Direzione centrale istruzione, cultura, sport e pace
Servizio istruzione e orientamento
MINISTERO DEL LAVORO
E DELLE POLITICHE SOCIALI
Dipartimento per le politiche del lavoro
e dell’occupazione e tutela dei lavoratori
Ufficio Centrale OFPL
UNIONE EUROPEA
Fondo sociale europeo
CONVEGNO
SCIENZIATI SI NASCE
O SI DIVENTA?
RIFLESSIONI E STRUMENTI
PER ORIENTARE ALLA RICERCA
E ALLA SCIENZA
AREA Science Park, Trieste
Martedì, 21 febbraio, 2006
ATTI
L’iniziativa, promossa congiuntamente dal servizio istruzione e orientamento della Regione Friuli Venezia Giulia e dall’AREA Science Park con
il supporto del Centro risorse regionale per l’orientamento, conclude
una serie di azioni di sensibilizzazione alla figura del ricercatore, realizzate nelle Sciences weeks da AREA Science Park all’interno della campagna europea Researchers in Europe 2005.
La giornata di lavori si rivolge agli insegnanti e a gli operatori di orientamento per un approfondimento e un confronto sui temi del profilo
professionale del ricercatore e dei percorsi di orientamento alla scienza
all’interno degli istituti scolastici superiori.
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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POLITICHE EUROPEE
PER LA RICERCA
STEFANIA BETTINI
COMMISSIONE EUROPEA
FATTORE UMANO,
MOBILITÀ E AZIONI MARIE CURIE
Buon giorno a tutti, signore e signori. Naturalmente un ringraziamento
al presidente Pedicchio che mi ha
permesso di essere qui oggi. Un ringraziamento anche all’assessore
Cosolini che mi facilita molto l’intervento, perché con la sua introduzione così efficace ha presentato la
realtà odierna e le necessità, legate a
innovazione e ricerca in generale,
che tale realtà richiede.
Nel mio specifico, venendo da
Bruxelles, parlerò di politiche europee a sostegno dei ricercatori.
Poiché le premesse sono state fatte in
modo molto chiaro, mi piace riprendere alcune espressioni dell’assessore Cosolini.
Si è parlato della necessità di creare
una sostenibilità tra competitività e
diritti. Si è parlato anche della grande necessità di una diffusione scientifica come elemento di sviluppo. Si
è parlato quindi dell’importanza
assoluta, e qui l’appello va a voi in
quanto orientatori, che hanno i giovani chiamati a intraprendere carriere scientifiche. Perché c’è poco da
fare: abbiamo visto l’importanza che
la ricerca ha, naturalmente, in termini di crescita e innovazione. Però si
parla di ricerca, si parla d’innovazione, senza considerare il ruolo fondamentale rivestito dalle risorse
umane, dalle persone che fanno, che
portano avanti queste attività di
ricerca. Ed ecco perché trovo estremamente interessante il titolo che è
stato scelto per questa giornata,
ovverosia “Scienziati si nasce o si
diventa? Professione ricercatore”. È
proprio da qui che vorrei prendere lo
spunto per illustrarvi le politiche
europee che da quasi un quinquennio vengono fatte proprio a sostegno
dei ricercatori.
Senza stare a richiamare gli obiettivi
prefissati a Lisbona nel 2000 e a
Barcellona nel 2002, quello che è
veramente importante, anche per voi
che siete chiamati a consigliare i giovani a intraprendere carriere scientifiche, è che c’è bisogno di persone,
c’è bisogno di risorse umane perché
tutti questi obiettivi così lungimiran-
ti, così spesso altisonanti, possano
veramente essere messi in attuazione di qui al 2010. Il 2010 suona e si
staglia un po’ come la data cruciale
entro la quale tutto dovrebbe diventare assolutamente perfetto: data
entro la quale l’Europa deve diventare l’economia mondiale basata sulla
conoscenza più competitiva in assoluto; data entro la quale virtualmente tutti i 25 stati membri dovrebbero
devolvere il 3% del loro Prodotto
Interno Lordo alla ricerca. È però pur
vero che questi obiettivi hanno avuto
bisogno di essere rilanciati proprio
l’anno scorso perché la realtà dei
fatti ha dimostrato che siamo ancora
lontani dal loro raggiungimento.
Come dice spesso il Commissario
europeo per la ricerca, Potocnik, nei
suoi discorsi, che a volte sono permeati anche di un certo pessimismo,
se continuiamo con questo trend, se
continuiamo a investire nella ricerca
quanto attualmente gli stati membri
devolvono, nel 2010 saremo ben
lontani dal devolvere alla ricerca
questo famoso 3%. Ci sono dunque
problemi. Per quanto ci riguarda,
considerando anche un panorama
mondiale che è sempre più competitivo, ormai i nostri competitori non
sono più solamente i “soliti”
Canada, Stati Uniti e Giappone.
Adesso si stagliano delle realtà innovative che stanno recuperando e
guadagnando terreno in modo incredibile e qui il riferimento va alla
Cina, all’India. Il riferimento va
anche a paesi come il Brasile. In
tutto questo contesto è da quasi un
quinquennio che le politiche europee riguardano finalmente l’aspetto
umano di tutto questo grande discorso, ovverosia i ricercatori.
Diciamo che per quanto riguarda il
titolo non dedicherò molte parole
alla prima parte del titolo “Scienziati
si nasce”. “Scienziati si nasce” fa
riferimento a un aspetto veramente
vocazionale di questa professione; ci
siamo ritrovati molto spesso a dire:
«il nostro problema non è convincere quelli che sentono veramente
questo fuoco dentro, il nostro problema non è attrarre loro nelle schiere scientifiche e nella carriera scientifica». Perché queste sono persone
che, essendo così illuminate da questo “fuoco”, indipendentemente
dagli ostacoli che ci sono, e che
sono tanti, comunque diventeranno
scienziati, comunque faranno i ricer-
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catori. Non sono quindi loro il
nostro target, anche se naturalmente
hanno tutto il diritto, proprio perché
illuminati da questo “fuoco”, di esercitare e di sviluppare le loro capacità in un ambiente che comunque sia
favorevole a loro e alla loro carriera,
che comunque sia sufficientemente
stimolante e, soprattutto, che permetta loro uno sviluppo di ricerca
rigorosamente armonico e nel pieno
rispetto dei diritti che ciascun lavoratore deve avere.
Quella che per noi è veramente la
sfida è appunto la seconda parte di
questa frase: “Scienziati si diventa”.
Il fatto stesso che si parli di professione ricercatore, costituisce un
primo importante riferimento, perché finalmente da qualche anno si
incomincia a far passare il concetto
secondo il quale essere ricercatore
significa essere un professionista. È
stato riconosciuto unanimemente
che la ricerca è una professione e
finalmente anche coloro che si
occupano di ricerca devono essere
trattati come tali. Quando noi abbiamo incominciato a lavorare, più di
quattro anni fa, sulle politiche europee a sostegno dei ricercatori, il
nostro primo grande scoglio era
quello di far passare l’idea, non solo
presso gli stati membri ma anche
presso i nostri colleghi di altre
Direzioni generali in seno alla
Commissione Europea, che i ricercatori sono dei lavoratori e quindi dei
professionisti. Per lungo tempo i
ricercatori venivano definiti esclusivamente in termini negativi: cioè
ricercatore è colui che non è insegnante, è colui che non è questo, è
colui che non è quello. Voi capite
bene che come punto di partenza lo
scenario era assolutamente sconcertante. E quando noi oggi parliamo
del bisogno di avere 700.000 ricercatori in più entro il 2010, del bisogno di avere ricercatori in più che
vadano, naturalmente, a sostituire le
schiere di quanti nel frattempo
vanno in pensione, non possiamo
certamente pensare di attrarre persone, soprattutto di attrarre giovani, se
lo scenario che comunque si presenta è uno scenario desolante dove
veramente non c’è nulla, dove non si
parla nemmeno di professione.
Oggi, dopo quattro anni di lavoro
intenso condotto assieme a tutti gli
stati membri, finalmente si incominciano a notare i primi cambiamenti.
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Innanzitutto a livello di mentalità,
che non è poco. Voi, che siete sul
campo e siete i primi ad avvicinarvi
ai giovani, lo sapete meglio di me.
Posso provare a immaginare il tipo di
domande che vi sono poste e posso
anche provare a immaginare il tipo
di imbarazzo che ogni tanto si ha nel
dover rispondere a chi chiede: «Ma
allora, quali sono le prospettive di
carriera che mi aspettano?». Non è
sempre facile fornire una risposta.
Il senso quindi della mia presentazione è proprio quello di dimostrarvi
che intanto a livello europeo ci si sta
“strutturando” (a livello europeo e di
conseguenza anche a livello nazionale) perché ormai c’è un comune
modo di sentire. Indubbiamente
ancora tanto deve essere fatto. Non è
cosa da poco il fatto che finalmente
ci sia un nuovo modo di sentire
secondo il quale s’incomincia a parlare di opportunità di carriera per i
ricercatori, di occupabilità dei giovani nel mondo della ricerca e quindi
io mi auguro veramente che quanto
vi esporrò di qui a breve serva a
darvi qualche elemento in più per
fornire risposte un po’ più incoraggianti, perché naturalmente voi svolgete un ruolo fondamentale.
Voi, come diceva l’assessore Cosolini, veramente rispondete a quell’esigenza di comunicare la scienza, di
passare comunque un messaggio
positivo, perché, c’è poco da fare, le
cose stanno cambiando. Abbiamo sì
bisogno di attrarre giovani, ma è
anche giusto presentare gli elementi
nuovi che esistono perché si possa
parlare veramente di carriere e di
professioni nel mondo della ricerca.
Essere ricercatore è una sfida: c’è
poco da fare, i ricercatori vengono
definiti come quei coraggiosi, quei
giovani coraggiosi, curiosi. L’assessore Cosolini ha parlato giustamente
di divertimento come chiave del successo per svolgere una professione
assolutamente interessante; si è parlato di piacere, si è parlato di entusiasmo. Ma essere ricercatore ancora
oggi rappresenta una sfida. Rappresenta una sfida perché sono necessari tre elementi fondamentali: un
ambiente di ricerca favorevole, che
permetta veramente uno sviluppo di
carriera; delle offerte attraenti di carriera nella ricerca; e sono fondamentali gli investimenti in formazione,
mobilità e sviluppo di carriera in
quanto tale. Tutto questo significa
che è necessario che ci sia veramente un mercato europeo del lavoro
aperto e competitivo specificamente
dedicato ai ricercatori. E noi, in questo senso, stiamo lavorando da oltre
quattro anni. Quando si parla di
Spazio Europeo per la Ricerca1,
quando si parla di mobilità dei ricercatori, tutto questo concorre a creare questo mercato europeo per i
ricercatori. Perché, indubbiamente,
senza un mercato europeo per i
ricercatori noi non potremmo mai
pensare, non solo di trattenere in
Europa i nostri migliori intelletti, ma
anche di attrarre da fuori quanti se
ne sono andati o quanti, giustamente, potrebbero voler tornare in
Europa.
Due elementi tra i vari concorrono
alla creazione di questo mercato
europeo per i ricercatori. Innanzitutto politiche per i ricercatori che
vedono specificamente impegnate
non solo l’Unione Europea ma anche
gli Stati membri; un secondo aspetto,
non meno importante, nel quale voi
giocate un ruolo fondamentale, è
proprio quello che riguarda il comunicare la scienza, dove tutti hanno
un ruolo da svolgere, soprattutto gli
insegnanti, non parlo solamente
degli insegnanti delle scuole secondarie, ma anche appunto di coloro
che si occupano di orientare i giovani, futuri universitari.
Con specifico riferimento alla prima
parte che attiene alle politiche c’è
poco da fare. Un presupposto comune a entrambi gli aspetti, ovverosia
politiche “ad hoc” per i ricercatori e
comunicazione, è l’attuale quadro
presentato dall’Europa. Probabilmente lo conoscete meglio di me.
Oggi abbiamo quasi 6 ricercatori su
1.000 lavoratori. È una media bassissima, perché se voi comparate i dati
di Europa, USA e Giappone vedete
che in Europa, dove lo specifico riferimento va a materie scientifiche e,
in particolare, a ingegneria, educhiamo più di quanti poi siamo in grado
di assumere. Si producono dunque
più persone rispetto a quelle che poi
effettivamente lavorano in questo
settore. Questo è un dato estremamente allarmante. Perché non solo,
come dicevo prima, siamo notevolmente indietro rispetto agli Stati
Uniti e al Giappone, ma adesso
abbiamo altre realtà, come per
esempio quella cinese, che ci stanno
superando. Bisogna anche dire che,
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oltre al fatto che l’Europa investe
meno in ricerca, ci sono due fattori
che possono spiegare questo paradosso: una grande produzione di
laureati, ma un bassissimo numero
di quanti poi realmente vanno a
svolgere attività scientifiche. E questo dipende innanzitutto dal fatto
che molti laureati ritengono più redditizio, una volta che hanno conseguito la loro tesi, andare a lavorare
in altri settori che non siano quello
scientifico. Il secondo elemento è
che c’è ancora una forte tendenza,
volenti o nolenti, ad abbandonare
l’Europa, perché non si riescono a
vedere le opportunità che in realtà,
questo mi piace sottolineare, sono
già esistenti in Europa. Ma proprio
perché non le si conoscono, non le
si vedono immediatamente, molto
spesso i giovani laureati tendono a
partire e a non tornare in Europa,
sempre considerato che c’è un’apparente mancanza di prospettive.
Ripeto, mi piace essere positiva in
questo senso, perché invece e
soprattutto in questi ultimi due anni,
si sta notando un’inversione di tendenza: finalmente l’Europa incomincia ad apparire come un luogo dove
l’eccellenza c’è, l’eccellenza esiste.
Il problema dell’Europa è che, essendo composta da 25 realtà diverse,
tutte estremamente parcellizzate,
non sempre si riesce ad avere una
visione unitaria delle opportunità di
lavoro che vengono offerte. Ma
anche qui si sta lavorando in questo
senso e le cose stanno cominciando
a cambiare.
Come ricordava prima l’assessore
Cosolini, naturalmente c’è anche
una questione fondamentale che
riguarda proprio la cosiddetta
“dimensione di genere”, ossia la presenza femminile nel mondo delle
carriere scientifiche. C’è poco da
fare. Come vedete dall’immagine,
questo è quello che noi chiamiamo
il “paradosso della forbice”: le
donne incominciano con un’alta
percentuale, sono tendenzialmente
più brave degli uomini, si laureano
sempre in tempo, però poi purtroppo, alla fine, di “Maria Cristina
Pedicchio” ne abbiamo veramente
poche. Chi arriva a rivestire veramente un ruolo importante è un
numero esiguo di donne. Invece è
esattamente il contrario per gli uomini: meno uomini cominciano studi
scientifici e si dedicano ad attività
scientifiche, però poi sono quasi tutti
uomini coloro i quali alla fine svolgono ruoli importanti.
Che cosa fare allora perché questi
coraggiosi, entusiasti ricercatori
rimangano in Europa o comunque ci
tornino, continuando a perseguire la
loro carriera scientifica? Diciamo
che si possono individuare tre strade
per riuscire veramente ad avere questo mercato aperto e competitivo per
i ricercatori. La prima strada è quella legata alla necessità di rimuovere
gli ostacoli amministrativi e legali
alla mobilità dei ricercatori, di questo parlerà la professoressa Pedicchio. C’è poco da fare, se vogliamo
veramente un’Europa che sia un
mercato aperto e competitivo per i
ricercatori, se vogliamo che i ricercatori, che sono lavoratori “mobili”
per eccellenza, circolino da un
paese all’altro in seno all’Europa e
possibilmente ci tornino, c’è bisogno
che la loro mobilità non venga
costantemente inframmezzata da
problemi che sono principalmente e
innanzitutto legati alla vita quotidiana, quindi ecco il riferimento agli
ostacoli amministrativi e legali. C’è
bisogno anche di riconoscere uno
“status” più elevato alla professione,
alla carriera di ricercatore, e quindi
il riferimento va a quanto dicevo agli
inizi, che i ricercatori sono dei professionisti. E questo dev’essere forte
e chiaro perché, voi lo sapete meglio
di me, in alcuni paesi i ricercatori
sono considerati come studenti, il
che ha una ripercussione enorme
sull’aspetto pensionistico. Un conto
è essere ancora trattati a 30-35 anni
come studenti, il che francamente è
inaccettabile, un conto è essere trattati come dei lavoratori professionisti. Questo ha una ripercussione sui
diritti tributari e pensionistici notevolmente diversa da paese a paese e
anche da una realtà all’altra: un
conto è svolgere ricerca nel mondo
industriale, un conto è svolgere
ricerca in ambito accademico.
La terza strada per arrivare ad avere
un mercato aperto e competitivo per
i ricercatori è investire di più in formazione, mobilità e sviluppo di carriera. Per quanto ci riguarda, l’Unione
Europea sta varando adesso il VII
Programma quadro per la ricerca,
nell’ambito del quale c’è un programma specifico, chiamato “People”,
gente, che è proprio dedicato al
sostegno delle risorse umane. In par-
ticolare, People si prefigge, tra gli
altri, di strutturare il cosiddetto “training alla ricerca” in tutta Europa,
quindi “abituare” veramente alla
ricerca, stimolare la partecipazione
industriale e, naturalmente, rinforzare la dimensione internazionale nello sviluppo di carriera.
Adesso nello specifico vorrei brevissimamente mostrarvi alcune delle
attività che concretamente sono state
create e sono in corso di rotta, non
solo in Europa, ma in tutti gli stati.
Per quanto riguarda la prima strada,
ovverosia il rimuovere gli ostacoli
amministrativi e legali alla mobilità,
immagino che già ne siate al corrente. Ma il primo vero strumento è
costituito da ERA-MORE, acronimo
che sta per “European Research Area
(Spazio europeo della ricerca), more
researchers”, più ricercatori. Si tratta
di una rete europea di centri di
mobilità composta da circa 200 centri, per quanto riguarda la realtà del
Friuli Venezia Giulia, Area è uno di
questi centri di mobilità, e 32 paesi
ne fanno parte. È un network la cui
finalità principale è proprio quella di
aiutare i ricercatori fornendo loro,
tramite un’assistenza personalizzata,
informazioni utili per quanto riguarda tutte le problematiche legate proprio all’insediamento in una nuova
realtà. Quindi, qualunque ricercatore proveniente da qualunque paese,
non solo europeo ma anche extraeuropeo, si può rivolgere ad uno di
questi centri chiedendo l’assistenza
su come avere, per esempio, un permesso di lavoro, come trovare una
scuola per i propri figli, come aiutare il proprio partner che ha bisogno
magari di cercare un lavoro in questo paese. La finalità, quindi, è proprio quella di aiutare i ricercatori
dando loro informazioni utili per
poter sopperire alle mancanze, soprattutto amministrative, burocratiche e legali, che oggi ancora ci sono
nei vari stati.
Si parlava prima dell’importanza di
essere a conoscenza delle opportunità che esistono in Europa, opportunità non solo di lavoro, ma anche di
borse di studio. C’è poco da fare:
tanti ricercatori vanno via dall’Europa perché, al di là di un sistema autoreferenziale, non sanno che
in Europa stessa ci sono tantissime
altre offerte e proprio questa mancanza di conoscenza ha fatto sì che
nel 2003 la Commissione creasse il
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DI
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Portale europeo per la Mobilità del
Ricercatore dove i ricercatori trovano informazioni su borse di studio,
offerte di lavoro, sempre con un
focus specifico sulle 32 realtà europee. Sottolineo il numero 32 perché
noi lavoriamo non solo con i 25 stati
membri dell’Unione Europea, ma
anche con gli stati associati al
Programma Quadro per la Ricerca.
Oggi 30 portali nazionali affiancano
e completano il portale europeo. Tra
essi il portale italiano per la mobilità
del ricercatore. Il portale europeo ha
anche una dimensione internazionale, extra-europea, rappresentata attualmente dal Canada e, soprattutto,
dal Cile che ha sviluppato il suo portale nazionale per i ricercatori sul
modello europeo. La Nuova Zelanda
seguirà a breve.
Considerata la realtà specifica del
Friuli Venezia Giulia e, in particolare, la realtà offerta da Area Science
Park e da tutti gli enti di ricerca che
gravitano intorno a Trieste, un altro
strumento particolarmente interessante, di cui io penso sia estremamente opportuno che voi siate a
conoscenza, è anche il cosiddetto
“visto scientifico”. Si è parlato tanto
dell’importanza, della necessità di
attrarre ricercatori da tutto il mondo,
perché in Europa si offre eccellenza.
Abbiamo quindi bisogno che i
migliori talenti ritornino in Europa
oppure, se sono di altri paesi, ci vengano. Ebbene, questo è uno strumento estremamente importante e
vorrei sottolineare che questo strumento venne concepito nel lontano
2001. All’epoca, quando cominciammo a lavorare sull’ipotesi di un
visto scientifico per i ricercatori,
fummo visti come “visionari”, perché dicevamo che non solo era
estremamente importante riconoscere i ricercatori come professionisti,
ma anche perché chiedevamo di
prevedere a livello europeo uno strumento “ad hoc” per coloro che provengono da paesi terzi, per svolgere
in Europa esclusivamente attività di
ricerca. Considerato il grande successo di iniziative simili attuate in
Francia, Olanda e Danimarca, avevamo chiesto un visto “ad hoc” per i
ricercatori provenienti da paesi terzi.
Ebbene, nel 2001 eravamo “visionari”, mentre oggi possiamo dire con
grande orgoglio che siamo arrivati
ad avere una direttiva su questo
tema. Come probabilmente saprete,
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la direttiva è lo strumento legislativo
europeo che ha maggiore forza, nel
senso che dev’essere obbligatoriamente trasposto in legge nazionale.
Quindi voi capite il successo e la
portata di questa iniziativa. Oggi
possiamo dire che a livello europeo
esiste un pacchetto composto da una
direttiva e due raccomandazioni per
ammettere i cittadini provenienti da
paesi terzi in Europa. Quello che è
importante è che la direttiva, nello
specifico, prevede una procedura
d’ingresso veloce per i ricercatori: ci
sono dunque, e finalmente, gli strumenti legali perché ricercatori provenienti da tutto il mondo possano
venire in Europa a lavorare. In particolare, le due raccomandazioni che
fanno da corollario alla direttiva
sono già in vigore; queste, infatti,
entrano in vigore nel momento stesso in cui vengono adottate. La direttiva dovrà essere trasposta in legge
nazionale entro ottobre 2007.
Quindi voi capite la portata di tutti
questi strumenti che, insieme, concorrono veramente a creare quell’ambiente favorevole per la ricerca,
di cui parlavo agli inizi. Un ambiente che comunque permetta a un
ricercatore di capire che esistono
strumenti appositamente creati per
lui. Non mi soffermo sulla seconda
raccomandazione che riguarda l’ammissione a breve termine in Europa,
ovverosia inferiore ai 3 mesi, principalmente legata alla necessità di
ottenere un visto per poter partecipare a conferenze in diversi stati europei in un lasso di tempo ristretto.
Questa raccomandazione permette
di avere molto velocemente un
unico visto che permetta di spostarsi
all’interno dei paesi che aderiscono
a Schengen.
Con riferimento alla seconda strada,
ovverosia valorizzare la carriera dei
ricercatori, il riferimento va nello
specifico alla Carta Europea per i
ricercatori e al Codice di Condotta
per la loro assunzione. Per quanto
riguarda il perché di questi strumenti, diciamoci chiaramente: abbiamo
bisogno di parlare di occupabilità
dei ricercatori, abbiamo bisogno di
attrarre un maggior numero di persone nelle filiere scientifiche, passatemi il termine. Per far ciò, è fondamentale prospettare concretamente
ai ricercatori una carriera, una professione nella quale siano chiaramente individuabili diritti e doveri e,
soprattutto, tutto ciò che li aspetta.
Ebbene, come saprete meglio di me,
Carta e Codice nascono perché
innanzitutto c’era una grandissima
differenza di strutture di carriera, a
seconda delle 25 realtà europee. C’è
una grande frammentarietà di carriera a livello locale, regionale e nazionale e, ovviamente, il grosso problema che tutti i ricercatori hanno sempre avuto è quello di doversi misurare con procedure di assunzione
mediamente chiuse, non trasparenti
e locali. E qui sorvolerò.
Anche la mancanza di prospettive di
sviluppo di carriera è stato uno degli
elementi che ha sempre meno invogliato e incoraggiato i giovani a
intraprendere attività scientifiche.
Carta e Codice, che sono una raccomandazione europea, (quindi non
c’è niente di coercitivo nel loro contenuto), costituiscono una carta di
diritti per tutti i ricercatori europei e
non, e indipendentemente dalla loro
nazionalità ed età, che lavorano
nell’Unione Europea. Nello specifico c’è da dire che costituiscono un
quadro di riferimento per la loro
gestione di carriera che aiuta i ricercatori a capire innanzitutto in che
cosa consiste il loro lavoro. Vorrei
sottolineare che questa Carta e questo Codice contengono un elenco di
principi, di suggerimenti che non
sono stati meramente elencati dalla
Commissione Europea, ma sono il
risultato di una consultazione durata
9 mesi, durante la quale la
Commissione si è misurata con i rappresentanti del mondo universitario,
del mondo industriale, dello stesso
mondo dei ricercatori. Quindi è il
risultato di un grande e collettivo
processo di sensibilizzazione che ha
portato alla stesura di questi principi,
che naturalmente ciascun paese,
ciascun organismo, adotta su base
volontaristica. Oggi a livello europeo ci sono 6 paesi in cui
Conferenze dei Rettori e Consigli
nazionali della ricerca hanno ufficialmente sottoscritto questi principi. Per una volta l’Italia ha battuto
tutti, essendo la prima: nel luglio
2005, a Camerino, la Conferenza dei
Rettori delle Università Italiana, la
CRUI, ha ufficialmente sottoscritto
questi principi, immediatamente
seguita dal CNR, dall’Area di
Ricerca di Trieste, che si è fatta
anche capofila di un’iniziativa a
livello regionale per cui ora tutti gli
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enti di ricerca della regione Friuli
Venezia Giulia sono stati chiamati a
pronunciarsi e ad aderire formalmente a questi principi.
Questo è estremamente importante,
perché è per la prima volta che si
sottoscrivono formalmente dei principi, peraltro già attuati da vari organismi, che aiutano i ricercatori a
capire bene in che cosa consiste il
loro lavoro, che cosa si aspetta da
loro la società e anche che genere di
carriera deve essere garantita a un
ricercatore. Voi capite che una persona che decide di intraprendere un
percorso scientifico, di diventare un
ricercatore, si può sentire un po’ più
incoraggiata a farlo perché sa che c’è
un contesto entro il quale la sua carriera viene ben definita. Nello specifico la Carta per i Ricercatori è rivolta a ricercatori, datori di lavoro e
finanziatori e la sua grande finalità è
proprio quella di creare un ambiente di ricerca di sostegno, una cultura
lavorativa in cui i ricercatori vengono riconosciuti e si comportano da
professionisti. Come dicevo prima,
non è così scontato che un ricercatore venga considerato un professionista dal proprio datore di lavoro.
Per quanto riguarda il Codice, non a
caso si chiama Codice per l’assunzione, per il reclutamento di ricercatori. Anche qui, destinatari sono i
finanziatori, i datori di lavoro ai
quali si richiede, con principi molto
semplici, di avere un atteggiamento
corretto e trasparente nel momento
in cui assumono ricercatori. Atteggiamento corretto e trasparente che
si deve evidenziare tanto nelle procedure di assunzione che di selezione: per esempio, nel caso di un
ricercatore che postula per un posto,
si chiede al datore di lavoro di giustificare o comunque di spiegargli per
quale motivo la sua candidatura non
è stata accettata. Direi che è una
cosa abbastanza ammissibile, nel
senso che un ricercatore ha il diritto
di sapere per quale motivo non è
andata a buon fine la propria candidatura. Si chiede anche di tenere
conto, per esempio, delle esperienze
di mobilità, quando si valuta nel
merito il CV di un ricercatore. Fino
ad oggi, e questo vi sarà detto dalla
professoressa Pedicchio, le esperienze di mobilità in un CV vengono
considerate in modo penalizzante. Il
ricercatore, come dicevo prima, è
uno dei professionisti mobili per
eccellenza; quando arriva dopo un
periodo trascorso all’estero, non
viene aiutato per questo: al contrario, molto spesso l’esperienza all’estero gli torna contro perché, essendo partito, il suo posto non c’è più, o
è stato preso da qualcun altro o,
comunque viene riduttivamente
vista come una “perdita di tempo”. E
questa non è assolutamente l’ottica
nella quale oggi noi vediamo le
cose. La mobilità non è un fine a se
stesso, ma è uno strumento fondamentale che aiuta a sviluppare una
carriera scientifica nel modo più
esaustivo e completo possibile.
Si chiede quindi di riconoscere l’esperienza di mobilità nonché le qualifiche a seconda che un ricercatore
abbia prestato la propria attività nel
settore privato o in quello pubblico o
accademico e si chiede di non penalizzare tutte quelle attività che possano esulare dal contesto nel quale il
ricercatore chiede di lavorare.
Quando si parla di nomine post-dottorato, si apre un altro capitolo doloroso. Fino ad oggi c’è stata una certa
visione “endemica” della carriera
del ricercatore. I ricercatori vengono
formati e lavorano in un contesto
perché lì rimangano. Oggi cerchiamo di andare in senso esattamente
opposto rispetto alle tendenze attuali. Oggi vogliamo ricercatori mobili,
ricercatori che aprano le menti e
aprano, ovviamente, i loro curricula.
Una visione endemica non li aiuta
certamente.
La terza via è il maggiore investimento. Questa è la struttura del VII
Programma quadro che coprirà gli
anni dal 2007 al 2013, che comprende anche il Programma “Personepotenziale umano” che, appunto, è
dedicato ai ricercatori. Nello specifico, obiettivi primari sono lo sviluppo
di risorse umane in Europa, la necessità di avere ricercatori numerosi, ben
formati e, soprattutto, motivati; attrarre i ricercatori in Europa e trattenerli;
attrarre gli studenti verso le carriere
scientifiche e, naturalmente, sostenere tutte quelle iniziative che vanno a
migliorare e a creare uno sviluppo
sostenibile di carriera.
Queste sono le azioni Marie Curie,
che probabilmente voi conoscete.
Ancora una volta, come potete vedere, le azioni Marie Curie costituiranno un grande asse in seno al VII
Programma quadro. Purtroppo tocca
dire che il budget è stato ridotto
circa del 30%, il che naturalmente è
un brutto segnale perché significa
che, nonostante tutti gli appelli rivolti, gli stati membri non se la sono
sentita di investire così tanto nella
ricerca, nonostante tutte le dichiarazioni di principio secondo le quali
senza la ricerca non c’è crescita, non
c’è innovazione e l’Europa si ferma.
Ahimè, questa comunque è la realtà
che oggi dobbiamo fronteggiare. E
vedremo prossimamente quanta
parte di questo budget verrà dedicata al Programma Persone con le
azioni Marie Curie.
Giusto per concludere vorrei soffermarmi sull’aspetto fondamentale del
comunicare la scienza. Come dicevo, qui ciascuno di noi, e mi fa estremamente piacere che l’iniziativa di
oggi sia dedicata a voi, ha un ruolo
fondamentale in questo senso.
Diciamo che c’è bisogno di nuovi
ricercatori, che c’è bisogno di attrarre nuovi giovani nel mondo della
ricerca, che c’è bisogno d’instaurare
un nuovo dialogo con il pubblico.
Poco da fare, abbiamo un messaggio
da passare, che è quello che prima
l’assessore Cosolini ha passato in
modo così vigoroso, ovverosia
scienza è bene, è bello, è divertente,
è un’opportunità; ma, proprio perché il pubblico a cui ci rivolgiamo è
un pubblico estremamente vasto, si
va dai giovanissimi, che speriamo
siano ricercatori domani, al mondo
politico, è ovvio che abbiamo bisogno di avere un adeguato messaggio
da passare, con adeguati mezzi di
comunicazione per ogni tipo di pubblico. Voi naturalmente ci aiutate in
questo e svolgete un ruolo fondamentale. Ed ecco perché si cerca di
darvi elementi che possano veramente contribuire a dare ai giovani
che si avvicinano a voi una visione
più ottimista e un po’ più rasserenante delle carriere che li attendono.
Nel comunicare la scienza, c’è un
ruolo fondamentale per voi. La
Commissione Europea in questo
senso sta lavorando da qualche
anno: c’è stato proprio un piano per
comunicare la scienza al grande
pubblico. Se il grande pubblico non
riesce ad avere una percezione corretta di quello che sono i ricercatori
e di quello che fanno, non riusciremo ad attrarre più giovani, né riusciremo ad avere un mondo politico in
grado di sostenere politiche per la
ricerca. Perché se i ricercatori conti-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
nuano ad essere solamente gli scienziati “pazzi” che fanno strambe scoperte nei loro laboratori, ma si dimentica che in realtà contribuiscono
quotidianamente al miglioramento
delle nostre condizioni di vita, andremo poco lontano.
Giusto per concludere, tutto questo
fa parte di un’iniziativa europea
chiamata proprio “Ricercatori in
Europa 2005”; verrà ripetuta anche
nel 2006 perché si è rivelata un’iniziativa di grandissimo successo in
tutta Europa. E, ancora una volta, c’è
la necessità di comunicare i giusti
messaggi che riguardano la scienza.
C’è la necessità quindi di dialogare
con il pubblico. E se siamo passati
dal semplice informare e sensibilizzare il pubblico, oggi siamo veramente in una fase di dialogo aperto
con il pubblico in cui, naturalmente,
tutti hanno un ruolo fondamentale
da svolgere.
Detto questo, vi ringrazio molto per
l’attenzione e spero che abbiate elementi utili di riflessione. Soprattutto,
vi auguro buon lavoro, perché avete
un ruolo assolutamente fondamentale. Grazie.
■ NOTE
1) Lo Spazio Europeo della Ricerca:
http://europa.eu.int/comm/research/
era/index_it.html
Stefania Bettini
Commissione Europea
Fattore Umano,
Mobilità e Azioni Marie Curie
LA MOBILITÀ
DELLE RISORSE UMANE
COME STRUMENTO
DI VALORIZZAZIONE
DELLA CARRIERA
DEL RICERCATORE
PROF. MARIA CRISTINA PEDICCHIO
PRESIDENTE AREA SCIENCE PARK
I temi della ricerca e dell’innovazione sono prepotentemente entrati nell’agenda politica degli ultimi anni
come risposta alle sfide della competitività e della globalizzazione.
L’argomento, di grande attualità a
livello internazionale, ha assunto un
peso crescente anche nei programmi
7
8
e negli indirizzi politici dell’Unione
Europea, fissando priorità e obiettivi
per gli Stati membri. Nel 2000, al
vertice dei capi di Stato a Lisbona, fu
presentata l’idea di rendere l’Europa
un’economia fortemente dinamica e
di restituirle un ruolo leader nel
campo della conoscenza. Il Consiglio Europeo di Barcellona del
marzo 2002 ha fissato l’obiettivo di
portare entro il 2010 gli investimenti
per la ricerca al 3% del prodotto
interno lordo degli Stati UE. Un altro
importante aspetto da considerare è
quello delle risorse umane. C’è la
necessità di attrarre più studenti
verso le facoltà scientifiche, ma
anche e soprattutto di sviluppare un
sistema di regole e incentivi per selezionare capacità e talenti. Anche qui
l’Unione Europea ha posto un obiettivo ambizioso: incrementare di 700
mila unità il numero dei ricercatori
europei.
Questo traguardo presuppone per i
ricercatori la creazione di condizioni
che diano loro prospettive di carriera
a lungo termine, migliorandone le
condizioni di lavoro, valorizzandone
la professionalità, facilitando la
mobilità. Va evidenziato che uno dei
parametri fondamentali che registra
la qualità del sistema ricerca (insieme all’investimento percentuale in
rapporto al Pil) è il numero di ricercatori per mille unità di forza di lavoro. Bisogna cominciare dalle università, creando le condizioni perché i
giovani si iscrivano alle facoltà scientifiche, prospettando loro concrete
opportunità occupazionali, aggiornando i percorsi didattici ai continui
progressi della scienza e delle tecnologie e ampliando l’offerta formativa
anche in chiave internazionale, favorendo le esperienze all’estero e la
definizione dei percorsi formativi in
una dimensione quantomeno continentale. L’Unione Europea si è dotata negli ultimi anni di una serie di
strumenti per contribuire a questa
finalità: si tratta di tutti i progetti che
coinvolgono la scuola superiore, l’università, il mondo della ricerca, il
mondo del lavoro con il comune
obiettivo di consentire a studenti,
ricercatori, professori e lavoratori di
trascorrere all’estero un periodo di
studio, lavoro, stage riconosciuto in
tutti i Paesi membri.
Grazie ai programmi universitari
Socrates, per esempio, ad oggi oltre
un milione di studenti ha beneficiato
di periodi di studio all’estero, con gli
stessi diritti dei colleghi appartenenti all’Ateneo ospitante e pienamente
riconosciuti dall’Ateneo di origine.
Per le scuole superiori, i programmi
di tipo Comenius permettono percorsi di scambio, soprattutto tra
docenti, mentre per i ricercatori ci
sono le borse di mobilità attivate dal
programma Marie Curie.
Come ben sanno coloro che hanno
avuto l’opportunità di trascorrere
periodi di studio o lavoro all’estero,
in genere un ricercatore cerca un
ambiente stimolante, internazionale,
dinamico: università dove le biblioteche sono aperte 24 ore al giorno,
sabato e domenica; dove le caffetterie sono aperte sempre come luoghi
di incontro, di divertimento, ma
anche come occasione per incontrare nuovi colleghi e parlare di scienza. Un sistema culturale, sociale in
cui i ricercatori, al di là della razza,
dell’età, del paese di appartenenza,
si integrino in un connubio intellettuale. Il Friuli Venezia Giulia in questo si presenta come un distretto di
punta a livello europeo, con una
concentrazione di ricercatori, fatte le
dovute proporzioni, paragonabile a
quella degli Stati Uniti o del
Giappone. A Trieste ogni anno transitano per periodi di studio più o
meno prolungati più di ottomila
ricercatori dall’estero, quasi tutti dai
Paesi in via di sviluppo. Cospicua è
inoltre la presenza stabile di ricercatori stranieri nelle nostre istituzioni
di ricerca (Centro di Fisica, Sincrotrone, ICGEB ed altri).
Questo ci dà la percezione che la
Trieste scientifica abbia acquisito
una certa notorietà a livello internazionale. È un segno di forza, ma c’è
spazio e potenziale per fare di più,
per favorire una maggiore integrazione delle centinaia di ricercatori e
ricercatrici che da tutto il mondo
vengono nella nostra città. Si tratta,
molto concretamente, di facilitarne
la partecipazione alla vita sociale e
culturale, di predisporre servizi di
trasporto, logistici che ne agevolino
la permanenza. Bisogna creare condizioni di accoglienza simili a quelle comuni nei campus universitari
anglosassoni, dove all’eccellenza
dei laboratori, che da noi non
manca, si affianca la creazione di
una comunità della quale sentirsi
parte integrante, con standard di vita
qualitativamente elevati per i ricer-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
catori e i loro familiari. Anche questo vuol dire fare politiche per la
ricerca che vadano nella direzione
indicata dall’Unione Europea. Credo
che questa sia la responsabilità di
cui devono farsi carico gli amministratori degli enti di ricerca, tenendo
presente che gli ostacoli alla mobilità internazionale sono ben individuati: barriere legali e amministrative (visti, permessi di lavoro, etc.);
trasferimento dei diritti pensionistici
e previdenziali; difficoltà relative ai
diversi sistemi di tassazione; non
soddisfacenti servizi di accoglienza;
ostacoli economici; insufficienti
sistemi di supporto per il nucleo
familiare del ricercatore (soprattutto
se donna).
La grande sfida che abbiamo di fronte oggi, tuttavia, sta anche in un
secondo aspetto: la mobilità intersettoriale. Per mobilità intersettoriale si
intende la mobilità pubblico-privato,
quindi tra accademia e impresa.
All’inizio ci si è rivolti soprattutto
alla mobilità fisica, in particolare
con il progetto Leonardo che garantiva la possibilità di svolgere stages
all’estero. Però oggi, quando parliamo di mobilità intersettoriale ci riferiamo a un processo culturale che va
al di là della pura mobilità fisica e
che fa riferimento a tutte quelle azioni mirate a trasferire la conoscenza
dall’università al settore privato e
viceversa. Assicurare una maggiore
mobilità dei ricercatori rappresenta
quindi un obiettivo prioritario per
consentire un effettivo trasferimento
delle conoscenze e della tecnologia
anche verso il mercato. La mobilità
dei ricercatori contribuisce a questa
osmosi, attribuendo nel contempo
dimensione europea alla carriera
scientifica e incentivando l’arrivo di
ricercatori dal resto del mondo. Si
tratta, è evidente, di un presupposto
indispensabile alla creazione di un
vero e proprio mercato europeo
della ricerca, capace di competere
con i Paesi più avanzati, a cominciare da Stati Uniti e Giappone. Un
mercato la cui attuazione servirebbe
anche ad invertire la tendenza, da
tempo in atto, che vede l’abbandono
dell’Europa da parte di molti ricercatori, attratti da realtà meglio in grado
di rispondere meglio alle loro aspettative professionali.
In effetti, il consolidamento di una
collaborazione costruttiva tra accademia e industria si connota come
un dato necessario nei percorsi di
trasferimento delle conoscenze,
delle tecnologie e delle innovazioni.
È vero, esistono problemi tecnici:
disparità di trattamento salariale,
riconoscimento reciproco dello status professionale della carriera nel
passaggio dall’accademia all’impresa e viceversa, diversi criteri di valutazione. Ma il problema fondamentale per l’Italia e per gran parte dei
Paesi europei è soprattutto culturale:
riuscire, cioè, a superare i pregiudizi
e i sospetti che esistono tra mondo
pubblico e privato, tra accademia e
impresa.
A livello nazionale rappresento
l’Italia nello Steering Group on
Human Resources and Mobility.
Abbiamo presentato con il supporto
del dott. Ciro Franco, che ringrazio,
due edizioni di un’analisi fatta a
livello nazionale, sulla situazione
relativa alla mobilità intersettoriale:
problemi, strumenti, esempi di best
practice. Dall’indagine, svolta in
collaborazione con la CRUI, emerge
che molte università ed enti di ricerca stanno avviando dei percorsi di
studio tagliati sulle esigenze del territorio. Esistono iniziative di stages,
di scambio, che ormai sono consuetudine per tutti gli atenei, a dimostrazione che il modello italiano, se
manca forse sul piano delle normative, delle procedure legali e amministrative, vanta però anche buone
prassi diffuse.
Relativamente al VII Programma
quadro per la ricerca dell’Unione
Europea, le strategie per la mobilità
compaiono dovunque, non solo nel
settore people, ma anche negli altri
(ideas, capacities e cooperation). La
mobilità vista come trasferimento di
conoscenza è un elemento costante
e, in questa direzione, i parchi scientifici, insieme alle università, possono giocare un ruolo determinante
nel fornire contesti qualificati e stimolanti ove promuovere la mobilità
internazionale di studenti e ricercatori, favorendo un legame stabile tra
mondo accademico e produttivo.
AREA Science Park, parco multi-settoriale e multi-disciplinare, pone
non a caso molta attenzione alle
risorse umane e all’attrazione di
talenti, all’attivazione di sinergie con
enti di ricerca presenti in regione, al
rafforzamento delle partnership pubblico-privato e collaborazioni internazionali.
Per quanto ci riguarda direttamente,
un atto concreto da parte di AREA è
stata l’adozione della Carta Europea
dei ricercatori, che ha l’obiettivo di
disegnare migliori percorsi in tema di
sviluppo, trasferimento e condivisione delle conoscenze, nonché maggiori certezze sul versante delle carriere professionali. Vogliamo migliorare il reclutamento dei ricercatori,
rendere più eque e trasparenti le procedure di selezione, valutare la loro
esperienza non solo sul numero
delle pubblicazioni ma anche sull’attività d’insegnamento, sul numero di
brevetti e sull’attitudine a condividere il sapere con la comunità. Questa
prassi stiamo cercando di estenderla
a tutto il sistema della ricerca regionale, attraverso il tavolo del Coordinamento degli enti di Ricerca del
Friuli Venezia Giulia, che si presta
particolarmente bene alla programmazione di azioni e iniziative comuni in questo ambito, in un’ottica più
ampia di attrattività territoriale.
A questo proposito vorrei ricordare
alcuni esempi di azioni concrete
promosse da AREA Science Park. E’
stata costituita una rete di parchi
scientifici e tecnologici, quattro italiani e quattro spagnoli con particolare interesse per il tema della biomedicina, finalizzata a favorire lo
scambio di ricercatori, di imprenditori e di persone che gestiscono il
management del parco. Quindi
compare la mobilità fisica, ma anche
la mobilità intrasettoriale e lo scambio delle conoscenze. Abbiamo lanciato il progetto “Talents Friuli
Venezia Giulia”, che ha tra gli obiettivi principali l’idea di costruire una
rete di “fellows” che diventi un
beneficio per tutto il sistema regionale, capace di attrarre ricercatori.
Anche nel Progetto D4, finanziato
dalla Regione, la mobilità è un elemento chiave che mette in rete tutto
il sistema (l’università, gli enti di
ricerca, l’Ires ecc.). Al servizio dei
ricercatori sono stati attivati gli sportelli ERAMORE, gli sportelli APRE, a
Trieste e a Udine, lo sportello Alma
Laurea per facilitare il contatto e
l’assunzione di ricercatori, soprattutto nel privato. A fianco di queste iniziative ci sono numerose attività di
formazione, tra cui i periodi di tirocinio finanziati dal Fondo Sociale
Europeo, borse per giovani imprenditori finalizzate alla creazione di
spin-off, “Imprenderò” per la diffu-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
sione della cultura imprenditoriale e
il supporto alla creazione di impresa, “Innovation Campus”, laboratorio per l’alta formazione di
“Specialisti del trasferimento tecnologico e dell’innovazione-broker
tecnologico”.
Allargando lo sguardo anche al
mondo dei “non” ricercatori, è
importante in prospettiva lavorare
perché la cultura scientifica sia patrimonio comune di una fascia di
popolazione sempre più ampia.
Pensando ai giovani, in particolare,
non va dimenticato che la conoscenza scientifica rappresenta la premessa per incoraggiarli ad avvicinarsi
negli studi e nelle scelte occupazionali al mondo della ricerca. In tema
di promozione della cultura scientifica l’impegno di AREA è costante da
anni, con l’idea di conquistare la
curiosità per la scienza e il sapere
della gente comune. Ciò significa
non solo creare laboratori di ricerca
con strumentazioni e piattaforme tecnologiche d’avanguardia, ma anche
ambienti socialmente e culturalmente stimolanti, luoghi e occasioni d’incontro attraverso cui avvicinare il cittadino a temi importanti per il
nostro futuro. Puntano a questo, per
esempio, gli incontri con i Premi
Nobel curati da AREA Science Park,
durante i quali si discute di economia, di scienza, di tecnologie con il
massimo di autorevolezza e di chiarezza. Appuntamenti da non perdere
per quanti amano conoscere il proprio tempo e non esserne semplicemente ignari spettatori. Vanno nella
stessa direzione gli appuntamenti dei
Caffè Scientifici, così come le giornate di porte aperte nei laboratori.
Per concludere, credo che la situazione della nostra regione sia estremamente positiva, grazie alle molte
iniziative messe in atto con il sostegno della Commissione Europea e
della Regione. Tutti i progetti hanno
consentito importanti e concreti
passi avanti per la valorizzazione
delle risorse umane e il riconoscimento dei ricercatori come professionisti e per lo sviluppo della cultura dell’accoglienza. Credo però che i
successi derivino sempre più, oggi e
in futuro, dalla crescente capacità
del nostro territorio di fare “rete”.
Maria Cristina Pedicchio
AREA Science Park
9
LE ESPERIENZE
DEI RICERCATORI 1
INTERVISTA
AL PROF. GIORGIO ROSSI,
DIRETTORE DEL LABORATORIO
NAZIONALE TASC INFM-CNR
Nella sessione dedicata alle esperienze dei ricercatori ha definito il
suo percorso di carriera di ricercatore come: “un percorso anni ’80 e
molto maschile”. Perché?
10
Perché in realtà se noi vogliamo parlare del mestiere della ricerca dobbiamo contestualizzare sia rispetto agli
aspetti sociali ed economici, che agli
aspetti culturali. Dobbiamo capire
come interloquire oggi con chi può
prendere in considerazione di avviare
un percorso che lo porti alla ricerca
come mestiere della sua vita, di intraprendere degli studi, che plausibilmente possano portare gli adolescenti di adesso al mestiere della ricerca,
fra 10-15 anni. Chiaramente dobbiamo aver presente un quadro odierno,
ben descritto negli interventi della
dott.ssa Bettini e dalla prof.ssa
Pedicchio, che è profondamente
diverso da quello che si applicava
trenta o quindici anni fa. L’Unione
Europea, che allora non c’era e adesso c’è, ha formalizzato una previsione e una indicazione della proporzione, usando criteri macroeconomici,
fra ricerca scientifica e resto dell’economia necessaria per mantenere, o
forse sviluppare, il benessere degli
europei e per migliorare le nostre
relazioni con il resto del mondo.
Questo fra l’altro potrà essere soltanto la nostra futura capacità di affrontare positivamente alcuni dei problemi gravi della parte del mondo meno
favorita.
L’Unione Europea ha definito un
“fabbisogno” di 8 ricercatori ogni
1.000 lavoratori, e contestualmente
la necessità di tendere all’investimento in ricerca del 3% del prodotto interno lordo. Questo è un quadro
di riferimento macroeconomico
estremamente importante che punta
ai fondamentali di una società, e che
in parte è realizzato in alcuni paesi
extra-europei, o in piccole economie particolarmente vivaci nel nord
Europa. L’8 per mille dei ricercatori,
c’è già in Giappone, e quasi negli
Stati Uniti; altri paesi sono sulla rotta
del 3% del PIL investito, alcuni la
superano. Quindi, l’Unione Europea
non sta adottando un’impostazione
troppo immaginifica, ma sta semplicemente riconoscendo che questi
sono dei criteri sui quali si giudica
strutturalmente la capacità di una
società di affrontare nuovi cicli economici, di avere eventualmente
abbastanza conoscenze per indirizzare o imporre alcuni aspetti dei
nuovi cicli economici, e non tanto la
congiuntura economica fotografata
oggi.
Questo è un quadro estremamente
diverso rispetto a quello che c’è
stato in passato?
Sì, e deve essere comunicato in
maniera efficace ai giovani e ai giovanissimi. Deve essere chiaro che
c’è una prospettiva nella quale di
scienziati ce ne sarà grande bisogno:
di bravi e numerosi. Questi avranno,
inevitabilmente un riconoscimento
sociale, un prestigio di cui gli scienziati della generazione dei loro genitori non hanno goduto in questi
anni. La ricerca deve essere percepita come un mestiere “normale”, nel
senso che ce n’è grande bisogno,
nonostante abbia caratteristiche
peculiari, fra le quali spiccano il
grande divertimento e il grande stimolo intellettuale. Vi è però anche
un contesto culturale, che è argomento ben più complesso, e che non
si affronta con delle normative europee, con delle Carte dei ricercatori o
con delle iniziative, per quanto
importantissime e rilevantissime, di
sostegno al mestiere dei futuri ricercatori.
Faccio mezzo passo indietro, ma è
veramente importante sottolineare
l’aspetto quantitativo “dei bravi e
numerosi”. Noi in Italia siamo a 2,9
addetti alla ricerca per mille lavoratori attivi, e questi sono prevalentemente vecchiotti. Io fra poche settimane sarò uno splendido cinquantenne e passo ancora per un giovane
ricercatore. Quindi, per avere,
magari anche solo 5 o 6 ricercatori
ogni mille lavoratori in Italia fra 10
anni, bisogna avviare agli studi
scientifici un numero estremamente
alto di giovani, sapendo che solo
alcuni di questi intraprenderanno il
mestiere di ricercatore. Le nostre
facoltà scientifiche oggi operano al
25-30% del loro potenziale di formazione. I nostri corsi di dottorato di
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
ricerca nelle Scienze, Fisica,
Matematica, Chimica, Biologia operano al 20%-25% del loro potenziale; cioè, a pari forze di corpo insegnante ed infrastrutture disponibili,
potremmo facilmente quadruplicare
o quintuplicare il numero di giovani
formati in scienza ed alla ricerca.
Questo è un punto molto importante. Non lo stiamo facendo, abbiamo
troppo pochi studenti e laureati in
materie scientifiche. Questo è già
oggi un grave problema per il paese
e, nel breve periodo, potremo affrontarlo solo diventando attraenti per i
ricercatori stranieri. Nel medio
periodo dobbiamo però ricominciare a produrre un numero adeguato di
ricercatori e di scienziati nelle nostre
università. Cioè prendere oggi decisioni utili a quel fine.
Chi ha cominciato un percorso di
ricerca negli anni ’80 o ’70 lo faceva in condizioni completamente
diverse?
Diverse ed estremamente sfavorevoli
dal punto di vista strutturale: non
c’era il dottorato di ricerca, alcuni
restavano negli istituti universitari a
lavorare gratis per mesi, a volte un
anno; andare all’estero significava
nella maggior parte dei casi emigrare definitivamente. Però, concedetemi di ricordare che, quando io ero
ragazzino, c’è stato il ’68. Il “Sessantotto” è stata una breve stagione
che politicamente non ha lasciato
grandi strascichi, perché la politica è
stato l’aspetto debole del ’68, ma
culturalmente ha rimesso al centro
dell’attenzione l’appropriazione della conoscenza, la possibilità di
conoscere, di scoprire che il potere
dice le bugie. Questo fatto ha permeato tutta quella generazione e ha
motivato, a livello mondiale, molti
ricercatori, in tutti i campi del sapere. Quando lavoravo in California
nel 1980 era giovane l’ultima generazione di cittadini americani WASP
(White Anglo-Saxon Protestant) che
ancora, in numeri significativi, sceglieva di fare il ricercatore. Cominciavano già allora ad esserci laboratori, per il 70-100% popolati da studenti non statunitensi, provenienti
da Taiwan, dalla Corea, alcuni
dall’Europa, alcuni dal Sudamerica.
In quegli anni iniziarono ad arrivare
in buon numero anche giovani dalla
Cina Popolare.
Poi negli anni ’80 è iniziato quello
che lei definisce “il periodo del pensiero debole”?
Dopo la generazione che in qualche
modo attribuiva alla conoscenza un
valore “in sé” ed anche il valore
“politico” di comprendere i meccanismi della produzione di conoscenza e le loro conseguenze sulla società, c’è stata una nuova rottura di
continuità, e di segno opposto. Negli
anni ’80, ha prevalso il pensiero
“debole”, la sfiducia nella effettiva
conoscibilità delle cose, come definita dal filosofo Gianni Vattimo. Un
bel guaio per le vocazioni scientifiche. Le condizioni di lavoro per i
giovani ricercatori lentamente migliorano e probabilmente saranno
molto buone nei prossimi anni, ma
oggi noi ci troviamo in una situazione tale per cui anche quando buoni
laboratori offrono borse, assegni di
ricerca o contratti di ricercatore a
tempo determinato, sostanzialmente
corretti come offerte di lavoro,
abbiamo domande di un solo candidato per posto, qualche volta due, a
volte nessuno. La selezione di conseguenza è bassissima. Alcuni brillanti o semplicemente più avventurosi, continuano a partire verso altri
paesi più attraenti per avviarsi alla
ricerca, il che e’ un bene prezioso,
ma il numero degli stranieri che
fanno il percorso inverso e’ troppo
scarso, quindi c’è una perdita netta
di forza lavoro scientifica in Italia.
Siamo in una situazione difficile:
abbiamo un’esplosione di iscrizioni
a Scienze delle Comunicazioni dove
la gente non va per sete di nuova
conoscenza, ma per gestire, nel
migliore dei casi, un parco di conoscenze acquisite. Ciò è dovuto al
fatto che in questi anni il campo
della comunicazione in senso lato
ha mostrato alcuni successi economici, e perché dei meccanismi legislativi perversi tendono ad ingigantire
i fenomeni congiunturali (le tante
iscrizioni a scienze della comunicazione) ed a penalizzare le facoltà
scientifiche che vivono un periodo
di minor attrattività, ma rappresentano un capitale di base irrinunciabile,
e già troppo scarso in questo paese.
Il sottoaffollamento delle facoltà
scientifiche e il sovraffollamento
delle facoltà tipo Scienze delle
Comunicazioni sono indice di una
congiuntura economica, non sono
dei fondamentali sui quali possa
impostarsi lo sviluppo di un paese di
cinquantacinque milioni di cittadini.
Questo problema non si affronta
solo con dei buoni dispositivi europei che pure sono importantissimi.
Deve ripartire anche una motivazione, un convincimento del fatto che
lo scienziato è un mestiere normale
e prezioso. Se abbiamo bisogno di
quasi uno scienziato ogni 100 lavoratori, si tratta ovviamente di un
mestiere normale, non eccezionale.
Servono tanti e bravi scienziati,
come abbiamo bisogno di buoni
medici, di bravi ferrovieri e di professionisti capaci negli altri campi
dell’economia e della società.
Occorre poi smetterla con lo spauracchio dell’eccellenza. Ci siamo
riempiti la bocca e la testa di eccellenza in questi anni, proprio mentre
danneggiavamo le strutture di ricerca e l’università. Un ragazzino non
ama l’eccellenza, un ragazzino è
curioso ma non vuole diventare
subito antipatico perché le sue
curiosità e scelte di studio vengono
percepite come elitarie o astruse. Un
ragazzino può essere molto curioso
e capire che c’è una carriera importante, rilevante, che gli sarà riconosciuta dai coetanei e nella quale probabilmente si divertirà più degli altri,
non che sarà “eccellente”. L’eccellenza ha carattere di eccezionalità, noi abbiamo bisogno di tanta
“buona” scienza, fatta da bravi
scienziati, fra i quali ammireremo
qualche eccellente, come ammiriamo i grandi artisti, sportivi, intellettuali. L’eccellenza sbandierata in
questi anni è stato un titolo autoattribuito, una grande bugia che ha
confuso le idee a tutti. Ci sono enormi opportunità per tutte le prospettive che sono state esposte durante la
giornata dei lavori. Chi si avvicinasse all’idea di fare il ricercatore “da
grande”, avrà senz’altro enormi
opportunità.
Un altro concetto importante che
anche lei ha ribadito è quello della
multidisciplinarietà.
La multidisciplinarietà è un punto
importante perché ci vorrà del
tempo per far evolvere le strutture
universitarie, non solo le nostre,
rispetto all’impostazione attuale che
e’ rigorosamente disciplinare. Però
la ricerca scientifica oggi è in larga
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
parte multidisciplinare, ed in alcuni
casi interdisciplinare. Questo ha
come conseguenza che l’angoscia
che coglieva in passato chi si trovava
a pensare: «mi iscrivo a fisica, matematica, biologia e mi precludo altre
carriere nella finanza o nella sanità»
- oggi non ha più ragione d’essere.
Ciò sarà sempre più vero. I ragazzini
devono capire che se saranno bravi
fisici, biologi e matematici avranno
una gamma di possibilità di impiego
sia nella ricerca, sia nel mondo della
produzione sia in quello dei servizi
ad alto contenuto di conoscenza
estremamente alta. Cioè, potranno
scegliere, in funzione della loro bravura ed interessi, probabilmente
avendo più scelta di altri che avranno fatto scelte apparentemente più
“sul sicuro”.
C’è poi un “modus vivendi” proprio
del ricercatore?
Fare il ricercatore espone a un aspetto estremamente importante che
sono le collaborazioni, i periodi trascorsi all’estero, anche in paesi di
cultura e di organizzazione molto
diversi che portano a un livello di
conoscenza reciproca veramente al
di là delle barriere culturali di appartenenza o politiche, e sono amicizie
che durano una vita. Tra scienziati ci
si intende abbastanza facilmente.
Nel mese di maggio andrò per 15
giorni in Cina dove un mio ex-studente di post-dottorato, oggi fullprofessor a Shanghai, è diventato
una persona importante in questo
grande paese che si sta sviluppando
in modo tumultuoso. Ebbene, egli
insiste assolutamente che io e mia
moglie si sia suoi ospiti. Queste sono
cose divertenti e possono succedere
anche in altri campi di attività, ma
per gli scienziati sono assai comuni,
e rappresentano un arricchimento
importante della nostra vita.
Il fatto che gli scienziati comunichino bene fra loro, in tutto il mondo
rappresenta anche un importante
ruolo diplomatico. Viviamo un
periodo in cui al “pensiero debole”
si stanno aggiungendo i fondamentalismi. Sono barriere che si ergono fra
gli uomini, che tendono a rendere
impermeabili le intelligenze. Il ruolo
diplomatico degli scienziati e’ oggettivo. Non è che debbano mettersi a
fare i diplomatici, lo fanno de facto,
ed è una cosa estremamente impor-
11
tante con una portata più ampia di
quanto possa apparire.
E per finire: si rimane ricercatore
per sempre?
Uno scienziato che invecchia, talvolta può perdere un po’ la curiosità o
l’estro, ma mantiene generalmente le
qualità di buon amministratore di
sistemi complessi, spendibili nell’organizzazione di tante attività. Questo
succede perché anche un solo esperimento scientifico che funzioni bene
è frutto di una gestione sapiente di un
sistema assai complesso, che include
la natura, gli strumenti, le risorse e gli
uomini. Questo tipo di competenza
può riversarsi sulle imprese industriali, sui servizi, senz’altro sull’insegnamento, l’amministrazione pubblica,
la diplomazia, o la politica. Voglio
richiamare un’ultima volta l’aspetto
culturale e la sua importanza con
una battuta: mi sembra che in questi
ultimi anni ci sia stato un grande sforzo dei mass-media per far diventare
simpatici, o addirittura molto simpatici, i poliziotti, i carabinieri, la guardia di Finanza, i guardacoste, i medici, le suore ed i preti… Sarebbe ora
di fare una buona serie di film televisivi, da prima serata, sugli scienziati!
Giorgio Rossi
TASC INFM -CNR
LE ESPERIENZE
DEI RICERCATORI 2
INTERVISTA
AL DOTT. MARCO FRANCESE,
RICERCATORE SHORELINE S.C.R.L.
La sua presentazione trae spunto da
una domanda molto interessante
che si è posto: «Il ricercatore è in
un’azienda, oppure, rovesciando la
questione, il ricercatore è l’azienda
stessa?»
12
Io lavoro in un’azienda e mi sono
posto più e più volte questo problema. Quindi ho pensato, di utilizzare
me come un key-study per fornirvi
degli spunti che possono essere utili a
orientare le persone che seguono i
percorsi di ricerca scientifica o di formazione in ambito scientifico. E,
quindi, capire se è possibile, crescere
personalmente, facendo crescere al
contempo il contesto lavorativo in cui
si opera in modo professionale. Ora,
sono questo. Io lavoro in un laboratorio, il CeRQuAM (Centro di Ricerca e
Qualità Ambiente Marino) che si
occupa soprattutto di analisi eco-tossicologiche e progetto sistemi di interpretazione ambientale, in una società cooperativa che è la Shoreline,
che ha la sede legale e questi due
settori nell’Area di Ricerca.
Analizziamo il suo key-study e partiamo a ritroso: si può parlare di
vocazione?
Allora, studi classici, sport acquatici,
un grande amore per la natura.
Prima dell’università erano attività
separate, o a un certo punto confluivano in qualcosa? Probabilmente sí.
Seguitemi un po’ in questo divertimento dialettico. All’università
Scienze Biologiche ed etologia dei
ghiozzi, mi dicevano che ero pazzo
a studiare i “guati” (in triestino) e il
loro comportamento. Ma prima o
poi mi sarebbe servito. Per mangiare
e mantenermi agli studi facevo l’accompagnatore turistico nell’allora
Utat e sempre sport subacqueo.
Sembrano attività separate, ma ad un
certo punto confluiscono. Nella fase
successiva co-mincia il lavoro. Erano
varie le scelte: per esempio avrei
potuto dedicarmi alla pesca. Però, le
varie attività cominciavano a sistemarsi, come i tasselli di un mosaico,
anche senza nessuna strategia intenzionale. Questo è dunque un invito,
soprattutto agli insegnanti dei primi
stadi, dei livelli primari, a stimolare
anche le attività collaterali, a svilupparle sempre di più. È opportuno
aiutare le persone a collegare i pezzetti della loro vita. Molto spesso
questa opzione è trascurata.
Dunque, mi trovavo a scegliere tra
un sistema produttivo o un indirizzo
inerente l’ambiente o anche la sua
tutela. Mi sono orientato verso la
seconda ipotesi. Infatti ho incominciato a lavorare al Parco Marino,
Riserva
Naturale
Marina
di
Miramare, dove ho incontrato tanti
amici e colleghi.
Quindi qual è il primo percorso professionale?
Quasi sempre, ve lo confermerà la
maggior parte dei biologi, si incomincia con la divulgazione. Per sei
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
anni ho fatto educazione ambientale, ho avviato progetti di reti con le
scuole; seguivo assieme ad alcuni
colleghi, che sono anche qui in sala,
i campi avventura del WWF a livello
internazionale in tutto il bacino
Mediterraneo, turismo subacqueo e
formazione per operatori simili.
Lentamente le cose cominciano a
confluire: sport acquatici; guidavo i
pullman; quindi, raccontare, dialogare con interlocutori vari, per una
funzione diplomatica ma anche,
appunto, di trasferimento di conoscenza.
E il secondo percorso professionale?
Anche questo ve lo confermerà la
maggior parte di quelli che fanno
educazione ambientale, che si arriva
a un certo punto e si dice «Non ne
posso più dei ragazzini». E quindi
meglio tornare a fare lo scienziato.
Ho studiato come biologo, quindi
voglio tornare a fare lo scienziato.
Evviva! Quindi, due anni di monitoraggi ambientali fuori e dentro l’acqua e una conoscenza solipsistica,
passatemi il termine, ecologica, dell’ambiente nel suo complesso, non
specifica. Quello è un grosso rischio
nella formazione e anche questo è
un suggerimento che, secondo me,
bisognerebbe sottolineare. Focalizzando troppo, si perde la visione di
insieme. Di errori nella scienza ne
abbiamo visti tanti.
E il terzo percorso professionale?
Qui subentra il dilemma etico. Ma,
se accadono queste cose, posso fare
qualcosa come ricercatore? La scelta dice di dedicarmi alla pesca, ma
la tutela ambientale si pone drammatica, interiormente. Uno dice sei
anni faccio quello, poi le cose
ovviamente si sovrapponevano. Ho
cominciato a monitorare l’acqua,
però qualcosa per l’ambiente lo
posso fare, oltre alla divulgazione?
E, quindi, torno in laboratorio
abbandonando la vita all’aperto, mi
rimetto un camice e ormai sono sei
anni che ci occupiamo qui in Area
di Ricerca di eco-tossicologia e di
studi sul wellness animale; ecco
dove mi porto dietro quella etologia
del ghiozzetto, tutto ad un tratto me
la trovo importante; aver capito
come pensa un pesce mi aiuta a
capire come può pensare un pesce
in allevamento, non è banale. Per
chi non lo sapesse, l’eco-tossicologia è qualcosa che va a stimare gli
effetti sul biota, sulla componente
vivente dell’ambiente e quindi
stima gli effetti di tutte le matrici
(acqua, solidi, suoli, sedimenti e via
dicendo).
In questo terzo percorso professionale, quello della tutela all’ambiente
fino al laboratorio, mi porta a parlare dei risultati concreti. Recupereremo certi concetti. Parliamo comunque di campionamenti nelle
lagune di animali bivalvi, varie tecniche che mi sono addirittura inventato (piccoli rastrelli automatici per
raccogliere le cose), analisi chimiche
fatte da solo o molto spesso assieme
a qualcuno su alcune specie e un’analisi statistica condotta, dopo pensate ben due anni, con l’Università
di Trieste mi riesce a dimostrare che
la specie che avevo selezionato era
migliore di quella che l’ICRAM,
l’Istituto per la Ricerca Ambiente
Marino del Ministero dell’Ambiente
aveva selezionato nelle linee guida
per la 471, bonifiche ambientali;
perché? Se torniamo indietro scopro
che il mio percorso professionale
personale mi è utile, poiché mi ha
insegnato la visione di insieme, la
visione ecologica.
Altro argomento. Comprendo i
pesci, decido di occuparmi di qualità totale, di occuparci del wellness,
del benessere degli animali in allevamento. Sono anni di fatica, perché
tutti noi che siamo ricercatori viviamo il dramma della lentezza dell’erogazione dei finanziamenti; belle
idee, ma soprattutto chi è in Azienda, ha l’obbligo di anticipare tutto;
le banche dicono “Non c’è problema”, ti ipotecano la casa e va bene,
lo facciamo.
E, scusate l’inglese, quindi in questi
anni eco-tossicologia sui siti di allevamento, qualità del sito; microcapsulazione per somministrare vaccini
a rilascio ritardato all’interno dei
pesci, quindi vaccini a bagno nelle
vasche, a iniezione è troppo dispendioso in termini di tempo; biomarker
che misurano il wellness interno agli
animali; e delle nuove applicazioni
per trovare i residui farmacologici
all’interno dei tessuti con test.
Il percorso porta ad essere referenti
nazionali in un gruppo Unichim Iso,
a fare test di genotossicità, utilizzando batteri bio-luminescenti o
alghe e alghette che crescono più o
meno rapidamente; a incapsulare
vaccini e somministrarli ai pesci o
controllare il loro sviluppo embrionale; a lavorare su fegato o su altri
organi bersaglio per l’applicazione
di biomarker, quindi cinetica enzimatica, anche recuperando cose già
in commercio, questa è una cosa
che molto spesso non viene detto a
livello ricerca.
C’è un confine netto nel passaggio
dalla ricerca di base alla ricerca
applicata?
Credetemi, che la maggior parte
delle cose sviluppate come ricerca
di base, quando poi un’Azienda
vuole, vorrebbe erogare dei servizi
(parliamo delle variabili, dell’applicare i famosi kit o delle teorie assolutamente non banali) c’è lavoro per
anni prima di riuscire a standardizzare un metodo. E qui c’è solamente
il disegnetto, il test Elisa e in questo
caso case farmaceutiche o sviluppatori di diagnostica che si affiancano
a te che conosci, e torniamo di
nuovo, come si comporta, come
dorme un ghiozzo alla visione ecologica e conosci quell’ambiente
molto bene per poter capire “si, è
vero, questa cosa può essere utile,
questa cosa non c’entra con la fisiologia dell’animale”.
E quindi un laboratorio che si crea
con delle persone, uno staff?
Questa è un’altra cosa importante,
me l’ha consentito la mia società, la
Shoreline una società cooperativa,
una società molto orizzontale, una
società divisa in settori, ognuno
cura un suo settore. Ecco, questo è
un altro aspetto che da privato non
ho trovato. Come garantire questa
flessibilità massima, cioè, l’autonomia gestionale delle proprie idee; è
questo alla fine, a questo punto lo
posso dire, che ho scoperto in questo mio percorso. Ma è l’invito a
darvi stimoli per orientare in questo
senso. Non è romanticismo credere
nell’idea; parlavano di vocazione
prima, è anche una scelta razionale,
uno ci deve credere, deve sapere
che può raggiungerla. Sarebbe
importante garantire questo percorso indipendentemente dal luogo in
cui si opera, posso essere in un istituto accademico come in un’azienda privata.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
E tutta l’esperienza nell’educazione
e divulgazione?
Adesso probabilmente penserete
che sono uno schizofrenico; insomma, il cervello è diviso in due parti:
una razionale scientifica e una un
poco artistica. E dunque mi nasce
un po’ spontaneamente un’altra professione: gestisco dei gruppi e
divento nell’arco di quattro anni
progettista e curatore di allestimenti
museali sul tema della natura, dell’ecoturismo e dello sviluppo sostenibile. Pian pianino adesso vedete
come si compongono dei gruppi
che non sono banali, che hanno
dentro varie figure professionali. E
questa è un’altra cosa molto importante, e non viene insegnata; riuscire a gestire gruppi molto eterogenei,
addirittura gruppi di discussione, i
cosiddetti “forum” o “gruppi tematici”, ma gestirli dall’architetto all’ambientalista più estremo non è una
cosa semplice. Cosa accade allora?
Si passa da disegni, ecco la parte
progettuale, a realizzazioni. Si
usano tecnologie ma si usa anche la
fisicità, la modalità di toccare le
cose. Si usano le ricostruzioni più
classiche e i diorami, utilizzando
materiali naturali anche per fare piccoli teatrini semplici, senza grandi
computer, qualche volta un poco
più efficaci.
Prima è passata una frase un po’ trascurata: ogni ricercatore dovrebbe
avere l’obbligo di comunicare la
scienza.
Io provenivo dal mondo della tutela
ambientale, in un certo senso anche
della tutela della salute, sono arrivato importando un laboratorio in questo senso e quindi mi sento l’obbligo
etico a raccontare queste cose. Da
qui è nata questa professione che è
diventata una professione anche
quasi prevalente sull’altra. Ho progettato, e ne sono stato anche il
curatore, il Parco Foci dell’Isonzo
all’Isola della Cona. Il parco e la
riserva dei Laghi di Doberdò e
Pietrarossa. Dei piccoli centri in
montagna intorno al monte
Coglians, un’area di riferimento a
Sigilletto e a Timau. Attualmente un
grosso lavoro, mi assorbe metà della
vita, ed è quello di creare un nuovo
centro didattico per il Corpo
Forestale Regionale.
13
Una cosa fondamentale, che è stata
sottolineata più volte oggi: mai da
soli!
14
Ho imparato la logica del lavorare in
gruppo. La prima cosa che dovrebbe
essere insegnata a un ricercatore
ancora quand’è veramente alle elementari, è che lavorare in modo
individuale non premia assolutamente e che non si può sapere tutto.
Altra cosa parallela al fare ricerca,
quella di gestire un gruppo. Ed ecco
che, allora, in questi anni sono
diventato il coordinatore di questo,
qualche volta qualcuno lo chiama
“carrozzone”, a me piace chiamarlo
“gruppo di amici”; in realtà ci occupiamo di promozione, essenzialmente, di marketing e di bench marking; sono 12 aziende, il gruppo
ambiente dell’Area di cui io sono
coordinatore. Questo gruppo riesce
con questa massa critica a usare gli
strumenti, che prima sono stati
molto ben elencati da Area Science
Park; sono strumenti che proiettano,
nel nostro caso, le aziende, ma tutte
aziende con ricercatori al loro interno; qui ci sono tutti i laboratori di
ricerca e sviluppo anche di aziende
che hanno altre sedi, ma qui c’è la
parte di ricerca e sviluppo, i cui settori ve li ho mostrati prima (laboratori e progettazioni, non solo, anche
consulenze). E Area, quindi, attraverso tutto quello che sentivamo prima
di movimentazione e di frequentazione di luoghi europei, una massa
critica come quella permette di inserire il gruppo ambiente in grossi progetti comunitari come Innovation,
legarsi alla rete dell’Innovation
Relais Centre ma non solo, al network come Innovation Network, e
partecipare come gruppo al trasferimento proprio di questa conoscenza. E, parliamo, ripeto, di aziende
con ricercatori.
Tornando alla domanda iniziale: “Il
ricercatore è in azienda o l’azienda
stessa è il ricercatore?” Avendo utilizzato questa storia un po’ fumettara e
spero non troppo noiosa, io direi che
è più spesso possibile la seconda.
Quindi, se dovete dare un messaggio
positivo a chi si orienta verso il
mondo della scienza, è che portando
avanti degli argomenti di proprio
interesse si può anche sviluppare e
avere un proprio reddito; si può
riuscire a costruirsi il contesto lavorativo intorno, ciò è possibile. Quindi,
per chi orienta, per chi insegna, per i
docenti è importante recuperare,
come dicevo prima, tutti i tasselli
della vita di ognuno e aiutarlo un
poco a fargli capire che comunque
sono patrimonio importante per lo
sviluppo della ricerca professionale o
della professione di ricercatore.
Marco Francese
Shoreline s.c.r.l.
IL MERCATO
DEL LAVORO REGIONALE
NELLA RICERCA
DOTT. MARCO PASCOLINI
RICERCATORE IRES FVG
Buon giorno a tutti. Io sono un po’
sfortunato perché parlo per ultimo e
quindi già questo generalmente non è
molto apprezzato dalla platea dopo
una lunga mattinata; in più intervengo
dopo due interventi brillanti mentre io
dovrò parlare sostanzialmente di dati,
perché l’obiettivo della mia relazione
è quello di fornire un quadro quantitativo di molte delle cose di cui si è
parlato oggi. Proporrò quindi una
visione di quello che è il mercato del
lavoro regionale della ricerca. Ho cercato di recuperare i dati maggiormente rilevanti, ovvero quelli classici
dell’Istat e quelli dell’European
Innovation score board che costituisce il punto di riferimento per il con-
Fig. 1
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
fronto internazionale. Ho potuto poi
utilizzare in particolare i dati di una
ricerca sviluppata nell’ambito del
progetto D4, che è stato precedentemente citato, e che ci consente di
avere un quadro più approfondito di
quella che è la situazione regionale.
Una premessa è necessaria, però.
Diciamo che parlare di mercato
regionale dei ricercatori è quantomeno riduttivo nel senso che, come tutti
gli interventi di questa mattinata
hanno dimostrato, la professione di
ricercatore è in assoluto una di quelle
a più alta mobilità. Quindi, la domanda e l’offerta di ricercatori si sviluppano su quello che è di fatto un mercato planetario. Ridurle a un confronto
su un territorio piccolo come quello
del Friuli Venezia Giulia, è dunque
parzialmente improprio. Cerchiamo
comunque di affrontare anche questo
ragionamento.
Proprio per questo motivo parto
mostrandovi alcuni dati relativamente
a quello che è uno dei problemi principali, più volte citato nell’incontro
odierno, ovvero, al di là della volontà
e delle parole su cui tutti di fatto concordano relativamente all’importanza
di investire in ricerca e sviluppo, la
realtà di tale situazione.
Come vedete, questo grafico (Fig. 1)
mostra quello che è lo stato degli
investimenti in ricerca e sviluppo
proporzionati al PIL, per quanto
riguarda il nostro paese rispetto a
quelli che sono i paesi di riferimento
con cui dobbiamo confrontarci.
Vedete che al di là di quelle che sono
Fig. 2
le situazioni degli Stati Uniti e
Giappone, che come noto rappresentano un caso di eccellenza a livello
mondiale, anche a livello europeo
siamo particolarmente indietro.
L’anno 2003, infatti, mostra che l’investimento è pari all’1,14% del PIL.
Sappiamo, come è già stato detto
nelle relazioni precedenti, che l’obiettivo sarebbe di raggiungere il 3%.
Questa quota dovrebbe essere per i
2/3 derivante da investimenti privati.
E qui a livello nazionale abbiamo un
secondo problema: c’è un ulteriore
ritardo perché già siamo più bassi per
quanto riguarda gli investimenti
rispetto al quadro internazionale, ma
ancora più bassa è la percentuale di
investimenti che derivano dalle
imprese, nel settore privato. Come
potete vedere la situazione è peggiore anche confrontandoci con i nostri
vicini. Ad esempio la Slovenia, pur
essendo un paese che da poco ha
adottato un’economia di mercato, è
già a livelli superiori ai nostri. Ho
citato la quota di investimenti perché
di fatto è quella che va poi a influire
sul mercato del lavoro; perché,
ovviamente, maggiori sono le risorse
dedicate alla ricerca e maggiore è la
necessità dei ricercatori. Analogamente al grafico precedente possiamo vedere come il minor peso degli
Fig. 3
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
investimenti privati nel settore della
ricerca corrisponde a una presenza
percentualmente inferiore di ricercatori nel settore delle imprese rispetto
a quello di tutta l’area dei ricercatori
(Fig. 2). Vedete che meno del 40%
dei ricercatori italiani lavora nel settore privato.
Un altro problema, che però è internazionale, è quello del calo delle
vocazioni scientifiche. È un tema
che è stato oggi più volte richiamato
e che va a creare un’altra distorsione
del mercato del lavoro, perché se da
un lato già la domanda è modesta,
anche l’offerta rischia di non coincidere con quelle che sono le richieste
del mondo della ricerca. Il calo continuo delle vocazioni scientifiche
influisce negativamente su quella
che è l’offerta di ricercatori. Anche
qui purtroppo l’Italia, come vediamo, è, rispetto al quadro internazionale, un passo indietro. Passiamo ora
a guardare la situazione regionale.
Come è già stato detto più volte
anche nel corso della mattinata, in
un panorama che dal punto di vista
internazionale è drammatico, direi,
per il nostro paese, la condizione
regionale non è così drastica. Nel
panorama italiano la regione Friuli
Venezia Giulia è infatti una di quelle che, rispetto alla propria dimensione, investe di più in ricerca e sviluppo, in particolare per quanto
riguarda l’investimento in ricerca
pubblica. Vedete i dati (Fig. 3).
Complessivamente la spesa rispetto
al Pil regionale è più o meno proporzionale a quella nazionale. Questo
perché? È necessario dapprima
ragionare sulle caratteristiche della
domanda di lavoro e pensare a quella che è la struttura produttiva regionale. Perché se da un lato quello che
è un vincolo, anche a livello nazionale, cioè il fatto che la struttura produttiva è costituita più che altro da
piccole e medie imprese, che quindi
hanno dei grossi limiti nelle capacità d’investire e nell’avere una funzione strutturata di ricerca e sviluppo,
dall’altro lato è vero che in regione
possiamo contare sulla presenza
rilevante di parchi scientifici.
Sappiamo che ruolo ha Area, sia
nella promozione dell’innovazione,
sia nella capacità di attrarre piccole
imprese, non necessariamente multinazionali, che di fatto rappresentano
una possibilità di impiego per molti
ricercatori regionali. Accanto a que-
15
16
sto, lo sappiamo, esistono anche
delle imprese grandi, purtroppo
sono poche, che sono le sole che
consentono di avere una struttura in
grado di sopportare e di investire
nella funzione di ricerca e sviluppo.
E un altro vantaggio non da poco è
la presenza sul territorio regionale di
numerosi, anche questo cosa nota,
enti di ricerca di livello nazionale e
internazionale che permettono di
fornire un’offerta di posti di lavoro
comunque di livello.
Questo grafico (Fig. 4) consente di
valutare sinteticamente la posizione
della regione rispetto alle altre. Sono
comparati da un lato l’investimento,
sempre rispetto al PIL, in spese di
ricerca e sviluppo, e dall’altro la presenza di addetti rispetto alla popolazione residente. Come vedete la
posizione del Friuli Venezia Giulia è
sostanzialmente in linea con quella
nazionale, addirittura leggermente
superiore, perché a parità di investimenti riusciamo a creare più occupazione. Passo a descrivere adesso
quella che è la domanda di ricercatori (Fig. 5).
Questi dati sono stati principalmente
recuperati dalla ricerca svolta nell’ambito del progetto D4. L’inchiesta
che abbiamo svolto ha reso necessario dividere la domanda di ricercatori tra imprese ed enti di ricerca, perché le motivazioni relative alle assunzioni, ai percorsi professionali e alle
possibilità di sviluppo, si sono dimostrati nettamente differenti. Una stima
consente di dire che in regione ci
sono circa 200 imprese che hanno
una funzione di ricerca e sviluppo
strutturata e 40 sono gli enti di ricerca, numero più numero meno. Per
quanto riguarda la distribuzione territoriale possiamo vedere come se per
le imprese c’è un sostanziale equilibrio tra la provincia di Udine,
Pordenone e Trieste, per quanto
riguarda gli enti di ricerca più del
60% si collocano in provincia di
Trieste. Anche per quanto riguarda il
risultato relativo alle imprese è
indubbio che la provincia di Trieste
benefici della presenza di Area
Science Park, perché la proporzione
di imprese che svolgono attività di
ricerca è superiore a quello che è il
peso nel settore delle imprese sulla
struttura produttiva regionale in generale. A quali settori appartengono?
Anche qui è evidente che c’è una
netta distinzione tra il mondo dell’im-
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
Fig. 7
presa e il mondo degli enti di ricerca.
Vedete che, per quanto riguarda le
piccole imprese, la peculiarità è che
si tratta di imprese che hanno il loro
core-business proprio nell’attività di
ricerca. Queste sono principalmente
le imprese insediate nei parchi tecnologici o spin-off universitari. Per
quanto riguarda le medie e le grandi
imprese, queste riproducono quella
che è la struttura industriale regionale e quindi i settori della meccanica,
della metallurgia. Per quanto riguarda gli enti di ricerca, invece, vedete
come la fanno da padrone le attività
nel campo delle scienze naturali e
delle scienze sociali.
Passiamo ad analizzare lo stock di
ricercatori. Anche qui è necessaria
una premessa. Non è sempre facile,
a livello statistico, andare a individuare il numero di ricercatori,
innanzitutto perchè è già difficile
definire con precisione cos’è un’attività di ricerca. Inoltre spesso, specie
nel mondo delle imprese, tale attività è percepita in maniera distorta.
Un altro problema è che la professione del ricercatore è una professione che dà adito anche a molte collaborazioni tra i vari sistemi; pensiamo
al caso di un professore universitario
che può essere un consulente per
un’impresa, può svolgere la propria
attività di ricerca nell’ambito dell’università e magari essere socio di
un’altra impresa come ad esempio
uno spin-off universitario.
Fig. 8
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
A grandi linee, utilizzando la misura
di unità equivalente a tempo pieno,
possiamo dire che in regione ci sono
circa 1.500 ricercatori. In Italia sono
stimati attorno a 70.000. Come si
può vedere dal grafico (Fig. 6), la
maggioranza di questi è occupato
nelle università regionali. Se contassimo invece per teste il numero salirebbe ovviamente, possiamo parlare
di circa 2.500 ricercatori. Utilizzando questo dato in termini di comparabilità europea, esistono statistiche
che forniscono numeri anche superiori. Come vedete il ruolo predominante dell’università è ancora più
evidente da questo grafico (Fig. 7).
Per quanto riguarda invece le imprese, siamo andati a valutare quelli che
sono i titoli di studio dei ricercatori.
Potete vedere che il 64% sono laureati e il 16% ha un dottorato di
ricerca. Esiste anche un 20% di
diplomati che, specie nelle medie
imprese, svolgono attività prevalentemente di sviluppo tecnologico
(Fig. 8).
Passiamo a quelle che sono le conclusioni forse più interessanti e originali dei dati derivanti da quell’analisi: qual è il trend occupazionale?
Abbiamo potuto valutare, suddividendo le imprese intervistate in
impresa a bassa, media e alta intensità di ricerca e sviluppo, le tendenze occupazionali del biennio 20042005. Guardando questo dato (Fig.
9) si può già rapidamente osservare
come di fatto la ricerca paga in termini occupazionali, nel senso che,
ben ricordando che questo è un
campione che riguarda solo gli enti e
le imprese che fanno ricerca, potete
osservare come a fronte di una situazione di mercato del lavoro che vede
sempre più frequenti le crisi occupazionali, le difficoltà di occuparsi, le
imprese che invece fanno ricerca
denunciano il mantenimento dello
stock occupazionale o addirittura
una sua crescita.
L’altro elemento interessante ed
abbastanza evidente è l’esistenza di
una proporzione diretta tra quella
che è l’intensità di ricerca e le prospettive occupazionali. Vedete che
le imprese che sono classificabili
come imprese con un’alta intensità
di ricerca prevedono, o meglio,
hanno realizzato un incremento
anche rilevante degli occupati.
Quali sono però le problematiche
del mercato del lavoro? Anche in
17
18
questo caso c’è un’evidente separazione tra quelle che sono le condizioni rilevate presso le imprese e
presso gli enti. Perché, se dal punto
di vista delle imprese le difficoltà si
pongono all’atto della domanda,
potete vedere che in una scala da 1
a 5 le difficoltà maggiori sono quelle
di trovare le risorse umane adeguatamente preparate. Attenzione a come
interpretare il dato: non è che, ad
esempio, quelli che hanno un titolo
di dottorato non siano preparati! È
proprio il problema opposto, segnalato anche stamattina, ovvero che il
dottore di ricerca è troppo preparato
per la struttura produttiva regionale.
L’altro grosso problema è quello
legato proprio alla questione dell’orientamento, perché la richiesta
delle imprese, come vedremo, si
situa molto spesso in campo ingegneristico o chimico, quando invece
l’offerta di laureati è di tutto altro
genere.
L’altro elemento rilevato dalle imprese, che comporta una difficoltà a
occupare ricercatori, è il mancato
collegamento tra università e imprese; questo è un problema arcinoto.
Personalmente mi sembra che negli
ultimi anni, almeno in regione, siano
stati fatti dei passi avanti, speriamo si
continui su questa strada. La condizione, per quanto riguarda gli enti, è
invece diametralmente opposta. Le
difficoltà di occupazione si pongono
dal punto di vista dell’offerta, perché
è evidente che, per quanto rilevato
presso gli enti, sono l’attrattività di
esperienza all’estero, in particolar
modo il Nord America, e le questioni salariali quelle che rendono più
difficile il matching tra domanda e
offerta. Ma quali sono le aree in cui
si concentra la domanda dei ricercatori? Per quanto riguarda le imprese,
come potete vedere (Fig. 10), per la
grande maggioranza sono le aree
dell’ingegneria meccanica, quella
chimica, elettronica e informatica e,
come potete vedere nel grafico, via
via a scendere.
Negli enti e questo riflette ovviamente quella che è appunto la struttura
degli enti presenti in regione, le
richieste si concentrano invece nei
campi della biologia, delle scienze
sociali, della fisica e della biomedicina. È evidente che sono due situazioni completamente diverse e di
fatto consentono di sottolineare
quello che è un problema più volte
Fig. 9
Fig. 10
Fig. 11
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
ricordato: il calo della vocazione
alle facoltà scientifiche porta addirittura a trovarsi in carenza di offerta
quando già la domanda è debole!
Questo grafico (Fig. 11) mostra una
statistica Istat rispetto ai laureati nel
’95 e nel 2004 nelle facoltà scientifiche. Vedete che, rispetto al ’95, c’è
stato un calo di 10 punti percentuali
in regione, che è un calo addirittura
più rilevante di quello nazionale.
Quindi, vengo rapidamente alle
conclusioni. Quali sono gli elementi
critici per il mercato del lavoro
regionale? Adesso io cerco di vederlo dal punto di vista quantitativo,
perché mi sembra che le esperienze
personali siano già state approfondite sufficientemente. Certamente dal
lato della domanda c’è il grosso problema relativo al fatto che le imprese si indirizzano verso le aree ingegneristiche, quando invece l’offerta
ultimamente sta prendendo tutta
un’altra strada. C’è sicuramente l’importante questione legata agli investimenti, perché è chiaro che pur
con tutta la buona volontà di aumentare gli investimenti in sviluppo e
ricerca, finché non si andrà effettivamente in questa direzione è ben difficile creare un incremento della
domanda. E c’è anche infine il tema
di un confronto ancora troppo
modesto tra università e impresa,
almeno questo è quello che è stato
rilevato in regione.
Per quanto riguarda gli enti di ricerca, (è chiaro che quando parlo di
enti di ricerca accomuno ad essi l’università, perché presentano caratteristiche simili), i problemi riguardano appunto una maggiore attrattività
e concorrenza che proviene da istituti stranieri. Infine una rilevante criticità è quella della precarietà del
posto di ricercatore che io non ho
affrontato, ma mi sembra che sia
emerso sufficientemente dalle relazioni precedenti.
Che prospettive? Tutto sommato, in
un quadro internazionale che non ci
pone certamente all’avanguardia, a
livello regionale si deve evidenziare
come i dati che abbiamo rilevato
mostrano come la volontà di investire in ricerca da parte delle imprese
garantisca occupazione. Quindi, chi
vuole fare di professione il ricercatore in prospettiva certamente ha delle
possibilità occupazionali molto più
rilevanti di tante altre professioni,
specie rivolgendosi al settore priva-
to. Oltretutto, come ho detto, la
struttura regionale presenta delle
caratteristiche particolari perché, a
fronte di un settore industriale dominato da piccole e medie imprese,
esiste anche una realtà di enti di
ricerca, parchi scientifici e altre
imprese che hanno dimostrato di
essere sufficientemente innovative.
Quindi, date queste premesse, considerando che la volontà politica, e
comunque espressa da tutti, è quella
di investire sempre di più in ricerca e
sviluppo, io credo che le prospettive
per un ricercatore, da qui al futuro,
siano più che buone.
Dott. Marco Pascolini
Ricercatore Ires Fvg
ESPERIENZE
E BUONE PRASSI
FABIO TOMASI
AREA SCIENCE PARK TRIESTE
Il progetto AREA Science Weeks,
realizzato da AREA Science Park tra
luglio e dicembre 2005, si inseriva
all’interno delle iniziative promosse
in tutta Europa nell’ambito del programma Researchers in Europe 2005
creato dalla Commissione Europea
per promuovere il ruolo del ricercatore nella società.
Gli obiettivi assegnati al progetto
AREA Science Weeks sono stati:
• invitare i giovani ad intraprendere
una carriera scientifica;
• promuovere la figura del ricercatore e il beneficio che il suo lavoro
apporta alla società;
• superare gli ostacoli culturali che
ancora frenano un’adeguata partecipazione femminile alla ricerca
scientifica.
Il progetto si è articolato in quattro
settimane scientifiche dedicate ciascuna ad un tema specifico:
• astrofisica;
• nuovi materiali e nanotecnologie;
• riciclo e riuso dei rifiuti;
• biomedicina molecolare.
Ciascuna settimana scientifica si articolava in dieci attività di laboratorio
(dal lunedì al venerdì) e in una conferenza finale il sabato mattina.
AREA Science Park, nel suo ruolo di
coordinatore degli enti di ricerca
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
della Regione Friuli Venezia Giulia,
ha con questo progetto voluto non
solo promuovere il ruolo del ricercatore, ma dare anche maggiore evidenza tra i giovani della Regione e
della vicina Slovenia del sistema
della ricerca regionale, che pur raggiungendo vette d’eccellenza è
ancora poco conosciuto.
Per raggiungere questo obiettivo e
comunque favorire, anche al termine
del progetto, la creazione di una rete
di relazioni istituzionali, si è deciso di
coinvolgere nella realizzazione del
progetto gli Enti di Ricerca, le
Università, la Regione (con le due
Direzioni centrali istruzione, cultura,
sport e pace e lavoro, formazione,
università e ricerca, e la Commissione
regionale per le pari opportunità).
È stato costituito un Comitato
Strategico di progetto formato da
rappresentanti di AREA Science Park
(che riveste anche il ruolo di coordinatore degli enti di ricerca regionali)
della Direzione centrale istruzione,
cultura, sport e pace – Servizio istruzione e orientamento e della
Direzione centrale lavoro, formazione, università e ricerca nonché la
Commissione regionale per le pari
opportunità.
Questo Comitato riunitosi fin dall’avvio del progetto ha permesso di
raccordare le attività del progetto
con altre analoghe già operanti sul
territorio onde evitare, nello stesso
periodo, il sovrapporsi di iniziative
analoghe e di promuovere viceversa
sinergie con le politiche regionali in
questo settore. Questo confronto istituzionale ha permesso, inoltre, di
definire delle linee guida per la realizzazione del progetto che sono
state trasmesse ai Comitati Tecnico
Scientifici responsabili per la programmazione di ciascuna settimana
scientifica. In questa occasione è
anche nata una proficua collaborazione tra AREA Science Park e il
Servizio per l’orientamento della
regione, che ha fornito il suo supporto al progetto sia con la collaborazione del personale del Centro
Risorse per l’orientamento, per la
stesura di opuscoli informativi da
distribuire agli studenti, che con un
contributo per coprire le spese di trasporto, per gli aderenti all’iniziativa.
Per la realizzazione di ciascuna settimana scientifica è stato istituito un
apposito comitato tecnico scientifico
composto dai responsabili di proget-
19
20
to di AREA Science Park e dagli enti
di ricerca che hanno aderito all’iniziativa. Questi comitati hanno curato
la progettazione di dettaglio di ciascuna attività applicando le linee
guida fornite dal Comitato Strategico.
A lato delle conferenze conclusive
di ogni settimana scientifica sono
stati realizzati degli sportelli informativi curati dal Servizio regionale
per l’orientamento, dalle Università
di Trieste e Udine e dallo sportello
ERA More di AREA Science Park.
Presso questi sportelli gli studenti
potevano ottenere informazioni sui
corsi di laurea attivati presso le università regionali, un appuntamento
con uno psicologo del servizio
regionale per l’orientamento o informazioni sulle misure a sostegno
della mobilità internazionale dei
ricercatori.
È da sottolineare che nella definizione del programma di ciascuna conferenza si è cercato di creare un
equilibrio tra ricercatori junior e
senior, tra ricerca pubblica e privata,
e di coinvolgere anche ricercatori
sloveni, a testimoniare la sempre
maggiore integrazione tra il sistema
di ricerca regionale e quello sloveno. Scopo di ciascuna conferenza
era presentare lo stato dell’arte della
ricerca in quel settore, il contributo
apportato al benessere della società,
le sfide del prossimo futuro e i percorsi di studio e professionali. Le
conferenze erano aperte sia alle
scuole superiori che al pubblico
generico. Al fine di agevolare la partecipazione alle conferenze anche
da parte degli studenti sloveni è stato
istituito un servizio di interpretariato
italiano-sloveno. Tutte le conferenze
sono state registrate, digitalizzate e
rese liberamente disponibili su internet come tutto il materiale informativo di progetto.
Le “attività di laboratorio” avevano
sostanzialmente lo scopo di portare
gli studenti all’interno di un laboratorio di ricerca per fare conoscere
dal vivo l’ambiente in cui i ricercatori operano ogni giorno e farli entrare
in contatto diretto con i ricercatori.
Ogni attività veniva aperta da un’introduzione a cura del personale di
progetto che presentava lo stesso e
illustrava il sistema della ricerca
regionale inserendolo in un contesto
europeo ed analizzando quali sono i
possibili percorsi professionali di un
ricercatore.
I ricercatori coinvolti sono stati invitati a presentare il loro lavoro in
modo non strettamente tecnicoscientifico, ma divulgativo, privilegiando le attività quotidiane, gli
aspetti positivi e negativi del lavoro
del ricercatore in base al loro vissuto, e presentando brevemente quello
che è stato il loro personale percorso
di studio e professionale. Al fine di
favorire l’interazione studente-ricercatore sono stati coinvolti principalmente giovani ricercatori.
L’attività si articolava quindi sostanzialmente in una visita ai laboratori
e nello svolgimento di attività di
laboratorio, ove possibile con il
coinvolgimento diretto degli studenti. A tutti gli studenti che hanno partecipato alle attività di progetto sono
stati consegnati, oltre ad alcuni gadget del programma comunitario
Researchers in Europe, un opuscolo
informativo specifico per il tema di
ciascuna science week, con un’introduzione alla figura del ricercatore, una breve descrizione del settore
di ricerca e un elenco di punti informativi e risorse in internet attraverso
i quali gli studenti potevano approfondire l’argomento e reperire ulteriori informazioni.
La settimana dedicata all’astrofisica
si è tenuta dal 10 al 15 ottobre 2005
in collaborazione con l’INAF –
Osservatorio Astronomico di Trieste.
Nello specifico sono state organizzate visite sia diurne che serali all’osservatorio astronomico di Basovizza.
In entrambi i tipi di attività si è proceduto ad un’introduzione all’astrofisica, quindi, nel primo caso, ad
un’osservazione del sole con diversi
strumenti di osservazione (tradizionali e di ultima generazione). Nel
caso delle attività serali si è invece
potuto procedere ad un’osservazione di corpi celesti di diversa natura.
E’ da notare che le scuole, per motivi logistici, hanno preferito le attività
diurne, anche se molti degli studenti
avrebbero preferito partecipare alle
attività serali, certamente di maggiore fascino.
Il programma della conferenza dedicata all’astrofisica è stato il seguente:
9.30 - Saluti e presentazione di
AREA Science Weeks e del programma Researchers in Europe
Intervengono: prof.ssa Maria Cristina
Pedicchio (AREA Science Park),
dott.ssa Stefania Bettini (Commissione Europea)
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
9.50 - Esempi di ricerca dell’Osservatorio Astronomico di Trieste
A cura del dott. Mauro Messerotti
(OAT)
10.10 - Esempi di ricerca del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Trieste
A cura del prof. Stefano Borgani
(Università di Trieste)
10.30 - Coffee break
10.50 - Applicazione dei risultati
della ricerca spaziale in altri settori
produttivi
A cura dell’Ing. Paolo Trampus
(Carso)
11.10 - Telecomunicazioni satellitari
A cura del Msc. Filip Samo Balan
dell’Università di Maribor
11.30 - Tavola rotonda sui percorsi di
studio ed opportunità professionali
nel settore dell’astrofisica e della
ricerca spaziale
12.00 - Interventi del pubblico
La settimana dedicata al “Riciclo e
riuso dei rifiuti” si è tenuta dal 17 al
22 ottobre 2005 ed è stata realizzata
in collaborazione con alcune delle
aziende insediate in AREA Science
Park e operanti nel settore ambientale, in particolare Shoreline s.c.a r.l. e
Hydrotech s.r.l.
Le attività, dopo un primo inquadramento della problematica del riciclo
e riuso dei rifiuti sia da un punto di
vista tecnico scientifico che economico/occupazionale, hanno visto la
realizzazione, di un mini progetto di
ricerca sviluppato dai ragazzi sotto
la guida dei ricercatori, che prevedeva anche analisi di laboratorio da
parte degli studenti.
Al fine di favorire un maggiore coinvolgimento emotivo dei ragazzi, è
stato fornito loro un camice da laboratorio e un paio di guanti.
È da notare che questa settimana ha
permesso di affrontare e fare riflettere i ragazzi non solo sul ruolo della
ricerca, ma anche sull’importante
tema dello sviluppo sostenibile, uno
dei pilastri delle politiche comunitarie di questi ultimi anni, e di come
questo obiettivo possa costituire uno
stimolo alla ricerca scientifica e
all’innovazione.
Il programma della conferenza conclusiva è stato il seguente:
9.30 - Introduzione e presentazione
del concetto di sviluppo sostenibile
A cura del dott. F. Tomasi (AREA
Science Park)
9.40 - Esempi di ricerche condotte in
AREA Science Park in tema di rifiuti
A cura del dott. M. Francese
(Shoreline s.c.r.l.) e della dott.ssa P.
Spada (Hydrotech s.r.l.)
10.10 - Prevenzione e gestione
degli imballaggi
A cura del dott. E. Bora (CONAI)
10.40 - Coffee break
11.00 - Il problema dei rifiuti nel settore edile
A cura dell’ ing. M. Benci
11.20 - Tavola rotonda sugli sbocchi
occupazionali e percorsi di studio
universitari sul tema dei rifiuti
La settimana dedicata alla medicina
molecolare e all’ingegneria genetica
si è svolta dal 7 al 12 novembre
2005 ed è stata sviluppata in collaborazione con l’ICGEB (International Center for Genetic Engineering and Biotechnology) e il CBM
(Consorzio per il Centro di Biomedicina Molecolare).
Dopo una breve introduzione all’ingegneria genetica e alla biomedicina
molecolare gli studenti hanno svolto
assieme ai ricercatori dell’ICGEB
una visita presso i laboratori dell’ICGEB del campus di Padriciano di
AREA Science Park e alcune semplici analisi di laboratorio.
Anche in questo caso per favorire il
coinvolgimento emotivo degli studenti è stato fatto indossare loro un
camice e un paio di guanti da laboratorio.
Il programma della conferenza conclusiva è stato il seguente:
9.30 - messaggio di benvenuto e
presentazione del progetto AREA
Science Weeks
dott. Fabio Tomasi (AREA Science
Park)
9.40 - Dall’ingegneria genetica alla
medicina molecolare
prof. Mauro Giacca (ICGEB)
10.10 - Imaging Molecolare, presente e futuro
dott. Ennio Tasciotti (CBM)
10.30 - Sarà possibile rigenerare il
cuore?
dott.ssa Serena Zacchigna (ICGEB)
10.50 - Coffee Break
11.10 - Human Papillomavirus
dott.ssa Helena Sterlinko (politecnico Nova Gorica)
11.30 - Ricerca industriale in diagnostica per immagini: esempi e
prospettive
dott.ssa Cristiana Campa (Bracco
Imaging Spa)
11.50 - Biomedicina e nanotecnologie
dott.ssa Lisa Vaccari (CBM)
12.10 - Tavola rotonda su sbocchi
occupazionali e percorsi di studio
nel settore della biomedicina e dell’ingegneria genetica
Infine dal 21 al 26 novembre si è
svolta la settimana dedicata ai nuovi
materiali e alle nanotecnologie in
collaborazione con la Sincrotrone
Trieste e con il laboratorio TASC del
CNR–INFM entrambi ubicati presso
il campus di Basovizza di AREA
Science Park.
Le attività dedicate alle scuole superiori si sono articolate in una presentazione del laboratorio di luce di
Sincrotrone in un’introduzione (a
carattere più divulgativo che scientifico) alle nanotecnologie e in una
visita ai laboratori del sincrotrone e
del TASC durante la quale gli studenti e gli insegnanti hanno potuto confrontarsi con i ricercatori presenti ed
assistere ad alcuni esperimenti.
Il programma della conferenza dedicata alle nanotecnologie è stato il
seguente:
9.30 - messaggio di benvenuto e
presentazione del progetto AREA
Science Weeks Maria Cristina
Pedicchio (AREA Science Park)
9.40 - Ricerche sui nuovi materiali
svolte dal TASC Giorgio Rossi (INFM
– TASC)
10.00 Microscopia Maya Kiskinova
(Sincrotrone Trieste)
10.20 Applicazioni industriali delle
nanotecnologie Marco Peloi (APE
Research)
10.40 - Coffee break
11.00 - Nanomanipolazione di biomolecole per la realizzazione di biochips
Loredana Casalis (Sincrotrone Trieste)
11.15 - Bionanotecnologie Lisa
Vaccari (CBM)
Fig. 12
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
11.30 - Superfici Andrea Goldoni
(Sincrotrone Trieste)
11.45 - Esempi di ricerca dell’Istituto
Jozef Stefan Denis Arcon (Institute
Jozef Stefan)
12.00 - Esempi di ricerca del politecnico di Nova Gorica Gvido Bratina
(Politecnico di Nova Gorica)
12.15 - Tavola rotonda su sbocchi
occupazionali e percorsi di studio
nel settore delle nanotecnologie.
Come si potrà notare, l’intervento sulle bionanotecnologie della dott.ssa
Vaccari è stato replicato sia nella
conferenza dedicata alla medicina
molecolare, che nella conferenza
dedicata alle nanotecnologie, questo
a testimoniare come gli ambiti di
ricerca non siano delle scatole chiuse non comunicanti tra di loro, ma,
anzi, oggi vi sia sempre più una
sinergia e multidisciplinarietà tra i
diversi filoni di ricerca. Per dare
maggiore visibilità al ruolo delle
donne nella ricerca scientifica e
superare gli stereotipi che ancora
impediscono un’adeguata partecipazione femminile al mondo della
ricerca, come testimonial della campagna promozionale è stata scelta la
foto di una ragazza; nelle attività e
conferenze si è cercato di coinvolgere quante più possibili ricercatrici e
il tema è stato oggetto di discussione
assieme agli studenti durante le attività di laboratorio.
Complessivamente 1.126 persone
hanno seguito le attività di AREA
Science Weeks, più in dettaglio, alle
attività pratiche hanno partecipato
730 studenti e 56 insegnanti, mentre
340 persone hanno seguito le 4 conferenze. Nel grafico successivo è
rappresentata la provenienza geografica dei partecipanti.
21
22
I partecipanti al progetto AREA
Science Weeks, ai quali è stato
chiesto di compilare un questionario hanno espresso un giudizio
positivo per le conferenze (89% ha
dato un giudizio positivo, e il 52%
ha gradito la conferenza molto o
moltissimo). Un giudizio ancora
più positivo è stato espresso per le
attività pratiche dedicate alle scuole: il 98% ha espresso un giudizio
positivo e il 69% ha detto che le
attività sono piaciute molto o moltissimo mentre il 98% ritiene che
l’iniziativa sia stata utile per scegliere il proprio percorso di studi.
Riguardo il percorso di studio che
gli studenti intendevano intraprendere l’85% dei partecipanti aveva
intenzione di iscriversi all’università e molti avevano intenzione di
iscriversi ad un corso di laurea tecnico-scientifico.
Il 68% degli studenti che hanno
partecipato ad AREA Science
Weeks aveva infatti intenzione di
iscriversi o a un corso di laurea dell’area scientifica (45%) o dell’area
sanitaria (23%). Abbiamo deciso di
considerare anche l’area sanitaria
in quanto alcuni dei ricercatori
coinvolti nella realizzazione della
settimana dedicata all’ingegneria
genetica hanno consigliato agli studenti interessati ad occuparsi di
ingegneria genetica o di medicina
molecolare di iscriversi alla facoltà
di medicina.
Come si evince anche dal successivo
grafico, tra i partecipanti al progetto
AREA Science Weeks, la percentuale
di studenti intenzionati ad iscriversi
a corsi di laurea a carattere tecnico
scientifico è nettamente superiore
non solo ai dati nazionali, ma anche
con i dati delle immatricolazioni alle
università regionali.
Riguardo le differenze di genere,
considerando complessivamente
area sanitaria e scientifica, vi è solo
una piccola differenza (72% contro
63%), tuttavia andando ad analizzare i dati più in dettaglio si evidenzia che le ragazze preferiscono
in proporzione nettamente maggiore l’area sanitaria (si veda il grafico
successivo). Questi dati testimoniano il permanere di stereotipi e pregiudizi che continuano ad ostacolare un’adeguata partecipazione
femminile agli studi scientifici. I
dati sono comunque migliori di
quelli nazionali.
Fig. 13
Fig. 14
Fig. 15
L’obiettivo di dare maggiore visibilità
e prestigio alla figura del ricercatore
appare essere raggiunto dal fatto che
ben l’88,1% dei partecipanti al progetto ritiene la figura del ricercatore
importante o molto importante.
Infine, sono da sottolineare altri
risultati meno evidenti e diretti del
progetto AREA Science Weeks.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
Innanzitutto, i ricercatori coinvolti
nelle attività di progetto sono stati
chiamati a comunicare il loro lavoro
a un pubblico non tecnico e a riflettere sulla propria professione. Il confronto con il team di progetto e l’esperienza diretta con i ragazzi e gli
insegnanti hanno permesso loro di
migliorare ed accrescere la loro
capacità di comunicare ed interagire
in maniera efficace con un pubblico
non tecnico, un’esperienza che i
ricercatori hanno trovato molto stimolante e che sperano di poter ripetere. Un altro importante risultato è
stato la creazione di una rete formata da AREA Science Park, gli enti di
ricerca regionali, le scuole superiori,
le università e le Direzioni regionali
competenti, che assieme hanno collaborato alla realizzazione del progetto e, più in generale, alla promozione della ricerca scientifica.
È un risultato che si auspica non
vada disperso, ma che possa mantenersi e maturare anche in successive
attività, una della quali è proprio il
convegno “Scienziati si nasce o si
diventa?”, un importante momento
di riflessione sulla figura del ricercatore e su come avvicinare nel modo
migliore i giovani alla scienza.
Fabio Tomasi
AREA Science Park
Trieste
PERCORSI VERSO
LE LAUREE SCIENTIFICHE
EMILIA MEZZETTI
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
DI TRIESTE
Sono Emilia Mezzetti, docente di
matematica presso il Dipartimento
di Matematica e Informatica dell’Università di Trieste, coordinatrice
del CIRD, il Centro Interdipartimentale per la Ricerca Didattica
dell’Università di Trieste. E’ in questa
seconda veste che sono oggi qui in
rappresentanza dell’Università di
Trieste. Prima di tutto perciò vorrei
spiegare brevemente che cos’è il
CIRD. Si tratta appunto di un Centro
Interdipartimentale, costituito e attivo fin dal 1999, che raccoglie attualmente 12 dipartimenti nelle varie
aree scientifiche rappresentate nella
nostra università. Le attività del
CIRD, che vanno sotto il nome un
po’ generico di “ricerca didattica”,
sono molteplici. Riassumendone le
finalità istituzionali principali, posso
dire che il CIRD svolge e coordina
attività di ricerca didattica a tutti i
livelli, sia di prima formazione, sia di
aggiornamento, sia di formazione
continua degli insegnanti; organizza
attività di vario tipo come seminari,
convegni e mostre per favorire lo
scambio di informazioni e di esperienze tra le realtà che operano nel
settore della formazione e della diffusione della cultura nelle diverse
aree: scientifica e tecnologica, umanistica, psicopedagogica, economica, ecc. Inoltre, il CIRD offre agli
insegnanti, e in generale al sistema
scolastico, servizi di supporto scientifico e didattico. Quindi direi che
rientriamo perfettamente nel tema di
questa giornata di lavoro, con quelle
che sono proprio le finalità istituzionali e le attività del CIRD. Voglio ora
elencare alcuni dei numerosi progetti e gruppi di lavoro che ricadono
sotto l’egida del CIRD, alcuni dei
quali molto avanzati, altri in fase di
elaborazione, scusandomi fin d’ora
se ne dimenticherò qualcuno.
Nell’ambito della matematica, il
Nucleo di Ricerca Didattica (con
sede presso il Dipartimento di
Matematica e Informatica), coordinato dalla prof.ssa Luciana Zuccheri,
opera fin dagli anni ’70 e coordina e
svolge una regolare attività comune
tra la componente universitaria e
insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Sul nucleo di ricerca
didattica poi tornerò per illustrare
più in dettaglio una delle attività che
ha svolto negli ultimi anni. Ai progetti del Nucleo si sono affiancati
nell’ultimo decennio progetti di diffusione della cultura matematica,
quali “Matematica 2000”, “La matematica nella cultura e nella società”,
“Matematica insieme”, rivolti al
vasto pubblico e in particolar modo
a studenti delle scuole superiori e
universitari, articolati in conferenze,
cicli di film, stage e mostre.
Nel campo della chimica, c’è un
ricco progetto intitolato “Avvicinare
i giovani alle scienze chimiche”,
portato avanti dal dott. Claudio
Tavagnacco e da tutta una serie di
docenti dei Dipartimenti di Scienze
Chimiche e di Biochimica del
nostro ateneo. Si mira a diffondere
fra gli insegnanti nuove metodologie d’insegnamento, che fanno
largo uso dell’informatica e della
multimedialità, e al tempo stesso
incoraggiare i giovani ad avvicinarsi alle più recenti scoperte scientifiche in campo chimico-tecnologico,
cercando di darne una visione corretta ed attuale.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
Nel campo delle scienze della vita è
attivo presso il comprensorio di
Valmaura il Life Learning Center,
coordinato dal prof. Sergio Paoletti,
attrezzato per fornire adeguate ed
aggiornate risorse ai docenti e agli
studenti, offrendo loro gli strumenti
concettuali e sperimentali più innovativi per ampliare le conoscenze nel
campo delle biotecnologie. Inoltre,
per i docenti, il Life Learning Center
si offre come struttura di riferimento
per un costante aggiornamento. Le
attività di laboratorio sono costituite
da “pacchetti” di esperimenti nel
campo delle biotecnologie per la
salute e del settore agro-alimentare.
A ciò si affiancano, completando
l’offerta, gli stage in biologia tenuti
presso il Dipartimento omonimo, che
stanno alla base del nuovo progetto
Labolife. Il Dipartimento dei Materiali e delle Risorse Naturali propone interessanti attività di divulgazione scientifica sulle piante officinali, a
cura della prof. Aurelia Tubaro,
anche in collaborazione con l’Orto
botanico del Comune di Trieste e con
altre realtà esterne, ed un progetto di
educazione al consumo consapevole
dei prodotti alimentari, curato dal
prof. Paolo Bogoni.
Nell’area delle scienze della terra,
sta partendo un nuovo progetto sugli
aspetti fisici e geologici del Friuli
Venezia Giulia, a cura del dott. Furio
Finocchiaro. Importante è la collaborazione del CIRD con il Sistema
Museale dell’Ateneo di Trieste –
smaTs – una nuova struttura coordinata dalla prof. Manuela Montagnari,
cui fanno capo realtà collaudate,
come il Museo dell’Antartide, ma
anche costituende esposizioni permanenti basate su raccolte di dipartimenti, quali quello di fisica, di giurisprudenza, di mineralogia. Insieme
CIRD e smaTs organizzano le attività
della Settimana della Cultura scientifica e tecnologica, promossa ogni
anno dal Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca nel
mese di marzo.
Continua la sua attività il Laboratorio
per la Didattica delle Scienze-Eureka,
diretto dal prof. Giacomo Costa, cui
fanno capo da anni numerosi insegnanti soprattutto delle aree chimica,
fisica e delle scienze naturali, che si
avvale del patrimonio dell’Esperimentoteca e della biblioteca, attualmente in fase di risistemazione nel
comprensorio di San Giovanni, che
23
24
svolge con gli insegnanti attività indirizzate ai ragazzi, dalla scuola primaria alla scuola secondaria, in particolare nel campo della didattica delle
scienze.
Nell’area della psicopedagogia citerò il Laboratorio di psicologia dell’istruzione, coordinato dalla prof.
Lucia Lumbelli, ed il gruppo di lavoro sui “Testi scientifici al microscopio”. È in fase di definizione un progetto della prof. Marina Sbisà sugli
impliciti e la comprensione del testo.
Ritengo infine molto significativo e
nuovo un progetto interdisciplinare
per un approfondimento dell’insegnamento dell’educazione civica,
coordinato dalla prof. Ermenegilda
Manganaro.
Voglio ricordare, infine, last but not
least, il Progetto Lauree Scientifiche –
Orientamento degli studenti e formazione degli insegnanti - biennale, che
è stato lanciato nel 2005 dal MIUR in
collaborazione con la Confindustria e
con la Conferenza dei Presidi di
Scienze. Esso mira precisamente ad
aumentare il numero degli iscritti e
dei laureati ai corsi di laurea delle
cosiddette hard sciences, le scienze
dure, cioè Matematica, Fisica e
Chimica, quelle in cui la situazione,
in base ai dati che abbiamo degli ultimi anni, è particolarmente difficile.
Nelle tre aree presso l’Università di
Trieste i coordinatore sono il prof.
Marco Budinich per la Fisica, il prof.
Roberto Rizzo per la Chimica e la sottoscritta per la Matematica. E anche
su questo tornerò. Questi sono dunque alcuni dei progetti che rientrano
sotto l’egida del CIRD.
Mi è stato chiesto di presentare in
questa occasione una buona pratica
tra tutte quelle che vengono portate
avanti nel campo della formazione e
della diffusione della cultura scientifica dall’Università di Trieste. La
buona prassi che voglio presentare è
la progettazione congiunta svolta da
gruppi di lavoro in cui operano insieme docenti universitari e insegnanti
di scuola superiore. Questo tipo di
lavoro di progettazione congiunta è
stato sperimentato negli ultimi anni
dal Nucleo di Ricerca Didattica in
matematica, che ho citato prima, per
la serie di manifestazioni “La
Matematica dei Ragazzi-Scambio di
esperienze tra coetanei” che si svolge
ogni due anni dal 1996 ed è stato
finanziato, con contributi più o meno
sostanziosi negli anni, dal MIUR, dal
CNR e dalla Regione Friuli Venezia
Giulia. Inoltre quest’anno questo tipo
di prassi è stata adottata nel citato
progetto Lauree Scientifiche, che
gode anch’esso di un sostegno abbastanza sostanzioso da parte del
MIUR, ed è stato co-finanziato in
maniera piuttosto generosa dall’Università di Trieste e da varie scuole, sia della nostra regione, sia scuole italiane in Croazia e Slovenia.
Mi soffermerò ora brevemente su
questi due progetti, in cui la prassi
della progettazione congiunta è
stata sperimentata e portata avanti e
si è dimostrata particolarmente efficiente.
“La Matematica dei Ragazzi” è un
meeting di matematica tra ragazzi di
ogni ordine di scuola, sia primaria
sia secondaria. Si svolge in un istituto scolastico. Non è organizzata in
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
conferenze, ma in attività di laboratorio di matematica che si svolgono
contemporaneamente in aule diverse. Vi partecipano classi di “relatori”
e classi di “visitatori”, che sono sempre ragazzi. Le classi di “relatori” si
preparano a questo meeting nel
corso dell’anno scolastico, naturalmente sotto la supervisione dei loro
insegnanti. Poi ogni classe di “relatori” riceve le classi di “visitatori”, una
alla volta, e lavora con loro per un
certo tempo (circa 20-25 minuti).
Queste classi di visitatori possono
essere ragazzi di pari età, o anche
più piccoli o più grandi, e il livello
della presentazione è tagliato volta
per volta su misura, anche sulla base
delle domande rivolte dagli ospiti.
Ho voluto qui raccogliere alcune
immagini dalle precedenti edizioni
della “Matematica dei Ragazzi”.
Nella prima foto c’è un gruppetto di
ragazzini delle scuole elementari
che hanno lavorato sul tema del
Tangram; in altre foto ci sono ragazzini più grandi, vi sono rappresentati ragazzi delle varie fasce di età.
Potete vedere il tipo di materiali che
sono stati usati, sia materiali poveri,
sia strumenti più sofisticati (computer, microscopio, ecc.). In una foto
compare un giovane “Pitagora” che
introduce i visitatori al suo teorema.
La prossima edizione si svolgerà nei
giorni 30 e 31 marzo 2006.
Vediamo ora come si articola l’attività di progettazione congiunta di cui
parlavo nel caso della “Matematica
dei ragazzi”. All’inizio dell’anno scolastico ogni insegnante del Nucleo di
Ricerca Didattica, che intende partecipare attivamente a questo meeting
con una sua classe, prepara un progetto da sviluppare con i suoi allievi.
Il progetto viene presentato e discusso all’interno del Nucleo di Ricerca
Didattica, tra insegnanti e docenti
universitari. Lo svolgimento del progetto viene poi seguito e supportato,
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
nel corso delle riunioni periodiche
del gruppo, in cui tutti i membri del
Nucleo di Ricerca Didattica contri-
25
26
buiscono alla fase di progettazione.
Viene preparato un questionario con
domande mirate da distribuire ai
ragazzi partecipanti. Al termine,
dopo il meeting, sulla base dei questionari e delle osservazioni fatte
dagli insegnanti e dai partecipanti, si
traggono le conclusioni, il lavoro
svolto viene valutato e si pubblicano
gli atti. Sono disponibili gli atti delle
prime quattro edizioni ed i successivi sono in preparazione. Chi fosse
interessato può richiederne una
copia alla Segreteria del CIRD. I risultati sono sorprendentemente positivi,
sia nelle classi di relatori sia in quelle dei visitatori, si può davvero toccare con mano quanto sia positivo lo
scambio fra pari.
Questo formato del meeting tra
ragazzi è stato ripreso nel biennio
2004/05 con la “Scienza dei Ragazzi”, manifestazione organizzata da
Eureka del CIRD nell’ambito delle
attività dell’Esperimentoteca, in
occasione della Settimana della
Cultura Scientifica, grazie anche al
contributo di enti esterni; è stata
coordinata dalla prof.ssa Giuliana
Cavaggioni. Gli insegnanti, i ragazzi
e i bambini che operano nell’Esperimentoteca di Eureka hanno presentato una mostra sull’esperienza che
hanno condotto nel biennio: un percorso di educazione scientifica, che
parte dai fatti del mondo quotidiano
per arrivare, attraverso l’osservazione
e l’indagine, alle spiegazioni della
scienza.
L’altro progetto in cui è stata recentemente sperimentata la prassi della
progettazione congiunta insegnanti e
docenti universitari è il progetto
Lauree Scientifiche, in particolare
nella progettazione, realizzazione e
valutazione dei laboratori del sottoprogetto “Orientazione e Formazione
degli Insegnanti per la Matematica”.
Riporto qui alcuni passi, tratti proprio
dal progetto così come è stato presentato ed approvato dal MIUR.
Anche in questo caso si tratta di progettare laboratori, ma indirizzati questa volta a ragazzi dell’ultimo triennio della scuola superiore, quelli più
vicini alla scelta della facoltà universitaria e su cui si desidera, nel caso di
questo progetto, agire in maniera più
pregnante. Questo è quello che ci si
propone: nei laboratori gli studenti si
confrontano con problemi e argomenti significativi di matematica,
possibilmente in stretto collegamento
con altre discipline a partire da temi
e problemi rilevanti delle scienze,
della tecnologia, delle imprese e
delle professioni; in questo modo gli
studenti trovano un’effettiva opportunità di conoscere la matematica,
nonché di divenire consci dei propri
interessi, delle proprie motivazioni e
delle proprie possibilità.
Perché laboratori? Il nome “laboratorio” indica che ogni studente si
impegna attivamente in lavori individuali e di gruppo, sotto la guida
degli insegnanti e dei tutor universitari.
Chi progetta e chi realizza i laboratori: ogni laboratorio è progettato e
realizzato da un gruppo di lavoro
nel quale sono presenti sia insegnanti, sia docenti universitari, ricercatori, dottorandi di matematica e di
altre discipline; ai gruppi partecipano anche esperti di musei e centri
della scienza, professionisti, esperti
delle imprese, insegnanti in formazione, studenti in tirocinio.
Documentazione e valutazione: lo
svolgimento delle attività di ogni
laboratorio viene documentato,
monitorato e valutato, secondo criteri generali stabiliti da un gruppo di
lavoro nazionale, rappresentativo
dei diversi progetti locali.
Per quest’anno scolastico abbiamo
formato 5 gruppi di lavoro, ciascuno
è formato da 1 a 3 docenti universitari e da un numero di insegnanti
provenienti da una o più scuole (fino
a un massimo di 3) per un totale di
una decina di insegnanti al massimo.
Si tratta quindi di gruppi abbastanza
ristretti, in cui si riesce a lavorare in
maniera molto efficiente e a fare un
lavoro di progettazione accurato. Vi
prendono parte anche dottorandi ed
esperti di altro tipo, professionisti. È
prevista anche la partecipazione attiva di Confindustria, per la selezione
e poi la proposizione di argomenti e
temi significativi, soprattutto per
quello che riguarda le ricadute sul
mondo delle aziende e dell’industria, speriamo di riuscire a coinvolgerla. Ogni laboratorio alla fine prevede un’attività curata di monitoraggio e valutazione anche in itinere;
proprio in questi giorni abbiamo presentato al MIUR la prima relazione
intermedia, in cui abbiamo potuto
documentare in maniera molto dettagliata quello che stiamo facendo e
le prime riflessioni su come stanno
andando i laboratori nelle scuole.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
La progettazione congiunta, come
dicevo, è proprio una caratteristica
speciale dei laboratori, grazie alla
quale si riesce a favorire lo sviluppo
della conoscenza reciproca e della
capacità di collaborare sia tra le persone, sia tra le istituzioni. C’è una
ricaduta molto positiva per quello
che riguarda l’aspetto formativo,
inoltre per gli insegnanti e per i tirocinanti è prevista una specifica certificazione.
Per concludere, vorrei sottolineare,
come mi è stato chiesto, quali sono i
punti di forza e quali i punti di debolezza di questa buona prassi.
Punti di forza: si lavora e si studia
insieme sullo stesso piano tra docenti universitari e insegnanti. Ciò permette a noi universitari di avere una
migliore conoscenza della realtà
scolastica e della percezione che la
scuola ha dell’università. Perché non
sempre abbiamo un’idea precisa e
ben chiara di quello che dalla scuola si intuisce del mondo dell’università e dei suoi cambiamenti. Per gli
insegnanti, d’altra parte, in questa
maniera, lavorando insieme, si ha
una migliore informazione sull’offerta formativa dell’università, che è
molto cambiata in questi ultimi anni,
e sugli sbocchi professionali. A questo proposito, abbiamo avuto negli
ultimi anni alcuni incontri con giovani laureati, intorno ai trent’anni
d’età, provenienti dalla nostra università, o che operano a Trieste pur
provenendo da università diverse.
Questi incontri sono stati molto
significativi e chiarificatori di quale è
davvero il ruolo del laureato quando
si trova a essere proiettato nel
mondo del lavoro. Alcuni insegnanti
ci hanno confessato che mai avrebbero immaginato che un laureato in
matematica potesse svolgere lavori
di tale interesse. Un altro punto di
forza per gli insegnanti è appunto il
discorso della crescita professionale
e dell’aggiornamento: è prevista
anche una certificazione in termini
di crediti universitari, perciò spendibile per eventuali master o corsi di
perfezionamento. Infine, lavorando
insieme si possono ideare e progettare attività più interessanti ed efficaci,
perché appunto le si vede dal doppio punto di vista, sommando le
competenze e le culture.
Punti di debolezza: sono evidenti, è
un’attività molto dispendiosa in termini di tempo ed energie; e questo
purtroppo è un problema che non
possiamo evitare. Per gli universitari,
non posso negare che la cosa sia
abbastanza pesante, perché la ricerca didattica generalmente è vista
come un’attività minore che non ha
utilità, se non in minima parte, per la
carriera scientifica. Per gli insegnanti, d’altronde, il lavoro per lo più è su
base volontaria. Devo sottolineare
però che nel progetto Lauree
Scientifiche, invece, la grande parte
delle risorse stanziate è proprio per
la retribuzione agli insegnanti che
partecipano attivamente ai laboratori. Si tratta di un’inversione di tendenza importante e un riconoscimento all’impegno profuso dagli
insegnanti, ritengo che sia un passo
avanti notevole.
Concludo segnalando gli indirizzi
cui rivolgersi per ulteriori informazioni.
Emilia Mezzetti: [email protected]
Segreteria CIRD, dott.ssa Morena
Petrich: tel. 040 5582659,
[email protected] oppure
[email protected]
NRD - Luciana Zuccheri:
[email protected]
Dipartimento di Matematica
e Informatica dell’Università
di Trieste, Via Valerio 12/1,
tel. 040 5582635
Sito web del Progetto Lauree
Scientifiche:
http://www.laureescientifiche.units.it/
LABORATORI
ORIENTANTI
ALLA SCIENZA
ALBERTO STEFANEL
UNITÀ DI RICERCA IN DIDATTICA
DELLA FISICA
DELL’UNIVERSITÀ DI UDINE
Buonasera. Vi porto il saluto della
prof.ssa Michelini, che non è potuta
essere presente oggi, come previsto,
per impegni improrogabili fuori
sede. Io sono un suo stretto collaboratore da oltre dieci anni, per quello
che riguarda la ricerca sull’innovazione didattica e curricolare, la formazione insegnanti, lo studio dei
processi cognitivi, l’orientamento. In
questo intervento vi presenterò i
Laboratori cognitivi che abbiamo
progettato per l’educazione informale, nell’ambito di alcuni dei recenti
progetti di ricerca nazionali e internazionali a cui abbiamo contribuito.
Questo è il sommario dell’intervento: contestualizzazione del nostro
lavoro di ricerca per caratterizzarne
l’impostazione relativamente al
ruolo dei contesti di educazione
informale e dell’operatività nell’educazione scientifica e per l’orientamento alla scienza; presentazione
delle diverse tipologie di laboratori
da noi messi a punto nell’ambito di
recenti progetti di ricerca internazionali e nazionali; esemplificazioni di
alcuni laboratori per la scuola di
base e per la scuola superiore.
Le profonde modificazioni subite
dalla nostra società impongono un
rinnovamento complessivo della
scuola, che coinvolge anche il modo
con cui si affrontano e si propongono
le
discipline
(European
Commission White Paper, Bruxelles
1995). Questo ha determinato, per
esempio, lo spostamento dall’orientamento informativo, tipico degli
anni ’70, all’idea attuale di orientamento, visto come elemento portante della formazione degli studenti,
che si sviluppa in tutto l’arco della
carriera scolastica dei ragazzi
(Messeri 1999). Acquistano importanza, in particolare, attività che sviluppano, nei diversi contesti disciplinari, capacità di autorientamento,
autovalutazione fin dalla scuola di
base. In questa ottica i laboratori
cognitivi per la scuola di base che si
presentano qui sono, come richiamato nel titolo dell’intervento, orientanti alla scienza.
La didattica disciplinare, che ha in sé
delle implicite valenze orientanti,
produce un orientamento efficace
quando attiva risonanze tra le competenze sviluppate dagli studenti e le
caratteristiche metodologiche proprie delle discipline stesse. Ciò si
realizza con uno spostamento dall’insegnamento delle discipline
scientifiche come saperi statici, alla
didattica che ne fa emergere i caratteri dinamici, in cui il processo con
cui si costruisce il sapere è importante tanto quanto il sapere in sé
(Anderson 1995; McGilley 1994).
Le ricerche sui processi cognitivi
hanno messo in luce che l’apprendimento non si realizza per semplice
trasmissione di saperi disciplinari. In
particolare in ambito scientifico il
ruolo determinante nell’apprendimento è giocato dallo sviluppo di
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
competenze, ossia, nell’accezione
datane da Schön (1993), di capacità
cognitive che consentono di mobilizzare le risorse (le conoscenze) per
risolvere problemi particolari in contesti differenti. Tali competenze si
sviluppano laddove sia previsto un
forte coinvolgimento personale in
compiti in cui gioca un ruolo centrale l’operatività pratica e concettuale
(Bednar et al. 1991, Merrill 1992;
Michelini 1999). La forte dipendenza dal contesto degli apprendimenti,
soprattutto in ambito scientifico
(Vosniadou 1994) indirizza a creare
occasioni formative fuori dal regolare contesto scolastico, che si integrano sinergicamente con esso
(Caravita, Hallden 1995; Caravita
1995). Acquistano allora peso,
accanto ai momenti di educazione
formale strutturati a scuola, anche gli
apprendimenti informali, come
quelli spesso inconsci della quotidianità, e quelli sviluppati in contesti
non-formali di apprendimento che si
realizzano per esempio nelle attività
extra-scolastiche, come le visite a
mostre (Honeyman 1996; Physics
Education 1990). La ricerca cognitiva ha evidenziato l’importanza delle
mostre hands-on e minds-on, soprattutto nel costruire il legame tra sapere scientifico e sapere quotidiano,
citato anche prima dal dott.
Vattovani come uno dei principali
nodi della didattica scientifica. La
ricerca non ha tuttavia chiarito qual
è l’effettivo ruolo dell’educazione
informale nella formazione dei concetti scientifici e come essa si integri
(o si possa integrare) con la formazione scolastica.
Uno dei filoni di ricerca, su cui da
tempo siamo impegnati come Unità
di Ricerca in Didattica della Fisica,
consiste proprio nell’andare a capire
qual è il contributo della educazione
informale e non-formale alla costruzione dei concetti scientifici e alla
loro integrazione con i saperi sensoriali e quelli sviluppati nella quotidianità.
Il nostro specifico obiettivo è di individuare il ruolo che l’operatività ha
nella produzione dei concetti scientifici: operatività pratica, attivata nel
momento in cui si produce un fenomeno che si vuole esplorare agendo
direttamente su un sistema: operatività concettuale, coinvolta quando si
pone “la testa sulla” sfida interpretativa del fenomeno osservato.
27
28
Abbiamo messo a punto una serie di
strumenti e metodiche di lavoro che
fanno riferimento alle oltre 250 proposte di esplorazione operativa della
mostra GEI - Giochi Esperimenti Idee
e al contesto di educazione informale che essa attiva (Michelini 1995;
Bosatta et al 1998). Tale mostra si
caratterizza, rispetto ad altre mostre
scientifiche e mostre hands-on, per
l’uso di oggetti comuni, della quotidianità, finalizzati alla realizzazione
di semplici proposte sperimentali,
ciascuna delle quali, pur essendo
mirata su uno specifico obiettivo
cognitivo, viene offerta in modo
aperto, consentendone un uso e una
lettura differenziate.
Essa utilizza anche alcuni giochi per
realizzare il necessario raccordo tra
oggetti e saperi del quotidiano e
conoscenze scientifiche, senza porre
l’attenzione sul funzionamento dei
giochi come occasione per individuarne i principi fisici che lo regolano, che è lo scopo per esempio della
mostra Giocattoli e la Scienza realizzata presso l’Università di Trento
(Zanetti 1993). Prevede il coinvolgimento attivo degli utenti in veri e
propri esperimenti realizzati con
apparati di dimensioni limitate in cui
l’utente controlla l’intero processo in
osservazione e non solo una parte di
esso come negli esperimenti di
grandi dimensioni come quelli
dell’Esploratorium di S. Francisco
(Exploratorium 1987).
Nelle visite alla mostra GEI, libere o
guidate, si crea un ambiente che
favorisce la costruzione delle idee e
la loro prima formalizzazione, il
riconoscimento di comportamenti e
aspetti analogici, la costruzione di
associazioni di idee tra ambiti diversi. Nello stesso ambiente espositivo
ci si trova di fronte a più contesti
diversi: l’ottica viene presentata
insieme alla meccanica, l’elettromagnetismo è accanto alla termologia.
Si stimola l’associazione analogica e
il trasferimento di idee da un contesto all’altro. Si fa inoltre riconoscere
che parlare di fenomeni termici, di
fenomeni meccanici significa fare
delle scelte di modi diversi di guardare agli stessi sistemi.
Nell’ambito di diversi progetti locali e
nazionali l’Unità di Ricerca in
Didattica della Fisica ha progettato i
“laboratori cognitivi”, che consistono
al tempo stesso di modalità di lavoro
con i bambini integrata con la visita
alla mostra GEI e di esplorazione e
studio delle loro idee e potenzialità
cognitive e di formalizzazione. In
questi laboratori, con materiali della
mostra GEI o materiali appositamente
approntati nello stile della mostra, si
creano dei contesti di tipo informale
in cui sviluppare il coinvolgimento
attivo dei bambini, il confronto reciproco, attivato dall’esperimento. Sono
stati offerti nel contesto delle manifestazioni organizzate con le scuole e
prioritariamente nelle Settimane della
Cultura che, oramai da 11 anni vengono organizzate dall’Università di
Udine in collaborazione con enti e
scuole del territorio, coinvolgono oramai oltre 10000 studenti l’anno. Da
quattro anni tali attività sono inquadrate nella Convenzione Quadro, che
ormai regolamenta tutti i rapporti tra
Università di Udine e scuole del territorio.
I laboratori cognitivi hanno diverse
valenze, in quanto offrono un guadagno per l’apprendimento dei bambini, che sono coinvolti nell’esplorazione di nuovi ambiti fenomenologici e nella costruzione attiva e collaborativa del loro sapere; la formazione degli insegnanti, che hanno esperienza di come si possono affrontare
con i bambini problematiche complesse; la ricerca cognitiva, in quanto si possono studiare quali sono i
processi di ragionamento tipici dei
bambini.
QUESTE SONO LE PRINCIPALI
TIPOLOGIE DI LABORATORI
PROGETTATI
“Laboratorio cognitivo di esplorazione operativa” (CLOE). Con gruppi di
bambini, si discutono scenari quotidiani e proposte sperimentali
seguendo una traccia di percorso
didattico formulata come protocollo
di intervista; non è un percorso rigido, ma una traccia di lavoro che
viene seguita in modo flessibile adattandola ai percorsi suggeriti dai
bambini stessi. Si fanno emergere
quelli che sono i loro percorsi di
ragionamento, le loro reazioni alle
proposte operative che esplorano.
Ciascuna di tali proposte mira a un
singolo obiettivo cognitivo attivando
la sequenza di seguito esemplificata
in un caso specifico. Con due sensori di temperatura si rileva la temperatura di due masse d’acqua inizialmente a temperatura diversa. Si invi-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
ta ad effettuare le previsioni sul processo: “Si immerge il beker con l’acqua calda nell’acqua fredda. Che
cosa succederà alla temperatura
delle due masse d’acqua?” I bambini
fanno e discutono le loro previsioni
e, successivamente, effettuano l’esperimento mettendo alla prova le
proprie idee. Esplicitano il loro
apprendimento riepilogando in una
tabella a tre colonne: le azioni che
sono state effettuate, le osservazioni
di ciò che si è visto, le conclusioni
che sono state tratte. I bambini
acquisiscono autonomia nel passare
per gradi successivi da un primo
livello unicamente descrittivo, a
quelli esplicativi di ordine crescente
di: legame tra processo e sua rappresentazione in termini delle grandezze che lo descrive; descrizione del
processo per mezzo delle grandezze
che ne forniscono l’interpretazione
fisica.
“Laboratorio Contesti”.
Un’altra modalità di lavoro, realizzata con il Laboratorio Contesti, è
quella di creare un quadro fenomenologico nel quale portare i bambini
ad affrontare un quesito problema,
come ad esempio: “Come fa a formarsi un’immagine in una lente
oppure in uno specchio?” Il contesto
di riferimento in questo caso è quello della propagazione della luce che
viene costruito a partire dal riconoscimento operativo del meccanismo
della visione, della propagazione
rettilinea della luce, ad esempio
nella formazione delle immagini
nella camera oscura, dei fenomeni
di riflessione e rifrazione esplorati
con fasci luminosi e con il metodo
della parallasse.
“Laboratorio mappe”.
In questo tipo di laboratorio i bambini esplorano le proposte operative
che riguardano un ben definito contesto concettuale, come ad esempio
l’equilibrio meccanico, l’equilibrio
termico, oppure il galleggiamento.
Al termine di questa prima fase, i
bambini in gruppo scelgono quali
sono le parole, i nomi delle “cose”,
che secondo loro sono risultati
importanti in questa attività. Le parole vengono scritte su post-it. Esse
diventano i nodi della mappa che
viene costruita dai bambini prima
disponendo i post-it/parole sul foglio
e poi collegando con frecce i diversi
nodi mettendo su ciascuna di esse
un verbo che espliciti il significato
del legame. I bambini mostrano
come hanno organizzato gli aspetti
fenomenologici e gli aspetti concettuali a un primo livello.
Collettivamente si discute e si
costruisce una mappa di classe, che
rappresenta l’esito di apprendimento
per loro.
“Laboratorio Caccia al tesoro”.
Una ulteriore modalità di lavoro, proposta recentemente, è quella di creare un contesto ludico realizzando
una caccia al tesoro scientifica. Si
predispongono diverse isole ciascuna
delle quali è dedicata a uno specifico
problema proposto in forma di sfida.
I bambini a gruppi si cimentano con
il problema proposto in un’isola.
Autonomamente o con un piccolo
aiuto tutti i bambini riescono a risolvere il problema proposto. Al termine
di ogni isola ricevono un diploma, in
cui viene riassunto che cosa si è fatto,
osservato, imparato e una parte di un
puzzle che servirà per costruire, al
termine delle esplorazioni sperimentali, la parola eureka, esito che darà
la vittoria nel gioco, che di fatto vede
quindi tutti vincitori.
ALCUNI ESEMPI DOCUMENTANO
L’ESITO DI QUESTE ATTIVITÀ
In un laboratorio CLOE sul magnetismo sono stati raccolti i disegni che
bambini di I elementare hanno fatto
a conclusione della esplorazione
effettuata con piccoli magneti (elementi magnetici dei giochi magnetici oggi molto diffusi) e oggetti di
diversa forma, materiale, dimensioni… I bambini mostrano di aver riconosciuto che i magneti agiscono
selettivamente sui corpi e non semplicemente con l’attrazione. Nel rappresentare l’interazione tra i magneti e tra magneti e oggetti ferromagnetici mettono in evidenza qualche
cosa (che fisicamente non si osserva)
che è responsabile di tale interazione. Esplicitano il bisogno cognitivo
di un ente (il campo), che si trova tra
il magnete e gli oggetti e che permette di rendere conto di quello che
hanno visto e osservato.
Con i bambini della scuola di base
non si spinge sulla matematizzazione dei concetti, ma piuttosto sulla
formalizzazione basata su relazioni
prima solo qualitative, poi quantita-
tive molto semplici costruite con i
numeri 1, 2, 3, che i bambini sanno
gestire.
In un “laboratorio per gli studenti
della scuola superiore”, in cui si
lavora in modo più strutturato, si
effettuano misure e si costruisce la
descrizione formale (matematica)
dei fenomeni, ossia degli aspetti che
sono stati indagati. Nei laboratori
per le superiori si effettuano esplorazioni di ambiti fenomenologici,
ponendo le basi per una loro descrizione empirica, per poi passare per
gradi successivi, a livelli differenziati di interpretazione. Per esempio nel
caso dei fenomeni di polarizzazione
si arriva anche a una loro lettura
quantistica.
L’ultimo esempio riguarda le attività
di problem solving per l’orientamento formativo (PSO). È stata messa
appunto una tecnica di lavoro, una
metodica in cui si applica il “popular
problem solving”, proponendo dei
problemi che attivano quelle che
sono le attitudini dei ragazzi. È una
strategia di insegnamento e apprendimento basato sull’uso di problemi
operativi, in cui i ragazzi sono chiamati ad assumersi delle responsabilità. Infatti, viene loro chiesto di individuare il problema da analizzare, le
modalità di definizione ed infine trovare la soluzione o il risultato. È stato
realizzato in forme diverse ed è basato sulla creazione di contesti sperimentali aperti, del quotidiano, che
costituiscano una sfida operativa e
cognitiva per i ragazzi. Si attiva risonanza con quello che i ragazzi sanno
e con quello con cui i ragazzi si trovano quotidianamente a interagire. Si
propongono quindi sfide che i ragazzi potenzialmente possono affrontare, mettendo in atto attività in cui si
tiene in controllo sia l’aspetto emotivo, sia l’aspetto cognitivo. Una prima
fase progettuale prevede attività di
singoli e di gruppo, in cui vengono
messe in atto strategie tipiche del
lavoro di equipe degli ambienti di
ricerca. Una fase finale di riflessione
sul processo che ha portato dalla formulazione del problema alla sua
risoluzione fornisce agli studenti gli
elementi di autovalutazione.
L’indirizzo a cui si possono reperire i
materiali che l’URDF ha sviluppato
nell’ambito dei progetti di ricerca
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
richiamati in precedenza:
www.fisica.uniud.it/URDF
Documentazione delle manifestazioni di diffusione culturale organizzate dall’Università di Udine con le
scuole è reperibile all’indirizzo:
web.uniud.it/CIRD.
■ NOTE
2) Progetti di ricerca finanziati della
Regione FVG: EPC (2000-2001),
@ROLES (2003-2004)
Progetti di Rilevante Interesse
Nazionale (PRIN-MIUR) 1994-2000
(Esp B e SeCiF (Spiegare e Capire in
Fisica) MIUR 1999-2000); Progetto
Pilota MIUR: LabTec (1999-2000);
Progetti MIUR L6/2000 per la diffusione della Cultura scientifica: NOAI
- Nuove occasioni si apprendimento
informale (2004); Il gioco della
Scienza: Laboratori cognitivi e di
esperimenti per costruire il sapere
scientifico (2005); EIFA - Esplorare
ed interpretare i fenomeni per l’apprendimento scientifico (2006)
Alberto Stefanel
Università degli Studi
Udine
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LE STELLE
VANNO A SCUOLA
PAOLO SANTIN
OSSERVATORIO ASTRONOMICO
DI TRIESTE
30
Io sono Paolo Santin dell’Osservatorio Astronomico di Trieste e sono
stato invitato a presentare il progetto
“Le Stelle vanno a Scuola” che è stato
creato e supportato direttamente
dall’Osservatorio per, come dice il
sottotitolo, l’insegnamento dell’Astronomia e dei suoi metodi osservativi.
Perché questo progetto? Perché ci si
rende conto che l’Astronomia in
fondo è un po’ una Cenerentola, nel
campo scientifico delle nostre scuole. Il suo contenuto curriculare è
estremamente ridotto ed anche piazzato in contesti non coerenti con i
tempi moderni. È una parte ristretta,
in effetti, del corso di Scienze, mentre si sta lottando per far transitare
l’Astrofisica moderna come parte del
programma di Fisica. Quindi, quello
che i nostri ragazzi ricevono di astronomia è, in effetti, veramente molto
limitato. Allora abbiamo cercato di
mettere in piedi questo progetto, da
una parte per presentare qualcosa di
più ai ragazzi per invogliarli poi a
continuare lo studio dell’Astronomia
e dall’altra per fornire anche ai
docenti uno strumento di laboratorio
che possa essere utile ad integrare il
loro insegnamento e abbiamo cercato di mettere in piedi un laboratorio
interattivo e remoto a completa
disposizione della componente
didattica.
Di questo progetto vorrei presentare
sia la componente tecnologica che
l’aspetto metodologico.
Perché la componente tecnologica?
Perché l’Astrofisica, l’Astronomia
moderna, ha una componente tecnologica molto avanzata, è una gran
fruitrice di tecnologie avanzate.
Allora, nel presentare un qualcosa
agli studenti, abbiamo pensato che
era sbagliato rendere trasparente
questo aspetto, ma bisognava presentare loro qualcosa con un contenuto tecnologico al loro livello, ma
che avesse senso e fosse coerente
con l’Astronomia moderna. Abbiamo cercato di rivoltare quello che
finora era il nostro modo di interagire con le scuole, che consisteva fondamentalmente in una o più lezioni
a scuola, concordate con gli insegnanti, e poi una visita all’Osservatorio in cui si mostrava loro il
telescopio, il radiotelescopio ecc. Il
tutto, tra lezione e visita, si trasformava in una grande gita scolastica, e
finiva lì.
Allora, responsabilizzando ulteriormente gli insegnanti, abbiamo pensato di portare l’Astronomia direttamente in classe, lasciando intatto il
rapporto fra docente e i ragazzi e fornendo un supporto aggiuntivo, ma
senza andar a sostituirci all’insegnante; anche perché è l’insegnante
che conosce meglio la classe, conoscerà forse un po’ meno l’astronomia, ma sicuramente conosce la
didattica meglio di noi e il rapporto
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
con i ragazzi ce l’ha in mano lui.
Abbiamo quindi proposto “osservazioni remote” a scuola, ma osservazioni reali e abbiamo messo in piedi
una configurazione strumentale
completamente, come dicevo, dedicata alla didattica. Il collegamento in
rete fra le scuole oggi esiste, praticamente tutte le scuole sono ben collegate, ed e’ la scuola che si connette
con l’Osservatorio. All’Osservatorio
c’è un astronomo a disposizione in
video-conferenza per completare,
stimolare, suggerire, spiegare tutto
quello che serve.
Quello che presentiamo è una
replica di quello che poi in realtà,
chi andrà a fare Astronomia domani, si troverà effettivamente sulla
propria scrivania. Perché la configurazione strumentale che abbiamo
installato (telescopio, strumentazione, sala di controllo e sala osservativa) è quella che si incontra oggi ai
grossi telescopi, quando un astronomo chiede tempo al telescopio e
va ad osservare.
Nessuno lascia più mettere le mani
agli astronomi sui telescopi. L’astronomo deve stare nella sala osservativa; il telescopio viene controllato da
chi sa usarlo meglio e gli vengono
forniti i risultati. In modo simile,
forse ancora più coinvolgente,
l’Osservatorio fornisce il telescopio,
l’astronomo è in cupola e dalla
scuola, sotto la guida dell’astronomo, i ragazzi possono interagire in
modo completo scegliendo il target,
l’oggetto da studiare, discutendo i
tempi di esposizione, eseguendo l’esposizione stessa, ottenendo i risultati che poi possono scaricare e tenere a disposizione della scuola.
La tecnologia, abbiamo detto, è presente in modo chiaro, cioè non è trasparente; vogliamo che i ragazzi si
rendano conto che sotto c’è tecnologia, sotto c’è lavoro, che va usata
con tranquillità ma con criterio. E
quindi è accessibile e ai ragazzi
viene spiegata ogni volta anche la
configurazione tecnologica.
Alcune immagini, tanto per illustrare
il tutto. Questo è il telescopio (di 35
centimetri di diametro di specchio);
in realtà sullo stesso telescopio è
montato anche un secondo telescopio più piccolo e specializzato che è
dedicato alle osservazioni solari.
Quindi possiamo osservare sia di
sera sia di giorno; osservazioni di
oggetti stellari, galattici e planetari di
sera ed osservazioni solari di giorno.
L’immagine sulla destra ci mostra la
parte di strumentazione piano-focale, una ruota portafiltri e una camera
CCD. Abbiamo a disposizione 3
camere CCD per diverse configurazioni, una per la parte solare e due
per la componente stellare.
Per gli studenti più avanzati (diciamo
le ultime classi superiori) è anche in
costruzione uno spettrografo, di
approccio più difficile per le scuole
e che va spiegato meglio sia nella
componente tecnologica sia per i
risultati che fornisce; abbiamo cercato di costruire uno spettrografo a
configurazione molto semplice in
modo che anche i ragazzi possano
capirne facilmente la struttura, fascio
di ingresso, fascio di uscita, elemento disperdente e nient’altro.
E speriamo di poterlo mettere in attività per i prossimi anni.
Una cosa che vorrei far notare è che,
contrariamente a quello che succede
normalmente, e tutti lo abbiamo
fatto, molto spesso, quando uno strumento di laboratorio non è più utilizzato ed è fuori linea, diciamo: “Beh,
lo dedichiamo alla didattica”. No,
questo è stato creato proprio con
quell’intento, è stato finanziato dal
MIUR sulla legge per la divulgazione
scientifica ed è dedicato esclusivamente alla didattica. Non viene
usato per altri scopi.
Nella cupola, in un’altra sala, c’è l’astronomo in video-conferenza, che
ha a disposizione due computer.
Con uno gestisce le comunicazioni
con la scuola, audio e video, e sull’altro ha il sistema di controllo del
telescopio, della strumentazione e di
acquisizione dei dati. E quello che
vede l’astronomo in questa configurazione viene replicato esattamente
sul computer della scuola. La scuola
non ha bisogno di nessuna apparecchiatura speciale che non sia una
normale aula informatica, che ormai
tutte le scuole hanno, un personal
computer e il collegamento in rete.
Tutto quello che serve (software speciali di controllo, ecc.) viene fornito
in remoto dall’osservatorio e replicato sul computer delle scuole.
E da queste altre immagini si può
comprendere poi quello che succede a scuola. I ragazzini attorno al
computer. Per i primi secondi con le
mani in tasca, perché hanno paura
di aprir bocca e di muovere qualcosa. Dopo due secondi nessuno riesce
a levar loro il mouse di mano.
Parlando e discutendo con l’astronomo i ragazzi vengono guidati a scegliere un oggetto, a trovarlo sul
cielo, a capire cos’è, a capire se si
può osservare o meno. Poi ad osservare, sbagliare, ripetere il tutto ed
ottenere alla fine il risultato voluto.
L’immagine sulla destra mostra
un’osservazione diurna del sole.
Questo per la parte più strettamente
tecnologica.
Per la parte metodologica, l’approccio che abbiamo usato, chiesto dai
nostri colleghi e come buona prassi
da noi suggerita, è quello dell’insegnamento delle metodologie sperimentali, valido non solo nell’astronomia, ma penso determinante per
qualunque scienza. Specialmente
oggi, tenendo conto che, come qualunque attività umana, anche la
scienza e i suoi risultati vengono
spettacolarizzati in modo estremo.
Che si parli di astronomia o che si
parli di medicina, tutto sembra facile, tutto sembra ottenuto immediatamente e tutto è bello. Si parli per
esempio dei dati di una galassia o di
un vaccino, questi vengono ottenuti
in un attimo e saranno disponibili
già domani. Gli anni di lavoro precedenti e quelli necessari a seguire,
nessuno nemmeno li considera.
Nel nostro caso abbiamo cercato di
contrastare questa azione di spettacolarizzazione, che per l’Astronomia
è ancora maggiore, perché l’Astronomia è una gran fornitrice di immagini, anche di immagini belle e affascinanti. Sulle riviste, in Internet e
per televisione si vedono pubblicate
e vengono diffuse soltanto le immagini finali, belle, spettacolari. In realtà, come tutti noi sappiamo, i primi
risultati sperimentali e le immagini
nel nostro caso, sono risultati sporchi, che vanno calibrati, che vanno
ripetuti e che per essere calibrati
hanno bisogno di una gran competenza anche di tipo strumentale. Se
non conosci bene il tuo strumento, e
quello che si chiama la firma strumentale, i dati non sono interpretabili, brutti sono e brutti rimangono.
Questo è il percorso che cerchiamo
di far capire ai ragazzi e di farlo
anche però percorrere. Queste sono
le prime immagini ottenute dai
ragazzi quando gli si dice: “Puntiamo su quella galassia ?” “Quanto
facciamo, 10 secondi di esposizione?” I risultati osservativi si possono
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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vedere nelle immagini in alto a sinistra e chi è presente a scuola li vede
effettivamente così, e allora dicono
«Cosa siamo venuti a scuola ad
osservare, aprivo a casa Internet o
una rivista di astronomia e potevo
vedere immagini molto più belle».
Allora si va a spiegargli perché l’immagine è venuta così brutta, perché
è granulare, perché ci sono quei
bozzoli, perché non abbiamo pulito
la camera CCD con lo straccio per
togliere i granelli di polvere. E successivamente si spiega come si
ottengono le immagini di calibrazione ed il tutto viene fatto in diretta.
Alla fine riescono da soli ad ottenere
le immagini a colori pulite e “spettacolari per loro” e sono felici. Però tra
un passo e l’altro trascorrono per lo
meno tre quarti d’ora di attività. Si
cerca quindi di trasmettere il messaggio che quella del ricercatore è
una professione, e che anche in questa professione bisogna guadagnarsi
il pane e lavorare facendo fatica.
E questo è tutto per la descrizione
generale del progetto.
A monte di ogni osservazione c’è
però del lavoro ulteriore che è quello della preparazione e discussione
con l’insegnante. Avendo più di uno
strumento a disposizione (la camera
per le immagini, il sole, domani speriamo lo spettrografo) possono essere concordati e pianificati programmi diversi.
Necessariamente, i programmi vanno definiti in funzione dell’età, della
preparazione, di quello che l’insegnante ci chiede di proporre. La
scelta degli oggetti da osservare e le
modalità ed il livello delle spiegazioni vengono concordate con l’insegnante in precedenza. Per l’approccio per le elementari, per esempio, si inizia con l’osservazione del
sole, per motivi pratici e logistici e
anche perché è molto più immediato e più facile da spiegare. Con i
ragazzi delle superiori si può andare
ovviamente più nel dettaglio e quindi si può affrontare il discorso dell’evoluzione stellare e della fisica della
costituzione interna delle stelle. E si
può proseguire ancora, perché questo è uno strumento che ci è stato
richiesto anche per osservare con gli
studenti dell’università. Alla fine del
triennio, o anche nel corso della
laurea specialistica, studiano Astronomia ma non hanno mai visto un
telescopio (se non sono astrofili per
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conto loro). E quindi preparare per
loro un mini percorso iniziale di
training osservativo è qualcosa che
stiamo concordando anche con i
docenti di astronomia dell’università. Riteniamo quindi che questo
progetto rappresenti uno strumento
abbastanza flessibile e che possa
essere dato in mano a ragazzi che
vanno dalle elementari fino al liceo,
con possibile estensione fino
all’università.
Rapidamente ora una sintesi delle
attività dell’ultimo anno. Sono state
fatte 40 sessioni osservative, di cui
22 notturne e 18 solari come sessioni osservative remote in collegamento con le scuole. Abbiamo poi partecipato a varie altre manifestazioni e
attività, tra cui la collaborazione con
l’Area per le Science Weeks, la partecipazione alla fase finale del concorso dell’INFN “Donne per la
Fisica”, al quale hanno partecipato
una sessantina di studentesse da
tutta Italia, vincitrici del concorso,
ed altre attività di promozione, analogamente agli altri Istituti scientifici.
Mi è stato chiesto di aggiungere due
parole sui pro e i contro del presente progetto.
Per quanto riguarda la componente
tecnologica, l’offerta di una configurazione strumentale in replica minore di una configurazione professionale è, secondo me, fortemente positiva ed educativa per i ragazzi. Come
trovo educativo anche il fatto di cercare di contrastare questa spettacolarità delle immagini. Questo stesso
aspetto però, allo stesso tempo, rappresenta anche un punto di debolezza perché su questo punto, dall’altra
parte, troviamo una generale impreparazione da parte dei docenti.
Quindi noi da una parte cerchiamo
di responsabilizzare il più possibile i
docenti mentre poi, offrendo programmi troppo complessi, non possiamo pretendere che i docenti siano
sufficientemente preparati. Stiamo
quindi, a questo scopo, pensando di
organizzare dei corsi di aggiornamento per insegnanti, per metterli in
grado di affrontare con la preparazione sufficiente l’organizzazione
delle sessioni osservative.
Concluderei dicendo che l’aspetto
forse più critico anche nel nostro
caso è quello già citato dalla prof.ssa
Mezzetti. Il nostro compito non è la
didattica, però ci siamo resi conto
che la didattica, dal nostro punto di
vista, è ingorda di risorse in modo
terribile. Vale per i ricercatori come
vale per i docenti; cercare di coinvolgere i ricercatori è molto difficile,
perché ognuno di noi ha la sua personale attività di ricerca, ha da lavorare per pubblicare il suo ultimo articolo, ha le sue scadenze, e se non
pubblica non fa carriera. Bisogna
considerare che, normalmente, lavorare nel campo della didattica e
della divulgazione, per un ricercatore non è remunerativo, dal punto di
vista professionale. Noi, ora, riusciamo a lavorare bene perché abbiamo
avuto la possibilità di offrire dei contratti a dei giovani, una neo-laureata
e un laureando, che portano avanti
molto bene il progetto. In mancanza
di risorse di questo tipo, purtroppo,
la vita stessa del progetto risulta
seriamente compromessa.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO
Iscr. Tribunale n. 774
Registro Periodici del 6/2/90
Paolo Santin
Osservatorio Astronomico
Trieste
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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