Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLIII n. 38 (46.282) Città del Vaticano venerdì 15 febbraio 2013 . Ai preti di Roma il Papa parla della sua esperienza al Vaticano II e assicura la sua continua spirituale presenza Nella Chiesa, nascosto al mondo All’omelia del mercoledì delle Ceneri il forte invito a ritornare a Dio per superare ipocrisie, rivalità e divisioni y(7HA3J1*QSSKKM( +%!"!?!#!\ C’è un concilio «virtuale», veicolato dai media e costruito secondo categorie «politiche» estranee alla fede, che in questi cinquant’anni ha provocato non pochi problemi e difficoltà alla Chiesa. E che oggi sta lasciando il posto al vero concilio «dei padri», la cui forza spirituale costituisce il motore dell’autentico rinnovamento ecclesiale. Quella che doveva essere una «piccola chiacchierata» sul Vaticano II si è trasformata in una illuminante testimonianza che i preti di Roma, riuniti nell’Aula Paolo VI la mattina di giovedì 14 febbraio, hanno ascoltato dalla voce del “perito conciliare” Joseph Ratzinger. Il quale ha colto l’occasione dell’annuale incontro quaresimale con il clero della diocesi per rievocare la sua esperienza personale durante i quattro periodi dell’assise ecumenica. Una riflessione, quella del Papa, scandita dai temi principali che furono oggetto del dibattito dei padri: liturgia, ecclesiologia, Parola di Dio, ecumenismo e dialogo con le religioni, rapporto tra Chiesa e mondo. E conclusa dall’invito a vivere l’Anno della fede — proclamato proprio nel cinquantesimo dell’apertura dei lavori — come occasione per far ritornare alla luce il «concilio reale», quello «della fede», sul quale è possibile realizzare la vera riforma della Chiesa. Molti gli spunti e le indicazioni suggerite da Benedetto XVI, che per oltre 45 minuti ha rievocato con semplicità e senza reticenze lo spirito di un avvenimento vissuto con entusiasmo e speranza, nella ferma convinzione che da esso sarebbe scaturita una nuova era nella vita della Chiesa. Per il Papa è stata soprattutto la voglia di partecipare e di essere soggetti attivi a motivare le scelte fondamentali dei padri: a cominciare da quella compiuta il primo giorno, quando l’assemblea decise di non votare subito i membri delle commissioni sulla base delle liste già preparate, chiedendo più tempo per favorire gli incontri e la conoscenza tra i diversi gruppi nazionali presenti. Un segno evidente, secondo il Pontefice, della dimensione universale della Chiesa, chiamata a vivere e crescere al di là di ogni differenza di lingua, razza e cultura. In questo stesso spirito Benedetto XVI ha letto gli esiti del rinnovamento liturgico del Vaticano II, fondato sulla duplice esigenza dell’«intellegibilità» del linguaggio — che tuttavia non significa «banalità», ha avvertito — e della partecipazione attiva dei fedeli. Così come ha richiamato l’ecclesiologia conciliare racchiusa nell’espressione «Noi siamo Chiesa», ossia corpo vivo di Cristo e non mera organizzazione o struttura giuridica. Aggiungendo che la categoria della «collegialità» ha evidenziato il ruolo dei vescovi come successori degli apostoli ed elementi portanti nella «complementarietà» dei fattori che costituiscono il corpo della Chiesa. Non meno significative le sottolineature del Papa sul tema del rapporto tra sacra scrittura e tradizione — la Chiesa obbedisce alla Parola di Dio ma ne rappresenta, allo stesso tempo, il soggetto vivo — e sul dialogo con le altre religioni. A proposito del quale il Pontefice non ha mancato di rievocare la vivacità del dibattito dal quale presero vita la Nostra aetate e la Dignitatis humanae, che insieme alla Gaudium et spes costituiscono una sorta di «trilogia» la cui importanza si va sempre più rivelando e confermando col passare degli anni. Non è mancato da parte di Benedetto XVI un accenno alla decisione Il dibattito sul Vaticano II rivisto alla luce di quanto accadde in Germania dopo l’assise del 1869-1870 Conflitti postconciliari WALTER BRANDMÜLLER A PAGINA 4 di rinunciare al papato annunciata lunedì scorso. Ringraziando i sacerdoti per la corale manifestazione di affetto, il Papa ha assicurato che anche nel ritiro della preghiera, nascosto al mondo, sarà sempre vicino alla sua diocesi e alla Chiesa. Parole che hanno richiamato quelle con cui il Pontefice ha aperto l’omelia della messa del mercoledì delle Ceneri celebrata nella serata del 13 febbraio. «È un’occasione propizia per ringraziare tutti, mentre mi accingo a concludere il ministero petrino, e per chiedere un particolare ricordo nella preghiera» ha detto ai fedeli che hanno gremito la basilica Vaticana per tributargli una commossa manifestazione di affetto. Una celebrazione, l’ultima presieduta pubblicamente da Benedetto XVI, durante la quale è risuonato il forte invito a «ritornare a Dio» attraverso un cammino interiore che agisca «sul proprio cuore, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta». Dal Papa è venu- to, in particolare, un severo monito contro l’«ipocrisia religiosa», gli «individualismi», le «rivalità» e le «divisioni» che deturpano il volto della Chiesa. IL RITO DELLE CENERI A PAGINA 8 L’obiettivo fissato per il 2015 dal fondo internazionale delle Nazioni Unite per lo sviluppo rurale Dopo il nuovo test nucleare effettuato dalla Corea del Nord Ottanta milioni di poveri in meno Washington pronta a proteggere il Giappone ROMA, 14. Il fondo internazionale delle Nazioni Unite per lo sviluppo agricolo (Ifad) punta a far emergere dalla miseria ottanta milioni di persone entro il 2015, secondo quanto ha dichiarato ieri il suo presidente, Kanayo Nwanze, aprendo a Roma la riunione annuale del consiglio dei governatori. «Noi pianifichiamo — ha detto Nwanze — di permettere a 80 milioni di persone che vivono nelle campagne di uscire dalla povertà entro il 2015». Il presidente dell’Ifad, riconfermato per un secondo quadriennio, ha anche esortato i Paesi aderenti a lavorare insieme per «rendere le aree rurali un motore di crescita, fornendo cibo, posti di lavoro e un reddito decente a tre miliardi di donne e uomini nei Paesi in via di sviluppo». Nwanze ha aggiunto che il prossimo programma Ifad per lo sviluppo rurale arriverà a dotarsi, con i finanziamenti di vari partner, di 7,9 miliardi di dollari. Nel quadriennio di presidenza di Nwanze l’Ifad ha aumentato la sua presenza nei Paesi in cui opera. Nel 2009 l’Ifad aveva uffici in 25 Paesi. Alla fine del 2012 gli uffici erano 38, mentre lo staff sul campo ha aumentato il numero degli operatori del 15 per cento. Punti chiave per lo sviluppo economico rurale sono, secondo Nwanze, le nuove generazioni rurali e la resistenza ai cambiamenti climatici. «Le aree rurali attive possono assicurare un flusso dinamico di benefici economici tra le zone rurali e quelle urbane così che le Nazioni possano godere di uno sviluppo bilanciato e sostenibile», ha detto Nwanze, nel discorso di ieri. Questo impegno rappresenta, soprattutto per i Paesi poveri, un elemento chiave di crescita, poiché «lo sviluppo è più efficace quando è autonomo». In merito ai cambiamenti climatici, Nwanze ha ricordato l’importanza di un’azione immediata perché «il modo in cui rispondiamo alle sfide di oggi determinerà non solo il sistema alimentare del futuro, ma anche la salute degli ecosistemi e la distribuzione della popolazione mondiale». Su questo tema l’Ifad sta già aiutando i piccoli proprietari terrieri agricoli ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a salvaguardare le risorse naturali. Una risaia nella provincia indonesiana di Giava Occidentale (Reuters) WASHINGTON, 14. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha ribadito, in un colloquio con il premier giapponese, Shinzo Abe, l’impegno degli Stati Uniti a proteggere il Giappone. I due leader hanno «discusso il test nucleare della Corea del Nord e si sono consultati sui passi da compiere dopo la violazione degli obblighi internazionali da parte del regime di Pyongyang». Lo ha affermato la Casa Bianca, sottolineando che i due leader «si sono impegnati a lavorare insieme per cercare un’azione significativa del Consiglio di sicurezza dell’Onu e cooperare sulle misure per impedire i programmi nucleari e missilistici della Corea del Nord». Dal canto suo, il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, ha auspicato «azioni immediate» contro la Corea del Nord, chiedendo al Consiglio di sicurezza dell’Onu di approvare ulteriori sanzioni contro il regime comunista di Pyongyang. Lo ha reso noto il portavoce del Pentagono, George Little, che ha riferito di un colloquio telefonico tra Panetta e il suo omologo sudcoreano, Kim Kwan Jin. Il numero uno uscente del Pentagono nel corso della telefonata ha quindi ribadito l’impegno degli Stati Uniti a difendere la Corea del Sud da ogni eventuale aggressione. Il Consi- glio di sicurezza ha immediatamente condannato con forza, all’unanimità, il terzo test nucleare di Pyongyang «che rappresenta una chiara minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale» e ora sta discutendo «delle misure che dovranno essere adottate». La Corea del Nord ha effettuato il terzo test nucleare per «punire i nemici e avvertire di essere già pronta sia per le sanzioni che per la guerra». La prova di martedì è stata «un passo decisivo di autodifesa contro le azioni ostili di Stati Uniti e alleati», si legge in un commento del quotidiano «Rodong Sinmun», rilanciato dall’agenzia Kcna. NOSTRE INFORMAZIONI Provvista di Chiesa In data 14 febbraio 2013, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Moulins (Francia) il Reverendo Monsignore Laurent Percerou, finora Vicario Generale della Diocesi di Chartres. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 Firma di Protocollo d’intesa tra il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana Per la prima volta la Russia ospita il vertice che punterà i riflettori sulle politiche monetarie Al centro del G20 la guerra delle valute insisterà anche sulla riforma delle quote del Fondo monetario internazionale (Fmi), rilanciando il suo ruolo di ponte fra G8 e G20, essendo l’unica economia emergente a far parte di entrambi i consessi. L’Europa, dal canto suo, avrà occasione di riflettere anche sul tema dell’unione bancaria, la cui necessità è stata rilanciata ieri dal Fondo monetario internazionale con l’obiettivo di rafforzare «la stabilità del sistema finanziario europeo e la sua sicurezza». Il G20 esordisce con una riunione dei vice dei ministri delle Finanze e dei governatori centrali. Venerdì è prevista, tra l’altro, una conferenza stampa di Mario Draghi, insieme al governatore della Banca centrale russa, Serghiei Ignatiev. Da rilevare che per la prima volta la Svizzerà assisterà alle riunioni dei ministri delle maggiori potenze economiche mondiali, e così si potrà impegnare a difesa della sua piazza finanziaria. Berna aveva ripetutamente espresso il desiderio di partecipare ai lavori del G20, ma solo quest’anno i rappresentanti della Confederazione sono stati invitati ad assistere ai lavori. «La Svizzera cercherà di contribuire all’implementazione delle regole internazionali per il settore bancario» ha dichiarato Anne Césard, portavoce della segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali in seno al ministero delle Finanze elvetico. MOSCA, 14. Per la prima volta padrona di casa del G20, la Russia si prepara a ospitare, oggi a Mosca, la riunione inaugurale del ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali sullo sfondo della cosiddetta guerra delle valute e della crisi dell’eurozona. Prioritarie nell’agenda dei lavori la politica monetaria del Giappone e la sua decisione di indebolire lo yen. Una manovra che, insieme al dollaro già deprezzato, alimenta il supereuro colpendo l’export e ostacolando la ripresa del vecchio continente. Dopo aver riaffermato il suo impegno per «tassi di cambio determinati dal mercato», martedì il G7 aveva lanciato un primo allarme ammonendo che «una volatilità eccessiva e movimenti disordinati nei tassi di cambio possono avere implicazioni sfavorevoli per la stabilità economica e finanziaria». Ma ha lasciato al G20 moscovita il compito di andare eventualmente oltre. Ieri il primo ministro britannico, David Cameron, ha ammonito che «non si ricorre alla svalutazione in nome della crescita, di qualsiasi Paese si tratti». E il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, riferendosi a Giappone e Stati Uniti, ha messo in guardia le grandi potenze industriali dal continuare a inondare i mercati di liquidità per evitare una crisi come quella del 2008. Gli analisti tuttavia tendono a escludere un isolamento di Tokyo dal G20 moscovita: non ultimo perché anche gli Stati Uniti praticano politiche analoghe. Il sottosegretario al Tesoro, Lael Brainard, che guiderà la delegazione americana al posto del nuovo segretario, Jacob Lew (non ancora in carica), ha già osservato nei giorni scorsi che se le svalutazioni competitive devono essere evitate, Washington ha intenzione di sostenere gli sforzi giapponesi di rinvigorire la crescita e di esaurire la deflazione. Anche il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, ha cercato di disinnescare la miccia, giudicando «esagerato» parlare di una «guerra delle valute». La Banca centrale russa, tramite il suo primo vice Alexiei Ulyukaiev, ha stigmatizzato recentemente «la politica monetaria protezionistica» di Tokyo. Stamane intanto si è appreso che il Giappone resta in recessione: il pil si è contratto dello 0,1 per cento a ottobre-dicembre sui tre mesi precedenti, segnando una flessione annualizzata dello 0,4 per cento. I due dati, negativi per il terzo trimestre di fila, giungono a sorpresa viste le stime di crescite pari, rispettivamente, allo 0,2 per cento e 0,4-0,6 per cento, e confermano il peso del rallentamento dell’economia mondiale su quella nipponica. Nel frattempo fonti della delegazione russa hanno tenuto a precisare, in queste ore, che accanto alle questioni legate alla guerra delle valute saranno discussi altri importanti temi durante i lavori. Infatti, rilevano gli osservatori, Mosca intende approfondire anche due punti che ha introdotto per la sua presidenza: il finanziamento degli investimenti come base per la crescita economica e la creazione di occupazione, e la modernizzazione dei sistemi nazionali dei prestiti pubblici e della gestione del debito sovrano. La Russia Un tabellone con i cambi delle valute a Tokyo (Afp) Unione bancaria necessaria per l’eurozona Verso un accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Ue dell’istituto internazionale con sede a New York. Tuttavia, spiega il Fondo monetario, un meccanismo di supervisione unico per le banche nell’area euro da solo farà poco per indebolire il circolo vizioso fra banche e debito sovrano: c’è, dunque, bisogno di un’autorità di risoluzione comune e di reti di sicurezza. Una autorità di risoluzione che deve avere poteri forti per chiudere o ristrutturare banche. La sede dell’Fmi Tobin Tax anche sui titoli di Stato GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va per parte della Repubblica Italiana, il Dott. Adriano Rasi Caldogno, Capo di Gabinetto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; il Dott. Paolo Carpentieri, Capo dell’Ufficio Legislativo, e l’Arch. Federica Galloni, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio. Il Protocollo d’intesa — sviluppando lo Scambio di Note del 1991 tra l’Italia e la Santa Sede relativo alla proprietà ed all’uso del «Passetto di Borgo» e considerando il comune interesse ad una collaborazione al fine della tutela e valorizzazione del patrimonio storico ed artistico — definisce l’uso del «Torrino di Avvistamento» al fine di consentire il deflusso del pubblico per il camminamento interno ed esterno al monumento, anche con riguardo alla necessità di predisporre idonee infrastrutture per le persone disabili. L’accordo si inserisce nel progetto generale di restauro e valorizzazione del «Passetto di Borgo» ad opera del Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana, al fine di consentire la riapertura al pubblico del prestigioso camminamento, con accesso dal Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo. Il Protocollo d’intesa, che consiste di un preambolo e di 8 articoli, è entrato in vigore il giorno stesso della firma. I negoziati si apriranno a giugno NEW YORK, 14. «L’unione bancaria è necessaria per l’area euro: è la conclusione logica dell’idea che sistemi bancari integrati richiedono una supervisione prudenziale integrale». Lo afferma uno studio del Fondo monetario internazionale (Fmi), sottolineando che la questione è immediata e di lungo termine. L’unione bancaria può aiutare a rafforzare la stabilità del sistema finanziario europeo e la sua sicurezza, aggiunge la nota golare iter comunitario ed essere approvata dal Consiglio dell’Ecofin. La tassa dovrebbe generare un “tesoretto” di circa 35 miliardi di euro l’anno, un miliardo solo per l’Italia. In base alla proposta iniziale presentata un anno fa, alle transazioni si applicherebbero delle aliquote minime di 0,1 per cento per obbligazioni e azioni (come i titoli di Stato), e 0,01 per cento sui derivati. Oltre all’Italia, sarà applicata in Germania, Francia, Belgio, Estonia, Grecia, Spagna, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. Un blocco che rappresenta i due terzi L’OSSERVATORE ROMANO Il giorno 14 febbraio 2013, alle ore 12 presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana, è stato sottoscritto il Protocollo d’intesa tra il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana per l’utilizzazione del Passetto di Borgo e del Torrino di Avvistamento. Hanno firmato: per la Santa Sede, Sua Eminenza Rev.ma il Card. Giuseppe Bertello, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e, per la Repubblica Italiana, il Signor Prof. Lorenzo Ornaghi, Ministro per i Beni e le Attività Culturali. Hanno assistito al solenne atto: per parte dello Stato della Città del Vaticano, S.E. Rev.ma Mons. Giuseppe Sciacca, Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; Mons. Carlo Alberto Capella, Segretario di Nunziatura presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e l’Avv. Cav. Carlo Carrieri, Capo dell’Ufficio Giuridico del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Erano altresì presenti il Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, e Mons. Paolo Nicolini, Delegato per i Settori Amministrativo-Gestionali dei Musei Vaticani; Documento del Fondo monetario internazionale WASHINGTON, 14. Le scadenze sono state fissate: i negoziati per una zona di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea inizieranno a giugno per concludersi nell’arco di due anni. Il presidente statunitense Barack Obama, martedì, nel discorso sullo Stato dell’Unione, ha detto: «Vi annuncio che lanceremo colloqui per un accordo transatlantico su scambi e investimenti con l’Unione europea, perché il commercio libero ed equo tra le sponde dell’Atlantico alimenta milioni di posti lavoro americani ben pagati». A questa affermazione ha fatto subito seguito, ieri, un comunicato congiunto firmato dallo stesso Obama con il presidente del Consiglio dell’Ue, Herman Van Rompuy, e il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso, che ha aperto ufficialmente il fascicolo. Si tratta del primo risultato concreto raggiunto da un lavoro di preparazione iniziato nel 2011 dai mediatori delle due sponde. Unione europea e Stati Uniti rappresentano insieme metà del pil mondiale e quasi un terzo dei flussi commerciali globali. Le loro relazioni economiche sono le più ricche in assoluto, con oltre 1,8 miliardi di euro di beni e servizi scambiati ogni giorno: oltre settecento miliardi nei dodici mesi del 2011. L’Ue, sempre nel 2011, ha esportato 260,6 miliardi di euro di merci negli Stati Uniti e del pil dell’Ue. La tassa si applicherà a banche e soggetti finanziari che risiedono negli undici Paesi che hanno avviato la cooperazione rafforzata e anche a tutti gli strumenti finanziari emessi in quei Paesi, indipendentemente dalla residenza dell’investitore. Escluse, ovviamente, le operazioni finanziarie ordinarie di cittadini e imprese, quindi contratti assicurativi, prestiti alle aziende, mutui immobiliari, transazioni tramite carta di credito, pagamenti di servizio. Esclusi anche il meccanismo europeo di stabilità e il Fondo europeo di stabilità. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale NEW YORK, 14. I consigli di amministrazione di American Airlines e Us Airways hanno approvato, separatamente, la fusione dalla quale nascerà un colosso dei cieli, con una capitalizzazione di mercato fino a 11 miliardi di dollari. L’accordo raggiunto — secondo quanto riporta «The Wall Street Journal» — servirà da piano di riorganizzazione per American Airlines, dal novembre del 2011 in bancarotta. L’intesa prevede che ai creditori di American Airlines vada il 72 per cento della nuova società e a quelli di Us Airways il 28 per cento. A guidare quella che diventerà la pri- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] 127,1 miliardi di servizi. Per contro, ha importato 184,2 miliardi di euro di merci e 130,5 miliardi di servizi. Stati Uniti e Unione europea sono l’uno per l’altro il primo partner commerciale: il 13,8 per cento di tutti gli scambi dell’Ue avviene con gli Stati Uniti che, a loro volta, realizzano il 17,8 per cento del loro commercio con i Ventisette. Secondo la Commissione dell’Unione europea, entro il 2027 l’accordo potrebbe far crescere il pil dell’Unione di 86 miliardi di euro all’anno, pari allo o,5 per cento del totale. Per gli Stati Uniti, il contributo alla crescita sarebbe invece di 65 miliardi di euro, lo 0,4 per cento del pil. L’intesa garantirebbe alle imprese europee un più agevole accesso ai mercati dei partner degli Stati Uniti nel Nafta: Canada e Messico. Rilevano gli analisti che le grandi potenzialità dell’intesa potrebbero però non bastare a spianare la strada, nonostante le barriere tariffarie siano già molto basse. In media il 5,2 per cento da parte europea e il 3,5 per cento per gli Stati Uniti. Come indica «Il Sole 24 Ore» gli ostacoli sono i sussidi all’agricoltura e le barriere non tariffarie, con gli standard su metodi di produzione e tutela della salute. L’Europa ha la legislazione più restrittiva al mondo sugli ogm. Se a livello comunitario è arrivato il riconoscimento che le colture genetica- mente modificate non minacciano la salute, i Governi si rifiutano di autorizzarle: eventuali concessioni agli Stati Uniti che premono perché siano abbandonate posizioni definite antiscientifiche, dovrebbero superare il vaglio dell’Europarlamento e dei Governi dei Ventisette. Stessa sorte, spiegano gli esperti, per qualsiasi intesa sulla vendita in Europa di carni di animali allevati con ormoni della crescita o di pollame trattato con cloro. Il presidente della Commissione europea ha precisato che «il negoziato non metterà a repentaglio la salute dei consumatori» e che «le legislazioni sugli ogm non entreranno nei colloqui». Fusione tra Us Airways e American Airlines Proposta dalla Commissione europea BRUXELLES, 14. È attesa per oggi la proposta di direttiva per la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie che l’Europa ha deciso a gennaio di introdurre, ma solo negli undici Paesi, tra cui l’Italia, che hanno aderito a una iniziativa nuova nella storia dell’Ue, cioè alla prima cooperazione rafforzata sulla tassazione. A Bruxelles, la Commissione Ue presenterà la tassazione degli strumenti del debito pubblico sui mercati secondari (non dunque in fase di emissione da parte dello Stato, ma nelle contrattazioni successive), che dovrà poi seguire il re- venerdì 15 febbraio 2013 Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va ma compagnia aerea del mondo dovrebbe essere l’amministratore delegato di Us Airways, Doug Parker. Il numero uno di American Airlines, Tom W. Horton, sarà invece il presidente non esecutivo della società, almeno fino al 2014, ovvero fino a quando non si terrà la prima assemblea degli azionisti della nuova società, dopo che American Airlines sarà uscita dalla bancarotta. La nuova società — il cui consiglio di amministrazione sarà composto da dodici membri — manterrà il termine American e il quartier generale in Texas. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818, [email protected] Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, fax 06 698 85164, [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Napolitano in visita a Washington WASHINGTON, 14. Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, è negli Stati Uniti in visita ufficiale. Il programma odierno prevede un colloquio a Washington con l’ex speaker democratica, orgogliosa delle sue radici italiane, Nancy Pelosi. Poi vedrà il vice presidente, Joe Biden, e concluderà la giornata con una visita al David Apollo, la scultura di Michelangelo esposta alla National Gallery of Art, nell’ambito dell’anno della cultura italiana negli Stati Uniti. Domani, venerdì, è invece previsto l’incontro con il presidente, Barack Obama. Per l’occasione, Obama aprirà la storica dependance dei presidenti americani, la Blair House, all’interno del perimetro della Casa Bianca, sulla centralissima Pennsylvania Avenue. Un gesto che in codice diplomatico esprime uno straordinario attestato di stima per il capo dello Stato italiano. A seguire, Giorgio Napolitano avrà un colloquio con la stampa e poi un vertice con il nuovo segretario di Stato americano, John Kerry, subentrato nei giorni scorsi a Hillary Clinton. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 15 febbraio 2013 Si riunisce l’Assemblea costituente tunisina pagina 3 Nessuna intesa nei colloqui tra Aiea e Iran La diplomazia statunitense punta a convincere il presidente Bashir al Assad a lasciare il potere Aiuti umanitari agli sfollati siriani TUNISI, 14. Una seduta plenaria dell’Assemblea nazionale costituente è prevista in Tunisia per dibattere la situazione nel Paese che attende la formazione di un Governo tecnico come auspicato dal premier, Hamadi Jebali, contro il parere del partito di maggioranza Ennadha. La situazione resta tesa e gli islamisti di Ennadha hanno convocato per sabato prossimo una nuova manifestazione a sostegno del loro movimento, da contrapporre alle proteste e ai disordini seguiti all’assassinio, il 6 febbraio scorso a Tunisi, del leader dell’opposizione laica Chokri Belaid. Lo ha reso noto uno dei leader del partito Mohammed Akrout. «I nostri sostenitori debbono difendere la loro rivoluzione e gli interessi del popolo, appoggiare la nostra legittimità e realizzare gli obiettivi rivoluzionari», ha affermato Akrout in aperta polemica con il premier che punta a formare un nuovo Governo con soli tecnici. Secondo il presidente della Tunisia, Moncef Marzouki, il Paese ha «assorbito lo shock» dell’uccisione di Chokri Belaid e non c’è il rischio di un «bagno di sangue». In un’intervista pubblicata da «Le Figaro» il capo dello Stato si è detto favorevole all’ipotesi di un «regime misto» perché — ha spiegato — la Tunisia «ha sofferto molto per la dittatura e ora si tratta di creare un sistema che impedisca in modo assoluto il ritorno alla dittatura». Dopo l’assassinio di Belaid, il ministero dell’Interno tunisino ha intanto annunciato l’adozione di misure di protezione nei confronti dei politici. Una famiglia siriana nelle vie di Aleppo (Reuters) DAMASCO, 14. Si moltiplicano gli sforzi della comunità internazionale per assistere le popolazioni della Siria mentre continua ad allungarsi la tragica lista delle vittime del conflitto: 144 morti nella sola giornata di ieri come riferiscono fonti dei ribelli. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha completato la seconda consegna di aiuti umanitari nel nord ovest della Siria, dove migliaia di sfollati hanno disperato bisogno di assistenza. Una nota dell’Unhcr precisa che l’operazione è stata condotta in collaborazione con la Mezzaluna rossa siriana e la comunità locale. L’ultimo convoglio, composto da sette tir contenenti mille tende e quindicimila coperte, ha viaggiato da Latakia e Damasco fino alla zona di Bab al Hawa, dove gli aiuti sono stati consegnati agli sfollati. «Si tratta di operazioni complesse che comportano dei rischi, ma i bisogni umanitari della popolazione civile sfollata in queste zone richiedono un intervento. L’obbligo morale di aiutare è chiaro», ha affermato l’Alto commissario, Antonio Guterres. La nota dell’Unhcr ricorda anche che continuano ad aumentare i rifugiati nei Paesi confinanti. D all’inizio del 2013 il numero di registrati dall’Unhcr o in attesa di esserlo cresce di oltre cinquemila persone al giorno e gli ultimi dati riportano la cifra di 814.677. Questo numero comprende 273.908 persone in Libano, 252.706 in Giordania, 177.387 in Turchia, 88.143 in Iraq, 16.195 in Egitto e 6.338 in altri Stati nordafricani. Nel frattempo, non si profilano svolte sul fronte della diplomazia, anche se quella statunitense sta lavorando per convincere il presidente siriano Bashir al Assad a lasciare il potere. Lo ha detto ieri in un incontro con la stampa il segretario di Stato, John Kerry, secondo il quale «dobbiamo lavorare sull’attuale percezione che il presidente al Assad ha della situazione. Ci sono da affrontare una serie di cose che contribuiranno a cambiare questo suo modo di vedere la questione e, soprattutto, la sua percezione che restare al potere sia inevitabile». VIENNA, 14. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) non ha concluso alcun accordo con l’Iran in tema di verifica sul controverso programma nucleare. Lo ha dichiarato oggi a Vienna il capo degli ispettori dell’Aiea, Herman Nackaerts, di ritorno da una missione a Teheran. «Abbiamo avuto delle discussioni su un documento per dare un approccio strutturato» al programma nucleare iraniano «ma non siamo riusciti a concordarlo», ha spiegato ai giornalisti il rappresentante dell’Aiea aggiungendo che «non siamo riusciti a metterci d’accordo su una data per la prossima riunione». I colloqui fra l’Iran e l’Aiea continueranno, ha annunciato dal canto suo l’ambasciatore iraniano presso l’Aiea Ali Asghar Soltanieh, sottolineando che «Iran e Agenzia internazionale per l’energia atomica hanno raggiunto un accordo di base per elaborare un quadro strutturato per risolvere le questioni pendenti circa il programma energetico della Repubblica islamica». L’ambasciatore iraniano, dopo la fine dei colloqui, ha affermato che le divergenze residue saranno discusse nel prossimo incontro. Qualche piccolo passo avanti, a differenza che nel recente passato, sarebbe stato compiuto secondo Teheran con la delegazione dell’Aiea. «Sono state risolte alcune divergenze», ha riferito ancora Soltanieh, «e su certe questioni si è arrivati a un’intesa». «Oltre a questo», ha proseguito il diplomatico iraniano, «sono state presentate nuove proposte e le due parti hanno deciso di esaminarle e di scambiare i rispettivi punti di vista nei futuri incontri». Forniture d’armi russe all’esercito di Bamako Segnalate vittime di un’epidemia di morbillo Decine di migliaia di maliani in fuga oltre i confini La crisi centroafricana degenera in emergenza sanitaria BAMAKO, 14. La sicurezza nel nord del Mali, teatro dell’offensiva delle forze francesi e di quelle governative di Bamako contro i gruppi jihadisti, è lontana dall’essere ripristinata e, anzi, tra le popolazioni tuareg e arabe c’è crescente timore di ritorsioni e vendette da parte dell’esercito maliano, formato da appartenenti alle etnie nere del sud. Di conseguenza, aumenta di giorno in giorno il numero delle persone che cercano scampo nei Paesi confinanti, in particolare in Mauritania, dove sono ormai oltre settantamila i rifugiati maliani ai quali si aggiungono ogni Referendum costituzionale nello Zimbabwe HARARE, 14. Si terrà il prossimo 16 marzo il referendum nello Zimbabwe sulla nuova bozza di Costituzione. Lo ha annunciato il ministro per gli Affari parlamentari e costituzionali, Eric Matinenga. Il ministro ha precisato che non ci saranno registri elettorali e che ogni cittadino che abbia compiuti i 18 anni di età e sia in possesso di un documento di identità valido potrà avere accesso al voto. Una volta approvata, la nuova Carta fondamentale entrerà in vigore tra aprile e maggio e subito dopo sarà annunciata la data delle elezioni parlamentari e presidenziali, che la stampa locale prevede per luglio. Con tali elezioni dovrebbe avere termine l’esperienza del Governo di unità nazionale creato successivamente alle elezioni del 2008, quando l’attuale primo ministro Morgan Tsvangirai, leader del Movimento per il cambiamento democratico, si rifiutò di partecipare a un ballottaggio accusando il presidente Robert Mugabe di averlo privato della vittoria al primo turno tramite brogli. Successivamente, su pressione dei Paesi dell’Africa australe, Tsvangirai e Mugabe concordarono appunto la creazione di un Governo di unità nazionale per porre fine alle violenze e alla crisi politica in atto nel Paese. giorno tra trecento e cinquecento persone. La cifra in questione è stata fatta dall’ambasciatore della Turchia a Nouakchott, Musa Kulaklikaya, in un’intervista all’agenzia di stampa Anadolu, nella quale ha sottolineato che i maliani temono «pulizia etnica e vendette». Un allarme in merito aveva lanciato martedì l’Alto commissario dell’Onu per i Diritti umani, Navanethem Pillay, secondo la quale c’è il pericolo di una catastrofica spirale di violenze, mentre l’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia, era tornato a denunciare l’arruolamento forzato di bambini nel nord del Paese e l’alto tasso di malnutrizione destinato a colpire quest’anno 650.000 giovani. Nell’intervista all’agenzia Anadolu, Kulaklikaya ha specificato che i maliani fuggiti in Mauritania sono in maggioranza donne e bambini, e che 42 istituzioni internazionali con cinquecento addetti stanno operando sul campo coordinate dall’O nu. Secondo l’ambasciatore turco, è appunto l’Onu ad offrire il principale sostentamento ai profughi maliani, considerate le scarse risorse del Governo mauritano. Kulaklikaya ha parlato anche di preoccupazione delle autorità di Nouakchott per i circa duemila armati che avrebbero varcato il confine, sottolineando un rafforzamento delle misure di sicurezza. Notizie analoghe di rafforzamento dei controlli ai confini giungono dall’Algeria. Nel frattempo, l’esercito di Bamako ha ricevuto rifornimenti bellici da Mosca. «Abbiamo fornito armi da fuoco, l’ultima consegna è stata fatta due settimane fa. Sono in corso negoziati per forniture supplementari per quantità più piccole», ha riferito ieri Anatoly Isaikin, il direttore di Rosobornexport, l’agenzia federale russa per la vendita di armi. Allo scoppio della nuova fase della crisi in Mali, con l’intervento armato della Francia, si era diffusa anche la notizia che Mosca avrebbe fornito mezzi di trasporto alle truppe francesi. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, aveva poi spiegato che a svolgere tale servizio sarebbero state solo compagnie private russe. BANGUI, 14. La crisi nella Repubblica Centroafricana sta degenerando anche in un’emergenza sanitaria, mentre nuovi scontri armati minacciano di compromettere le intese raggiunte tra il presidente François Bozizé e i ribelli della coalizione Seleka (alleanza in lingua locale sango). Il ministero della Sanità centroafricano, durante una riunione con partner internazionali tenuta nella capitale Bangui, ha rivolto un appello ad aprire un corridoio umanitario per raggiungere le popolazioni sfollate nelle zone attaccate dai ribelli della Seleka dallo scorso dicembre e tra le quali cresce il ri- schio di epidemie. «I saccheggi, le violenze, gli abusi sessuali che hanno costretto migliaia di civili alla fuga e decine di operatori sanitari a ritirarsi stanno avendo conseguenze negative sulla popolazione. Manca il personale sanitario e scarseggiano diversi tipi di medicinali», ha dichiarato il direttore del ministero, Honorat Ouilibona Cockciss. Nei giorni scorsi, almeno cinque bambini sono morti nell’epidemia di morbillo che, secondo dati diffusi dall’Unicef, potrebbe colpire il 60 per cento della popolazione, mentre il 48 per cento dei servizi sanitari è interrotto. Aborigeni riconosciuti primi abitanti dell’Australia I guerriglieri colombiani reclutano minori Battaglia con truppe etiopi a Baidoa Nuovi attacchi dei ribelli somali di al Shabaab MO GADISCIO, 14. Un attacco nella città di Baidoa, nel sud ovest della Somalia, è stato sferrato dalle milizie ribelli radicali islamiche di al Shabaab. Secondo quanto riferito dal sito di informazione somalo Maareg, i ribelli hanno ingaggiato battaglia con truppe etiopiche stanziate in città. Secondo la stessa fonte, i combattimentio sono durati circa due ore, con bilanci discordanti delle due parti. A Baidoa è in atto una lotta di potere interna. L’ex governatore Abdifatah Geesey sta infatti continuando a occupare il proprio posto nonostante che il Governo centrale abbia nominato al suo posto Abdi Hoosow. Non è chiaro se l’incursione dei miliziani di al Shabaab sia collegata a queste vicende, ma i ribelli hanno dimostrato di essere comunque ancora in grado di effettua- re operazioni militari, nonostante le sconfitte subite nell’ultimo anno. Baidoa era una delle roccaforti da cui i ribelli furono costretti a ritirarsi nel febbraio dello scorso anno in seguito all’offensiva delle forze governative e soprattutto di quelle dell’Amisom, la missione in Somalia dell’Unione africana. Agli attacchi di tipo propriamente militare, al Shabaab ha affiancato una strategia di attentati. Ancora tre giorni fa, quattro persone sono state uccise da un attentatore suicida al volante di un’autobomba che si è fatto esplodere a Galkayo, nel centro del Paese, situata tra le regioni dichiaratesi autonome del Puntland e del Galmudug. Obiettivo dell’attentato era un convoglio di veicoli che accompagnava appunto uno dei principali responsabili militari del Puntland, rimasto ferito. Autorità governative e organizzazioni sanitarie indipendenti hanno evidenziato la necessità di un coordinamento delle varie azioni intraprese e la creazione di una piattaforma nazionale per gestire le emergenze umanitarie in situazioni di crisi. Quella che si protrae da due mesi non sembra risolversi nonostante la firma degli accordi di pace di Libreville, in Gabon, lo scorso 11 gennaio. Pur avendo ottenuto il ministero della Difesa, ma anche quelli della Comunicazione e delle Foreste all’interno del nuovo Governo di unità nazionale, la Seleka starebbe proseguendo la sua offensiva. Fonti citate dall’agenzia Misna denunciano una situazione di caos totale nella città di Dekoa, nella prefettura sudorientale di Kemo. Da due giorni, con motivazioni ancora tutte da chiarire, i ribelli si starebbero scontrando con appartenenti al gruppo etnico dei Manja, maggioritario in città. Già nei giorni scorsi, tra l’8 e il 9 febbraio, la Seleka aveva attaccato la città di Mobaye, nella vicina prefettura della Basse-Kotto. Un aborigeno durante una danza tradizionale (Nazioni Unite) CANBERRA, 14. La Camera dei Rappresentanti di Canberra ha approvato all’unanimità un disegno di legge che riconosce gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres come primi abitanti dell’Australia. La legge è considerata come passo intermedio verso un referendum nazionale che emendi la Costituzione nello stesso senso: un referendum inizialmente previsto per quest’anno è stato rinviato per raccogliere il necessario supporto. L’approvazione della legge è stata accolta con applausi e commozione da numerosi esponenti aborigeni, e coincide con il quinto anniversario delle scuse formali presentate in Parlamento alla popolazione indigena dall’allora premier laburista, Kevin Rudd, per le leggi e le politiche che — disse — «inflissero profondo dolore, sofferenze e perdite». BO GOTÁ, 14. In Colombia non si è fermato ancora il reclutamento di minori nelle file dei movimenti di guerriglia di sinistra, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). Secondo quanto ha reso noto ieri il difensore del popolo, Jorge Armando Otálora Gómez, dall’inizio dell’anno 46 minori sono stati costretti ad aderire ai due gruppi. Dal 1999, i casi di reclutamento di minori sono stati 4.935, ma secondo alcune fonti governative in tutto sarebbero 18.000. Otálora Gómez ha sollecitato le istituzioni dello Stato ad avere un ruolo attivo nella prevenzione del fenomeno «punendo i responsabili, occupandosi del reinserimento dei bambini maltrattati e garantendone l’accesso al sistema scolastico». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 Il dibattito sul Vaticano II venerdì 15 febbraio 2013 rivisto alla luce di quanto accadde in Germania dopo l’assise del 1869-1870 Conflitti postconciliari Un concilio generale non può avere determinato una rottura della tradizione di fede Döllinger replicò: «Ne è stata creata una nuova!». Considerando la grande stima inopo il discorso pronunciato da Papa Benedet- ternazionale di cui godeva l’erudito to XVI il 22 dicembre storico della Chiesa, non c’è da stu2005, che ha suscitato pirsi che ora — avendo polemizzato tanto clamore, il dibat- contro il concilio già prima e durantito sulla corretta interpretazione del te lo stesso — con il suo “no” ai deconcilio Vaticano II è entrato in una creti che questo aveva prodotto, otnuova fase. Il cinquantesimo anni- tenesse non poca approvazione. Soversario dell’inizio del Concilio gli prattutto negli ambienti colti. Si possono citare, in rappresentanha dato un nuovo impulso. Quale punto di vista, quale modo di avvici- za di un numero ragguardevole di narsi ai testi del Concilio è quello professori di teologia e di diritto cagiusto: un’ermeneutica di rottura nonico, il suo allievo lord Emerich con la tradizione, o quella della ri- Acton e il giurista di Praga Johann forma in continuità con essa? Si trat- von Schulte. Tutti loro affermavano ta di due posizioni contrapposte che che il concilio aveva prodotto una difficilmente possono essere concilia- rottura con la tradizione della Chiete. In questa situazione che, nell’in- sa e per questo doveva essere respinteresse vitale della Chiesa, esige seri to. Si giunse così a una crisi che sforzi per trovare una soluzione, po- scosse quasi l’intera scienza teologica trebbe essere utile fare riferimento nell’area di lingua tedesca. Gli avalle esperienze della Chiesa al tempo versari del concilio motivavano la lodel concilio Vaticano I. Per questo, ro posizione interpretando le definil’analisi può limitarsi agli eventi che zioni del primato e dell’infallibilità hanno riguardato il concilio del del Papa in modo esagerato e grotte1869-1870 in Germania, dal momen- sco. Si arrivava ad affermare che, to che in nessun altro Paese vi sono dopo il concilio, il Papa potesse, in stati confronti altrettanto accesi su di qualsiasi momento, imporre alla Chiesa le sue idee soggettive come esso. Poiché attualmente il dibattito sul dogma. Il famoso ex sese della defiVaticano II è comunque sulla bocca nizione significava, secondo loro, di tutti, non occorre illustrarlo nei che il Papa era infallibile “da se stesdettagli. Esso non riguarda soltanto il carattere proprio del Vaticano II come “concilio pastorale”. L’imperativo del momento non erano definizioni dogmatiche o condanne magisteriali di eresie, bensì un annuncio del Vangelo adeguato alle esigenze e agli interrogativi della società secolare moderna. Al centro del dibattito, che prosegue ancora oggi, non finì solo il tema della “Chiesa nel mondo contemporaneo”, ma anche il rapporto con l’ebraismo e l’islam. Pure il problema della libertà religiosa si rivelò — e tuttora si rivela — molto controverso. In non minor misura, Monsignor Gregor von Scherr le discussioni del concilio arcivescovo di Monaco e Frisinga dal 1856 al 1877 furono inoltre dedicate agli sforzi per la riunificazione dei cristiani divisi. Il risultato so”, che poteva esercitare un goverdi tale impegno furono le dichiara- no dogmatico arbitrario, indipenzioni Nostra aetate e Dignitatis huma- dentemente dall’intera Chiesa. E, dal punto di vista della politinae, nonché il decreto Unitatis redintegratio. Sono proprio questi docu- ca, il dogma del concilio minacciava menti a essere da allora al centro di le moderne costituzioni statali e forcontroversie. In tali confronti si sono mava la base di progetti di dominio create due posizioni, che parlano en- del mondo da parte del Papa. «Se trambe, dalla propria prospettiva, di credo all’infallibilità del Papa, non una frattura con la dottrina della devo mantenere la fedeltà al mio re, Chiesa fino ad allora vincolante, poiché non è cattolico (...) altrimenti provocata dai suddetti documenti. Il vengo colpito da scomunica», disse dibattito, per giunta, viene condotto il professor Hubert Reinkens di Breda entrambe le parti in modo sem- slavia, diventato in seguito vescovo pre molto polemico. L’unico elemen- dei vetero cattolici. I profeti della to che le distingue è la valutazione rottura crearono così un clima surridi questa pretesa rottura. Se gli uni scaldato, nel quale i fronti si irrigidirono sempre più. A questo irrigidimento È una verità di fede irrinunciabile non contribuirono però soil fatto che le affermazioni magisteriali lo gli oppositori dei dogmi del primato e dell’infallibidi un concilio ecumenico lità, ma anche i suoi sostenitori, talvolta altrettanto siano espressione infallibile avventati ed estremisti. Tra della verità divina rivelata questi spiccavano l’arcivescovo di Londra Henry Edvedono in essa una contraddizione ward Manning, come anche i gesuiti teologicamente ingiustificabile all’in- della redazione de «La Civiltà Cattoccabile depositum fidei della Chiesa, tolica» e altri ancora, che volevano gli altri la considerano il necessario riconoscere in quasi tutte le dichiarasfollamento di bastioni incrinati dal- zioni del Pontefice un detto infallilo sviluppo della società e della cul- bile. Allontanandosi così dalla sana tradizione della Chiesa, causarono tura moderne. La domanda che si pone con una rottura, soprattutto perché le logrande urgenza è come trovare una ro esagerazioni offrivano agli oppovia d’uscita da questa situazione di sitori del concilio una base per la loconflitto, che sia legittima dal punto ro protesta. Oltre a ciò, fu di fatto l’intransidi vista teologico e soddisfi entramgenza di entrambe le parti a rendere be le parti. estremamente difficile il confronto Come già detto, in questa ricerca potrebbe essere utile uno sguardo al- oggettivo e sereno con il dogma del concilio. le esperienze fatte dalla Chiesa con In questa situazione, che minac— ovvero dopo — il concilio prececiava l’unità della Chiesa, anche didente, quello degli anni 1869-1870. versi partecipanti al concilio e teoloAnche allora si era parlato di “rottu- gi fecero sentire la loro voce attrara”. Quando l’arcivescovo Gregor verso pubblicazioni, atte a rispondevon Scherr, subito dopo essere ritor- re agli errori e agli attacchi sia nato da Roma, ricevette i membri dell’una, sia dell’altra parte. In pridella Facoltà teologica di Monaco, mo luogo ci fu il vescovo Joseph comunicando e spiegando i decreti Feßler di St. Pölten, che, in quanto conciliari, si rivolse al decano — si segretario del concilio, era particotrattava di Ignaz von Döllinger, for- larmente qualificato per farlo. se il più grande oppositore del conI suoi scritti Die wahre und die falcilio — dicendo: «Ci mettiamo di sche Unfehlbarkeit der Päpste, pubblinuovo al lavoro per la santa Chie- cato nel 1871 in tre edizioni, e, subito sa». Döllinger rispose: «Sì, per la dopo, Das Vaticanische Concilium, vecchia Chiesa». Scherr ribatté: dessen äußere Bedeutung und innerer «Esiste una sola Chiesa, non ne esi- Verlauf, contribuirono in modo deciste una vecchia, né una nuova». E sivo a spiegare e a placare gli animi. di WALTER BRANDMÜLLER* D Fu in gran parte anche merito di Feßler se il vescovo di Rottenburg Carl Joseph von Hefele, eminentissimo storico dei concili che per diverso tempo aveva mantenuto una posizione opposta al concilio, approvò infine i dogmi conciliari. Gli scritti di altri importanti studiosi, come il giovane Matthias Joseph Scheeben e Joseph Hergenröther, poi diventato cardinale, ottennero un effetto simile. Particolare peso ebbero però le parole pastorali dei vescovi, come quelle delle conferenze episcopali che si riunirono subito dopo il concilio. Anche Papa Pio IX intervenne nel confronto. Sebbene negli ambienti romani — ho già citato «La Civiltà Cattolica» — si nutrissero simpatie per le interpretazioni estremiste, il Papa non esitò a esprimere la propria approvazione per gli scritti di Feßler. Approfittò anche di un discorso all’Accademia di Religione Cattolica di Roma (20 luglio 1871), per evidenziare come il concetto medievale del rapporto tra i Papi e i regnanti secolari fosse condizionato dai tempi. Fu però in particolare l’espressa approvazione, da parte di Pio IX, dell’importante dichiarazione collettiva dei vescovi tedeschi, con la quale respinsero l’accusa del cancelliere von Bismarck — secondo cui, attraverso il concilio, era stato minato il potere giurisdizionale dei vescovi, rendendoli meri funzionari esecutivi del Papa, quindi di un sovrano straniero — a togliere ogni fondamento alle interpretazioni errate e tendenziose degli oppositori del concilio. Così, sulla base di un’interpretazione oggettiva e corretta dei decreti conciliari, per lunghi tratti si poté conservare l’unità tra vescovi, clero e fedeli. In seguito, le proteste e il dissenso non si limitarono a un numero consistente di professori di teologia e di diritto canonico, ai quali, nel corso degli ulteriori sviluppi, si unirono circa 58.000 cattolici, appartenenti per la maggior parte alla borghesia colta e alla classe dei funzionari. Costituirono così la “Chiesa vetero cattolica”, della quale fu consacrato vescovo — illegalmente — il già citato professore Hubert Reinkens. Riflettendo su questi sviluppi, il vescovo di Augusta Pankratius von Dinkel, che durante il concilio aveva fatto parte della minoranza che si opponeva all’infallibilità, poté affermare che la formulazione del dogma dell’infallibilità, che si era ottenuta alla fine, significava una vittoria più della minoranza che della maggioranza. Detto così potrebbe apparire esagerato, tuttavia il processo interpretativo seguito al concilio ha tenuto conto delle legittime preoccupazioni degli oppositori della definizione, togliendo in tal modo ogni fondamento alla loro protesta. Se oggi cerchiamo di ripercorrere le controversie dell’epoca, possiamo riconoscere le strutture di questo discorso postconciliare. Si trattava, per il momento, semplicemente del proseguimento dei contrasti già esistenti in seno al concilio. In seguito fu invece la “sovranità d’interpretazione” a essere al centro della disputa. Sia i sostenitori della maggioranza, sia quelli della minoranza, cercavano di far risaltare il punto di vista che ave- vano sostenuto nel concilio, e che, secondo loro, non era stato espresso nella maniera auspicata nei decreti. Il numero elevato e il tono spesso polemico di tali confronti fecero sorgere — per un tempo relativamente breve — seri timori di una rottura più grande all’interno della Chiesa. Una delle ragioni più profonde del dissenso fu indubbiamente anche il modo diverso di vedere il rapporto tra la Chiesa e il mondo secolare del XIX secolo. Nella misura in cui pure molti cattolici, a causa del progresso tecnico-scientifico vissuto quasi con ebbrezza, ne ignoravano lo sfondo ateo e si aprivano in modo troppo disinibito alla società e alla cultura moderna liberale, si verificava anche un indebolimento del loro legame con la Chiesa e il suo magistero. Il fatto che, nonostante tutto ciò, dopo il concilio del 1869-1870 non si sia giunti a uno scisma di dimensioni più grandi è stato, in larga misura, merito del conflitto scoppiato subito dopo, con grande virulenza, tra la Chiesa e lo Stato, che si considerava onnipotente e onnicompetente, vale a dire il Kulturkampf. Poiché questo, soprattutto in Prussia, ma anche in Baviera e nel Baden, si manifestò con aspre misure oppressive Deve essere possibile anche un’interpretazione del concilio che faccia riconoscere lo sviluppo organico del “depositum fidei” nei confronti della Chiesa da parte dello Stato, produsse una serrata sempre più stretta dei ranghi tra forze prima contrapposte. Indicativo di ciò fu per esempio l’atteggiamento del noto storico e sacerdote Johannes Janssen, che durante il concilio si era schierato con la minoranza. Ora, sotto l’influenza degli sviluppi postconciliari, riteneva che, con il senno di poi, fosse un bene che la minoranza del concilio non ce l’avesse fatta. Affermò di non essere deluso per questo, ma di guardare con fiducia al futuro, «poiché una simile unità tra Papa, vescovi, clero e popolo non c’è mai stata, per quel che conosco della storia della Chiesa, nemmeno nei tempi più gloriosi del medioevo». Influenzati da questi sviluppi, anche la maggior parte di coloro che in origine avevano contestato l’infallibilità rinunciarono alla loro opposizione. «Il Kulturkampf, contrariamente alle intenzioni di quanti lo hanno condotto, come pochi altri fattori, ha consolidato l’infallibilismo e isolato gli oppositori del concilio. Ha prodotto una situazione che non ammetteva più un’identificazione solo parziale» (Klaus Schatz). Non tanto sotto la pressione politica quanto sotto quella ideologica dell’opinione pubblica liberale, dimentica della verità, anche il beato John Henry Newman riuscì a superare le iniziali riserve sul dogma del concilio. Lo convinse — tra le altre Quella lezione del giovane teologo Joseph Ratzinger In una conferenza sulla teologia del concilio tenuta nel 1959 presso l’accademia cattolica di Bensberg, il giovane teologo Joseph Ratzinger affrontò con lucidità questioni che negli anni successivi si troveranno al centro di roventi polemiche, come quelle sui rapporti tra concilio e magistero papale e tra collegialità episcopale e primato petrino. Lo ricorda Gianni Valente in un passaggio del suo libro — Ratzinger al Vaticano II (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2013, pagine 223, euro 14) — appena pubblicato. «Secondo Ratzinger — si legge — chi chiama in causa l’infallibilità pontificia per ridurre la portata dell’annunciato concilio, in realtà fonda i suoi ragionamenti su premesse errate, che travisano il senso cattolico della categoria stessa di infallibilità papale, postulandola come un’entità “che sussista per sé isolatamente”. In realtà, spiega Ratzinger, l’infallibilità è innanzitutto propria della Chiesa intera e della sua fede, e si fonda e riposa sull’infallibilità della stessa Parola di Dio. Nonostante tutti gli errori e gli oscuramenti dei singoli, la Chiesa universale non può lasciarsi condurre in errore nella sua totalità». Seguendo il ragionamento del giovane teologo, Valente scrive: «Nella vita della Chiesa il magistero ordinario e universale si esprime in ciò che tutti i vescovi, incluso il vescovo di Roma, testimoniano in comune. (...) Questo magistero ordinario è “la forma normale dell’infallibilità ecclesiastica”». Considerando poi le forme “straordinarie” di espressione del magistero, ovvero i pronunciamenti del concilio e quelli fatti ex cathedra dal Papa, e «visto che la via “ordinaria” — cioè solita e normale — di preservare la parola è quella collegiale, Ratzinger ne deduce che il concilio è “più vicino a questa via ordinaria che non il pronunciamento ex cathedra”». Stampa raffigurante un’assise del concilio Vaticano cose — l’assioma di sant’Agostino: Securus iudicat orbis terrarum (Contra epistulam Parmeniani, III, 24). Orbis terrarum indica, dal punto di vista teologico, la Chiesa universale, riunita nel concilio generale. È una verità di fede irrinunciabile il fatto che le affermazioni magisteriali di un concilio ecumenico, con l’aiuto dello Spirito Santo, siano espressione infallibile della verità divina rivelata. Ciò valeva indubbiamente per il concilio Vaticano I che, per giunta, visto che i Padri provenivano da tutto il mondo, fu anche il primo concilio generale de facto. Proprio da questo punto, però, partono oggi le obiezioni contro il Vaticano II. Sebbene sotto questo aspetto sia stato un concilio che ha rappresentato la Chiesa universale, sarebbe però illegittima la sua pretesa di avere un carattere magisteriale vincolante definitivo. Il concilio stesso, e il Papa che lo ha convocato, hanno espressamente dichiarato di non voler pronunciare condanne dottrinali, né decisioni magisteriali definitive. Ergo, si dice, il concilio non può pretendere un’obbedienza di fede vincolante. Ancora più grave è l’accusa secondo cui il concilio avrebbe errato nella fede, e più precisamente nelle dichiarazioni Nostra aetate e Dignitatis humanae. È invece impossibile ignorare che questa accusa è stata causata in misura notevole da quanti, da parte loro, hanno interpretato in particolare i testi citati come rottura con la tradizione nel senso di un necessario aggiornamento. L’analogia con la situazione del 1870 salta agli occhi. Senza dubbio il concilio non ha pronunciato né definizioni dogmatiche, né condanne dottrinali infallibili. E non ha neanche — presumendo il fondamentale assenso di fede — escluso il dibattito teologico sulla retta comprensione della dottrina conciliare. Se però qualcuno volesse affermare sul serio che il concilio ha errato nella fede, significherebbe che ha abbandonato il fondamento della fede cattolica. Presumere un errore contro la fede da parte dell’organo supremo del magistero della Chiesa sarebbe in totale contraddizione con la tradizione dottrinale ininterrotta della Chiesa e la Sacra Scrittura, un’assurdità teologica se non addirittura un’eresia. Le parole del Signore sul fatto che la sua Chiesa sarebbe stata costruita sulla pietra, che le forze della morte e degli inferi non avrebbero prevalso su di essa, la promessa dell’aiuto costante dello Spirito Santo e l’assicurazione, da parte del Signore, che sarebbe stato con la sua Chiesa sino alla fine dei tempi: tutte queste parole sarebbero vuote se il magistero supremo della Chiesa potesse incorrere in un errore contro la fede. Tuttavia, queste voci esistono e di fatto assumono una posizione protestante. Se però — con convinzione autenticamente cattolica — rimaniamo saldi nella fede nell’azione dello Spirito di Dio nella Chiesa e per mezzo della stessa, non possiamo ammettere un errore da parte di un concilio generale, una rottura della tradizione di fede, una contraddizione tra ieri, oggi e domani. Allora deve essere possibile anche un’interpretazione del concilio che faccia riconoscere lo sviluppo organico del depositum fidei. È esattamente questo che è avvenuto, per ampi tratti, ai tempi del Vaticano I. Anche secondo il concilio Vaticano II è il magistero postconciliare a interpretare in modo autentico i testi conciliari, coerentemente con l’intera tradizione della fede. Questo tipo di consapevolezza di fede, invece, a volte sembra essere offuscato — e qua e là addirittura assente — nel dibattito attuale sull’interpretazione del Vaticano II. I In alcuni, il suo posto è stato preso dalla prepotenza, se non dall’irrigidimento teologico. Qui sarebbe dunque necessario superare la comprensione di sé della Chiesa, talvolta piuttosto esigente — sia come “punta di lancia del progresso”, sia come “sacre vestigia” di una Chiesa autentica — nella devota fiducia nel Signore della Chiesa, e, guardando anche al Vaticano II, ripetere con sant’Agostino e il beato John Henry Newman: Securus iudicat orbis terrarum. A ciò si aggiunge un’altra riflessione: mentre la Chiesa, nel periodo successivo al Vaticano I, ha dovuto affrontare il Kulturkampf, quella attuale è esposta a un’opposizione ideologica ormai mondiale, che soprattutto in certi Paesi si è trasformata in persecuzione cruenta e che in altri si è manifestata in aperti e violenti episodi di intolleranza. Anche questa esperienza potrebbe spingere oggi i cattolici a serrare nuovamente i ranghi. *Cardinale diacono di San Giuliano dei Fiamminghi Guida al Vaticano Per pellegrini e turisti ma non solo Interno della cupola di San Pietro La Guida generale alla Città del Vaticano (Città del Vaticano Milano, Musei Vaticani - Libreria Editrice Vaticana - Jaca Book, 2013, pagine 477, euro 35) dedicata allo Stato che possiede, in meno di un chilometro quadrato, la massima concentrazione artistica del mondo, è stata presentata nella mattina di giovedì 14 febbraio presso i Musei Vaticani alla presenza degli autori e degli editori. Ogni settore, monumento e realtà museale è illustrato con una parte storica, che precede la descrizione; ogni testo è firmato da un singolo studioso, in accordo e sotto la responsabilità delle varie istituzioni vaticane (Reverenda Fabbrica di San Pietro, Biblioteca Apostolica, Archivio segreto, Musei Vaticani). La guida — la prima completa realizzata dalla costituzione dello Stato del Vaticano contemporaneo, nel 1929 — si rivolge perciò a tutti: turisti, pellegrini, studiosi, e descrive posti visitabili e non visitabili della Città del Vaticano così come luoghi cui si può accedere seguendo determinate procedure. Tutti gli accessi sono spiegati nella parte finale. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 15 febbraio 2013 pagina 5 Vincolo matrimoniale e differenza tra i sessi Particolare della «Porta dell’inferno» (1880-1917) Articolo di ragione di EUGENIO MAZZARELLA* lla base della decisione dell’Assemblea Nazionale francese che prevede il matrimonio e il diritto all’adozione per le coppie omosessuali grazie all’eliminazione della differenza tra i sessi come condizione fondamentale per il vincolo matrimoniale — “il matrimonio per tutti” — c’è un grave e distorto uso ideologico del diritto a non essere discriminati. Una distorsione ideologica che fa torto al buon uso della ragione e proprio per questo lede, nel matrimonio, fondamentali istituti etici della società. La manomissione delle parole non fa più meraviglia, purtroppo, nel dibattito pubblico. E alimenta polemiche surrettizie. Ma di quanto sia grave ce ne accorgiamo solo quando, come in Francia, induce a decisioni legislative gravemente pregiudizievoli del buon senso e del diritto. E sul significato del termine discriminazione, il voto all’Assemblea Nazionale francese ci sembra un caso di scuola. Perché discriminare vale certo non riconoscere a qualcuno l’eguale diritto a un bene o a un diritto, ma anche in origine, e in positivo, vale distinguere, discernere. E non applicare a situazioni diverse regole eguali, se si vuole davvero essere equi. Ora è proprio questa capacità di discernimento che all’Assemblea Nazionale è venuta meno. La presunta discriminazione da rimuovere consisterebbe nel fatto che le coppie eterosessuali e le coppie gay non siano discriminabili, in base all’orientamento sessuale, nei loro diritti per accedere all’istituto familiare del matrimonio, perché questo sarebbe diritto di ogni persona. Questo assunto si regge — in diritto e in fatto — su un uso ideologico e improprio dell’analogia tra coppia, famiglia e matrimonio. Coppia, famiglia e matrimonio sono realtà, e istituti giuridici, affatto diversi. E non può esserci, senza grave pregiudizio, una pura e semplice transitività analogica dall’uno all’altro istituto di requisiti di diritto; un passaggio puramente analogico dall’uno all’altro dei diritti che a questi istituti sono propri, o vi si vogliono riconoscere. Questo è quello che è accaduto all’Assemblea Nazionale francese. Il nucleo dell’argomentazione antidiscriminatoria, evidentemente fatto proprio dal legislatore francese, è stato presso a poco il seguente: poiché le coppie eterosessuali e le coppie gay sono “famiglie”, cioè legami di coppia affettivamente impegnati, ciò che si riconosce all’una famiglia deve essere riconosciuto anche all’altra. Per analogia, perché entrambe “famiglie”, le coppie gay ed eterosessuali, benché non abbiano in fatto eguale orientamento sessuale (non siano cioè omologhe), vengono rese eguali in diritto. I diritti riconosciuti al matrimonio, al tradizionale legame, sancito dalla legge, della coppia eterosessuale, sono trasferiti sic et simpliciter alla coppia omosessuale. Con il che viene a essere negata proprio la specificità sociale della coppia eterosessuale — l’orientamento sessuale finalizzato alla procreazione come struttura portante della riproduzione sociale — che il diritto, con l’istituto matrimoniale, è da sempre impegnato a tutelare. Si realizza cioè un’equivoca e insostenibile “neutralizzazione” familiare dell’orientamento sessuale al fine di poter riconoscere eguali diritti a presunte eguali famiglie, risolvendo il legame familiare nella pura affettività. Il che appunto non è. Innanzi tutto il legame di coppia, nelle sue basi affettive e sessuali, non è la famiglia. La famiglia è A un legame sociale diverso dalla coppia affettivo-sessuale; e si dà famiglia a vario titolo anche in assenza in essa di un legame di coppia affettivo-sessuale. Questa spuria “rifondazione” della famiglia sul matrimonio risolto in puro legame affettivo toglie alla famiglia proprio la funzione che le è stata riconosciuta da sempre: il suo essere naturale presidio sociale del legame riproduttivo eterosessuale. Laddove l’associazione familiare, nella sua radice di coppia eterosessuale, “nasce” essa stessa dalle “nozze”, dalla possibilità di far nascere, dal naturale orientamento procreativo del legame. L’essere famiglia, o il “fare famiglia”, non può quindi fare aggio sugli orientamenti sessuali della coppia. Non si può dedurre dal loro “fare famiglia”, l’equivalenza degli orientamenti sessuali della coppia ai fini del matrimonio. Facciano famiglia o no, resta tutta in piedi la differenza tra le coppie gay e le coppie eterosessuali; e la pregnanza di questa differenza, anche per rispetto al dato esistenziale che comporta. L’istanza di uno stesso istituto giuridico di protezione sociale, il matrimonio, per legami di coppia differenti, non ha quindi quel fondamento antidiscriminatorio invoca- Alla base di certe decisioni non c’è alcuna discriminazione da sanare Ma solo una pressione ideologica sempre più forte che mina sul piano culturale le basi etiche e giuridiche della società europea to per estendere l’istituto matrimoniale alle coppie gay. Né può essere invocata per questa estensione la tutela dei diritti della persona singola. Giacché il matrimonio è istituto giuridico che tutela le persone nella loro associazione in vista di un terzo, il figlio; cioè la loro naturalità procreativa, non la loro singolarità desiderante. L’orientamento naturale alla procreazione è talmente dirimente per la destinazione del matrimonio alla protezione sociale della coppia eterosessuale, da aver generato l’ampia estensione del diritto di famiglia tradizionale alle coppie di fatto e ai figli naturali. Possibilità le une (le coppie di fatto), o esito questi (i figli), della finalità naturalmente procreativa del legame eterosessuale, che nell’istituto del matrimonio la società riconosce suo interesse fondamentale meritevole di specifica tutela. Alla base della decisione dell’Assemblea Nazionale francese non c’è alcuna discriminazione da sanare, ma solo purtroppo una pressione ideologica sempre più forte, che mina da tempo sul piano culturale le basi etiche e giuridiche della società europea, e istituti etici, prima ancora che giuridici, fondativi e strutturanti un’ordinata convivenza sociale. Istituti etici e giuridici certo da aggiornare ai tempi, e il riconoscimento dovuto alle unioni civili va in questo senso; ma non sovvertibili nelle loro strutture di fondo, che il diritto riconosce da sempre — già nel diritto romano in modo esemplare, e per la civiltà giuridica dell’Europa in modo determinante — come un portato “di natura”, che la norma giuridica non istituisce, ma riconosce alla semplice luce della ragione naturale, al netto di ogni illuminazione religiosa. La contestazione quindi della decisione dell’Assemblea Nazionale francese non è un articolo di fede, ma un articolo di ragione. *Università Federico II di Napoli Deputato del Partito Democratico Non solo scultore A Parigi la mostra «Rodin. La chair, le marbre» L’artista che pensava in rilievo di SANDRO BARBAGALLO Cinquanta opere in marmo sono attualmente esposte all’Hôtel Biron di Parigi, mentre all’Accademia di Spagna di Roma si è appena inaugurata una mostra di grafica ispirata alla Divina commedia di Dante. Due occasioni, due coincidenze, per ricordare un grande artista. Parliamo di François-AugusteRené Rodin, il figlio di un impiegato di polizia — nasce a Parigi il 12 novembre del 1840 — che a causa della modesta condizione sociale non riuscì neanche a superare gli esami di ammissione alla Scuola di Belle Arti. Eppure oggi celebriamo lo scultore Rodin. E forse i semi della sua grandezza, quella che possiamo ammirare nella mostra parigina, si ritrovano proprio nei suoi esordi da autodidatta: difficili, ma sollevati dalla frequentazione di una scuola di disegno gratuita, fondata nel Settecento allo scopo di istruire operai e artigiani. Quella scuola gli permise di guadagnarsi da vivere fin da giovanissimo. Infatti, frequentando come ragazzo di bottega lo studio di scultori già affermati, imparò forse molto più che se avesse frequentato un’accademia. Così, nel 1864, Rodin entrò nell’atelier di Carrier-Belleuse, famoso per il virtuosismo con cui scolpiva i particolari di graziosi Particolare dell’«Età del bronzo» (1877) busti femminili. Risale proprio all’insegnamento indiretto, dovuto a questa frequentazione, una delle prime opere dell’artista Fanciulla con fiori sul cappello (1865), che dimostra a quale grado di abilità il nostro fosse già arrivato. Era però forse consapevole che l’eccesso di decorativismo poteva rendere la sua scultura troppo leziosa, e così il sodalizio con lo scultore CarrierBelleuse si concluse nel 1872. Rodin comprende che è l’ora di esprimere la propria autonomia con un’arte in cui si legga tutta la virilità, la forza e la drammaticità che sono proprie della sua natura. Come tutti gli artisti che si rispettassero, anche Rodin aveva fatto il suo viaggio in Italia e subito scelto Michelangelo come maestro. A Firenze era rimasto tutto l’inverno tra il 1875-1876 e aveva avuto modo di studiare i grandi artisti italiani. Ma nonostante la sua identità andasse maturandosi con egregi risultati, Rodin cominciò a ricevere rifiuti di ogni tipo ogni volta che partecipava a concorsi pubblici. Basti pensare al celebre Uomo col naso rotto (1864), che venne accettato al Salon — dove era stato rifiutato dieci anni prima — solo nel 1875. Ma anche per lui arriva l’opera che segna il passaggio dall’oscurità alla luce della fama. È l’Età del bronzo (1877). Scultura accusata di eccesso di realismo, una delle prime a creare un’incomprensione costante tra il fare dell’artista e il giudizio del pubblico. Quella che ai nostri occhi appare oggi come un’incredibile miopia dei critici del tempo, era forse dovuta a una tecnica maniacale basata su centinaia di piccoli tocchi dati all’argilla: con essa Rodin otteneva un grado di verità difficilmente raggiunto da altri scultori. Usava dire: «Quando modello, non penso mai “in superficie” ma “a rilievo”». All’epoca infatti gli scultori mestieranti non esitavano a usare alcuni trucchi, come quello di fare calchi in gesso dei loro modelli presi dal vero. Questo procedimento che falsava lo spirito dello scolpire era odiato da artisti autentici come Rodin. Ma anche lui aveva un segreto: affinché l’opera non risultasse falsa, ovvero troppo in posa, troppo in tensione, permetteva ai propri modelli, durante il periodo di posa, di rilassarsi in tutta libertà. Questo non gli impediva di far percepire all’osservatore lo sviluppo dei muscoli e delle ossa sotto la pelle. Il risultato era straordinario. Più vero del vero. Quando l’Età del bronzo venne esposta la prima volta a Bruxelles e poi al Salon di Parigi, si apriva la terza mostra degli impressionisti, più nota come la mostra di Caillebotte, l’artista che l’aveva finanziata. Né va dimenticato che nel 1878, sempre a Parigi, ci sarà l’Esposizione Universale. Appena due anni dopo, allo scultore viene commissionato un ciclo di opere ispirate a Dante Alighieri. Nell’ambito di La morte di Gabriele Basilico Il fotografo che scovava l’uomo dietro l’architettura Il fotografo milanese (foto Ansa) È morto mercoledì 13 gennaio a Milano Gabriele Basilico, uno dei più grandi fotografi documentaristi contemporanei, celebre per le sue ricerche sul paesaggio urbano. Aveva 68 anni. Nel 1973 si era subito lasciato affascinare dal linguaggio fotografico, senza però abbandonare l’amore per l’architettura, disciplina in cui si era da poco laureato. I suoi soggetti furono da subito i paesaggi, quelli metropolitani in particolare, dei quali riusciva a cogliere con singolare maestria l’infinita complessità, decifrandone con il suo formidabile occhio tanto le contrapposizioni più stridenti quanto le geometrie segrete. E con il suo sguardo attento dava dignità anche a luoghi più abbandonati, cogliendone la nascosta poesia. La sua visione non era mai banale. E a chi gli rimproverava la fredda staticità di quelle immagini senza vita rispondeva che dietro ogni edificio e ogni spazio c’era l’opera dell’uomo che crea il suo habitat. E che non di rado lo distrugge. Non a caso tra tanti lavori bellissimi quello che più colpisce, e che più gli era rimasto nel cuore, è il racconto della Beirut ferita dalla guerra. Tra i primi ad apprezzarne il lavoro Roberto Chirri, che lo volle nel suo gruppo per realizzare il celebre Viaggio in Italia. A metà degli anni Ottanta fu invitato dal Governo francese, unico italiano, a documentare le trasformazioni del paesaggio transalpino. Con questi contributi arrivò l’apprezzamento internazionale, cui seguirono trent’anni di esplorazioni in sessanta città del mondo. E dopo tutto ciò Basilico continuava a considerarsi un semplice «misuratore di spazi». (gaetano vallini) Il nome di Rodin rimanda immediatamente alla mente a uno dei più grandi scultori moderni. Eppure il grande artista francese ha lasciato anche una produzione di vario genere, spesso ignorata. Ne sono testimonianza 129 disegni esposti a Roma nella mostra «Auguste Rodin. L’inferno di Dante», ospitata presso La Reale Accademia di Spagna fino al 4 marzo. Le stampe sono disposte in tre gruppi. I primi due di ispirazione dantesca: 82 appartengono alla serie dedicata all’Inferno, mentre 31 al Limbo. Le altre 16, invece, sono studi che pur non riguardando direttamente l’opera di Dante, condividono lo stesso argomento di richiamo biblico ed evocazione delle opere di Michelangelo. Del resto il genio del Rinascimento è sempre stato un modello per Rodin, che a lui si è ispirato anche nella sua scultura più celebre, Il pensatore. E una delle stampe in mostra a questa serie egli studia la complessa struttura de La porta dell’inferno (1880-1917). È solo nel 1883 che l’artista incontra Camille Claudel. Da bambina prodigio, diventa una promettente scultrice, assistente di Rodin e non tarda ad affermarsi come artista. Ancora oggi la sua vicenda umana resta drammatica e oscura. Poco sappiamo oltre al fatto che fu sorella del poeta Paul Claudel, che era tanto brava da essere considerata una rivale del maestro e che fu internata in manicomio per trent’anni fino alla morte avvenuta nell’ottobre del 1943. Intorno a questa scomoda presenza nella vita di Rodin si è formata nel tempo una leggenda fitta di reticenze, illazioni, supposizioni dolorose. Fatto sta che nella mostra in corso a Parigi — «Rodin. La chair, le marbre» (aperta fino al 1° settembre) — si chiarisce come alla fine dell’O ttocento uno scultore si ponesse il problema di rendere l’illusione della vita in una materia come il marmo. L’esposizione fa incontrare la cerebralità di Rodin che si esprime anche attraverso la ricerca di luci e ombre, particolari effetti di chiaroscuro che donano alle sue opere caratteristiche quasi pittoriche. Non a caso alcuni critici lo hanno paragonato all’italiano Correggio. L’allestimento impeccabile della mostra parigina permette ai visitatori la visione di opere sistemate su bassi piedistalli per poterne godere una visione ad altezza uomo. Si può quindi immaginare quanto possa risultare coinvolgente ammirare da vicino il celebre Bacio (1888). Questa scultura è una sorta di dichiarazione di poetica, in cui la «Ugolino nella sua prigione» (1897) mitologia è scartata in favore di un’estetica che si adegua alle esigenze dell’età moRoma — si tratta di fotoincisioni derna. Il bacio visto come atto a calore — raffigura proprio creativo, spudorata rivelazione di Michelangelo. Il sommo poeta un sentimento tanto imbarazzante fiorentino, invece, è quanto autentico. protagonista di dieci disegni, Il percorso espositivo illustra coparte dei cosiddetti Disegni me, in contrasto con una Parigi anNeri, ispirati alla prima cantica cora dominata da un accademismo della Divina commedia, che ottocentesco, Rodin usasse il “non vennero realizzati mentre lo finito” per riproporre un’idea arcaiscultore lavorava alla sua ca della scultura. Egli vuole dimofamosa e non conclusa opera in strare come l’artista demiurgo posbronzo Porta dell’Inferno, sa far nascere la forma dal caos. È custodita al Musée Rodin di indicativo il fatto che quando egli Parigi. raggiunse fama e ricchezza, si cirL’opera grafica di Rodin condò di giovani scultori, che nel fu stampata nel 1897 suo atelier portavano materialmendalla celebre Maison Goupil e te a termine un’idea da lui abbozoggi è conservata presso il zata nell’argilla. E tra questi assiMusée d’Aquitaine di stenti una delle più brave era proprio Camille Claudel. Bordeaux, sotto la cui tutela si La mostra attualmente in corso trova la Collezione Goupil: un al Museo Rodin di Parigi, ci ricorvero e proprio monumento da come è nato questo spazio. Nel alla bibliofilia che venne 1908 il poeta Rilke aveva segnalato ribattezzato Album Fenaille, dal a Rodin l’Hôtel Biron, ex convennome di Maurice Fenaille, to del Sacro Cuore. All’epoca di membro dell’Academie des gran moda tra gli artisti. Rodin ci beaux-arts di Francia si trovò talmente bene che, quando ma anche importante qualche anno dopo lo Stato francollezionista e mecenate che nel cese lo comprò per farne un mu1885 conobbe Rodin. La sua seo, non si stupì che glielo volesse passione per l’arte ha permesso dedicare. Il progetto del Museo di recuperare i disegni dello Rodin si realizzò grazie al consisculture e trasformarli in stampe glio di artisti come Monet, Debusgrazie alla tecnica della sy, critici come Mirabeau, politici fotoincisione a colore. In alcune come Poincaré. di quelle in mostra sono La porta dell’inferno, l’opera inpresenti persino le annotazioni compiuta più inquietante del maeoriginali dello stesso artista. stro, venne sistemata all’ingresso (simona verrazzo) dell’antica cappella del convento. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 15 febbraio 2013 Rapporti ecumenici e interreligiosi in una risoluzione della Chiesa ortodossa russa Per l’arcivescovo di Jos le divisioni e i conflitti di oggi originati da politiche del passato Dialogo con chi difende i valori cristiani tradizionali Colonialismo e crisi religiosa in Nigeria MOSCA, 14. «L’assemblea riconosce come utili gli sforzi compiuti insieme alle altre confessioni per opporsi alle sfide del mondo contemporaneo, quali il secolarismo aggressivo, l’attacco ai fondamenti morali della vita individuale e pubblica, la crisi dei valori familiari, le persecuzioni e le discriminazioni dei cristiani»: una delle risoluzioni approvate dal recente concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa è dedicata ai rapporti ecumenici e interreligiosi e alle attività internazionali. Si sottolinea, fra l’altro, che viene considerato «impossibile il dialogo con le confessioni che calpestano apertamente le norme morali bibliche, ragione per la quale è stata giustificata la sospensione dei dialoghi bilaterali con le comunità protestanti che hanno legalizzato la “benedizione” delle “unioni dello stesso sesso” e l’ordinazione di persone che hanno dichiarato apertamente il loro orientamento sessuale non tradizionale». Come esempio positivo di collaborazione intercristiana viene citata la firma, da parte del Patriarca di Mosca, Cirillo, e del presidente della Conferenza episcopale polacca, Józef Michalik, il 17 agosto scorso a Varsavia, del messaggio ai popoli di Russia e di Polonia teso a favorire il perdono reciproco, a curare le ferite del passato, alla riconciliazione davanti alle sfide del mondo secolare contemporaneo, alla creazione di un futuro pacifico. Nel dialogo con gli eterodossi — si legge su Orthodoxie.com che cita uno stralcio dei documenti ufficiali diffusi da Pravoslavie.ru — la Chiesa ortodossa russa «continuerà a prendere una posizione ferma per quanto concerne la testimonianza dei valori cristiani tradizionali, mantenendo immutabile la fedeltà alle norme della santa Scrittura e alla tradizione apostolica». Non vengono invece nascoste le difficoltà «nel processo di sviluppo del dialogo teologico panortodosso-cattolico», come anche i dubbi legati al tema della cattolicità e del primato nella Chiesa universale, dal punto di vista della tradizione dottrinale e canonica ortodossa. L’assemblea esprime tuttavia la certezza che è indispensabile rendere la procedura di questo dialogo «più trasparente» e prevedere soprattutto un ampio dibattito sui progetti in preparazione così come il loro coordinamento con il plero- ma dell’episcopato delle Chiese ortodosse locali, tenendo conto dell’importanza particolare delle decisioni prese e della rafforzata responsabilità degli arcipastori quanto alla salvaguardia della purezza della fede ortodossa, della pace e dell’unità ecclesiale. Il concilio dei vescovi sostiene comunque la continuazione della collaborazione con i rappresentanti delle altre religioni tradizionali, il cui scopo è «la difesa del diritto della prospettiva religiosa a essere presente nella sfera pubblica, nel quadro della salvaguardia dei valori morali nella vita della società, della difesa dei luoghi di culto, della lotta contro il terrorismo, del consolidamento di relazioni pacifiche fra i popoli». L’assemblea — riunitasi dal 2 al 5 febbraio nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca — considera im- portante continuare a testimoniare al mondo intero «i comandamenti morali dati da Dio» e a rendere conto, davanti alle istituzioni pubbliche e politiche, alle autorità statali e alle organizzazioni sociali, della posizione della Chiesa ortodossa russa relativamente alle questioni attuali del mondo moderno. La risoluzione si conclude esprimendo la speranza che l’adempimento, da parte di tutti i pastori e i laici, delle decisioni prese dai vescovi del Patriarcato di Mosca servirà a una migliore programmazione della vita ecclesiale, aiutando a testimoniare la verità di Cristo nel mondo contemporaneo, nel quale «è particolarmente importante per ciascuno di noi mantenere la fedeltà alla parola di Dio ed eseguire i suoi comandamenti». fondamentali pensando di rispondere a un mandato divino. Questa si dice che sia la prova della capacità della religione di fare del male». L’altra opinione — spiega ancora l’arcivescovo di Jos — è quella dei religiosi cronicamente ottimisti. Essi credono che la religione faccia un monte di bene e che sia fattore più che necessario per l’esistenza umana e per la trasformazione socio-economica. Ammettono che la religione è stata utilizzata a fini anti-sociali, esattamente come il fuoco e l’acqua, preziosi ed essenziali per la vita umana, i quali non sono di per sé cattivi ma possono essere usati a fini malvagi». Parlando delle dinamiche della fede e della violenza in Nigeria (nazione a maggioranza musulmana), il presidente della Conferenza episcopale ha spiegato che esiste una profonda storia di rivalità religiosa tra i seguaci delle diverse confessioni del Paese e di come i dominatori coloniali (la Nigeria, colonia britannica, si è resa indipendente nel 1960) hanno incontrato «nel nord una profonda tensione tra l’islam e i seguaci della religione tradizionale africana». Ed evidenziando i vantaggi della religione cristiana, il presule ha ricordato che «i missionari cristiani hanno portato crescita e sviluppo attraverso l’educazione, la sanità, le infrastrutture sociali e il welfare», aggiungendo che «le università d’Europa devono molto dei loro risultati accademici o scientifici al lavoro pionieristico degli studi universitari da parte della Chiesa». Monsignor Kaigama ha osservato che la tattica del divide et impera dei dominatori coloniali ha avuto effetti negativi sul Paese, deplorando il fatto che i politici non sono stati governanti migliori poiché, quando hanno assunto il potere, hanno continuato lo stile importato dai domi- natori coloniali: «A mio avviso, gli amministratori coloniali non gestirono bene la situazione. Invece di promuovere la cultura della tolleranza, della convivenza e della comprensione reciproca tra i diversi gruppi etnici e religiosi, scelsero di limitare il numero di missionari cristiani nelle comunità musulmane per non turbare gli emiri. Credo che questa politica sia stata un errore perché ha rafforzato la paura e il sospetto tra i vari gruppi». Purtroppo — ha sottolineato — «quando i politici indigeni nigeriani hanno assunto il potere hanno continuato con le politiche di divisione etnica e religiosa ereditate dai britannici. Alcune delle tensioni che sperimentiamo oggi sarebbero state risolte se fossero state adottate giuste politiche fin dalle prime fasi della costruzione dello Stato in Nigeria». Nel suo intervento, il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria ha inoltre detto che, «se c’è chi pensa che difficilmente può esserci un conflitto puramente religioso in Nigeria causato da considerazioni o motivi dottrinali», si sono invece verificati scontri interreligiosi che hanno coinvolto diverse sette islamiche su questioni dottrinali e rituali, così come conflitti tra alcuni gruppi di cristiani o tra fedeli tradizionali cristiani e africani in varie parti del nord, ovest ed est della Nigeria. «Questi non sono stati a causa delle differenze dottrinali, ma in conseguenza di fattori come la ricerca per lo spazio o l’influenza e l’intolleranza da parte di gruppi cristiani oppure l’imposizione di riti tradizionali e della cultura sui cristiani», ha concluso l’arcivescovo mettendo in evidenza che le cause della crisi religiosa nella parte settentrionale del Paese sono state legate principalmente a fattori diversi dalle differenze religiose o dottrinali. Una campagna degli anglicani in Sud Africa Trecentosessantacinque giorni di non violenza Iniziativa quaresimale del World Council of Churches per sensibilizzare la comunità internazionale Sette settimane per l’acqua GINEVRA, 14. «Seven Weeks for Water» (Sette settimane per l’acqua) è l’iniziativa lanciata dalla Rete ecumenica dell’acqua (Ecumenical Water Network, Ewn) del Consiglio ecumenico delle Chiese (World Council of Churches, Wcc) per ispirare risposte e azioni concrete per la giusta distribuzione dell’acqua. Per l’occasione, la Ewn ha lanciato sulla rete una raccolta di riflessioni e di risorse bibliche dedicate all’uso dell’acqua durante la Quaresima. Al fine di ottimizzare tali azioni e nell’ottica di poter offrire un supporto anche alla luce delle evidenti ristrettezze economiche che colpiscono molte realtà del pianeta, il World Council of Churches propone un coordinamento di molteplici iniziative e contributi affinché la “rete” possa in parte sopperire a eventuali criticità esistenti. «Seven Weeks for Water» ha l’obiettivo, quindi, di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale in occasione della Giornata mondiale dell’acqua che sarà celebrata il prossimo 22 marzo. Se infatti la produzione di cibo si basa sulla disponibilità di acqua pulita, allo stesso tempo ha un notevole impatto sia sulla quantità che sulla qualità dell’acqua. Di qui l’importanza di adottare pratiche il più possibile sostenibili. Stesso ragionamento per la produzione di energia, che necessita di enormi quantità di acqua e incide negativamente sulla sua qualità. È quindi fondamentale sviluppare politiche integrate che rendano coerenti le scelte attuate nei vari settori legati alle risorse idriche, soprattutto in un momento in cui non si può sottovalutare la disponibilità di acqua nel mondo. Di recente, la conferenza di Rio+20 ha anche posto l’accento sulla necessità impellente di affrontare problemi quali alluvio- ABUJA, 14. La crisi religiosa della Nigeria affonda le sue radici nella storia coloniale del Paese: ad affermarlo è il presidente della Conferenza episcopale, Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, che in una recente conferenza tenuta all’Università di Colonia, in Germania, ha spiegato che «il raggiungimento della coesione sociale in una nazione multiculturale e multireligiosa come la nostra è un compito erculeo» e che «il Paese non è certamente ancora pienamente integrato poiché le differenze religiose ed etniche giocano un ruolo dominante nei discorsi nazionali». Nella relazione — intitolata Religion and violence: the situation of Nigeria, with specific reference to the north e della quale il sito on line della Conferenza episcopale ha diffuso una sintesi — monsignor Kaigama sottolinea che si è verificata una recrudescenza di violenza religiosa in tutto il mondo e che la fede è stata spesso usata come fattore per alimentare crisi e disarmonia: «Due punti di vista spiccano più di altri quando si parla di religione. Uno la generalizza descrivendola come “stimolo per la violenza” od “oppio dei popoli”; i sostenitori di questa teoria tentano di dimostrare come guerre catastrofiche siano state combattute in nome della religione, per il suo progresso o in sua difesa, come storicamente testimonierebbero le crociate e la jihad. Essi sottolineano anche il comportamento irrazionale di alcuni religiosi, che hanno ucciso o commissionato suicidi di massa credendo nella fine imminente del mondo, la quale avrebbe garantito chissà quali speciali privilegi celesti, o di altri religiosi che hanno scatenato ostilità verso coloro che non condividevano il loro credo o le loro convinzioni religiose e palesemente hanno violato i diritti umani ni, siccità e carenza d’acqua, cercando al più presto soluzioni concrete e sostenibili. E la Commissione europea sta lavorando per rivedere le politiche legate alle risorse idriche, condizionate anche dai cambiamenti climatici. Dal 2008 a oggi, numerosi teologi di fama internazionale hanno scritto più di quaranta riflessioni sulle «Seven Weeks for Water». Le risorse di quest’anno sono composte da sette testi selezionati che danno un assaggio della diversità regionale, confessionale e di genere di coloro che hanno contribuito. Queste riflessioni bibliche sono peraltro integrate da nuove idee per lo studio, l’approfondimento, la riflessione e l’azione. Nella prefazione ai testi, il reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del Wcc, ha sottolineato quanto sia determinante, in particolare, il comportamento dei cristiani. «La mia speranza — ha scritto Fykse Tveit — è che mentre i cristiani di tutto il mondo utilizzino queste riflessioni, non si impegnino soltanto a un uso più giusto dell’acqua, ma che la loro fede in Colui che si identifica come “acqua viva” venga approfondita e aggiornata». In occasione della prima settimana di Quaresima è stata selezionata la riflessione del reverendo Jane Stranz, che si concentra sulle relazioni tra acqua, spiritualità e giustizia. Stranz si occupa di relazioni ecumeniche, di dialogo interreligioso e di ministero interculturale nell’ambito della Federazione protestante francese. «Il raggiungimento di una “giustizia dell’acqua” per oltre un miliardo di persone sul nostro pianeta che non hanno accesso all’acqua potabile — ha scritto Stranz — non avverrà certamente da un giorno all’altro. Ma sarà un pro- cesso lungo che necessita e collega campagne di sensibilizzazione e azioni dirette. Non è richiesto soltanto il nostro impegno intellettuale e politico, ma c’è anche bisogno di una vera spiritualità che ci sostenga mentre seguiamo Gesù e cerchiamo di essere acqua che erode le montagne dell’ingiustizia». Secondo il coordinatore della Ecumenical Water Network, Dinesh Suna, le Sette settimane per l’acqua sono «un’iniziativa pertinente per sensibilizzare il pianeta sulle questioni che riguardano la giustizia dell’acqua. «Abbiamo avuto una risposta straordinaria — ha sottolineato — dai nostri membri in tutto il mondo, che attendono con ansia di ricevere queste riflessioni quaresimali al fine di potersi impegnare con le loro congregazioni nello studio, nella riflessione e nelle azioni in materia di acqua». Le riflessioni appariranno sul sito della Ewn settimana per settimana, insieme a spunti per lo studio, la riflessione e l’azione, attraverso le quali le comunità religiose e le persone potranno formulare le loro risposte nelle comunità locali in merito al tema della giustizia sull’acqua. Inoltre, è già disponibile in rete un opuscolo che contiene tutte e sette le riflessioni. I temi delle riflessioni bibliche includono l’economia dell’acqua, il conflitto per l’acqua in Terra Santa, l’acqua e il battesimo, e le relazioni tra acqua, pace e spiritualità. Tra gli autori delle risorse che hanno contribuito all’iniziativa ricordiamo il reverendo Konrad Raiser, Anne Louise Mahoney, don Afrayem Elorshalimy, il vescovo cattolico di Goiás, monsignor Tomás Balduino, il reverendo Lucy Wambui Waweru e il reverendo Anderson Geremia. PRETORIA, 14. «Trecentosessantacinque giorni di non violenza»: è questo il titolo che fa da sfondo a una campagna dei fedeli anglicani in Sud Africa promossa al fine di garantire che le comunità diventino «luoghi sicuri per tutti». Il presidente dell’Anglican Women’s Fellowship, Pumla Titus, ha spiegato che «gli anglicani in Sud Africa da sempre sostengono con forza la campagna “sedici giorni di attivismo contro la violenza sulle donne e sui bambini”, ma l’anno scorso avevamo già riconosciuto che questo non era sufficiente». Pertanto, ha aggiunto la rappresentante, «assieme alla Mothers’ Union e ad altre organizzazioni, abbiamo promosso i trecentosessantacinque giorni di non violenza». In una risoluzione, siglata nel 2012 dall’Anglican Women’s Fellowship e dalla Mothers’Union, si sottolinea infatti l’impegno degli anglicani a «rompere il silenzio» al fine di promuovere il benessere delle comunità e la protezione delle donne. A supporto della campagna, il vescovo Rubin Phillip, dean dell’Anglican Church of Southern Africa (Acsa), ha esortato i fedeli a vivere il periodo quaresimale come impegno a contrastare ogni tipo di abusi e di discriminazione. La Quaresima, si ricorda, «è un tempo di penitenza e di digiuno». I leader della comunità anglicana del Sud Africa, è spiegato in un testo del presule, «hanno invitato tutti i fedeli a utilizzare il periodo quaresimale per riconoscere che ogniqualvolta non riusciamo ad agire contro la violenza, siamo complici del suo compimento». A tale riguardo i fedeli sono esortati ad accendere ogni mercoledì una candela in memoria di tutte le donne che hanno subìto maltrattamenti. Per gli uomini viene pertanto indicato l’impegno a supportare la campagna con lo slogan: «Non nel mio nome, questa violenza non può continuare». I leader dell’Acsa, si puntualizza ancora nel testo, chiedono inoltre «al Governo di formulare e di attuare una strategia nazionale» allo scopo di contrastare le violenze e alle autorità di polizia e giudiziarie di «assicurare il perseguimento degli autori». La questione era stata al centro, fra l’altro, di una riunione promossa, nell’ottobre scorso, dalla consulta della Comunione anglicana in Sud Africa. Tra le preoccupazioni emerse vi era stata infatti anche quella della violenza contro le donne. Per far crescere il Paese e aiutare la gente a vivere una vita più degna — hanno sottolineato i rappresentanti religiosi — non dobbiamo aspettare necessariamente l’intervento del Governo, ma dobbiamo prendere noi l’iniziativa. Esortiamo, pertanto, la popolazione a essere costruttiva e responsabile e a contribuire al cambiamento sociale del Sud Africa». L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 15 febbraio 2013 Il cardinale arcivescovo di Madrid per la campagna di Manos Unidas contro la fame nel mondo Giustizia e solidarietà per donne e uomini MADRID, 14. Proprio perché «non c’è giustizia senza uguaglianza», riconoscere la pari dignità dell’uomo e della donna deve essere «un’aspirazione ineludibile di tutti noi». Ma «la vera uguaglianza, che dona dignità alle persone, non si può raggiungere — secondo quanto invece pretendono alcune tendenze attuali come la cosiddetta “ideologia di genere” — né attraverso l’egualitarismo, che porta alla confusione facendoci credere che la differenza di ruoli tra uomo e donna non ha importanza, né attraverso quel tipo di comparazione che presenta la conquista dell’uguaglianza come una guerra tra sessi». È un passaggio della lettera pastorale scritta dal cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio María Rouco Varela, presidente della Conferenza episcopale spagnola, in occasione della cinquantaquattresima Campagna contro la fame promossa dall’organizzazione non governativa Manos Unidas, lanciata domenica 10 febbraio. Per il porporato, con questa nuova campagna, intitolata No hay justicia sin igualdad, «Manos Unidas ci invita a porre lo sguardo sulla questione del progresso delle popolazioni» e «lo fa fissando l’attenzione sull’importanza che ha la collaborazione fra l’uomo e la donna nel conseguimento del vero sviluppo dei popoli e delle persone». È chiaro, scrive Rouco Varela, che l’uguaglianza tra uomo e donna deve essere cercata e promossa attraverso quella differenziazione che conduce alla ricchezza della complementarie- La tradizionale iniziativa quaresimale della Caritas L’Australia guarda ai più poveri del mondo SYDNEY, 14. Con una celebrazione eucaristica nella cattedrale di Santa Maria, presieduta dall’arcivescovo di Sydney, cardinale George Pell, è stata lanciata in occasione del Mercoledì delle ceneri la campagna quaresimale annuale di Caritas Australia, «Project Compassion». Da 49 anni, per il periodo della Quaresima, scuole, gruppi religiosi, comunità, parrocchie, università, organizzazioni e singole persone di tutto il Paese sponsorizzano progetti per raccogliere fondi destinati alla Caritas per la campagna di solidarietà. «Project Compassion», infatti, ha l’obiettivo di sostenere e portare speranza a uomini, donne e bambini delle regioni più povere del mondo che lottano per la sopravvivenza. Non si tratta soltanto di una raccolta di fondi, ma è anche un richiamo a una maggiore consapevolezza della necessità di supportare con ogni mezzo l’impegno di solidarietà verso il prossimo. Caritas Australia ha un team di operatori che operano in più di 220 Paesi nel mondo. Oltre a fornire progetti di sviluppo, Caritas è determinante nella fase di emergenza con squadre di azione appositamente addestrate che intervengono in occasione di catastrofi naturali. Proprio in questi giorni, le squadre di soccorso sono impegnate a dare assistenza alle popolazioni delle Isole Salomone, colpite da un violento terremoto e dallo tsunami. Quest’anno, i fondi raccolti con la campagna «Project Compassion» saranno destinati alle comunità di Bolivia, Bangladesh, Papua Nuova Guinea, Mozambico, Cambogia oltre a dare aiuto e sostegno alle comunità indigene dell’Australia. L’anno scorso con oltre dieci milioni di dollari raccolti è stato battuto un nuovo record, segno che la generosità degli australiani non si ferma nemmeno davanti alla crisi. Con i fondi raccolti sono stati finanziati non solo programmi nazionali, ma anche quelli all’estero, in particolare sul tema della lotta alla povertà e alla malnutrizione. A oggi, poco più di un miliardo e mezzo di bambini sono stati salvati, grazie agli interventi messi in atto dalla comunità internazionale. Di anno in anno le donazioni sono sempre più consistenti e hanno consentito di raggiungere traguardi ambiziosi. «Negli ultimi anni — spiega Jack de Groot, amministratore delegato di Caritas Australia — le condizioni economiche per molti australiani sono state difficili e incerte, ma le nostre parrocchie, le scuole e le comunità sono riuscite a trovare le ri- sorse necessarie per sostenere i più poveri tra i poveri. A differenza di molte campagne di solidarietà “Project Compassion” è davvero sentita da centinaia di migliaia di persone». Opuscoli, locandine e materiale informativo sono stati distribuiti nei centri di aggregazione, nelle scuole e nelle comunità per informare la popolazione dell’importanza di questa campagna. Gli operatori della Caritas, impegnati in tutto il territorio nazionale, illustrano dal vivo ai giovani le sfide e le speranze che sono alla base di questa importante iniziativa. Per esempio, si potranno effettuare donazioni di 5 dollari (per comprare un pollo per il Matuba Children’s Centre del Mozambico) o dieci dollari (per l’acquisto di un filtro per l’acqua in modo da impedire il diffondersi di epidemie in Cambogia). «La solidarietà — spiegano i promotori della campagna — è utile per la sicurezza in quelle regioni del mondo dove i Governi sono sotto pressione a causa del malessere della popolazione». tà e della comunione, «due qualità che corrispondono alla vocazione che Cristo è venuto a svelare all’essere umano». Da qui la necessità di continuare a lavorare affinché la parità tra uomo e donna, «che ha il suo fondamento nell’amorevole creazione di Dio», non risulti una chimera. Se è vero che non c’è giustizia senza uguaglianza, è altrettanto vero — sottolinea l’arcivescovo di Madrid — che «gli sforzi a favore della giustizia saranno destinati al fallimento se non si vede dove si trova l’origine dell’autentica uguaglianza fra uomo e donna». Il presidente della Conferenza episcopale spagnola conclude la lettera pastorale con l’appello affinché la famiglia, «cellula della società», venga protetta come “prima scuola” nella quale tale verità è insegnata e appresa. La Campagna 2013 — che spera nel raggiungimento di una maggiore autonomia femminile soprattutto nei Paesi in via di sviluppo — ha l’obiettivo di denunciare le tante ingiustizie e prevaricazioni che le donne subiscono nel loro cammino verso la parità (fino all’odioso crimine della violenza sessuale, consumato a volte nello stesso ambito familiare). Nel mondo, infatti, il 60 per cento delle persone che soffrono la fame cronica è composto da donne e bambine e lo stesso vale per il 98 per cento delle vittime della tratta di esseri umani; per non parlare poi di quelle nazioni dove nascere femmina è sinonimo di disgrazia. Nel manifesto scelto per l’edizione numero 54 viene raffigurata una donna “del terzo mondo” che porta sulle spalle, come due elementi di una bilancia, due ceste, contenenti una la giustizia e l’altra l’uguaglianza. Così, spiegano gli organizzatori, la donna viene presentata «non solo come partecipe ma anche come base della giustizia». Nel documento diffuso per illustrare l’iniziativa viene citato uno stralcio del discorso pronunciato da Benedetto XVI il 22 marzo 2009 nella parrocchia di Santo António a Luanda, capitale dell’Angola, incontrando i movimenti cattolici per la promozione della donna: uomini e donne — disse il Papa — «sono chiamati a vivere in profonda comunione, in un vicendevole riconoscimento e dono di se stessi, lavorando insieme per il bene comune con le caratteristiche complementari di ciò che è maschile e di ciò che è femminile. In un mondo come l’attuale, dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto». L’organizzazione non governativa Manos Unidas — che nel 2010 ha compiuto i cinquant’anni di fondazione — è l’associazione di volontariato della Chiesa cattolica in Spagna incaricata dell’aiuto, della promozione e dello sviluppo nel terzo mondo. Può contare su settanta delegazioni in tutto il Paese e partecipa ogni anno a centinaia di progetti in numerose nazioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina. È guidata da una donna, Inmaculada García Abrisqueta; consigliere e rappresentante della Conferenza episcopale è monsignor Juan José Omella Omella, vescovo di Calahorra y La Calzada - Logroño. pagina 7 La vicinanza degli episcopati europei a Benedetto XVI Una scelta compiuta con coraggio Espressioni di affetto e gratitudine continuano a giungere anche in queste ore a Benedetto XVI da parte degli episcopati europei. Il cardinale Antonio María Rouco Varela, presidente della Conferenza episcopale spagnola, a nome anche di tutti i vescovi iberici, esprime «la più profonda gratitudine per l’impagabile servizio prestato alla santa Chiesa in questi intensi anni di pontificato. Siamo addolorati e come orfani per questa decisione che ci riempie di pena, perché ci sentivamo sicuri e illuminati dal suo ricchissimo magistero e dalla sua vicinanza paterna. Allo stesso tempo, accogliamo la volontà del Santo Padre con reverenza filiale». E per il cardinale arcivescovo di Barcellona, Lluís Martínez Sistach, la decisione del Papa ne pone «in rilievo la profonda spiritualità», la «lucidità» e il «grande amore per la Chiesa». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il cardinale patriarca di Lisbona, José da Cruz Policarpo, che definisce la decisione del Papa «un precedente positivo» e «un atto straordinariamente coraggioso, destinato a introdurre nella Chiesa un nuovo ritmo». Il presidente dell’episcopato di Inghilterra e Galles, l’arcivescovo di Westminster, Vincent Gerard Nichols, rivolgendosi ai fedeli, si è detto sicuro che, superato lo sconcerto dell’annuncio, nella scelta del Papa «molti vi riconosceranno una decisione di grande coraggio e frutto di chiarezza di mente e di azione». E ha aggiunto: «Chiedo al popolo di fede di pregare per Papa Benedetto. Noi cattolici lo faremo con grande affetto e con la più alta stima per il suo ministero. Pregheremo anche per la Chiesa e per tutti i passi che dovrà compiere nelle prossime settimane. Abbiamo fiducia nell’amore della Provvidenza di Dio e nella guida dello Spirito Santo». Anche il cardinale Keith Michael Patrick O’Brien, presidente della Conferenza episcopale scozzese, dice di aver appreso la notizia con «choc e tristezza», ma aggiunge di sapere che una tale decisione «sarà stata considerata attentamente e presa dopo aver molto pregato e riflettuto. Offro le mie preghiere per Papa Benedetto e chiedo alla comunità cattolica di Scozia di unirsi a me nella preghiera per lui in questo momento». Di gesto di «autentica umiltà, coraggio e amore per la Chiesa» parla anche il cardinale arcivescovo di Armagh e presidente dell’episcopato irlandese, Seán Baptist Brady, che ringrazia il Papa «a nome della Chiesa cattolica in Irlanda e dei confratelli vescovi», soprattutto per il suo «generoso servizio» e per il «grande amore e la preoccupazione che ha sempre dimostrato». Per il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, presidente della Conferenza episcopale austriaca, «la dichiarazione di dimissioni di Papa Benedetto XVI è un passo assai straordinario che merita Per «La Civiltà Cattolica» In gioco sfide che richiedono energie fresche «Il Papa rinuncia al ministero petrino non semplicemente perché si sente debole, ma perché avverte che oggi più che mai ci sono in gioco sfide cruciali che richiedono energie fresche». È il convincimento della «Civiltà Cattolica» che nell’editoriale del prossimo numero definisce «la rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino una notizia di portata storica». Secondo la rivista dei gesuiti quindi «il Papa, anche con questo suo gesto intende spronare la Chiesa. La immagina coraggiosa nell’affrontare le sfide dei rapidi mutamenti e le sfide delle questioni di grande rilevanza per la vita della fede». Perciò il suo gesto «non è una rinuncia. Semmai è un gesto di umiltà e di libertà. Egli sa di aver svolto il suo ministero fino in fondo. Adesso si rende conto che la situazione che il mondo e la Chiesa vivono è completamente cambiata rispetto anche a pochi anni fa». La conclusione è allora che «rinunciando al Pontificato Benedetto XVI sta dicendo qualcosa alla Chiesa di oggi: la invita a non temere, a spendere le forze per aprirsi alle sfide e alle questioni, a non temere la rapidità e il peso dei mutamenti». il massimo rispetto e la massima ammirazione. Nutro comprensione verso la decisione del Papa sebbene questo passo mi abbia anche colpito dolorosamente». Tuttavia, ha aggiunto, «non è necessario preoccuparsi per la Chiesa cattolica», perché «è Gesù Cristo stesso che guida la Chiesa. L’ha guidata per duemila anni attraverso tutte le tempeste e continuerà a guidarla». L'arcivescovo di Malines-Bruxelles e presidente della Conferenza episcopale del Belgio, André Léonard, definisce Benedetto XVI come «uno dei Papi più brillanti della storia della Chiesa» e traccia un parallelismo con il suo immediato predecessore. «Giovanni Paolo II ha dato una splendida testimonianza andando fino alla fine della sua vita, malato tra i malati. Benedetto XVI dà una testimonianza complementare e altrettanto bella, lasciando il suo incarico, perché la Chiesa possa avere un governo efficiente». Di decisione «storicamente rilevante» parla il comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale dei Paesi Bassi. «Gli siamo estremamente grati», commentano i presuli, «perché è stato un vero pastore della Chiesa». Voci di cardinali Mai la Chiesa perde la speranza «Mai la Chiesa perde la speranza». Essa «è mistero di fede, il Papa è il Vicario di Cristo e Lui non verrà mai a mancare. Dunque, in questo particolare momento, è richiesto a tutti un atto di fede». Così il cardinale Georges Marie Martin Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, commenta la rinuncia di Benedetto XVI. Intervistato da «Avvenire», il porporato domenicano sottolinea che «il suo gesto va rispettato» e che «la chiave per comprendere la sua decisione» sta nel suo modo di guardare alla Chiesa. Che non è quello, «assai diffuso, puramente umano, sociologico», secondo cui «la Chiesa coincide con le miserie di uomini peccatori», dove il mistero è «assente, invisibile, censurato». Al contrario la Chiesa «è mistero di fede. Vedere soltanto l’aspetto umano è erroneo». Di «gesto al contempo umile e alto, di eccezionale portata» parla il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban in Sud Africa. Per il porporato francescano — intervistato da «La Stampa» — quello delineato dal Papa «è uno scenario che sfuggiva a ogni possibile congettura. Non era previsto da nessuno e una scelta così forte e limpida testimonia come il bene della Chiesa costituisca l’unica preoccupazione di Joseph Ratzinger. Il sentimento della responsabilità lo ha sempre guidato nel suo servizio». Del resto — prosegue — «ha sempre dato contorni nitidi alla sua azione. Quando non si è sentito più in grado di svolgere compiutamente la sua missione, ha scelto di lasciare». Perciò «va rispettato nella sua decisione e ringraziato per l’eroico coraggio con cui si è interamente dedicato alla nuova evangelizzazione. Si è creata una situazione inedita, fuori da ogni parametro conosciuto. L’orientamento lo fornisce proprio l’impostazione ratzingeriana del pontificato: lasciare che Dio si esprima nelle nostre vite. E, secondo l’ispirazione del concilio Vaticano II, disporsi ad accogliere i segni dei tempi». Da qui l’invito a «continuare sul sentiero tracciato. La priorità è mettere Dio al centro della vita privata e pubblica, come ci ha insegnato Benedetto». Il cardinale confida poi che non si sarebbe «mai aspettato di vivere una situazione del genere. L’ultimo periodo è stato difficile, turbolento», ma subito aggiunge di essere convinto che «da questa profonda crisi possiamo uscire con una forte rinascita spirituale, come ai tempi in cui San Francesco attuò la sua riforma morale». Su «Asianews» il cardinale John Tong Hon evidenzia che Benedetto XVI «ha sempre amato la Chiesa e ha sempre impegnato tutto il suo cuore e tutta la sua energia nel servizio pastorale a favore del gregge di Dio». Quindi come vescovo di Hong Kong si dice «grato in maniera particolare al Papa per la sua amorevole preoccupazione per la Chiesa in Cina». Inoltre egli «è un uomo di fervente preghiera. È profondamente consapevole che, per svolgere i suoi compiti papali, non può affidarsi solo alle parole e ai fatti, ma ha anche bisogno di preghiera». E «dopo le sue dimissioni, servirà la Chiesa con tutto il cuore attraverso la preghiera». Per questo — è la conclusione — «esprimiamo il nostro più sincero ringraziamento al Santo Padre per la sua guida e per il suo buon esempio, e pregheremo per sempre per lui». Nomina episcopale in Francia La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Francia. Laurent Percerou vescovo di Moulins Nato l’11 settembre 1961 a Dreux, diocesi di Chartres, dopo studi di storia dell’università di Tours, ha insegnato nelle scuole pubbliche. Entrato nel seminario des Carmes di Parigi, si è preparato al sacerdozio all’Institut catholique, dove ha anche conseguito la licenza in teologia biblica e sistematica. Ha inoltre studiato diritto canonico all’università di Salamanca. Ordinato presbitero il 14 giugno 1992, per la diocesi di Chartres, è stato parroco di Maintenon, di Gallardon e del raggruppamento parrocchiale di Challet, Gallardon, Maintenon e Villiers-le-Mohier, responsabile del servizio diocesano per le vocazioni, vicario generale e moderatore di curia. Dopo essere stato per un anno amministratore diocesano, dal 2006 è vicario generale della diocesi. Inoltre, dal 2005, è assistente degli Scout di Francia a Chartres, e dal 2009, responsabile del servizio diocesano per la catechesi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 Benedetto XVI venerdì 15 febbraio 2013 celebra in San Pietro la messa del mercoledì delle Ceneri Ritorno a Dio per superare rivalità e divisioni «Ritornare a Dio»: l’invito del profeta Gioele è stato riproposto dal Papa la sera del 13 febbraio come itinerario di riflessione quaresimale ai fedeli che hanno partecipato alla messa del mercoledì delle Ceneri nella basilica Vaticana. Venerati Fratelli, cari fratelli e sorelle! Oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo un nuovo cammino quaresimale, un cammino che si snoda per quaranta giorni e ci conduce alla gioia della Pasqua del Signore, alla vittoria della Vita sulla morte. Seguendo l’antichissima tradizione romana delle stationes quaresimali, ci siamo radunati oggi per la Celebrazione dell’Eucaristia. Tale tradizione prevede che la prima statio abbia luogo nella Basilica di Santa Sabina sul colle Aventino. Le circostanze hanno suggerito di radunarsi nella Basilica Vaticana. Siamo numerosi intorno alla Tomba dell’Apostolo Pietro anche a chiedere la sua intercessione per il cammino della Chiesa in questo particolare momento, rinnovando la nostra fede nel Pastore Supremo, Cristo Signore. Per me è un’occasione propizia per ringraziare tutti, specialmente i fedeli della Diocesi di Roma, mentre mi accingo a concludere il ministero petrino, e per chiedere un particolare ricordo nella preghiera. Le Letture che sono state proclamate ci offrono spunti che, con la grazia di Dio, siamo chiamati a far diventare atteggiamenti e comportamenti concreti in questa Quaresima. La Chiesa ci ripropone, anzitutto, il forte richiamo che il profeta Gioele rivolge al popolo di Israele: «Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» (2, 12). Va sottolineata l’espressione «con tutto il cuore», che significa dal centro dei nostri pensieri e sentimenti, dalle radici delle nostre decisioni, scelte e azioni, con un gesto di totale e radicale libertà. Ma è possibile questo ritorno a Dio? Sì, perché c’è una forza che non risiede nel nostro cuore, ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. È la forza della sua misericordia. Dice ancora il profeta: «Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (v.13). Il ritorno al Signore è possibile come “grazia”, perché è opera di Dio e frutto della fede che noi riponiamo nella sua misericordia. Questo ritornare a Dio diventa realtà concreta nella nostra vita solo quando la grazia del Signore penetra nell’intimo e lo scuote donandoci la forza di «lacerare il cuore». È ancora il profeta a far risuonare da parte di Dio queste parole: «Laceratevi il cuore e non le vesti» (v.13). In effetti, anche ai nostri giorni, molti sono pronti a “stracciarsi le vesti” di fronte a scandali e ingiustizie — naturalmente commessi da altri —, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio “cuore”, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta. Quel «ritornate a me con tutto il cuore», poi, è un richiamo che coinvolge non solo il singolo, ma la comunità. Abbiamo ascoltato sempre nella prima Lettura: «Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo» (vv. 15-16). La dimensione comunitaria è un elemento essenziale nella fede e nella vita cristiana. Cristo è venuto «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (cfr. Gv 11, 52). Il “Noi” della Chiesa è la comunità in cui Gesù ci riunisce insieme (cfr. Gv 12, 32): la fede è necessariamente ecclesiale. E questo è importante ricordarlo e viverlo in questo Tempo della Quaresima: ognuno sia consapevole che il cammino penitenziale non lo affronta da solo, ma insieme con tanti fratelli e sorelle, nella Chiesa. Il profeta, infine, si sofferma sulla preghiera dei sacerdoti, i quali, con le lacrime agli occhi, si rivolgono a Dio dicendo: «Non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti. Perché si dovrebbe dire fra i popoli: “D ov’è il loro Dio?”» (v.17). Questa preghiera ci fa riflettere sull’importanza della testimonianza di fede e di vita cristiana di ciascuno di noi e delle nostre comunità per manifestare il volto della Chiesa e come questo volto venga, a volte, deturpato. Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale. Vivere la Quaresima in una più intensa ed evidente comunione ecclesiale, superando individualismi e rivalità, è un segno umile e prezioso per coloro che sono lontani dalla fede o indifferenti. «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6, 2). Le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto risuonano anche per noi con un’urgenza che non ammette assenze o inerzie. Il termine “ora” ripetuto più volte dice che questo momento non può essere lasciato sfuggire, esso viene offerto a noi come un’occasione unica e irripetibile. E lo sguardo dell’Apostolo si concentra sulla condivisione con cui Cristo ha voluto caratterizzare la sua esistenza, assumendo tutto l’umano fino a farsi carico dello stesso peccato degli uomini. La frase di san Paolo è molto forte: Dio «lo fece peccato in nostro favore». Gesù, l’innocente, il Santo, «Colui che non aveva conosciuto peccato» (2 Cor 5, 21), si fa carico del peso del peccato condividendone con l’umanità l’esito della morte, e della morte di croce. La riconciliazione che ci viene offerta ha avuto un prezzo altissimo, quello della croce innalzata sul Golgota, su cui è stato appeso il Figlio di Dio fatto uomo. In questa immersione di Dio nella sofferenza umana e nell’abisso del male sta la radice della nostra giustificazione. Il «ritornare a Dio con tutto il cuore» nel nostro cammino quaresimale passa attraverso la Croce, il seguire Cristo sulla strada che conduce al Calvario, al dono totale di sé. È un cammino in cui imparare ogni giorno ad uscire sempre più dal nostro egoismo e dalle nostre chiusure, per fare spazio a Dio che apre e trasforma il cuore. E san Paolo ricorda come l’annuncio della Croce risuoni a noi grazie alla predicazione della Parola, di cui l’Apostolo stesso è ambasciatore; un richiamo per noi affinché questo cammino quaresimale sia caratterizzato da un ascolto più attento e assiduo della Parola di Dio, luce che illumina i nostri passi. Nella pagina del Vangelo di Matteo, che appartiene al cosiddetto Discorso della montagna, Gesù fa riferimento a tre pratiche fondamentali previste dalla Legge mosaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno; sono anche indicazioni tradizionali nel cammino quaresimale per rispondere all’invito di «ritornare a Dio con tutto il cuore». Ma Gesù sottolinea come sia la qualità e la verità del rapporto con Dio ciò che qualifica l’autenticità di ogni gesto religioso. Per questo Egli denuncia l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il “pubblico”, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità: «E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 4.6.18). La nostra testimonianza allora sarà sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto è Dio stesso, l’essere uniti a Lui, quaggiù, nel cammino della fede, e, al termine della vita, nella pace e nella luce dell’incontro faccia a faccia con Lui per sempre (cfr. 1 Cor 13, 12). Cari fratelli e sorelle, iniziamo fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresi- male. Risuoni forte in noi l’invito alla conversione, a «ritornare a Dio con tutto il cuore», accogliendo la sua grazia che ci fa uomini nuovi, con quella sorprendente novità che è partecipazione alla vita stessa di Gesù. Nessuno di noi, dunque, sia sordo a questo appello, che ci viene rivolto anche nell’austero rito, così semplice e insieme così suggestivo, dell’imposizione delle ceneri, che tra poco compiremo. Ci accompagni in questo tempo la Vergine Maria, Madre della Chiesa e modello di ogni autentico discepolo del Signore. Amen! Nel saluto del cardinale Bertone La forza dell’umiltà e della mitezza Al termine della celebrazione, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha rivolto al Papa il seguente saluto. Beatissimo Padre, con sentimenti di grande commozione e di profondo rispetto non solo la Chiesa, ma tutto il mondo, hanno appreso la notizia della Sua decisione di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore dell’Apostolo Pietro. Non saremmo sinceri, Santità, se non Le dicessimo che questa sera c’è un velo di tristezza sul nostro cuore. In questi anni, il suo Magistero è stato una finestra aperta sulla Chiesa e sul mondo, che ha fatto filtrare i raggi della verità e dell’amore di Dio, per dare luce e calore al nostro cammino, anche e soprattutto nei momenti in cui le nubi si addensano nel cielo. Tutti noi abbiamo compreso che è proprio l’amore profondo che Vostra Santità ha per Dio e per la Chiesa che L’ha spinta a questo atto, rivelando quella purezza d’animo, quella fede robusta ed esigente, quella forza dell’umiltà e della mitezza, assieme ad un grande coraggio, che hanno contraddistinto ogni passo della Sua vita e del Suo ministero, e che possono venire solamente dallo stare con Dio, dallo stare alla luce della parola di Dio, dal salire continuamente la montagna dell’incontro con Lui per poi ridiscendere nella Città degli uomini. Santo Padre, pochi giorni fa con i Seminaristi della sua diocesi di Roma, Ella ci ha dato una speciale lezione, ha detto che essendo cristiani sappiamo che il futuro è nostro, il futuro è di Dio, e che l’albero della Chiesa cresce sempre di nuovo. La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Servire la Chiesa nella ferma consapevolezza che non è nostra, ma di Dio, che non siamo noi a costruirla, ma è Lui; poter dire noi con verità la parola evangelica: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10), confidando totalmente nel Signore, è un grande insegnamento che Ella, anche con questa sofferta decisione, dona non solo a noi, Pastori della Chiesa, ma all’intero Popolo di Dio. L’Eucaristia è un rendere grazie a Dio. Questa sera noi vogliamo ringraziare il Signore per il cammino che tutta la Chiesa ha fatto sotto la guida di Vostra Santità e vogliamo dirLe dal più intimo del nostro cuore, con grande affetto, commozione e ammirazione: grazie per averci dato il luminoso esempio di semplice e umile lavoratore della vigna del Signore, un lavoratore, però, che ha saputo in ogni momento realizzare ciò che è più importante: portare Dio agli uomini e portare gli uomini a Dio. Grazie! Quell’applauso interminabile «Grazie. Ritorniamo alla preghiera». Per due volte, con un gesto delle mani, Benedetto XVI aveva con discrezione cercato di far cessare l’applauso che davvero sembrava non finire — quasi quattro minuti di ovazione — scaturito spontaneo al termine della messa del mercoledì delle Ceneri nella basilica Vaticana. È stata l’ultima celebrazione liturgica pubblica del pontificato. In piedi ad applaudire tutti i presenti, dai cardinali fino alle moltissime persone che non avendo trovato posto in basilica avevano seguito il rito dai maxischermi in piazza San Pietro. È stata una testimonianza di affetto toccante ed emozionata. Fino alle lacrime. Benedetto XVI ha impartito la benedizione apostolica. E dopo l’Ite, missa est cantato dal diacono — mentre il coro della Cappella Sistina ha intonato l’antifona mariana Ave, Regina Caelorum — l’applauso è ripreso ancora più forte, commosso, scrosciante. E ha accompagnato il Papa lungo la navata centrale della basilica, fino alla cappella della Pietà. Proprio questa grande partecipazione aveva suggerito di celebrare l’inizio della quaresima nella più capiente basilica Vaticana e non, com’è tradizione, all’Aventino, nelle basiliche di Sant’Anselmo e Santa Sabina. A imporre le ceneri sul capo del Papa è stato il cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica Vaticana e vicario generale per la Città del Vaticano. Quindi il Papa ha imposto a sua volta le ceneri a cinque cardinali, ad alcuni benedettini di Sant’Anselmo e domenicani di Santa Sabina, a una famiglia con due bambini, a una religiosa e a due laici della Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, che organizza le stationes quaresimali a Roma. A loro si sono aggiunti i diaconi e alcuni cerimonieri pontifici. L’austero rito penitenziale ha avuto inizio nell’atrio della basilica. Quindi in processione, al canto delle litanie dei santi, sulla pedana mobile il Papa ha attraversato la navata centrale fino all’altare della Confessione. Ad accompagnarlo erano gli arcivescovi Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, e Guido Pozzo, elemosiniere di Sua Santità, i monsignori Alfred Xuereb, della sua Segreteria particolare, e Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, e il medico personale Patrizio Polisca. Con il Papa hanno concelebrato quarantacinque cardinali, tra i quali Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, e Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Sei i cardinali non concelebranti, tra i quali il vicedecano Roger Etchegaray. Hanno concelebrato numerosissimi presuli: tra loro gli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano i monsignori Peter Bryan Wells, assessore, Ettore Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, e José Avelino Bettencourt, capo del Protocollo. Hanno preso parte alla celebrazione anche numerosi prelati della Curia romana. Tra i presenti il Gran Maestro dell’Ordine di Malta Matthew Festing, il ministro italiano del Lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero e il direttore del nostro giornale.