Anno XXV n. 1 marzo 2014 RAPPORTO ISTAT “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”. Fonte ISTAT 3 I l rapporto presentato nei giorni scorsi conferma che, rispetto ad altri importanti Paesi dell’Ue, l’Italia spende meno per la salute dei propri cittadini. A certificarlo è, ancora una volta, l’Istat che nei giorni scorsi ha pubblicato “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, un rapporto che offre un quadro d’insieme del nostro Paese, della sua collocazione nel contesto europeo e delle sue differenze regionali. L’assistenza sanitaria, insieme alla previdenza, rappresenta un asse portante del welfare. Obiettivo dei sistemi sanitari nazionali è la promozione e il miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini, da attuarsi mediante iniziative di educazione, prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Gli indicatori presi in considerazione sono: Spesa sanitaria pubblica La spesa sanitaria pubblica corrente dell’Italia risulta nel 2012 (dato provvisorio) di circa 111 miliardi di euro, pari al 7,0 per cento del Pil e a 1.867 euro annui per abitante. Spesa sanitaria delle famiglie Nel 2011, le famiglie italiane hanno contribuito con proprie risorse alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 20,6 per cento, in calo di oltre due punti percentuali rispetto al 2001. La spesa sanitaria delle famiglie rappresenta l’1,8 per cento del Pil nazionale. Offerta ospedaliera Per il 2014 è stata pianificata un’ulteriore consistente riduzione del livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) (1 miliardo di euro a decorrere dall’anno 2014, ex legge n. 228/2012) e del numero dei posti letto ospedalieri che a regime dovrebbe attestarsi a 3,7 posti letto ogni mille abitanti (di cui lo 0,7 riservato alla riabilitazione e alla lungodegenza, ex legge 135/2012). A queste riduzioni si aggiunge la revisione dello standard di riferimento pro capite per l’attività di ricovero ospedaliero, passato da 180 a 160 ricoveri ogni mille abitanti (di cui il 25 per cento fa riferimento ai ricoveri diurni). Mobilità ospedaliera Nel complesso, le regioni sono interessate da circa 588 mila ricoveri ospedalieri (o dimissioni) di pazienti non residenti (8,4 per cento del totale dei ricoveri ordinari per “acuti” nel 2011) e da oltre 523 mila ricoveri effettuati dai pazienti in una regione Anno XXV n. 1 marzo 2014 rappresentano la principale causa di morte in Italia e nel gruppo dei 27 paesi dell’Ue. Negli ultimi anni in Italia, dove il livello di mortalità è tra i più bassi d’Europa, i tassi sono diminuiti in modo diffuso su tutto il territorio raggiungendo nel 2010 il valore di 30,4 decessi ogni diecimila abitanti rispetto al 31,9 osservato nel 2009. Gli uomini, con un tasso di 37,3 decessi per diecimila abitanti, risultano svantaggiati rispetto alle donne (25,6). 4 Mortalità per tumori diversa da quella di residenza (7,6 per cento, riferito ai soli residenti in Italia). Le motivazioni che conducono ad effettuare il ricovero lontano dalla propria residenza sono diverse. Gli indici di mobilità più alti, superiori al 20 per cento, si registrano nelle Regioni più piccole: Basilicata, Valle d’Aosta e Molise. I principali poli di attrazione sono concentrati nelle regioni del Centro-Nord. Ospedalizzazione per tumori e malattie del sistema circolatorio I tumori e le malattie del sistema circolatorio sono le patologie per cui è più frequente il ricorso all’ospedale e anche quelle per cui è più elevata la mortalità. I ricoveri in regime ordinario (con pernottamento) per queste diagnosi sono diminuiti nel tempo. Tale diminuzione è stata più rilevante per le malattie del sistema circolatorio (-21,5 per cento tra 1999 e 2011) che per i tumori (-16,3 per cento). Mortalità infantile A partire dal 2000 il valore di questo indicatore ha continuato a diminuire su tutto il territorio italiano, raggiungendo valori tra i più bassi in Europa, anche se negli anni più recenti si assiste ad un rallentamento di questo trend. Permangono, inoltre, differenze territoriali che vedono il Mezzogiorno penalizzato. Nel 2010, il tasso di mortalità infantile è di 3,3 decessi per mille nati vivi, valore di poco inferiore a quello osservato nel 2009 (3,4). Mortalità per malattie del sistema circolatorio Le malattie del sistema circolatorio, tipiche delle età adulte e senili, Nel 2010 il tasso standardizzato di mortalità per tumori in Italia è pari a 25,9 decessi ogni diecimila abitanti, in leggero calo rispetto al valore di 26,3 del 2009. I livelli di mortalità per tumori sono maggiori negli uomini (35,5) rispetto alle donne (19,3) sebbene la mortalità degli uomini stia diminuendo nel tempo più rapidamente di quella delle donne. Fumo, alcol, obesità In Italia, nel 2012, con riferimento alla popolazione di 14 anni e più, i fumatori rappresentano il 21,9 per cento, i consumatori di alcol a rischio il 14,1 per cento, mentre la prevalenza delle persone obese ammonta al 10,4 per cento della popolazione adulta di 18 anni e più. Anno XXV n. 1 marzo 2014 Rapporto della Federazione Europea delle Associazioni Infermieristiche Fonte ISTAT 5 L a Federazione Europea delle Associazioni Infermieristiche, ha pubblicato un nuovo rapporto che analizza paese per paese l’impatto della crisi economica sugli infermieri e sul settore infermieristico in Europa. Il rapporto mostra quali sono le sfide che la professione infermieristica deve fronteggiare ora, e quali dovrà fronteggiare in futuro, e analizza quali siano le dinamiche specifiche di ogni paese. “Gli effetti della crisi economica sugli infermieri e il settore sono visibili: una effettiva riduzione dei posti di lavoro in tutta Europa, tagli agli stipendi degli infermieri, congelamento dei salari, minori percentuali di assunzioni e di mantenimento dei posti di lavoro e casi in cui si è dovuti scendere a compromessi relativamente alla qualità delle cure e alla salute dei pazienti. In tutta Europa tutto ciò si è tradotto in maggiore lavoro per gli infermieri per poter mantenere gli standard di qualità, allo stesso tempo si richiede agli infermieri stessi di lavorare di più e guadagnare di meno. Mancanza di attrezzature, forniture ridotte e personale inadeguato fanno sì che in tutta Europa la vita dei pazienti sia messa in pericolo quotidianamente. Per far sì che gli infermieri possano mantenere alti gli standard di qualità, devono essere intraprese azioni concrete per migliorare le condizioni di lavoro e la formazione degli infermieri. Anno XXV n. 1 marzo 2014 Studio internazionale dell’University of Pennsylvania School of Nursing: più rischi per i pazienti se gli infermieri sono pochi e lavorano troppo 6 Fonte?? I l decorso post operatorio e la vita dei pazienti sono a rischio se nel reparto ci sono pochi infermieri che lavorano troppo. E’ quanto ha stabilito la più grande indagine europea condotta fino a oggi su 420 mila pazienti in 300 ospedali di 9 Paesi Ue. I ricercatori hanno analizzato le risposte di oltre 26.500 infermieri a un questionario e le cartelle cliniche di 422.730 pazienti (over 50) di nove Paesi Ue (Belgio, Inghilterra, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera) dimessi dopo un intervento di chirurgia generale. Dalla protesi dell’anca o del ginocchio a un’appendicectomia, fino alle procedure vascolari. L’analisi dei dati ha esaminato l’associazione del carico di lavoro per le cura e l’assistenza degli infermieri con i risultati ottenuti dal paziente nel post operatorio. Secondo i ricercatori, la percentuale complessiva di pazienti deceduti in ospedale entro 30 giorni dal ricovero è bassa, variando entro una media che va dall’1 al 5%. Tuttavia, in ogni Paese, i tassi di mortalità cambiano notevolmente tra i singoli ospedali: in alcune strutture è deceduto meno dell’1 % dei pazienti, ma in altre si può arrivare oltre il 7 % di decessi. I risultati - suggeriscono i ricercatori - dimostrano che chi è ricoverato in ospedale per un’operazione, ha un più alto rischio di decesso dopo l’intervento se gli infermieri del reparto hanno bassi livelli d’istruzione e seguono troppi pazienti. «I nostri risultati - sottolinea Linda Aiken dell’University of Pennsylvania School of Nursing - sottolineano un rischio per i pazienti che potrebbe emergere con i tagli al personale infermieristico, una delle conseguenze delle recenti misure di austerità in alcuni paesi Ue. E aggiunge - suggeriscono di dare maggior spazio negli ospedali a chi è in possesso di una laurea, che abbiamo visto influisce nel ridurre le morti in ospedale». A of ppr ond nt ime i Anno XXV n. 1 marzo 2014 L’occlusione del catetere vescicale da coaguli nei pazienti sottoposti ad intervento urologico endoscopico: prevenzione e trattamento 7 A cura di Francesco Del Mastro ABSTRACT L’occlusione del catetere vescicale da coagulo rappresenta una complicanza che interessa principalmente i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico urologico endoscopico alla prostata o alla vescica; il paziente che sperimenta questo tipo di complicanza si presenta con segni e sintomi che provocano dolore e discomfort. Gli interventi preventivi e di trattamento descritti in letteratura sono molteplici e spesso non tutti concordi soprattutto sull’uso dell’irrigazione vescicale. INTRODUZIONE Uno degli aspetti che catturano l’attenzione nelle Unità Operative di Urologia è la sintomatologia riferita dal paziente legata all’occlusione del catetere vescicale da coaguli post intervento chirurgico urologico: dolore acuto, spasmi vescicali, perdita di urina attorno al catetere, distensione della regione sovra pubica, tenesmo, ansia e agitazione, fino alla possibile rottura e perforazione della vescica. L’occlusione del catetere vescicale da coagulo è una possibile complicanza post-operatoria che interessa principalmente i pazienti urologici sottoposti ad intervento endoscopico alla prostata o alla vescica. Tale complicanza è il risultato finale di un’ematuria macroscopica persistente non adeguatamente trattata, che può causare una ritenzione urinaria acuta da coagulo e di conseguenza rientrare in un quadro clinico propriamente detto di uropatia ostruttiva. L’elevato rischio di sanguinamento post operatorio sembra essere associato all’infezione delle vie urinarie nel pre-operatorio, al tipo di intervento chirurgico, all’abilità dell’operatore, alla quantità di tessuto asportato e ad alterazioni delle coagulazione. Nella resezione trans-uretrale di prostata (Trans Urethral Resection of the Prostate- TURP) e nella resezione trans uretrale di neoplasia vescicale superficiale (Trans Urethral Resection of Bladder - TURB) l’occlusione del catetere vescicale da coagulo con ritenzione urinaria rappresenta una complicanza temibile e comune che richiede un intervento immediato. Tale problematica deve essere presidiata e monitorata dagli infermieri per poter evitare lo sviluppo di complicanze e garantire comfort al paziente. EPIDEMIOLOGIA La letteratura scientifica consultata dimostra come l’occlusione del catetere vescicale abbia un incidenza pari al 40-50 % nei pazienti portatori di catetere vescicale a lungo termine e, come quanto riportato da alcuni studi, più del 70% dei cateteri occlusi risultano essere incrostati e di questi oltre il 60% sono associati alla formazione di calcoli vescicali; è importante ricordare che questo evento si può verificare anche in seguito ad un attorcigliamento del catetere oppure ad un tamponamento di quest’ultimo contro la parete vescicale. Nonostante il problema descritto abbia un certo grado di rilevanza, l’incidenza dell’occlusione del catetere vescicale da coagulo post intervento urologico endoscopico non è nota tuttavia, in base alla letteratura selezionata, l’incidenza dell’occlusione del catetere vescica- Anno XXV n. 1 marzo 2014 Appr le dopo intervento di prostatectomia trans-uretrale (TURP) varia dal 3,3% in uno studio retrospettivo e multicentrico svolto negli Stati Uniti d’America al 4% in studio svolto in Belgio. OBIETTIVO 8 L’obiettivo dello studio è individuare, sia attraverso l’analisi della letteratura sia attraverso il confronto con operatori esperti, gli interventi efficaci per prevenire e trattare l’occlusione del catetere vescicale da coaguli nei pazienti urologici sottoposti ad intervento chirurgico endoscopico. MATERIALI E METODI Le informazioni ottenute sono frut- to di una revisione narrativa della letteratura costruita a partire dalla definizione di alcune parole chiave e consultando le principali banche dati online. Per la consultazione delle banche dati è stato utilizzato il quesito: “Nei pazienti urologici sottoposti ad interventi endoscopici, quali interventi risultano essere efficaci per prevenire e trattare l’occlusione del catetere vescicale da coaguli?”. È stata impostata una ricerca bibliografica utilizzando le principali banche dati on-line (PubMed; Cinahl; Cochrane; Embase) e le seguenti parole chiave: endoscopic urological surgery; Turp; Turv; Holep; hematuria; Urinary catheter; intervent; prevention; treatment; occlusion by clot; risk factors. Oltre alle banche dati online sono stati utilizzati materiali provenienti dalla letteratura grigia(siti internet, riviste non indicizzate). I contenuti emersi sono stati discussi in una intervista non strutturata con un medico e cinque infermieri esperti del Dipartimento di Urologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano; i temi maggiormente indagati nell’intervista sono stati quelli che in letteratura non hanno trovato riscontro o se presente questo era discordante: tipologia di irrigazione da utilizzare per la prevenzione dei coaguli e possibili complicanze; temperatura della soluzione di lavaggio per l’irrigazione continua. RISULTATI Figura 1 ofo ndim ent i Per la prevenzione e il trattamento dell’occlusione del catetere vescicale da coaguli, le evidenze scientifiche raccomandano una serie di tecniche e/o accorgimenti. PREVENZIONE La prima raccomandazione volta a prevenire l’occlusione, è incoraggiare l’assunzione da parte del paziente di almeno 2 Litri di acqua al giorno poiché cosi facendo si ottiene un aumento della quantità di urine e nel contempo si favorisce il deflusso dei coaguli dalla vescica. La letteratura scientifica raccomanda, inoltre, diverse modalità di irrigazione vescicale ognuna delle quali si svolge secondo criteri differenti. A tal proposito alcuni autori descrivono la confusione presente nella letteratura e in misura maggiore GLI INTERVENTI GESTITI DAGLI INFERMIERI PER RIDURRE I FATTORI DI RISCHIO CARDIACI NEGLI ADULTI Raccomandazioni • Gli ambulatori gestiti da infermieri riducono i fattori di rischio cardiaci negli adulti sani, così come in quelli con una malattia cardiaca riconosciuta o con fattori di rischio cardiaci noti. (Grado A) • L’utilità degli ambulatori gestiti da infermieri è particolarmente consigliata in relazione alla gestione della pressione sanguigna, alla riduzione del colesterolo, a una modificazione della dieta e ad un incremento dell’attività fisica. ( Grado A) • I benefici a lungo termine possono essere visti in alcuni outcome quali la modificazione della dieta ed ai livelli di colesterolo, mentre altri quali la sospensione del fumo non sono decisivi. È necessario intraprendere ulteriori ricerche per determinare quale sia il miglior supporto degli ambulatori gestiti da infermieri allo scopo di fare progredire un continuo miglioramento nelle misure sanitarie. ( Grado A) • E’ necessario stabilire,per ogni sistema sanitario, il rapporto costobeneficio degli interventi infermieristici rispetto agli interventi forniti dai medici di famiglia o dagli ospedali. ( Grado A) Fonte delle Informazioni Questo foglio informativo di Best Practice aggiorna e sostituisce il foglio informativo del Joanna Briggs Institute pubblicato nel 2 2005 che si basava su una revisione sistematica di 6 studi clinici randomizzati.3 Informazioni aggiuntive sono state derivate 4 da una revisione sistematica del 2007. In totale queste informazioni sono state derivate da 22 studi controllati randomizzati. Le bibliografie originali possono essere 3-4 reperite nelle revisioni sistematiche. BACKGROUND Negli ultimi anni c’è stato uno spostamento del focus nella gestione della malattia cronica dall’ospedale al territorio. Un’area emergente dell’assistenza sanitaria sul territorio è l’ambulatorio gestito dagli infermieri. Le strutture gestite da infermieri si focalizzano sulla promozione della salute e sull’educazione, piuttosto che il trattamento della malattia e sono ben accolte dai pazienti. Ci sono benefici anche per gli infermieri clinici, poiché gli ambulatori gestiti da infermieri forniscono un’opportunità per l’incremento dello sviluppo dell’autonomia professionale tra gli infermieri “practitioner”, in particolare negli ambiti delle malattie croniche come le terapie per il cancro, la gestione della continenza, il wound care, la sospensione del fumo e la malattia cardiaca coronarica (CHD). La malattia cardiaca coronarica è la maggior causa di malattia e morte negli Stati occidentali, un effetto che aumenta in probabilità con l’invecchiamento della popolazione. Molti degli studi inclusi erano stati condotti nel Regno Unito, dove c’è un’alta incidenza di CHD; comunque il processo di assistenza non è differente dalle altri Stati occidentali e gli outcomes sono considerati comparabili. Gli individui con CHD riconosciuta sono a più alto rischio di ulteriore esperienza di evento coronarico. Riconoscere e mantenere uno stile di vita salutare può contribuire significativamente a ridurre la mortalità cardiovascolare in questi perone. Nell’attuale clima economico e politico, la prima preoccupazione è l’ottimizzazione della gestione dei malati cronici. Fornire servizi gestiti da infermieri per distogliere i pazienti da ospedali affollati e dai setting di medicina generale è stato suggerito come una strada per mantenere la qualità dell’assistenza per pazienti con malattia cronica, come le CHD. Concettualmente,gli infermieri clinici hanno la potenzialità di contribuire alla riduzione dei fattori di rischio come conseguenza della loro famigliarità con i pazienti, della disponibilità a consulti prolungati e ad una capacità di fare interventi quando i pazienti sono pronti a cambiamenti piuttosto che durante una fase di crisi acuta. Gradi delle Raccomandazioni Questi Gradi di Raccomandazione sono basati sui Gradi di Significatività (Grades of 1 Meaningfulness) elaborati dal JBI nel 2006. Grado A Forte supporto che rende meritevole l’applicazione Grado B Moderato supporto che giustifica il prendere in considerazione l’applicazione Grado C Non supportato Definizioni Per gli obiettivi di questo foglio informativo sono state utilizzate le seguenti definizioni: General practice nurse ( infermiere di medicina generale) – un infermiere laureato o diplomato che fornisce assistenza infermieristica in un ambiente di medicina generale, sotto una certa supervisione dei medici generici che li hanno assunti. Malattia cardiaca coronarica (CHD)- un termine che copre un vasto assortimento di disturbi, includendo le malattie del muscolo cardiaco e del sistema vascolare del cuore, del cervello e degli altri organi. Le manifestazioni più comuni sono i disturbi ischemici cardiaci, l’insufficienza cardiaca congestizia e l’ictus. Fattori di rischio cardiaco- influenze dello stato di salute o di stile di vita che aumentano le possibilità di CHD. Fattori di rischio noti sono l’essere in sovrappeso, il fumo, elevati livelli di colesterolo, lo stile di vita sedentario e un alto consumo di alcool. Obiettivo Lo scopo di questo foglio informativo è di presentare le migliori evidenze disponibili per gli interventi negli ambulatori gestiti dagli infermieri che riducano sia i fattori di rischio negli adulti sani che in quelli con malattia cardiovascolare nota. Qualità della ricerca Queste revisioni consistono in evidenze di livello A essendo costituite da 22 studi controllati randomizzati (RCTs). Questo foglio informativo rappresenta una sintesi dei risultati di questi trial. Deve essere segnalato tuttavia che parecchi studi erano di piccole dimensioni e con periodi relativamente brevi di follow-up. Tipi di Intervento Gli interventi di interesse erano quelli relativi ad ampie aree di pratica, compresi gli ambulatori gestiti dagli infermieri per i pazienti a rischio di CHD. Essi includono una serie di strategie quali la auto valutazione individuale della salute, il counselling sullo stile di vita e il dare suggerimenti, l’educazione sanitaria, le visite di follow up, l’intervista motivazionale e la richiesta di consulenza. Altre aree specifiche di intervento erano sulla sospensione del fumo, sulla riduzione del consumo di alcolici e su programmi per la perdita di peso. Gli effetti degli interventi fatti da infermieri erano più comunemente confrontati con la “cura routinaria” sebbene questo non era sempre dettagliato in modo completo. Misure di outcome Gli outcome primari di interesse erano: la pressione sanguigna, il consumo di alcool, i livelli di colesterolo, la dieta, la quantità di attività fisica eseguita, lo stato di fumatore, la massa corporea. I risultati di questi outcomes sono riportati di seguito. Gli outcomes di interesse secondario includevano l’ansia, la depressione e la soddisfazione al trattamento. Ci sono alcune evidenze che suggeriscono come i pazienti con CHD nota mostrano una significativa riduzione dei sintomi auto riportati quali ansia e depressione seguendo le sedute educative fatte dagli infermieri e le interviste motivazionali, rispetto alle cure routinarie. Pressione sanguigna I partecipanti che ricevevano guida dagli infermieri sottoforma di interviste motivazionali, consulenze e un manuale educativo hanno ridotto la pressione del sangue sistolica e diastolica dopo 18 settimane indipendentemente dal loro stato di salute iniziale. Cinque trial ( 3 clinici e 2 sul territorio) hanno trovato una significativa riduzione della pressione sanguigna sia tra il gruppo degli interventi e dei controlli sia rispetto ai valori di partenza ai 12 mesi di follow-up. Anche la prescrizione di farmaci anti ipertensivi è sostanzialmente diminuita durante questo periodo. Due studi fornivano i dati con follw-up a 18 mesi e segnalavano non significative differenze tra i valori di pressione sistolica e diastolica per il gruppo degli interventi comparato con il controllo. Questi risultati suggeriscono che gli interventi infermieristici sono efficaci su un periodo di 12 mesi; comunque questo beneficio non è stato più osservato a 18 mesi. Consumo di alcool Gli effetti delle sedute educative gestite dagli infermieri sul consumo di alcool è stato valutato in 2 studi ed entrambi hanno trovato che i partecipanti- sia con fattori di rischio cardiologico noti che senza– diminuivano la loro assunzione di alcool in risposta alle sedute informativa gestite dagli infermieri. Questi risultati erano significativi a 18 settimane, ma non erano confermati a 12 mesi, 18 mesi o 4 anni. Massa corporea Gli studi che esaminavano la massa corporea di individui sovrappeso hanno riportato una diminuzione della percentuale del peso corporeo o di indice di massa corporea (BMI), oltre un terzo dei partecipanti sono dimagriti del 5% (Counterweight study, 2005). Non era chiaro in molti studi se la perdita di peso era mantenuta a lungo termine. Colesterolo Tre studi hanno dimostrato un significativo miglioramento nella media dei livelli del colesterolo a 3 mesi, 12 mesi e 4 anni. Uno studio ha trovato che quelli con livelli iniziali di colesterolo più alti mostravano un decremento più grande rispetto a quelli con valori di partenza più bassi. Potenzialmente questo riflette la capacità in questo gruppo di cambiare i fattori contribuenti come il consumo alimentare. Uno studio ha evidenziato che un gruppo guidato da infermieri mostrava una significativa riduzione del colesterolo totale, dell’alta e bassa densità della concentrazione delle lipoproteine rispetto al dato di base alla fine del trial a 6 mesi. Un altro studio confrontava i consigli di un infermiere clinico con l’assistenza standard. L’80% della compliance era ottenuta nel follow-up a 12 mesi nel gruppo sperimentale indicando una riduzione media del colesterolo sierico rispetto al gruppo di controllo. Questo era accompagnato ad un abbattimento della percentuale dei grassi sia totali che saturi. Dieta Quattro studi utilizzavano dei questionari compilati autonomamente, o un punteggio dei grassi o l’assunzione dei grassi saturi, hanno dimostrato un miglioramento generale nella dieta a seguito degli interventi gestiti dagli infermieri. Due studi sulla CHD hanno riportato un significativo miglioramento della dieta. Lo studio del Changed of Heart (2005) ha dimostrato un maggiore diminuzione nell’introduzione di grassi nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo. Due studi hanno riportato una riduzione significativa dell’introduzione di grassi saturi nel gruppo di intervento a 1 e a 4 anni, indicando un sostenibile cambiamento dello stile di vita. Attività fisica Gli studi che esaminavano l’impatto dell’intervento infermieristico sul livello di attività fisica hanno rilevato un generale incremento nella quantità di attività fisica riportata autonomamente dai partecipanti. Il counselling combinato con l’educazione infermieristica e l’opuscolo informativo portava ad un incremento delle distanze durante le camminate. Un’ alta o bassa interazione infermiere- paziente non ha effetto sull’attività fisica. Fumo L’efficacia degli interventi gestiti dagli infermieri sulla sospensione del fumo non è chiara ed è complicato dai metodi di selfreport. Uno studio ha riportato una significativa diminuzione delle quantità di sigarette fumate giornalmente nel gruppo sperimentale dopo 4 mesi ( studio Change of Heart). La riduzione del numero di sigarette fumate per giorno era mantenuto nel gruppo sperimentale a 1 anno, tuttavia non era significativamente diversa da quella dei controlli. C’erano discrepanze tra lo stato di fumatori riferito autonomamente e i risultati di laboratorio, in altre parole i partecipanti sia nel gruppo di controllo che in quello sperimentale continuavano a fumare nonostante affermassero di avere smesso. Conclusioni Ricerche più recenti non hanno modificato le raccomandazioni pubblicate nel 2005. L’importanza degli interventi infermieristici nella gestione della malattia cardiaca coronarica e la riduzione dei fattori di rischio è riconosciuta nei termini di migliorare gli outcome sanitari per i pazienti. Comunque, la variabilità nelle misure di outcome e i risultati inconsistenti di alcuni studi rendono difficile trarre conclusioni solide. Dei miglioramenti sono stati dimostrati negli outcome relativi a ansia e depressione, qualità della vita, salute generale e stile di vita includendo dieta e di attività fisica. Gli effetti benefici attribuiti agli ambulatori gestiti da infermieri erano anche rispetto alla riduzione della severità dell’angina, la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo, l’adesione al piano di cura e il cambiamento dello stile di vita. Di questi solo la pressione sanguigna, la massa corporea e i livelli di colesterolo erano misurati sui pazienti. Tutti gli altri outcome erano auto riportati dal paziente e devono essere interpretati con cautela. Deve essere sottolineato che la riduzione della pressione sanguigna era riportata a 12 mesi ma non a 18, indicando che gli interventi erano efficaci a breve e medio termine. Questo trend di successo a breve e medio termine è stato osservato anche con la riduzione della massa corporea. Devono essere implementati ulteriori metodi per avere cambiamenti a lungo termine. Miglioramenti nella dieta e sui livelli di colesterolo furono osservati fino a 4 anni dopo l’intervento, mostrando come gli interventi infermieristici possono avere benefici a lungo termine su outcome sanitari. L’efficacia degli interventi infermieristici sulla cessazione del fumo non sono chiari, ci sono alcune evidenze che suggeriscono che il numero di sigarette fumato diminuisce nel breve termine, comunque era una riduzione modesta che non si manteneva dopo 12 mesi. Non erano riportati esiti negativi rispetto agli ambulatori gestiti da infermieri in nessuno studio. Devono essere condotte ulteriori valutazioni dei contenuti e delle modalità di erogazione degli interventi infermieristici per massimizzare gli outcome positivi. Sono richieste ulteriori ricerche anche per valutare il rapporto costo/efficacia degli interventi infermieristici rispetto a quelli forniti dai medici di base o da altre figure sanitarie. Date le differenze tra i diversi sistemi sanitari a livello internazionale, gli studi di costo/efficacia devono tenere in considerazione le differenze dei singoli sistemi sanitari. Ringraziamenti Questo foglio informativo di Best Practice è stato redatto dal Joanna Briggs Institute con l’aiuto di un gruppo di revisori esperti: • Joan Harvey MSn RN CCRN, Ocean Medical Centre, New Jersey, USA • Assistant Professor Ricki Loar PhD ARNP FNP-BC GNP-BC, University of Oklahoma College of Nursing, USA In aggiunta questo foglio informativo di Best Practice è stato valutato da persone nominate dal Joanna Briggs Collaborating centres. Bibliografia Appr ofo ndim ent i nella pratica clinica circa la procedure di «Continuous Bladder Irrigation», «bladder washout», «bladder instillation». (fig.1) Tuttavia, nella pratica clinica e nella letteratura infermieristica si riscontra, ancora oggi, un utilizzo improprio e confusionario di questi termini. L’irrigazione vescicale continua, che prende il nome di «continuous bladder irrigation» in termini anglosassoni, consiste nella somministrazione di un fluido sterile all’interno della vescica con lo scopo di prevenire la formazione dei coaguli post intervento chirurgico endoscopico alla prostata o alla vescica e mantenere pervio il catetere evitando una ritenzione urinaria acuta da coagulo e complicanze ad essa associata. Essa viene utilizzata anche per il trattamento delle irritazioni, infiammazioni e infezioni della parete vescicale. Questo tipo di trattamento viene eseguito a scopo preventivo per i coaguli che possono formarsi in seguito ad un intervento urologico endoscopico, in quanto, sia la prostata che la vescica sono strutture altamente vascolarizzate e, dopo un intervento chirurgico alcuni vasi sanguigni possono rimanere aperti determinando il sanguinamento (che giustifica la presenza di sangue nelle urine) e di conseguenza la probabilità di formazione dei coaguli e di ritenzione urinaria. Le evidenze scientifiche raccomandano, per un utilizzo cor- Figura 2 retto dell’irrigazione vescicale continua: (fig.2) - due sacche composte da soluzione di sodio cloruro allo 0.9% (2-3 L ciascuna sacca) dotate di un connettore a Y la cui parte terminale è collegata al portale di irrigazione di un catetere vescicale a tre vie di grandi dimensioni di solito dai 20-24 French. E’ importan- te ricordare a tal proposito come il flusso d’irrigazione è direttamente proporzionale al calibro del catetere , quindi dato che con i cateteri vescicali a 3 vie si istituisce un sistema chiuso con la vescica , il flusso drenante non può essere massimizzato sé l’irrigazione è estremamente lenta. L’efficacia di un sistema irrigante-drenante quindi, dipende sia dalla velocità del liquido immesso, in questo caso in vescica, e sia dalla larghezza del lume del catetere (Legge di Poiseuille). - Una soluzione di sodio cloruro allo 0.9% la quale dovrebbe essere tenuta ed infusa a temperatura ambiente in quanto soluzioni calde, utilizzate per irrigare, potrebbero causare spasmi vescicali e dolore. Per Anno XXV n. 1 marzo 2014 Appr 14 quanto riguarda le soluzioni fredde la letteratura non fornisce informazioni; tuttavia gli operatori esperti sostengono che le irrigazioni fredde possono essere utilizzate in caso di grave ematuria per sfruttare il principio della vasocostrizione. Inoltre, affermano che le irrigazioni fredde dovrebbero essere utilizzate con parsimonia e dopo un attento accertamento delle condizioni cliniche del paziente, in relazione alle complicanze che esse possono comportare, quali malessere generale, ipotensione, nausea e vomito, sudorazione algida, ipotermia, e shock vagale, oltre ad una maggiore incidenza di spasmi vescicali rispetto alla somministrazione di soluzioni a temperatura ambiente. La letteratura sostiene che è l’azione meccanica dell’irrigazione che permette la rimozione dei coaguli piuttosto che la soluzione di sodio cloruro in quanto non sembra interferire né con il processo coagulativo né con il processo fibrinolitico (Scholtes, 2002); l’acqua non è raccomandata per l’irrigazione in quanto potrebbe essere assorbita, per osmosi, dalla vescica o dalla prostata e causare una diluizione degli elettroliti nel circolo ematico , infatti è utilizzata la soluzione di sodio cloruro allo 0.9% perché è isotonica, ovvero con caratteristiche osmolari molto simili a quelle del sangue umano). - un set, preferibile con clamps roller ball piuttosto che clamps on/off per meglio regolare il flusso di irrigazione in base alla perdita di sangue. Per quanto riguarda la ve- ofo ndim ent i locità di somministrazione del fluido di irrigazione la letteratura non suggerisce una velocità specifica, tuttavia alcuni autori affermano che essa dovrebbe essere regolata in base all’entità del sanguinamento e alle caratteristiche della vescica del paziente, quindi in base al colore del fluido presente nel drenaggio specificando che se quest’ultimo è molto ematico l’irrigazione dovrebbe essere eseguita molto velocemente perché la probabilità che si formino dei coaguli di sangue è elevata, mentre se il drenato risulta essere lievemente ematico per ventiquattro- quarantotto ore essa può essere eseguita in modo discontinuo. Tuttavia la letteratura scientifica, non specifica gli intervalli di tempo e la durata di esecuzione dell’irrigazione continua se il drenato risulta essere lievemente ematico. Nonostante l’irrigazione della vescica è di solito utilizzata per un tempo limitato, ad esempio per ventiquattro ore dopo TURP, questa pratica non è esente da rischi. Uno di questi è lo sviluppo di infezioni del tratto urinario dovute alla presenza del catetere vescicale; si renderà necessario quindi l’attuazione di strategie volte a prevenire la trasmissione dei microrganismi patogeni: igiene delle mani, igiene intima del paziente, adozione di un sistema chiuso, selezione di un catetere con calibro che sia conforme all’uretra del paziente, tecnica asettica per l’inserimento e la gestione/cura del catetere vescicale. Un’altra complicanza è l’ostruzione del catetere vescicale e/o del tubo di irrigazione per la formazione di coaguli e provocare ritenzione urinaria con conseguente dolore; inoltre può esserci sovraccarico di liquidi per l’aumento di pressione all’interno della vescica, causato dall’occlusione, e conseguente passaggio dei liquidi dalla cavità vescicale al circolo ematico Appr ofo ndim ent i attraverso vasi sanguigni che non si sono chiusi (Post-Tur Syndrome), e in casi rari la rottura della vescica. Per quanto riguarda l’incidenza delle complicanze appena descritte la letteratura scientifica consultata non fornisce dati in merito. Dal confronto con gli operatori emerge che la complicanza più temibile è l’occlusione del catetere vescicale da coagulo, tuttavia, essi affermano che quest’ ultima non è più così frequente, rispetto al passato, perché i notevoli miglioramenti della chirurgia endoscopica, sia in termini di strumentazione sia in termini di tecniche endoscopiche miniinvasive, ha portato ad una diminuzione dell’entità di sanguinamento nell’immediato post operatorio. Alcuni urologi mettono in discussione questo tipo di trattamento proprio alla luce delle complicanze e dei rischi che comporta. Pertanto in questo specifico caso, gli infermieri, che hanno la responsabilità di esercitare la miglior assistenza in termini di efficacia e qualità al paziente, devono garantire un flusso continuo della soluzione irrigante per tutta la durata del trattamento. Durante l’irrigazione vescicale, quindi, prese in considerazione le complicanze che possono derivare da questa manovra, l’infermiere deve essere in grado di individuare e monitorare i pazienti a rischio di occlusione vescicale da coagulo e saper attuare interventi efficaci per disostruire il catetere. TRATTAMENTO Occasionalmente può accadere che, nonostante l’adozione di interventi/ misure che prevengono l’occlusione del catetere vescicale post intervento chirurgico, un coagulo occluda la via di drenaggio del catetere e causi ritenzione urinaria acuta con l’insorgenza dei sintomi a essa associata. Se questo accade, è necessario interrompere immediatamente Anno XXV n. 1 marzo 2014 15 l’irrigazione onde causare ulteriore discomfort al paziente, il coagulo potrebbe essere rimosso attraverso una manovra di spremitura o mungitura del tubo di drenaggio del catetere, manovra eseguibile attraverso l’utilizzo di una pinza a rulli; se anche con questa manovra non si riesce a espellere il coagulo, si può tentare di rimuoverlo attraverso un «bladder washout». Ng (2001) sostiene, a tal proposito che l’irrigazione continua della vescica non elimina la necessità di effettuare dei «bladder washout» per rimuovere coaguli che si sono formati nonostante un’irrigazione vescicale in atto. Gli operatori sanitari sostengono a tal proposito che, ad oggi, le irrigazioni vescicali continue sono efficaci nel prevenire l’occlusione del catetere vescicale da coagulo, anche se la formazione dei coaguli e l’occlusione del catetere vescicale è possibile sia durante l’irrigazione vescicale continua sia dopo la sua sospensione, e questo dipende molto dall’entità del sanguinamento postoperatorio. L’irrigazione vescicale intermittente o «bladder washout», consiste nell’introduzione manuale, at- Anno XXV n. 1 marzo 2014 Appr 16 traverso una siringa non più piccola di 60ml, di un fluido sterile (una soluzione salina per la rimozione dei coaguli) all’interno della vescica che viene eseguita per prevenire o trattare l’ostruzione del catetere vescicale. Diversi autori sostengono la necessità di utilizzare il lavaggio vescicale con parsimonia, in quanto può causare infezioni del tratto urinario derivanti dalla violazione del sistema chiuso, e per questo è fondamentale l’utilizzo di materiali sterili e il ricorso ad una tecnica sterile, tuttavia esso è un trattamento necessario e inevitabile di fronte ad una chiara ostruzione del catetere vescicale da coaguli. Per quanto riguarda la velocità con cui il fluido deve essere introdotto in vescica, la letteratura consultata, non fornisce informazioni in merito, le linee guida EAUN (2012) sostengono di introdurre il fluido in vescica lentamente e di non esercitare una forte pressione in quanto la non adempienza a questa condizione può causare danni alla parete vescicale. Circa la frequenza di esecuzione del trattamento, Scholtes (2002) sostiene che la procedura può essere ripetuta fino ad ottenere un fluido di drenaggio chiaro. Hagen et al. (2010) affermano invece che, ad oggi, non esistono evidenze scientifiche che dimostrano i benefici concreti delle irrigazioni vescicali intermittenti ripetute nel tempo rispetto alla loro non esecuzione. Nonostante questa affermazione, le irrigazioni vescicali intermittenti (bladder washout) nella pratica clinica sono ancora raccomandate soprattutto in situazioni particolari, come la rimozione di incrostazioni oppure per la rimozione di coaguli di sangue dopo un intervento chirurgico urologico o nel trattamento palliativo di un ematuria intrattabile; alla luce di queste considerazioni, la decisione di attuare l’irrigazione vescicale intermittente è un opzione che potrebbe essere discussa con il paziente e con il team sanitario. Con il termine bladder instillation (instillazione vescicale), inve- ofo ndim ent i ce, si fa riferimento alla procedura che prevede l’introduzione di una soluzione preconfezionata (di solito circa 100ml) la cui somministrazione avviene per gravità; il fluido somministrato permane in vescica per un tempo specifico (di solito quindici minuti) e poi drenato per gravità. Le bladder instillation sembrano avere molteplici indicazioni, una di queste è trattare o prevenire le occlusioni dei cateteri vescicali. Le linee guida EAUN (2012) sostengono, inoltre, che l’irrigazione continua della vescica e l’instillazione di «soluzioni di mantenimento» (es. soluzione salina per i coaguli e soluzione di acido citrico per le incrostazioni) sono procedure che vengono adottate non per prevenire le infezioni associate alla cateterizzazione, ma potrebbero essere indicate in particolari circostanze come la gestione dei coaguli di sangue all’interno della vescica e del catetere vescicale. Studi in vitro hanno documentato che soluzioni come l’Alteplasi (attivatore tissutale del plasminogeno umano) o il Perossido d’Idrogeno a specifiche concentrazioni aumentano l’efficacia e l’efficienza dell’evacuazione dei coaguli rispetto all’utilizzo della soluzione di sodio cloruro 0.9%. Visti i limiti che uno studio in vitro comporta, sarà necessario valutare la sicurezza e l’efficacia di queste soluzioni attraverso studi in vivo su animale. CONCLUSIONE Dall’analisi eseguita risulta significativo l’impatto negativo che tale problematica riflette sul paziente, sia per quanto riguarda la ripresa delle ADL (Activity Daily Living) sia per quanto riguarda il comfort del paziente nel periodo successivo all’intervento. Appr ofo ndim ent i A tal proposito, l’infermiere gioca un ruolo fondamentale nel riconoscimento precoce di un’occlusione del catetere vescicale che avviene attraverso un’attenta valutazione ed interpretazione dei segni e sintomi tipici di questa problematica. I risultati ottenuti, suggeriscono che l’irrigazione continua della vescica è senz’altro, ad oggi, l’intervento più utilizzato per prevenire l’occlusione del catetere vescicale da coaguli, anche se la sua completa efficacia rimane un punto discutibile dato che, sia la letteratura che gli operatori sanitari esperti coinvolti, documentano che la complicanza più temibile che può avvenire durante tale procedura è l’occlusione vescicale da coagulo. A tal proposito la letteratura scientifica suggerisce di utilizzare uno strumento quale, la chart del bilancio idrico, in modo da identificare e prevenire complicanze associate a questo tipo di trattamento, e assicurare che le complicanze siano prevenute o minimizzate. Le evidenze scientifiche, in materia di prevenzione, affermano inoltre che un altro intervento, dimostratosi efficace nel prevenire l’occlusione del catetere vescicale è quello di incoraggiare il paziente a bere almeno 2 Litri di acqua al giorno in modo tale da diluire le urine, evitare la formazione di coaguli e al contempo favorire l’espulsione degli stessi. Si è notato invece che le irrigazioni vescicali intermittenti (bladder washout) e le instillazioni vescicali (bladder instillation) sono interventi che possono essere adottati principalmente per il trattamento dell’ occlusione del catetere vescicale con lo scopo di rimuovere i coaguli dalla vescica o dal catetere, quest’ultimi possono essere applicati anche a scopo preventivo ad esempio per prevenire le occlusioni da incrostazioni o per prevenire le occlusioni da coagulo di fronte a pazienti con ematuria intrattabile ai quali per ovvie ragioni, non è indicata l’irrigazione continua Anno XXV n. 1 della vescica. La letteratura presa in esame non riporta, ad oggi, altri tipi di interventi per prevenire e trattare l’occlusione del catetere vescicale da coagulo post intervento. A partire da questa revisione è stato possibile ricavare dati i quali dimostrano l’esistenza di interventi che possono essere adottati per prevenire e trattare l’occlusione del catetere vescicale da coagulo, e questi risultano essere già ad un buon livello di efficacia, tuttavia questo non esclude la necessità di un miglioramento continuo, che rappresenta il presupposto per garantire un’assistenza ottimale. Miglioramento che sarà possibile attraverso l’aggiornamento continuo relativamente a nuove linee guida, protocolli e a tecniche innovative. Partendo dai dati emersi da questa ricerca bibliografica, si potrebbero indagare ulteriormente i singoli interventi per misurarne l’efficacia, soprattutto relativamente alle questioni ancora aperte, ad esempio, la temperatura delle sacche di lavaggio, velocità specifica di somministrazione del fluido irrigante, gli intervalli di tempo e la durata di esecuzione dell’irrigazione continua se il drenato risulta essere lievemente ematico, marzo 2014 i benefici concreti delle irrigazioni vescicali intermittenti (bladder washout) ripetute nel tempo rispetto alla loro non esecuzione, l’uso di soluzioni irriganti alternative (es. Alteplase) che sembrano essere maggiormente efficaci in quanto hanno la capacità di sciogliere i coaguli più facilmente permettendo una migliore evacuazione degli stessi. Per la pratica infermieristica si suggeriscono l’elaborazione/divulgazione di specifiche linee guida o check-list in tutte le Unità Operative, e in particolar modo nei Dipartimenti di Urologia, le quali possono essere d’aiuto agli infermieri nell’individuazione precoce di un’occlusione del catetere vescicale da coagulo e nell’attuazione di interventi specifici finalizzati alla risoluzione del problema. Così facendo si potrà uniformare la pratica infermieristica nel decision making degli interventi utili ed efficaci per la prevenzione e il trattamento dell’occlusione vescicale da coagulo. Obiettivo cardine sarà eradicare una pratica infermieristica «routinaria» o basata sulla tradizione per far spazio ad una pratica conforme alle più recenti evidenze scientifiche. 17 Anno XXV n. 1 marzo 2014 BIBLIOGRAFIA 18 Bowden, E.A., Foley, S.J. (2001). Haematuria; a late complication of TURP?. Prostate Cancer Prostatic Disease, 4(3), 178-179. 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