Direzione centrale istruzione, cultura, sport e pace Servizio istruzione e orientamento MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI Dipartimento per le politiche del lavoro e dell’occupazione e tutela dei lavoratori Ufficio Centrale OFPL UNIONE EUROPEA Fondo sociale europeo CONVEGNO SCIENZIATI SI NASCE O SI DIVENTA? RIFLESSIONI E STRUMENTI PER ORIENTARE ALLA RICERCA E ALLA SCIENZA AREA Science Park, Trieste Martedì, 21 febbraio, 2006 ATTI L’iniziativa, promossa congiuntamente dal servizio istruzione e orientamento della Regione Friuli Venezia Giulia e dall’AREA Science Park con il supporto del Centro risorse regionale per l’orientamento, conclude una serie di azioni di sensibilizzazione alla figura del ricercatore, realizzate nelle Sciences weeks da AREA Science Park all’interno della campagna europea Researchers in Europe 2005. La giornata di lavori si rivolge agli insegnanti e a gli operatori di orientamento per un approfondimento e un confronto sui temi del profilo professionale del ricercatore e dei percorsi di orientamento alla scienza all’interno degli istituti scolastici superiori. 2 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 POLITICHE EUROPEE PER LA RICERCA STEFANIA BETTINI COMMISSIONE EUROPEA FATTORE UMANO, MOBILITÀ E AZIONI MARIE CURIE Buon giorno a tutti, signore e signori. Naturalmente un ringraziamento al presidente Pedicchio che mi ha permesso di essere qui oggi. Un ringraziamento anche all’assessore Cosolini che mi facilita molto l’intervento, perché con la sua introduzione così efficace ha presentato la realtà odierna e le necessità, legate a innovazione e ricerca in generale, che tale realtà richiede. Nel mio specifico, venendo da Bruxelles, parlerò di politiche europee a sostegno dei ricercatori. Poiché le premesse sono state fatte in modo molto chiaro, mi piace riprendere alcune espressioni dell’assessore Cosolini. Si è parlato della necessità di creare una sostenibilità tra competitività e diritti. Si è parlato anche della grande necessità di una diffusione scientifica come elemento di sviluppo. Si è parlato quindi dell’importanza assoluta, e qui l’appello va a voi in quanto orientatori, che hanno i giovani chiamati a intraprendere carriere scientifiche. Perché c’è poco da fare: abbiamo visto l’importanza che la ricerca ha, naturalmente, in termini di crescita e innovazione. Però si parla di ricerca, si parla d’innovazione, senza considerare il ruolo fondamentale rivestito dalle risorse umane, dalle persone che fanno, che portano avanti queste attività di ricerca. Ed ecco perché trovo estremamente interessante il titolo che è stato scelto per questa giornata, ovverosia “Scienziati si nasce o si diventa? Professione ricercatore”. È proprio da qui che vorrei prendere lo spunto per illustrarvi le politiche europee che da quasi un quinquennio vengono fatte proprio a sostegno dei ricercatori. Senza stare a richiamare gli obiettivi prefissati a Lisbona nel 2000 e a Barcellona nel 2002, quello che è veramente importante, anche per voi che siete chiamati a consigliare i giovani a intraprendere carriere scientifiche, è che c’è bisogno di persone, c’è bisogno di risorse umane perché tutti questi obiettivi così lungimiran- ti, così spesso altisonanti, possano veramente essere messi in attuazione di qui al 2010. Il 2010 suona e si staglia un po’ come la data cruciale entro la quale tutto dovrebbe diventare assolutamente perfetto: data entro la quale l’Europa deve diventare l’economia mondiale basata sulla conoscenza più competitiva in assoluto; data entro la quale virtualmente tutti i 25 stati membri dovrebbero devolvere il 3% del loro Prodotto Interno Lordo alla ricerca. È però pur vero che questi obiettivi hanno avuto bisogno di essere rilanciati proprio l’anno scorso perché la realtà dei fatti ha dimostrato che siamo ancora lontani dal loro raggiungimento. Come dice spesso il Commissario europeo per la ricerca, Potocnik, nei suoi discorsi, che a volte sono permeati anche di un certo pessimismo, se continuiamo con questo trend, se continuiamo a investire nella ricerca quanto attualmente gli stati membri devolvono, nel 2010 saremo ben lontani dal devolvere alla ricerca questo famoso 3%. Ci sono dunque problemi. Per quanto ci riguarda, considerando anche un panorama mondiale che è sempre più competitivo, ormai i nostri competitori non sono più solamente i “soliti” Canada, Stati Uniti e Giappone. Adesso si stagliano delle realtà innovative che stanno recuperando e guadagnando terreno in modo incredibile e qui il riferimento va alla Cina, all’India. Il riferimento va anche a paesi come il Brasile. In tutto questo contesto è da quasi un quinquennio che le politiche europee riguardano finalmente l’aspetto umano di tutto questo grande discorso, ovverosia i ricercatori. Diciamo che per quanto riguarda il titolo non dedicherò molte parole alla prima parte del titolo “Scienziati si nasce”. “Scienziati si nasce” fa riferimento a un aspetto veramente vocazionale di questa professione; ci siamo ritrovati molto spesso a dire: «il nostro problema non è convincere quelli che sentono veramente questo fuoco dentro, il nostro problema non è attrarre loro nelle schiere scientifiche e nella carriera scientifica». Perché queste sono persone che, essendo così illuminate da questo “fuoco”, indipendentemente dagli ostacoli che ci sono, e che sono tanti, comunque diventeranno scienziati, comunque faranno i ricer- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 catori. Non sono quindi loro il nostro target, anche se naturalmente hanno tutto il diritto, proprio perché illuminati da questo “fuoco”, di esercitare e di sviluppare le loro capacità in un ambiente che comunque sia favorevole a loro e alla loro carriera, che comunque sia sufficientemente stimolante e, soprattutto, che permetta loro uno sviluppo di ricerca rigorosamente armonico e nel pieno rispetto dei diritti che ciascun lavoratore deve avere. Quella che per noi è veramente la sfida è appunto la seconda parte di questa frase: “Scienziati si diventa”. Il fatto stesso che si parli di professione ricercatore, costituisce un primo importante riferimento, perché finalmente da qualche anno si incomincia a far passare il concetto secondo il quale essere ricercatore significa essere un professionista. È stato riconosciuto unanimemente che la ricerca è una professione e finalmente anche coloro che si occupano di ricerca devono essere trattati come tali. Quando noi abbiamo incominciato a lavorare, più di quattro anni fa, sulle politiche europee a sostegno dei ricercatori, il nostro primo grande scoglio era quello di far passare l’idea, non solo presso gli stati membri ma anche presso i nostri colleghi di altre Direzioni generali in seno alla Commissione Europea, che i ricercatori sono dei lavoratori e quindi dei professionisti. Per lungo tempo i ricercatori venivano definiti esclusivamente in termini negativi: cioè ricercatore è colui che non è insegnante, è colui che non è questo, è colui che non è quello. Voi capite bene che come punto di partenza lo scenario era assolutamente sconcertante. E quando noi oggi parliamo del bisogno di avere 700.000 ricercatori in più entro il 2010, del bisogno di avere ricercatori in più che vadano, naturalmente, a sostituire le schiere di quanti nel frattempo vanno in pensione, non possiamo certamente pensare di attrarre persone, soprattutto di attrarre giovani, se lo scenario che comunque si presenta è uno scenario desolante dove veramente non c’è nulla, dove non si parla nemmeno di professione. Oggi, dopo quattro anni di lavoro intenso condotto assieme a tutti gli stati membri, finalmente si incominciano a notare i primi cambiamenti. 3 4 Innanzitutto a livello di mentalità, che non è poco. Voi, che siete sul campo e siete i primi ad avvicinarvi ai giovani, lo sapete meglio di me. Posso provare a immaginare il tipo di domande che vi sono poste e posso anche provare a immaginare il tipo di imbarazzo che ogni tanto si ha nel dover rispondere a chi chiede: «Ma allora, quali sono le prospettive di carriera che mi aspettano?». Non è sempre facile fornire una risposta. Il senso quindi della mia presentazione è proprio quello di dimostrarvi che intanto a livello europeo ci si sta “strutturando” (a livello europeo e di conseguenza anche a livello nazionale) perché ormai c’è un comune modo di sentire. Indubbiamente ancora tanto deve essere fatto. Non è cosa da poco il fatto che finalmente ci sia un nuovo modo di sentire secondo il quale s’incomincia a parlare di opportunità di carriera per i ricercatori, di occupabilità dei giovani nel mondo della ricerca e quindi io mi auguro veramente che quanto vi esporrò di qui a breve serva a darvi qualche elemento in più per fornire risposte un po’ più incoraggianti, perché naturalmente voi svolgete un ruolo fondamentale. Voi, come diceva l’assessore Cosolini, veramente rispondete a quell’esigenza di comunicare la scienza, di passare comunque un messaggio positivo, perché, c’è poco da fare, le cose stanno cambiando. Abbiamo sì bisogno di attrarre giovani, ma è anche giusto presentare gli elementi nuovi che esistono perché si possa parlare veramente di carriere e di professioni nel mondo della ricerca. Essere ricercatore è una sfida: c’è poco da fare, i ricercatori vengono definiti come quei coraggiosi, quei giovani coraggiosi, curiosi. L’assessore Cosolini ha parlato giustamente di divertimento come chiave del successo per svolgere una professione assolutamente interessante; si è parlato di piacere, si è parlato di entusiasmo. Ma essere ricercatore ancora oggi rappresenta una sfida. Rappresenta una sfida perché sono necessari tre elementi fondamentali: un ambiente di ricerca favorevole, che permetta veramente uno sviluppo di carriera; delle offerte attraenti di carriera nella ricerca; e sono fondamentali gli investimenti in formazione, mobilità e sviluppo di carriera in quanto tale. Tutto questo significa che è necessario che ci sia veramente un mercato europeo del lavoro aperto e competitivo specificamente dedicato ai ricercatori. E noi, in questo senso, stiamo lavorando da oltre quattro anni. Quando si parla di Spazio Europeo per la Ricerca1, quando si parla di mobilità dei ricercatori, tutto questo concorre a creare questo mercato europeo per i ricercatori. Perché, indubbiamente, senza un mercato europeo per i ricercatori noi non potremmo mai pensare, non solo di trattenere in Europa i nostri migliori intelletti, ma anche di attrarre da fuori quanti se ne sono andati o quanti, giustamente, potrebbero voler tornare in Europa. Due elementi tra i vari concorrono alla creazione di questo mercato europeo per i ricercatori. Innanzitutto politiche per i ricercatori che vedono specificamente impegnate non solo l’Unione Europea ma anche gli Stati membri; un secondo aspetto, non meno importante, nel quale voi giocate un ruolo fondamentale, è proprio quello che riguarda il comunicare la scienza, dove tutti hanno un ruolo da svolgere, soprattutto gli insegnanti, non parlo solamente degli insegnanti delle scuole secondarie, ma anche appunto di coloro che si occupano di orientare i giovani, futuri universitari. Con specifico riferimento alla prima parte che attiene alle politiche c’è poco da fare. Un presupposto comune a entrambi gli aspetti, ovverosia politiche “ad hoc” per i ricercatori e comunicazione, è l’attuale quadro presentato dall’Europa. Probabilmente lo conoscete meglio di me. Oggi abbiamo quasi 6 ricercatori su 1.000 lavoratori. È una media bassissima, perché se voi comparate i dati di Europa, USA e Giappone vedete che in Europa, dove lo specifico riferimento va a materie scientifiche e, in particolare, a ingegneria, educhiamo più di quanti poi siamo in grado di assumere. Si producono dunque più persone rispetto a quelle che poi effettivamente lavorano in questo settore. Questo è un dato estremamente allarmante. Perché non solo, come dicevo prima, siamo notevolmente indietro rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, ma adesso abbiamo altre realtà, come per esempio quella cinese, che ci stanno superando. Bisogna anche dire che, QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 oltre al fatto che l’Europa investe meno in ricerca, ci sono due fattori che possono spiegare questo paradosso: una grande produzione di laureati, ma un bassissimo numero di quanti poi realmente vanno a svolgere attività scientifiche. E questo dipende innanzitutto dal fatto che molti laureati ritengono più redditizio, una volta che hanno conseguito la loro tesi, andare a lavorare in altri settori che non siano quello scientifico. Il secondo elemento è che c’è ancora una forte tendenza, volenti o nolenti, ad abbandonare l’Europa, perché non si riescono a vedere le opportunità che in realtà, questo mi piace sottolineare, sono già esistenti in Europa. Ma proprio perché non le si conoscono, non le si vedono immediatamente, molto spesso i giovani laureati tendono a partire e a non tornare in Europa, sempre considerato che c’è un’apparente mancanza di prospettive. Ripeto, mi piace essere positiva in questo senso, perché invece e soprattutto in questi ultimi due anni, si sta notando un’inversione di tendenza: finalmente l’Europa incomincia ad apparire come un luogo dove l’eccellenza c’è, l’eccellenza esiste. Il problema dell’Europa è che, essendo composta da 25 realtà diverse, tutte estremamente parcellizzate, non sempre si riesce ad avere una visione unitaria delle opportunità di lavoro che vengono offerte. Ma anche qui si sta lavorando in questo senso e le cose stanno cominciando a cambiare. Come ricordava prima l’assessore Cosolini, naturalmente c’è anche una questione fondamentale che riguarda proprio la cosiddetta “dimensione di genere”, ossia la presenza femminile nel mondo delle carriere scientifiche. C’è poco da fare. Come vedete dall’immagine, questo è quello che noi chiamiamo il “paradosso della forbice”: le donne incominciano con un’alta percentuale, sono tendenzialmente più brave degli uomini, si laureano sempre in tempo, però poi purtroppo, alla fine, di “Maria Cristina Pedicchio” ne abbiamo veramente poche. Chi arriva a rivestire veramente un ruolo importante è un numero esiguo di donne. Invece è esattamente il contrario per gli uomini: meno uomini cominciano studi scientifici e si dedicano ad attività scientifiche, però poi sono quasi tutti uomini coloro i quali alla fine svolgono ruoli importanti. Che cosa fare allora perché questi coraggiosi, entusiasti ricercatori rimangano in Europa o comunque ci tornino, continuando a perseguire la loro carriera scientifica? Diciamo che si possono individuare tre strade per riuscire veramente ad avere questo mercato aperto e competitivo per i ricercatori. La prima strada è quella legata alla necessità di rimuovere gli ostacoli amministrativi e legali alla mobilità dei ricercatori, di questo parlerà la professoressa Pedicchio. C’è poco da fare, se vogliamo veramente un’Europa che sia un mercato aperto e competitivo per i ricercatori, se vogliamo che i ricercatori, che sono lavoratori “mobili” per eccellenza, circolino da un paese all’altro in seno all’Europa e possibilmente ci tornino, c’è bisogno che la loro mobilità non venga costantemente inframmezzata da problemi che sono principalmente e innanzitutto legati alla vita quotidiana, quindi ecco il riferimento agli ostacoli amministrativi e legali. C’è bisogno anche di riconoscere uno “status” più elevato alla professione, alla carriera di ricercatore, e quindi il riferimento va a quanto dicevo agli inizi, che i ricercatori sono dei professionisti. E questo dev’essere forte e chiaro perché, voi lo sapete meglio di me, in alcuni paesi i ricercatori sono considerati come studenti, il che ha una ripercussione enorme sull’aspetto pensionistico. Un conto è essere ancora trattati a 30-35 anni come studenti, il che francamente è inaccettabile, un conto è essere trattati come dei lavoratori professionisti. Questo ha una ripercussione sui diritti tributari e pensionistici notevolmente diversa da paese a paese e anche da una realtà all’altra: un conto è svolgere ricerca nel mondo industriale, un conto è svolgere ricerca in ambito accademico. La terza strada per arrivare ad avere un mercato aperto e competitivo per i ricercatori è investire di più in formazione, mobilità e sviluppo di carriera. Per quanto ci riguarda, l’Unione Europea sta varando adesso il VII Programma quadro per la ricerca, nell’ambito del quale c’è un programma specifico, chiamato “People”, gente, che è proprio dedicato al sostegno delle risorse umane. In par- ticolare, People si prefigge, tra gli altri, di strutturare il cosiddetto “training alla ricerca” in tutta Europa, quindi “abituare” veramente alla ricerca, stimolare la partecipazione industriale e, naturalmente, rinforzare la dimensione internazionale nello sviluppo di carriera. Adesso nello specifico vorrei brevissimamente mostrarvi alcune delle attività che concretamente sono state create e sono in corso di rotta, non solo in Europa, ma in tutti gli stati. Per quanto riguarda la prima strada, ovverosia il rimuovere gli ostacoli amministrativi e legali alla mobilità, immagino che già ne siate al corrente. Ma il primo vero strumento è costituito da ERA-MORE, acronimo che sta per “European Research Area (Spazio europeo della ricerca), more researchers”, più ricercatori. Si tratta di una rete europea di centri di mobilità composta da circa 200 centri, per quanto riguarda la realtà del Friuli Venezia Giulia, Area è uno di questi centri di mobilità, e 32 paesi ne fanno parte. È un network la cui finalità principale è proprio quella di aiutare i ricercatori fornendo loro, tramite un’assistenza personalizzata, informazioni utili per quanto riguarda tutte le problematiche legate proprio all’insediamento in una nuova realtà. Quindi, qualunque ricercatore proveniente da qualunque paese, non solo europeo ma anche extraeuropeo, si può rivolgere ad uno di questi centri chiedendo l’assistenza su come avere, per esempio, un permesso di lavoro, come trovare una scuola per i propri figli, come aiutare il proprio partner che ha bisogno magari di cercare un lavoro in questo paese. La finalità, quindi, è proprio quella di aiutare i ricercatori dando loro informazioni utili per poter sopperire alle mancanze, soprattutto amministrative, burocratiche e legali, che oggi ancora ci sono nei vari stati. Si parlava prima dell’importanza di essere a conoscenza delle opportunità che esistono in Europa, opportunità non solo di lavoro, ma anche di borse di studio. C’è poco da fare: tanti ricercatori vanno via dall’Europa perché, al di là di un sistema autoreferenziale, non sanno che in Europa stessa ci sono tantissime altre offerte e proprio questa mancanza di conoscenza ha fatto sì che nel 2003 la Commissione creasse il QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 Portale europeo per la Mobilità del Ricercatore dove i ricercatori trovano informazioni su borse di studio, offerte di lavoro, sempre con un focus specifico sulle 32 realtà europee. Sottolineo il numero 32 perché noi lavoriamo non solo con i 25 stati membri dell’Unione Europea, ma anche con gli stati associati al Programma Quadro per la Ricerca. Oggi 30 portali nazionali affiancano e completano il portale europeo. Tra essi il portale italiano per la mobilità del ricercatore. Il portale europeo ha anche una dimensione internazionale, extra-europea, rappresentata attualmente dal Canada e, soprattutto, dal Cile che ha sviluppato il suo portale nazionale per i ricercatori sul modello europeo. La Nuova Zelanda seguirà a breve. Considerata la realtà specifica del Friuli Venezia Giulia e, in particolare, la realtà offerta da Area Science Park e da tutti gli enti di ricerca che gravitano intorno a Trieste, un altro strumento particolarmente interessante, di cui io penso sia estremamente opportuno che voi siate a conoscenza, è anche il cosiddetto “visto scientifico”. Si è parlato tanto dell’importanza, della necessità di attrarre ricercatori da tutto il mondo, perché in Europa si offre eccellenza. Abbiamo quindi bisogno che i migliori talenti ritornino in Europa oppure, se sono di altri paesi, ci vengano. Ebbene, questo è uno strumento estremamente importante e vorrei sottolineare che questo strumento venne concepito nel lontano 2001. All’epoca, quando cominciammo a lavorare sull’ipotesi di un visto scientifico per i ricercatori, fummo visti come “visionari”, perché dicevamo che non solo era estremamente importante riconoscere i ricercatori come professionisti, ma anche perché chiedevamo di prevedere a livello europeo uno strumento “ad hoc” per coloro che provengono da paesi terzi, per svolgere in Europa esclusivamente attività di ricerca. Considerato il grande successo di iniziative simili attuate in Francia, Olanda e Danimarca, avevamo chiesto un visto “ad hoc” per i ricercatori provenienti da paesi terzi. Ebbene, nel 2001 eravamo “visionari”, mentre oggi possiamo dire con grande orgoglio che siamo arrivati ad avere una direttiva su questo tema. Come probabilmente saprete, 5 6 la direttiva è lo strumento legislativo europeo che ha maggiore forza, nel senso che dev’essere obbligatoriamente trasposto in legge nazionale. Quindi voi capite il successo e la portata di questa iniziativa. Oggi possiamo dire che a livello europeo esiste un pacchetto composto da una direttiva e due raccomandazioni per ammettere i cittadini provenienti da paesi terzi in Europa. Quello che è importante è che la direttiva, nello specifico, prevede una procedura d’ingresso veloce per i ricercatori: ci sono dunque, e finalmente, gli strumenti legali perché ricercatori provenienti da tutto il mondo possano venire in Europa a lavorare. In particolare, le due raccomandazioni che fanno da corollario alla direttiva sono già in vigore; queste, infatti, entrano in vigore nel momento stesso in cui vengono adottate. La direttiva dovrà essere trasposta in legge nazionale entro ottobre 2007. Quindi voi capite la portata di tutti questi strumenti che, insieme, concorrono veramente a creare quell’ambiente favorevole per la ricerca, di cui parlavo agli inizi. Un ambiente che comunque permetta a un ricercatore di capire che esistono strumenti appositamente creati per lui. Non mi soffermo sulla seconda raccomandazione che riguarda l’ammissione a breve termine in Europa, ovverosia inferiore ai 3 mesi, principalmente legata alla necessità di ottenere un visto per poter partecipare a conferenze in diversi stati europei in un lasso di tempo ristretto. Questa raccomandazione permette di avere molto velocemente un unico visto che permetta di spostarsi all’interno dei paesi che aderiscono a Schengen. Con riferimento alla seconda strada, ovverosia valorizzare la carriera dei ricercatori, il riferimento va nello specifico alla Carta Europea per i ricercatori e al Codice di Condotta per la loro assunzione. Per quanto riguarda il perché di questi strumenti, diciamoci chiaramente: abbiamo bisogno di parlare di occupabilità dei ricercatori, abbiamo bisogno di attrarre un maggior numero di persone nelle filiere scientifiche, passatemi il termine. Per far ciò, è fondamentale prospettare concretamente ai ricercatori una carriera, una professione nella quale siano chiaramente individuabili diritti e doveri e, soprattutto, tutto ciò che li aspetta. Ebbene, come saprete meglio di me, Carta e Codice nascono perché innanzitutto c’era una grandissima differenza di strutture di carriera, a seconda delle 25 realtà europee. C’è una grande frammentarietà di carriera a livello locale, regionale e nazionale e, ovviamente, il grosso problema che tutti i ricercatori hanno sempre avuto è quello di doversi misurare con procedure di assunzione mediamente chiuse, non trasparenti e locali. E qui sorvolerò. Anche la mancanza di prospettive di sviluppo di carriera è stato uno degli elementi che ha sempre meno invogliato e incoraggiato i giovani a intraprendere attività scientifiche. Carta e Codice, che sono una raccomandazione europea, (quindi non c’è niente di coercitivo nel loro contenuto), costituiscono una carta di diritti per tutti i ricercatori europei e non, e indipendentemente dalla loro nazionalità ed età, che lavorano nell’Unione Europea. Nello specifico c’è da dire che costituiscono un quadro di riferimento per la loro gestione di carriera che aiuta i ricercatori a capire innanzitutto in che cosa consiste il loro lavoro. Vorrei sottolineare che questa Carta e questo Codice contengono un elenco di principi, di suggerimenti che non sono stati meramente elencati dalla Commissione Europea, ma sono il risultato di una consultazione durata 9 mesi, durante la quale la Commissione si è misurata con i rappresentanti del mondo universitario, del mondo industriale, dello stesso mondo dei ricercatori. Quindi è il risultato di un grande e collettivo processo di sensibilizzazione che ha portato alla stesura di questi principi, che naturalmente ciascun paese, ciascun organismo, adotta su base volontaristica. Oggi a livello europeo ci sono 6 paesi in cui Conferenze dei Rettori e Consigli nazionali della ricerca hanno ufficialmente sottoscritto questi principi. Per una volta l’Italia ha battuto tutti, essendo la prima: nel luglio 2005, a Camerino, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiana, la CRUI, ha ufficialmente sottoscritto questi principi, immediatamente seguita dal CNR, dall’Area di Ricerca di Trieste, che si è fatta anche capofila di un’iniziativa a livello regionale per cui ora tutti gli QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 enti di ricerca della regione Friuli Venezia Giulia sono stati chiamati a pronunciarsi e ad aderire formalmente a questi principi. Questo è estremamente importante, perché è per la prima volta che si sottoscrivono formalmente dei principi, peraltro già attuati da vari organismi, che aiutano i ricercatori a capire bene in che cosa consiste il loro lavoro, che cosa si aspetta da loro la società e anche che genere di carriera deve essere garantita a un ricercatore. Voi capite che una persona che decide di intraprendere un percorso scientifico, di diventare un ricercatore, si può sentire un po’ più incoraggiata a farlo perché sa che c’è un contesto entro il quale la sua carriera viene ben definita. Nello specifico la Carta per i Ricercatori è rivolta a ricercatori, datori di lavoro e finanziatori e la sua grande finalità è proprio quella di creare un ambiente di ricerca di sostegno, una cultura lavorativa in cui i ricercatori vengono riconosciuti e si comportano da professionisti. Come dicevo prima, non è così scontato che un ricercatore venga considerato un professionista dal proprio datore di lavoro. Per quanto riguarda il Codice, non a caso si chiama Codice per l’assunzione, per il reclutamento di ricercatori. Anche qui, destinatari sono i finanziatori, i datori di lavoro ai quali si richiede, con principi molto semplici, di avere un atteggiamento corretto e trasparente nel momento in cui assumono ricercatori. Atteggiamento corretto e trasparente che si deve evidenziare tanto nelle procedure di assunzione che di selezione: per esempio, nel caso di un ricercatore che postula per un posto, si chiede al datore di lavoro di giustificare o comunque di spiegargli per quale motivo la sua candidatura non è stata accettata. Direi che è una cosa abbastanza ammissibile, nel senso che un ricercatore ha il diritto di sapere per quale motivo non è andata a buon fine la propria candidatura. Si chiede anche di tenere conto, per esempio, delle esperienze di mobilità, quando si valuta nel merito il CV di un ricercatore. Fino ad oggi, e questo vi sarà detto dalla professoressa Pedicchio, le esperienze di mobilità in un CV vengono considerate in modo penalizzante. Il ricercatore, come dicevo prima, è uno dei professionisti mobili per eccellenza; quando arriva dopo un periodo trascorso all’estero, non viene aiutato per questo: al contrario, molto spesso l’esperienza all’estero gli torna contro perché, essendo partito, il suo posto non c’è più, o è stato preso da qualcun altro o, comunque viene riduttivamente vista come una “perdita di tempo”. E questa non è assolutamente l’ottica nella quale oggi noi vediamo le cose. La mobilità non è un fine a se stesso, ma è uno strumento fondamentale che aiuta a sviluppare una carriera scientifica nel modo più esaustivo e completo possibile. Si chiede quindi di riconoscere l’esperienza di mobilità nonché le qualifiche a seconda che un ricercatore abbia prestato la propria attività nel settore privato o in quello pubblico o accademico e si chiede di non penalizzare tutte quelle attività che possano esulare dal contesto nel quale il ricercatore chiede di lavorare. Quando si parla di nomine post-dottorato, si apre un altro capitolo doloroso. Fino ad oggi c’è stata una certa visione “endemica” della carriera del ricercatore. I ricercatori vengono formati e lavorano in un contesto perché lì rimangano. Oggi cerchiamo di andare in senso esattamente opposto rispetto alle tendenze attuali. Oggi vogliamo ricercatori mobili, ricercatori che aprano le menti e aprano, ovviamente, i loro curricula. Una visione endemica non li aiuta certamente. La terza via è il maggiore investimento. Questa è la struttura del VII Programma quadro che coprirà gli anni dal 2007 al 2013, che comprende anche il Programma “Personepotenziale umano” che, appunto, è dedicato ai ricercatori. Nello specifico, obiettivi primari sono lo sviluppo di risorse umane in Europa, la necessità di avere ricercatori numerosi, ben formati e, soprattutto, motivati; attrarre i ricercatori in Europa e trattenerli; attrarre gli studenti verso le carriere scientifiche e, naturalmente, sostenere tutte quelle iniziative che vanno a migliorare e a creare uno sviluppo sostenibile di carriera. Queste sono le azioni Marie Curie, che probabilmente voi conoscete. Ancora una volta, come potete vedere, le azioni Marie Curie costituiranno un grande asse in seno al VII Programma quadro. Purtroppo tocca dire che il budget è stato ridotto circa del 30%, il che naturalmente è un brutto segnale perché significa che, nonostante tutti gli appelli rivolti, gli stati membri non se la sono sentita di investire così tanto nella ricerca, nonostante tutte le dichiarazioni di principio secondo le quali senza la ricerca non c’è crescita, non c’è innovazione e l’Europa si ferma. Ahimè, questa comunque è la realtà che oggi dobbiamo fronteggiare. E vedremo prossimamente quanta parte di questo budget verrà dedicata al Programma Persone con le azioni Marie Curie. Giusto per concludere vorrei soffermarmi sull’aspetto fondamentale del comunicare la scienza. Come dicevo, qui ciascuno di noi, e mi fa estremamente piacere che l’iniziativa di oggi sia dedicata a voi, ha un ruolo fondamentale in questo senso. Diciamo che c’è bisogno di nuovi ricercatori, che c’è bisogno di attrarre nuovi giovani nel mondo della ricerca, che c’è bisogno d’instaurare un nuovo dialogo con il pubblico. Poco da fare, abbiamo un messaggio da passare, che è quello che prima l’assessore Cosolini ha passato in modo così vigoroso, ovverosia scienza è bene, è bello, è divertente, è un’opportunità; ma, proprio perché il pubblico a cui ci rivolgiamo è un pubblico estremamente vasto, si va dai giovanissimi, che speriamo siano ricercatori domani, al mondo politico, è ovvio che abbiamo bisogno di avere un adeguato messaggio da passare, con adeguati mezzi di comunicazione per ogni tipo di pubblico. Voi naturalmente ci aiutate in questo e svolgete un ruolo fondamentale. Ed ecco perché si cerca di darvi elementi che possano veramente contribuire a dare ai giovani che si avvicinano a voi una visione più ottimista e un po’ più rasserenante delle carriere che li attendono. Nel comunicare la scienza, c’è un ruolo fondamentale per voi. La Commissione Europea in questo senso sta lavorando da qualche anno: c’è stato proprio un piano per comunicare la scienza al grande pubblico. Se il grande pubblico non riesce ad avere una percezione corretta di quello che sono i ricercatori e di quello che fanno, non riusciremo ad attrarre più giovani, né riusciremo ad avere un mondo politico in grado di sostenere politiche per la ricerca. Perché se i ricercatori conti- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 nuano ad essere solamente gli scienziati “pazzi” che fanno strambe scoperte nei loro laboratori, ma si dimentica che in realtà contribuiscono quotidianamente al miglioramento delle nostre condizioni di vita, andremo poco lontano. Giusto per concludere, tutto questo fa parte di un’iniziativa europea chiamata proprio “Ricercatori in Europa 2005”; verrà ripetuta anche nel 2006 perché si è rivelata un’iniziativa di grandissimo successo in tutta Europa. E, ancora una volta, c’è la necessità di comunicare i giusti messaggi che riguardano la scienza. C’è la necessità quindi di dialogare con il pubblico. E se siamo passati dal semplice informare e sensibilizzare il pubblico, oggi siamo veramente in una fase di dialogo aperto con il pubblico in cui, naturalmente, tutti hanno un ruolo fondamentale da svolgere. Detto questo, vi ringrazio molto per l’attenzione e spero che abbiate elementi utili di riflessione. Soprattutto, vi auguro buon lavoro, perché avete un ruolo assolutamente fondamentale. Grazie. ■ NOTE 1) Lo Spazio Europeo della Ricerca: http://europa.eu.int/comm/research/ era/index_it.html Stefania Bettini Commissione Europea Fattore Umano, Mobilità e Azioni Marie Curie LA MOBILITÀ DELLE RISORSE UMANE COME STRUMENTO DI VALORIZZAZIONE DELLA CARRIERA DEL RICERCATORE PROF. MARIA CRISTINA PEDICCHIO PRESIDENTE AREA SCIENCE PARK I temi della ricerca e dell’innovazione sono prepotentemente entrati nell’agenda politica degli ultimi anni come risposta alle sfide della competitività e della globalizzazione. L’argomento, di grande attualità a livello internazionale, ha assunto un peso crescente anche nei programmi 7 8 e negli indirizzi politici dell’Unione Europea, fissando priorità e obiettivi per gli Stati membri. Nel 2000, al vertice dei capi di Stato a Lisbona, fu presentata l’idea di rendere l’Europa un’economia fortemente dinamica e di restituirle un ruolo leader nel campo della conoscenza. Il Consiglio Europeo di Barcellona del marzo 2002 ha fissato l’obiettivo di portare entro il 2010 gli investimenti per la ricerca al 3% del prodotto interno lordo degli Stati UE. Un altro importante aspetto da considerare è quello delle risorse umane. C’è la necessità di attrarre più studenti verso le facoltà scientifiche, ma anche e soprattutto di sviluppare un sistema di regole e incentivi per selezionare capacità e talenti. Anche qui l’Unione Europea ha posto un obiettivo ambizioso: incrementare di 700 mila unità il numero dei ricercatori europei. Questo traguardo presuppone per i ricercatori la creazione di condizioni che diano loro prospettive di carriera a lungo termine, migliorandone le condizioni di lavoro, valorizzandone la professionalità, facilitando la mobilità. Va evidenziato che uno dei parametri fondamentali che registra la qualità del sistema ricerca (insieme all’investimento percentuale in rapporto al Pil) è il numero di ricercatori per mille unità di forza di lavoro. Bisogna cominciare dalle università, creando le condizioni perché i giovani si iscrivano alle facoltà scientifiche, prospettando loro concrete opportunità occupazionali, aggiornando i percorsi didattici ai continui progressi della scienza e delle tecnologie e ampliando l’offerta formativa anche in chiave internazionale, favorendo le esperienze all’estero e la definizione dei percorsi formativi in una dimensione quantomeno continentale. L’Unione Europea si è dotata negli ultimi anni di una serie di strumenti per contribuire a questa finalità: si tratta di tutti i progetti che coinvolgono la scuola superiore, l’università, il mondo della ricerca, il mondo del lavoro con il comune obiettivo di consentire a studenti, ricercatori, professori e lavoratori di trascorrere all’estero un periodo di studio, lavoro, stage riconosciuto in tutti i Paesi membri. Grazie ai programmi universitari Socrates, per esempio, ad oggi oltre un milione di studenti ha beneficiato di periodi di studio all’estero, con gli stessi diritti dei colleghi appartenenti all’Ateneo ospitante e pienamente riconosciuti dall’Ateneo di origine. Per le scuole superiori, i programmi di tipo Comenius permettono percorsi di scambio, soprattutto tra docenti, mentre per i ricercatori ci sono le borse di mobilità attivate dal programma Marie Curie. Come ben sanno coloro che hanno avuto l’opportunità di trascorrere periodi di studio o lavoro all’estero, in genere un ricercatore cerca un ambiente stimolante, internazionale, dinamico: università dove le biblioteche sono aperte 24 ore al giorno, sabato e domenica; dove le caffetterie sono aperte sempre come luoghi di incontro, di divertimento, ma anche come occasione per incontrare nuovi colleghi e parlare di scienza. Un sistema culturale, sociale in cui i ricercatori, al di là della razza, dell’età, del paese di appartenenza, si integrino in un connubio intellettuale. Il Friuli Venezia Giulia in questo si presenta come un distretto di punta a livello europeo, con una concentrazione di ricercatori, fatte le dovute proporzioni, paragonabile a quella degli Stati Uniti o del Giappone. A Trieste ogni anno transitano per periodi di studio più o meno prolungati più di ottomila ricercatori dall’estero, quasi tutti dai Paesi in via di sviluppo. Cospicua è inoltre la presenza stabile di ricercatori stranieri nelle nostre istituzioni di ricerca (Centro di Fisica, Sincrotrone, ICGEB ed altri). Questo ci dà la percezione che la Trieste scientifica abbia acquisito una certa notorietà a livello internazionale. È un segno di forza, ma c’è spazio e potenziale per fare di più, per favorire una maggiore integrazione delle centinaia di ricercatori e ricercatrici che da tutto il mondo vengono nella nostra città. Si tratta, molto concretamente, di facilitarne la partecipazione alla vita sociale e culturale, di predisporre servizi di trasporto, logistici che ne agevolino la permanenza. Bisogna creare condizioni di accoglienza simili a quelle comuni nei campus universitari anglosassoni, dove all’eccellenza dei laboratori, che da noi non manca, si affianca la creazione di una comunità della quale sentirsi parte integrante, con standard di vita qualitativamente elevati per i ricer- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 catori e i loro familiari. Anche questo vuol dire fare politiche per la ricerca che vadano nella direzione indicata dall’Unione Europea. Credo che questa sia la responsabilità di cui devono farsi carico gli amministratori degli enti di ricerca, tenendo presente che gli ostacoli alla mobilità internazionale sono ben individuati: barriere legali e amministrative (visti, permessi di lavoro, etc.); trasferimento dei diritti pensionistici e previdenziali; difficoltà relative ai diversi sistemi di tassazione; non soddisfacenti servizi di accoglienza; ostacoli economici; insufficienti sistemi di supporto per il nucleo familiare del ricercatore (soprattutto se donna). La grande sfida che abbiamo di fronte oggi, tuttavia, sta anche in un secondo aspetto: la mobilità intersettoriale. Per mobilità intersettoriale si intende la mobilità pubblico-privato, quindi tra accademia e impresa. All’inizio ci si è rivolti soprattutto alla mobilità fisica, in particolare con il progetto Leonardo che garantiva la possibilità di svolgere stages all’estero. Però oggi, quando parliamo di mobilità intersettoriale ci riferiamo a un processo culturale che va al di là della pura mobilità fisica e che fa riferimento a tutte quelle azioni mirate a trasferire la conoscenza dall’università al settore privato e viceversa. Assicurare una maggiore mobilità dei ricercatori rappresenta quindi un obiettivo prioritario per consentire un effettivo trasferimento delle conoscenze e della tecnologia anche verso il mercato. La mobilità dei ricercatori contribuisce a questa osmosi, attribuendo nel contempo dimensione europea alla carriera scientifica e incentivando l’arrivo di ricercatori dal resto del mondo. Si tratta, è evidente, di un presupposto indispensabile alla creazione di un vero e proprio mercato europeo della ricerca, capace di competere con i Paesi più avanzati, a cominciare da Stati Uniti e Giappone. Un mercato la cui attuazione servirebbe anche ad invertire la tendenza, da tempo in atto, che vede l’abbandono dell’Europa da parte di molti ricercatori, attratti da realtà meglio in grado di rispondere meglio alle loro aspettative professionali. In effetti, il consolidamento di una collaborazione costruttiva tra accademia e industria si connota come un dato necessario nei percorsi di trasferimento delle conoscenze, delle tecnologie e delle innovazioni. È vero, esistono problemi tecnici: disparità di trattamento salariale, riconoscimento reciproco dello status professionale della carriera nel passaggio dall’accademia all’impresa e viceversa, diversi criteri di valutazione. Ma il problema fondamentale per l’Italia e per gran parte dei Paesi europei è soprattutto culturale: riuscire, cioè, a superare i pregiudizi e i sospetti che esistono tra mondo pubblico e privato, tra accademia e impresa. A livello nazionale rappresento l’Italia nello Steering Group on Human Resources and Mobility. Abbiamo presentato con il supporto del dott. Ciro Franco, che ringrazio, due edizioni di un’analisi fatta a livello nazionale, sulla situazione relativa alla mobilità intersettoriale: problemi, strumenti, esempi di best practice. Dall’indagine, svolta in collaborazione con la CRUI, emerge che molte università ed enti di ricerca stanno avviando dei percorsi di studio tagliati sulle esigenze del territorio. Esistono iniziative di stages, di scambio, che ormai sono consuetudine per tutti gli atenei, a dimostrazione che il modello italiano, se manca forse sul piano delle normative, delle procedure legali e amministrative, vanta però anche buone prassi diffuse. Relativamente al VII Programma quadro per la ricerca dell’Unione Europea, le strategie per la mobilità compaiono dovunque, non solo nel settore people, ma anche negli altri (ideas, capacities e cooperation). La mobilità vista come trasferimento di conoscenza è un elemento costante e, in questa direzione, i parchi scientifici, insieme alle università, possono giocare un ruolo determinante nel fornire contesti qualificati e stimolanti ove promuovere la mobilità internazionale di studenti e ricercatori, favorendo un legame stabile tra mondo accademico e produttivo. AREA Science Park, parco multi-settoriale e multi-disciplinare, pone non a caso molta attenzione alle risorse umane e all’attrazione di talenti, all’attivazione di sinergie con enti di ricerca presenti in regione, al rafforzamento delle partnership pubblico-privato e collaborazioni internazionali. Per quanto ci riguarda direttamente, un atto concreto da parte di AREA è stata l’adozione della Carta Europea dei ricercatori, che ha l’obiettivo di disegnare migliori percorsi in tema di sviluppo, trasferimento e condivisione delle conoscenze, nonché maggiori certezze sul versante delle carriere professionali. Vogliamo migliorare il reclutamento dei ricercatori, rendere più eque e trasparenti le procedure di selezione, valutare la loro esperienza non solo sul numero delle pubblicazioni ma anche sull’attività d’insegnamento, sul numero di brevetti e sull’attitudine a condividere il sapere con la comunità. Questa prassi stiamo cercando di estenderla a tutto il sistema della ricerca regionale, attraverso il tavolo del Coordinamento degli enti di Ricerca del Friuli Venezia Giulia, che si presta particolarmente bene alla programmazione di azioni e iniziative comuni in questo ambito, in un’ottica più ampia di attrattività territoriale. A questo proposito vorrei ricordare alcuni esempi di azioni concrete promosse da AREA Science Park. E’ stata costituita una rete di parchi scientifici e tecnologici, quattro italiani e quattro spagnoli con particolare interesse per il tema della biomedicina, finalizzata a favorire lo scambio di ricercatori, di imprenditori e di persone che gestiscono il management del parco. Quindi compare la mobilità fisica, ma anche la mobilità intrasettoriale e lo scambio delle conoscenze. Abbiamo lanciato il progetto “Talents Friuli Venezia Giulia”, che ha tra gli obiettivi principali l’idea di costruire una rete di “fellows” che diventi un beneficio per tutto il sistema regionale, capace di attrarre ricercatori. Anche nel Progetto D4, finanziato dalla Regione, la mobilità è un elemento chiave che mette in rete tutto il sistema (l’università, gli enti di ricerca, l’Ires ecc.). Al servizio dei ricercatori sono stati attivati gli sportelli ERAMORE, gli sportelli APRE, a Trieste e a Udine, lo sportello Alma Laurea per facilitare il contatto e l’assunzione di ricercatori, soprattutto nel privato. A fianco di queste iniziative ci sono numerose attività di formazione, tra cui i periodi di tirocinio finanziati dal Fondo Sociale Europeo, borse per giovani imprenditori finalizzate alla creazione di spin-off, “Imprenderò” per la diffu- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 sione della cultura imprenditoriale e il supporto alla creazione di impresa, “Innovation Campus”, laboratorio per l’alta formazione di “Specialisti del trasferimento tecnologico e dell’innovazione-broker tecnologico”. Allargando lo sguardo anche al mondo dei “non” ricercatori, è importante in prospettiva lavorare perché la cultura scientifica sia patrimonio comune di una fascia di popolazione sempre più ampia. Pensando ai giovani, in particolare, non va dimenticato che la conoscenza scientifica rappresenta la premessa per incoraggiarli ad avvicinarsi negli studi e nelle scelte occupazionali al mondo della ricerca. In tema di promozione della cultura scientifica l’impegno di AREA è costante da anni, con l’idea di conquistare la curiosità per la scienza e il sapere della gente comune. Ciò significa non solo creare laboratori di ricerca con strumentazioni e piattaforme tecnologiche d’avanguardia, ma anche ambienti socialmente e culturalmente stimolanti, luoghi e occasioni d’incontro attraverso cui avvicinare il cittadino a temi importanti per il nostro futuro. Puntano a questo, per esempio, gli incontri con i Premi Nobel curati da AREA Science Park, durante i quali si discute di economia, di scienza, di tecnologie con il massimo di autorevolezza e di chiarezza. Appuntamenti da non perdere per quanti amano conoscere il proprio tempo e non esserne semplicemente ignari spettatori. Vanno nella stessa direzione gli appuntamenti dei Caffè Scientifici, così come le giornate di porte aperte nei laboratori. Per concludere, credo che la situazione della nostra regione sia estremamente positiva, grazie alle molte iniziative messe in atto con il sostegno della Commissione Europea e della Regione. Tutti i progetti hanno consentito importanti e concreti passi avanti per la valorizzazione delle risorse umane e il riconoscimento dei ricercatori come professionisti e per lo sviluppo della cultura dell’accoglienza. Credo però che i successi derivino sempre più, oggi e in futuro, dalla crescente capacità del nostro territorio di fare “rete”. Maria Cristina Pedicchio AREA Science Park 9 LE ESPERIENZE DEI RICERCATORI 1 INTERVISTA AL PROF. GIORGIO ROSSI, DIRETTORE DEL LABORATORIO NAZIONALE TASC INFM-CNR Nella sessione dedicata alle esperienze dei ricercatori ha definito il suo percorso di carriera di ricercatore come: “un percorso anni ’80 e molto maschile”. Perché? 10 Perché in realtà se noi vogliamo parlare del mestiere della ricerca dobbiamo contestualizzare sia rispetto agli aspetti sociali ed economici, che agli aspetti culturali. Dobbiamo capire come interloquire oggi con chi può prendere in considerazione di avviare un percorso che lo porti alla ricerca come mestiere della sua vita, di intraprendere degli studi, che plausibilmente possano portare gli adolescenti di adesso al mestiere della ricerca, fra 10-15 anni. Chiaramente dobbiamo aver presente un quadro odierno, ben descritto negli interventi della dott.ssa Bettini e dalla prof.ssa Pedicchio, che è profondamente diverso da quello che si applicava trenta o quindici anni fa. L’Unione Europea, che allora non c’era e adesso c’è, ha formalizzato una previsione e una indicazione della proporzione, usando criteri macroeconomici, fra ricerca scientifica e resto dell’economia necessaria per mantenere, o forse sviluppare, il benessere degli europei e per migliorare le nostre relazioni con il resto del mondo. Questo fra l’altro potrà essere soltanto la nostra futura capacità di affrontare positivamente alcuni dei problemi gravi della parte del mondo meno favorita. L’Unione Europea ha definito un “fabbisogno” di 8 ricercatori ogni 1.000 lavoratori, e contestualmente la necessità di tendere all’investimento in ricerca del 3% del prodotto interno lordo. Questo è un quadro di riferimento macroeconomico estremamente importante che punta ai fondamentali di una società, e che in parte è realizzato in alcuni paesi extra-europei, o in piccole economie particolarmente vivaci nel nord Europa. L’8 per mille dei ricercatori, c’è già in Giappone, e quasi negli Stati Uniti; altri paesi sono sulla rotta del 3% del PIL investito, alcuni la superano. Quindi, l’Unione Europea non sta adottando un’impostazione troppo immaginifica, ma sta semplicemente riconoscendo che questi sono dei criteri sui quali si giudica strutturalmente la capacità di una società di affrontare nuovi cicli economici, di avere eventualmente abbastanza conoscenze per indirizzare o imporre alcuni aspetti dei nuovi cicli economici, e non tanto la congiuntura economica fotografata oggi. Questo è un quadro estremamente diverso rispetto a quello che c’è stato in passato? Sì, e deve essere comunicato in maniera efficace ai giovani e ai giovanissimi. Deve essere chiaro che c’è una prospettiva nella quale di scienziati ce ne sarà grande bisogno: di bravi e numerosi. Questi avranno, inevitabilmente un riconoscimento sociale, un prestigio di cui gli scienziati della generazione dei loro genitori non hanno goduto in questi anni. La ricerca deve essere percepita come un mestiere “normale”, nel senso che ce n’è grande bisogno, nonostante abbia caratteristiche peculiari, fra le quali spiccano il grande divertimento e il grande stimolo intellettuale. Vi è però anche un contesto culturale, che è argomento ben più complesso, e che non si affronta con delle normative europee, con delle Carte dei ricercatori o con delle iniziative, per quanto importantissime e rilevantissime, di sostegno al mestiere dei futuri ricercatori. Faccio mezzo passo indietro, ma è veramente importante sottolineare l’aspetto quantitativo “dei bravi e numerosi”. Noi in Italia siamo a 2,9 addetti alla ricerca per mille lavoratori attivi, e questi sono prevalentemente vecchiotti. Io fra poche settimane sarò uno splendido cinquantenne e passo ancora per un giovane ricercatore. Quindi, per avere, magari anche solo 5 o 6 ricercatori ogni mille lavoratori in Italia fra 10 anni, bisogna avviare agli studi scientifici un numero estremamente alto di giovani, sapendo che solo alcuni di questi intraprenderanno il mestiere di ricercatore. Le nostre facoltà scientifiche oggi operano al 25-30% del loro potenziale di formazione. I nostri corsi di dottorato di QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 ricerca nelle Scienze, Fisica, Matematica, Chimica, Biologia operano al 20%-25% del loro potenziale; cioè, a pari forze di corpo insegnante ed infrastrutture disponibili, potremmo facilmente quadruplicare o quintuplicare il numero di giovani formati in scienza ed alla ricerca. Questo è un punto molto importante. Non lo stiamo facendo, abbiamo troppo pochi studenti e laureati in materie scientifiche. Questo è già oggi un grave problema per il paese e, nel breve periodo, potremo affrontarlo solo diventando attraenti per i ricercatori stranieri. Nel medio periodo dobbiamo però ricominciare a produrre un numero adeguato di ricercatori e di scienziati nelle nostre università. Cioè prendere oggi decisioni utili a quel fine. Chi ha cominciato un percorso di ricerca negli anni ’80 o ’70 lo faceva in condizioni completamente diverse? Diverse ed estremamente sfavorevoli dal punto di vista strutturale: non c’era il dottorato di ricerca, alcuni restavano negli istituti universitari a lavorare gratis per mesi, a volte un anno; andare all’estero significava nella maggior parte dei casi emigrare definitivamente. Però, concedetemi di ricordare che, quando io ero ragazzino, c’è stato il ’68. Il “Sessantotto” è stata una breve stagione che politicamente non ha lasciato grandi strascichi, perché la politica è stato l’aspetto debole del ’68, ma culturalmente ha rimesso al centro dell’attenzione l’appropriazione della conoscenza, la possibilità di conoscere, di scoprire che il potere dice le bugie. Questo fatto ha permeato tutta quella generazione e ha motivato, a livello mondiale, molti ricercatori, in tutti i campi del sapere. Quando lavoravo in California nel 1980 era giovane l’ultima generazione di cittadini americani WASP (White Anglo-Saxon Protestant) che ancora, in numeri significativi, sceglieva di fare il ricercatore. Cominciavano già allora ad esserci laboratori, per il 70-100% popolati da studenti non statunitensi, provenienti da Taiwan, dalla Corea, alcuni dall’Europa, alcuni dal Sudamerica. In quegli anni iniziarono ad arrivare in buon numero anche giovani dalla Cina Popolare. Poi negli anni ’80 è iniziato quello che lei definisce “il periodo del pensiero debole”? Dopo la generazione che in qualche modo attribuiva alla conoscenza un valore “in sé” ed anche il valore “politico” di comprendere i meccanismi della produzione di conoscenza e le loro conseguenze sulla società, c’è stata una nuova rottura di continuità, e di segno opposto. Negli anni ’80, ha prevalso il pensiero “debole”, la sfiducia nella effettiva conoscibilità delle cose, come definita dal filosofo Gianni Vattimo. Un bel guaio per le vocazioni scientifiche. Le condizioni di lavoro per i giovani ricercatori lentamente migliorano e probabilmente saranno molto buone nei prossimi anni, ma oggi noi ci troviamo in una situazione tale per cui anche quando buoni laboratori offrono borse, assegni di ricerca o contratti di ricercatore a tempo determinato, sostanzialmente corretti come offerte di lavoro, abbiamo domande di un solo candidato per posto, qualche volta due, a volte nessuno. La selezione di conseguenza è bassissima. Alcuni brillanti o semplicemente più avventurosi, continuano a partire verso altri paesi più attraenti per avviarsi alla ricerca, il che e’ un bene prezioso, ma il numero degli stranieri che fanno il percorso inverso e’ troppo scarso, quindi c’è una perdita netta di forza lavoro scientifica in Italia. Siamo in una situazione difficile: abbiamo un’esplosione di iscrizioni a Scienze delle Comunicazioni dove la gente non va per sete di nuova conoscenza, ma per gestire, nel migliore dei casi, un parco di conoscenze acquisite. Ciò è dovuto al fatto che in questi anni il campo della comunicazione in senso lato ha mostrato alcuni successi economici, e perché dei meccanismi legislativi perversi tendono ad ingigantire i fenomeni congiunturali (le tante iscrizioni a scienze della comunicazione) ed a penalizzare le facoltà scientifiche che vivono un periodo di minor attrattività, ma rappresentano un capitale di base irrinunciabile, e già troppo scarso in questo paese. Il sottoaffollamento delle facoltà scientifiche e il sovraffollamento delle facoltà tipo Scienze delle Comunicazioni sono indice di una congiuntura economica, non sono dei fondamentali sui quali possa impostarsi lo sviluppo di un paese di cinquantacinque milioni di cittadini. Questo problema non si affronta solo con dei buoni dispositivi europei che pure sono importantissimi. Deve ripartire anche una motivazione, un convincimento del fatto che lo scienziato è un mestiere normale e prezioso. Se abbiamo bisogno di quasi uno scienziato ogni 100 lavoratori, si tratta ovviamente di un mestiere normale, non eccezionale. Servono tanti e bravi scienziati, come abbiamo bisogno di buoni medici, di bravi ferrovieri e di professionisti capaci negli altri campi dell’economia e della società. Occorre poi smetterla con lo spauracchio dell’eccellenza. Ci siamo riempiti la bocca e la testa di eccellenza in questi anni, proprio mentre danneggiavamo le strutture di ricerca e l’università. Un ragazzino non ama l’eccellenza, un ragazzino è curioso ma non vuole diventare subito antipatico perché le sue curiosità e scelte di studio vengono percepite come elitarie o astruse. Un ragazzino può essere molto curioso e capire che c’è una carriera importante, rilevante, che gli sarà riconosciuta dai coetanei e nella quale probabilmente si divertirà più degli altri, non che sarà “eccellente”. L’eccellenza ha carattere di eccezionalità, noi abbiamo bisogno di tanta “buona” scienza, fatta da bravi scienziati, fra i quali ammireremo qualche eccellente, come ammiriamo i grandi artisti, sportivi, intellettuali. L’eccellenza sbandierata in questi anni è stato un titolo autoattribuito, una grande bugia che ha confuso le idee a tutti. Ci sono enormi opportunità per tutte le prospettive che sono state esposte durante la giornata dei lavori. Chi si avvicinasse all’idea di fare il ricercatore “da grande”, avrà senz’altro enormi opportunità. Un altro concetto importante che anche lei ha ribadito è quello della multidisciplinarietà. La multidisciplinarietà è un punto importante perché ci vorrà del tempo per far evolvere le strutture universitarie, non solo le nostre, rispetto all’impostazione attuale che e’ rigorosamente disciplinare. Però la ricerca scientifica oggi è in larga QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 parte multidisciplinare, ed in alcuni casi interdisciplinare. Questo ha come conseguenza che l’angoscia che coglieva in passato chi si trovava a pensare: «mi iscrivo a fisica, matematica, biologia e mi precludo altre carriere nella finanza o nella sanità» - oggi non ha più ragione d’essere. Ciò sarà sempre più vero. I ragazzini devono capire che se saranno bravi fisici, biologi e matematici avranno una gamma di possibilità di impiego sia nella ricerca, sia nel mondo della produzione sia in quello dei servizi ad alto contenuto di conoscenza estremamente alta. Cioè, potranno scegliere, in funzione della loro bravura ed interessi, probabilmente avendo più scelta di altri che avranno fatto scelte apparentemente più “sul sicuro”. C’è poi un “modus vivendi” proprio del ricercatore? Fare il ricercatore espone a un aspetto estremamente importante che sono le collaborazioni, i periodi trascorsi all’estero, anche in paesi di cultura e di organizzazione molto diversi che portano a un livello di conoscenza reciproca veramente al di là delle barriere culturali di appartenenza o politiche, e sono amicizie che durano una vita. Tra scienziati ci si intende abbastanza facilmente. Nel mese di maggio andrò per 15 giorni in Cina dove un mio ex-studente di post-dottorato, oggi fullprofessor a Shanghai, è diventato una persona importante in questo grande paese che si sta sviluppando in modo tumultuoso. Ebbene, egli insiste assolutamente che io e mia moglie si sia suoi ospiti. Queste sono cose divertenti e possono succedere anche in altri campi di attività, ma per gli scienziati sono assai comuni, e rappresentano un arricchimento importante della nostra vita. Il fatto che gli scienziati comunichino bene fra loro, in tutto il mondo rappresenta anche un importante ruolo diplomatico. Viviamo un periodo in cui al “pensiero debole” si stanno aggiungendo i fondamentalismi. Sono barriere che si ergono fra gli uomini, che tendono a rendere impermeabili le intelligenze. Il ruolo diplomatico degli scienziati e’ oggettivo. Non è che debbano mettersi a fare i diplomatici, lo fanno de facto, ed è una cosa estremamente impor- 11 tante con una portata più ampia di quanto possa apparire. E per finire: si rimane ricercatore per sempre? Uno scienziato che invecchia, talvolta può perdere un po’ la curiosità o l’estro, ma mantiene generalmente le qualità di buon amministratore di sistemi complessi, spendibili nell’organizzazione di tante attività. Questo succede perché anche un solo esperimento scientifico che funzioni bene è frutto di una gestione sapiente di un sistema assai complesso, che include la natura, gli strumenti, le risorse e gli uomini. Questo tipo di competenza può riversarsi sulle imprese industriali, sui servizi, senz’altro sull’insegnamento, l’amministrazione pubblica, la diplomazia, o la politica. Voglio richiamare un’ultima volta l’aspetto culturale e la sua importanza con una battuta: mi sembra che in questi ultimi anni ci sia stato un grande sforzo dei mass-media per far diventare simpatici, o addirittura molto simpatici, i poliziotti, i carabinieri, la guardia di Finanza, i guardacoste, i medici, le suore ed i preti… Sarebbe ora di fare una buona serie di film televisivi, da prima serata, sugli scienziati! Giorgio Rossi TASC INFM -CNR LE ESPERIENZE DEI RICERCATORI 2 INTERVISTA AL DOTT. MARCO FRANCESE, RICERCATORE SHORELINE S.C.R.L. La sua presentazione trae spunto da una domanda molto interessante che si è posto: «Il ricercatore è in un’azienda, oppure, rovesciando la questione, il ricercatore è l’azienda stessa?» 12 Io lavoro in un’azienda e mi sono posto più e più volte questo problema. Quindi ho pensato, di utilizzare me come un key-study per fornirvi degli spunti che possono essere utili a orientare le persone che seguono i percorsi di ricerca scientifica o di formazione in ambito scientifico. E, quindi, capire se è possibile, crescere personalmente, facendo crescere al contempo il contesto lavorativo in cui si opera in modo professionale. Ora, sono questo. Io lavoro in un laboratorio, il CeRQuAM (Centro di Ricerca e Qualità Ambiente Marino) che si occupa soprattutto di analisi eco-tossicologiche e progetto sistemi di interpretazione ambientale, in una società cooperativa che è la Shoreline, che ha la sede legale e questi due settori nell’Area di Ricerca. Analizziamo il suo key-study e partiamo a ritroso: si può parlare di vocazione? Allora, studi classici, sport acquatici, un grande amore per la natura. Prima dell’università erano attività separate, o a un certo punto confluivano in qualcosa? Probabilmente sí. Seguitemi un po’ in questo divertimento dialettico. All’università Scienze Biologiche ed etologia dei ghiozzi, mi dicevano che ero pazzo a studiare i “guati” (in triestino) e il loro comportamento. Ma prima o poi mi sarebbe servito. Per mangiare e mantenermi agli studi facevo l’accompagnatore turistico nell’allora Utat e sempre sport subacqueo. Sembrano attività separate, ma ad un certo punto confluiscono. Nella fase successiva co-mincia il lavoro. Erano varie le scelte: per esempio avrei potuto dedicarmi alla pesca. Però, le varie attività cominciavano a sistemarsi, come i tasselli di un mosaico, anche senza nessuna strategia intenzionale. Questo è dunque un invito, soprattutto agli insegnanti dei primi stadi, dei livelli primari, a stimolare anche le attività collaterali, a svilupparle sempre di più. È opportuno aiutare le persone a collegare i pezzetti della loro vita. Molto spesso questa opzione è trascurata. Dunque, mi trovavo a scegliere tra un sistema produttivo o un indirizzo inerente l’ambiente o anche la sua tutela. Mi sono orientato verso la seconda ipotesi. Infatti ho incominciato a lavorare al Parco Marino, Riserva Naturale Marina di Miramare, dove ho incontrato tanti amici e colleghi. Quindi qual è il primo percorso professionale? Quasi sempre, ve lo confermerà la maggior parte dei biologi, si incomincia con la divulgazione. Per sei QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 anni ho fatto educazione ambientale, ho avviato progetti di reti con le scuole; seguivo assieme ad alcuni colleghi, che sono anche qui in sala, i campi avventura del WWF a livello internazionale in tutto il bacino Mediterraneo, turismo subacqueo e formazione per operatori simili. Lentamente le cose cominciano a confluire: sport acquatici; guidavo i pullman; quindi, raccontare, dialogare con interlocutori vari, per una funzione diplomatica ma anche, appunto, di trasferimento di conoscenza. E il secondo percorso professionale? Anche questo ve lo confermerà la maggior parte di quelli che fanno educazione ambientale, che si arriva a un certo punto e si dice «Non ne posso più dei ragazzini». E quindi meglio tornare a fare lo scienziato. Ho studiato come biologo, quindi voglio tornare a fare lo scienziato. Evviva! Quindi, due anni di monitoraggi ambientali fuori e dentro l’acqua e una conoscenza solipsistica, passatemi il termine, ecologica, dell’ambiente nel suo complesso, non specifica. Quello è un grosso rischio nella formazione e anche questo è un suggerimento che, secondo me, bisognerebbe sottolineare. Focalizzando troppo, si perde la visione di insieme. Di errori nella scienza ne abbiamo visti tanti. E il terzo percorso professionale? Qui subentra il dilemma etico. Ma, se accadono queste cose, posso fare qualcosa come ricercatore? La scelta dice di dedicarmi alla pesca, ma la tutela ambientale si pone drammatica, interiormente. Uno dice sei anni faccio quello, poi le cose ovviamente si sovrapponevano. Ho cominciato a monitorare l’acqua, però qualcosa per l’ambiente lo posso fare, oltre alla divulgazione? E, quindi, torno in laboratorio abbandonando la vita all’aperto, mi rimetto un camice e ormai sono sei anni che ci occupiamo qui in Area di Ricerca di eco-tossicologia e di studi sul wellness animale; ecco dove mi porto dietro quella etologia del ghiozzetto, tutto ad un tratto me la trovo importante; aver capito come pensa un pesce mi aiuta a capire come può pensare un pesce in allevamento, non è banale. Per chi non lo sapesse, l’eco-tossicologia è qualcosa che va a stimare gli effetti sul biota, sulla componente vivente dell’ambiente e quindi stima gli effetti di tutte le matrici (acqua, solidi, suoli, sedimenti e via dicendo). In questo terzo percorso professionale, quello della tutela all’ambiente fino al laboratorio, mi porta a parlare dei risultati concreti. Recupereremo certi concetti. Parliamo comunque di campionamenti nelle lagune di animali bivalvi, varie tecniche che mi sono addirittura inventato (piccoli rastrelli automatici per raccogliere le cose), analisi chimiche fatte da solo o molto spesso assieme a qualcuno su alcune specie e un’analisi statistica condotta, dopo pensate ben due anni, con l’Università di Trieste mi riesce a dimostrare che la specie che avevo selezionato era migliore di quella che l’ICRAM, l’Istituto per la Ricerca Ambiente Marino del Ministero dell’Ambiente aveva selezionato nelle linee guida per la 471, bonifiche ambientali; perché? Se torniamo indietro scopro che il mio percorso professionale personale mi è utile, poiché mi ha insegnato la visione di insieme, la visione ecologica. Altro argomento. Comprendo i pesci, decido di occuparmi di qualità totale, di occuparci del wellness, del benessere degli animali in allevamento. Sono anni di fatica, perché tutti noi che siamo ricercatori viviamo il dramma della lentezza dell’erogazione dei finanziamenti; belle idee, ma soprattutto chi è in Azienda, ha l’obbligo di anticipare tutto; le banche dicono “Non c’è problema”, ti ipotecano la casa e va bene, lo facciamo. E, scusate l’inglese, quindi in questi anni eco-tossicologia sui siti di allevamento, qualità del sito; microcapsulazione per somministrare vaccini a rilascio ritardato all’interno dei pesci, quindi vaccini a bagno nelle vasche, a iniezione è troppo dispendioso in termini di tempo; biomarker che misurano il wellness interno agli animali; e delle nuove applicazioni per trovare i residui farmacologici all’interno dei tessuti con test. Il percorso porta ad essere referenti nazionali in un gruppo Unichim Iso, a fare test di genotossicità, utilizzando batteri bio-luminescenti o alghe e alghette che crescono più o meno rapidamente; a incapsulare vaccini e somministrarli ai pesci o controllare il loro sviluppo embrionale; a lavorare su fegato o su altri organi bersaglio per l’applicazione di biomarker, quindi cinetica enzimatica, anche recuperando cose già in commercio, questa è una cosa che molto spesso non viene detto a livello ricerca. C’è un confine netto nel passaggio dalla ricerca di base alla ricerca applicata? Credetemi, che la maggior parte delle cose sviluppate come ricerca di base, quando poi un’Azienda vuole, vorrebbe erogare dei servizi (parliamo delle variabili, dell’applicare i famosi kit o delle teorie assolutamente non banali) c’è lavoro per anni prima di riuscire a standardizzare un metodo. E qui c’è solamente il disegnetto, il test Elisa e in questo caso case farmaceutiche o sviluppatori di diagnostica che si affiancano a te che conosci, e torniamo di nuovo, come si comporta, come dorme un ghiozzo alla visione ecologica e conosci quell’ambiente molto bene per poter capire “si, è vero, questa cosa può essere utile, questa cosa non c’entra con la fisiologia dell’animale”. E quindi un laboratorio che si crea con delle persone, uno staff? Questa è un’altra cosa importante, me l’ha consentito la mia società, la Shoreline una società cooperativa, una società molto orizzontale, una società divisa in settori, ognuno cura un suo settore. Ecco, questo è un altro aspetto che da privato non ho trovato. Come garantire questa flessibilità massima, cioè, l’autonomia gestionale delle proprie idee; è questo alla fine, a questo punto lo posso dire, che ho scoperto in questo mio percorso. Ma è l’invito a darvi stimoli per orientare in questo senso. Non è romanticismo credere nell’idea; parlavano di vocazione prima, è anche una scelta razionale, uno ci deve credere, deve sapere che può raggiungerla. Sarebbe importante garantire questo percorso indipendentemente dal luogo in cui si opera, posso essere in un istituto accademico come in un’azienda privata. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 E tutta l’esperienza nell’educazione e divulgazione? Adesso probabilmente penserete che sono uno schizofrenico; insomma, il cervello è diviso in due parti: una razionale scientifica e una un poco artistica. E dunque mi nasce un po’ spontaneamente un’altra professione: gestisco dei gruppi e divento nell’arco di quattro anni progettista e curatore di allestimenti museali sul tema della natura, dell’ecoturismo e dello sviluppo sostenibile. Pian pianino adesso vedete come si compongono dei gruppi che non sono banali, che hanno dentro varie figure professionali. E questa è un’altra cosa molto importante, e non viene insegnata; riuscire a gestire gruppi molto eterogenei, addirittura gruppi di discussione, i cosiddetti “forum” o “gruppi tematici”, ma gestirli dall’architetto all’ambientalista più estremo non è una cosa semplice. Cosa accade allora? Si passa da disegni, ecco la parte progettuale, a realizzazioni. Si usano tecnologie ma si usa anche la fisicità, la modalità di toccare le cose. Si usano le ricostruzioni più classiche e i diorami, utilizzando materiali naturali anche per fare piccoli teatrini semplici, senza grandi computer, qualche volta un poco più efficaci. Prima è passata una frase un po’ trascurata: ogni ricercatore dovrebbe avere l’obbligo di comunicare la scienza. Io provenivo dal mondo della tutela ambientale, in un certo senso anche della tutela della salute, sono arrivato importando un laboratorio in questo senso e quindi mi sento l’obbligo etico a raccontare queste cose. Da qui è nata questa professione che è diventata una professione anche quasi prevalente sull’altra. Ho progettato, e ne sono stato anche il curatore, il Parco Foci dell’Isonzo all’Isola della Cona. Il parco e la riserva dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa. Dei piccoli centri in montagna intorno al monte Coglians, un’area di riferimento a Sigilletto e a Timau. Attualmente un grosso lavoro, mi assorbe metà della vita, ed è quello di creare un nuovo centro didattico per il Corpo Forestale Regionale. 13 Una cosa fondamentale, che è stata sottolineata più volte oggi: mai da soli! 14 Ho imparato la logica del lavorare in gruppo. La prima cosa che dovrebbe essere insegnata a un ricercatore ancora quand’è veramente alle elementari, è che lavorare in modo individuale non premia assolutamente e che non si può sapere tutto. Altra cosa parallela al fare ricerca, quella di gestire un gruppo. Ed ecco che, allora, in questi anni sono diventato il coordinatore di questo, qualche volta qualcuno lo chiama “carrozzone”, a me piace chiamarlo “gruppo di amici”; in realtà ci occupiamo di promozione, essenzialmente, di marketing e di bench marking; sono 12 aziende, il gruppo ambiente dell’Area di cui io sono coordinatore. Questo gruppo riesce con questa massa critica a usare gli strumenti, che prima sono stati molto ben elencati da Area Science Park; sono strumenti che proiettano, nel nostro caso, le aziende, ma tutte aziende con ricercatori al loro interno; qui ci sono tutti i laboratori di ricerca e sviluppo anche di aziende che hanno altre sedi, ma qui c’è la parte di ricerca e sviluppo, i cui settori ve li ho mostrati prima (laboratori e progettazioni, non solo, anche consulenze). E Area, quindi, attraverso tutto quello che sentivamo prima di movimentazione e di frequentazione di luoghi europei, una massa critica come quella permette di inserire il gruppo ambiente in grossi progetti comunitari come Innovation, legarsi alla rete dell’Innovation Relais Centre ma non solo, al network come Innovation Network, e partecipare come gruppo al trasferimento proprio di questa conoscenza. E, parliamo, ripeto, di aziende con ricercatori. Tornando alla domanda iniziale: “Il ricercatore è in azienda o l’azienda stessa è il ricercatore?” Avendo utilizzato questa storia un po’ fumettara e spero non troppo noiosa, io direi che è più spesso possibile la seconda. Quindi, se dovete dare un messaggio positivo a chi si orienta verso il mondo della scienza, è che portando avanti degli argomenti di proprio interesse si può anche sviluppare e avere un proprio reddito; si può riuscire a costruirsi il contesto lavorativo intorno, ciò è possibile. Quindi, per chi orienta, per chi insegna, per i docenti è importante recuperare, come dicevo prima, tutti i tasselli della vita di ognuno e aiutarlo un poco a fargli capire che comunque sono patrimonio importante per lo sviluppo della ricerca professionale o della professione di ricercatore. Marco Francese Shoreline s.c.r.l. IL MERCATO DEL LAVORO REGIONALE NELLA RICERCA DOTT. MARCO PASCOLINI RICERCATORE IRES FVG Buon giorno a tutti. Io sono un po’ sfortunato perché parlo per ultimo e quindi già questo generalmente non è molto apprezzato dalla platea dopo una lunga mattinata; in più intervengo dopo due interventi brillanti mentre io dovrò parlare sostanzialmente di dati, perché l’obiettivo della mia relazione è quello di fornire un quadro quantitativo di molte delle cose di cui si è parlato oggi. Proporrò quindi una visione di quello che è il mercato del lavoro regionale della ricerca. Ho cercato di recuperare i dati maggiormente rilevanti, ovvero quelli classici dell’Istat e quelli dell’European Innovation score board che costituisce il punto di riferimento per il con- Fig. 1 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 fronto internazionale. Ho potuto poi utilizzare in particolare i dati di una ricerca sviluppata nell’ambito del progetto D4, che è stato precedentemente citato, e che ci consente di avere un quadro più approfondito di quella che è la situazione regionale. Una premessa è necessaria, però. Diciamo che parlare di mercato regionale dei ricercatori è quantomeno riduttivo nel senso che, come tutti gli interventi di questa mattinata hanno dimostrato, la professione di ricercatore è in assoluto una di quelle a più alta mobilità. Quindi, la domanda e l’offerta di ricercatori si sviluppano su quello che è di fatto un mercato planetario. Ridurle a un confronto su un territorio piccolo come quello del Friuli Venezia Giulia, è dunque parzialmente improprio. Cerchiamo comunque di affrontare anche questo ragionamento. Proprio per questo motivo parto mostrandovi alcuni dati relativamente a quello che è uno dei problemi principali, più volte citato nell’incontro odierno, ovvero, al di là della volontà e delle parole su cui tutti di fatto concordano relativamente all’importanza di investire in ricerca e sviluppo, la realtà di tale situazione. Come vedete, questo grafico (Fig. 1) mostra quello che è lo stato degli investimenti in ricerca e sviluppo proporzionati al PIL, per quanto riguarda il nostro paese rispetto a quelli che sono i paesi di riferimento con cui dobbiamo confrontarci. Vedete che al di là di quelle che sono Fig. 2 le situazioni degli Stati Uniti e Giappone, che come noto rappresentano un caso di eccellenza a livello mondiale, anche a livello europeo siamo particolarmente indietro. L’anno 2003, infatti, mostra che l’investimento è pari all’1,14% del PIL. Sappiamo, come è già stato detto nelle relazioni precedenti, che l’obiettivo sarebbe di raggiungere il 3%. Questa quota dovrebbe essere per i 2/3 derivante da investimenti privati. E qui a livello nazionale abbiamo un secondo problema: c’è un ulteriore ritardo perché già siamo più bassi per quanto riguarda gli investimenti rispetto al quadro internazionale, ma ancora più bassa è la percentuale di investimenti che derivano dalle imprese, nel settore privato. Come potete vedere la situazione è peggiore anche confrontandoci con i nostri vicini. Ad esempio la Slovenia, pur essendo un paese che da poco ha adottato un’economia di mercato, è già a livelli superiori ai nostri. Ho citato la quota di investimenti perché di fatto è quella che va poi a influire sul mercato del lavoro; perché, ovviamente, maggiori sono le risorse dedicate alla ricerca e maggiore è la necessità dei ricercatori. Analogamente al grafico precedente possiamo vedere come il minor peso degli Fig. 3 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 investimenti privati nel settore della ricerca corrisponde a una presenza percentualmente inferiore di ricercatori nel settore delle imprese rispetto a quello di tutta l’area dei ricercatori (Fig. 2). Vedete che meno del 40% dei ricercatori italiani lavora nel settore privato. Un altro problema, che però è internazionale, è quello del calo delle vocazioni scientifiche. È un tema che è stato oggi più volte richiamato e che va a creare un’altra distorsione del mercato del lavoro, perché se da un lato già la domanda è modesta, anche l’offerta rischia di non coincidere con quelle che sono le richieste del mondo della ricerca. Il calo continuo delle vocazioni scientifiche influisce negativamente su quella che è l’offerta di ricercatori. Anche qui purtroppo l’Italia, come vediamo, è, rispetto al quadro internazionale, un passo indietro. Passiamo ora a guardare la situazione regionale. Come è già stato detto più volte anche nel corso della mattinata, in un panorama che dal punto di vista internazionale è drammatico, direi, per il nostro paese, la condizione regionale non è così drastica. Nel panorama italiano la regione Friuli Venezia Giulia è infatti una di quelle che, rispetto alla propria dimensione, investe di più in ricerca e sviluppo, in particolare per quanto riguarda l’investimento in ricerca pubblica. Vedete i dati (Fig. 3). Complessivamente la spesa rispetto al Pil regionale è più o meno proporzionale a quella nazionale. Questo perché? È necessario dapprima ragionare sulle caratteristiche della domanda di lavoro e pensare a quella che è la struttura produttiva regionale. Perché se da un lato quello che è un vincolo, anche a livello nazionale, cioè il fatto che la struttura produttiva è costituita più che altro da piccole e medie imprese, che quindi hanno dei grossi limiti nelle capacità d’investire e nell’avere una funzione strutturata di ricerca e sviluppo, dall’altro lato è vero che in regione possiamo contare sulla presenza rilevante di parchi scientifici. Sappiamo che ruolo ha Area, sia nella promozione dell’innovazione, sia nella capacità di attrarre piccole imprese, non necessariamente multinazionali, che di fatto rappresentano una possibilità di impiego per molti ricercatori regionali. Accanto a que- 15 16 sto, lo sappiamo, esistono anche delle imprese grandi, purtroppo sono poche, che sono le sole che consentono di avere una struttura in grado di sopportare e di investire nella funzione di ricerca e sviluppo. E un altro vantaggio non da poco è la presenza sul territorio regionale di numerosi, anche questo cosa nota, enti di ricerca di livello nazionale e internazionale che permettono di fornire un’offerta di posti di lavoro comunque di livello. Questo grafico (Fig. 4) consente di valutare sinteticamente la posizione della regione rispetto alle altre. Sono comparati da un lato l’investimento, sempre rispetto al PIL, in spese di ricerca e sviluppo, e dall’altro la presenza di addetti rispetto alla popolazione residente. Come vedete la posizione del Friuli Venezia Giulia è sostanzialmente in linea con quella nazionale, addirittura leggermente superiore, perché a parità di investimenti riusciamo a creare più occupazione. Passo a descrivere adesso quella che è la domanda di ricercatori (Fig. 5). Questi dati sono stati principalmente recuperati dalla ricerca svolta nell’ambito del progetto D4. L’inchiesta che abbiamo svolto ha reso necessario dividere la domanda di ricercatori tra imprese ed enti di ricerca, perché le motivazioni relative alle assunzioni, ai percorsi professionali e alle possibilità di sviluppo, si sono dimostrati nettamente differenti. Una stima consente di dire che in regione ci sono circa 200 imprese che hanno una funzione di ricerca e sviluppo strutturata e 40 sono gli enti di ricerca, numero più numero meno. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale possiamo vedere come se per le imprese c’è un sostanziale equilibrio tra la provincia di Udine, Pordenone e Trieste, per quanto riguarda gli enti di ricerca più del 60% si collocano in provincia di Trieste. Anche per quanto riguarda il risultato relativo alle imprese è indubbio che la provincia di Trieste benefici della presenza di Area Science Park, perché la proporzione di imprese che svolgono attività di ricerca è superiore a quello che è il peso nel settore delle imprese sulla struttura produttiva regionale in generale. A quali settori appartengono? Anche qui è evidente che c’è una netta distinzione tra il mondo dell’im- Fig. 4 Fig. 5 Fig. 6 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 Fig. 7 presa e il mondo degli enti di ricerca. Vedete che, per quanto riguarda le piccole imprese, la peculiarità è che si tratta di imprese che hanno il loro core-business proprio nell’attività di ricerca. Queste sono principalmente le imprese insediate nei parchi tecnologici o spin-off universitari. Per quanto riguarda le medie e le grandi imprese, queste riproducono quella che è la struttura industriale regionale e quindi i settori della meccanica, della metallurgia. Per quanto riguarda gli enti di ricerca, invece, vedete come la fanno da padrone le attività nel campo delle scienze naturali e delle scienze sociali. Passiamo ad analizzare lo stock di ricercatori. Anche qui è necessaria una premessa. Non è sempre facile, a livello statistico, andare a individuare il numero di ricercatori, innanzitutto perchè è già difficile definire con precisione cos’è un’attività di ricerca. Inoltre spesso, specie nel mondo delle imprese, tale attività è percepita in maniera distorta. Un altro problema è che la professione del ricercatore è una professione che dà adito anche a molte collaborazioni tra i vari sistemi; pensiamo al caso di un professore universitario che può essere un consulente per un’impresa, può svolgere la propria attività di ricerca nell’ambito dell’università e magari essere socio di un’altra impresa come ad esempio uno spin-off universitario. Fig. 8 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 A grandi linee, utilizzando la misura di unità equivalente a tempo pieno, possiamo dire che in regione ci sono circa 1.500 ricercatori. In Italia sono stimati attorno a 70.000. Come si può vedere dal grafico (Fig. 6), la maggioranza di questi è occupato nelle università regionali. Se contassimo invece per teste il numero salirebbe ovviamente, possiamo parlare di circa 2.500 ricercatori. Utilizzando questo dato in termini di comparabilità europea, esistono statistiche che forniscono numeri anche superiori. Come vedete il ruolo predominante dell’università è ancora più evidente da questo grafico (Fig. 7). Per quanto riguarda invece le imprese, siamo andati a valutare quelli che sono i titoli di studio dei ricercatori. Potete vedere che il 64% sono laureati e il 16% ha un dottorato di ricerca. Esiste anche un 20% di diplomati che, specie nelle medie imprese, svolgono attività prevalentemente di sviluppo tecnologico (Fig. 8). Passiamo a quelle che sono le conclusioni forse più interessanti e originali dei dati derivanti da quell’analisi: qual è il trend occupazionale? Abbiamo potuto valutare, suddividendo le imprese intervistate in impresa a bassa, media e alta intensità di ricerca e sviluppo, le tendenze occupazionali del biennio 20042005. Guardando questo dato (Fig. 9) si può già rapidamente osservare come di fatto la ricerca paga in termini occupazionali, nel senso che, ben ricordando che questo è un campione che riguarda solo gli enti e le imprese che fanno ricerca, potete osservare come a fronte di una situazione di mercato del lavoro che vede sempre più frequenti le crisi occupazionali, le difficoltà di occuparsi, le imprese che invece fanno ricerca denunciano il mantenimento dello stock occupazionale o addirittura una sua crescita. L’altro elemento interessante ed abbastanza evidente è l’esistenza di una proporzione diretta tra quella che è l’intensità di ricerca e le prospettive occupazionali. Vedete che le imprese che sono classificabili come imprese con un’alta intensità di ricerca prevedono, o meglio, hanno realizzato un incremento anche rilevante degli occupati. Quali sono però le problematiche del mercato del lavoro? Anche in 17 18 questo caso c’è un’evidente separazione tra quelle che sono le condizioni rilevate presso le imprese e presso gli enti. Perché, se dal punto di vista delle imprese le difficoltà si pongono all’atto della domanda, potete vedere che in una scala da 1 a 5 le difficoltà maggiori sono quelle di trovare le risorse umane adeguatamente preparate. Attenzione a come interpretare il dato: non è che, ad esempio, quelli che hanno un titolo di dottorato non siano preparati! È proprio il problema opposto, segnalato anche stamattina, ovvero che il dottore di ricerca è troppo preparato per la struttura produttiva regionale. L’altro grosso problema è quello legato proprio alla questione dell’orientamento, perché la richiesta delle imprese, come vedremo, si situa molto spesso in campo ingegneristico o chimico, quando invece l’offerta di laureati è di tutto altro genere. L’altro elemento rilevato dalle imprese, che comporta una difficoltà a occupare ricercatori, è il mancato collegamento tra università e imprese; questo è un problema arcinoto. Personalmente mi sembra che negli ultimi anni, almeno in regione, siano stati fatti dei passi avanti, speriamo si continui su questa strada. La condizione, per quanto riguarda gli enti, è invece diametralmente opposta. Le difficoltà di occupazione si pongono dal punto di vista dell’offerta, perché è evidente che, per quanto rilevato presso gli enti, sono l’attrattività di esperienza all’estero, in particolar modo il Nord America, e le questioni salariali quelle che rendono più difficile il matching tra domanda e offerta. Ma quali sono le aree in cui si concentra la domanda dei ricercatori? Per quanto riguarda le imprese, come potete vedere (Fig. 10), per la grande maggioranza sono le aree dell’ingegneria meccanica, quella chimica, elettronica e informatica e, come potete vedere nel grafico, via via a scendere. Negli enti e questo riflette ovviamente quella che è appunto la struttura degli enti presenti in regione, le richieste si concentrano invece nei campi della biologia, delle scienze sociali, della fisica e della biomedicina. È evidente che sono due situazioni completamente diverse e di fatto consentono di sottolineare quello che è un problema più volte Fig. 9 Fig. 10 Fig. 11 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 ricordato: il calo della vocazione alle facoltà scientifiche porta addirittura a trovarsi in carenza di offerta quando già la domanda è debole! Questo grafico (Fig. 11) mostra una statistica Istat rispetto ai laureati nel ’95 e nel 2004 nelle facoltà scientifiche. Vedete che, rispetto al ’95, c’è stato un calo di 10 punti percentuali in regione, che è un calo addirittura più rilevante di quello nazionale. Quindi, vengo rapidamente alle conclusioni. Quali sono gli elementi critici per il mercato del lavoro regionale? Adesso io cerco di vederlo dal punto di vista quantitativo, perché mi sembra che le esperienze personali siano già state approfondite sufficientemente. Certamente dal lato della domanda c’è il grosso problema relativo al fatto che le imprese si indirizzano verso le aree ingegneristiche, quando invece l’offerta ultimamente sta prendendo tutta un’altra strada. C’è sicuramente l’importante questione legata agli investimenti, perché è chiaro che pur con tutta la buona volontà di aumentare gli investimenti in sviluppo e ricerca, finché non si andrà effettivamente in questa direzione è ben difficile creare un incremento della domanda. E c’è anche infine il tema di un confronto ancora troppo modesto tra università e impresa, almeno questo è quello che è stato rilevato in regione. Per quanto riguarda gli enti di ricerca, (è chiaro che quando parlo di enti di ricerca accomuno ad essi l’università, perché presentano caratteristiche simili), i problemi riguardano appunto una maggiore attrattività e concorrenza che proviene da istituti stranieri. Infine una rilevante criticità è quella della precarietà del posto di ricercatore che io non ho affrontato, ma mi sembra che sia emerso sufficientemente dalle relazioni precedenti. Che prospettive? Tutto sommato, in un quadro internazionale che non ci pone certamente all’avanguardia, a livello regionale si deve evidenziare come i dati che abbiamo rilevato mostrano come la volontà di investire in ricerca da parte delle imprese garantisca occupazione. Quindi, chi vuole fare di professione il ricercatore in prospettiva certamente ha delle possibilità occupazionali molto più rilevanti di tante altre professioni, specie rivolgendosi al settore priva- to. Oltretutto, come ho detto, la struttura regionale presenta delle caratteristiche particolari perché, a fronte di un settore industriale dominato da piccole e medie imprese, esiste anche una realtà di enti di ricerca, parchi scientifici e altre imprese che hanno dimostrato di essere sufficientemente innovative. Quindi, date queste premesse, considerando che la volontà politica, e comunque espressa da tutti, è quella di investire sempre di più in ricerca e sviluppo, io credo che le prospettive per un ricercatore, da qui al futuro, siano più che buone. Dott. Marco Pascolini Ricercatore Ires Fvg ESPERIENZE E BUONE PRASSI FABIO TOMASI AREA SCIENCE PARK TRIESTE Il progetto AREA Science Weeks, realizzato da AREA Science Park tra luglio e dicembre 2005, si inseriva all’interno delle iniziative promosse in tutta Europa nell’ambito del programma Researchers in Europe 2005 creato dalla Commissione Europea per promuovere il ruolo del ricercatore nella società. Gli obiettivi assegnati al progetto AREA Science Weeks sono stati: • invitare i giovani ad intraprendere una carriera scientifica; • promuovere la figura del ricercatore e il beneficio che il suo lavoro apporta alla società; • superare gli ostacoli culturali che ancora frenano un’adeguata partecipazione femminile alla ricerca scientifica. Il progetto si è articolato in quattro settimane scientifiche dedicate ciascuna ad un tema specifico: • astrofisica; • nuovi materiali e nanotecnologie; • riciclo e riuso dei rifiuti; • biomedicina molecolare. Ciascuna settimana scientifica si articolava in dieci attività di laboratorio (dal lunedì al venerdì) e in una conferenza finale il sabato mattina. AREA Science Park, nel suo ruolo di coordinatore degli enti di ricerca QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 della Regione Friuli Venezia Giulia, ha con questo progetto voluto non solo promuovere il ruolo del ricercatore, ma dare anche maggiore evidenza tra i giovani della Regione e della vicina Slovenia del sistema della ricerca regionale, che pur raggiungendo vette d’eccellenza è ancora poco conosciuto. Per raggiungere questo obiettivo e comunque favorire, anche al termine del progetto, la creazione di una rete di relazioni istituzionali, si è deciso di coinvolgere nella realizzazione del progetto gli Enti di Ricerca, le Università, la Regione (con le due Direzioni centrali istruzione, cultura, sport e pace e lavoro, formazione, università e ricerca, e la Commissione regionale per le pari opportunità). È stato costituito un Comitato Strategico di progetto formato da rappresentanti di AREA Science Park (che riveste anche il ruolo di coordinatore degli enti di ricerca regionali) della Direzione centrale istruzione, cultura, sport e pace – Servizio istruzione e orientamento e della Direzione centrale lavoro, formazione, università e ricerca nonché la Commissione regionale per le pari opportunità. Questo Comitato riunitosi fin dall’avvio del progetto ha permesso di raccordare le attività del progetto con altre analoghe già operanti sul territorio onde evitare, nello stesso periodo, il sovrapporsi di iniziative analoghe e di promuovere viceversa sinergie con le politiche regionali in questo settore. Questo confronto istituzionale ha permesso, inoltre, di definire delle linee guida per la realizzazione del progetto che sono state trasmesse ai Comitati Tecnico Scientifici responsabili per la programmazione di ciascuna settimana scientifica. In questa occasione è anche nata una proficua collaborazione tra AREA Science Park e il Servizio per l’orientamento della regione, che ha fornito il suo supporto al progetto sia con la collaborazione del personale del Centro Risorse per l’orientamento, per la stesura di opuscoli informativi da distribuire agli studenti, che con un contributo per coprire le spese di trasporto, per gli aderenti all’iniziativa. Per la realizzazione di ciascuna settimana scientifica è stato istituito un apposito comitato tecnico scientifico composto dai responsabili di proget- 19 20 to di AREA Science Park e dagli enti di ricerca che hanno aderito all’iniziativa. Questi comitati hanno curato la progettazione di dettaglio di ciascuna attività applicando le linee guida fornite dal Comitato Strategico. A lato delle conferenze conclusive di ogni settimana scientifica sono stati realizzati degli sportelli informativi curati dal Servizio regionale per l’orientamento, dalle Università di Trieste e Udine e dallo sportello ERA More di AREA Science Park. Presso questi sportelli gli studenti potevano ottenere informazioni sui corsi di laurea attivati presso le università regionali, un appuntamento con uno psicologo del servizio regionale per l’orientamento o informazioni sulle misure a sostegno della mobilità internazionale dei ricercatori. È da sottolineare che nella definizione del programma di ciascuna conferenza si è cercato di creare un equilibrio tra ricercatori junior e senior, tra ricerca pubblica e privata, e di coinvolgere anche ricercatori sloveni, a testimoniare la sempre maggiore integrazione tra il sistema di ricerca regionale e quello sloveno. Scopo di ciascuna conferenza era presentare lo stato dell’arte della ricerca in quel settore, il contributo apportato al benessere della società, le sfide del prossimo futuro e i percorsi di studio e professionali. Le conferenze erano aperte sia alle scuole superiori che al pubblico generico. Al fine di agevolare la partecipazione alle conferenze anche da parte degli studenti sloveni è stato istituito un servizio di interpretariato italiano-sloveno. Tutte le conferenze sono state registrate, digitalizzate e rese liberamente disponibili su internet come tutto il materiale informativo di progetto. Le “attività di laboratorio” avevano sostanzialmente lo scopo di portare gli studenti all’interno di un laboratorio di ricerca per fare conoscere dal vivo l’ambiente in cui i ricercatori operano ogni giorno e farli entrare in contatto diretto con i ricercatori. Ogni attività veniva aperta da un’introduzione a cura del personale di progetto che presentava lo stesso e illustrava il sistema della ricerca regionale inserendolo in un contesto europeo ed analizzando quali sono i possibili percorsi professionali di un ricercatore. I ricercatori coinvolti sono stati invitati a presentare il loro lavoro in modo non strettamente tecnicoscientifico, ma divulgativo, privilegiando le attività quotidiane, gli aspetti positivi e negativi del lavoro del ricercatore in base al loro vissuto, e presentando brevemente quello che è stato il loro personale percorso di studio e professionale. Al fine di favorire l’interazione studente-ricercatore sono stati coinvolti principalmente giovani ricercatori. L’attività si articolava quindi sostanzialmente in una visita ai laboratori e nello svolgimento di attività di laboratorio, ove possibile con il coinvolgimento diretto degli studenti. A tutti gli studenti che hanno partecipato alle attività di progetto sono stati consegnati, oltre ad alcuni gadget del programma comunitario Researchers in Europe, un opuscolo informativo specifico per il tema di ciascuna science week, con un’introduzione alla figura del ricercatore, una breve descrizione del settore di ricerca e un elenco di punti informativi e risorse in internet attraverso i quali gli studenti potevano approfondire l’argomento e reperire ulteriori informazioni. La settimana dedicata all’astrofisica si è tenuta dal 10 al 15 ottobre 2005 in collaborazione con l’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste. Nello specifico sono state organizzate visite sia diurne che serali all’osservatorio astronomico di Basovizza. In entrambi i tipi di attività si è proceduto ad un’introduzione all’astrofisica, quindi, nel primo caso, ad un’osservazione del sole con diversi strumenti di osservazione (tradizionali e di ultima generazione). Nel caso delle attività serali si è invece potuto procedere ad un’osservazione di corpi celesti di diversa natura. E’ da notare che le scuole, per motivi logistici, hanno preferito le attività diurne, anche se molti degli studenti avrebbero preferito partecipare alle attività serali, certamente di maggiore fascino. Il programma della conferenza dedicata all’astrofisica è stato il seguente: 9.30 - Saluti e presentazione di AREA Science Weeks e del programma Researchers in Europe Intervengono: prof.ssa Maria Cristina Pedicchio (AREA Science Park), dott.ssa Stefania Bettini (Commissione Europea) QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 9.50 - Esempi di ricerca dell’Osservatorio Astronomico di Trieste A cura del dott. Mauro Messerotti (OAT) 10.10 - Esempi di ricerca del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Trieste A cura del prof. Stefano Borgani (Università di Trieste) 10.30 - Coffee break 10.50 - Applicazione dei risultati della ricerca spaziale in altri settori produttivi A cura dell’Ing. Paolo Trampus (Carso) 11.10 - Telecomunicazioni satellitari A cura del Msc. Filip Samo Balan dell’Università di Maribor 11.30 - Tavola rotonda sui percorsi di studio ed opportunità professionali nel settore dell’astrofisica e della ricerca spaziale 12.00 - Interventi del pubblico La settimana dedicata al “Riciclo e riuso dei rifiuti” si è tenuta dal 17 al 22 ottobre 2005 ed è stata realizzata in collaborazione con alcune delle aziende insediate in AREA Science Park e operanti nel settore ambientale, in particolare Shoreline s.c.a r.l. e Hydrotech s.r.l. Le attività, dopo un primo inquadramento della problematica del riciclo e riuso dei rifiuti sia da un punto di vista tecnico scientifico che economico/occupazionale, hanno visto la realizzazione, di un mini progetto di ricerca sviluppato dai ragazzi sotto la guida dei ricercatori, che prevedeva anche analisi di laboratorio da parte degli studenti. Al fine di favorire un maggiore coinvolgimento emotivo dei ragazzi, è stato fornito loro un camice da laboratorio e un paio di guanti. È da notare che questa settimana ha permesso di affrontare e fare riflettere i ragazzi non solo sul ruolo della ricerca, ma anche sull’importante tema dello sviluppo sostenibile, uno dei pilastri delle politiche comunitarie di questi ultimi anni, e di come questo obiettivo possa costituire uno stimolo alla ricerca scientifica e all’innovazione. Il programma della conferenza conclusiva è stato il seguente: 9.30 - Introduzione e presentazione del concetto di sviluppo sostenibile A cura del dott. F. Tomasi (AREA Science Park) 9.40 - Esempi di ricerche condotte in AREA Science Park in tema di rifiuti A cura del dott. M. Francese (Shoreline s.c.r.l.) e della dott.ssa P. Spada (Hydrotech s.r.l.) 10.10 - Prevenzione e gestione degli imballaggi A cura del dott. E. Bora (CONAI) 10.40 - Coffee break 11.00 - Il problema dei rifiuti nel settore edile A cura dell’ ing. M. Benci 11.20 - Tavola rotonda sugli sbocchi occupazionali e percorsi di studio universitari sul tema dei rifiuti La settimana dedicata alla medicina molecolare e all’ingegneria genetica si è svolta dal 7 al 12 novembre 2005 ed è stata sviluppata in collaborazione con l’ICGEB (International Center for Genetic Engineering and Biotechnology) e il CBM (Consorzio per il Centro di Biomedicina Molecolare). Dopo una breve introduzione all’ingegneria genetica e alla biomedicina molecolare gli studenti hanno svolto assieme ai ricercatori dell’ICGEB una visita presso i laboratori dell’ICGEB del campus di Padriciano di AREA Science Park e alcune semplici analisi di laboratorio. Anche in questo caso per favorire il coinvolgimento emotivo degli studenti è stato fatto indossare loro un camice e un paio di guanti da laboratorio. Il programma della conferenza conclusiva è stato il seguente: 9.30 - messaggio di benvenuto e presentazione del progetto AREA Science Weeks dott. Fabio Tomasi (AREA Science Park) 9.40 - Dall’ingegneria genetica alla medicina molecolare prof. Mauro Giacca (ICGEB) 10.10 - Imaging Molecolare, presente e futuro dott. Ennio Tasciotti (CBM) 10.30 - Sarà possibile rigenerare il cuore? dott.ssa Serena Zacchigna (ICGEB) 10.50 - Coffee Break 11.10 - Human Papillomavirus dott.ssa Helena Sterlinko (politecnico Nova Gorica) 11.30 - Ricerca industriale in diagnostica per immagini: esempi e prospettive dott.ssa Cristiana Campa (Bracco Imaging Spa) 11.50 - Biomedicina e nanotecnologie dott.ssa Lisa Vaccari (CBM) 12.10 - Tavola rotonda su sbocchi occupazionali e percorsi di studio nel settore della biomedicina e dell’ingegneria genetica Infine dal 21 al 26 novembre si è svolta la settimana dedicata ai nuovi materiali e alle nanotecnologie in collaborazione con la Sincrotrone Trieste e con il laboratorio TASC del CNR–INFM entrambi ubicati presso il campus di Basovizza di AREA Science Park. Le attività dedicate alle scuole superiori si sono articolate in una presentazione del laboratorio di luce di Sincrotrone in un’introduzione (a carattere più divulgativo che scientifico) alle nanotecnologie e in una visita ai laboratori del sincrotrone e del TASC durante la quale gli studenti e gli insegnanti hanno potuto confrontarsi con i ricercatori presenti ed assistere ad alcuni esperimenti. Il programma della conferenza dedicata alle nanotecnologie è stato il seguente: 9.30 - messaggio di benvenuto e presentazione del progetto AREA Science Weeks Maria Cristina Pedicchio (AREA Science Park) 9.40 - Ricerche sui nuovi materiali svolte dal TASC Giorgio Rossi (INFM – TASC) 10.00 Microscopia Maya Kiskinova (Sincrotrone Trieste) 10.20 Applicazioni industriali delle nanotecnologie Marco Peloi (APE Research) 10.40 - Coffee break 11.00 - Nanomanipolazione di biomolecole per la realizzazione di biochips Loredana Casalis (Sincrotrone Trieste) 11.15 - Bionanotecnologie Lisa Vaccari (CBM) Fig. 12 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 11.30 - Superfici Andrea Goldoni (Sincrotrone Trieste) 11.45 - Esempi di ricerca dell’Istituto Jozef Stefan Denis Arcon (Institute Jozef Stefan) 12.00 - Esempi di ricerca del politecnico di Nova Gorica Gvido Bratina (Politecnico di Nova Gorica) 12.15 - Tavola rotonda su sbocchi occupazionali e percorsi di studio nel settore delle nanotecnologie. Come si potrà notare, l’intervento sulle bionanotecnologie della dott.ssa Vaccari è stato replicato sia nella conferenza dedicata alla medicina molecolare, che nella conferenza dedicata alle nanotecnologie, questo a testimoniare come gli ambiti di ricerca non siano delle scatole chiuse non comunicanti tra di loro, ma, anzi, oggi vi sia sempre più una sinergia e multidisciplinarietà tra i diversi filoni di ricerca. Per dare maggiore visibilità al ruolo delle donne nella ricerca scientifica e superare gli stereotipi che ancora impediscono un’adeguata partecipazione femminile al mondo della ricerca, come testimonial della campagna promozionale è stata scelta la foto di una ragazza; nelle attività e conferenze si è cercato di coinvolgere quante più possibili ricercatrici e il tema è stato oggetto di discussione assieme agli studenti durante le attività di laboratorio. Complessivamente 1.126 persone hanno seguito le attività di AREA Science Weeks, più in dettaglio, alle attività pratiche hanno partecipato 730 studenti e 56 insegnanti, mentre 340 persone hanno seguito le 4 conferenze. Nel grafico successivo è rappresentata la provenienza geografica dei partecipanti. 21 22 I partecipanti al progetto AREA Science Weeks, ai quali è stato chiesto di compilare un questionario hanno espresso un giudizio positivo per le conferenze (89% ha dato un giudizio positivo, e il 52% ha gradito la conferenza molto o moltissimo). Un giudizio ancora più positivo è stato espresso per le attività pratiche dedicate alle scuole: il 98% ha espresso un giudizio positivo e il 69% ha detto che le attività sono piaciute molto o moltissimo mentre il 98% ritiene che l’iniziativa sia stata utile per scegliere il proprio percorso di studi. Riguardo il percorso di studio che gli studenti intendevano intraprendere l’85% dei partecipanti aveva intenzione di iscriversi all’università e molti avevano intenzione di iscriversi ad un corso di laurea tecnico-scientifico. Il 68% degli studenti che hanno partecipato ad AREA Science Weeks aveva infatti intenzione di iscriversi o a un corso di laurea dell’area scientifica (45%) o dell’area sanitaria (23%). Abbiamo deciso di considerare anche l’area sanitaria in quanto alcuni dei ricercatori coinvolti nella realizzazione della settimana dedicata all’ingegneria genetica hanno consigliato agli studenti interessati ad occuparsi di ingegneria genetica o di medicina molecolare di iscriversi alla facoltà di medicina. Come si evince anche dal successivo grafico, tra i partecipanti al progetto AREA Science Weeks, la percentuale di studenti intenzionati ad iscriversi a corsi di laurea a carattere tecnico scientifico è nettamente superiore non solo ai dati nazionali, ma anche con i dati delle immatricolazioni alle università regionali. Riguardo le differenze di genere, considerando complessivamente area sanitaria e scientifica, vi è solo una piccola differenza (72% contro 63%), tuttavia andando ad analizzare i dati più in dettaglio si evidenzia che le ragazze preferiscono in proporzione nettamente maggiore l’area sanitaria (si veda il grafico successivo). Questi dati testimoniano il permanere di stereotipi e pregiudizi che continuano ad ostacolare un’adeguata partecipazione femminile agli studi scientifici. I dati sono comunque migliori di quelli nazionali. Fig. 13 Fig. 14 Fig. 15 L’obiettivo di dare maggiore visibilità e prestigio alla figura del ricercatore appare essere raggiunto dal fatto che ben l’88,1% dei partecipanti al progetto ritiene la figura del ricercatore importante o molto importante. Infine, sono da sottolineare altri risultati meno evidenti e diretti del progetto AREA Science Weeks. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 Innanzitutto, i ricercatori coinvolti nelle attività di progetto sono stati chiamati a comunicare il loro lavoro a un pubblico non tecnico e a riflettere sulla propria professione. Il confronto con il team di progetto e l’esperienza diretta con i ragazzi e gli insegnanti hanno permesso loro di migliorare ed accrescere la loro capacità di comunicare ed interagire in maniera efficace con un pubblico non tecnico, un’esperienza che i ricercatori hanno trovato molto stimolante e che sperano di poter ripetere. Un altro importante risultato è stato la creazione di una rete formata da AREA Science Park, gli enti di ricerca regionali, le scuole superiori, le università e le Direzioni regionali competenti, che assieme hanno collaborato alla realizzazione del progetto e, più in generale, alla promozione della ricerca scientifica. È un risultato che si auspica non vada disperso, ma che possa mantenersi e maturare anche in successive attività, una della quali è proprio il convegno “Scienziati si nasce o si diventa?”, un importante momento di riflessione sulla figura del ricercatore e su come avvicinare nel modo migliore i giovani alla scienza. Fabio Tomasi AREA Science Park Trieste PERCORSI VERSO LE LAUREE SCIENTIFICHE EMILIA MEZZETTI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE Sono Emilia Mezzetti, docente di matematica presso il Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Trieste, coordinatrice del CIRD, il Centro Interdipartimentale per la Ricerca Didattica dell’Università di Trieste. E’ in questa seconda veste che sono oggi qui in rappresentanza dell’Università di Trieste. Prima di tutto perciò vorrei spiegare brevemente che cos’è il CIRD. Si tratta appunto di un Centro Interdipartimentale, costituito e attivo fin dal 1999, che raccoglie attualmente 12 dipartimenti nelle varie aree scientifiche rappresentate nella nostra università. Le attività del CIRD, che vanno sotto il nome un po’ generico di “ricerca didattica”, sono molteplici. Riassumendone le finalità istituzionali principali, posso dire che il CIRD svolge e coordina attività di ricerca didattica a tutti i livelli, sia di prima formazione, sia di aggiornamento, sia di formazione continua degli insegnanti; organizza attività di vario tipo come seminari, convegni e mostre per favorire lo scambio di informazioni e di esperienze tra le realtà che operano nel settore della formazione e della diffusione della cultura nelle diverse aree: scientifica e tecnologica, umanistica, psicopedagogica, economica, ecc. Inoltre, il CIRD offre agli insegnanti, e in generale al sistema scolastico, servizi di supporto scientifico e didattico. Quindi direi che rientriamo perfettamente nel tema di questa giornata di lavoro, con quelle che sono proprio le finalità istituzionali e le attività del CIRD. Voglio ora elencare alcuni dei numerosi progetti e gruppi di lavoro che ricadono sotto l’egida del CIRD, alcuni dei quali molto avanzati, altri in fase di elaborazione, scusandomi fin d’ora se ne dimenticherò qualcuno. Nell’ambito della matematica, il Nucleo di Ricerca Didattica (con sede presso il Dipartimento di Matematica e Informatica), coordinato dalla prof.ssa Luciana Zuccheri, opera fin dagli anni ’70 e coordina e svolge una regolare attività comune tra la componente universitaria e insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Sul nucleo di ricerca didattica poi tornerò per illustrare più in dettaglio una delle attività che ha svolto negli ultimi anni. Ai progetti del Nucleo si sono affiancati nell’ultimo decennio progetti di diffusione della cultura matematica, quali “Matematica 2000”, “La matematica nella cultura e nella società”, “Matematica insieme”, rivolti al vasto pubblico e in particolar modo a studenti delle scuole superiori e universitari, articolati in conferenze, cicli di film, stage e mostre. Nel campo della chimica, c’è un ricco progetto intitolato “Avvicinare i giovani alle scienze chimiche”, portato avanti dal dott. Claudio Tavagnacco e da tutta una serie di docenti dei Dipartimenti di Scienze Chimiche e di Biochimica del nostro ateneo. Si mira a diffondere fra gli insegnanti nuove metodologie d’insegnamento, che fanno largo uso dell’informatica e della multimedialità, e al tempo stesso incoraggiare i giovani ad avvicinarsi alle più recenti scoperte scientifiche in campo chimico-tecnologico, cercando di darne una visione corretta ed attuale. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 Nel campo delle scienze della vita è attivo presso il comprensorio di Valmaura il Life Learning Center, coordinato dal prof. Sergio Paoletti, attrezzato per fornire adeguate ed aggiornate risorse ai docenti e agli studenti, offrendo loro gli strumenti concettuali e sperimentali più innovativi per ampliare le conoscenze nel campo delle biotecnologie. Inoltre, per i docenti, il Life Learning Center si offre come struttura di riferimento per un costante aggiornamento. Le attività di laboratorio sono costituite da “pacchetti” di esperimenti nel campo delle biotecnologie per la salute e del settore agro-alimentare. A ciò si affiancano, completando l’offerta, gli stage in biologia tenuti presso il Dipartimento omonimo, che stanno alla base del nuovo progetto Labolife. Il Dipartimento dei Materiali e delle Risorse Naturali propone interessanti attività di divulgazione scientifica sulle piante officinali, a cura della prof. Aurelia Tubaro, anche in collaborazione con l’Orto botanico del Comune di Trieste e con altre realtà esterne, ed un progetto di educazione al consumo consapevole dei prodotti alimentari, curato dal prof. Paolo Bogoni. Nell’area delle scienze della terra, sta partendo un nuovo progetto sugli aspetti fisici e geologici del Friuli Venezia Giulia, a cura del dott. Furio Finocchiaro. Importante è la collaborazione del CIRD con il Sistema Museale dell’Ateneo di Trieste – smaTs – una nuova struttura coordinata dalla prof. Manuela Montagnari, cui fanno capo realtà collaudate, come il Museo dell’Antartide, ma anche costituende esposizioni permanenti basate su raccolte di dipartimenti, quali quello di fisica, di giurisprudenza, di mineralogia. Insieme CIRD e smaTs organizzano le attività della Settimana della Cultura scientifica e tecnologica, promossa ogni anno dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel mese di marzo. Continua la sua attività il Laboratorio per la Didattica delle Scienze-Eureka, diretto dal prof. Giacomo Costa, cui fanno capo da anni numerosi insegnanti soprattutto delle aree chimica, fisica e delle scienze naturali, che si avvale del patrimonio dell’Esperimentoteca e della biblioteca, attualmente in fase di risistemazione nel comprensorio di San Giovanni, che 23 24 svolge con gli insegnanti attività indirizzate ai ragazzi, dalla scuola primaria alla scuola secondaria, in particolare nel campo della didattica delle scienze. Nell’area della psicopedagogia citerò il Laboratorio di psicologia dell’istruzione, coordinato dalla prof. Lucia Lumbelli, ed il gruppo di lavoro sui “Testi scientifici al microscopio”. È in fase di definizione un progetto della prof. Marina Sbisà sugli impliciti e la comprensione del testo. Ritengo infine molto significativo e nuovo un progetto interdisciplinare per un approfondimento dell’insegnamento dell’educazione civica, coordinato dalla prof. Ermenegilda Manganaro. Voglio ricordare, infine, last but not least, il Progetto Lauree Scientifiche – Orientamento degli studenti e formazione degli insegnanti - biennale, che è stato lanciato nel 2005 dal MIUR in collaborazione con la Confindustria e con la Conferenza dei Presidi di Scienze. Esso mira precisamente ad aumentare il numero degli iscritti e dei laureati ai corsi di laurea delle cosiddette hard sciences, le scienze dure, cioè Matematica, Fisica e Chimica, quelle in cui la situazione, in base ai dati che abbiamo degli ultimi anni, è particolarmente difficile. Nelle tre aree presso l’Università di Trieste i coordinatore sono il prof. Marco Budinich per la Fisica, il prof. Roberto Rizzo per la Chimica e la sottoscritta per la Matematica. E anche su questo tornerò. Questi sono dunque alcuni dei progetti che rientrano sotto l’egida del CIRD. Mi è stato chiesto di presentare in questa occasione una buona pratica tra tutte quelle che vengono portate avanti nel campo della formazione e della diffusione della cultura scientifica dall’Università di Trieste. La buona prassi che voglio presentare è la progettazione congiunta svolta da gruppi di lavoro in cui operano insieme docenti universitari e insegnanti di scuola superiore. Questo tipo di lavoro di progettazione congiunta è stato sperimentato negli ultimi anni dal Nucleo di Ricerca Didattica in matematica, che ho citato prima, per la serie di manifestazioni “La Matematica dei Ragazzi-Scambio di esperienze tra coetanei” che si svolge ogni due anni dal 1996 ed è stato finanziato, con contributi più o meno sostanziosi negli anni, dal MIUR, dal CNR e dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Inoltre quest’anno questo tipo di prassi è stata adottata nel citato progetto Lauree Scientifiche, che gode anch’esso di un sostegno abbastanza sostanzioso da parte del MIUR, ed è stato co-finanziato in maniera piuttosto generosa dall’Università di Trieste e da varie scuole, sia della nostra regione, sia scuole italiane in Croazia e Slovenia. Mi soffermerò ora brevemente su questi due progetti, in cui la prassi della progettazione congiunta è stata sperimentata e portata avanti e si è dimostrata particolarmente efficiente. “La Matematica dei Ragazzi” è un meeting di matematica tra ragazzi di ogni ordine di scuola, sia primaria sia secondaria. Si svolge in un istituto scolastico. Non è organizzata in QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 conferenze, ma in attività di laboratorio di matematica che si svolgono contemporaneamente in aule diverse. Vi partecipano classi di “relatori” e classi di “visitatori”, che sono sempre ragazzi. Le classi di “relatori” si preparano a questo meeting nel corso dell’anno scolastico, naturalmente sotto la supervisione dei loro insegnanti. Poi ogni classe di “relatori” riceve le classi di “visitatori”, una alla volta, e lavora con loro per un certo tempo (circa 20-25 minuti). Queste classi di visitatori possono essere ragazzi di pari età, o anche più piccoli o più grandi, e il livello della presentazione è tagliato volta per volta su misura, anche sulla base delle domande rivolte dagli ospiti. Ho voluto qui raccogliere alcune immagini dalle precedenti edizioni della “Matematica dei Ragazzi”. Nella prima foto c’è un gruppetto di ragazzini delle scuole elementari che hanno lavorato sul tema del Tangram; in altre foto ci sono ragazzini più grandi, vi sono rappresentati ragazzi delle varie fasce di età. Potete vedere il tipo di materiali che sono stati usati, sia materiali poveri, sia strumenti più sofisticati (computer, microscopio, ecc.). In una foto compare un giovane “Pitagora” che introduce i visitatori al suo teorema. La prossima edizione si svolgerà nei giorni 30 e 31 marzo 2006. Vediamo ora come si articola l’attività di progettazione congiunta di cui parlavo nel caso della “Matematica dei ragazzi”. All’inizio dell’anno scolastico ogni insegnante del Nucleo di Ricerca Didattica, che intende partecipare attivamente a questo meeting con una sua classe, prepara un progetto da sviluppare con i suoi allievi. Il progetto viene presentato e discusso all’interno del Nucleo di Ricerca Didattica, tra insegnanti e docenti universitari. Lo svolgimento del progetto viene poi seguito e supportato, QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 nel corso delle riunioni periodiche del gruppo, in cui tutti i membri del Nucleo di Ricerca Didattica contri- 25 26 buiscono alla fase di progettazione. Viene preparato un questionario con domande mirate da distribuire ai ragazzi partecipanti. Al termine, dopo il meeting, sulla base dei questionari e delle osservazioni fatte dagli insegnanti e dai partecipanti, si traggono le conclusioni, il lavoro svolto viene valutato e si pubblicano gli atti. Sono disponibili gli atti delle prime quattro edizioni ed i successivi sono in preparazione. Chi fosse interessato può richiederne una copia alla Segreteria del CIRD. I risultati sono sorprendentemente positivi, sia nelle classi di relatori sia in quelle dei visitatori, si può davvero toccare con mano quanto sia positivo lo scambio fra pari. Questo formato del meeting tra ragazzi è stato ripreso nel biennio 2004/05 con la “Scienza dei Ragazzi”, manifestazione organizzata da Eureka del CIRD nell’ambito delle attività dell’Esperimentoteca, in occasione della Settimana della Cultura Scientifica, grazie anche al contributo di enti esterni; è stata coordinata dalla prof.ssa Giuliana Cavaggioni. Gli insegnanti, i ragazzi e i bambini che operano nell’Esperimentoteca di Eureka hanno presentato una mostra sull’esperienza che hanno condotto nel biennio: un percorso di educazione scientifica, che parte dai fatti del mondo quotidiano per arrivare, attraverso l’osservazione e l’indagine, alle spiegazioni della scienza. L’altro progetto in cui è stata recentemente sperimentata la prassi della progettazione congiunta insegnanti e docenti universitari è il progetto Lauree Scientifiche, in particolare nella progettazione, realizzazione e valutazione dei laboratori del sottoprogetto “Orientazione e Formazione degli Insegnanti per la Matematica”. Riporto qui alcuni passi, tratti proprio dal progetto così come è stato presentato ed approvato dal MIUR. Anche in questo caso si tratta di progettare laboratori, ma indirizzati questa volta a ragazzi dell’ultimo triennio della scuola superiore, quelli più vicini alla scelta della facoltà universitaria e su cui si desidera, nel caso di questo progetto, agire in maniera più pregnante. Questo è quello che ci si propone: nei laboratori gli studenti si confrontano con problemi e argomenti significativi di matematica, possibilmente in stretto collegamento con altre discipline a partire da temi e problemi rilevanti delle scienze, della tecnologia, delle imprese e delle professioni; in questo modo gli studenti trovano un’effettiva opportunità di conoscere la matematica, nonché di divenire consci dei propri interessi, delle proprie motivazioni e delle proprie possibilità. Perché laboratori? Il nome “laboratorio” indica che ogni studente si impegna attivamente in lavori individuali e di gruppo, sotto la guida degli insegnanti e dei tutor universitari. Chi progetta e chi realizza i laboratori: ogni laboratorio è progettato e realizzato da un gruppo di lavoro nel quale sono presenti sia insegnanti, sia docenti universitari, ricercatori, dottorandi di matematica e di altre discipline; ai gruppi partecipano anche esperti di musei e centri della scienza, professionisti, esperti delle imprese, insegnanti in formazione, studenti in tirocinio. Documentazione e valutazione: lo svolgimento delle attività di ogni laboratorio viene documentato, monitorato e valutato, secondo criteri generali stabiliti da un gruppo di lavoro nazionale, rappresentativo dei diversi progetti locali. Per quest’anno scolastico abbiamo formato 5 gruppi di lavoro, ciascuno è formato da 1 a 3 docenti universitari e da un numero di insegnanti provenienti da una o più scuole (fino a un massimo di 3) per un totale di una decina di insegnanti al massimo. Si tratta quindi di gruppi abbastanza ristretti, in cui si riesce a lavorare in maniera molto efficiente e a fare un lavoro di progettazione accurato. Vi prendono parte anche dottorandi ed esperti di altro tipo, professionisti. È prevista anche la partecipazione attiva di Confindustria, per la selezione e poi la proposizione di argomenti e temi significativi, soprattutto per quello che riguarda le ricadute sul mondo delle aziende e dell’industria, speriamo di riuscire a coinvolgerla. Ogni laboratorio alla fine prevede un’attività curata di monitoraggio e valutazione anche in itinere; proprio in questi giorni abbiamo presentato al MIUR la prima relazione intermedia, in cui abbiamo potuto documentare in maniera molto dettagliata quello che stiamo facendo e le prime riflessioni su come stanno andando i laboratori nelle scuole. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 La progettazione congiunta, come dicevo, è proprio una caratteristica speciale dei laboratori, grazie alla quale si riesce a favorire lo sviluppo della conoscenza reciproca e della capacità di collaborare sia tra le persone, sia tra le istituzioni. C’è una ricaduta molto positiva per quello che riguarda l’aspetto formativo, inoltre per gli insegnanti e per i tirocinanti è prevista una specifica certificazione. Per concludere, vorrei sottolineare, come mi è stato chiesto, quali sono i punti di forza e quali i punti di debolezza di questa buona prassi. Punti di forza: si lavora e si studia insieme sullo stesso piano tra docenti universitari e insegnanti. Ciò permette a noi universitari di avere una migliore conoscenza della realtà scolastica e della percezione che la scuola ha dell’università. Perché non sempre abbiamo un’idea precisa e ben chiara di quello che dalla scuola si intuisce del mondo dell’università e dei suoi cambiamenti. Per gli insegnanti, d’altra parte, in questa maniera, lavorando insieme, si ha una migliore informazione sull’offerta formativa dell’università, che è molto cambiata in questi ultimi anni, e sugli sbocchi professionali. A questo proposito, abbiamo avuto negli ultimi anni alcuni incontri con giovani laureati, intorno ai trent’anni d’età, provenienti dalla nostra università, o che operano a Trieste pur provenendo da università diverse. Questi incontri sono stati molto significativi e chiarificatori di quale è davvero il ruolo del laureato quando si trova a essere proiettato nel mondo del lavoro. Alcuni insegnanti ci hanno confessato che mai avrebbero immaginato che un laureato in matematica potesse svolgere lavori di tale interesse. Un altro punto di forza per gli insegnanti è appunto il discorso della crescita professionale e dell’aggiornamento: è prevista anche una certificazione in termini di crediti universitari, perciò spendibile per eventuali master o corsi di perfezionamento. Infine, lavorando insieme si possono ideare e progettare attività più interessanti ed efficaci, perché appunto le si vede dal doppio punto di vista, sommando le competenze e le culture. Punti di debolezza: sono evidenti, è un’attività molto dispendiosa in termini di tempo ed energie; e questo purtroppo è un problema che non possiamo evitare. Per gli universitari, non posso negare che la cosa sia abbastanza pesante, perché la ricerca didattica generalmente è vista come un’attività minore che non ha utilità, se non in minima parte, per la carriera scientifica. Per gli insegnanti, d’altronde, il lavoro per lo più è su base volontaria. Devo sottolineare però che nel progetto Lauree Scientifiche, invece, la grande parte delle risorse stanziate è proprio per la retribuzione agli insegnanti che partecipano attivamente ai laboratori. Si tratta di un’inversione di tendenza importante e un riconoscimento all’impegno profuso dagli insegnanti, ritengo che sia un passo avanti notevole. Concludo segnalando gli indirizzi cui rivolgersi per ulteriori informazioni. Emilia Mezzetti: [email protected] Segreteria CIRD, dott.ssa Morena Petrich: tel. 040 5582659, [email protected] oppure [email protected] NRD - Luciana Zuccheri: [email protected] Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Trieste, Via Valerio 12/1, tel. 040 5582635 Sito web del Progetto Lauree Scientifiche: http://www.laureescientifiche.units.it/ LABORATORI ORIENTANTI ALLA SCIENZA ALBERTO STEFANEL UNITÀ DI RICERCA IN DIDATTICA DELLA FISICA DELL’UNIVERSITÀ DI UDINE Buonasera. Vi porto il saluto della prof.ssa Michelini, che non è potuta essere presente oggi, come previsto, per impegni improrogabili fuori sede. Io sono un suo stretto collaboratore da oltre dieci anni, per quello che riguarda la ricerca sull’innovazione didattica e curricolare, la formazione insegnanti, lo studio dei processi cognitivi, l’orientamento. In questo intervento vi presenterò i Laboratori cognitivi che abbiamo progettato per l’educazione informale, nell’ambito di alcuni dei recenti progetti di ricerca nazionali e internazionali a cui abbiamo contribuito. Questo è il sommario dell’intervento: contestualizzazione del nostro lavoro di ricerca per caratterizzarne l’impostazione relativamente al ruolo dei contesti di educazione informale e dell’operatività nell’educazione scientifica e per l’orientamento alla scienza; presentazione delle diverse tipologie di laboratori da noi messi a punto nell’ambito di recenti progetti di ricerca internazionali e nazionali; esemplificazioni di alcuni laboratori per la scuola di base e per la scuola superiore. Le profonde modificazioni subite dalla nostra società impongono un rinnovamento complessivo della scuola, che coinvolge anche il modo con cui si affrontano e si propongono le discipline (European Commission White Paper, Bruxelles 1995). Questo ha determinato, per esempio, lo spostamento dall’orientamento informativo, tipico degli anni ’70, all’idea attuale di orientamento, visto come elemento portante della formazione degli studenti, che si sviluppa in tutto l’arco della carriera scolastica dei ragazzi (Messeri 1999). Acquistano importanza, in particolare, attività che sviluppano, nei diversi contesti disciplinari, capacità di autorientamento, autovalutazione fin dalla scuola di base. In questa ottica i laboratori cognitivi per la scuola di base che si presentano qui sono, come richiamato nel titolo dell’intervento, orientanti alla scienza. La didattica disciplinare, che ha in sé delle implicite valenze orientanti, produce un orientamento efficace quando attiva risonanze tra le competenze sviluppate dagli studenti e le caratteristiche metodologiche proprie delle discipline stesse. Ciò si realizza con uno spostamento dall’insegnamento delle discipline scientifiche come saperi statici, alla didattica che ne fa emergere i caratteri dinamici, in cui il processo con cui si costruisce il sapere è importante tanto quanto il sapere in sé (Anderson 1995; McGilley 1994). Le ricerche sui processi cognitivi hanno messo in luce che l’apprendimento non si realizza per semplice trasmissione di saperi disciplinari. In particolare in ambito scientifico il ruolo determinante nell’apprendimento è giocato dallo sviluppo di QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 competenze, ossia, nell’accezione datane da Schön (1993), di capacità cognitive che consentono di mobilizzare le risorse (le conoscenze) per risolvere problemi particolari in contesti differenti. Tali competenze si sviluppano laddove sia previsto un forte coinvolgimento personale in compiti in cui gioca un ruolo centrale l’operatività pratica e concettuale (Bednar et al. 1991, Merrill 1992; Michelini 1999). La forte dipendenza dal contesto degli apprendimenti, soprattutto in ambito scientifico (Vosniadou 1994) indirizza a creare occasioni formative fuori dal regolare contesto scolastico, che si integrano sinergicamente con esso (Caravita, Hallden 1995; Caravita 1995). Acquistano allora peso, accanto ai momenti di educazione formale strutturati a scuola, anche gli apprendimenti informali, come quelli spesso inconsci della quotidianità, e quelli sviluppati in contesti non-formali di apprendimento che si realizzano per esempio nelle attività extra-scolastiche, come le visite a mostre (Honeyman 1996; Physics Education 1990). La ricerca cognitiva ha evidenziato l’importanza delle mostre hands-on e minds-on, soprattutto nel costruire il legame tra sapere scientifico e sapere quotidiano, citato anche prima dal dott. Vattovani come uno dei principali nodi della didattica scientifica. La ricerca non ha tuttavia chiarito qual è l’effettivo ruolo dell’educazione informale nella formazione dei concetti scientifici e come essa si integri (o si possa integrare) con la formazione scolastica. Uno dei filoni di ricerca, su cui da tempo siamo impegnati come Unità di Ricerca in Didattica della Fisica, consiste proprio nell’andare a capire qual è il contributo della educazione informale e non-formale alla costruzione dei concetti scientifici e alla loro integrazione con i saperi sensoriali e quelli sviluppati nella quotidianità. Il nostro specifico obiettivo è di individuare il ruolo che l’operatività ha nella produzione dei concetti scientifici: operatività pratica, attivata nel momento in cui si produce un fenomeno che si vuole esplorare agendo direttamente su un sistema: operatività concettuale, coinvolta quando si pone “la testa sulla” sfida interpretativa del fenomeno osservato. 27 28 Abbiamo messo a punto una serie di strumenti e metodiche di lavoro che fanno riferimento alle oltre 250 proposte di esplorazione operativa della mostra GEI - Giochi Esperimenti Idee e al contesto di educazione informale che essa attiva (Michelini 1995; Bosatta et al 1998). Tale mostra si caratterizza, rispetto ad altre mostre scientifiche e mostre hands-on, per l’uso di oggetti comuni, della quotidianità, finalizzati alla realizzazione di semplici proposte sperimentali, ciascuna delle quali, pur essendo mirata su uno specifico obiettivo cognitivo, viene offerta in modo aperto, consentendone un uso e una lettura differenziate. Essa utilizza anche alcuni giochi per realizzare il necessario raccordo tra oggetti e saperi del quotidiano e conoscenze scientifiche, senza porre l’attenzione sul funzionamento dei giochi come occasione per individuarne i principi fisici che lo regolano, che è lo scopo per esempio della mostra Giocattoli e la Scienza realizzata presso l’Università di Trento (Zanetti 1993). Prevede il coinvolgimento attivo degli utenti in veri e propri esperimenti realizzati con apparati di dimensioni limitate in cui l’utente controlla l’intero processo in osservazione e non solo una parte di esso come negli esperimenti di grandi dimensioni come quelli dell’Esploratorium di S. Francisco (Exploratorium 1987). Nelle visite alla mostra GEI, libere o guidate, si crea un ambiente che favorisce la costruzione delle idee e la loro prima formalizzazione, il riconoscimento di comportamenti e aspetti analogici, la costruzione di associazioni di idee tra ambiti diversi. Nello stesso ambiente espositivo ci si trova di fronte a più contesti diversi: l’ottica viene presentata insieme alla meccanica, l’elettromagnetismo è accanto alla termologia. Si stimola l’associazione analogica e il trasferimento di idee da un contesto all’altro. Si fa inoltre riconoscere che parlare di fenomeni termici, di fenomeni meccanici significa fare delle scelte di modi diversi di guardare agli stessi sistemi. Nell’ambito di diversi progetti locali e nazionali l’Unità di Ricerca in Didattica della Fisica ha progettato i “laboratori cognitivi”, che consistono al tempo stesso di modalità di lavoro con i bambini integrata con la visita alla mostra GEI e di esplorazione e studio delle loro idee e potenzialità cognitive e di formalizzazione. In questi laboratori, con materiali della mostra GEI o materiali appositamente approntati nello stile della mostra, si creano dei contesti di tipo informale in cui sviluppare il coinvolgimento attivo dei bambini, il confronto reciproco, attivato dall’esperimento. Sono stati offerti nel contesto delle manifestazioni organizzate con le scuole e prioritariamente nelle Settimane della Cultura che, oramai da 11 anni vengono organizzate dall’Università di Udine in collaborazione con enti e scuole del territorio, coinvolgono oramai oltre 10000 studenti l’anno. Da quattro anni tali attività sono inquadrate nella Convenzione Quadro, che ormai regolamenta tutti i rapporti tra Università di Udine e scuole del territorio. I laboratori cognitivi hanno diverse valenze, in quanto offrono un guadagno per l’apprendimento dei bambini, che sono coinvolti nell’esplorazione di nuovi ambiti fenomenologici e nella costruzione attiva e collaborativa del loro sapere; la formazione degli insegnanti, che hanno esperienza di come si possono affrontare con i bambini problematiche complesse; la ricerca cognitiva, in quanto si possono studiare quali sono i processi di ragionamento tipici dei bambini. QUESTE SONO LE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI LABORATORI PROGETTATI “Laboratorio cognitivo di esplorazione operativa” (CLOE). Con gruppi di bambini, si discutono scenari quotidiani e proposte sperimentali seguendo una traccia di percorso didattico formulata come protocollo di intervista; non è un percorso rigido, ma una traccia di lavoro che viene seguita in modo flessibile adattandola ai percorsi suggeriti dai bambini stessi. Si fanno emergere quelli che sono i loro percorsi di ragionamento, le loro reazioni alle proposte operative che esplorano. Ciascuna di tali proposte mira a un singolo obiettivo cognitivo attivando la sequenza di seguito esemplificata in un caso specifico. Con due sensori di temperatura si rileva la temperatura di due masse d’acqua inizialmente a temperatura diversa. Si invi- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 ta ad effettuare le previsioni sul processo: “Si immerge il beker con l’acqua calda nell’acqua fredda. Che cosa succederà alla temperatura delle due masse d’acqua?” I bambini fanno e discutono le loro previsioni e, successivamente, effettuano l’esperimento mettendo alla prova le proprie idee. Esplicitano il loro apprendimento riepilogando in una tabella a tre colonne: le azioni che sono state effettuate, le osservazioni di ciò che si è visto, le conclusioni che sono state tratte. I bambini acquisiscono autonomia nel passare per gradi successivi da un primo livello unicamente descrittivo, a quelli esplicativi di ordine crescente di: legame tra processo e sua rappresentazione in termini delle grandezze che lo descrive; descrizione del processo per mezzo delle grandezze che ne forniscono l’interpretazione fisica. “Laboratorio Contesti”. Un’altra modalità di lavoro, realizzata con il Laboratorio Contesti, è quella di creare un quadro fenomenologico nel quale portare i bambini ad affrontare un quesito problema, come ad esempio: “Come fa a formarsi un’immagine in una lente oppure in uno specchio?” Il contesto di riferimento in questo caso è quello della propagazione della luce che viene costruito a partire dal riconoscimento operativo del meccanismo della visione, della propagazione rettilinea della luce, ad esempio nella formazione delle immagini nella camera oscura, dei fenomeni di riflessione e rifrazione esplorati con fasci luminosi e con il metodo della parallasse. “Laboratorio mappe”. In questo tipo di laboratorio i bambini esplorano le proposte operative che riguardano un ben definito contesto concettuale, come ad esempio l’equilibrio meccanico, l’equilibrio termico, oppure il galleggiamento. Al termine di questa prima fase, i bambini in gruppo scelgono quali sono le parole, i nomi delle “cose”, che secondo loro sono risultati importanti in questa attività. Le parole vengono scritte su post-it. Esse diventano i nodi della mappa che viene costruita dai bambini prima disponendo i post-it/parole sul foglio e poi collegando con frecce i diversi nodi mettendo su ciascuna di esse un verbo che espliciti il significato del legame. I bambini mostrano come hanno organizzato gli aspetti fenomenologici e gli aspetti concettuali a un primo livello. Collettivamente si discute e si costruisce una mappa di classe, che rappresenta l’esito di apprendimento per loro. “Laboratorio Caccia al tesoro”. Una ulteriore modalità di lavoro, proposta recentemente, è quella di creare un contesto ludico realizzando una caccia al tesoro scientifica. Si predispongono diverse isole ciascuna delle quali è dedicata a uno specifico problema proposto in forma di sfida. I bambini a gruppi si cimentano con il problema proposto in un’isola. Autonomamente o con un piccolo aiuto tutti i bambini riescono a risolvere il problema proposto. Al termine di ogni isola ricevono un diploma, in cui viene riassunto che cosa si è fatto, osservato, imparato e una parte di un puzzle che servirà per costruire, al termine delle esplorazioni sperimentali, la parola eureka, esito che darà la vittoria nel gioco, che di fatto vede quindi tutti vincitori. ALCUNI ESEMPI DOCUMENTANO L’ESITO DI QUESTE ATTIVITÀ In un laboratorio CLOE sul magnetismo sono stati raccolti i disegni che bambini di I elementare hanno fatto a conclusione della esplorazione effettuata con piccoli magneti (elementi magnetici dei giochi magnetici oggi molto diffusi) e oggetti di diversa forma, materiale, dimensioni… I bambini mostrano di aver riconosciuto che i magneti agiscono selettivamente sui corpi e non semplicemente con l’attrazione. Nel rappresentare l’interazione tra i magneti e tra magneti e oggetti ferromagnetici mettono in evidenza qualche cosa (che fisicamente non si osserva) che è responsabile di tale interazione. Esplicitano il bisogno cognitivo di un ente (il campo), che si trova tra il magnete e gli oggetti e che permette di rendere conto di quello che hanno visto e osservato. Con i bambini della scuola di base non si spinge sulla matematizzazione dei concetti, ma piuttosto sulla formalizzazione basata su relazioni prima solo qualitative, poi quantita- tive molto semplici costruite con i numeri 1, 2, 3, che i bambini sanno gestire. In un “laboratorio per gli studenti della scuola superiore”, in cui si lavora in modo più strutturato, si effettuano misure e si costruisce la descrizione formale (matematica) dei fenomeni, ossia degli aspetti che sono stati indagati. Nei laboratori per le superiori si effettuano esplorazioni di ambiti fenomenologici, ponendo le basi per una loro descrizione empirica, per poi passare per gradi successivi, a livelli differenziati di interpretazione. Per esempio nel caso dei fenomeni di polarizzazione si arriva anche a una loro lettura quantistica. L’ultimo esempio riguarda le attività di problem solving per l’orientamento formativo (PSO). È stata messa appunto una tecnica di lavoro, una metodica in cui si applica il “popular problem solving”, proponendo dei problemi che attivano quelle che sono le attitudini dei ragazzi. È una strategia di insegnamento e apprendimento basato sull’uso di problemi operativi, in cui i ragazzi sono chiamati ad assumersi delle responsabilità. Infatti, viene loro chiesto di individuare il problema da analizzare, le modalità di definizione ed infine trovare la soluzione o il risultato. È stato realizzato in forme diverse ed è basato sulla creazione di contesti sperimentali aperti, del quotidiano, che costituiscano una sfida operativa e cognitiva per i ragazzi. Si attiva risonanza con quello che i ragazzi sanno e con quello con cui i ragazzi si trovano quotidianamente a interagire. Si propongono quindi sfide che i ragazzi potenzialmente possono affrontare, mettendo in atto attività in cui si tiene in controllo sia l’aspetto emotivo, sia l’aspetto cognitivo. Una prima fase progettuale prevede attività di singoli e di gruppo, in cui vengono messe in atto strategie tipiche del lavoro di equipe degli ambienti di ricerca. Una fase finale di riflessione sul processo che ha portato dalla formulazione del problema alla sua risoluzione fornisce agli studenti gli elementi di autovalutazione. L’indirizzo a cui si possono reperire i materiali che l’URDF ha sviluppato nell’ambito dei progetti di ricerca QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 richiamati in precedenza: www.fisica.uniud.it/URDF Documentazione delle manifestazioni di diffusione culturale organizzate dall’Università di Udine con le scuole è reperibile all’indirizzo: web.uniud.it/CIRD. ■ NOTE 2) Progetti di ricerca finanziati della Regione FVG: EPC (2000-2001), @ROLES (2003-2004) Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN-MIUR) 1994-2000 (Esp B e SeCiF (Spiegare e Capire in Fisica) MIUR 1999-2000); Progetto Pilota MIUR: LabTec (1999-2000); Progetti MIUR L6/2000 per la diffusione della Cultura scientifica: NOAI - Nuove occasioni si apprendimento informale (2004); Il gioco della Scienza: Laboratori cognitivi e di esperimenti per costruire il sapere scientifico (2005); EIFA - Esplorare ed interpretare i fenomeni per l’apprendimento scientifico (2006) Alberto Stefanel Università degli Studi Udine ■ BIBLIOGRAFIA Anderson L.W. Ed. 1995 International Encyclopedia of Teaching and Teacher Education, Paris: Elsevier. Anderson D, et. al. 2003 Theoretical perspectives on learning in an informal Setting JRST. Bednar A. K., Cunningam D., Duffy T. M., Perry J.D. 1991 Theory into practice. How do we link?”, in Instructional tecnology. Past, present and future, J.C. Angelin ed., Englewood: Libraries Unlimited. Bosatta G. et al. 1998 Giochi, Esperimenti, Idee (GEI): una mostra per realizzare un ponte tra lo sperimentare quotidiano e l’attività scolastica. La Fisica nella Scuola, XXXI, 1 suppl., 1998; Caravita S., Hallden O. 1995 Reframing the problem of conceptual change, Learning and Instruction, 4. Caravita S. 1995 Costruzione collaborativa di prodotti e tecnologie, TD7. Eploratorium 1987 San Francisco: Exploratorium pubblications; http://www.exploratorium.edu/ 29 Griffiths, T. and Guile, D. (2004) Work experience as an education and training strategy. Honeyman B N 1996 Science centres: building bridges with teachers, Science Education International, 7, 3, 1996, p.30. McGilley K. Ed. 1994 Classroom lessons: Integrating cognitive theory and classroom practice, MIT Press. Merrill D. 1992 Constructivism and Instructional Design. Messeri A. 1999 Orientamento alla cittadinanza: fondamenti teorici, in Modelli e strumenti per l’orientamento universitario, M. Michelini e M. Strassoldo a cura di, Udine: Forum. Michelini ed 1996 Giochi, Esperimenti, Idee, Catalogo della mostra, Udine: Forum ed. Michelini M., Bosio S., Schiamone T., Vogric F. (1999) Problem solving per l’orientamento in ambito disciplinare: metodica, esempi, formazione degli insegnanti, in Modelli e strumenti per l’orientamento universitario, M. Michelini e M. Strassoldo a cura di, Udine: Forum. Physics Education 1990 Hands-on science, special issue, 25, 5. Schön D. 1993 Il professionista riflessivo, Bari: Dedalo. Tuomi-Gröhn, T.; Engeström, Y. (eds) 2003 New perspectives on transfer and boundary crossing (Elsevier). Vosniadou S.,1994, Capturing and modelling the process of conceptual change, Learning and Instruction. Zanetti V. et al. 1993 I Giocattoli e la Scienza, La Fisica nella Scuola, XXVI, 4 Supplemento, Q4, 1993. LE STELLE VANNO A SCUOLA PAOLO SANTIN OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI TRIESTE 30 Io sono Paolo Santin dell’Osservatorio Astronomico di Trieste e sono stato invitato a presentare il progetto “Le Stelle vanno a Scuola” che è stato creato e supportato direttamente dall’Osservatorio per, come dice il sottotitolo, l’insegnamento dell’Astronomia e dei suoi metodi osservativi. Perché questo progetto? Perché ci si rende conto che l’Astronomia in fondo è un po’ una Cenerentola, nel campo scientifico delle nostre scuole. Il suo contenuto curriculare è estremamente ridotto ed anche piazzato in contesti non coerenti con i tempi moderni. È una parte ristretta, in effetti, del corso di Scienze, mentre si sta lottando per far transitare l’Astrofisica moderna come parte del programma di Fisica. Quindi, quello che i nostri ragazzi ricevono di astronomia è, in effetti, veramente molto limitato. Allora abbiamo cercato di mettere in piedi questo progetto, da una parte per presentare qualcosa di più ai ragazzi per invogliarli poi a continuare lo studio dell’Astronomia e dall’altra per fornire anche ai docenti uno strumento di laboratorio che possa essere utile ad integrare il loro insegnamento e abbiamo cercato di mettere in piedi un laboratorio interattivo e remoto a completa disposizione della componente didattica. Di questo progetto vorrei presentare sia la componente tecnologica che l’aspetto metodologico. Perché la componente tecnologica? Perché l’Astrofisica, l’Astronomia moderna, ha una componente tecnologica molto avanzata, è una gran fruitrice di tecnologie avanzate. Allora, nel presentare un qualcosa agli studenti, abbiamo pensato che era sbagliato rendere trasparente questo aspetto, ma bisognava presentare loro qualcosa con un contenuto tecnologico al loro livello, ma che avesse senso e fosse coerente con l’Astronomia moderna. Abbiamo cercato di rivoltare quello che finora era il nostro modo di interagire con le scuole, che consisteva fondamentalmente in una o più lezioni a scuola, concordate con gli insegnanti, e poi una visita all’Osservatorio in cui si mostrava loro il telescopio, il radiotelescopio ecc. Il tutto, tra lezione e visita, si trasformava in una grande gita scolastica, e finiva lì. Allora, responsabilizzando ulteriormente gli insegnanti, abbiamo pensato di portare l’Astronomia direttamente in classe, lasciando intatto il rapporto fra docente e i ragazzi e fornendo un supporto aggiuntivo, ma senza andar a sostituirci all’insegnante; anche perché è l’insegnante che conosce meglio la classe, conoscerà forse un po’ meno l’astronomia, ma sicuramente conosce la didattica meglio di noi e il rapporto QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 con i ragazzi ce l’ha in mano lui. Abbiamo quindi proposto “osservazioni remote” a scuola, ma osservazioni reali e abbiamo messo in piedi una configurazione strumentale completamente, come dicevo, dedicata alla didattica. Il collegamento in rete fra le scuole oggi esiste, praticamente tutte le scuole sono ben collegate, ed e’ la scuola che si connette con l’Osservatorio. All’Osservatorio c’è un astronomo a disposizione in video-conferenza per completare, stimolare, suggerire, spiegare tutto quello che serve. Quello che presentiamo è una replica di quello che poi in realtà, chi andrà a fare Astronomia domani, si troverà effettivamente sulla propria scrivania. Perché la configurazione strumentale che abbiamo installato (telescopio, strumentazione, sala di controllo e sala osservativa) è quella che si incontra oggi ai grossi telescopi, quando un astronomo chiede tempo al telescopio e va ad osservare. Nessuno lascia più mettere le mani agli astronomi sui telescopi. L’astronomo deve stare nella sala osservativa; il telescopio viene controllato da chi sa usarlo meglio e gli vengono forniti i risultati. In modo simile, forse ancora più coinvolgente, l’Osservatorio fornisce il telescopio, l’astronomo è in cupola e dalla scuola, sotto la guida dell’astronomo, i ragazzi possono interagire in modo completo scegliendo il target, l’oggetto da studiare, discutendo i tempi di esposizione, eseguendo l’esposizione stessa, ottenendo i risultati che poi possono scaricare e tenere a disposizione della scuola. La tecnologia, abbiamo detto, è presente in modo chiaro, cioè non è trasparente; vogliamo che i ragazzi si rendano conto che sotto c’è tecnologia, sotto c’è lavoro, che va usata con tranquillità ma con criterio. E quindi è accessibile e ai ragazzi viene spiegata ogni volta anche la configurazione tecnologica. Alcune immagini, tanto per illustrare il tutto. Questo è il telescopio (di 35 centimetri di diametro di specchio); in realtà sullo stesso telescopio è montato anche un secondo telescopio più piccolo e specializzato che è dedicato alle osservazioni solari. Quindi possiamo osservare sia di sera sia di giorno; osservazioni di oggetti stellari, galattici e planetari di sera ed osservazioni solari di giorno. L’immagine sulla destra ci mostra la parte di strumentazione piano-focale, una ruota portafiltri e una camera CCD. Abbiamo a disposizione 3 camere CCD per diverse configurazioni, una per la parte solare e due per la componente stellare. Per gli studenti più avanzati (diciamo le ultime classi superiori) è anche in costruzione uno spettrografo, di approccio più difficile per le scuole e che va spiegato meglio sia nella componente tecnologica sia per i risultati che fornisce; abbiamo cercato di costruire uno spettrografo a configurazione molto semplice in modo che anche i ragazzi possano capirne facilmente la struttura, fascio di ingresso, fascio di uscita, elemento disperdente e nient’altro. E speriamo di poterlo mettere in attività per i prossimi anni. Una cosa che vorrei far notare è che, contrariamente a quello che succede normalmente, e tutti lo abbiamo fatto, molto spesso, quando uno strumento di laboratorio non è più utilizzato ed è fuori linea, diciamo: “Beh, lo dedichiamo alla didattica”. No, questo è stato creato proprio con quell’intento, è stato finanziato dal MIUR sulla legge per la divulgazione scientifica ed è dedicato esclusivamente alla didattica. Non viene usato per altri scopi. Nella cupola, in un’altra sala, c’è l’astronomo in video-conferenza, che ha a disposizione due computer. Con uno gestisce le comunicazioni con la scuola, audio e video, e sull’altro ha il sistema di controllo del telescopio, della strumentazione e di acquisizione dei dati. E quello che vede l’astronomo in questa configurazione viene replicato esattamente sul computer della scuola. La scuola non ha bisogno di nessuna apparecchiatura speciale che non sia una normale aula informatica, che ormai tutte le scuole hanno, un personal computer e il collegamento in rete. Tutto quello che serve (software speciali di controllo, ecc.) viene fornito in remoto dall’osservatorio e replicato sul computer delle scuole. E da queste altre immagini si può comprendere poi quello che succede a scuola. I ragazzini attorno al computer. Per i primi secondi con le mani in tasca, perché hanno paura di aprir bocca e di muovere qualcosa. Dopo due secondi nessuno riesce a levar loro il mouse di mano. Parlando e discutendo con l’astronomo i ragazzi vengono guidati a scegliere un oggetto, a trovarlo sul cielo, a capire cos’è, a capire se si può osservare o meno. Poi ad osservare, sbagliare, ripetere il tutto ed ottenere alla fine il risultato voluto. L’immagine sulla destra mostra un’osservazione diurna del sole. Questo per la parte più strettamente tecnologica. Per la parte metodologica, l’approccio che abbiamo usato, chiesto dai nostri colleghi e come buona prassi da noi suggerita, è quello dell’insegnamento delle metodologie sperimentali, valido non solo nell’astronomia, ma penso determinante per qualunque scienza. Specialmente oggi, tenendo conto che, come qualunque attività umana, anche la scienza e i suoi risultati vengono spettacolarizzati in modo estremo. Che si parli di astronomia o che si parli di medicina, tutto sembra facile, tutto sembra ottenuto immediatamente e tutto è bello. Si parli per esempio dei dati di una galassia o di un vaccino, questi vengono ottenuti in un attimo e saranno disponibili già domani. Gli anni di lavoro precedenti e quelli necessari a seguire, nessuno nemmeno li considera. Nel nostro caso abbiamo cercato di contrastare questa azione di spettacolarizzazione, che per l’Astronomia è ancora maggiore, perché l’Astronomia è una gran fornitrice di immagini, anche di immagini belle e affascinanti. Sulle riviste, in Internet e per televisione si vedono pubblicate e vengono diffuse soltanto le immagini finali, belle, spettacolari. In realtà, come tutti noi sappiamo, i primi risultati sperimentali e le immagini nel nostro caso, sono risultati sporchi, che vanno calibrati, che vanno ripetuti e che per essere calibrati hanno bisogno di una gran competenza anche di tipo strumentale. Se non conosci bene il tuo strumento, e quello che si chiama la firma strumentale, i dati non sono interpretabili, brutti sono e brutti rimangono. Questo è il percorso che cerchiamo di far capire ai ragazzi e di farlo anche però percorrere. Queste sono le prime immagini ottenute dai ragazzi quando gli si dice: “Puntiamo su quella galassia ?” “Quanto facciamo, 10 secondi di esposizione?” I risultati osservativi si possono QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28 vedere nelle immagini in alto a sinistra e chi è presente a scuola li vede effettivamente così, e allora dicono «Cosa siamo venuti a scuola ad osservare, aprivo a casa Internet o una rivista di astronomia e potevo vedere immagini molto più belle». Allora si va a spiegargli perché l’immagine è venuta così brutta, perché è granulare, perché ci sono quei bozzoli, perché non abbiamo pulito la camera CCD con lo straccio per togliere i granelli di polvere. E successivamente si spiega come si ottengono le immagini di calibrazione ed il tutto viene fatto in diretta. Alla fine riescono da soli ad ottenere le immagini a colori pulite e “spettacolari per loro” e sono felici. Però tra un passo e l’altro trascorrono per lo meno tre quarti d’ora di attività. Si cerca quindi di trasmettere il messaggio che quella del ricercatore è una professione, e che anche in questa professione bisogna guadagnarsi il pane e lavorare facendo fatica. E questo è tutto per la descrizione generale del progetto. A monte di ogni osservazione c’è però del lavoro ulteriore che è quello della preparazione e discussione con l’insegnante. Avendo più di uno strumento a disposizione (la camera per le immagini, il sole, domani speriamo lo spettrografo) possono essere concordati e pianificati programmi diversi. Necessariamente, i programmi vanno definiti in funzione dell’età, della preparazione, di quello che l’insegnante ci chiede di proporre. La scelta degli oggetti da osservare e le modalità ed il livello delle spiegazioni vengono concordate con l’insegnante in precedenza. Per l’approccio per le elementari, per esempio, si inizia con l’osservazione del sole, per motivi pratici e logistici e anche perché è molto più immediato e più facile da spiegare. Con i ragazzi delle superiori si può andare ovviamente più nel dettaglio e quindi si può affrontare il discorso dell’evoluzione stellare e della fisica della costituzione interna delle stelle. E si può proseguire ancora, perché questo è uno strumento che ci è stato richiesto anche per osservare con gli studenti dell’università. Alla fine del triennio, o anche nel corso della laurea specialistica, studiano Astronomia ma non hanno mai visto un telescopio (se non sono astrofili per 31 32 conto loro). E quindi preparare per loro un mini percorso iniziale di training osservativo è qualcosa che stiamo concordando anche con i docenti di astronomia dell’università. Riteniamo quindi che questo progetto rappresenti uno strumento abbastanza flessibile e che possa essere dato in mano a ragazzi che vanno dalle elementari fino al liceo, con possibile estensione fino all’università. Rapidamente ora una sintesi delle attività dell’ultimo anno. Sono state fatte 40 sessioni osservative, di cui 22 notturne e 18 solari come sessioni osservative remote in collegamento con le scuole. Abbiamo poi partecipato a varie altre manifestazioni e attività, tra cui la collaborazione con l’Area per le Science Weeks, la partecipazione alla fase finale del concorso dell’INFN “Donne per la Fisica”, al quale hanno partecipato una sessantina di studentesse da tutta Italia, vincitrici del concorso, ed altre attività di promozione, analogamente agli altri Istituti scientifici. Mi è stato chiesto di aggiungere due parole sui pro e i contro del presente progetto. Per quanto riguarda la componente tecnologica, l’offerta di una configurazione strumentale in replica minore di una configurazione professionale è, secondo me, fortemente positiva ed educativa per i ragazzi. Come trovo educativo anche il fatto di cercare di contrastare questa spettacolarità delle immagini. Questo stesso aspetto però, allo stesso tempo, rappresenta anche un punto di debolezza perché su questo punto, dall’altra parte, troviamo una generale impreparazione da parte dei docenti. Quindi noi da una parte cerchiamo di responsabilizzare il più possibile i docenti mentre poi, offrendo programmi troppo complessi, non possiamo pretendere che i docenti siano sufficientemente preparati. Stiamo quindi, a questo scopo, pensando di organizzare dei corsi di aggiornamento per insegnanti, per metterli in grado di affrontare con la preparazione sufficiente l’organizzazione delle sessioni osservative. Concluderei dicendo che l’aspetto forse più critico anche nel nostro caso è quello già citato dalla prof.ssa Mezzetti. Il nostro compito non è la didattica, però ci siamo resi conto che la didattica, dal nostro punto di vista, è ingorda di risorse in modo terribile. Vale per i ricercatori come vale per i docenti; cercare di coinvolgere i ricercatori è molto difficile, perché ognuno di noi ha la sua personale attività di ricerca, ha da lavorare per pubblicare il suo ultimo articolo, ha le sue scadenze, e se non pubblica non fa carriera. Bisogna considerare che, normalmente, lavorare nel campo della didattica e della divulgazione, per un ricercatore non è remunerativo, dal punto di vista professionale. Noi, ora, riusciamo a lavorare bene perché abbiamo avuto la possibilità di offrire dei contratti a dei giovani, una neo-laureata e un laureando, che portano avanti molto bene il progetto. In mancanza di risorse di questo tipo, purtroppo, la vita stessa del progetto risulta seriamente compromessa. QUADERNI DI ORIENTAMENTO Iscr. Tribunale n. 774 Registro Periodici del 6/2/90 Paolo Santin Osservatorio Astronomico Trieste QUADERNI DI ORIENTAMENTO 28