IL DANNO
AMBIENTALE
IL PRINCIPIO CHI INQUINA PAGA
Consiste nel far sostenere all’inquinatore i costi
necessari per raggiungere un livello prestabilito
di inquinamento accettabile, coerentemente con
l’obiettivo dello sviluppo sostenibile. Il principio,
che costituisce il comune denominatore di tutto
l’iter legislativo comunitario, trova la sua
massima espressione nella direttiva 2004/35/CE
recepita nel nostro ordinamento con il D.lgs
152/2006, ma era già previsto all’art. 174 del
Trattato istitutivo dell’Unione Europea.
IL PRINCIPIO CHI INQUINA PAGA
“Il principio “chi inquina paga” consiste, in definitiva,
nell’imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero
costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa)
al soggetto che ha causato la compromissione ecologica
illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita
data dall’attività di trasformazione industriale dell’ambiente
che non supera gli standards legali). Ciò, sia in una logica
risarcitoria ex post factum, che in una logica preventiva dei
fatti dannosi, poiché il principio esprime anche il tentativo di
internalizzare detti costi sociali e di incentivare - per effetto
del calcolo dei rischi di impresa - la loro generalizzata
incorporazione nei prezzi delle merci, e, quindi, nelle
dinamiche di mercato dei costi di alterazione dell’ambiente
(con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza
incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle imprese e
conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non
danneggiare l’ambiente)”
(Cons. di Stato, 3.3.2009 n. 3885).
IL QUADRO NORMATIVO
PRIMA DELL’ENTRATA IN VIGORE
DELLA L. 349 del 1986.
Tradizionalmente il danno ambientale era
considerato un danno erariale: l’ambiente era
considerato bene dello Stato e la sua tutela, sotto
il profilo risarcitorio, era demandato alla Corte dei
Conti. Il danno ambientale era quindi considerato
Danno pubblico, avente ad oggetto l’ambiente
inteso come insieme di beni destinati all’uso
pubblico in quanto patrimonio della collettività.
Segue: prima dell’entrata in vigore della L. 349/86.
In particolare, la giustizia contabile si era orientata
nella direzione di considerare la lesione dell’ambiente
come un danno per lo Stato “sia sotto il profilo del
depauperamento di un bene che costituisce un
patrimonio della collettività, sia sotto il profilo degli
oneri finanziari che lo Stato stesso può essere
chiamato a sostenere in dipendenza dell’evento
lesivo” (Corte dei conti sez. I 8.10.1979 n. 61).
L’ambiente era, quindi, considerato un bene
appartenente allo Stato e il suo danno era un danno
di natura erariale la cui giurisdizione spettava, quindi,
alla Corte dei Conti.
DOPO L’ENTRATA IN VIGORE
DELLA L. 349 del 1986.
Le cose sono cambiate con l’introduzione
della l. 349 nel 1986. Si tratta della norma
che, fra l’altro, ha istituito il Ministero
dell’Ambiente, e la prima che ha
disciplinato espressamente il danno
ambientale, dandone una definizione e ha
attribuito la giurisdizione in materia di
responsabilità per danno ambientale al
giudice ordinario.
ART. 18 L. 349/86
• “Qualunque fatto doloso o colposo in
violazione di disposizioni di legge o di
provvedimenti adottati in base a legge che
comprometta l'ambiente, ad esso arrecando
danno,
alterandolo,
deteriorandolo
o
distruggendolo in tutto o in parte, obbliga
l'autore del fatto al risarcimento nei confronti
dello Stato”.
• “Per la materia di cui al precedente comma 1 la
giurisdizione appartiene al giudice ordinario”.
La prima definizione normativa
di danno ambientale
• “Alterazione, deterioramento, distruzione
in tutto o in parte, dell’ambiente, con
qualsiasi fatto doloso o colposo in
violazione di legge o di provvedimenti
adottati in base alla legge”
LA DIRETTIVA 35/2004/CE.
Responsabilità ambientale in materia di
prevenzione e riparazione del danno
ambientale, 21.4.2004.
Direttiva CE/35/2004: PREMESSA
“Nella Comunità esistono attualmente molti siti
contaminati, che comportano rischi significativi per la
salute, e negli ultimi decenni vi è stata una forte
accelerazione della perdita di biodiversità”.
“Il non intervento potrebbe provocare in futuro ulteriori
contaminazioni dei siti e una perdita di biodiversità
ancora maggiore. La prevenzione e la riparazione, nella
misura del possibile, del danno ambientale contribuisce
a realizzare gli obiettivi ed i principi della politica
ambientale comunitaria, stabiliti nel trattato”.
Nel 2004
• Circa 300.000 siti inquinati nelle Comunità;
• Da 55 a 106 miliardi di euro di costi per il
risanamento.
Direttiva CE/35/2004
• “La prevenzione e la riparazione del danno
ambientale
dovrebbero
essere
attuate
applicando il principio “chi inquina paga”, quale
stabilito nel trattato e coerentemente con il
principio dello sviluppo sostenibile. Il principio
fondamentale della presente direttiva dovrebbe
essere quindi che l’operatore la cui attività ha
causato un danno ambientale o la minaccia
imminente di tale danno sarà considerato
finanziariamente responsabile in modo da
indurre gli operatori ad adottare misure e a
sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i
rischi del danno ambientale”.
ART. 2 co. 1 DIRETTIVA 35/2004
• Il danno ambientale è:
a) danno alle specie e agli habitat naturali protetti, vale a dire
qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul
raggiungimento o il mantenimento di uno stato di
conservazione favorevole di tali specie e habitat. L'entità di
tali effetti è da valutare in riferimento alle condizioni originarie.
b) danno alle acque, vale a dire qualsiasi danno che incida in
modo significativamente negativo sullo stato ecologico,
chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle
acque interessate;
c) danno al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del
terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla
salute umana a seguito dell'introduzione diretta o indiretta nel
suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati,
organismi o microrganismi nel suolo;
ART. 2 co. 2 DIRETTIVA 35/2004
• Il danno ambientale è poi meglio definito al
co. 2 quale “mutamento negativo
misurabile di una risorsa naturale o un
deterioramento misurabile di un servizio di
una risorsa naturale, che può prodursi
direttamente o indirettamente”.
IL DANNO AMBIENTALE NEL D.LGS
152/2006
• La materia del danno ambientale è contenuta
nella parte VI del Decreto, negli articoli da 299 a
318.
• La “nuova” definizione del danno ambientale è
contenuta nell’art. 300: E' danno ambientale
qualsiasi deterioramento significativo e
misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa
naturale
o
dell'utilità
assicurata
da
quest'ultima
ART. 300
Riprendendo quanto stabilito dalla Direttiva
35/2004/CE, l’art. 300 ricorda che costituisce
danno ambientale il deterioramento, in confronto
alle condizioni originarie, provocato:
• alle specie e agli habitat naturali protetti (fauna
selvatica, flora);
• alle acque interne, alle acque costiere ed a
quelle ricomprese nel mare territoriale;
• al terreno.
ART. 311 co. 2
Chiunque cagioni un danno ambientale con dolo o
colpa o chi, svolgendo una delle attività «pericolose»
elencate nel decreto (All. 5, parte sesta), cagioni un
danno ambientale è obbligato all’adozione di misure
di riparazione.
- attività pericolose: es. gestione rifiuti, trasporto di
merci pericolose, fabbricazioni di preparati pericolosi,
prodotti fitosanitari, biocidi …
ART. 311 co. 2
«Solo quando l'adozione delle misure di
riparazione anzidette risulti in tutto o in parte
omessa, o comunque realizzata in modo
incompleto o difforme dai termini e modalita'
prescritti, il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare determina i costi
delle attivita' necessarie a conseguirne la
completa e corretta attuazione e agisce nei
confronti del soggetto obbligato per ottenere il
pagamento delle somme corrispondenti»
L. 349/1986
Direttiva
35/2004/CE
D.Lgs 152/2006
Compromissione
dell'ambiente,
alterandolo,
deteriorandolo o
distruggendolo in
tutto o in parte.
Mutamento negativo
misurabile di una
risorsa naturale o
un deterioramento
misurabile di un
servizio di una
risorsa naturale, che
può prodursi
direttamente o
indirettamente
Qualsiasi deterioramento
significativo e misurabile,
diretto o indiretto, di
una risorsa naturale o
dell'utilità assicurata da
quest'ultima, tramite
alterazione,
deterioramento o
distruzione in tutto o in
parte dell’ambiente.
IL DANNO AMBIENTALE
NELLA GIURISPRUDENZA
RAPPORTO CON L’ART. 2043 C.C.
• La L. 349 del 1986 ha introdotto un nuovo regime di responsabilità
applicabile solo in materia di danno ambientale che prende spunto,
ma si differenzia, dal regime ordinario per danni previsto dal nostro
codice civile all’art. 2043, secondo il quale “Qualunque fatto doloso
o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
• Dal regime ordinario della responsabilità extracontrattuale la
responsabilità per danno ambientale mutua il criterio di imputabilità
(fatto doloso o colposo).
• Eccezione (rispetto all’elemento soggettivo) recentemente
introdotta: soggetti che svolgono attività pericolose elencate
nell’allegato 5 (L. 97/2013).
• Sempre necessario il nesso causale.
LE DIFFERENZE RISPETTO ALL’ART. 2043 C.C.
Accanto a questi profili ci sono poi degli elementi che
rendono “speciale” la disciplina del danno ambientale:
• manca il riferimento all’ingiustizia del danno, che è
invece previsto nell’art. 2043 cc. Nel caso del danno
ambientale ex art. 18 l’ingiustizia viene assorbita nella
violazione di norme.
• deroga al principio solidaristico nei casi di concorso di
più soggetti nella realizzazione dello stesso danno,
ciascuno
rispondeva
nei
limiti
della
propria
responsabilità individuale.
La giurisprudenza
Nonostante queste differenze sostanziali, la
giurisprudenza ha ritenuto che il danno ambientale
sia riconducibile all’alveo codicistico dell’illecito
aquiliano, anche per permettere la risarcibilità del
danno ambientale cagionato prima dell’entrata in
vigore della L. 349 del 1986:
• “anche prima della legge n. 349/86, la
Costituzione e la norma generale dell’art. 2043
apprestavano all’ambiente una tutela organica e
piena” (Cass. Civ. n. 1087 1998).
Il procedimento per il disastro del Vajont 1963
Il procedimento per il disastro del Vajont 1963
• “la configurabilità dell’ambiente come bene
giuridico non trova la sua fonte genetica nella
citata legge del 1986, ma direttamente nella
Costituzione, considerata dinamicamente, come
diritto vigente e vivente, attraverso il combinato
disposto di quelle disposizioni (quali gli articoli
2,3,9,41 e 42) che concernono l’individuo e la
collettività nel suo habitat economico, sociale,
ambientale” (Cass. Sez. III n. 5650 del 1996).
IL DANNO AMBIENTALE SECONDO LA
CORTE COSTITUZIONALE:
• La prima a ricondurre il danno ambientale alla
disciplina dell’art. 2043 cc è stata la Corte
Costituzionale (sentenza n. 641/87), che era
stata chiamata a decidere in merito alla
sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 18
della Legge 349/86 nella parte in cui attribuiva la
giurisdizione ordinaria in materia di danno
ambientale. Negando l’illegittimità costituzionale,
la Corte ha fornito utili indicazioni in merito alla
natura del danno ambientale, strettamente
connesse alla nozione di ambiente:
Corte costituzionale n. 641/87
• “L’ambiente è stato considerato un bene immateriale unitario
sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche
costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela;
ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili a unità. Il fatto che
l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così
come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela
dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la
sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento
prende in considerazione.
• L'ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità
della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità
naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat
naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla
collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti;
è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per
cui esso assurge a valore primario ed assoluto.
Corte costituzionale n. 641/87
L'ambiente è, quindi, un bene giuridico in quanto
riconosciuto e tutelato da norme. Non è
certamente possibile oggetto di una situazione
soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo
alla categoria dei c.d. beni liberi, è fruibile dalla
collettività e dai singoli. Alle varie forme di
godimento è accordata una tutela civilistica la
quale, peraltro, trova ulteriore supporto nel
precetto
costituzionale
che
circoscrive
l'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) ed
in quello che riconosce il diritto di proprietà,
ma con i limiti della utilità e della funzione
sociale (art. 42 Cost.).
Corte costituzionale n. 641/87
È, inoltre, specificamente previsto il danno che il bene può
subire (art. 18 n. 1). Esso è individuato come
compromissione (dell'ambiente) e, cioè, alterazione,
deterioramento o distruzione, cagionata da fatti commissivi
o omissivi, dolosi o colposi, violatori delle leggi di
protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in base
ad esse.
Le dette violazioni si traducono, in sostanza, nelle
vanificazioni delle finalità protettive e per sé stesse
costituiscono danno.
La responsabilità che si contrae è correttamente
inserita nell'ambito e nello schema della tutela
aquiliana (art. 2043 cod. civ.)”.
LA NATURA DI DANNO
PATRIMONIALE
Corte Costituzionale sentenza n. 641/87:
“Il danno è certamente patrimoniale, sebbene sia
svincolato da una concezione aritmetico-contabile e si
concreti piuttosto nella rilevanza economica che la
distruzione o il deterioramento o l'alterazione o, in genere,
la compromissione del bene riveste in sé e per sé e che si
riflette sulla collettività la quale viene ad essere gravata da
oneri economici. La tendenziale scarsità delle risorse
ambientali naturali impone una disciplina che eviti gli
sprechi e i danni sicché si determina una economicità e un
valore di scambio del bene.
Corte costituzionale n. 641/87
Pur non trattandosi di un bene appropriabile, esso si
presta a essere valutato in termini economici e può ad
esso attribuirsi un prezzo.
Consentono di misurare l'ambiente in termini economici
una serie di funzioni con i relativi costi, tra cui quella di
polizia che regolarizza l'attività dei soggetti e crea una
sorveglianza sull'osservanza dei vincoli; la gestione del bene
in senso economico con fine di rendere massimo il
godimento e la fruibilità della collettività e dei singoli e di
sviluppare le risorse ambientali. Si possono confrontare i
benefici con le alterazioni; si può effettuare la stima e la
pianificazione degli interventi di preservazione, di
miglioramento e di recupero; si possono valutare i costi del
danneggiamento.
E per tutto questo l'impatto ambientale può essere
ricondotto in termini monetari. Il tutto consente di dare
all'ambiente e quindi al danno ambientale un valore
economico.
Corte costituzionale n. 641/87
Lo schema seguito, però, porta a identificare il
danno
risarcibile
come
perdita
subita,
indipendentemente sia dal costo della rimessione
in pristino, peraltro non sempre possibile, sia dalla
diminuzione delle risorse finanziarie dello Stato e
degli enti minori.
Risulta superata la considerazione secondo cui il
diritto al risarcimento del danno sorge solo a
seguito della perdita finanziaria contabile nel
bilancio dell'ente pubblico, cioè della lesione del
patrimonio dell'ente, non incidendosi su un bene
appartenente allo Stato”.
IL DANNO NON PATRIMONIALE: IL
CASO, Cass. Sez. III n. 5650 del 25.9.1995
• La Corte di Cassazione ha poi ampliano la ricostruzione del danno
ambientale svolta dalla Corte Costituzionale.
Nel caso relativo al risarcimento del danno per il disastro del Vajont,
la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente anche un danno di
natura non patrimoniale derivante dalle lesione del bene ambiente:
“i giudici del merito hanno chiaramente affrontato il nodo affermando
che il danno non patrimoniale veniva in esame, non più per la sua
incidenza negativa sugli interessi di natura economica dei comuni,
bensì "per aver comportato nocumento sul piano ecologico
paesaggistico, tradotto nella necessità di operare in un habitat
desolante e completamente sconvolto da catastrofe di immani
proporzioni". Si discute in dottrina sulla natura del danno ambientale,
se patrimoniale o non patrimoniale.
IL CASO, Cass. Sez. III n. 5650 del 25.9.1995
Questa Corte, contribuendo alla sistemazione dogmatico
strutturale, ha avuto modo di precisare che:
l'ambiente, teso in senso unitario (come bene pubblico
complesso, bene-valore, poiché presenta, nella sua intrinseca
sostanza, almeno tre valori fondamentali o fattori costitutivi,
rappresentati dalle coppie estetico-culturale, igienico-sanitaria ed
ecologica-abitativa) assurge a bene pubblico di natura
immateriale, ma tale natura non preclude la doppia tutela
patrimoniale e non, che è relativa alla lesione di quel
complesso di beni materiali e immateriali determinati in cui
esso si sostanzia e delimita territorialmente (a partire da
quelle comunità storiche e di base che sono i comuni o altre
entità protette, come avviene per i parchi naturali o i luoghi di
lavoro e via di seguito). Dunque, per questa Corte, non vi è
alcuna preclusione, in tesi, per una duplice tutela, sempre che
risulti accertato, anche per il danno non patrimoniale, il nesso di
causalità tra l'evento lesivo e la condotta determinante (Cass.
Sez. III n. 5650 del 25.9.1995).
IL DANNO NON PATRIMONIALE, IL CASO, Tribunale di
Trento, sentenza del 10.6.2002 (disastro di Stava 1985)
IL DANNO NON PATRIMONIALE, IL CASO, Tribunale di
Trento, sentenza del 10.6.2002 (disastro di Stava 1985)
“Si può ritenere notorio che il fatto di reato accertato in sede
penale ha determinato e determina tuttora l’immediata
associazione del nome di Stava all’immane catastrofe che
ha colpito tale frazione del Comune di Tesero, con la
conseguente compromissione della reputazione turistica del
paese, sicchè non pare seriamente discutibile che il reato in
questione abbia leso, oltreché il composito diritto del
suddetto Comune alla propria identità personale, anche i
suoi diritti al nome e all’immagine [ …] il Comune di Tesero
fa parte di una provincia e una regione che a livello politico,
sociale ed economico sono fortemente caratterizzate dalla
naturale vocazione turistica del proprio territorio, grazie alla
quale sono nazionalmente e internazionalmente conosciute.
In altre parole si può ritenere che il reato definitivamente
accertato in sede penale abbia determinato e determini
tuttora, per usare le parole dell’attore, un collegamento
istintivo del suo nome alla tragedia storica”.
IL DANNO NON PATRIMONIALE, IL CASO: Trib. Milano,
n. 10247, 16.7.2009.
Diversi enti territoriali hanno citato in giudizio il Comune
di Milano per il danno cagionato dalla ritardata adozione
dei depuratori per il trattamento delle acque reflue
urbane, danno consistente nell’alterazione dell’acqua del
fiume Lambro e Po.
Gli enti territoriali lamentavano anche un danno
all’immagine e alla credibilità connessa con
l’impedimento nello svolgimento efficace ed effettivo di
alcune proprie fondamentali prerogative istituzionali,
quali la tutela dell’ambiente.
Tale voce di danno sarebbe, secondo gli attori, in re
ipsa, costituendo una diretta conseguenza del
danneggiamento de territorio.
IL DANNO NON PATRIMONIALE, IL CASO: Trib. Milano,
n. 10247, 16.7.2009.
“Il ragionamento non può venire condiviso, non potendosi ritenere
che l’immagine esterna dell’ente territoriale subisca, in via
automatica un pregiudizio, per effetto del danneggiamento del
territorio. Il ragionamento svolto dagli attori, con richiamo del
disastro di Stava, se può valere di fronte ad un evento puntuale, con
le caratteristiche di un vero e proprio disastro naturale, tale per cui si
possa ritenere raggiunta la prova presuntiva del danneggiamento
dell’immagine dell’ente, non appare applicabile alla fattispecie che ci
occupa. Il danno viene riferito al fenomeno dell’inquinamento del
fiume Lambro e del Po prodotto dai reflui non trattati provenienti
dalla città di Milano. Si tratta di un problema ambientale che ha
carattere cronico, alla determinazione de quale hanno concorso
soggetti diversi, con contributi di entità non conosciuta. […]. In
conclusione, dovendosi escludere ogni automatismo nel
riconoscimento del danno in esame, in assenza di prova di
un’effettiva compromissione di fronte alla collettività dell’immagine
pubblica dell’istituzione, va negato il risarcimento della pretesa
risarcitoria”.
I DIVERSI PROFILI DEL DANNO
ALL’AMBIENTE:
Corte Costituzionale n. 641/87: “alle varie forme di
godimento del bene ambiente è accordata una tutela
civilistica”.
Cass. Sez. III 19.1.1994 n. 439:
“il danno ambientale presenta una triplice dimensione:
• personale (quale lesione del diritto fondamentale
dell’ambiente di ogni uomo);
• sociale (quale lesione del diritto fondamentale
dell’ambiente nelle formazioni sociale in cui si sviluppa la
personalità umana .- art. 2 Cost);
• pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico delle
istituzioni centrali e periferiche con specifiche
competenze ambientali)”
Cass. Sez. III n. 5650 del 25.9.1995, Vajont:
“a. il bene ambiente è un bene giuridico protetto, come bene
pubblico, elemento determinante della qualità della vita;
b. che la sua protezione non persegue astratte finalità
naturalistiche od estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un
habitat naturale, nel quale l'uomo vive ed agisce e che è
necessario alla collettività;
c. che la tutela è imposta dalla concreta attuazione di precetti
costituzionali (in particolare artt. 9 e 32 correlati) (e, si osserva,
secondo un approccio che anticipa l'insegnamento delle
pronunce soprarichiamate della Corte Costituzionale);
d. che la lesione del bene configura per gli enti territoriali danno
ingiusto risarcibile in base al principio del neminem laedere,
che è norma primaria (principio di diritto) rispetto alle norme
generali risarcitorie di cui agli artt. 2043 e ss. del codice civile,
secondo la migliore dottrina”
I DIVERSI PROFILI DEL DANNO ALL’AMBIENTE
• Il danno ambientale “consiste nell’alterazione,
deterioramento, distruzione, in tutto o in parte
dell’ambiente, inteso quale insieme che, pur
comprendendo vari beni appartenenti a soggetti
pubblici o privati, si distingue ontologicamente
da questi e si identifica in una realtà
immateriale, ma espressiva di un autonomo
valore collettivo, che costituisce, come tale,
specifico
oggetto
di
tutela
da
parte
dell’ordinamento” (Cass. Civ. 9.4.1992 n. 4362).
I DIVERSI PROFILI DEL DANNO ALL’AMBIENTE:
• Ma “deve distinguersi, con riferimento ad un’azione di
risarcimento del danno ambientale promossa da un
Comune, tra il danno ai singoli beni, di proprietà privata
o pubblica, o comunque a posizioni soggettive
individuali, che trovano la loro tutela nelle regole
ordinarie; e il danno all’ambiente considerato in senso
unitario, quale bene a sé stante, ontologicamente
diverso dai singoli beni che ne formano il substrato, in
cui il profilo sanzionatorio nei confronti del fatto lesivo del
bene ambientale, comporta un accertamento che non è
quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della
compromissione dell’ambiente, vale a dire della lesione,
in sé, del bene ambientale” (Cass. Civ. sez. III 3.2.1998
n. 1087).
I DIVERSI PROFILI DEL DANNO ALL’AMBIENTE:
Il fatto produttivo il danno ambientale può manifestarsi come
“plurioffensivo”, incidendo tanto sull’ambiente come bene
collettivo la cui tutela è affidata allo Stato, quanto su beni in
regime di appartenenza privata, il cui risarcimento è rimesso
alle azioni ordinarie dei diversi interessati.
I DIVERSI PROFILI DEL DANNO ALL’AMBIENTE:
Un fatto di inquinamento può far sorgere almeno due tipi di
danno:
• un danno ambientale inteso in senso stretto, quello
disciplinato prima dall’art. 18 della L. 349/86 e poi
dall’art. 300 e seguenti del Testo Unico Ambiente che va
a ledere il valore collettivo del diritto ad un ambiente
salubre, di cui è titolare lo Stato in quanto
rappresentante degli interessi della collettività.
• un danno ai soggetti privati o pubblici che si potrebbe
definire collaterale rispetto al danno ambientale in senso
stretto, derivante dai danni alla proprietà o alla salute: si
tratta di una lesione ad un diritto individuale.
LE ESCLUSIONI: ART. 303 D.Lgs
152/06.
Ci sono delle ipotesi che per legge non rientrano
nella nozione di danno ambientale in senso stretto
e non possono, quindi, essere oggetto di tutela ai
sensi della parte VI del D.Lgs 152/2006.
Si tratta in particolare dei danni cagionati da
• atti di conflitto armato, sabotaggi, atti di ostilità,
guerra civile, insurrezione;
• fenomeni naturali di carattere eccezionale,
inevitabili e incontrollabili;
Segue: le esclusioni.
Inoltre, la parte sesta del decreto:
• non si applica al danno ambientale o a minaccia imminente di tale
danno provocati da un incidente per il quale la responsabilità o
l'indennizzo rientrino nell'ambito d'applicazione di una delle
convenzioni internazionali elencate nell'allegato 1 alla parte sesta
del presente decreto cui la Repubblica italiana abbia aderito (si
tratta della convenzione per i danni civili causati da inquinamento di
idrocarburi, dal carburante delle navi, dal trasporto via mare, su
strada o ferrovia di sostanze nocive e pericolose in un ambito
transfrontaliero);
• non si applica ai rischi nucleari relativi all'ambiente né alla
minaccia
imminente
di tale danno causati da attività
disciplinate dal Trattato istitutivo della Comunità europea
dell'energia atomica o causati da un incidente o un'attività per i
quali la responsabilità o l'indennizzo rientrano nel campo di
applicazione delle convenzioni internazionali in materia di energia
nucleare indicati nell’all. 2 del Decreto;
Segue: le esclusioni.
• non si applica alle attività svolte in condizioni di necessità ed
aventi come scopo esclusivo la difesa nazionale, la sicurezza
internazionale o la protezione dalle calamità naturali;
• non si applica al danno causato da un'emissione, un evento o un
incidente verificatisi prima della data di entrata in vigore della
parte sesta del presente decreto; a seguito della modifica al
Testo Unico introdotta nel 2009 i criteri di determinazione
dell’obbligazione risarcitoria previsti dal D.lgs 152/2006 si
applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da
proporre alla luce della previgente normativa. Si tratta di una
modifica importante perché, come vedremo, i criteri sono molto
diversi fra le due normative.
• non si applica al danno in relazione al quale siano trascorsi più
di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che
l'hanno causato;
• non si applica al danno ambientale o alla minaccia imminente di
tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non
sia stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale tra
il danno e l'attività di singoli operatori;
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Il danno ambientale è