Anno XXV
n. 1
marzo
2014
RAPPORTO ISTAT
“Noi Italia. 100 statistiche per
capire il Paese in cui viviamo”.
Fonte ISTAT
3
I
l rapporto presentato nei giorni
scorsi conferma che, rispetto ad
altri importanti Paesi dell’Ue,
l’Italia spende meno per la salute
dei propri cittadini. A certificarlo
è, ancora una volta, l’Istat che nei
giorni scorsi ha pubblicato “Noi
Italia. 100 statistiche per capire il
Paese in cui viviamo”, un rapporto
che offre un quadro d’insieme del
nostro Paese, della sua collocazione
nel contesto europeo e delle sue
differenze regionali. L’assistenza
sanitaria, insieme alla previdenza,
rappresenta un asse portante
del welfare. Obiettivo dei sistemi
sanitari nazionali è la promozione
e il miglioramento delle condizioni
di salute dei cittadini, da attuarsi
mediante iniziative di educazione,
prevenzione, diagnosi, cura e
riabilitazione.
Gli indicatori presi in considerazione
sono:
Spesa sanitaria pubblica
La spesa sanitaria pubblica corrente
dell’Italia risulta nel 2012 (dato
provvisorio) di circa 111 miliardi di
euro, pari al 7,0 per cento del Pil e a
1.867 euro annui per abitante.
Spesa sanitaria
delle famiglie
Nel 2011, le famiglie italiane hanno
contribuito con proprie risorse alla
spesa sanitaria complessiva per
una quota pari al 20,6 per cento, in
calo di oltre due punti percentuali
rispetto al 2001. La spesa sanitaria
delle famiglie rappresenta l’1,8 per
cento del Pil nazionale.
Offerta ospedaliera
Per il 2014 è stata pianificata
un’ulteriore consistente riduzione
del livello di finanziamento del
Servizio Sanitario Nazionale (SSN) (1
miliardo di euro a decorrere dall’anno
2014, ex legge n. 228/2012) e del
numero dei posti letto ospedalieri
che a regime dovrebbe attestarsi a
3,7 posti letto ogni mille abitanti (di
cui lo 0,7 riservato alla riabilitazione
e alla lungodegenza, ex legge
135/2012). A queste riduzioni si
aggiunge la revisione dello standard
di riferimento pro capite per l’attività
di ricovero ospedaliero, passato da
180 a 160 ricoveri ogni mille abitanti
(di cui il 25 per cento fa riferimento
ai ricoveri diurni).
Mobilità ospedaliera
Nel complesso, le regioni sono
interessate da circa 588 mila ricoveri
ospedalieri (o dimissioni) di pazienti
non residenti (8,4 per cento del
totale dei ricoveri ordinari per “acuti”
nel 2011) e da oltre 523 mila ricoveri
effettuati dai pazienti in una regione
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
rappresentano la principale causa
di morte in Italia e nel gruppo dei
27 paesi dell’Ue. Negli ultimi anni
in Italia, dove il livello di mortalità è
tra i più bassi d’Europa, i tassi sono
diminuiti in modo diffuso su tutto il
territorio raggiungendo nel 2010 il
valore di 30,4 decessi ogni diecimila
abitanti rispetto al 31,9 osservato
nel 2009. Gli uomini, con un tasso di
37,3 decessi per diecimila abitanti,
risultano svantaggiati rispetto alle
donne (25,6).
4
Mortalità per tumori
diversa da quella di residenza (7,6
per cento, riferito ai soli residenti in
Italia). Le motivazioni che conducono
ad effettuare il ricovero lontano dalla
propria residenza sono diverse. Gli
indici di mobilità più alti, superiori
al 20 per cento, si registrano nelle
Regioni più piccole: Basilicata, Valle
d’Aosta e Molise. I principali poli di
attrazione sono concentrati nelle
regioni del Centro-Nord.
Ospedalizzazione
per tumori e malattie
del sistema circolatorio
I tumori e le malattie del sistema
circolatorio sono le patologie per cui
è più frequente il ricorso all’ospedale
e anche quelle per cui è più elevata
la mortalità. I ricoveri in regime
ordinario (con pernottamento) per
queste diagnosi sono diminuiti nel
tempo. Tale diminuzione è stata più
rilevante per le malattie del sistema
circolatorio (-21,5 per cento tra 1999
e 2011) che per i tumori (-16,3 per
cento).
Mortalità infantile
A partire dal 2000 il valore di questo
indicatore ha continuato a diminuire
su tutto il territorio italiano,
raggiungendo valori tra i più bassi
in Europa, anche se negli anni più
recenti si assiste ad un rallentamento
di questo trend. Permangono, inoltre,
differenze territoriali che vedono il
Mezzogiorno penalizzato. Nel 2010,
il tasso di mortalità infantile è di 3,3
decessi per mille nati vivi, valore di
poco inferiore a quello osservato nel
2009 (3,4).
Mortalità per malattie
del sistema circolatorio
Le malattie del sistema circolatorio,
tipiche delle età adulte e senili,
Nel 2010 il tasso standardizzato di
mortalità per tumori in Italia è pari a
25,9 decessi ogni diecimila abitanti,
in leggero calo rispetto al valore di
26,3 del 2009. I livelli di mortalità
per tumori sono maggiori negli
uomini (35,5) rispetto alle donne
(19,3) sebbene la mortalità degli
uomini stia diminuendo nel tempo
più rapidamente di quella delle
donne.
Fumo, alcol, obesità
In Italia, nel 2012, con riferimento
alla popolazione di 14 anni e più,
i fumatori rappresentano il 21,9
per cento, i consumatori di alcol
a rischio il 14,1 per cento, mentre
la prevalenza delle persone obese
ammonta al 10,4 per cento della
popolazione adulta di 18 anni e più.
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
Rapporto della Federazione
Europea delle Associazioni
Infermieristiche
Fonte ISTAT
5
L
a Federazione Europea
delle
Associazioni
Infermieristiche,
ha
pubblicato un nuovo rapporto
che analizza paese per paese
l’impatto della crisi economica
sugli infermieri e sul settore
infermieristico in Europa. Il
rapporto mostra quali sono le sfide
che la professione infermieristica
deve fronteggiare ora, e quali
dovrà fronteggiare in futuro, e
analizza quali siano le dinamiche
specifiche di ogni paese.
“Gli effetti della crisi economica
sugli infermieri e il settore sono
visibili: una effettiva riduzione
dei posti di lavoro in tutta Europa,
tagli agli stipendi degli infermieri,
congelamento dei salari, minori
percentuali di assunzioni e di
mantenimento dei posti di lavoro
e casi in cui si è dovuti scendere
a compromessi relativamente alla
qualità delle cure e alla salute dei
pazienti. In tutta Europa tutto
ciò si è tradotto in maggiore
lavoro per gli infermieri per poter
mantenere gli standard di qualità,
allo stesso tempo si richiede agli
infermieri stessi di lavorare di più
e guadagnare di meno. Mancanza
di attrezzature, forniture ridotte
e personale inadeguato fanno
sì che in tutta Europa la vita dei
pazienti sia messa in pericolo
quotidianamente. Per far sì che
gli infermieri possano mantenere
alti gli standard di qualità, devono
essere intraprese azioni concrete
per migliorare le condizioni di
lavoro e la formazione degli
infermieri.
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
Studio internazionale dell’University
of Pennsylvania School of Nursing:
più rischi per i pazienti se gli infermieri
sono pochi e lavorano troppo
6
Fonte??
I
l decorso post operatorio e la
vita dei pazienti sono a rischio
se nel reparto ci sono pochi
infermieri che lavorano troppo. E’
quanto ha stabilito la più grande
indagine europea condotta fino a
oggi su 420 mila pazienti in 300
ospedali di 9 Paesi Ue.
I ricercatori hanno analizzato le
risposte di oltre 26.500 infermieri
a un questionario e le cartelle
cliniche di 422.730 pazienti (over
50) di nove Paesi Ue (Belgio,
Inghilterra, Finlandia, Irlanda,
Paesi Bassi, Norvegia, Spagna,
Svezia e Svizzera) dimessi dopo un
intervento di chirurgia generale.
Dalla protesi dell’anca o del
ginocchio a un’appendicectomia,
fino alle procedure vascolari.
L’analisi dei dati ha esaminato
l’associazione del carico di lavoro
per le cura e l’assistenza degli
infermieri con i risultati ottenuti
dal paziente nel post operatorio.
Secondo i ricercatori, la percentuale
complessiva di pazienti deceduti
in ospedale entro 30 giorni dal
ricovero è bassa, variando entro
una media che va dall’1 al 5%.
Tuttavia, in ogni Paese, i tassi di
mortalità cambiano notevolmente
tra i singoli ospedali: in alcune
strutture è deceduto meno dell’1
% dei pazienti, ma in altre si può
arrivare oltre il 7 % di decessi.
I risultati - suggeriscono i
ricercatori - dimostrano che
chi è ricoverato in ospedale per
un’operazione, ha un più alto
rischio di decesso dopo l’intervento
se gli infermieri del reparto hanno
bassi livelli d’istruzione e seguono
troppi pazienti.
«I nostri risultati - sottolinea
Linda Aiken dell’University of
Pennsylvania School of Nursing
- sottolineano un rischio
per i pazienti che potrebbe
emergere con i tagli al personale
infermieristico,
una
delle
conseguenze delle recenti misure
di austerità in alcuni paesi Ue. E aggiunge - suggeriscono di dare
maggior spazio negli ospedali a
chi è in possesso di una laurea,
che abbiamo visto influisce nel
ridurre le morti in ospedale».
A
of
ppr
ond
nt
ime
i
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
L’occlusione del catetere vescicale
da coaguli nei pazienti sottoposti
ad intervento urologico endoscopico:
prevenzione e trattamento
7
A cura di Francesco Del Mastro
ABSTRACT
L’occlusione del catetere vescicale da
coagulo rappresenta una complicanza che interessa principalmente
i pazienti sottoposti ad intervento
chirurgico urologico endoscopico alla
prostata o alla vescica; il paziente che
sperimenta questo tipo di complicanza si presenta con segni e sintomi
che provocano dolore e discomfort.
Gli interventi preventivi e di trattamento descritti in letteratura sono
molteplici e spesso non tutti concordi
soprattutto sull’uso dell’irrigazione
vescicale.
INTRODUZIONE
Uno degli aspetti che catturano l’attenzione nelle Unità Operative di
Urologia è la sintomatologia riferita
dal paziente legata all’occlusione
del catetere vescicale da coaguli
post intervento chirurgico urologico: dolore acuto, spasmi vescicali,
perdita di urina attorno al catetere,
distensione della regione sovra pubica, tenesmo, ansia e agitazione,
fino alla possibile rottura e perforazione della vescica.
L’occlusione del catetere vescicale da coagulo è una possibile
complicanza post-operatoria che
interessa principalmente i pazienti
urologici sottoposti ad intervento
endoscopico alla prostata o alla vescica. Tale complicanza è il risultato
finale di un’ematuria macroscopica
persistente non adeguatamente
trattata, che può causare una ritenzione urinaria acuta da coagulo
e di conseguenza rientrare in un
quadro clinico propriamente detto di uropatia ostruttiva. L’elevato rischio di sanguinamento post
operatorio sembra essere associato
all’infezione delle vie urinarie nel
pre-operatorio, al tipo di intervento
chirurgico, all’abilità dell’operatore,
alla quantità di tessuto asportato e
ad alterazioni delle coagulazione.
Nella resezione trans-uretrale di
prostata (Trans Urethral Resection of
the Prostate- TURP) e nella resezione
trans uretrale di neoplasia vescicale
superficiale (Trans Urethral Resection of Bladder - TURB) l’occlusione
del catetere vescicale da coagulo
con ritenzione urinaria rappresenta
una complicanza temibile e comune
che richiede un intervento immediato.
Tale problematica deve essere presidiata e monitorata dagli infermieri per poter evitare lo sviluppo di
complicanze e garantire comfort al
paziente.
EPIDEMIOLOGIA
La letteratura scientifica consultata
dimostra come l’occlusione del catetere vescicale abbia un incidenza
pari al 40-50 % nei pazienti portatori di catetere vescicale a lungo
termine e, come quanto riportato
da alcuni studi, più del 70% dei
cateteri occlusi risultano essere incrostati e di questi oltre il 60% sono
associati alla formazione di calcoli
vescicali; è importante ricordare
che questo evento si può verificare
anche in seguito ad un attorcigliamento del catetere oppure ad un
tamponamento di quest’ultimo
contro la parete vescicale.
Nonostante il problema descritto
abbia un certo grado di rilevanza,
l’incidenza dell’occlusione del catetere vescicale da coagulo post
intervento urologico endoscopico
non è nota tuttavia, in base alla
letteratura selezionata, l’incidenza
dell’occlusione del catetere vescica-
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
Appr
le dopo intervento di prostatectomia trans-uretrale (TURP) varia dal
3,3% in uno studio retrospettivo e
multicentrico svolto negli Stati Uniti
d’America al 4% in studio svolto in
Belgio.
OBIETTIVO
8
L’obiettivo dello studio è individuare, sia attraverso l’analisi della letteratura sia attraverso il confronto
con operatori esperti, gli interventi
efficaci per prevenire e trattare
l’occlusione del catetere vescicale
da coaguli nei pazienti urologici
sottoposti ad intervento chirurgico
endoscopico.
MATERIALI E METODI
Le informazioni ottenute sono frut-
to di una revisione narrativa della
letteratura costruita a partire dalla
definizione di alcune parole chiave
e consultando le principali banche
dati online.
Per la consultazione delle banche
dati è stato utilizzato il quesito:
“Nei pazienti urologici sottoposti
ad interventi endoscopici, quali interventi risultano essere efficaci per
prevenire e trattare l’occlusione del
catetere vescicale da coaguli?”. È
stata impostata una ricerca bibliografica utilizzando le principali banche dati on-line (PubMed; Cinahl;
Cochrane; Embase) e le seguenti
parole chiave: endoscopic urological
surgery; Turp; Turv; Holep; hematuria; Urinary catheter; intervent;
prevention; treatment; occlusion by
clot; risk factors. Oltre alle banche
dati online sono stati utilizzati materiali provenienti dalla letteratura
grigia(siti internet, riviste non indicizzate). I contenuti emersi sono
stati discussi in una intervista non
strutturata con un medico e cinque
infermieri esperti del Dipartimento
di Urologia dell’Ospedale San
Raffaele di Milano; i temi
maggiormente indagati nell’intervista sono stati quelli che in letteratura non hanno trovato riscontro o
se presente questo era discordante:
tipologia di irrigazione da utilizzare per la prevenzione dei coaguli e
possibili complicanze;
temperatura della soluzione di lavaggio per l’irrigazione continua.
RISULTATI
Figura 1
ofo
ndim
ent
i
Per la prevenzione e il trattamento
dell’occlusione del catetere vescicale da coaguli, le evidenze scientifiche raccomandano una serie di
tecniche e/o accorgimenti.
PREVENZIONE
La prima raccomandazione volta a
prevenire l’occlusione, è incoraggiare l’assunzione da parte del paziente di almeno 2 Litri di acqua al giorno poiché cosi facendo si ottiene un
aumento della quantità di urine e
nel contempo si favorisce il deflusso
dei coaguli dalla vescica.
La letteratura scientifica raccomanda, inoltre, diverse modalità di
irrigazione vescicale ognuna delle
quali si svolge secondo criteri differenti.
A tal proposito alcuni autori descrivono la confusione presente nella
letteratura e in misura maggiore
GLI INTERVENTI GESTITI DAGLI INFERMIERI PER RIDURRE I FATTORI DI
RISCHIO CARDIACI NEGLI ADULTI
Raccomandazioni
• Gli ambulatori gestiti da infermieri
riducono i fattori di rischio cardiaci
negli adulti sani, così come in quelli
con una malattia cardiaca
riconosciuta o con fattori di rischio
cardiaci noti. (Grado A)
• L’utilità degli ambulatori gestiti da
infermieri è particolarmente
consigliata in relazione alla gestione
della pressione sanguigna, alla
riduzione del colesterolo, a una
modificazione della dieta e ad un
incremento dell’attività fisica. ( Grado
A)
• I benefici a lungo termine possono
essere visti in alcuni outcome quali la
modificazione della dieta ed ai livelli
di colesterolo, mentre altri quali la
sospensione del fumo non sono
decisivi. È necessario intraprendere
ulteriori ricerche per determinare
quale sia il miglior supporto degli
ambulatori gestiti da infermieri allo
scopo di fare progredire un continuo
miglioramento nelle misure sanitarie.
( Grado A)
• E’ necessario stabilire,per ogni
sistema sanitario, il rapporto costobeneficio degli interventi infermieristici
rispetto agli interventi forniti dai
medici di famiglia o dagli ospedali. (
Grado A)
Fonte delle Informazioni
Questo foglio informativo di Best Practice
aggiorna e sostituisce il foglio informativo
del Joanna Briggs Institute pubblicato nel
2
2005 che si basava su una revisione
sistematica di 6 studi clinici randomizzati.3
Informazioni aggiuntive sono state derivate
4
da una revisione sistematica del 2007. In
totale queste informazioni sono state
derivate da 22 studi controllati randomizzati.
Le bibliografie originali possono essere
3-4
reperite nelle revisioni sistematiche.
BACKGROUND
Negli ultimi anni c’è stato uno spostamento
del focus nella gestione della malattia
cronica dall’ospedale al territorio. Un’area
emergente dell’assistenza sanitaria sul
territorio è l’ambulatorio gestito dagli
infermieri. Le strutture gestite da infermieri si
focalizzano sulla promozione della salute e
sull’educazione, piuttosto che il trattamento
della malattia e sono ben accolte dai
pazienti. Ci sono benefici anche per gli
infermieri clinici, poiché gli ambulatori gestiti
da infermieri forniscono un’opportunità per
l’incremento dello sviluppo dell’autonomia
professionale tra gli infermieri
“practitioner”, in particolare negli ambiti delle
malattie croniche come le terapie per il
cancro, la gestione della continenza, il
wound care, la sospensione del fumo e la
malattia cardiaca coronarica (CHD).
La malattia cardiaca coronarica è la
maggior causa di malattia e morte negli
Stati occidentali, un effetto che aumenta
in probabilità con l’invecchiamento della
popolazione. Molti degli studi inclusi
erano stati condotti nel Regno Unito,
dove c’è un’alta incidenza di CHD;
comunque il processo di assistenza non
è differente dalle altri Stati occidentali e
gli outcomes sono considerati
comparabili. Gli individui con CHD
riconosciuta sono a più alto rischio di
ulteriore esperienza di evento coronarico.
Riconoscere e mantenere uno stile di vita
salutare può contribuire
significativamente a ridurre la mortalità
cardiovascolare in questi perone.
Nell’attuale clima economico e politico, la
prima preoccupazione è l’ottimizzazione
della gestione dei malati cronici. Fornire
servizi gestiti da infermieri per distogliere
i pazienti da ospedali affollati e dai
setting di medicina generale è stato
suggerito come una strada per
mantenere la qualità dell’assistenza per
pazienti con malattia cronica, come le
CHD. Concettualmente,gli infermieri
clinici hanno la potenzialità di contribuire
alla riduzione dei fattori di rischio come
conseguenza della loro famigliarità con i
pazienti, della disponibilità a consulti
prolungati e ad una capacità di fare
interventi quando i pazienti sono pronti a
cambiamenti piuttosto che durante una
fase di crisi acuta.
Gradi delle Raccomandazioni
Questi Gradi di Raccomandazione sono basati sui Gradi di Significatività (Grades of
1
Meaningfulness) elaborati dal JBI nel 2006.
Grado A Forte supporto che rende meritevole l’applicazione
Grado B Moderato supporto che giustifica il prendere in considerazione
l’applicazione
Grado C Non supportato
Definizioni
Per gli obiettivi di questo foglio
informativo sono state utilizzate le
seguenti definizioni:
General practice nurse ( infermiere di
medicina generale) – un infermiere
laureato o diplomato che fornisce
assistenza infermieristica in un ambiente
di medicina generale, sotto una certa
supervisione dei medici generici che li
hanno assunti.
Malattia cardiaca coronarica (CHD)- un
termine che copre un vasto assortimento
di disturbi, includendo le malattie del
muscolo cardiaco e del sistema vascolare
del cuore, del cervello e degli altri organi.
Le manifestazioni più comuni sono i
disturbi ischemici cardiaci, l’insufficienza
cardiaca congestizia e l’ictus.
Fattori di rischio cardiaco- influenze dello
stato di salute o di stile di vita che
aumentano le possibilità di CHD. Fattori
di rischio noti sono l’essere in
sovrappeso, il fumo, elevati livelli di
colesterolo, lo stile di vita sedentario e un
alto consumo di alcool.
Obiettivo
Lo scopo di questo foglio informativo è di
presentare le migliori evidenze disponibili
per gli interventi negli ambulatori gestiti
dagli infermieri che riducano sia i fattori di
rischio negli adulti sani che in quelli con
malattia cardiovascolare nota.
Qualità della ricerca
Queste revisioni consistono in evidenze
di livello A essendo costituite da 22 studi
controllati randomizzati (RCTs). Questo
foglio informativo rappresenta una sintesi
dei risultati di questi trial. Deve essere
segnalato tuttavia che parecchi studi
erano di piccole dimensioni e con periodi
relativamente brevi di follow-up.
Tipi di Intervento
Gli interventi di interesse erano quelli
relativi ad ampie aree di pratica, compresi
gli ambulatori gestiti dagli infermieri per i
pazienti a rischio di CHD. Essi includono
una serie di strategie quali la auto
valutazione individuale della salute, il
counselling sullo stile di vita e il dare
suggerimenti, l’educazione sanitaria, le
visite di follow up, l’intervista
motivazionale e la richiesta di
consulenza. Altre aree specifiche di
intervento erano sulla sospensione del
fumo, sulla riduzione del consumo di
alcolici e su programmi per la perdita di
peso. Gli effetti degli interventi fatti da
infermieri erano più comunemente
confrontati con la “cura routinaria”
sebbene questo non era sempre
dettagliato in modo completo.
Misure di outcome
Gli outcome primari di interesse erano: la
pressione sanguigna, il consumo di
alcool, i livelli di colesterolo, la dieta, la
quantità di attività fisica eseguita, lo stato
di fumatore, la massa corporea. I risultati
di questi outcomes sono riportati di
seguito. Gli outcomes di interesse
secondario includevano l’ansia, la
depressione e la soddisfazione al
trattamento. Ci sono alcune evidenze che
suggeriscono come i pazienti con CHD
nota mostrano una significativa riduzione
dei sintomi auto riportati quali ansia e
depressione seguendo le sedute
educative fatte dagli infermieri e le
interviste motivazionali, rispetto alle cure
routinarie.
Pressione sanguigna
I partecipanti che ricevevano guida dagli
infermieri sottoforma di interviste
motivazionali, consulenze e un manuale
educativo hanno ridotto la pressione del
sangue sistolica e diastolica dopo 18
settimane indipendentemente dal loro
stato di salute iniziale. Cinque trial ( 3
clinici e 2 sul territorio) hanno trovato una
significativa riduzione della pressione
sanguigna sia tra il gruppo degli interventi
e dei controlli sia rispetto ai valori di
partenza ai 12 mesi di follow-up. Anche la
prescrizione di farmaci anti ipertensivi è
sostanzialmente diminuita durante questo
periodo.
Due studi fornivano i dati con follw-up a
18 mesi e segnalavano non significative
differenze tra i valori di pressione sistolica
e diastolica per il gruppo degli interventi
comparato con il controllo. Questi risultati
suggeriscono che gli interventi
infermieristici sono efficaci su un periodo
di 12 mesi; comunque questo beneficio
non è stato più osservato a 18 mesi.
Consumo di alcool
Gli effetti delle sedute educative gestite
dagli infermieri sul consumo di alcool è
stato valutato in 2 studi ed entrambi
hanno trovato che i partecipanti- sia con
fattori di rischio cardiologico noti che
senza– diminuivano la loro assunzione di
alcool in risposta alle sedute informativa
gestite dagli infermieri. Questi risultati
erano significativi a 18 settimane, ma non
erano confermati a 12 mesi, 18 mesi o 4
anni.
Massa corporea
Gli studi che esaminavano la massa
corporea di individui sovrappeso hanno
riportato una diminuzione della
percentuale del peso corporeo o di indice
di massa corporea (BMI), oltre un terzo
dei partecipanti sono dimagriti del 5%
(Counterweight study, 2005). Non era
chiaro in molti studi se la perdita di peso
era mantenuta a lungo termine.
Colesterolo
Tre studi hanno dimostrato un
significativo miglioramento nella media
dei livelli del colesterolo a 3 mesi, 12 mesi
e 4 anni. Uno studio ha trovato che quelli
con livelli iniziali di colesterolo più alti
mostravano un decremento più grande
rispetto a quelli con valori di partenza più
bassi. Potenzialmente questo riflette la
capacità in questo gruppo di cambiare i
fattori contribuenti come il consumo
alimentare. Uno studio ha evidenziato che
un gruppo guidato da infermieri mostrava
una significativa riduzione del colesterolo
totale, dell’alta e bassa densità della
concentrazione delle lipoproteine rispetto
al dato di base alla fine del trial a 6 mesi.
Un altro studio confrontava i consigli di un
infermiere clinico con l’assistenza
standard. L’80% della compliance era
ottenuta nel follow-up a 12 mesi nel
gruppo sperimentale indicando una
riduzione media del colesterolo sierico
rispetto al gruppo di controllo. Questo era
accompagnato ad un abbattimento della
percentuale dei grassi sia totali che
saturi.
Dieta
Quattro studi utilizzavano dei questionari
compilati autonomamente, o un punteggio
dei grassi o l’assunzione dei grassi
saturi, hanno dimostrato un
miglioramento generale nella dieta a
seguito degli interventi gestiti dagli
infermieri. Due studi sulla CHD hanno
riportato un significativo miglioramento
della dieta. Lo studio del Changed of
Heart (2005) ha dimostrato un maggiore
diminuzione nell’introduzione di grassi nel
gruppo di intervento rispetto al gruppo di
controllo. Due studi hanno riportato una
riduzione significativa dell’introduzione di
grassi saturi nel gruppo di intervento a 1 e
a 4 anni, indicando un sostenibile
cambiamento dello stile di vita.
Attività fisica
Gli studi che esaminavano l’impatto
dell’intervento infermieristico sul livello di
attività fisica hanno rilevato un generale
incremento nella quantità di attività fisica
riportata autonomamente dai partecipanti.
Il counselling combinato con l’educazione
infermieristica e l’opuscolo informativo
portava ad un incremento delle distanze
durante le camminate. Un’ alta o bassa
interazione infermiere- paziente non ha
effetto sull’attività fisica.
Fumo
L’efficacia degli interventi gestiti dagli
infermieri sulla sospensione del fumo non
è chiara ed è complicato dai metodi di selfreport. Uno studio ha riportato una
significativa diminuzione delle quantità di
sigarette fumate giornalmente nel gruppo
sperimentale dopo 4 mesi ( studio Change
of Heart). La riduzione del numero di
sigarette fumate per giorno era mantenuto
nel gruppo sperimentale a 1 anno, tuttavia
non era significativamente diversa da
quella dei controlli.
C’erano discrepanze tra lo stato di
fumatori riferito autonomamente e i risultati
di laboratorio, in altre parole i partecipanti
sia nel gruppo di controllo che in quello
sperimentale continuavano a fumare
nonostante affermassero di avere smesso.
Conclusioni
Ricerche più recenti non hanno modificato
le raccomandazioni pubblicate nel 2005.
L’importanza degli interventi infermieristici
nella gestione della malattia cardiaca
coronarica e la riduzione dei fattori di
rischio è riconosciuta nei termini di
migliorare gli outcome sanitari per i
pazienti. Comunque, la variabilità nelle
misure di outcome e i risultati inconsistenti
di alcuni studi rendono difficile trarre
conclusioni solide. Dei miglioramenti sono
stati dimostrati negli outcome relativi a
ansia e depressione, qualità della vita,
salute generale e stile di vita includendo
dieta e di attività fisica.
Gli effetti benefici attribuiti agli ambulatori
gestiti da infermieri erano anche rispetto
alla riduzione della severità dell’angina, la
pressione sanguigna, i livelli di colesterolo,
l’adesione al piano di cura e il
cambiamento dello stile di vita. Di questi
solo la pressione sanguigna, la massa
corporea e i livelli di colesterolo erano
misurati sui pazienti. Tutti gli altri outcome
erano auto riportati dal paziente e devono
essere interpretati con cautela. Deve
essere sottolineato che la riduzione della
pressione sanguigna era riportata a 12
mesi ma non a 18, indicando che gli
interventi erano efficaci a breve e medio
termine. Questo trend di successo a breve
e medio termine è stato osservato anche
con la riduzione della massa corporea.
Devono essere implementati ulteriori
metodi per avere cambiamenti a lungo
termine. Miglioramenti nella dieta e sui
livelli di colesterolo furono osservati fino a
4 anni dopo l’intervento, mostrando come
gli interventi infermieristici possono avere
benefici a lungo termine su outcome
sanitari.
L’efficacia degli interventi infermieristici
sulla cessazione del fumo non sono chiari,
ci sono alcune evidenze che suggeriscono
che il numero di sigarette fumato
diminuisce nel breve termine, comunque
era una riduzione modesta che non si
manteneva dopo 12 mesi.
Non erano riportati esiti negativi rispetto
agli ambulatori gestiti da infermieri in
nessuno studio.
Devono essere condotte ulteriori
valutazioni dei contenuti e delle modalità di
erogazione degli interventi infermieristici
per massimizzare gli outcome positivi.
Sono richieste ulteriori ricerche anche per
valutare il rapporto costo/efficacia degli
interventi infermieristici rispetto a quelli
forniti dai medici di base o da altre figure
sanitarie. Date le differenze tra i diversi
sistemi sanitari a livello internazionale, gli
studi di costo/efficacia devono tenere in
considerazione le differenze dei singoli
sistemi sanitari.
Ringraziamenti
Questo foglio informativo di Best
Practice è stato redatto dal Joanna
Briggs Institute con l’aiuto di un
gruppo di revisori esperti:
•
Joan Harvey MSn RN CCRN,
Ocean Medical Centre, New
Jersey, USA
•
Assistant Professor Ricki Loar
PhD ARNP FNP-BC GNP-BC,
University of Oklahoma College
of Nursing, USA
In aggiunta questo foglio informativo
di Best Practice è stato valutato da
persone nominate dal Joanna Briggs
Collaborating centres.
Bibliografia
Appr
ofo
ndim
ent
i
nella pratica clinica circa la procedure di «Continuous Bladder Irrigation», «bladder washout», «bladder
instillation». (fig.1)
Tuttavia, nella pratica clinica e
nella letteratura infermieristica si
riscontra, ancora oggi, un utilizzo
improprio e confusionario di questi
termini.
L’irrigazione vescicale continua,
che prende il nome di «continuous
bladder irrigation» in termini anglosassoni, consiste nella somministrazione di un fluido sterile all’interno
della vescica con lo scopo di prevenire la formazione dei coaguli post
intervento chirurgico endoscopico
alla prostata o alla vescica e mantenere pervio il catetere evitando una
ritenzione urinaria acuta da coagulo e complicanze ad essa associata.
Essa viene utilizzata anche per il
trattamento delle irritazioni, infiammazioni e infezioni della parete
vescicale. Questo tipo di trattamento viene eseguito a scopo preventivo
per i coaguli che possono formarsi
in seguito ad un intervento urologico endoscopico, in quanto, sia la
prostata che la vescica sono strutture altamente vascolarizzate e, dopo
un intervento chirurgico alcuni vasi
sanguigni possono rimanere aperti
determinando il sanguinamento
(che giustifica la presenza di sangue
nelle urine) e di conseguenza la probabilità di formazione dei coaguli e
di ritenzione urinaria.
Le evidenze scientifiche raccomandano, per un utilizzo cor-
Figura 2
retto dell’irrigazione vescicale
continua: (fig.2)
- due sacche composte da soluzione di sodio cloruro allo
0.9% (2-3 L ciascuna sacca) dotate di un connettore a Y la cui
parte terminale è collegata al
portale di irrigazione di un catetere vescicale a tre vie di
grandi dimensioni di solito
dai 20-24 French. E’ importan-
te ricordare a tal proposito come
il flusso d’irrigazione è direttamente proporzionale al calibro
del catetere , quindi dato che
con i cateteri vescicali a 3 vie si
istituisce un sistema chiuso con
la vescica , il flusso drenante
non può essere massimizzato
sé l’irrigazione è estremamente
lenta. L’efficacia di un sistema
irrigante-drenante quindi, dipende sia dalla velocità del liquido immesso, in questo caso
in vescica, e sia dalla larghezza
del lume del catetere (Legge di
Poiseuille).
- Una soluzione di sodio cloruro allo 0.9% la quale dovrebbe
essere tenuta ed infusa a temperatura ambiente in quanto
soluzioni calde, utilizzate per
irrigare, potrebbero causare
spasmi vescicali e dolore. Per
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
Appr
14
quanto riguarda le soluzioni
fredde la letteratura non fornisce informazioni; tuttavia gli
operatori esperti sostengono
che le irrigazioni fredde possono essere utilizzate in caso di
grave ematuria per sfruttare il
principio della vasocostrizione.
Inoltre, affermano che le irrigazioni fredde dovrebbero essere
utilizzate con parsimonia e dopo
un attento accertamento delle
condizioni cliniche del paziente,
in relazione alle complicanze che
esse possono comportare, quali
malessere generale, ipotensione,
nausea e vomito, sudorazione algida, ipotermia, e shock vagale,
oltre ad una maggiore incidenza
di spasmi vescicali rispetto alla
somministrazione di soluzioni a
temperatura ambiente.
La letteratura sostiene che è l’azione
meccanica dell’irrigazione che permette la rimozione dei coaguli piuttosto che la soluzione di sodio cloruro in quanto non sembra interferire
né con il processo coagulativo né con
il processo fibrinolitico (Scholtes,
2002); l’acqua non è raccomandata
per l’irrigazione in quanto potrebbe
essere assorbita, per osmosi, dalla
vescica o dalla prostata e causare
una diluizione degli elettroliti nel
circolo ematico , infatti è utilizzata
la soluzione di sodio cloruro allo
0.9% perché è isotonica, ovvero
con caratteristiche osmolari molto
simili a quelle del sangue umano).
- un set, preferibile con clamps
roller ball piuttosto che clamps
on/off per meglio regolare il flusso
di irrigazione in base alla perdita di
sangue. Per quanto riguarda la ve-
ofo
ndim
ent
i
locità di somministrazione del fluido di irrigazione la letteratura non
suggerisce una velocità specifica,
tuttavia alcuni autori affermano che
essa dovrebbe essere regolata in
base all’entità del sanguinamento e
alle caratteristiche della vescica del
paziente, quindi in base al colore del
fluido presente nel drenaggio specificando che se quest’ultimo è molto
ematico l’irrigazione dovrebbe essere eseguita molto velocemente
perché la probabilità che si formino dei coaguli di sangue è elevata,
mentre se il drenato risulta essere
lievemente ematico per ventiquattro- quarantotto ore essa può essere
eseguita in modo discontinuo. Tuttavia la letteratura scientifica, non
specifica gli intervalli di tempo e la
durata di esecuzione dell’irrigazione
continua se il drenato risulta essere
lievemente ematico.
Nonostante l’irrigazione della vescica è di solito utilizzata per un tempo
limitato, ad esempio per ventiquattro ore dopo TURP, questa pratica
non è esente da rischi. Uno di questi
è lo sviluppo di infezioni del tratto
urinario dovute alla presenza del
catetere vescicale; si renderà necessario quindi l’attuazione di strategie
volte a prevenire la trasmissione dei
microrganismi patogeni: igiene delle mani, igiene intima del paziente,
adozione di un sistema chiuso, selezione di un catetere con calibro che
sia conforme all’uretra del paziente,
tecnica asettica per l’inserimento e la gestione/cura del catetere
vescicale. Un’altra complicanza è
l’ostruzione del catetere vescicale
e/o del tubo di irrigazione per la
formazione di coaguli e provocare
ritenzione urinaria con conseguente
dolore; inoltre può esserci sovraccarico di liquidi per l’aumento di
pressione all’interno della vescica,
causato dall’occlusione, e conseguente passaggio dei liquidi dalla
cavità vescicale al circolo ematico
Appr
ofo
ndim
ent
i
attraverso vasi sanguigni che non
si sono chiusi (Post-Tur Syndrome),
e in casi rari la rottura della vescica. Per quanto riguarda l’incidenza
delle complicanze appena descritte
la letteratura scientifica consultata
non fornisce dati in merito.
Dal confronto con gli operatori
emerge che la complicanza più temibile è l’occlusione del catetere
vescicale da coagulo, tuttavia, essi
affermano che quest’ ultima non è
più così frequente, rispetto al passato, perché i notevoli miglioramenti
della chirurgia endoscopica, sia in
termini di strumentazione sia in termini di tecniche endoscopiche miniinvasive, ha portato ad una diminuzione dell’entità di sanguinamento
nell’immediato post operatorio.
Alcuni urologi mettono in discussione questo tipo di trattamento
proprio alla luce delle complicanze
e dei rischi che comporta. Pertanto
in questo specifico caso, gli infermieri, che hanno la responsabilità
di esercitare la miglior assistenza in
termini di efficacia e qualità al paziente, devono garantire un flusso
continuo della soluzione irrigante
per tutta la durata del trattamento. Durante l’irrigazione vescicale,
quindi, prese in considerazione le
complicanze che possono derivare
da questa manovra, l’infermiere
deve essere in grado di individuare
e monitorare i pazienti a rischio di
occlusione vescicale da coagulo e
saper attuare interventi efficaci per
disostruire il catetere.
TRATTAMENTO
Occasionalmente può accadere che,
nonostante l’adozione di interventi/
misure che prevengono l’occlusione
del catetere vescicale post intervento chirurgico, un coagulo occluda
la via di drenaggio del catetere e
causi ritenzione urinaria acuta con
l’insorgenza dei sintomi a essa associata. Se questo accade, è necessario interrompere immediatamente
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
15
l’irrigazione onde causare ulteriore
discomfort al paziente, il coagulo
potrebbe essere rimosso attraverso una manovra di spremitura o
mungitura del tubo di drenaggio
del catetere, manovra eseguibile
attraverso l’utilizzo di una pinza a
rulli; se anche con questa manovra
non si riesce a espellere il coagulo,
si può tentare di rimuoverlo attraverso un «bladder washout». Ng
(2001) sostiene, a tal proposito che
l’irrigazione continua della vescica
non elimina la necessità di effettuare dei «bladder washout» per rimuovere coaguli che si sono formati
nonostante un’irrigazione vescicale
in atto. Gli operatori sanitari sostengono a tal proposito che, ad oggi, le
irrigazioni vescicali continue sono
efficaci nel prevenire l’occlusione
del catetere vescicale da coagulo,
anche se la formazione dei coaguli
e l’occlusione del catetere vescicale
è possibile sia durante l’irrigazione vescicale continua sia dopo la
sua sospensione, e questo dipende
molto dall’entità del sanguinamento postoperatorio.
L’irrigazione vescicale intermittente o «bladder washout», consiste nell’introduzione manuale, at-
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
Appr
16
traverso una siringa non più piccola
di 60ml, di un fluido sterile (una
soluzione salina per la rimozione
dei coaguli) all’interno della vescica
che viene eseguita per prevenire o
trattare l’ostruzione del catetere
vescicale. Diversi autori sostengono
la necessità di utilizzare il lavaggio
vescicale con parsimonia, in quanto può causare infezioni del tratto
urinario derivanti dalla violazione
del sistema chiuso, e per questo è
fondamentale l’utilizzo di materiali
sterili e il ricorso ad una tecnica sterile, tuttavia esso è un trattamento
necessario e inevitabile di fronte ad
una chiara ostruzione del catetere
vescicale da coaguli. Per quanto riguarda la velocità con cui il fluido
deve essere introdotto in vescica,
la letteratura consultata, non fornisce informazioni in merito, le linee
guida EAUN (2012) sostengono di
introdurre il fluido in vescica lentamente e di non esercitare una forte
pressione in quanto la non adempienza a questa condizione può
causare danni alla parete vescicale.
Circa la frequenza di esecuzione del
trattamento, Scholtes (2002) sostiene che la procedura può essere
ripetuta fino ad ottenere un fluido
di drenaggio chiaro. Hagen et al.
(2010) affermano invece che, ad
oggi, non esistono evidenze scientifiche che dimostrano i benefici
concreti delle irrigazioni vescicali
intermittenti ripetute nel tempo
rispetto alla loro non esecuzione.
Nonostante questa affermazione,
le irrigazioni vescicali intermittenti (bladder washout) nella pratica
clinica sono ancora raccomandate
soprattutto in situazioni particolari,
come la rimozione di incrostazioni
oppure per la rimozione di coaguli
di sangue dopo un intervento chirurgico urologico o nel trattamento
palliativo di un ematuria intrattabile; alla luce di queste considerazioni,
la decisione di attuare l’irrigazione
vescicale intermittente è un opzione che potrebbe essere discussa con
il paziente e con il team sanitario.
Con il termine bladder instillation (instillazione vescicale), inve-
ofo
ndim
ent
i
ce, si fa riferimento alla procedura
che prevede l’introduzione di una
soluzione preconfezionata (di solito
circa 100ml) la cui somministrazione avviene per gravità; il fluido
somministrato permane in vescica
per un tempo specifico (di solito
quindici minuti) e poi drenato per
gravità.
Le bladder instillation sembrano
avere molteplici indicazioni, una di
queste è trattare o prevenire le occlusioni dei cateteri vescicali. Le linee
guida EAUN (2012) sostengono, inoltre, che l’irrigazione continua della
vescica e l’instillazione di «soluzioni
di mantenimento» (es. soluzione
salina per i coaguli e soluzione di acido citrico per le incrostazioni) sono
procedure che vengono adottate non
per prevenire le infezioni associate
alla cateterizzazione, ma potrebbero
essere indicate in particolari circostanze come la gestione dei coaguli
di sangue all’interno della vescica e
del catetere vescicale.
Studi in vitro hanno documentato
che soluzioni come l’Alteplasi (attivatore tissutale del plasminogeno
umano) o il Perossido d’Idrogeno a
specifiche concentrazioni aumentano l’efficacia e l’efficienza dell’evacuazione dei coaguli rispetto all’utilizzo della soluzione di sodio cloruro
0.9%.
Visti i limiti che uno studio in vitro
comporta, sarà necessario valutare
la sicurezza e l’efficacia di queste
soluzioni attraverso studi in vivo su
animale.
CONCLUSIONE
Dall’analisi eseguita risulta significativo l’impatto negativo che tale
problematica riflette sul paziente,
sia per quanto riguarda la ripresa
delle ADL (Activity Daily Living) sia
per quanto riguarda il comfort del
paziente nel periodo successivo
all’intervento.
Appr
ofo
ndim
ent
i
A tal proposito, l’infermiere gioca
un ruolo fondamentale nel riconoscimento precoce di un’occlusione
del catetere vescicale che avviene
attraverso un’attenta valutazione ed
interpretazione dei segni e sintomi
tipici di questa problematica.
I risultati ottenuti, suggeriscono che
l’irrigazione continua della vescica è
senz’altro, ad oggi, l’intervento più
utilizzato per prevenire l’occlusione
del catetere vescicale da coaguli,
anche se la sua completa efficacia rimane un punto discutibile dato che,
sia la letteratura che gli operatori sanitari esperti coinvolti, documentano
che la complicanza più temibile che
può avvenire durante tale procedura
è l’occlusione vescicale da coagulo. A
tal proposito la letteratura scientifica
suggerisce di utilizzare uno strumento quale, la chart del bilancio idrico,
in modo da identificare e prevenire
complicanze associate a questo tipo
di trattamento, e assicurare che le
complicanze siano prevenute o minimizzate. Le evidenze scientifiche,
in materia di prevenzione, affermano
inoltre che un altro intervento, dimostratosi efficace nel prevenire l’occlusione del catetere vescicale è quello
di incoraggiare il paziente a bere
almeno 2 Litri di acqua al giorno in
modo tale da diluire le urine, evitare
la formazione di coaguli e al contempo favorire l’espulsione degli stessi.
Si è notato invece che le irrigazioni vescicali intermittenti (bladder
washout) e le instillazioni vescicali
(bladder instillation) sono interventi
che possono essere adottati principalmente per il trattamento dell’
occlusione del catetere vescicale con
lo scopo di rimuovere i coaguli dalla
vescica o dal catetere, quest’ultimi
possono essere applicati anche a scopo preventivo ad esempio per prevenire le occlusioni da incrostazioni o
per prevenire le occlusioni da coagulo di fronte a pazienti con ematuria
intrattabile ai quali per ovvie ragioni,
non è indicata l’irrigazione continua
Anno XXV
n. 1
della vescica. La letteratura presa in
esame non riporta, ad oggi, altri tipi
di interventi per prevenire e trattare
l’occlusione del catetere vescicale da
coagulo post intervento.
A partire da questa revisione è stato
possibile ricavare dati i quali dimostrano l’esistenza di interventi che
possono essere adottati per prevenire
e trattare l’occlusione del catetere vescicale da coagulo, e questi risultano
essere già ad un buon livello di efficacia, tuttavia questo non esclude la
necessità di un miglioramento continuo, che rappresenta il presupposto
per garantire un’assistenza ottimale.
Miglioramento che sarà possibile attraverso l’aggiornamento continuo
relativamente a nuove linee guida,
protocolli e a tecniche innovative.
Partendo dai dati emersi da questa
ricerca bibliografica, si potrebbero indagare ulteriormente i singoli
interventi per misurarne l’efficacia,
soprattutto relativamente alle questioni ancora aperte, ad esempio, la
temperatura delle sacche di lavaggio,
velocità specifica di somministrazione del fluido irrigante, gli intervalli
di tempo e la durata di esecuzione
dell’irrigazione continua se il drenato risulta essere lievemente ematico,
marzo
2014
i benefici concreti delle irrigazioni
vescicali intermittenti (bladder washout) ripetute nel tempo rispetto
alla loro non esecuzione, l’uso di
soluzioni irriganti alternative (es. Alteplase) che sembrano essere maggiormente efficaci in quanto hanno
la capacità di sciogliere i coaguli più
facilmente permettendo una migliore evacuazione degli stessi.
Per la pratica infermieristica si suggeriscono l’elaborazione/divulgazione
di specifiche linee guida o check-list
in tutte le Unità Operative, e in particolar modo nei Dipartimenti di Urologia, le quali possono essere d’aiuto
agli infermieri nell’individuazione
precoce di un’occlusione del catetere
vescicale da coagulo e nell’attuazione di interventi specifici finalizzati
alla risoluzione del problema.
Così facendo si potrà uniformare la
pratica infermieristica nel decision
making degli interventi utili ed efficaci per la prevenzione e il trattamento dell’occlusione vescicale da
coagulo.
Obiettivo cardine sarà eradicare una
pratica infermieristica «routinaria» o
basata sulla tradizione per far spazio
ad una pratica conforme alle più recenti evidenze scientifiche.
17
Anno XXV
n. 1
marzo
2014
BIBLIOGRAFIA
18
Bowden, E.A., Foley, S.J. (2001). Haematuria; a late complication of
TURP?. Prostate Cancer Prostatic Disease, 4(3), 178-179.
Braasch, M., Antolak, C., Hendlin, K., Botnaru, A., Herrera, S., Lavers, A.,
Canales, B., Monga, M. (2006). Irrigation and drainage properties of
three-way urethral catheters. Urology, 67(1), 40-4.
Cochran, S. (2007). Care of the indwelling urinary catheter: is it evidence based?. Journal of wound, ostomy and continence nursing, 34(3),
282-8.
Cutts, B. (2005). Developing and implementing a new bladder irrigation chart. Nursing Standard, 20 (8), 48-52.
Evans, A., Godfrey, H. (2000). Bladder washout in the management of
long-term catheters. British Journal of Nursing, 9(14), 900-2, 904,
906.
Freedman, N.D., Silverman, D.T., Hollenbeck, A.R., Schatzkin, A., Abnet, C.C.
(2011). Association Between Smoking and Risk of Bladder Cancer
Among Men and Women. Journal American Medical Association,
306(7),737-745.
Gates, A. (2000). The benefits of irrigation in catheter care. Professional
Nurse, 16(1), 835-8.
Geng, V., Cobussen-Boekhorst, H., Farrel, J., Gea-Sanchez, M., Pearce, I., Schwennesen, T., Vahr, S., Vandewinkel, C. (2012). Evidence-based Guidelines
for Best Practice in Urological Health Care: Catheterisation Indwelling
catheters in adults Urethral and Suprapubic. European Association of
Urology Nurse, 46-55.
Grey Bruce Health Network. (2007). Continuous Bladder Irrigation Clinical Protocol. http://www.bghn.ca/ebc/documents/Continuous_
Bladder_Irrigation_Protocol.pdf. Ultimo accesso: 10/10/12.
Hagen, S., Sinclair, L., Cross, S. (2011). Washout policies in long-term
indwelling urinary catheterisation in adults. Neurourology Urodynamic, 30(7), 1208-12.
Ibrahim, A.I., Gahli, A.M., Saad, M.S., Bahar, Y.M. (2000). Risk factors
in prostatectomy bleeding: preoperative urinary infection is the only
reversible factor. European Urology, 37(2), 199-204.
Lowthian, P. (2000). Bladder washouts. Professional Nurse, 16(3),
941;
Mamoulakis, C., Ubbink,D., De la Rosette, J. (2009). Bipolar versus Monopolar Transurethral resection of the prostate: A Systematic Review and
Meta-analysis of Randomized Controlled Trials. European Urology 56,
798-809.
Marszalek, M., Ponholzer, A., Pusman, M., Berger, I., Madersbacher, S.
(2009).
Transurethral Resection of the Prostate. European Urology (Supplements 8) 504- 512.
Mavuduru, R.M., Mandal, A.K., Singh, S.K., Acharya, N., Agarwal, M., Garg,
S., Kumar, S. (2009). Comparison of HoLEP and TURP in terms of efficacy
in the early postoperative period and perioperative morbidity. Urologia
internationalis, 82(2), 130-5.
Mayes, J., Bliss, J., Griffiths, P. (2003). Preventing blockage of long-term
indwelling catheters in adults: are citric acid solutions effective?. British Journal of community nursing, 8(4), 172-5.
Mesfin, S., Sarkissian, C., Malaeb, B., Monga, M. (2011). Catheter design
for effective manual bladder irrigation. The Journal of Urology, 86(6),
2307-9.
Michielsen, D.P., Debacker, T., De Boe, V., Van Lersberghe, C., Kaufman, L.,
Braeckman, J.G., Amy, J.J., Keuppens F.I. (2007). Bipolar transurethral resection in saline–an alternative surgical treatment for bladder outlet
obstruction?. Journal of Urology, 178(5), 2035-9.
Moore, K.N., Hunter, K.F., McGinnis, R., Bacsu, C., Fader, M., Gray, M., Getliffe, K., Chobanuk, J., Puttagunta, L., Voaklander, D.C. (2009). Do catheter
washouts extend patency time in long-term indwelling urethral catheters? A randomized controlled trial of acidic washout solution, normal
saline washout, or standard care. Journal of wound, ostomy and con-
tinence nursing, 36(1), 82-90.
Moslemi, M.K., Rajaei, M. (2010). An improved delivery system for
bladder irrigation. Therapeutics and clinical risk management, 5(6),
459-62.
Ng, C. (2001). Assessment and intervention knowledge of nurses in
managing catheter patency in continuous bladder irrigation following
TURP. Urologic Nursing, 21(2), 97-8, 101-7, 110-1.
Parsons, K.F., Irani, J., Chapple, C.R., Fall, M., Hanus, T., Llorente Abarca,
C., Loch, T., Mitropoulos, D., N’Dow, J., Schmid, H.P., Sylvester, R. (2012).
Pocket Guidelines. European Association of Urology, 7-47;123-144.
Pomfret, I., Bayait, F., Mackenzie, R., Wells, M., Winder, A. (2004). Using
bladder instillations to manage indwelling catheters. British Journal
of Nursing, 13(5), 261-7.
Ramyil,V.M., Dakum, N.K., Liman H.U., Udeh E.I. (2008). The management
of prostatic hematuria. Nigerian Journal of Medicine, 17(4), 439-42.
Ritch, C.R., Ordonez, M.A., Okhunov, Z., Araujo, J., Walsh, R., Baudin, V.,
Lee, D., Badani, K.K., Gupta, M., Jaime Landman, M.D. (2009). Pilot study of
Alteplase (tissue plasminogen activator) for treatment of urinary clot
retention in an in vitro model. Journal of Endourology, 23(8), 1353-7.
Scholtes, S. (2002). Management of clot retention following urological
surgery. Nursing Times, 98(28), 48-50.
Shenoy, S.P., Marla, P.K., Padur-Tantry, T. (2011). Mechanical suction: an
effective and safe method to remove large and tenacious clots from the
urinary bladder. Urology, 78(2), 485-486.
Stenzl, A., Cowan, N.C., De Santis, M., Jakse, G., Kuczyk, M.A., Merseburger,
A.S., Ribal, M.J., Sherif, A., Witjes, J.A. (2009). The Updated EAU Guidelines on Muscle-Invasive and Metastatic Bladder Cancer. European
Association of Urology, 55, 815-825.
Kavanagh, L.E., Jack, G.S., Lawrentschuk, N. (2011). Prevention and management of TURP-related hemorrhage. Nature Reviews Urology, 8(9),
504-514.
Warlick, C.A., Mouli, S.K., Allaf, M.E., Wagner, A.A., Kavoussi, L.R. (2006).
Bladder irrigation using hydrogen peroxide for clot evacuation. Urology, 68 (6), 1331-2.
Williams, C., Tonkin, S. (2003). Blocked urinary catheters: solutions are
not the only solution. British Journal of Community Nursing, 8(7),
321-6.
TESTI
Bardari, F., Bergamaschi, F., Casarico, A., Cecchi, M., Conti, G., Gozzi, G.,
Leone, G., Mazzi, G., Niro, G., Pappagallo, G.L., Perachino, M., Sanseverino,
R., Spatafora, S., Tavoni, F. (2009). Ipertrofia prostatica benigna: linee
guida. Milano: Ed. Cesano Boscone 2006.
Brugnolli, A., Rizzoli, A., Giuliani, M. & Saiani, L. (2010). Eliminazione
urinaria e gestione delle alterazioni. In L. Saiani & A. Brugnolli, Trattato di cure infermieristiche (1st ed. p 722-742). Napoli: SorbonaIdelson-Gnocchi.
Graham, S.D. (2000). Chirurgia Urologica di Glenn (1st ed./ Volume 2.
pp 911-919; pp 921-931). Milano: Casa Editrice Antonio Delfino.
Kavoussi, L.R., Novick, A.C., Partin, A.W., Peters, C.A. (2007). CampbellWalsh Urology ( 9th ed. pp 2803-2843; pp 2479-2503;). Philadelphia:
Casa Editrice Saunders Elsevier.
Martini, F.H. (2006). Fondamenti di Anatomia & Fisiologia (2st ed. pp
672-677). Napoli: Casa Editrice Edises.
Perry, A.G. & Potter, P.A. (2007). Infermieristica Generale-Clinica (1st
ed. pp 1280-1283). Perugia: Sorbona-Idelson-Gnocchi.
Sherwood, L. (2008). Fisiologia Umana: dalle cellule ai sistemi (1st ed.
pp 396-401). Bologna: Zanichelli editore.
Scarica

“Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui