danno non patrimoniale una discrasia tra giurisprudenza contabile149 e giurisprudenza ordinaria. 149 E il discorso vale anche per la giustizia amministrativa, la quale si può ben trovare, nell'ambito 178 Per tale ragione, atteso che il danno non patrimoniale delle persone giuridiche pubbliche, provocato da individui con rapporto di servizio con l'ente, è individuato e definito in via esclusiva dal Giudice contabile, si ritiene utile, in questa sede, accennare alla ricostruzione che ne hanno fatto le Sezioni Riunite con la citata sentenza del 2003. La Corte è partita dalla premessa secondo cui il danno esistenziale si differenzia dalle categorie tradizionali di danno in quanto, rispetto al danno biologico, sussiste indipendentemente da una lesione fisica o psichica, rispetto al morale, poiché non consiste in una sofferenza meramente soggettiva (la quale può rappresentare una ulteriore conseguenza, ma non si identifica con esso), bensì consiste in un deterioramento oggettivo e non soltanto interiore dell'attività di relazione concreta, giungendo alla conclusione che esso è da configurare quale pregiudizio areddituale, che prescinde dal reddito del danneggiato. Per tale ragione, tale danno è “non patrimoniale” e costituisce un tertium genus, tendenzialmente omnicomprensivo di tutti i pregiudizi derivanti dalla lesione di valori costituzionalmente potetti e consistenti nella impossibilità (o nella maggiore difficoltà) di svolgere attività realizzatrici della persona, seppur non aventi diretta valenza economica. All'interno di questa terza categoria, il Giudice contabile individua le sottocategorie del danno della sua giurisdizione, anche di legittimità, a decidere questioni di danno anche non patrimoniale, in base alle riforme introdotte con la legge n. 205 del 2000. 179 biologico di natura psichicofisica (come delineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 372/94), di norma non riscontrabile con riguardo ad enti diversi dalla persona fisica150, ed altre ipotesi risarcitorie diverse dalla tutela del diritto alla salute di cui si detto prima, ma comunque derivanti da posizioni costituzionalmente garantite. In altre parole, il danno all'immagine della persona giuridica pubblica viene fatto rientrare -dalla Corte dei conti- a pieno titolo, nel contesto fin qui delineato del danno esistenziale, come tutela della propria identità personale, del proprio buon nome, della propria reputazione e credibilità in sé considerate, valori che vengono individuati, per come si è detto, nella generale previsione dell'art. 2 della Costituzione, relativa alla tutela delle formazioni sociali, e nelle disposizioni contenute nell'art. 97, primo e secondo comma, secondo i parametri di trasparenza, economicità e produttività, ai quali l'ente pubblico deve conformare il proprio operato, che hanno trovato una ulteriore esplicazione nella legge n. 241 del 1990. La Corte fa riferimento anche ai valori indicati nel secondo comma dell'articolo 97 Cost., laddove si fa riferimento alle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari. 150 Sul punto, peraltro, si richiama quanto rilevato all'inizio di questo capitolo, in ordine al riconoscimento di tale tipologia di danno, anche agli enti collettivi, da parte della Suprema Corte di Cassazione, con riguardo al danno all'identità personale conseguente alle lungaggini processuali, per adeguare la giurisprudenza interna a talune pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo. 180 E' considerato evidente, nell'ambito del rispetto dell'immagine ed identità personale, l'interesse costituzionalmente garantito a che le competenze individuate vengano rispettate, le funzioni assegnate vengano esercitate, le responsabilità proprie dei funzionari vengano attivate e che l'ente goda del prestigio che le compete. Ogni azione del pubblico, dipendente di un ente pubblico o amministratore (gestore) che leda tali interessi si traduce in un'alterazione dell'identità della pubblica amministrazione e anche nella manifestazione di una sua immagine negativa (si potrebbe dire, pubblicità negativa), mettendo in evidenza una struttura pubblica organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile né responsabilizzata, a parte i casi più gravi di peculato, corruzione e concussione, che evidenziano un grave abuso ad uso personale nell'esercizio di un pubblico servizio o di una pubblica funzione. Il diritto di realizzarsi e di operare in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente nei confronti dei propri dipendenti e dei propri amministrati è così un diritto costituzionalmente garantito dall'art. 97 a tutte le pp. aa. ed enti equiparati, che, seppur in forma privatistica gestiscono pubbliche risorse e pubblici servizi. In tali ipotesi il danno non potrà che consistere nella mancata realizzazione della specifica finalità perseguita dalla norma di tutela e quindi coincidere con la violazione della stessa. La violazione del diritto all'immagine, intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona 181 giuridica pubblica, seppur non direttamente patrimoniale, è, comunque, economicamente valutabile (in genere in termini equitativi, in quanto riparativi più che ricostitutivi di un patrimonio), per non dire che spesso la violazione all'immagine si risolve in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, dando luogo ad una carente utilizzazione delle risorse pubbliche ed a costi aggiuntivi per correggere gli effetti distorsivi che sull'organizzazione della pubblica amministrazione si riflettono in termini di minor credibilità e prestigio e di diminuzione di potenzialità operativa. A questo proposito, è da condividere una pronuncia del giudice contabile151, che ha ritenuto priva di pregio l'allegazione di un sindaco, il quale aveva contestato la sussistenza di un danno all'immagine da un suo illecito comportamento, evidenziando a riprova che, in sede locale, non vi era stata alcuna percezione negativa dei fatti in questione, tant'è che era stato nuovamente eletto nella carica di sindaco, malgrado i fatti che gli erano stati addebitati. La Corte, al contrario, ha osservato che l'avvenuta rielezione del responsabile nella carica di sindaco non implicava nessun giudizio, positivo o negativo, sull'efficienza ed imparzialità della pubblica amministrazione, ma è determinato dalle valutazioni politiche dei cittadini sui candidati e sul loro 151 V. Corte Conti sez. II 20 marzo 2007 n. 64 (appello), in Juris Data ed. Giuffrè: il sindaco poi rieletto aveva offerto a parenti ed amici numerose cene, caricandole all'ente locale quali spese di rappresentanza. 182 programma e quindi non escludeva la sussistenza del danno all'immagine. Concludendo, quindi, si può dire ormai definitivamente accolto il riconoscimento della lesione del diritto all'immagine con conseguente tutela inibitoria e risarcitoria. Appare poi più pertinente, con riguardo al danno non patrimoniale parlare più che di tutela “risarcitoria” (che fa pensare a una funzione di ripristino del patrimonio) a una tutela “riparatoria”, che meglio si riferisce al pregiudizio, che seppur non reca un danno patrimoniale da recuperare, è sicuramente avvertito nella coscienza sociale, quanto meno in termini di disdoro per la cosa pubblica. Ad esempio, si pensi al disdoro che è derivato per lo Stato italiano, soprattutto nella considerazione internazionale, dalle lungaggini processuali o da inammissibili ritardi nel deposito delle sentenze, soprattutto penali o da comportamenti che, comunque denotino sciatteria nell'amministrazione della Giustizia: quando ciò sia imputabile alle persone dell'apparato amministrativo o giudiziario, il riferimento a una tutela risarcitoria, come recuperatoria di un patrimonio, è chiaramente riduttiva, laddove appare più esatto parlare di tutela riparatoria, il che non è solo una diversità terminologica, ma è idonea a introdurre e valorizzare i termini di una equitativa valutazione del pregiudizio in termini monetari. Ad avviso di chi scrive è senz'altro ammirevole lo sforzo compiuto dalla magistratura contabile e da quella ordinaria, sulla base anche delle pronunce della Consulta per individuare la fonte giuridica della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, conseguente 183 alla lesione di determinati valori costituzionalmente protetti; meno condivisibile e non eccessivamente pertinente, avuto riguardo agli scopi della giurisdizione, appare, invece, l'affanno con cui le stesse magistrature hanno inteso catalogare soprattutto in passato- in categorie e sottocategorie i vari tipi di danno. Trattasi di attività che, a sommesso avviso di chi scrive, è propria della dottrina, alla quale spetta la costruzione degli istituti giuridici. 184 CAPITOLO 8 I MEZZI DI TUTELA § 1 Generalità; § 2 Le varie forme di tutela; § 3 Inibitoria petitum e inibitoria strumento processuale; § 4 La tutela urgente; § 5 Presupposti processuali per il provvedimento d'urgenza; § 6 Competenza per materia e per territorio; § 7 Competenza per territorio in materia di danno all'immagine da pubblicazione a mezzo stampa; § 8 Competenza per territorio in materia di danno all'immagine da pubblicazione con mezzi radiotelevisivi o per via telematica; § 9 Procedimento cautelare nella lesione dell'immagine a mezzo stampa; . § 1 GENERALITÀ Gli strumenti di tutela ipotizzabili a fronte di un‟ingiustificata lesione dei diritti della personalità esaminati nei capitoli precedenti –in particolare immagine ed identità personale- sono di varia natura e possono essere ripartiti in due grandi categorie. Da un lato, vi sono quelle misure volte all‟eliminazione diretta del pregiudizio subito, nonché ad evitare l‟ulteriore protrarsi delle conseguenze dannose derivanti dal fatto illecito152, dall'altro il ristoro per equivalente. 152 Va chiarito che il termine “inibitoria” qui è assunto in senso sostanziale, nel suo significato etimologico (divieto di fare e cioè di porre in essere una determinata attività); in senso processuale – del quale si dirà in prosieguo – indica la sospensione dell'efficacia esecutiva 185 Resta, al riguardo, da chiedersi se siano possibili altre modalità di rimedi, non previsti espressamente dal nostro Ordinamento, ma ben sperimentati in altri153. Per come scrive l'autore nella riportata nota, la discussione è aperta. Ad avviso di chi scrive, la risposta, alla luce della legislazione vigente, è da ritenersi negativa, tenuto conto che che non possono consentirsi misure di natura sanzionatoria non previste da specifiche disposizioni di legge, ma, non è da escluderne l'opportunità, de iure condendo, nella considerazione che nel frequente scontro tra persone deboli e poteri forti, soltanto una sanzione in crescendo potrebbe indurre il danneggiante -che talvolta si fa arrogante della sentenza di primo o di secondo grado da parte del giudice di appello 153 V. Nota di Massimo Dogliotti a sentenza del Tribunale Verona, 26 Febbraio 1996 - Immagine ed identità personale: soggetti forti e soggetti deboli, in Dir. famiglia 1997, 4, 1436, il quale scrive:“la giurisprudenza inglese conosce, accanto ai danni «compensativi», quelli «punitivi» od «esemplari». Ancora, i giudici francesi frequentemente ricorrono al sistema delle c.d. astreintes, quando il fatto lesivo sia ancora in atto: si ordina la cessazione del fatto e si commina una pena pecuniaria di entità progressiva per ogni giorno di ulteriore protrazione del fatto lesivo, collegando così l'opportunità di una restaurazione morale per il titolare del diritto leso, del tutto svincolata da una logica risarcitoria in termini strettamente economici e monetari, ad una precipua funzione di «punizione» ed «ammonimento» per l'autore della lesione, indispensabile per un'efficace e compiuta difesa da ogni aggressione alla personalità dell'individuo.” 186 per la sua prevalenza economica- a cessare da comportamenti lesivi di un diritto fondamentale, quale quello all'immagine e all'identità personale, che seppur colpiscano nel fondo la persona umana, spesso danno luogo a ristori che non sono punitivi, perché irrisori, rispetto alla potenza economica del danneggiante. Esclusi rimedi non previsti dal nostro ordinamento, accanto al rimedio inibitorio e del risarcimento in forma specifica, rimane quello del risarcimento per equivalente, vale a dire la corresponsione di una somma di denaro pari al danno –patrimoniale e non patrimoniale- sofferto dal titolare del diritto. §2 LE VARIE FORME DI TUTELA In linea generale sono “inibitorie” quelle azioni (in via ordinaria o in via d'urgenza) dirette a conseguire una sentenza con cui viene ordinata la cessazione immediata di una determinata attività, nonché l‟astensione dalla stessa per il futuro, al fine di evitare il ripetersi nel tempo di un fatto antigiuridico, idoneo a ledere o porre in pericolo un altrui diritto154. Poiché questo rimedio ha per presupposto il compimento di un‟attività oggettivamente pregiudizievole per il diritto all'immagine (o all'identità personale), l‟azione diretta alla cessazione dell‟abuso può essere utilmente esperita a prescindere dalla sussistenza dell‟elemento soggettivo del dolo o della colpa in capo all‟agente, a differenza di quella diretta 154 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, XI edizione. 187 al risarcimento del danno, che, al contrario, richiede, per come si è detto nei precedenti capitoli, anche i presupposti soggettivi indicati nell'articolo 2043 c.c. Il provvedimento inibitorio, pertanto, svolge una funzione (anche) essenzialmente preventiva155, in quanto volto ad evitare che le conseguenze dannose già realizzatesi continuino a prodursi anche per il futuro, differenziandosi, in tal modo da quegli altri strumenti finalizzati, viceversa, soltanto a rimuovere le conseguenze della violazione, quindi che intervengono ex post, vale a dire soltanto dopo la piena realizzazione del pregiudizio. La possibilità di emettere provvedimenti aventi questo contenuto, secondo una tesi rigorosa, sarebbe limitata ai casi previsti espressamente dalla legge, e, al più, a materie analoghe, in quanto, non essendo ravvisabile un rimedio giudiziario diretto ad ordinare un generale divieto di porre in pericolo per il futuro una posizione soggettiva altrui156, questo rimedio avrebbe carattere eccezionale157. 155 Tribunale Napoli, 20 ottobre 1995 - Soc. Brevetti e Co. c. Soc. Swinger International , in Dir. industriale 1996, 473. 156 Val la pena di ricordare che le denunzie di nuova opera e di danno temuto, di cui agli articoli 1171 e 1172 c.c., costituiscono azioni a tutela del possesso di cose: V. Cassazione civile , sez. II, 27 dicembre 2004, n. 24026, Giust. civ. Mass. 2005, 1. 157 R. Scognamiglio, Novissimo digesto italiano, VIII, 169. 188 Tuttavia, per come ha avuto occasione di rilevare la giurisprudenza, che ha affrontato queste problematiche, in particolare con riferimento al danno alla salute derivante da immissioni elettromagnetiche, la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di un diritto, in linea generale, si estrinseca prima nel “vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto, e poi nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita obbligando il responsabile al risarcimento del danno”158. Di conseguenza, secondo questa impostazione, l‟azione inibitoria non deve essere considerata un rimedio eccezionale, bensì può ritenersi parte integrante di un complessivo sistema di tutela dei diritti, sempre che –ovviamente- la violazione non abbia carattere istantaneo ma permanente, accanto agli altri strumenti messi a disposizione dall‟ordinamento giuridico a favore dei soggetti che vedono lesa o messa in pericolo una loro posizione rilevante. Per quanto riguarda i diritti di cui si tratta, peraltro, non sorgono dubbi in ordine alla possibilità di esperire l‟azione inibitoria, in quanto è espressamente prevista, non solo, per come è stato rilevato nei capitoli precedenti, dall‟art. 7 c.c. in materia di diritto al nome (azione di reclamo e di usurpazione), ma anche dall‟art. 10 c.c. a tutela del diritto all‟immagine. 158 Cassazione civile , sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, Genovese c. Enel Spa , in D&G - Diritto e giust., 2000, 37 48. 189 Dal combinato disposto degli artt. 10 c.c. e 97 l. n. 633/1941, infatti, discende che qualora l‟immagine altrui sia stata divulgata illegittimamente, vale a dire senza il consenso dell‟interessato né la sussistenza delle altre circostanze in presenza delle quali la pubblicazione può ugualmente intervenire (notorietà, ufficio pubblico ricoperto, necessità di giustizia o di polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico), ovvero con pregiudizio all‟onore, alla reputazione o al decoro del soggetto, l‟autorità giudiziaria, su istanza della persona stessa, dei genitori, del coniuge o dei figli, può ordinare la cessazione dell‟abuso, salvo il risarcimento del danno. Sebbene il rimedio inibitorio sia espressamente previsto dalla legge a tutela del nome, dell‟immagine e, secondo alcuni autori, dell‟onore, tuttavia esso è ritenuto senza dubbio esperibile anche a garanzia del diritto all‟identità personale, vale a dire a fronte di indebite alterazioni o travisamenti del complessivo modo d‟essere di un soggetto, con tutte quelle molteplici caratteristiche che lo contraddistinguono e contribuiscono a differenziarlo dagli altri individui159. In linea generale deve, pertanto, ritenersi ammissibile un‟applicazione analogica di questo strumento ai vari aspetti di tutela della personalità, anche ove non sia espressamente previsto. 159 A. De Cupis, I diritti della personalità, II ed. riveduta e aggiornata, in Trattato Cicu-Messineo continuato da L. Mengoni, vol. IV, Milano, 1982, 283 ss., cit. 190 La varietà di situazioni ipotizzabili in questo settore è notevole: la sentenza inibitoria potrà determinare il ritiro dal commercio di immagini (in genere di personaggi famosi) illegittimamente divulgate, spesso a scopo di lucro, oppure –in particolare- la preclusione dell‟ulteriore diffusione di messaggi pubblicitari realizzati attraverso il richiamo di persone note160 senza il necessario consenso, o il divieto di commercializzazione di prodotti intervenuta attraverso l‟uso abusivo del ritratto altrui. In applicazione di questi principi è stata considerata illegittima, e di conseguente inibita, ad esempio, la riproduzione dell'immagine e della firma di un noto artista, senza il suo consenso, nelle pagine di un calendario, in quanto fonte di un pregiudizio alla suo personalità, tenuto anche conto della notorietà del soggetto161. Allo stesso modo, nelle ipotesi -esaminate nei capitoli precedenti- di lesione della riservatezza e/o dell‟identità personale attraverso la c.d. “creazione artistica” (opera filmica destinata al cinema o alla televisione, videocassetta realizzata a scopo di cronaca giudiziaria ecc.), ritenuta idonea a determinare un illegittimo travisamento della complessiva personalità dell‟interessato, è stata considerata misura appropriata l‟inibizione della messa in onda dello sceneggiato o del film, oppure, più limitatamente, di 160 Trib. Roma, 22 dicembre 1994, De Curtis c. Centro Acustico S.r.l., in Foro it., 1995, I, 2285. 161 Pretura Roma, 18 febbraio 1986, Baglioni c. Società Eretel, in Dir. autore, 1986, 215. 191 talune parti162, ovvero il divieto distribuzione del prodotto realizzato. di ulteriore § 3 INIBITORIA PETITUM E INIBITORIA STRUMENTO PROCESSUALE Si è detto che è chiara la differenza concettuale tra “inibitoria”, come oggetto del petitum della domanda giudiziale, e “inibitoria”, come termine comunemente utilizzato per indicare i provvedimenti d'urgenza (cioè quelli ex art. 700 c.p.c.) 163: L'inibitoria come petitum costituisce di solito il contenuto tipico della domanda (petitum) per impedire il formarsi del pregiudizio o il suo mantenimento e/o protrarsi nel tempo e consiste nel divieto di utilizzare quell'aspetto dell'identità personale (immagine – nome – pseudonimo – anche la sagoma della persona, 162 Pretura Firenze, 03 marzo 1986, Nencini e altro c. Titanus distribuzione, in Resp. civ. e prev. 1987, 118 “Violano il diritto all'immagine nonché il diritto alla riservatezza e all'onore, le scene contenute in una rappresentazione filmica (nella specie quella relativa alla ben nota vicenda de "Il mostro di Firenze") in quanto, attraverso dati precisi e specifici, consentono di identificare chiaramente le persone alle quali si riferiscono e in quanto riproducono situazioni strettamente private per loro natura destinate a rimanere riservate: va pertanto accolta la richiesta soppressione delle sequenze relative”. 163 In diritto processuale civile, col termine “inibitoria” si intende anche il procedimento diretto alla sospensione dell'esecuzione provvisoria da parte del giudice di appello della sentenza di condanna di primo grado (art. 283 c.p.c.) o di quella di secondo grado riguardo alle decisioni gravate di ricorso per cassazione (art. 373 c.p.c.) . 192 oppure anche un oggetto, ad esempio una pipa o un capo di abbigliamento) oppure di procedere e/o proseguire nella divulgazione di una notizia o di un manifesto che costituisca lesione del diritto della personalità altrui. Anche lo sfruttamento a scopi pubblicitari dell'immagine di un sosia della persona nota, perpetrato senza il consenso di quest'ultima, può dar luogo, ad esempio, a inibitoria, qualora il messaggio pubblicitario tragga in errore i destinatari circa la vera identità della persona ritrattata, oppure possa solamente indurre a supporre la non estraneità della stessa persona nota all'operazione pubblicitaria164. In tutti questi casi l'inibitoria si consegue attraverso la condanna a un facere (o anche un non facere), diretto a far venir meno il pregiudizio. In relazione alla tipologia del pregiudizio, che provoca di solito la lesione dell'immagine, non è dubbio, quindi, che il primo e principale rimedio è costituito dalla “inibitoria”, cioè dal divieto di fare o dall'obbligo di porre in essere un determinato comportamento, che impedisca che si realizzi o che si aggravi la lesione paventata. Più volte, peraltro, per come si è già accennato, un più efficace rimedio si consegue attraverso lo strumento processuale del provvedimento d'urgenza, che anticipa gli effetti della sentenza definitiva, ma per questo occorre da un lato la sussistenza di determinati presupposti e dall'altro che non vi siano specifici limiti 164 V. Pretura Roma, 06 luglio 1987 - Ceciarelli c. Società Rizzoli editore e altro, in Dir. autore 1989, 468. 193 legali al suo utilizzo ( e di ciò si parlerà nel prossimo paragrafo). Uno specifico limite legale, ad esempio, è contenuto nell'articolo 21 della Costituzione, in materia di stampa: di tale limite si dirà oltre. § 4 LA TUTELA URGENTE Si è detto che per tutela “inibitoria” , a differenza di quella risarcitoria, si intende quella finalizzata a far cessare comportamenti pregiudizievoli per il diritto all'immagine o all'identità personale, oppure ad apprestare i mezzi per eliminare il pregiudizio già verificatosi (ad esempio, eliminazione di un cartellone pubblicitario già affisso o di un manifesto che costituisca lesione dell'identità personale o ritiro di una pubblicazione) oppure ad impedirne la prosecuzione in futuro, seppur in atto siano cessati (quindi, anche ordine di non facere). La tutela in questione si può conseguire mediante un ordinario giudizio di cognizione, a conclusione del quale il Giudice dispone l'inibitoria, cioè l'ordine di facere o di non facere. Ora, se la tutela, attuata mediante un giudizio di cognizione ordinario, è talora idonea a soddisfare le numerose esigenze di tutela che possono sorgere nel settore dei diritti della personalità, tuttavia non mancano ipotesi nelle quali l‟adozione di un provvedimento di questo genere, soltanto a seguito di un processo a cognizione piena, non consente di salvaguardare pienamente la posizione soggettiva. In particolare, è possibile che nell'attesa del tempo di solito necessario per l‟espletamento 194 dell‟ordinario processo cognizione, il diritto della personalità venga a risultare irreversibilmente pregiudicato: in tal caso chiaramente lo strumento ordinario non appare in grado di rimuovere la lesione ormai realizzata. Pertanto, ad evitare che un diritto sia compromesso in modo irrimediabile proprio a causa della durata del processo, l‟ordinamento predispone delle forme urgenti di tutela da adottare in tempi brevi, quindi nell‟immediatezza della lesione, a seguito di una cognizione sommaria: i c.d. procedimenti cautelari. Il tratto che tipicamente caratterizza l‟azione cautelare è la funzione, non autonoma, bensì strumentale rispetto alla fruttuosità della cognizione o dell‟esecuzione, funzione che talvolta è realizzata attraverso un provvedimento interinale avente un contenuto essenzialmente anticipatorio rispetto a quello definitivo. Presupposti per l‟adozione della misura cautelare sono la sussistenza di un pericolo al quale la normale durata del processo può esporre il diritto di cui si chiede la tutela (c.d. periculum in mora), e la verosimiglianza circa l‟esistenza dello stesso (c.d. fumus boni iuris). Al fine di assicurare il pieno soddisfacimento delle molteplici e varie esigenze cautelari che, nella fattispecie concreta, possono profilarsi, il legislatore ha previsto, accanto a procedimenti tipici, una norma di chiusura, con funzione sussidiaria, che costituisce fondamento di misure atipiche, aventi la medesima funzione strumentale: l‟art. 700 c.p.c.. 195 Pertanto, in base a quanto stabilito da questa disposizione, quando non risultino pienamente efficaci applicabili altre misure165, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo necessario per fare valere il proprio diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, può chiedere al giudice i provvedimenti atipici che, secondo le circostanze, appaiano idonei ad assicurare in via provvisoria gli effetti della decisione sul merito. L‟art. 700 c.p.c., quindi, costituisce il fondamento normativo di tutte quelle misure cautelari, non espressamente previste dalla legge, quindi aventi un contenuto non predeterminato, tuttavia necessarie, nel caso concreto, per evitare che durante il tempo del processo si realizzi l‟irreversibile pregiudizio di un diritto166. Sebbene la norma sia nata in funzione sussidiaria e residuale rispetto alle misure cautelari tipiche, nel corso del tempo ha assunto un rilievo notevole; e, proprio nel campo dei diritti della personalità, ha trovato numerose occasioni di applicazione perché, nel caso di lesione di queste posizioni soggettive, una tutela veramente effettiva ed efficace si può realizzare solo se effettuata nell‟immediatezza del fatto lesivo, previo accertamento sommario in ordine alla ricorrenza dei presupposti che non condiziona la decisione finale di merito. 165 Frignani, L’injunction nella common law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974. 166 C. Mandrioli, Diritto processuale civile, vol. III, Giappichelli editore. 196 Il rimedio inibitorio, invero, ove intervenenga solo dopo la completa lesione del diritto, proprio per la particolare natura delle posizioni soggettive di cui si tratta, non è efficace a determinare una tutela adeguata; né, d'altra parte, quello risarcitorio è sempre idoneo a far conseguire una tutela del diritto pienamente soddisfacente. L‟efficacia del provvedimento ex art. 700 c.p.c. emerge tanto più se si considera l‟ampia discrezionalità attribuita da questa norma al giudice per la determinazione del suo contenuto, che, pertanto, risulta atipico. Di conseguenza potrà avere –a seconda delle esigenze sussistenti nella concreta fattispecie- non soltanto carattere inibitorio, con ordine di immediata cessazione del fatto lesivo (ad es. divieto di ulteriore distribuzione di un‟opera artistica), ma anche di imposizione di un obbligo di fare, come la pubblicazione di rettifiche, o di pubblicazione di notizie dirette a ristabilire la verità –come, ad esempio, di un “comunicato di chiarimento” relativo al contesto di provenienza dell‟immagine- nonché di cancellazione di quelle parti di film o sceneggiato idonee a travisare la personalità del soggetto interessato. § 5 PRESUPPOSTI PROCESSUALI PROVVEDIMENTO D'URGENZA PER IL Le condizioni per il ricorso ai provvedimenti d'urgenza, sono prescritte nell'articolo 700 c.p.c., il quale stabilisce testualmente quanto segue: “ Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo (il terzo del libro quarto del Codice di rito), chi ha fondato 197 motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.” I presupposti per il ricorso all'art. 700 c.p.c., considerato come strumento processuale, sono quindi: -a) che il rimedio richiesto non sia ricompreso nelle precedenti sezioni dello stesso capo; -b) che sussista a un esame sommario una parvenza di fondatezza in diritto (c. d. fumus boni iuris); -c) che si sia in presenza di un pregiudizio imminente e irreparabile (c. d. periculum in mora). Il contenuto poi è il più vario (facere, non facere, pati e così via): l'indeterminatezza della norma consente, quindi, al giudice tutto un ventaglio di interventi, i cui effetti, comunque, non possono superare il petitum di un normale giudizio di cognizione, posto che sono finalizzati ad anticipare gli effetti della eventuale futura sentenza favorevole. Il riportato articolo 700 costituisce la sezione V del capo III del libro IV del Codice di rito e le precedenti sezioni II, III e IV (la prima tratta dell'iter processuale, in generale, di tutti i procedimenti cautelari) si occupano, rispettivamente del “sequestro”, giudiziario e conservativo, del procedimento di denuncia di nuova opera e di danno temuto e dei procedimenti di istruzione preventiva. Ora, considerato che il sequestro giudiziario concerne la proprietà o il possesso di un bene oppure di carte e atti in genere, di registri e quant'altro, come 198 mezzi di prova documentale, e quello conservativo la garanzia del proprio credito, che la denuncia di nuova opera o di danno temuto, i pericoli che possano derivare a un proprio immobile, e che i procedimenti di istruzione preventiva riguardano la formazione delle prove in funzione del processo, consegue che è frequente l'applicazione dell'articolo 700 c.p.c. in materia di tutela tempestiva del diritto all'immagine. Per l'attuazione di tale tutela cautelare è necessario che si sia in presenza del presupposto di “un pregiudizio imminente e irreparabile” (c. d. periculum in mora). Molto ampia è la casistica giurisprudenziale per quanto riguarda la sussistenza del presupposto in questione, in materia di lesione del diritto all'immagine, il che fornisce l'ulteriore conferma della varietà dei possibili pregiudizi che possono derivare dalla lesione (anche solo minacciata) del diritto all'immagine e all'identità personale. Così, ad esempio, è stato riconosciuto il pregiudizio (con i caratteri dell'imminenza e dell'irreparabilità, che giustificassero il ricorso ex art. 700 c.p.c.) nel fatto di un manifesto per scopi politici costituito da un fotogramma di un film riguardo al quale l'attore aveva ceduto ogni diritto di sfruttamento economico: venne riconosciuta167, in primo luogo, la legittimazione attiva dell'artista, malgrado questi non potesse accampare diritti economici sull'uso del film e di ogni singolo fotogramma, nella considerazione che lo specifico utilizzo (manifesto politico) andasse a 167 V. tribunale di Roma - sentenza 24 maggio 2005, in Giur. merito 2005, fasc. 11, 2346. 199 ledere il diritto all'identità personale, dando a intendere un'appartenenza o comunque una qualche adesione al partito che aveva stampata il manifesto. Con riguardo alla lesione dell'identità personale, il pregiudizio era sicuramente imminente e anche irreparabile, atteso che veniva dedotto non l'utilizzo abusivo dell'immagine dell'attore senza un previo accordo sul compenso168, bensì la lesione di un diritto della personalità, costituito dall'identità personale, in ordine agli orientamenti politici dell'attore, riguardo al quale l'efficacia del rimedio consisteva in primo luogo in una tempestiva rimozione del manifesto, possibilmente accompagnata da un immediato comunicato stampa, a carico di coloro che arbitrariamente avevano utilizzato l'immagine dell'artista per il manifesto politico, lesione, che, per come ripetutamente detto, prescinde dalla sussistenza di un danno patrimoniale. Siamo -com'è noto – in un periodo economico di contraffazione di grandi firme del mondo della moda: il che è reato. Ma, anche se non si giunge alla contraffazione vera e propria, è frequente la c. d. “imitazione servile” di uno stile, allorquando, senza apporre il marchio altrui, si imita il capo famoso o la borsa particolare, 168 Riguardo alla quale l'artista era sicuramente privo di legittimazione attiva, avendo ceduto tutti i diritti sull'utilizzo commerciale del film e di ciascun fotogramma, e sarebbe stato ritenuto insussistente il periculum per il procedimento d'urgenza, potendo il pregiudizio di natura economica essere suscettibile di pieno soddisfacimento con una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro. 200 così ledendo l'immagine della grande casa produttrice. Orbene, con riferimento allo strumento cautelare ex articolo 700 c.p.c., è stato ritenuto il periculum in mora, anche quando l'attività di imitazione sia cessata dato, ove occorra ripristinare l'immagine dell'azienda lesa dalla precedente imitazione e può altresì essere concesso se vi è concreto rischio di reiterazione del comportamento imitativo con riferimento agli oggetti, desumibile dalla esistenza di precisi indici sintomatici della concreta possibilità che, nel prossimo futuro, sarà effettuata l'imitazione anche delle nuove collezioni dello stesso stilista169. Quindi, lo strumento cautelare può essere utilizzato anche in relazione a un futuro eventuale pregiudizio; chiaramente, non è sufficiente il mero timore, ma occorre, in ogni caso la presenza di indici sintomatici di questo pregiudizio: il periculum in mora, sufficiente per il procedimento ex art. 700, può essere, quindi, anche solo eventuale, analogamente al danno temuto di cui all'articolo 1171 c.c., concernente le azioni a difesa del possesso, e il cui strumento processuale non per nulla è stabilito nello stesso capo dell'art. 700 c.p.c., alla sezione III. In materia di tutela all'immagine, quindi, la giurisprudenza si mostra particolarmente sensibile, attesa la rilevanza costituzionale del diritto all'immagine. Altra materia interessante alla quale è stato applicato lo strumento del provvedimento d'urgenza, è stata quella dei brevetti per modelli ornamentali. 169 V. Tribunale Napoli, 20 ottobre 1995, in industriale 1996, 473. Dir. 201 Anche in questo caso è stato invocato il diritto all'identità personale, in questo caso dell'impresa che aveva ideato un modello ornamentale, e si è ritenuta la sussistenza del "fumus boni iuris" anche nel caso in cui fosse intervenuta soltanto la presentazione della domanda di brevetto, per cui il giudice con provvedimento ex art. 700 c.p.c. ha disposto, come rimedio, il ritiro dei cartelloni pubblicitari170. Come è agevole rilevare, l'inibitoria in materia di tutela dell'immagine e dell'identità personale, può spaziare nei più diversi campi ed è variegato l'intervento del giudice in sede di provvedimento d'urgenza. Particolare, e forse non pienamente giustificato nella fattispecie, è da ritenere - anche con riguardo alla ritenuta competenza - il rimedio cautelare accordato in danno della CONSOB, in favore di un'impresa che lamentava una lesione all'immagine e alla reputazione, che si assumeva derivante da un procedimento sanzionatorio in itinere avviato dalla Consob, ai sensi dell'art. 195 d.lg. n. 58 del 1998. Il tribunale di Napoli 171, adito ex art. 700 c.p.c. per l'inibitoria, dichiarò, in primo luogo, la propria competenza -la cognizione della impugnazione del provvedimento sanzionatorio spetta alla Corte d'appello- e concesse l'inibitoria, consistente nel divieto di proseguire nel procedimento, ai richiedenti, nel presupposto che l'adozione di misure 170 V. Tribunale Firenze, 31 luglio 1993, in Riv. dir. ind. 1993, II, 403. 171 Ordinanza 15 ottobre 1999, in Juris Data – Ed. Giuffrè. 202 sanzionatorie, alla quale era finalizzato il procedimento, avrebbe pregiudicato la loro immagine professionale. Il giudice affermò poi la sussistenza del fumus riguardo al fatto, dedotto dai ricorrenti, secondo cui era da ritenersi tardiva la contestazione perché non effettuata nei termini previsti dall'art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Nella specie sembra forzata sia la ritenuta competenza sia la sussistenza del periculum in mora, a quanto si può desumere dalla massima (mentre ovviamente non si è nelle condizioni di pronunciarsi sul fumus). Ora, per quanto riguarda la competenza, rilevato che l'articolo 669-ter stabilisce che la cognizione spetta al giudice del merito 172, desta perplessità che il tribunale si sia attribuita la competenza, laddove, proprio riguardo alla sussistenza del fumus, ha fatto riferimento a un profilo concernente la legittimità della eventuale emananda sanzione, in ordine al quale si presenta sicura la competenza della Corte d'appello, per come dispone l'articolo 195 del D. lgs. n. 58 del 1998, i cui commi 4 e 6 stabilisco quanto segue: co. 4 : “Contro il provvedimento di applicazione delle sanzioni è ammessa opposizione alla corte d'appello del luogo in cui ha sede la società o l'ente cui appartiene l'autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, nel luogo in cui la violazione è stata commessa.. . “ co. 5: “L'opposizione non sospende l'esecuzione del 172 Tranne che competente sia il giudice di pace o un giudice straniero o un collegio arbitrale 203 provvedimento. La corte d'appello, se ricorrono gravi motivi, può disporre la sospensione con decreto motivato.” In conseguenza, atteso che il tribunale non era competente per il merito, la cognizione anche per il procedimento d'urgenza spettava alla Corte d'appello, ai sensi degli articoli 669-ter e 669-octies c.p.c. Purtroppo, l'impossibilità di reperire l'ordinanza per esteso non ha consentito di verificare in che termini il tribunale abbia ritenuto di risolvere la questione della competenza né quale seguito abbia avuto la vicenda. Con riguardo poi al profilo dell'imminenza del pregiudizio, va, inoltre, osservato che la eventuale lesione dell'immagine sarebbe potuta derivare non tanto dal procedimento sanzionatorio (riguardo al quale non è prevista alcuna forma di pubblicità) bensì dal provvedimento conclusivo del procedimento, o meglio, dalla pubblicità prevista per questo (pubblicazione per estratto sul bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB e altre possibili modalità (pubblicazione in giornali e così via): riguardo al pregiudizio derivante dalla pubblicazione, la Corte d'appello ben avrebbe potuto sospendere l'efficacia esecutiva del provvedimento sanzionatorio. In questo caso il tribunale è andato, invece, a paralizzare un procedimento amministrativo, con una sicura interferenza nei poteri al riguardo spettanti alla CONSOB, in materia di accertamento delle violazioni in materia di intermediazione finanziaria. Per finire, sul punto, va osservato come -a seguito delle modifiche introdotte al Codice di rito dall'articolo 2, comma 3, lettera e-bis, n. 2.3 del d. l. 204 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, ai sensi dell'articolo 669-octies, commi 5 e 6- il rimedio cautelare, accordato a norma dell'art. 700, è destinato ad acquisire efficacia definitiva, qualora il giudizio di merito non sia iniziato nei termini previsti, oppure, se iniziato, il giudizio si è estinto. In altre parole il giudizio di merito diventa eventuale173. Alla riassunzione del giudizio di merito, quindi, provvederà il convenuto soccombente nel procedimento cautelare, ma ovviamente soltanto ove ritenga di poter dimostrare nel giudizio a cognizione piena che la pretesa del ricorrente accolta in via cautelare sia priva di fondamento, altrimenti gli converrà acquietarsi, tenuto conto che avrà, comunque, evitato la condanna al risarcimento del danno; a sua volta, il ricorrente se intende ottenere anche il risarcimento del danno, e, quindi, conseguire 173 Ciò non sempr; infatti il prosieguo del giudizio è necessario, per come dispone il successivo articolo 669novies, ultimo comma, nel caso che la cognizione della vertenza di merito spetti a un giudice straniero oppure sia compromessa ad ad un collegio arbitrale. Ma, in questo caso, il limite trova giustificazione nella considerazione che il giudice adito ha una competenza in via eccezionale e solo limitatamente alla fase cautelare; fuori dei due casi sopra considerati, invece, il giudice competente per il cautelare coincide con quello di merito (tranne che la cognizione spetti in primo grado al giudice di pace: ma anche in questo caso il mantenimento degli effetti trova giustificazione nel fatto che, comunque, il tribunale sarebbe competente per il merito, seppur in grado di appello): v. articolo 669-ter, commi 2 e 3. 205 effetti ulteriori rispetto alla inibitoria, è tenuto ad iniziare il giudizio di merito, atteso che l'autorità del provvedimento cautelare concesso non può essere invocata in un giudizio diverso, per come dispone testualmente il comma 7 del citato articolo 669-octies. Una volta tanto, il legislatore ha introdotto una innovazione positiva e ragionevole nel Codice di rito, solitamente oggetto di modifiche perverse e cervellotiche. E, infatti, in questo caso ha dettato una disposizione in qualche modo deflattiva dei giudizi, poiché consente la chiusura veloce di una vertenza, che, in passato, a volte si trascinava nel merito per anni e anni, con aggravio di costi non soltanto per le parti, ma anche per la Giustizia, e, tutto ciò, soltanto per avere (spesso), alla fine, una conferma del provvedimento emesso in sede cautelare. In questo modo, è dato alle parti un certo margine di tempo (solitamente di 60 giorni: v. primo comma dell'articolo 669-novies c.p.c.) per ponderare se sia il caso di dare inizio o non al giudizio vero e proprio, oppure se sia opportuno acquietarsi sul provvedimento emesso in sede cautelare. Si può dire che solitamente il procedimento si chiude con il cautelare, in genere satisfattivo in materia di tutela dell'immagine o dell'identità personale, salvo che alla base della vicenda vi siano grossi interessi economici, ai quali una delle parti non intenda rinunciare § 6 COMPETENZA TERRITORIO PER MATERIA E PER 206 Trattando del caso del procedimento cautelare proposto nei confronti della Consob si è già accennato della competenza per materia e per territorio, osservando che, per quanto riguarda la cognizione ex art. 700 c.p.c., questa spetta al giudice competente per il merito, tranne il caso in cui competente per il merito sia il giudice straniero o un collegio arbitrale oppure il giudice di pace (artt. 669-ter e 669quinquies c.p.c.). In questi casi, ove competente nel merito sia un giudice straniero, la competenza (per il cautelare) spetta al giudice del luogo dove deve eseguirsi il provvedimento d'urgenza; se invece la cognizione del merito è deferita ad un collegio arbitrale, la cognizione del cautelare spetta al giudice che sarebbe sarebbe stato competente nel caso di inesistenza della clausola arbitrale. se trattasi di vertenza la cui cognizione al giudice di pace, l'inibitoria compete, invece, al giudice al tribunale competente per il giudizio di appello. Per quanto riguarda le vertenze la cui cognizione di merito spetta al giudice amministrativo (ad esempio in materia di appalti, impiego non contrattualizzato ecc.) ed alla Corte dei conti (in materia, ad esempio, di responsabilità dei pubblici dipendenti), è pacifico che spettino alle predette giurisdizioni anche i procedimenti cautelari, e quindi, quelli ex art. 700 c.p.c., in relazione a quanto previsto dall'art. 48 r.d. n. 1038 del 1933, art. 5, comma 2, e ss. d.l. 15 novembre 1993 n. 453, conv. in l. 14 gennaio 1994 n. 19174. 174 V. Cass. Sez. Un., 10 novembre 1986, n. 6564 - 02 agosto 1989, n. 3568 - 12 novembre 2003, n. 17078. 207 I procedimenti cautelari in materia di tutela dell'immagine non fanno eccezione alle regole sopra indicate. Quindi, se trattasi di lesione all'immagine dell'amministrazione di appartenenza da parte del dipendente, poiché il giudizio di merito esula dalla giurisdizione ordinaria, in favore della Corte dei Conti175, anche l'eventuale procedimento cautelare rientrerà nella competenza dello stesso giudice, con applicazione delle disposizioni di cui all'art. 700 c.p.c.176. E la giurisdizione della Corte dei conti, in materia di danno all'immagine dell'ente è riconosciuta anche per quello non patrimoniale, poiché in ogni caso è da ritenere suscettibile di valutazione patrimoniale177, quanto meno sotto il profilo riparatorio. E' interessante la casistica enucleata dalla Corte Conti , sez. riun., nella sentenza 19 marzo 2002, n. 4, in ordine alla competenza per territorio, con riguardo alle varie fattispecie in materia di responsabilità dei 175 V. Cassazione civile , sez. un., 02 aprile 2007, n. 8098: “Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti anche l'azione di responsabilità per il danno arrecato da pubblici dipendenti (o da soggetti comunque inseriti nell'apparato organizzativo di una pubblica amministrazione) all'immagine dell'ente, trattandosi di danno che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso.” 176 V., in ordine all'applicazione del codice di procedura civile, C. Conti reg. Piemonte, sez. giurisd., 12 maggio 2004, n. 105, in Riv. corte conti 2004, 3 157. 177 V. Cassazione civile , sez. un., 02 aprile 2007, n. 8098 in Resp. civ. e prev. 2007, 7-8 1566. 208 pubblici dipendenti e di amministratori, ovviamente applicabile anche nei casi in cui il danno derivi da lesione all'immagine della p. a., casistica che si ritiene utile riassumere: a) In ipotesi di concentrazione di più fattispecie di danno in un atto di citazione, ove vengano individuati più giudici competenti, va disposta la separazione delle cause, stante l'inderogabilità della competenza funzionale attribuita alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti; b) Il criterio principale per l'attribuzione di competenza alle Sezioni regionali della Corte dei conti è costituito dall'incardinazione del pubblico amministratore o dipendente - supposto autore del comportamento illecito - nella sede o ufficio ubicati nella regione; mentre, qualora, nella produzione del danno contabile, concorrano o confluiscano più comportamenti illeciti di soggetti incardinati presso uffici o sedi di diverse regioni, criterio ulteriore per determinare il giudice competente è dato dall'individuazione del fatto giuridico (o dell'attività gestoria) necessariamente causativo del danno e la sua ascrizione al soggetto che lo ha posto in essere, in forza dell'incardinazione presso una sede, un ufficio, un organo dello Stato o di un ente pubblico. Avuto riguardo all'incardinamento in uno specifico ufficio, peraltro, in precedenza la stessa Corte dei conti178, aveva precisato che “nel caso in cui il Ministero della sanità si avvale del proprio potere sostitutivo delle regioni per stipulare una convenzione sul servizio di lettura ottica delle ricette di una 178 V. C. conti reg. Lazio, sez. giurisd., 13 aprile 1999, n. 344, in Iuris Data – ed dott. Giuffrè – 2007, 209 regione, il giudizio per danno erariale per l'inutilità della spesa e per il danno dell'immagine conseguente all'apprensione di tangenti appartiene alla competenza della sezione Lazio, trattandosi di attività non delegata ma propria dello Stato quale titolo del Fondo sanitario nazionale, irrilevante essendo che il danno conseguente alla spesa per l'esecuzione della convenzione ridondi sui fondi gestiti dalla regione Campania.” Per quanto riguarda l'individuazione del foro competente per territorio, trovano applicazione gli articoli 18, 19 e 20 ( a scelta del ricorrente): e, quindi, il foro del luogo in cui è sorta l'obbligazione (in buona sostanza dove si è verificato il fatto lesivo), oppure dove l'obbligazione deve eseguirsi, ad esempio, se si richiede la rimozione di un manifesto, entrambi i criteri portano al medesimo tribunale (art. 20); oppure, alternativamente, il foro relativo alla residenza, domicilio o dimora – secondo tale ordine - del danneggiante, qualora l‟autore sia persona fisica; ove poi queste siano sconosciute, oppure se il danneggiante risiede all'estero, è competente il giudice del luogo dove risiede il danneggiato (art. 18; se poi danneggiante è una persona giuridica, competente è il giudice del luogo in cui questa ha la sede legale, oppure uno stabilimento con rappresentante autorizzato a stare in giudizio; se trattasi di società non aventi personalità giuridica o di associazione non riconosciuta o di comitati si fa riferimento al luogo dove svolgono attività in modo continuativo (art. 19). 210 § 7 COMPETENZA PER TERRITORIO IN MATERIA DI DANNO ALL'IMMAGINE DA PUBBLICAZIONE A MEZZO STAMPA Se, in genere, non crea particolari problemi la individuazione del giudice competente in materia di lesione all'immagine, ove, invece, il fatto lesivo sia avvenuto a mezzo stampa, appare più complessa la individuazione del c. d. forum commissi delicti, attesa la variegata modalità di diffusione del fatto lesivo. In generale bisogna distinguere a seconda del tipo di stampa. a) Lesione avvenuta con la pubblicazione di un libro (fatto tutt'altro che raro): territorialmente competente, sia per la domanda cautelare di inibitoria che per quella di merito risarcitoria, è il giudice del luogo ove ha sede l'editore (se persona giuridica), ex art. 19 c.p.c., ovvero dove viene stampata per la prima volta l'opera, ex art. 20 c.p.c.; è da escludere, invece la competenza del giudice dei vari luoghi in cui il libro viene diffuso oppure quella del giudice del luogo ove il danneggiato ha il domicilio o residenza179. b) Lesione avvenuta con la pubblicazione su stampa periodica. Molto spesso la lesione dell'immagine e dell'identità personale avvengono mediante pubblicazione su quotidiani o altre stampe periodiche. 179 V.Tribunale Napoli, 30 luglio 1999 - Soc. Pironti ed. c. Soc. Einaudi ed., in Giur. napoletana 2000, 73. 211 In questo caso, la competenza è del giudice in cui ha sede la redazione centrale del quotidiano e non quello delle trasmissioni in facsimile delle copie a diffusione regionale e tanto meno quello delle redazioni delle testate giornalistiche televisive nazionali che, nel corso delle edizioni notturne precedenti l'uscita del quotidiano in edicola, danno lettura delle notizie di maggior rilievo, mostrando anche l'immagine relativa allo stampato180. Ma se, al contrario, si tratta di un periodico a diffusione nazionale, ma corredato di edizioni locali stampate in luoghi diversi, la competenza per territorio si determina con riferimento al luogo di stampa dell'edizione per mezzo della quale è stato realizzato l'illecito181. Può peraltro accadere che la stessa notizia lesiva dell'immagine o dell'identità personale venga diffusa da più testate giornalistiche. In questa ipotesi, va tenuto conto che la lesività e maggiore rispetto al caso in cui la pubblicazione avvenga soltanto su una sola testata e che in relazione alla disposizione contenuta nell'articolo 2055 c.c. sussiste la solidarietà passiva tra tutti i soggetti ai quali a qualsiasi titolo il fatto dannoso risulti imputabile, risolvendosi la questione della graduazione delle rispettive colpe nei soli rapporti interni tra condebitori solidali. 180 V. Cassazione civile , sez. III, 25 maggio 2007, n. 12234 - Matarrese e altro c. Pignatelli e altro, in Giust. civ. Mass. 2007, 5. 181 V. Cassazione penale , sez. I, 26 gennaio 2006, n. 15523, in Jiuris Data – Ed. Giuffrè. 212 Pertanto al danneggiato è consentito di individuare il giudice competente per una delle testate e davanti a questo convenirle tutte, per connessione ai sensi dell'articolo 33 c.p.c. In questo caso, quindi, si può dire –una volta tanto- favorito il soggetto leso182. Ma la divulgazione di una notizia che lede l'immagine di un soggetto può derivare anche dalla stampa internazionale. In questo caso, in applicazione anche delle disposizioni, in materia di giurisdizione, contenute nell'art. 5 n. 3 della Convenzione di Lugano 16 settembre 1988, ratificata dalla l. 10 febbraio 1992 n. 198 -analogo all'art. 5 n. 3 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale- la giurisdizione in ordine ad una domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad una diffamazione internazionale a mezzo stampa appartiene, oltre che al giudice dello Stato del convenuto responsabile dell'illecito, anche al giudice del luogo nel quale è diffusa la pubblicazione diffamatoria. Resta, peraltro, da precisare che mentre l'azione giudiziaria proposta nello Stato in cui l'Editore ha lo stabilimento può avere per contenuto il risarcimento 182 V. Cassazione civile , sez. III, 21 giugno 2004, n. 11560, in Giust. civ. Mass. 2004, 10 . Ma il cumulo ex art. 33 c.p.c., invece, non consentito, se si è in presenza di una divulgazione all'Estero effettuata da organi di stampa stranieri, e in Italia da parte di organi di stampa italiani: v. nota che segue. 213 integrale, ovunque la notizia sia stata divulgata, invece l'azione proposta presso uno degli Stati in cui si sia propagata la notizia, può riguardare soltanto il risarcimento del danno in tale Stato verificatosi. In conseguenza spetta al danneggiato di valutare se sia opportuno agire in giudizio nello Stato dell'Editore, per tutto il danno, oppure se proporre tante azioni giudiziarie, quanti siano gli Stati dove venga divulgato quella pubblicazione. E in questo casi, il domicilio del danneggiato non rileva, ove quella pubblicazione non sia distribuita anche nell'ambito del territorio dello Stato del danneggiato. Accade, peraltro, che una notizia diffusa da una stampa estera, sia poi ripresa in Italia da un organo di stampa italiano. In questo caso, si è in presenza di un fatto illecito totalmente diverso, perché è generato da un comportamento che ha una sua autonomia causale. In conseguenza, riguardo alla competenza, valgono le regole di cui si è detto in precedenza, con la precisazione che non può assommarsi il danno subito all'Estero, a causa dell'originaria notizia, con quello subito in Italia a causa della divulgazione data dalla stampa italiana183. 183 V., in tal senso Cassazione civile , sez. un., 27 ottobre 2000, n. 1141 - Parietti c. Soc. Can Publishing e altro, in D&G - Dir. e giust. 2000, 40-41 28. 214 § 8 COMPETENZA PER TERRITORIO IN MATERIA DI DANNO ALL'IMMAGINE DA PUBBLICAZIONE CON MEZZI RADIOTELEVISIVI O PER VIA TELEMATICA. L'incremento dei mezzi, attraverso cui possono diffondersi le notizie, e, quindi, anche il proliferare delle modalità del fatto lesivo dell'immagine, ha posto ulteriori problemi per la individuazione del giudice competente. Attraverso lo strumento radiotelevisivo le notizie giungono in tutte le nostre case, e, quindi, a una prima visione sommaria del problema, si sarebbe indotti a ritenere che, ai sensi dell'articolo 20 c.p.c., essendosi il fatto lesivo verificato in una innumerevole serie di luoghi (dovunque sia stata ascoltata la notizia lesiva) si sia in presenza di un numero indeterminato di “fora commissi delicti”, che renda competenti potenzialmente- tutti i giudici, dovunque possa essere giunta la divulgazione del fatto. In tal modo, peraltro, potrebbe ritenersi violato il principio del giudice naturale, fissato nell'articolo 25 della Costituzione, poiché al danneggiato – di fatto – sarebbe consentito di scegliersi a suo piacimento il giudice che debba occuparsi della vicenda processuale. Altro problema deriva dal fatto che una stessa trasmissione può essere irradiata più volte, "in diretta" e "in differita". Ora, considerato che gli effetti negativi per il soggetto si verificano soprattutto dove questi vive e si relaziona, perché lì si realizza la maggiore percezione del contenuto della notizia che lede il diritto 215 all'immagine, si fa riferimento a tali luoghi, per la individuazione del luogo di commissione del fatto, e, quindi, del luogo dove è sorta l'obbligazione aquiliana ai sensi dell'articolo 20 c.p.c.. In buona sostanza, quindi, la residenza e il domicilio dell'attore vengono in riferimento come luogo in cui è sorta l'obbligazione, perché lì si è verificato l'eventum damni, e non come foro dell'attore, ai sensi dell'articolo 18, ultimo comma dello stesso Codice di rito 184. A tale proposito, nella sentenza in nota, la Suprema Corte ha rilevato che tali conclusioni sono, tra l'altro, in sintonia con la Convenzione di Bruxelles, le cui norme, riprese dal Regolamento CE n. 44/2001, danno rilievo al domicilio dell'attore, configurabile, tra l'altro, come la parte più debole del rapporto, così come anche con le disposizioni di origine comunitaria sulla protezione del consumatore, che fanno riferimento al foro del domicilio del consumatore stesso; inoltre ha tratto argomento di sostegno dall'art. 30 della legge n. 223 del 1990, che ha assunto come forum commissi delicti, nel caso del reato di diffamazione commesso attraverso l'impiego del mezzo radiotelevisivo, quello del luogo di residenza della persona offesa, allorquando venga a quest'ultima attribuito un fatto determinato, e dal fatto che tale disciplina sia stata considerata giustificata dalla Corte costituzionale nel 1996185, con la precisazione che 184 V. Cassazione civile , sez. III, 01 dicembre 2004, n. 22586 -Soc. Reti Televisive it. c. Rubini e altro, in Jiuris Data – Ed. Giuffrè. 185 Corte costituzionale, 23 febbraio 1996, n. 42, in Giur. cost. 1996, 330. 216 un'analoga espressa previsione normativa non era necessaria in materia civile, perché la competenza territoriale del medesimo giudice è individuabile sulla base del coordinamento dell'art. 20 c.p.c. con gli art. 2043 e 2059 c.c.186. La diffusione di INTERNET ha creato un ulteriore problema, tenuto conto che non soltanto è resa talora oltremodo difficoltosa -e spesso assolutamente impossibile- la individuazione del luogo da dove si sia originata la notizia, ma di frequente trattasi di notizie rimbalzate dall'Estero e anche da Paesi con i quali vi sia scarsa facoltà di intervento. In tema di risarcimento del danno extracontrattuale, patrimoniale e non patrimoniale, per lesione del diritto all'immagine o all'identità personale compiuta mediante l'inserimento nella rete telematica, attraverso un "news group", di frasi offensive, il "forum commissi delicti", ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente a decidere la causa a norma dell'art. 20 c.p.c., è stato, con analoga argomentazione, individuato nel luogo di verificazione dei danni in conseguenza dell'evento diffamatorio, facendolo, quindi, coincidere con il luogo in cui il 186 In senso contrario si era espressa, peraltro la stessa Cassazione civile che, a norma dell'art. 20 c.p.c., aveva individuato il foro competente nel giudice della località dove sono situati gli studi televisivi nei quali è stato realizzato e diffuso il programma televisivo, sez. III, 14 luglio 2000, n. 9369 Soc. Rti c. Sgarbi Giust. civ. Mass. 2000, 1553, e in Giust. civ. 2000, I,2870. 217 soggetto offeso ha il proprio domicilio, atteso che, essendo il domicilio la sede principale degli affari e degli interessi, esso rappresenta il luogo in cui si realizzano le ricadute negative dell'offesa alla reputazione e, comunque, gli effetti del discredito187. Analoghe conclusioni, per quanto riguarda la competenza, valgono nel caso di notizie divulgate da Agenzia di Stampa, che ledano l'immagine o l'identità personale. Infatti, in tal caso, il forum commissi delicti, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente ai sensi dell'art. 20 c.p.c., non può essere identificato nel luogo in cui la notizia diffamatoria è stata resa pubblica attraverso la stampa, atteso che che manca la testata in senso materiale e considerato che i dispacci di agenzia vengono trasmessi per via telematica, con una diffusione potenzialmente globale. La contestualità della diffusione delle notizie da parte degli abbonati, rende inapplicabile la presunzione di priorità temporale della pubblicità delle stesse nel luogo in cui vengono diffuse, che è alla base, in caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa periodica, dell'individuazione del giudice competente con quello del luogo in cui il periodico viene stampato. Per tale ragione trovano applicazione i principi elaborati in riferimento all'illecito commesso con l'impiego di strumenti di comunicazione a diffusione multipla e generalizzata, che conducono ad 187 V. Tribunale Roma, sez. II, 16 febbraio 2005 Coni c. L. - Juris Data – Ed. Giuffrè; Cassazione civile , sez. III, 08 maggio 2002, n. 6591, in Resp. civ. e prev. 2002, 1327 218 identificare il forum commissi delicti nel luogo in cui si sono verificati i danni, patrimoniali e non, derivanti dall'evento diffamatorio, ovvero nel luogo in cui il soggetto offeso aveva il proprio domicilio all'epoca del fatto188. § 9 – PROCEDIMENTO CAUTELARE NELLA LESIONE DELL'IMMAGINE A MEZZO STAMPA Si è parlato della competenza per territorio (con accenni anche alla giurisdizione italiana rispetto a quella dei giudici stranieri) in ordine agli illeciti nella materia di cui trattasi, commessi a mezzo stampa. Occorre, peraltro, sottolineare che, in questo caso, la tutela cautelare dell‟immagine attraverso l‟emanazione di provvedimenti ex art.700 c.p.c., trova un rilevante limite nell‟art. 21, comma 3, Cost., il quale pone un generale divieto di sequestro di stampati, salvo vi sia un atto motivato dell‟autorità giudiziaria nel caso di delitti per il quale la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, oppure di violazione delle norme che la stessa prescrive per l‟indicazione dei responsabili. Non è sufficiente, quindi, la sussistenza di un illecito civile -al quale ci si riferisce nel presente lavoro- per ottenere un provvedimento di natura cautelare . 188 V., in tal senso, Cassazione civile , sez. I, 23 settembre 2005, n. 18665 - Ansa c. Barbieri - Giust. civ. Mass. 2005, 6 219 Si è, pertanto, posto il problema di stabilire quale sia, sotto questo profilo, il giusto punto di equilibrio tra l‟esigenza di una tutela urgente (cautelare) del diritto all‟immagine e/o all‟identità personale, e la libertà di manifestazione del pensiero, anch‟essa posizione costituzionalmente garantita. Come ha avuto occasione di precisare la Corte Costituzionale in due note pronunce189, la ratio dell‟art. 21, comma 3, Cost. risiede nell‟esigenza di salvaguardare la libertà di stampa in quanto strumento di diffusione del pensiero, ed il divieto posto dallo stesso riguarda la censura preventiva, vale a dire il controllo preventivo sulla stampa, circostanza confermata dal riferimento proprio alla misura del “sequestro”. Da queste considerazioni discendono due principali conseguenze. Innanzi tutto, poiché l‟art. 21, comma 3, Costituzione pone determinati limiti per evitare esclusivamente provvedimenti cautelari che impediscano la libera circolazione delle pubblicazioni, non può ritenersi preclusa, viceversa, la possibilità di irrogare una sanzione per fatti illeciti accertati con sentenza definitiva, attraverso la condanna ad un non facere consistente nell‟ordine di non reiterare la condotta lesiva di diritti altrui e anche in un facere specifico, consistente nel ritiro della pubblicazione che ha leso quelli che sono, alla stessa stregua, valori altrettanto costituzionali. 189 Corte Cost. 9/7/1970 n. 122, in F. it., 1970, I, 2294, e Corte Cost. 12/4/1973 n. 38, in Giust. civ., 1973, III, 173. 220 Inoltre, allo stesso modo, poiché questa disposizione si riferisce agli “stampati”, vale a dire al materiale stampato attraverso cui si estrinseca il pensiero umano, non impedisce la possibilità di tutelare il diritto in questione attraverso la misura del sequestro di immagini, purché non ancora pubblicate, vale a dire rispetto a quelle attività strumentali ed a quelle cose che, trovandosi nella disponibilità di un‟impresa giornalistica, possono essere considerate destinate alla pubblicazione, in quanto in tal caso il provvedimento urgente non incide sulla stampa ma su atti preparatori. È da escludere, quindi, in linea di principio, l'emanazione di misure cautelari, in particolare di un sequestro, o di un provvedimento ex art. 700 c.p.c., ovvero di altri provvedimenti atipici che producano effetti analoghi al sequestro, da parte del giudice civile, al di fuori dei casi in cui ricorrano le condizioni previste nella norma costituzionale, e pertanto, al fine, ad esempio, di ottenere misure restrittive della circolazione di un libro, costituente estrinsecazione del diritto di libera manifestazione del pensiero, ancorché contenente l'attribuzione di fatti di reato a carico di una persona determinata190. Una eccezione, in ordine alla possibilità di emanazione di provvedimenti cautelari in materia di stampa è contenuta, peraltro negli articoli 156 e segg. della legge 22 aprile 1941, n. 633 - Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, successive modifiche e integrazioni, le quali 190 V., in tal senso,Tribunale Torino, 14 maggio 2004, Giur. merito 2005, 4 847. 221 consentono la emanazione di provvedimenti in argomento, che comunque, si riferiscono ad aspetti economici191. Ci si è chiesti se tali norme, peraltro modificate dopo l'entrata in vigore della Costituzione e anche di recente, possano ritenersi legittime con riferimento al contenuto dell'articolo 21 Costituzione, e non è mancato chi, dando una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina, ha escluso la possibilità di concedere provvedimenti di urgenza, che, di fatto, si risolvano in limiti alla libertà di stampa192. Ad avviso di chi scrive, è da escludere, in linea di 191 Art. 156: 1. Chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtù di questa legge oppure intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta sia da parte dell'autore della violazione che di un intermediario i cui servizi sono utilizzati per tale violazione può agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia vietato il proseguimento della violazione. Pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. 192 Tribunale Milano, 22 novembre 1999, in Dir. autore 2000, 147: “La libertà di manifestazione del pensiero a mezzo stampa non può essere compressa da misure cautelari civili (nella specie, sequestro degli esemplari stampati o inibitoria dell'ulteriore diffusione) se non nei casi in cui la legge espressamente le autorizzi e sempre che a mezzo degli stampati sia stato commesso un delitto. Può, invece, ammettersi inibitoria di proseguire nella stampa o ristampa del libro, giacché tale provvedimento non appare nè strutturalmente nè funzionalmente equiparabile al sequestro di stampati.” 222 principio, che la norma in questione, la quale tutela la libertà di manifestazione del pensiero, si risolva, sempre e comunque, nella prevalenza di questo rispetto a qualunque altro, con la conseguenza che ogni qualvolta si pone un possibile contrasto tra il principio di libertà di manifestazione del pensiero e quello di tutela degli altri diritti della persona, deve procedersi ad un giudizio di comparazione e di prevalenza, alla stregua dei criteri previsti dalla legge o desumibili dai principi dell'ordinamento. Va poi considerato che, di frequente, la violazione del diritto all'immagine, specialmente quando questa va a confluire nel diritto all'identità personale, costituisce illecito oltre che civile anche penale: in questo caso, il provvedimento cautelare da parte del giudice civile, dovrebbe ritenersi consentito, qualora questi sia investito della cognizione di fatti integranti gli estremi di un delitto commesso a mezzo della stampa193. 193 V. Tribunale Napoli, 16 dicembre 2003, in Dir. informatica 2004, 83, che contiene delle interessanti riflessioni sulla ratio che ha ispirato il costituente in sede di formulazione dell'articolo 21. Si legge: “Il divieto di sequestro, a tutela della libertà di manifestazione del pensiero, opera essenzialmente in un ambito intimamente «pubblicistico», a tutela appunto di situazioni giuridiche soggettive qualificate - prima che «diritti» - «libertà». In altre parole, il costituente, all'indomani del ripristino della democrazia, ha voluto tutelare essenzialmente e in primo luogo la libertà «politica» di informazione, senza peraltro voler dare a questo la prevalenza, ove tale libertà vada a scontrarsi con l'altrui diritto all'onore e alla reputazione o con altri diritti costituzionalmente garantiti. . . “ 223 In ogni caso va osservato, infine, che la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale 29/4/2004 n.48 04/48/CE, attuata in Italia il Decreto legislativo di attuazione 16 marzo 2006 n. 140, che ha modificato, appunto, tra l'altro, gli artt. 156 e segg. della legge sul diritto d'autore n. 633 del 22 aprile 1941, ha introdotto specifiche disposizioni194. Precisamente, la direttiva in questione, dopo avere fissato all'articolo 4 i criteri per la individuazione dell'autore di un'opera letteraria e artistica, a tutela del diritto d'autore, all'art. 9 “Misure provvisorie e cautelari” stabilisce testualmente che gli Stati membri assicurano che le competenti autorità giudiziarie possano, su richiesta dell'attore: “a) emettere nei confronti del presunto autore della violazione un'ingiunzione interlocutoria volta a prevenire qualsiasi violazione imminente di un diritto di proprietà intellettuale, o a vietare, a titolo provvisorio e, imponendo se del caso il pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, ove sia previsto dalla legislazione nazionale, il proseguimento di asserite violazioni di tale diritto, o a subordinare l'azione alla costituzione di garanzie finalizzate ad assicurare il risarcimento del titolare; un'ingiunzione interlocutoria può inoltre essere emessa, alle stesse condizioni, contro un intermediario, i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale; ingiunzioni contro intermediari i cui 194 V. in commento alla Direttiva Luca Nivarra L'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale dopo la direttiva 2004/48/CE, in Riv. dir. ind. 2005, 1, 33. 224 servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto d'autore o un diritto connesso sono contemplate dalla direttiva 2001/29/CE; b) disporre il sequestro o la consegna dei prodotti sospettati di pregiudicare un diritto di proprietà intellettuale per impedirne l'ingresso o la circolazione nei circuiti commerciali, con cessazione degli effetti, su richiesta del convenuto, se l'attore non promuove un'azione di merito dinanzi all'autorità giudiziaria competente entro un periodo ragionevole. Come si può rilevare, in adempimento degli obblighi comunitari, l'Italia ha dovuto ampliare i casi di intervento da parte del giudice civile, in sede di provvedimento d'urgenza, in materia di stampa. Le ipotesi che giustificano tale intervento si muovono –ad avviso di chi scrive– nel senso delineato nell'ordinanza del tribunale di Napoli, riportata in nota, che si condivide pienamente. Invero, va considerato che, se la libertà di manifestazione del pensiero è un principio irrinunciabile, deve ritenersi comunque possibile l'intervento cautelare del giudice civile, a tutela di altri valori che hanno altrettanto rilievo costituzionale. D'altra parte, attesa la unitarietà della giurisdizione, deve ritenersi sufficiente e adeguata nel merito la valutazione di un Giudice, anche se civile, in ordine alla sussistenza di una violazione di diritti della personalità, quali appunto quello all'immagine e all'identità personale, che giustifichi non la compromissione della libertà di stampa, come principio, bensì la emanazione di provvedimenti cautelari, quando si accerti che dietro il principio di cui 225 all'articolo 21, in concreto si va a celare un abuso da parte dell'agente. 226 CAPITOLO 9 IL RISTORO DEL DANNI DA LESIONE DELL'IMMAGINE E DELL'IDENTITÀ PERSONALE. LA RETTIFICA DELLE NOTIZIE § 1 Il risarcimento del danno; patrimoniale; § 3 Conclusioni § 2 Il danno non § 1 IL RISARCIMENTO DEL DANNO Nell‟esaminare gli strumenti messi a disposizione dall‟ordinamento giuridico a favore del soggetto, che abbia subito la lesione di un diritto all'immagine o all'identità personale, va riservata una particolare attenzione ai rimedi sostanziali che l'ordinamento italiano appresta al danneggiato, in quanto la tematica di uno di questi rimedi, in particolare quello riparatorio del risarcimento “per equivalente” -specie del danno non patrimoniale- ha ricevuto, negli anni più recenti, interessanti impulsi ad opera della dottrina e della giurisprudenza, appunto con riguardo alla violazione di posizioni soggettive costituzionalmente garantite . In linea generale, il risarcimento, come riparazione per la l'illecito subito, può consistere nella rimozione diretta dell'effetto della lesione, quindi risarcimento “in forma specifica” oppure nella compensazione pecuniaria del danno ingiusto sofferto, risarcimento, appunto, “per equivalente”. Della rimozione diretta si è in parte parlato, allorquando si è trattato della nozione di inibitoria, nel duplice significato sostanziale e processuale. Ora, la rimozione diretta del pregiudizio derivante dalla lesione non sempre è possibile, atteso che certi 227 fatti producono, con il solo venire in essere, la lesione del bene, per cui, salvo i rari casi in cui con un provvedimento d'urgenza si riesca a paralizzare sul nascere gli effetti pregiudizievoli della lesione -questo soprattutto se l'illecito è in fieri- qualunque dichiarazione o qualunque atto di senso contrario imposti dal giudice al danneggiante, spesse volte sono inadeguati, talvolta costituiscono soltanto dei palliativi inefficaci e, talora, possono essere fonte, a loro volta, di ulteriore danno all'immagine e all'identità personale195. Nel caso, appunto, in cui la lesione sia intervenuta, a mezzo stampa, l‟art. 8. l. n. 47/1948 prevede la vera e propria “rettifica”. Di conseguenza il direttore dell‟organo di stampa (o il responsabile) è tenuto a fare inserire gratuitamente nel periodico o nel quotidiano le dichiarazioni del soggetto di cui sia stata pubblicata l‟immagine oppure a cui siano stati attribuiti atti e frasi o pensieri lesivi della dignità o, comunque, contrari a verità. Dalla formulazione della norma emerge come questo strumento di tutela non venga in considerazione esclusivamente a fronte di notizie diffamatorie, quindi idonee a violare l‟onore, il decoro o la reputazione di una persona, ma anche per porre 195 Basti pensare a talune rettifiche che gli organi di stampa pongono in essere, su richiesta del danneggiato, che hanno l'effetto perverso di far conoscere anche a chi la notizia era sfuggita in sede di pubblicazione la comunicazione lesiva, soprattutto se accompagnata -come spesso succede- da un ambiguo breve commento, non per questo meno micidiale della notizia a suo tempo divulgata. 228 rimedio ad un‟alterazione dell‟identità di un soggetto, di cui sia stata fornita all‟esterno una inesatta rappresentazione, a causa di un travisamento del proprio patrimonio culturale, ideologico, professionale, politico, religioso. La rettifica può, sotto alcuni profili, essere considerata una sorta di risarcimento in forma specifica -peraltro particolarmente efficace se si considera che alla stessa deve essere riservata la medesima evidenza grafica data alla notizia errata196sebbene, a rigore, non comporti un accertamento della verità ma, piuttosto, un accesso privilegiato della persona lesa al mezzo di comunicazione, al fine di garantire una maggiore dialettica informativa197 . Dei rischi di tale mezzo di tutela si è accennato in una delle ultime note. Non deve escludersi, di conseguenza, che il soggetto la cui identità personale abbia subito un‟alterazione possa conservare l‟interesse a coltivare anche un‟azione di accertamento della verità; pertanto la rettifica può essere considerato un mezzo ulteriore a tutela dello stesso interesse198. Va, infine, ricordato che una diretta riparazione del pregiudizio subito a seguito di una violazione di un diritto della personalità può essere effettuata anche attraverso la pubblicazione, in uno o più giornali, della decisione con la quale è accertata l‟avvenuta 196 Tribunale Roma, 21/10/1992, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 637. 197 Cass. civile, 22/6/1985 n. 3769, in Foro it., 1985, I, 2211. 198 Zeno Zencovich, La rettifica: diritto soggettivo o rimedio processuale?, in Dir. inf., 1986, 945. 229 violazione: a parte la previsione contenuta nell‟art. 186 del codice penale, relativa ai casi di reato, l‟art. 120 c.p.c. prevede, infatti, in generale la possibilità per il giudice civile di disporre su istanza di parte la pubblicazione della sentenza, nei casi in cui può contribuire alla riparazione del danno. Tuttavia non è detto che questo sia sempre uno strumento atto per rimediare a lesioni di diritti della personalità: infatti laddove sia lamentata, in particolare, la violazione di un diritto come la privacy, una pubblicità ulteriore di certi fatti, invece di attenuare le conseguenze pregiudizievoli subite dall‟interessato, potrebbe determinare un peggioramento della concreta situazione. A tale proposito, è noto, nel migliore dei casi il malvezzo di pubblicare talora le rettifiche in modo tale che di fatto sfuggano all'attenzione dei lettori, oppure corredate di un ulteriore commento, che, di fatto, va a costituire una ulteriore denigrazione della persona danneggiata. Sono, quindi, da condividere quelle decisioni che impongono all'organo di stampa di dare alla notizia di senso contrario lo stesso risalto che è stato dato a quella denigratoria199. 199 V. ad esempio, Pretura Roma, 02 giugno 1980, in Foro it. 1980, I,2046, che, in sede di provvedimento d'urgenza, avanzata dall'esponente di un movimento politico (Partito Radicale) che lamentava la lesione del diritto all'identità personale, propria e del partito rappresentato, conseguente alla pubblicazione su un quotidiano nazionale ("Paese Sera") di un articolo in cui, senza distinguere tra notizia e commento, si prospettava la collusione con altra forza politica (Democrazia Cristiana) 230 Ma non sempre, per come già si è detto nelle pagine che precedono, è possibile conseguire la rimozione degli effetti della lesione mediante un contrarius actus, imposto al danneggiante, per cui è più frequente il ricorso a una misura pecuniaria riparatoria. La corresponsione di una somma di denaro per compensare il pregiudizio sofferto, diretta a ristorare il danneggiato delle conseguenze negative subite a causa della lesione di una propria posizione soggettiva giuridicamente rilevante, rappresenta, pertanto, la forma più comune di tutela (e si può anche dire, di maggiore afflittività della pena per il danneggiante). La liquidazione, vale a dire la traduzione in termini monetari del danno patito, avverrà tenendo conto di parametri diversi a secondo della tipologia di pregiudizio lamentato, patrimoniale e/o non patrimoniale, che va provato secondo le regole allo scopo di negare l'autorizzazione a procedere in giudizio contro alcuni parlamentari e si affermava, inoltre, in contrasto con la realtà dei fatti, il successo della presunta manovra dilatoria, riteneva che l'ambito della tutela della ricorrente non fosse esaurito dalla pubblicazione, tardiva e non conforme alle modalità previste dall'art. 8 della legge sulla stampa, di una lettera di rettifica, per cui ordinava l'ulteriore pubblicazione, con qualche modifica, nella stessa pagina del giornale in cui era comparso l'articolo all'origine della controversia, unitamente al dispositivo dell'ordinanza di accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c. che era stato proposto. . 231 ordinarie (più rigoroso il primo, anche per presunzioni e per notorio, il secondo). Accantonando provvisoriamente la tematica del danno non patrimoniale, che sarà esaminata nel successivo paragrafo, per quanto concerne quello di natura patrimoniale va immediatamente precisato che dall‟illegittima divulgazione di un‟immagine può derivare, innanzi tutto, un pregiudizio pari al c. d. “prezzo del consenso”200, da rendere in termini monetari, avendo riguardo alla quotazione pubblicitaria del soggetto raffigurato, per prestazioni equivalenti rese nel periodo in cui è stato commesso l'illecito, oppure all'indebito guadagno percepito dal soggetto (ad esempio, l'editore di un rotocalco) che ha diffuso l'immagine, ricavandone un beneficio economicamente valutabile, o anche alla sottratta possibilità dello sfruttamento dell'immagine del soggetto danneggiato, quindi al rischio di una minore appetibilità, a causa del c.d. "inflazionamento" o “annacquamento”, dovuto alla pubblicazione (abusiva) dell'immagine (e chiaramente, in questo caso, ci si riferisce alla divulgazione eccessiva del ritratto di una persona nota nel mondo dello spettacolo, dell'arte o dello sport). Pertanto anche nel nostro ordinamento è da ritenersi salvaguardata quella posizione soggettiva che nell'esperienza nordamericana è chiamata right of publicity; infatti, sebbene non esista un autonomo diritto personale avente ad oggetto la propria 200 Per la lesione del diritto all'identità personale, invece, chiaramente, non si potrà mai parlare di prezzo del consenso. 232 notorietà, tuttavia quest‟ultima ha una tutela assicurata attraverso quella che ricevono il nome o l'immagine della persona. Va, peraltro, precisato che, non soltanto il personaggio famoso, ma anche una persona non nota può subire un pregiudizio a causa della illegittima diffusione della propria immagine; in tal caso, può risultare maggiormente difficoltosa non soltanto l‟esatta determinazione del pregiudizio subito, non potendo farsi ricorso a certi parametri (ad esempio la quotazione pubblicitaria del ritratto per prestazioni equivalenti), ma finanche la precisa individuazione del pregiudizio201. 201 V., ad esempio, Cassazione civile , sez. I, 25 marzo 2003, n. 4366. Nella fattispecie, (il caso riguardava la pubblicazione da parte di una rivista di moda, senza consenso, di tre foto di una donna, risalenti a 25 anni addietro, all'epoca modella, ma adesso fuori del mondo patinato) la Suprema Corte, pur riconoscendo l'illiceità della pubblicazione, in quanto era mancato il consenso dell'interessata, e pur ammettendo in linea di principio che anche la persona non nota può subire un pregiudizio patrimoniale e/o non patrimoniale per l'illecita pubblicazione, in concreto negò, appunto, il risarcimento, con il rilievo che non può parlarsi di danno in re ipsa, ma che il pregiudizio, morale o patrimoniale che sia, attesa la maggiore ampiezza dell'illecito in questione rispetto a quello che si realizza nel caso di lesione del decoro, dell'onore o della reputazione, deve essere provato secondo le regole ordinarie, prova, che, nel caso in esame, non era stata fornita, neppure approssimativamente, per cui non poteva farsi ricorso neppure alla valutazione equitativa del danno ai sensi dell'art 1226 cc, che legittima il giudice alla determinazione del danno secondo equità, quando questo sia certo, ma ne è incerto l'ammontare i termini pecuniari. 233 Oltre alla corresponsione di una somma di denaro equivalente al pregiudizio subito, il nostro ordinamento prevede, per come si è appena accennato, la forma di tutela del risarcimento in forma specifica, che dovrebbe costituire, a rigore, la forma principale di eliminazione del pregiudizio. Secondo la tesi maggioritaria202, infatti, la diretta eliminazione degli effetti della lesione, mediante la rimozione della causa dell'illecito e delle sue conseguenze, rientra, per come si è detto, nel genus risarcitorio, costituendo nel nostro ordinamento, assieme al risarcimento per equivalente, uno dei modi ordinari attraverso cui si può porre rimedio al danno ingiusto. A sostegno di questa tesi, si mette in evidenza come il risarcimento in forma specifica presenti la caratteristica tipica dello strumento risarcitorio, costituendo una forma di reintegrazione dell‟interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del dovere di salvaguardia del diritto altrui (o del rapporto obbligatorio, laddove venga in rilievo un inadempimento). Per come già detto, è da precisare che questo strumento sostanziale non va confuso con altre tecniche di tutela che, in realtà, si collocano su piani 202 Castronovo, Il risarcimento del danno in forma specifica come risarcimento del danno, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti , a cura di Mazzamuto, I, Napoli, 1989, 481; C. M. Bianca, Diritto civile. Vol. V: la responsabilità, Giuffrè editore, Milano; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo. Tomo I, Giuffrè editore, 2005. 234 diversi, sebbene contigui203, come l‟azione di esatto adempimento, l‟esecuzione forzata in forma specifica (che è finalizzata all‟attuazione coercitiva di un diritto), nonché l‟inibitoria (quale forma di tutela preventiva), strumento processuale, di cui si è scritto nel capitolo che precede. Poiché il risarcimento in forma specifica non costituisce una forma eccezionale né sussidiaria di risarcimento, bensì uno dei modi mediante cui è possibile reagire al danno subito -rimedio che, pur essendo previsto ex. art. 2058 c.c. in materia di responsabilità extracontrattuale, è ritenuto applicabile anche all‟inadempimento- può concernere anche i diritti della personalità. In ogni caso dovrà tenersi conto dei due limiti generali posti dall‟art. 2058 c.c. all‟utilizzabilità di questo rimedio, vale a dire la effettiva possibilità di farvi ricorso e la non eccessiva onerosità per il debitore; di conseguenza non potrà essere disposto se comporta un costo ampiamente sproporzionato rispetto all‟entità del pregiudizio ed al vantaggio recato a favore del creditore. Accertata con sentenza definitiva l‟illegittima violazione del diritto, pertanto, potrà essere disposto, a favore del soggetto che abbia subito un pregiudizio all‟immagine o un travisamento della propria identità personale (anche, ad esempio, attraverso la falsa attribuzione di opinioni o di comportamenti), a titolo di risarcimento in forma specifica, il compimento da 203 Salvi, Il risarcimento del danno in forma specifica, , in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, I, Napoli, 1989. 235 parte del danneggiante di tutti quegli atti idonei all‟eliminazione del pregiudizio e della sua fonte, come il ritiro dal commercio dell‟opera lesiva (libro, film, rivista ecc.), oppure la distruzione della stessa, o la cancellazione di quelle frasi o parti ritenute pregiudizievoli, eventualmente accompagnata da una risposta da parte del soggetto interessato, oppure la divulgazione, con lo stesso mezzo e la medesima ampiezza dati al comportamento abusivo, della esatta opinione dell'interessato. § 2 IL DANNO NON PATRIMONIALE 2-a) La tematica del danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti, ha ricevuto negli ultimi anni interessanti impulsi grazie all‟opera della dottrina e della giurisprudenza, le quali, dopo avere dapprima ricondotto la fattispecie della lesione di tali diritti nell'alveo dell'articolo 2043 c.c., sulla base di una lettura costituzionalmente orientata di tale disposizione, provocata da ripetute rimessioni alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell'articolo 2059 c.c, infine hanno portato ad una nuova lettura dell‟art. 2059 c.c., anche questa “costituzionalmente orientata”, tale da superare gli stringenti limiti a cui, secondo l‟interpretazione tradizionale di tale norma, era sottoposta la risarcibilità di questa tipologia di pregiudizio. 2-b) Sul punto, nel capitolo concernente gli enti collettivi, e precisamente nel paragrafo relativo alle 236 persone giuridiche pubbliche, si è scritto della interpretazione restrittiva che la Corte dei conti diede, con la sentenza n. 10 del 2003, all‟articolo 2059 c.c., limitandone l‟ambito al danno c. d. “morale”, sulla base delle pronunce del Giudice di legittimità e del Giudice delle leggi, sino ad allora intervenute, con la conseguenza che, al fine di giustificare giuridicamente il ristoro degli altri danni di natura non patrimoniale, ritenne di ricondurli nell‟alveo dell'articolo 2043 c.c.. La Corte dei conti, in tale sede, soprattutto, sulla base delle argomentazioni contenute nell'ordinanza della Corte costituzionale 22 luglio 1996, n. 293, accolse e fece propria, accanto a quelle del danno patrimoniale e del danno morale, una terza categoria, e cioè quella del danno esistenziale, anche questa relativa ai danni non patrimoniali, al pari di quella del danno morale, nella quale fare confluire oltre il danno biologico (costituzionalmente riconosciuto ai sensi dell'articolo 32 Costituzione), anche gli ulteriori danni risarcibili, in quanto conseguenti a lesione di altri diritti fondamentali, come, appunto, quelli all'immagine e all'identità personale. Mediante tale ricostruzione teorica, affermò la risarcibilità, da parte dello stesso giudice contabile, dei danni all'immagine e all'identità personale, subiti da enti pubblici, e altri soggetti a questi assimilati ai fini della giurisdizione contabile (ad esempio le società aventi come unico socio lo Stato: ad esempio l'ANAS). La elaborazione sistematica di tale terza categoria, costituita dal danno esistenziale, peraltro, è stata ripudiata in prosieguo dalla Suprema Corte di 237 Cassazione, in ultimo con la sentenza delle Sezioni Unite civili 11 novembre 2008, n. 26973204. 2-c) A prescindere dalla sistemazione teorica data alla materia205, va rilevato, peraltro, che, posto che immagine ed identità personale godono di un indubbio fondamento costituzionale, la tutela di queste posizioni soggettive, nella sostanza è risultata arricchita da questo travaglio giurisprudenziale (con connotazioni dottrinarie), nel senso che sembrerebbero definitivamente (si spera) fugati i dubbi in ordine alla possibilità di riconoscere al titolare del diritto il risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi, che, proprio per il loro alto valore e per l'attinenza a diritti fondamentali dell'uomo, si presentano di solito, come tali, di natura non patrimoniale, in quanto insuscettibili, secondo la coscienza sociale, di valutazione economica, e ciò non perché di scarsa valenza, bensì, all'opposto, perché una commisurazione, secondo schemi rigidamente patrimoniali, sarebbe semplicemente riduttiva. 2-d) Si è detto che la disposizione fondamentale civilistica riguardo al danno aquiliano e contenuta nell'articolo 2043, che fissa condizioni e presupposti. Il successivo articolo 2059 dispone, però, come limite al risarcimento, che il danno non patrimoniale è risarcito solo nei casi determinati dalla legge. Secondo 204 in F. it. 2009, I, 120 e segg. con note . e che, ad avviso di chi scrive, è più compito della dottrina che non della giurisprudenza, la quale dovrebbe esprimere solo giudizi su casi concreti e non operare costruzioni sistematiche della materia giuridica 205 238 l'interpretazione tradizionale la disposizione consentiva il risarcimento di questo tipo di pregiudizio, esclusivamente nel caso della sussistenza di una norma primaria, che contemplasse espressamente la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, e, quindi, soltanto se, per quella tipologia di fatto illecito, vi fosse stata da parte del legislatore un‟esplicita previsione in tal senso. Si è accennato al fatto che, all‟epoca dell‟emanazione del codice civile del 1942 l‟unica previsione esplicita era quella contenuta nell‟art. 185 c.p. (danno conseguente a reato), mentre soltanto in seguito sono state introdotte altre ipotesi di riconoscimento espresso del risarcimento dei danni non patrimoniali (ad esempio, quello che derivi da privazione della libertà personale, nei casi di responsabilità civile del giudice, ai sensi dell'articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, quello per illecito trattamento di dati personali, quello derivante da irragionevole durata del processo206, ex lege n. 89 del 2001, della quale si è già detto). 206 A questo proposito, va peraltro precisato che la Suprema Corte di Cassazione, al fine di arginare le numerose richieste di risarcimento del danno non patrimoniale per lungaggini processuali, soprattutto per i ritardi di decenni accumulati nei giudizi amministrativi, ha escluso categoricamente la sussistenza di un danno non patrimoniale per l'ansia dell'eccessivo prolungarsi del giudizio, e, quindi, per il perdurare dell'incertezza sull'assetto delle posizioni coinvolte dal dibattito processuale, in presenza dell'originaria consapevolezza dell'inconsistenza della propria pretesa (ma il discorso, che vale per il ricorrente, ovviamente potrebbe non valere per l'eventuale controinteressato innocente coinvolto nella lite): 239 Pertanto per lungo tempo prevalse la tesi secondo cui l‟art. 2059 c.c. dovesse essere letto, essenzialmente, in rapporto all‟art. 185 c.p. che, prevedendo, in caso di reato, l‟obbligo per il colpevole del risarcimento del danno patrimoniale e non, andava a rappresentare, se non proprio l‟unica, sicuramente la più significativa ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale207. Secondo l‟impostazione giuridica tradizionale, quindi, il danno non patrimoniale, risarcibile nei limiti fissati dall'art. 2059 c.c., andava ad identificare e ad esaurire, in buona sostanza, col c.d. “danno morale soggettivo”, vale a dire quei patimenti dell‟animo e sofferenze spirituali derivanti da una fattispecie di reato. Si metteva in evidenza, in particolare, come il principio della irrisarcibilità dei danni non patrimoniali, e –viceversa- della generale risarcibilità ex art. 2043 c.c. di quelli patrimoniali, fosse collegato alla tradizionale concezione del diritto privato, quale sistema posto a tutela di interessi economici; per questa ragione le posizioni soggettive insuscettibili di diretta valutazione economica, e salva la possibilità di ricorrere alla valutazione equitativa del danno (comunque patrimoniale) ex art. 1226 c.c., dovevano essere considerate irrisarcibili, salvo ipotesi specifiche connotate dalla rilevanza pubblica di taluni valori (proprio come nel caso di danni da reato, posto che le V. Cass. Sez. I 22 ottobre 2008, n. 25595, in Mass. Giur. it. anno 2008. 207 Bonilini, Danno morale, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, V, Torino, 1989. 240 norme penalistiche tutelano proprio beni-interessi di rilievo pubblico)208. In dottrina, peraltro, non mancavano alcune voci discordanti, orientate verso un generalizzato riconoscimento della risarcibilità del danno non patrimoniale in tutte le ipotesi di lesione di diritti fondamentali dell‟uomo, sul presupposto che le specifiche norme statuenti espressamente la risarcibilità di danni personali dovessero essere intese come espressione del generale principio di tutela della persona umana sancito ex artt. 2 e 3 della Costituzione209. Questa esposizione dei principali orientamenti del passato, relativi al danno non patrimoniale, rappresenta il necessario presupposto per meglio comprendere tutte le questioni attinenti alla tutela risarcitoria del diritto all‟immagine e del diritto all‟identità personale. Poiché, infatti, era nettamente prevalente l‟interpretazione tradizionale dell‟art. 2059 c.c., secondo cui la disposizione in questione si riferiva esclusivamente al caso in cui il fatto dannoso rivestiva carattere di reato210 non erano poche le difficoltà 208 Alpa e Bessone, Danno non patrimoniale, in La responsabilità civile, V, Torino, 1987. 209 G. B. Ferri, in Rdcomm, 1984, I, 151; Rabitti Bedogni, in Giustizia civile, 1986, I, 570. 210 Interpretazione, peraltro, che aveva un preciso riferimento nella stessa relazione al codice civile, secondo la quale «soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo». 241 incontrate al fine di riconoscere il risarcimento anche del pregiudizio non patrimoniale in capo all‟avente diritto, in altre ipotesi che apparivano anche queste meritevoli di tutela, seppur non collegate alla commissione di illeciti, costituenti reato. Accogliendo la lettura più restrittiva, basata sul necessario collegamento tra questa disposizione ed il disposto di cui all‟art. 185 c.p., infatti, si finiva per considerare risarcibile il danno non patrimoniale esclusivamente nelle ipotesi in cui fosse ravvisabile, accanto all‟abusiva divulgazione dell‟immagine e/o l‟alterazione dell‟identità personale, una fattispecie – quantomeno materiale- di reato, quindi un fatto lesivo di un interesse penalmente tutelato, come, ad esempio, l‟onore o la reputazione. In altre parole, la violazione del diritto all‟immagine ed all‟identità personale non era ritenuta sufficiente al fine di riconoscere all‟interessato, oltre al risarcimento del pregiudizio patrimoniale, anche quello di natura non patrimoniale, a meno che non si fosse nel contempo realizzata anche la lesione di un interesse rilevante per la legge penale (come, ad esempio, nel caso di attribuzione denigratoria di un certo comportamento, o divulgazione di un‟immagine tale da compromettere la dignità del soggetto ritratto e tale da fare ipotizzare quanto meno una diffamazione). Tuttavia non erano mancati tentativi rivolti al riconoscimento di una più ampia tutela risarcitoria, che prescindesse dalla sussistenza di una fatto materiale di reato, senza comunque ricorrere ad un‟interpretazione dell‟art. 2059 c.c. del tutto distaccata da quella tradizionale. 242 In particolare, era stato rilevato come la norma consentisse espressamente il risarcimento del danno non patrimoniale in tutti i “casi determinati dalla legge”, quindi, non soltanto nelle fattispecie costituenti reato, ma anche in altre ipotesi di norme diverse da quelle penali, che, prevedendo un illecito di natura civile, facessero generico riferimento al risarcimento del danno211. Di conseguenza, l‟esplicito riconoscimento da parte dell‟art. 10 c.c. del diritto al risarcimento del danno nel caso di illegittima divulgazione dell‟immagine, può avere senso soltanto se riferito al pregiudizio non patrimoniale, quindi al fine di precisare che quella fattispecie riceve una tutela in linea di principio omnicomprensiva212. Dalla pubblicazione illegittima di un‟immagine, infatti, un soggetto può subire delle conseguenze pregiudizievoli sia di natura patrimoniale (da valutare in relazione al c.d. “prezzo del consenso”), sia non patrimoniale, vale a dire insuscettibili di una diretta valutazione economica, secondo la coscienza sociale, e proprio a queste ultime si riferirebbe l‟art. 10 c.c.. 211 Questa risulta, appunto, la ricostruzione iniziale, riguardo alla risarcibilità dei danni non patrimoniali per lesione dell'immagine, effettuata dalla Corte dei conti – Sezioni riunite – n. 10 del 23 aprile 2003, richiamata nel paragrafo concernente il danno alle persone giuridiche pubbliche. 212 Breccia, Delle persone fisiche, in Comm. Scialoja – Branca, a cura di Galgano (artt. 1-10 c.c.), Bologna – Roma, 1988, 475 243 In caso contrario, infatti, la previsione sarebbe inutile, poiché la risarcibilità del danno ingiusto di natura patrimoniale è espressione di un principio generale sancito dall‟art. 2043 c.c., che non necessita, quindi, di esplicite statuizioni contenute in singole norme. Di conseguenza l‟art. 10 c.c. (ma ugualmente può dirsi per il diritto al nome ed allo pseudonimo ex artt. 7 e 9 c.c) poteva, secondo questa interpretazione, essere considerato uno di quei “casi determinati dalla legge” di cui all‟art. 2059 c.c. nei quali il danno non patrimoniale può essere risarcito. In tal modo, pertanto, da un lato veniva mantenuta ferma la tradizionale interpretazione dell‟art. 2059 c.c., secondo la quale è necessaria un‟esplicita previsione di legge al fine di ammettere la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale, dall‟altro, tuttavia, si svincolava la piena tutela del diritto all‟immagine dalla ricorrenza di una fattispecie materiale di reato, ritenendosi che la previsione di cui all‟art. 10 c.c. rappresentasse una delle ipotesi diverse ed ulteriori rispetto all‟art. 185 c.p.- di risarcibilità del danno non patrimoniale. Partendo da queste considerazioni, inoltre, la possibilità di riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale poteva essere ulteriormente ampliata, mediante un'interpretazione estensiva dell‟art. 10 c.c., ad altri aspetti della personalità, come l‟identità personale. Non soltanto nella dottrina, ma anche nella giurisprudenza anteriore al 2003 –anno in cui, come sarà evidenziato, si è imposta una lettura dell‟art. 2059 c.c. diversa da quella tradizionale- emergono 244 alcune incertezze ed oscillazioni in ordine alla via da percorrere per riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto all‟immagine ed all‟identità personale. Nella decisione relativa al caso -esaminato in precedenza- del sacerdote illegittimamente ritratto in un volantino elettorale213, ad esempio, dopo avere affermato che la pubblicazione integra la violazione del diritto all‟identità personale, protetto ex art. 2 Cost., in quanto l‟immagine era avulsa dal contesto originale ed inserita in uno diverso, con conseguente travisamento del patrimonio intellettuale, politico, ideologico del rappresentato, si riconosce anche il diritto al risarcimento del danno, da liquidare in via equitativa ex art. 1226 e 2056 c.c., tenuto conto della riconoscibilità del raffigurato, della entità della divulgazione, dei destinatari e dell'attitudine lesiva del testo a corredo. La sentenza, tuttavia, piuttosto che accogliere una interpretazione dell‟art. 2059 c.c. diversa da quella tradizionale, giunge al riconoscimento della risarcibilità del pregiudizio derivante dalla lesione dell‟identità personale mediante estensione della nozione di patrimonio, come qualcosa comprendente non soltanto utilità economiche, ma anche beniinteressi culturali, familiari e sociali. Accogliendo una nozione di patrimonio così ampia, il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ha finito, pertanto, per avere dei contorni molto ristretti, 213 Tribunale Verona, 26 febbraio 1996, Brutti c. Lega Nord e altro, in Giur. merito 1997, 32, cit. 245 identificandosi ed esaurendosi col danno morale soggettivo da reato. La problematica relativa alla risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale derivante dalla violazione di interessi aventi fondamento costituzionale, come immagine ed identità personale, è stata superata negli ultimi anni grazie all‟impulso della giurisprudenza che, dopo diversi tentativi, peraltro avallati dal Giudice delle leggi, di fare rientrare il risarcimento del danno non patrimoniale, in tali casi, nell'alveo dell'articolo 2043, mediante una lettura “costituzionalmente orientata” di questa norma, infine ha accolto una lettura dell‟art. 2059 c.c. più ampia rispetto a quella tradizionale e, in particolare, svincolata dal necessario collegamento all‟art. 185 c.p., quindi alla ricorrenza di un fatto di reato. 2-e) È da dire che è stato un percorso travagliato, che è incominciato, allorquando i giudici di merito, acquisita una maggiore sensibilità riguardo a casi di morte o di lesioni personali da incidente stradale, nei quali non era intervenuta pronuncia penale di condanna a carico del danneggiante, si sono posti il problema della risarcibilità del danno morale e di altri tipi di danno non patrimoniale, ad esempio, quello biologico, che in base alla dottrina e giurisprudenza non trovavano tutela, malgrado che riguardassero valori fondamentali dell'individuo. Le questioni, quindi, cominciarono ad essere sollevate, di solito alternativamente, con riguardo agli articoli 2043 e 2059 del Codice civile. 246 La ragione di tale scelta è evidente. Le norme di riferimento riguardo al danno aquiliano sono le due sopra citate. L'articolo 2043 prevede il risarcimento del danno ingiusto (senza alcuna specificazione se patrimoniale o non) causato da un fatto doloso o colposo. A sua volta, il successivo articolo 2059 stabilisce che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nei casi determinati dalla legge. La seconda disposizione limita, quindi, l'ambito della disposizione contenuta nell'articolo 2043. La Corte costituzionale con due pronunce di pari data n. 87 e n. 88 del 26 luglio 1979214, chiamata ad affrontare, rispettivamente, con il primo giudizio, una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2059 c.c., nella parte in cui, in correlazione con quanto disposto dall'art. 185 cod. pen., limita la risarcibilità dei danni non patrimoniali a quelli derivanti da fatti illeciti costituenti reato, e con il secondo una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2043 c.c., con riferimento agli articoli 3, 24 e 32 della Costituzione, riaffermò per entrambe la legittimità costituzionale, ribadendo con la prima decisione215, che non ha fondamento giuridico l'assunto riguardante la asserita sussistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto incondizionato al risarcimento del danno non patrimoniale, al di fuori delle ipotesi in cui il fatto 214 Entrambe in Juris Data – Ed. Giuffrè. Nella fattispecie si era verificato un incidente mortale da circolazione stradale e i due responsabili erano stati assolti dal giudice penale dal reato di omicidio colposo loro ascritto, rispettivamente, per difetto e per insufficienza di prove sull'elemento soggettivo. 215 247 costituisca reato, e con la seconda, che la questione appariva irrilevante, atteso che il danneggiato trovava tutela nell'articolo 2059 c. c., dal momento che per il fatto era intervenuta pronuncia penale di condanna nei confronti del convenuto. Meno di un decennio dopo, il Giudice delle leggi, venne chiamato di nuovo a pronunciarsi a seguito di una vicenda giudiziaria, anche questa avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale, sulla legittimità costituzionale dell'art. 2059 codice civile, nella parte in cui prevede che il c.d. danno biologico (inteso come danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute) sia risarcibile soltanto in conseguenza di un reato in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., sollevata proprio qualche mese dopo la pubblicazione della decisione di rigetto. Poteva apparire una vera e propria provocazione, ma la questione venne provvidenzialmente decisa sette anni dopo216, e quindi, dopo che erano maturati ulteriori tempi di riflessione. Questa volta la Corte, dopo avere dato atto che l'esame della legislazione e dei relativi lavori preparatori nonché della giurisprudenza e della dottrina induceva a ritenere che nella nozione di danno non patrimoniale, di cui all'art. 2059 c.c., vi fossero compresi soltanto i danni morali subiettivi, considerava che, in effetti, il danno evidenziato nell'ordinanza di rinvio, si riferiva chiaramente alla salute, bene 216 Sentenza 14 luglio 1986, n. 184, in Juris Data – Ed. Giuffrè. 248 giuridico costituzionalmente tutelato dall'art. 32 Cost., la cui lesione comporta di per se la menomazione biopsichica del soggetto offeso, mediante l'impedimento delle manifestazioni delle attività extralavorative non retribuite, che, accanto alle attività lavorative retribuite, esprimono, realizzandola, la salute in senso fisio-psichico della persona umana. Proprio in quanto espressione di un valore della persona, costituzionalmente protetto dall'articolo 32, la lesione di tale diritto meritava piena riparazione, che non poteva essere preclusa o limitata da legislatore alle ipotesi di reato. È vero che anche questa decisione fu formalmente di rigetto, ma con l'argomentazione secondo cui un problema di costituzionalità si sarebbe posto, se nell'ordinamento non fossero esistite altre norme o non fossero rinvenibili altri principi relativi al danno biologico e, pertanto, quest'ultimo fosse risarcibile solo ai sensi dell'art. 2059 c.c.. L'ulteriore passo della Corte fu che il collegamento tra l'art. 32 Cost. e l'art. 2043 c.c., imponendo una lettura "costituzionale" di quest'ultimo articolo, consentiva di interpretarlo come comprendente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: era la lettura "costituzionale" dello stesso articolo, da ritenersi una sorta di "norma in bianco", in quanto non indicava i beni giuridici la cui lesione era da ritenersi vietata, da individuarsi in altre norme -e per quel che qui interessa- nei precetti della Costituzione, quali valori fondamentali. E, infatti, portando l'esame all'articolo 2043 del Codice civile, nel cui alveo si ritenne che la questione 249 andasse risolta, la Corte sottolineò che per rendere pienamente efficace la tutela dei valori fondamentali, occorreva procedere ad “una rilettura costituzionale di tutto il sistema codicistico dell'illecito civile”, con la conseguenza che l'articolo 2043 andava esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma, con la sola esclusione dei danni morali soggettivi (per intenderci, la pecunia doloris, limitata ai casi di reato), di tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. Alla luce di tali argomentazioni, che hanno costituito la chiave di volta delle interpretazioni future, la Corte, con una decisione formalmente di rigetto, ha aperto le porte dell'ammissibilità del ristoro del danno non patrimoniale – a parte quello morale soggettivo, limitato alle ipotesi di reato217- , a tutte le ipotesi di lesione degli altri valori aventi rilevanza costituzionale. Con la successiva sentenza 27 ottobre 1994, n. 372, la Corte, sempre con formale riferimento all'articolo 32 della Costituzione, si spinse ad individuare un danno non patrimoniale risarcibile 217 Ma, anche a questo proposito -come si vedràoffrendo ulteriori aperture per i casi di illecito, molto prossimi a quelli penali: V., ad esempio, Cassazione civile , sez. III, 10 ottobre 2007, n. 21281, in Juris Data – Ed. Giuffrè. secondo cui la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e 185 c.p. non postula il positivo accertamento della colpa del danneggiante qualora questa, come nel caso di cui all’art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sia qualificabile come reato. 250 anche nel caso del danno morale, che, anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato d'angoscia transeunte, fosse degenerato in un trauma fisico o psichico permanente, con perdita in termini di qualità della vita, mentre con la successiva sentenza 22 luglio 1996, n. 293 tornava a ribadire che il danno morale, che non fosse debordato nei termini di cui si è appena detto e che fosse rimasto nell'ambito soggettivo, non essendo assistito dalla garanzia dell'art. 32 Costituzionale poteva essere discrezionalmente limitato dal legislatore a determinate ipotesi, come quelle, appunto, sanzionate dall'art. 185 cod. pen., cui rinvia sotto questo aspetto l'art. 2059 cod. civ. 2-f) Questo lo stato della giurisprudenza, allorquando, la Corte di Cassazione218, con due ormai celebri sentenze emesse nel 2003, nonché, nel medesimo anno, la Corte Costituzionale219, sono 218 Corte di Cassazione, 31/5/2003 nn. 8827 e 8828, in Foro it., 2003, I, 2272, con nota di Navarretta “Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente”. 219 Corte Costituzionale, 11/7/2003 n. 233, Foro it., 2003, I, 2201, con nota di Navarretta “La Corte Costituzionale e il danno alla persona in fieri”. Va, peraltro, rilevato come l'ampliamento della portata della disposizione contenuta nell'articolo 2059 ad altre ipotesi di illecito diverse dal reato, in concreto ha costituito – nella sentenza – un obiter dictum, dal momento che, in buona sostanza, la Corte ha di fatto ampliato – per giustificare la risarcibilità del danno non patrimonale – l'ambito di operatività dell'articolo 185, facendo rientrare nella nozione di reato, ivi contemplata, qualunque caso di attribuzione, ope legis, di una responsabilità di natura civile, per un fatto astrattamente costituente reato (Nella fattispecie si trattava 251 giunte ad accogliere una nuova lettura dell‟art. 2059 c.c., quale norma non avente, come sostenuto in passato, funzione “preventiva - sanzionatoria”, vale a dire deterrente, bensì “tipizzante”, in quanto diretta essenzialmente a stabilire quando il danno non patrimoniale è risarcibile. Il danno non patrimoniale è stato, quindi, sottratto dall'alveo dell'articolo 2043 e ricondotto nell'ambito del successivo articolo 2059, con una nuova rilettura delle disposizioni in questo contenute. Di conseguenza, questa norma è stata sganciata dal necessario collegamento con l„art. 185 c.p. –che portava a riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale essenzialmente soltanto quando fosse ravvisabile una fattispecie di reatofinendo per ricomprendere, oltre alla classica figura del danno morale soggettivo, tutte le ipotesi di pregiudizio derivante da lesione di diritti costituzionalmente garantiti. Si è argomentato che, dopo l‟entrata in vigore della Costituzione, il rinvio ai “casi consentiti dalla legge”, presente nell‟art. 2059 c.c, deve essere riferito anche alle previsioni della Legge fondamentale, in quanto la circostanza che certi diritti –come immagine, identità personale, salute ecc.- inerenti la persona abbiano fondamento nella Costituzione è di per sé di un incidente mortale da circolazione di veicoli, riguardo al quale il giudice, adito in sede civile da alcuni familiari della persona deceduta, in mancanza di precise prove sullo svolgimento dei fatti, si era indotto ad applicare la presunzione di responsabilità di stabilita nell'articolo 2054 c.c.). 252 indicativo della volontà del legislatore di accordare loro piena tutela, anche risarcitoria. Pertanto quando la lesione riguarda diritti aventi fondamento nella Costituzione, un‟interpretazione conforme alla medesima impone di ritenere il risarcimento del danno non patrimoniale svincolato dai limiti di cui all‟art. 185 c.p. Resta, invece, ferma l'impossibilità di risarcire il danno non patrimoniale, in assenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, e cioè, quando non derivi –in assenza di una disposizione espressa del legislatore ordinario- dalla violazione di un valore costituzionalmente riconosciuto220. Di conseguenza, nell‟ambito dell‟art. 2059 c.c. rientrano –secondo questa nuova interpretazione “costituzionalmente orientata”- ogni danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona: quindi oltre alla classica figura del danno morale soggettivo da reato, anche il danno biologico (da lesione dell‟integrità fisico-psichica medicalmente accertata), nonché tutte le altre ipotesi di pregiudizio (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come “esistenziale”) connesso ad una violazione di altri interessi di rango costituzionale. Si va a definire, pertanto, un sistema bipolare fondato sulla dicotomia tra danno non patrimoniale – 220 V., in tal senso, Cassa. Sez. III civile, 9 aprile 2009, n. 8703, inedita, che ha annullato senza rinvio la decisione di un giudice di pace, che aveva riconosciuto, per violazione del principio del “neminem ledere”, il danno non patrimoniale consistente nel turbamento di un contribuente, per il comportamento posto in essere da un'agenzia delle Entrate. 253 previsto dall‟art. 2043 c.c.- e danno non patrimoniale ax art. 2059 c.c., in quanto quest‟ultimo, liberato dalla tradizionale interpretazione della riserva di legge, si pone sullo stesso piano di quello patrimoniale, purché la violazione riguardi un diritto avente fondamento nella Costituzione221. Da questa nuova interpretazione –ormai consolidatadiscende che il pregiudizio non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto all‟immagine e del diritto all‟identità personale è senza dubbio risarcibile, in quanto si tratta di posizioni soggettive costituzionalmente rilevanti, sempre che sia ravvisabile un‟effettiva compromissione delle attività realizzatrici della persona, non avente natura meramente emotiva ed interiore, bensì oggettivamente accertabile attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che altrimenti si sarebbero fatte222. 2-g) Sulle condizioni e sui limiti della risarcibilità del danno non patrimoniale è intervenuta recentemente una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, diretta a chiarire alcuni aspetti relativamente ai quali erano sorti dubbi che avevano portato a decisioni opposte, anche all‟interno della stessa Suprema Corte223. 221 Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona, in Corriere giuridico, 8/2003, 1032. 222 Corte di Cassazione, sezioni unite civili, n. 6572/2006. 223 Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sent. 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009, I, 120, con note di 254 In particolare, viene esclusa (accanto alla tradizionale figura del danno morale soggettivo da reato) la configurabilità di un‟autonoma categoria denominata “danno esistenziale”, poiché il danno non patrimoniale non è suscettibile di divisione in sottocategorie variamente etichettate. E‟ corretto, invece, parlare di danno non patrimoniale, inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona , anche se non connotati da rilevanza economica, derivante da lesione di diritti costituzionalmente garantiti, per il cui risarcimento occorre la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile aquiliano, per come definito dall'articolo 2043 del Codice civile. Il successivo articolo 2059, a sua volta, non delimita una diversa fattispecie di illecito, bensì pone dei limiti alla risarcibilità di quello non patrimoniale, come sopra inteso, ai casi stabiliti dalla legge, comprendendo in tale dizione non solo l'articolo 185 del Codice penale, bensì ogni altra disposizione normativa ordinaria che lo preveda, nonché le disposizioni della Carta costituzionale che riconoscono e danno tutela ai diritti fondamentali o inviolabili, tra i quali sono da annoverare il dritto all'immagine, al nome, all'identità personale e così via. A. Palmieri “La rifondazione del danno non patrimoniale, all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche attenuazione) e dell’unitarietà”; di R. Pardolesi e R. Simone “Danno esistenziale (e sistema fragile: die hard”); di G. Ponzanelli “Sezioni unite: il nuovo statuto del danno non patrimoniale”; e di E. Navarretta “Il Valore della persona nei diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali”. 255 La risarcibilità del danno non patrimoniale nel caso di lesione di diritti fondamentali, tra i quali, appunto, quelli di cui si è trattato nel presente lavoro, discende quindi, dal fatto che la tutela di questi è costituzionalmente prevista e che il principio minimo di tutela costituzionale comprende necessariamente quella risarcitoria, senza alcun limite al solo danno patrimoniale. Per come si è detto, anche per il danno non patrimoniale, in quanto aquiliano, valgono le regole fissate nell'articolo 2043, in ordine alla prova della sussistenza di tutti gli elementi che lo compongono: condotta – nesso causale tra condotta ed evento dannoso, che deve essere connotato da ingiustizia (e, quindi, assenza di una causa di giustificazione) – danno (come danno conseguenza). A parte la distinzione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, contenuta nel Codice, ogni altra fattispecie di danno (non patrimoniale) è meramente descrittiva degli innumerevoli tipi di pregiudizio. Il danno non patrimoniale, inteso come dannoconseguenza e non come danno in re ipsa, va allegato e provato, ma, chiaramente, non in termini quantitativi, appunto perché il danno non è di natura patrimoniale: a tal fine il giudice può fare ricorso a presunzioni, ma il danneggiato deve pur sempre allegare tutti gli elementi idonei a fornire, nella concreta fattispecie, la serie concatenata di fatti noti attraverso cui risalire a quelli ignoti, mentre per la sua quantificazione in denaro il giudice ovviamente si avvale dei poteri previsti dall'articolo 1226 del Codice civile. 256 La Suprema Corte, inoltre, precisa che l‟offesa al diritto avente fondamento costituzionale deve essere grave ed il pregiudizio serio. Poiché diritto all‟immagine ed all‟identità personale sono riconosciuti quali posizioni soggettive costituzionalmente rilevanti, le osservazione contenute nella pronuncia in esame appaiono utili anche per risolvere alcuni dubbi in ordine alla risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale derivante dalla loro violazione. § 3 CONCLUSIONI Riepilogando sul danno non patrimoniale Il diritto all'immagine e all'identità personale appartiene alla categoria dei diritti fondamentali dell'uomo, e precisamente fa parte dei diritti della personalità, che ne rappresenta la parte più cospicua e appariscente. Per tale ragione, partendo da una tutela ammessa, soltanto se collegata a comportamenti in qualche modo denigratori dell'onore e della reputazione, si è passati a una tutela sempre più incisiva, che prescinde dalla prova di un concreto pregiudizio per l'interessato - sia esso una persona fisica, una persona giuridica, pubblica o privata, o una qualsiasi aggregazione, permanente o temporanea, purché costituita per scopi che rientrino nell'ambito dell'articolo 2 della Costituzione oppure in altre disposizioni della stessa aventi valenza di principi fondamentali (salute, famiglia ecc.)- il quale ha diritto di essere rappresentato per quello che egli è ed è riconosciuto nella comunità in cui si relaziona, senza 257 che gli vengano attribuiti profili e opinioni, che, seppur oggettivamente non denigratori e neutri, non corrispondono a quelli che costituiscono la sua identità e il suo sentire di se. La Suprema Corte con l'ultima sentenza osserva che una tutela minima dei valori inviolabili, riconosciuti e tutelati dalla Carta Costituzionale, non può non ricomprendere il risarcimento in tutte le sue forme, e, quindi, anche quello non patrimoniale, che può ricomprendere varie tipologie, meramente descrittive della varietà del pregiudizio che il danneggiato può subire, ma che non costituiscono rigide categorie o sottocategorie in cui incasellare necessariamente il danno stesso. Per la prova del danno valgono valgono, peraltro, le disposizioni contenute nell'articolo 2043 del Codice, con la sola precisazione che, riguardo alla quantificazione va fatto riferimento necessario alla valutazione equitativa prevista nell'articolo 1226 del Codice. Quindi qualsiasi pregiudizio di natura non patrimoniale per la lesione del diritto all'immagine e all'identità personale deve essere risarcito, ferma restando una seria allegazione e comprova. Per finire va rilevato che il ristoro del danno di natura non patrimoniale, derivante da lesione dell'immagine e dell'identità personale, ha superato anche lo scoglio dei presupposti indicati nell'articolo 2043 (colpa o dolo – danno iniuria datum). Al riguardo è significativo, che, pur in assenza della ingiustizia del pregiudizio, dal momento che si è in presenza di un indennizzo per atto legittimo, qual è, appunto, l'esercizio del potere giudiziario in materia 258 penale, con riguardo all'equa riparazione per ingiusta detenzione, prevista dall'articolo 314 del Codice di procedura penale del 1988, la giurisprudenza fa riferimento, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, anche alle conseguenze personali, di natura morale, fisica e psichica, del periodo di detenzione, ivi compreso il danno all'immagine e all'identità personale, dando attribuzione di rilevanza, ai fini dell'aumento dell'importo derivante dal calcolo aritmetico, quindi, agli eventuali, ulteriori effetti pregiudizievoli, personali, familiari, professionali e sociali che siano scaturiti dalla detenzione ingiusta, da valutarsi con criterio equitativo, col solo limite del tetto massimo ex art. 315, comma 2, c.p.p.224 . Eppure la norma non fa riferimento al danno non patrimoniale. Ciò significa chiaramente che, attraverso un processo evolutivo in ordine alla effettività della tutela, ci si avvia al riconoscimento del ristoro – in ogni caso – dei danni conseguenti alla lesione dei valori inviolabili, costituzionalmente riconosciuti nella Costituzione, anche a prescindere dalla illiceità dell'atto che ha prodotto la lesione, e, quindi, con potenziale estensione anche ai casi di indennizzo da attività lecita225, con il rilievo che deve ricadere sulla 224 V. Corte appello Firenze, 07 dicembre 1992 Gelli, in Difesa pen. 1993, fasc. 38, 81; Cassazione penale , sez. un., 06 marzo 1992, in Cass. pen. 1992, 2035 e in Foro it. 1992, II,556; Cassazione penale, sez. V, 22 marzo 2007, n. 11950, in Resp. civ. e prev. 2007, 7-8 1576 . 225 In tal senso sembra avviarsi, il TAR Sicilia – Sez. staccata di Catania il quale con ordinanza n. 219 del 29 aprile 2009, inedita, ha sollevato questione di legittimità 259 costituzionale della normativa antimafia e di quella degli appalti nella parte in cui non prevede un indennizzo della lesione di taluni valori della costituzione per il caso che il diniego di nulla osta, per sospette ingerenze mafiose, che ha precluso l'accesso a un pubblico appalto, sia stato legittimamente reso, però sulla base di una informativa poi superata da un proscioglimento pieno. : La Corte Costituzionale, tuttavia, non è giunta all’esame del merito della questione in quanto, con sentenza n. 58 del 24/2/2010, ha giudicato inammissibile la medesima sotto vari profili. Ha ritenuto la Corte, innanzi tutto, che la questione fosse stata sollevata dal giudice a quo genericamente con riferimento all’intero complesso normativo delle disposizioni in materia di certificazioni e informative anti-mafia, quindi senza la precisa individuazione, da parte del rimettente, della norma censurata. Ad avviso della Corte, inoltre, la decisione sul merito della questione avrebbe implicato, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, un’ingerenza in valutazioni riservate al legislatore nell’ambito dei generali indirizzi di politica criminale, avendo il giudice rimettente chiesto di aggiungere, nel corpo delle disposizioni in materia, la previsione di un “appropriato indennizzo”, senza tuttavia individuare la sedes materiae. La decisione della Corte, essendo di mera inammissibilità, avuto riguardo alle norme denunciate, non esclude una riproposizione della questione, con riguardo ad altre disposizioni, che già prevedono indennizzi per attività lecita da parte della pubblica amministrazione e, nel contempo, può fare da stimolo per interventi del legislatore in favore dei soggetti danneggiati da attività lecite dello Stato, anche se poste in essere a tutela di interessi pubblici di rilevo costituzionale. 260 intera Comunità, e non sul singolo individuo leso, ma innocente, il costo delle attività pubbliche poste in essere nell'interesse della stessa Comunità statuale Questa sarebbe da ritenere una conquista di civiltà giuridica. 261 IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E LA SUA TUTELA INDICE Cap. 1 - I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ § 1 Premessa pag. 1 § 2 Diritti fondamentali: a)- Genesi dei diritti fondamentali pag. 4 b) Codificazione delle prime forme dei diritti fondamentali pag. 11 § 3 Diritti fondamentali nell‟Ordinamento italiano: a) Diritti della personalità pag. 14 b) Diritti inviolabili nella Costituzione pag. 15 CAP. 2 - DIRITTO ALL'IMMAGINE § 1- Generalità pag. 24 § 2 Posizione autonoma del diritto all'immagine pag. 26 CAP. 3 - IL CONSENSO § 1 Natura e forma del consenso pag. 29 §2 Condizioni di efficacia e presupposti del consenso pag. 31 § 3 L'immagine del minore pag. 38 § 4 Interesse del minore e consenso pag. 45 § 5 I limiti soggettivi ed oggettivi del consenso pag. 49 CAPITOLO 4 - LA DIVULGAZIONE DELL‟IMMAGINE IN ASSENZA DI CONSENSO § 1 La notorietà 55 § 2 Limiti alla divulgazione dell'immagine pag. 58 § 3 Interesse pubblico e “gossip” pag. 62 § 4 Fatti, avvenimenti, cerimonie pubbliche o di interesse pubblico pag. 64 § 5 Altre ipotesi di divulgazione dell'immagine senza necessità di consenso pag. 69 262 Capitolo 5 - L‟IDENTITÀ PERSONALE §1 Immagine e identità personale pag. 75 § 2 Nome e identità personale pag. 80 § 3 Il fondamento normativo dell‟identità personale pag. 89 § 4 La lesione del diritto all‟identità personale pag. 96 Capitolo 6 - RAPPORTO CON ALTRI DIRITTI § 1 Premessa pag. 108 § 2 Incontro/scontro tra diritti della personalità e diritto di cronaca pag. 112 § 3 Fattispecie in tema di immagine, identità personale e diritto di cronaca pag. 126 § 4 I diritti della personalità e la creazione artistica pag. 135 Capitolo 7 - IL DIRITTO ALL'IMMAGINE E ALL'IDENTITÀ PERSONALE NEGLI ENTI COLLETTIVI (persone giuridiche e non) § 1 Generalità pag. 149 § 2 Il diritto all'immagine e all'identità personale nelle associazioni non riconosciute. I partiti politici pag. 153 § 3 Lesione all'immagine e all'identità personale delle aggregazioni politico-sociali pag. 156 § 4 Danni risarcibili agli enti collettivi pag. 163 § 4 Diritto all'immagine della persona giuridica pubblica pag. 170 CAPITOLO 8 - I MEZZI DI TUTELA § 1 Generalità pag. 187 § 2 – Varie forme di tutela pag. 190 § 3 Inibitoria petitum e inibitoria strumento processuale pag. 194 263 § 4 La tutela urgente pag. 196 § 5 Presupposti processuali per il provvedimento d'urgenza pag. 200 § 6 Competenza per materia e per territorio pag. 209 § 7 Competenza per territorio in materia di danno all'immagine da pubblicazione a mezzo stampa pag. 214 § 8 Competenza per territorio in materia di danno all'immagine da pubblicazione con mezzi radiotelevisivi o per via telematica pag. 218 § 9 – Procedimento cautelare nella lesione dell'immagine a mezzo stampa. pag. 222 CAPITOLO 9 – IL RISTORO DEL DANNO DA LESIONE DELL'IMMAGINE E DELL'IDENTITÀ PERSONALE. LA RETTIFICA DELLE NOTIZIE § 1 Il risarcimento del danno pag. 230 § 2 Il danno non patrimoniale pag. 239 § 3 Conclusioni pag. 261 264 265 BIBLIOGRAFIA Ajani Gianmaria – Sistemi Giuridici Comparati – Ed. G. Giappichelli Alpa e Bessone, Danno non patrimoniale, in La responsabilità civile, V, Torino, 1987. Antolisei F. - Manuale di diritto penale – Giuffrè editore Arcidiacono L, A. Carullo, G. Rizza, Istituzioni di diritto pubblico, Monduzzi editore. Baldassarre A. - voce: Diritti inviolabili - Enciclopedia Giuridica Treccani Barbera, in Commentario della Costituzione, sub art. 2 Barile P. - La libertà di manifestazione del pensiero – Milano 1975 Bassiouni M. Cherif – Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale – Ed. Giuffrè Bavetta G. - voce: Identità (Diritto all'identità), in Enc. del Diritto Bevere A. e Cerri A. - Il diritto d'informazione e i diritti della persona – Ed. Giuffrè Bianca C. M. - Diritto civile. Vol. V: la responsabilità, Giuffrè ed. Milano Bonilini - “Danno morale”, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, V, Torino, 1989. Castronovo - “Il risarcimento del danno in forma specifica come risarcimento del danno”, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti , a cura di Mazzamuto, I, Napoli, 1989 Caringella - Corso di diritto amministrativo - Tomo I, Giuffrè 2005. Cataudella A. - La tutela della vita privata – Milano 1972 Cataudella A. Riservatezza (Diritto Civile) – Enc. Giuridica 266 Treccani Cerri A.- Identità personale, in Enc. Giuridica Treccani Cerri A. – Riservatezza (Diritto Cost.) – Enc. Giuridica Treccani Chiola – Informazione (Diritto all’informazione) – Enc. Giuridica Treccani Chiola – Manifestazione del pensiero (libertà di) – Enc. Giuridica Treccani De Cupis – Immagine (diritto all'immagine) in Enc. del diritto De Cupis, I diritti della personalità, II ed. riveduta e aggiornata, in Trattato Cicu-Messineo continuato da L. Mengoni, vol. IV, Milano, 1982 Dogliotti, Trattato di diritto Privato, diretto da P. Rescigno, 2, Torino, 1982, 117. Ferrara L. Il diritto sulla propria immagine nel nuovo codice civile e nella nuova legge sul diritto d’autore, Roma, 1942 Fiandaca G. - Musco E. Zanichelli editore “Diritto penale. Parte generale”, Frignani - L’injunction nella common law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974. Gaja Giorgio – Introduzione al diritto comunitario – Ed. Laterza Gazzoni F. - Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, XI edizione. Jemolo A. C. - I problemi pratici della libertà – M. 1961 Loiodice A. - Informazione (diritto alla), in Enc. diritto, vol. XXI, Milano, 1970. Mandrioli - Diritto processuale civile, vol. III, Giappichelli 267 ed. Miele Mario – Principi di diritto internazionale – Ed Cedam Mortati Costantino – Istituzioni di Diritto Pubblico – Cedam - 1962 Musco E. - voce: Stampa (Dir. Penale) in Enc. Diritto Nappi – voce: Ingiuria e diffamazione, in Enc. giur. Treccani Pugliatti, La trascrizione,in Trattato di diritto civile e commerciale, XIV-I, 1957. Romano Santi – La Teoria dei diritti pubblici soggettivi, in Trattato Orlando Salvi - “Il risarcimento del danno in forma specifica”, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, I, Napoli, 1989. Scognamiglio R., Novissimo digesto italiano, VIII, 169. Spatafora E. – Diritto umanitario – Enc. Giuridica Treccani Stroppiana L – Stati Uniti – ed. Il Mulino Vercellone P. - Il diritto sul proprio ritratto,Torino, 1959 A. Torrente, P. Schlesinger – Manuale di diritto privatoGiuffrè Zanghì C. - Diritti dell'uomo (Protezione internazionale dei diritti dell'uomo), in Enc. Giuridica Treccani NOTE A SENTENZE Aloisi – nota a Corte costituzionale, 22 luglio 1996, n. 293, in Dir. e giur. 1998 Baroli - nota a Cassazione civile, sez. III, 07 novembre 2000, n. 14485, in Giur. it. 2001 Boghetich - Cognome materno ai figli legittimi: a decidere 268 sarà la Corte costituzionale, nota a Cass. 17 luglio 2004 n. 13298, in Diritto e giustizia, 2004 Bonamore - nota a Corte costituzionale, 03-2-1994, n. 13, in Giust. civ. 1994 Bonilini - “Danno morale”, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, V, Torino, 1989. Bordon – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Giur. it. 2006 Borelli - La quantificazione del danno per violazione del right of publicity, in Danno e resp., 1996 Breccia, Delle persone fisiche, in Comm. Scialoja – Branca, a cura di Galgano (artt. 1-10 c.c.), Bologna – Roma, 1988 Brugnatelli F. “Privacy, diritto all’informazione e diritti della personalità” - nota a Trib. Milano, 26/11/2004, in Giust. Civ. 2005 Buffa – nota a Cass. civ., sez. III, 08-5-2002, n. 6591, in Danno e resp. 2002 Bugetti, Il cognome della famiglia tra istanze individuali e principio di eguaglianza, in Familia, 2006 Carbone - Non è attribuibile al figlio legittimo il cognome della madre anche con l'accordo dei coniugi, nota a C. cost. 16 febbraio 2006 n. 61, in Corr. giur., 2006, 1352. Carbone – nota a Cass. civile , sez. III, 03 marzo 2000, n. 2367, in Danno e resp. 2000 Carbone – nota a Cassazione civile , sez. III, 07 novembre 2000, n. 14485, in Danno e resp. 2001 Carbone nota a Cass. civile 29-5-1996, n. 4993, in Danno e resp. 1996 Cassano – “Contenuto e limiti del diritto all'identità personale (in margine allo sceneggiato sul caso "Re Cecconi)" nota a Cass. civile, sez. I, 7/2/1996 n. 978, in Riv. inf. e informatica 1997 269 Cassano – Nota a Cass. civile 10 giugno 1997, n. 5175, in Dir. famiglia 2000 Cassano -“Falsa luce negli occhi dei fedeli: novità in tema di risarcimento del danno da lesione ai diritti della personalità”, nota a Trib. Verona 26/2/1996 in Dir. famiglia 2000, 1, 421 Cassano “Soluzioni controverse di casi concernenti i diritti della personalità nelle trasmissioni televisive”- nota a Trib. Roma, 21-11-1996, in Dir. famiglia 1999 Castronovo – nota a Corte costituzionale, 17 febbraio 1994, n. 37, in Foro it. 1995 CENDON – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Foro it. 2006 Chiarolla - nota a Tribunale Roma, 02 novembre 1994, Foro it. 1995 Chiarolla - nota a Tribunale Roma, 16-6-1990, Foro it. 1992 Comandè – nota a Corte costituzionale, 22 luglio 1996, n. 293, in Giur. it. 1997 Dall'Ongaro - Il nome della famiglia ed il principio della parità – nota a Corte costituzionale 11 febbraio 1988 n. 176, in Foro it., 1988 De Cicco - Disciplina del cognome e principi costituzionali, in Rass. dir. civ., 1991 De Cristofaro - nota a Cass. civ. sez. III, 08-5- 2002, n. 6591, in Resp. civ. e prev. 2002 De Cristofaro – nota a Cass. civ., sez. un., 27-10-2000, n. 1141, in Resp. civ. e prev. 2001 De Cupis, Sul fondamento delle limitazioni legali del diritto all’immagine, in Foro it., 1959 De Giorgi - Via libera al cognome materno per i figli. Ora si può rinunciare al nome del padre, nota a Cons. St., sez. I, 270 17 marzo 2004 n. 515, in Diritto e giustizia, 2004 De Marzo - nota a Cass. civile , sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, in Danno e resp. 2001 De Marzo – nota a Corte costituzionale, 22 luglio 1996, n. 293, in Foro it. 1996 De Stefano nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339 in Dir. e giust. 2004 Di Ciommo – nota a Cass. civ., sez. III, 08-5-2002, n. 6591, in Foro it. 2002 Didone nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339 in Giur. it. 2004 Dogliotti - “Immagine ed identità personale: soggetti forti e soggetti deboli”, nota a Trib. Verona, 26 Febbraio 1996, in Dir. famiglia, 1997, 4, 1436. Dogliotti, Trattato di diritto Privato, diretto da P. Rescigno, 2, Torino, 1982, 117. Dosi - Figli naturali, l'acquisto del cognome paterno non è automatico, nota a Cass. 26 maggio 2006, n. 12641, in Diritto e giustizia, 2006 Ferri G. B., in Rdcomm, 1984, I, 151 Franzoni, “Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona”, in Corriere giuridico, 2003 Gaudino L - Dell’immagine, del “luogo pubblico” e della tutela del minore, in Resp. civ. e prev. 2007,4, 815, nota a Cass. civile n. 21172/2006 . Gazzoni – nota a Cass. civile, sez. I, 26-5-2006, n. 12641, in Dir. famiglia 2006 Giacalone – nota a Cass. civ., sez. III, 08-5-2002, n. 6591, in Giust. civ. 2002 Gigliotti – nota a Trib. Roma, 28/1/1992, in Rassegna Diritto Civile 1993 271 Goetz Davide “Diritto di critica storica e dovere di verità”, nota a Tribunale Roma, 29 Giugno 1998, in Resp. civ. e prev. 1999, 2 Gutierrez – nota a Tribunale Napoli, 20 ottobre 1995, in Dir. industriale 1996 HUGE – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in D.L. Riv. critica dir. lav. 2006 Iannicelli – nota a Cassazione civile , sez. III, 14 luglio 2000, n. 9369, in Foro it. 2001 Ioffredi - nota a Tribunale Roma, 21-10-1992, in Nuova giur. civ. commentata 1993 Mancini nota a Cassazione civile , sez. III, 09 giugno 1998, n. 5658, in Corriere giuridico 1998 Manfredi - nota a Cass. civile , sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, in Urban. e appalti 2001 Mantovani M. - Cronaca giudiziaria e limiti alla tutela penale dell'onore del cittadino processato, in Giustizia penale 1991 Marino - Osservazione a Cassazione civile , sez. lav., 27 marzo 1998, n. 3270, in Giust. civ. 1998 Matarese - nota a Cass. civile , sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, in Corriere giuridico 2001 Mirate nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339 in Resp. civ. e prev. 2004 Morozzo della Rocca nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339, in Giust. civ. 2004 Nasi – nota a Corte costituzionale, 17 febbraio 1994, n. 37, in Giur. it. 1995 Navarretta “Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente” - nota a Cass.31-5-2003 nn. 8827 e 8828, in Foro it., 2003 272 Navarretta “Il Valore della persona nei diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali” - nota a Cass., sezioni unite civili, sent. 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009 Navarretta “La Corte Costituzionale e il danno alla persona in fieri” - nota a Corte Costituzionale, 11/7/2003 n. 233, Foro it., 2003 Nivarra L. - L'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale dopo la direttiva 2004/48/CE, in Riv. dir. ind. 2005 Orestano - nota a Cass. civile, III, 9/6/1998, n. 5658, in Danno e resp. 1998 Pace - nota a Corte costituzionale, 03 febbraio 1994, n. 13, in Giur. cost. 1994 Pagliara- nota a Cassazione penale , sez. III, 19 marzo 1992, in Cass. pen. 1993 Palici Di Suni - Il nome di famiglia: la Corte costituzionale si tira ancora una volta indietro, ma non convince. Il cognome familiare tra marito e moglie. Com'è difficile pensare le relazioni tra i sessi fuori dallo schema di uguaglianza, nota a C. cost. 16 febbraio 2006 n. 61, in Giur. cost., 2006, 543 Palmieri A. “La rifondazione del danno non patrimoniale, all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche attenuazione) e dell’unitarietà” - nota a Cass., sezioni unite civili, sent. 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009 Pardolesi – nota a Tribunale Tortona, 24-11-2003 in Danno e resp. 2004 Pardolesi R. e Simone R. “Danno esistenziale (e sistema fragile: die hard” - nota a Cass. Civ., sezioni unite 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009 Pelissaro - Diritto di critica e verità dei fatti, in Riv. it. dir. pen., 1992 Peron in Resp. civ. e prev. 2005 273 Peron nota a Cassazione civile , sez. III, 29 maggio 1996, n. 4993, in Resp. civ. e prev. 1997 Piazza - nota Tribunale Torino, 02-3-2000, in Resp. civ. e prev. 2001 Piazza G., Goetz D. “Il diritto all'immagine nella giurisprudenza dell'ultimo decennio”, in Resp. civ. e prev. 1998, 2, 350. Piccininno – nota a Corte costituzionale, 17 febbraio 1994, n. 37, in Mass. giur. lav. 1994 Poletti – nota a Corte costituzionale, 17 febbraio 1994, n. 37, in Foro it. 1994 Pontonio – nota a Corte costituzionale, 17 febbraio 1994, n. 37, in Dir. economia assicur. 1995 Ponzanelli G. “Sezioni unite: il nuovo statuto del danno non patrimoniale” - nota a Cass. Civ., sezioni unite 11/11/2008 n. 26973, in Foro it., 2009 Poto – nota a Corte Conti , sez. riun., 23 aprile 2003, n. 10, in Giur. it. 2003 Rabitti Bedogni, in Giustizia civile, 1986 Resta - nota a Tribunale Milano, 23 dicembre 1999, Dir. informatica 2000 in Ricca-Barberis, Restrizioni del diritto all’immagine ed eccezioni ad esso, in Dir. econ., 1957. Rossetti – nota a Cass. civ. III, 27-7-2000, n. 9893, in D&G - Diritto e giust., 2000 Rossetti – nota a Cass. civ., sez. un., 27-10-2000, n. 1141, in D&G - Dir. e giust. 2000 Rossetti - nota a Cass. civile , sez. III, 01-12-2004, n. 22586, in D&G - Dir. e giust. 2005 Rossetti – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Resp. civ. e prev. 2006 274 Salerno- nota a Cassazione civile , sez. I, 05 dicembre 1992, n. 12951, in Foro it. 1994 San Giorgio – nota a Cass. civile, 5-9-2006, n. 19069, in D&G - Dir. e giust. 2006 Santini - nota a Tribunale Roma, 24-5-2005, in D&G - Dir. e giust. 2005 Saravalle – nota a Cass. civ., sez. un., 27-10-2000, n. 1141, in Danno e resp. 2001 Scalfi – nota a Corte costituzionale, 17 febbraio 1994, n. 37, in Resp. civ. e prev. 1994 Schermi – nota a Tribunale Giurisprudenza Civile 1998 Roma, 11/2/1997, in Schermi, “Il diritto assoluto della personalità ed il rispetto della verità nella cronaca, nell'opera storiografica, nell'opera biografica e nell'opera di fantasia”, in Giust. civ., 1966 Schwarzenberg - Il nome della famiglia e il principio di certezza costituzionale, nota a Corte costituzionale 11 febbraio 1988 n. 176, in Giur. cost., 1988, I, 605 Scognamiglio– nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Riv. it. dir. lav. 2006 Servello – nota a Corte costituzionale, 03 febbraio 1994, n. 13, in Famiglia e diritto 1994 Solari – nota a Tribunale Bologna, 27 novembre 1997, in Dir. autore 1999 Sorgi – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Lavoro nella giur. (Il) 2006 Stilo nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339 in Nuovo dir. 2004, 980 nota Tassone - nota a Tribunale Roma, 12 marzo 2004, in Danno e resp. 2005, 879 Tatarelli – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in 275 Guida al diritto 2006 Terrusi – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Giust. civ. 2006 Travaglino – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Corriere del merito 2006 Ubertazzi - nota a Cassazione civile , sez. I, 25-3-2003, n. 4366, Danno e resp. 2003 Venturelli - nota a Cassazione civile , sez. I, 02 luglio 2004, n. 12110, Danno e resp. 2005 Venturelli nota a Cassazione civile , sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339 in Danno e resp. 2004 Virgadamo – nota a Cass. civile, SS. UU. , n. 6572/2006, in Dir. famiglia 2006 Visca - nota a Cassazione civile , sez. un., 12-11-2003, n. 7078, in Giust. civ. 2004 Votano – nota a Tribunale Roma, 24 gennaio 2002 , in Dir. informatica 2002 Zaccaria nota a Cassazione civile , sez. III, 10 maggio 2001, n. 6507, in Nuova giur. civ. commentata 2002 Zeno Zencovich - La rettifica: diritto soggettivo o rimedio processuale?, in Dir. inf., 1986 Zhara Buda - “Diritto all'immagine e all'identità personale”, nota a Tribunale Verona, 26 Febbraio 1996, in Giur. merito 1997