78 un mare di isole 74 ai confini della realtà #1 44 baby food baby food 36 il racconto 16 editoriali Baby food Alimentazione complementare istruzioni per l’uso 1 Solido, cremoso, schiacciato, frullato, freddo, caldo, buono, cattivo… sicuramente diverso dal latte di mamma. Nella vita di ogni bambino arriva il momento di scoprire il nuovo mondo del cibo. I grandi lo chiamano svezzamento e più che un momento è un percorso, che può durare mesi. Per capire meglio che cosa rappresenti lo svezzamento per il lattante e la sua famiglia, ma anche per la società, la medicina e il mercato, ne abbiamo discusso con Dante Baronciani (medico con specializzazione in pediatria preventiva e sociale a indirizzo neonatologico), Carla Barzanò (esperta di educazione alimentare), Gioachino Legnante (ex primario di pediatria, attualmente esercita la libera professione a Pavia) e Silvia Scaglioni (pediatra, ricercatrice presso la Clinica pediatrica dell’ospedale San Paolo, Università di Milano, conduce ricerche cliniche ed epidemiologiche sulle abitudini nutrizionali in età pediatrica e i fattori di rischio per l’obesità). 62 Slowfood 3 «Con il termine divezzamento o svezzamento o weaning» spiega Silvia Scaglioni «si indica il passaggio per il lattante dall’alimentazione esclusiva con latte materno o in formula all’assunzione di alimenti solidi e liquidi diversi dal latte. Le strategie di divezzamento nel mondo sono differenti, dettate da tradizione, cultura e disponibilità di alimenti. La funzione del divezzamento è quella di integrare i fabbisogni nutrizionali del lattante nel secondo semestre di vita. Dopo il sesto mese, infatti, l’alimentazione esclusiva con latte materno può determinare un rallentamento della curva di crescita e non è più sufficiente a soddisfare adeguatamente i fabbisogni del lattante per quanto riguarda ferro, zinco, proteine e vitamine. Al sesto mese, inoltre, il bambino ha uno sviluppo psicomotorio e immunitario adeguati per l’inizio di un’alimentazione con cibi diversi dal latte. L’assunzione di latte materno o adattato dopo i sei mesi deve però continuare a rappresentare la base dell’alimentazione con una Per le foto di queste pagine si ringrazia Il Girotondo 2 188 a passeggio nel lavaux 180 vignerons d’europe 154 collana terra madre 134 femminile plurale 114 slow food on film 2008 4 Nella Strategia globale per l’alimentazione dei neonati e dei bambini, messa a punto da Oms e Unicef e approvata nel 2002, si consigliano «largo impiego di alimenti non importati», «alimenti complementari a basso costo, utilizzando ingredienti disponibili sul posto e trattati con tecnologie di piccola scala a livello di comunità», «cibi locali» 5 Colloquio con Dante Baronciani, Carla Barzanò, Gioachino Legnante, Silvia Scaglioni a cura di Simona Luparia Foto Marcello Marengo quantità non inferiore a 500 ml al giorno, ma non è più sufficiente da sola ad assicurare tutti i fabbisogni. Il comitato di nutrizione dell’Espghan (European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition, www.espghan.med.up.pt) ha pubblicato nel dicembre 2007 un documento in cui fornisce direttive per i paesi europei. Gli autori consigliano di svezzare non prima della 17a settimana e non dopo la 26a. Le Linee guida per l’alimentazione complementare del lattante allattato al seno formulate dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2003 (p. 66) suggeriscono di iniziare il divezzamento, per il bambino allattato con latte materno, al sesto mese di vita, raccomandando la prosecuzione dell’allattamento al seno». Utilizzano, le Linee, una terminologia diversa per fare riferimento allo svezzamento: parlano di alimentazione complementare, definita come il passaggio dall’allattamento al seno esclusivo ai cibi familiari che copre il periodo dai 6 ai 18-24 mesi di età del bambino. Etimo- logicamente un bel salto: dal “togliere il vezzo” (del succhiare al seno) all’affiancarsi al latte materno di altri cibi, per rendere complete le sostanze nutritive fornite dal latte stesso. Cambia, allora, la prospettiva con cui guardare a una fase cruciale della vita di un bimbo e della sua famiglia, fase che può rivelarsi anche molto critica, come molti genitori ben sanno. Non si tratta più di interrompere, ma di cominciare a proporre anche qualcosa di diverso. Limitare tale passaggio a un atto puramente nutrizionale, però, lo spoglierebbe di importanti valenze. Avere a che fare con un nuovo tipo di alimentazione rappresenta infatti un’essenziale tappa nella crescita del bambino, una “spinta” nel suo cammino verso l’autonomia. Alimentarsi con cibo solido significa lasciare – man mano – la mamma e non si esaurisce in un esercizio di deglutizione: ci vogliono nuove competenze neuromuscolari e di espressione per far capire la fame, la sazietà e il piacere prodotto da un certo aprile 2008 63 78 un mare di isole 74 ai confini della realtà #1 44 baby food baby food 36 il racconto 16 editoriali Baby food Henri & C. Il procedimento per conservare il latte vaccino prodotto in eccesso fu inventato dall’industria chimica tedesca nella seconda metà dell’Ottocento: lo si trasformava in latte in polvere, che all’inizio era utilizzato soltanto come integratore dei mangimi per vacche. Fra il 1860 e il 1870 si pensò di utilizzarlo per i bambini e fu in quegli anni che furono messe a punto le farine lattee: Henri Nestlé usò la sua prima farina lattea per un neonato prematuro per il quale non era disponibile latte materno e la brevettò nel 1867. Nel giro di pochi anni il prodotto si diffuse in tutta Europa, poi in Australia, nell’America del Sud, in Messico e in Indonesia. Agli inizi del Novecento, a partire dalla stessa materia prima, si misero invece a punto le formule lattee. Insieme al nuovo secolo si affacciò l’industria: nel 1901 in Olanda nacque la Nutricia che produceva inizialmente latte in polvere, l’anno successivo fu la volta della Plasmon che lanciò sul mercato italiano l’omonimo, «nuovissimo» concentrato proteico. Negli stessi anni si sviluppò la Mellin. Stava per chiudersi il 1928, quando comparvero le lattine dei passati di piselli, carote e spinaci e della zuppa di manzo e verdure dell’americana Gerber. Nel 1930 Emil Pauly, un noto produttore di fette biscottate tedesco, fondò la Milupa-Pauly e cinque anni più tardi era pronto per il pubblico il Paulys Nährspeise (alimento nutritivo). Lo svezzamento come pratica si stava diffondendo e si registrava un relativo abbandono dell’allattamento al seno. Si stava anche sviluppando l’idea di un’alimentazione specifica per l’infanzia. Negli stessi anni, i medici operanti nei paesi poveri iniziarono a lanciare i loro allarmi sulle conseguenze mortali dell’abbandono dell’allattamento materno. Nel nostro paese, la politica demografica fascista certo contribuì alla diffusione di cibi che potevano aiutare le donne ad avere e accudire più figli. Durante la seconda guerra mondiale, a partire dal 1943, il governo britannico produsse e distribuì quasi gratuitamente latte in polvere per “liberare” le donne dall’incombenza dell’allattamento e farle partecipare allo sforzo bellico (la Gran Bretagna è ancora oggi uno dei paesi europei con i più bassi tassi di allattamento al seno…). Il baby boom della fine degli anni Cinquanta fece il resto: diffusione di massa del latte in polvere, e, nel giro di pochi anni, comparsa di omogeneizzati (nel 1961 quelli della Plasmon) e liofilizzati. cibo. Nuovi comportamenti che i genitori devono imparare a osservare, ascoltare e ai quali devono rispondere in modo adeguato. Si stabilisce in questi mesi un rapporto tra bambino e 64 Slowfood adulti che favorisce lo sviluppo di componenti psicologiche e relazionali nel piccolo, ma anche nei grandi. «In un certo senso è uno svezzamento, una formazione, anche per la mamma» spiega Carla Barzanò «la quale non basta più a suo figlio, ma deve continuare a comunicargli affetto, attenzione, cura, attraverso azioni e offerte diverse. Scegliere i primi cibi del bimbo significa iniziare a trasmettere la cultura alimentare del mondo familiare con un linguaggio semplificato perché gli ingredienti sono pochi. È un inizio graduale, poiché non servono piatti complessi, ma intanto si mettono a fuoco le procedure riguardanti la selezione e la preparazione dei cibi, le fonti di approvvigionamento, inizia a porsi il problema della qualità – legata in questo caso in particolare a sicurezza, origine e stagionalità – che magari i genitori non hanno affrontato con molta attenzione fino a quel momento. Può essere l’occasione buona per cominciare, per orientare la dieta di tutta la famiglia in modo più sano, non è detto che la qualità debba riservarsi al piccolo di casa. Lungi dal colpevolizzare i genitori che non hanno tempo per dedicarsi alla preparazione delle prime pappe, si può piuttosto invitarli a riflettere sul fatto che la pappa, in ogni caso, non si fa da sola, e che il tempo comunque impiegato si può almeno riempire di ingredienti e procedure il più possibile vari». Non sempre chi si occupa della salute dei più piccoli riesce invece a considerare lo svezzamento per ciò che veramente rappresenta e implica nella vita del bambino, a capire l’incidenza sulla futura persona che possono avere l’esercizio del gusto e più in generale la sperimentazione sensoriale legata al cibo. «Sono mesi fondamentali nella formazione del gusto» sostiene Legnante «e bastano per rovinare o mettere a rischio un percorso futuro: quante esperienze funzionali possono essere inibite da una scelta alimentare ridotta, povera di stimoli, anche per un periodo così breve. Perfino le carie dipendono da mancate esperienze funzionali – i bambini non sono più abituati a masticare – forse più che da un eccessivo consumo di zucchero». «È ormai risaputo che le percezioni provenienti dagli stimoli sensoriali, presenti già nella vita intrauterina, rappresentano il punto di passaggio obbligato per lo sviluppo del sistema nervoso, delle emozioni e della coscienza. Quanto più sono vari gli stimoli, tanto più ampio risulterà l’universo sensoriale dei bambini» aggiunge Barzanò. Le tendenze della pappa È difficile tracciare una storia dello svezzamento, ma proviamo a individuarne l’evoluzione nei suoi anni cruciali con Gioachino Legnante. «Lo svezzamento nacque negli anni Sessanta come pratica codificata perché è in tale periodo che si moltiplicarono le cattedre di puericultura che si diedero fra i compiti quello di codificare e irrigidire la disciplina e monopolizzare la norma. Certo la cosa ebbe dei vantaggi: i bambini potevano finalmente godere di un’alimentazione più ricca, ma ciò accadeva anche perché le condizioni economiche erano in generale migliorate. Il ramo della disciplina si ipertrofizzò e con esso il mercato. 188 a passeggio nel lavaux 180 vignerons d’europe 154 collana terra madre 134 femminile plurale 114 slow food on film 2008 «La pediatria è stata troppo sollecita nel criticare le usanze delle nonne, la tradizione. Ha preteso di instaurare norme assolute, con un atteggiamento più pressorio che consapevole. E le norme le ha stabilite in base a quei parametri che erano più facilmente misurabili, tralasciandone però molti altri. L’ideologia alla fine è quella dell’omogeneizzato» Poco più tardi si iniziò ad anticipare sempre di più l’età dello svezzamento con quel ricorso all’industria che contemporaneamente interessava tutti gli ambiti della vita adulta, compreso quello alimentare. Entro la fine del decennio gli omogeneizzati divennero una pietra miliare dell’alimentazione infantile. Intanto, però, si cominciava a capire che a causa dell’anticipazione del divezzamento erano aumentate le allergie alimentari. La mucosa intestinale dei bambini così piccoli era incapace di selezionare e filtrare le molecole proteiche, il che rendeva anche più pericolose le reazioni allergiche. Per tutti gli anni Settanta lo svezzamento al terzo mese fu pratica abituale, intesa, fra l’altro, come sostitutiva, molto lontana dall’idea di complementarietà. Nei decenni successivi si tornò a ritardare, inizialmente almeno fino al quarto mese, per arrivare al sesto mese purtroppo solo ai giorni nostri». In controtendenza con quanto avvenuto nel secolo scorso, ormai da qualche tempo Organizzazione mondiale della sanità, Unione Europea e società pediatriche promuovono un’alimentazione complementare il più possibile semplificata e composta di cibi familiari. L’opuscolo del Ministero della Salute Quando nasce un bambino consegnato già un paio d’anni fa alle madri dimesse dall’ospedale dopo il parto, dice espressamente che «la maggiore novità negli orientamenti pediatrici in campo nutrizionale per il primo anno di vita è proprio quella di una generale semplificazione, tralasciando l’apporto matematico nell’indicazione della dieta infantile e considerando il latte materno come il riferimento nutrizionale centrale e ideale. L’ordine con cui gli alimenti semisolidi e solidi sono introdotti nella fase dello svezzamento non riveste più l’importanza che un tempo veniva attribuita e può variare in base alla preferenza del bambino e alla cultura gastronomica della famiglia e del pediatra che fornisce i consigli». Anche le raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics non danno indicazioni dettagliate, invitando piuttosto a porre attenzione al grado di sviluppo del bambino: potrà ampliare la sua dieta quando sarà capace di stare seduto senza aiuto, avrà perso il riflesso di estrusione che gli fa spingere con la lingua il cucchiaio fuori dalla bocca, dimostrerà interesse per il cibo degli adulti e saprà mostrare di avere fame ed essere sazio. Lo stesso vale per le Linee guida dell’Oms riassunte da Silvia Scaglioni a p. 66. Persino nelle più particolareggiate Raccomandazioni stanaprile 2008 65 78 un mare di isole 74 ai confini della realtà #1 44 baby food baby food 36 il racconto 16 editoriali Baby food Foto D. Ghirardi Il menù dell’Oms… dard per l’Unione Europea (p. 71), il periodo di inserimento di un alimento può estendersi dal 7° al 12° mese. Qual è la ragione di tanta cautela? Il fatto è che l’indicazione sull’introduzione dei diversi alimenti si è dimostrata negli anni estremamente variabile e, soprattutto, in nessuna sua declinazione validata dalla letteratura scientifica. Lo conferma Baronciani: «Non vi sono studi seri sul rapporto tra le diverse modalità di svezzamento e le rispettive ricadute sul piano nutrizionale e psicologico. Non si fanno ricerche perché la questione non interessa e perché la multifattorialità che un simile lavoro dovrebbe tenere presente lo renderebbe estremamente complesso. Gli studi, anche i più recenti, si indirizzano perlopiù al ruolo di singoli componenti dell’alimentazione», in particolare allergeni o cibi fortificati. La questione non interessa, forse, prima di tutto i produttori di cibi per l’infanzia industriali, finanziatori di buona parte delle ricerche che riguardano l’alimentazione infantile, che di conseguenza privilegiano ambiti più circoscritti quali i benefici di un latte di proseguimento arricchito con ferro o vitamina D piuttosto che l’importanza di una dieta il più varia possibile quanto a densità, consistenza, ingredienti, sapori eccetera. Una dieta che può tranquillamente non contemplare gli omogeneizzati. L’alternativa si ribalta Sarebbe molto riduttivo limitare una riflessione sullo svezzamento al dibattito omogeneizzato sì o no, ma nemmeno si può 66 Slowfood Le Linee guida per l’alimentazione complementare del lattante allattato al seno sono state formulate dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2003. Riassumono le evidenze scientifiche nel campo dell’alimentazione complementare e dovrebbero indirizzare politiche e azioni programmatiche a livello mondiale, nazionale e comunitario. Eccone una sintesi. Allattamento materno esclusivo dalla nascita ai 6 mesi di età e introduzione di alimenti al sesto mese con prosecuzione dell’allattamento materno. Allattamento materno a richiesta, senza un’età limite definita. Responsive feeding – nutrire il lattante directly ed essere presenti al pasto dei bambini più grandi, facendo attenzione alle loro sensazioni di sazietà e fame; – nutrire con lentezza senza forzare; – se il bambino rifiuta molti alimenti, riprovare con diverse combinazioni, sapori e metodi di incoraggiamento; – ridurre le occasioni di distrazione durante il pasto; – il pasto è un’occasione di apprendimento e di contatto d’amore con lo sguardo. Preparazione e conservazione degli alimenti: norme generali di igiene personale e raccomandazione di servire il pasto subito dopo la preparazione. Iniziare con piccole quantità. Aumentare gradualmente la consistenza e la varietà adattandola alle richieste e capacità del lattante. Frequenza dei pasti con alimenti diversi dal latte: l’appropriato numero di pasti dipende dalla densità energetica degli alimenti a disposizione. Scegliere una varietà di alimenti per lo svezzamento che consenta di coprire i fabbisogni nutrizionali. Provvedere diete con adeguato contenuto di lipidi. Fornire quotidianamente o carne o pollame o pesce o uova e frutta e vegetali ricchi di vitamina A. Si sconsiglia l’uso di bevande a basso valore nutrizionale quali tè e bevande zuccherate. Limitare l’uso di succhi. Vitamine e supplementazione con minerali o alimenti fortificati per mamma e bambino sono da valutare in rapporto alle necessità. Alimentazione durante e dopo la malattia: aumentare l’apporto di liquidi in corso di malattia, incluso l’aumento di frequenza dei pasti al seno incoraggiando il bambino a mangiare. A cura di Silvia Scaglioni prescindere dal tema vasetto. Se è stato semplicissimo reperire un’ampia comunicazione che ne illustrasse la sicurezza, l’igienicità, l’equilibrio nutrizionale eccetera, sembrava invece molto 78 un mare di isole 74 ai confini della realtà #1 44 baby food baby food 36 il racconto 16 editoriali Baby food … e dell’Europa Ai bambini che abbiano compiuto i sei mesi, secondo le Raccomandazioni standard per l’Unione Europea si può offrire un’ampia gamma di cibi ad alto valore nutritivo. Eccone alcuni esempi: 7-12 mesi: latte materno (che dovrebbe rimanere la fonte primaria di nutrienti per tutto il primo anno) più carne cotta e tritata; verdura e frutta cotta in purea o tagliata a pezzetti (per esempio banana, melone, pomodoro); cereali (per esempio grano e avena) e pane; 12-24 mesi: latte materno più qualsiasi cosa si mangi in famiglia, ammesso che la dieta familiare sia sana e bilanciata. Gli autori sottolineano pure che svolge un ruolo fondamentale il modo in cui chi si prende cura del bambino facilita i pasti e incoraggia a mangiare. più complicato raccogliere le opinioni e le ragioni di chi sceglie altre vie per avvicinare i bambini al nuovo cibo. Pensavamo di doverci confrontare con una linea, una scuola in qualche modo alternativa; di dover cercare libri che raccontassero le esperienze di intrepidi genitori votati alla causa del cibo fatto in casa, ché un manuale non c’era speranza di trovarlo. Invece è bastato leggere la Strategia globale per l’alimentazione dei neonati e dei bambini, messa a punto da Oms e Unicef e approvata nel 2002, in cui si consigliano «largo impiego di alimenti non importati», «alimenti complementari a basso costo, utilizzando ingredienti disponibili sul posto e trattati con tecnologie di piccola scala a livello di comunità», «cibi locali». Quanto agli «alimenti prodotti dalle industrie di trasformazione», «chi ne ha i mezzi e sa utilizzarli correttamente può sceglierli». Un’opzione per alcune madri – meglio, forse, famiglie – che possono permetterselo. Ribaltata la prospettiva: è la scelta dell’industriale che diventa un’alternativa, impossibile per almeno due terzi dei bambini del pianeta, perché troppo onerosa, possibile dove le risorse economiche lo permettono. Con il dubbio che sia migliore, visto che è per privilegiati. Dubbio sciolto da due passaggi lapidari delle Raccomandazioni standard per l’Unione Europea: non solo «l’uso di alimenti complementari di origine industriale può ritardare l’accettazione della dieta familiare e costituisce un onere non necessario per il bilancio familiare» ma soprattutto «i cibi di produzione industriale per l’infanzia sono in voga tra i genitori perché sono rapidi, facili e pratici da usare. Questi vantaggi devono essere bilanciati contro i costi relativi, che possono essere proibitivi per le famiglie di basso reddito. Inoltre non offrono vantaggi nutrizionali sui cibi familiari ben preparati, eccetto quando vi è un bisogno specifico di fortificazione con micronutrienti. Se si decide di usare alimenti industriali, è necessario in ogni caso dare al bambino cibi familiari preparati in casa, per abituarlo a 68 Slowfood una più vasta gamma di sapori e consistenze». Ce n’è abbastanza perché spariscano le rigide ricette per brodini e prime pappe che la maggioranza dei pediatri, non solo italiani, fornisce al momento dello svezzamento? Pensate probabilmente come uno strumento in grado di aiutare la famiglia nella preparazione dei primi pasti del bimbo, si sono di fatto trasformate in testi sacri, anche con la complicità di madri e padri, che hanno scelto di non scegliere e di affidarsi. Di farsi, passivamente o addirittura con sollievo, espropriare di responsabilità e competenze rispetto a un ambito che non è detto il medico conosca meglio di loro o abbia studiato in maniera approfondita. Secondo Baronciani «non c’è una corrente o scuola di pediatri che si riconosce in una proposta alimentare, non se ne parla quasi ai convegni. Si discute al limite di cosa mangiare ma non di come: l’importanza del momento comunitario, l’abitudine a stimolare ed educare il gusto, l’evitare di giocare con il cibo ovvero “se mangi ti compro…”. Alla fine ogni pediatra tende a prescrivere ciò che mangia. Credo che nei fatti prevalga un aspetto prescrittivo che espropria i genitori delle loro competenze». Troppo spesso si assiste a questo passaggio – quando non vera e propria sottrazione – di competenze dalle donne agli “esperti”. È un fenomeno che rientra nel processo di medicalizzazione e industrializzazione della gravidanza e del parto, da cui è conseguita la convinzione che la madre, ma forse addirittura la famiglia, non possiede, da sola, le capacità di accudire un figlio. Ma insistere sulle incompetenze dei genitori è il più grosso favore che si possa fare a tutto il mondo produttivo legato all’infanzia: si inizia con la camicia da notte per il parto e si finisce con i caschetti di cuoio che i figli di americani à la page hanno dovuto indossare – in culla! – per evitare l’appiattimento della nuca. Quanti messaggi pubblicitari recitano, più o meno esplicitamente, «al tuo bambino ci pensa…»?. Sottinteso: perché tu, mamma o genitore, non ne sei in grado. Tornando alla questione alimentare, il dottor Legnante conferma l’impressione che la pediatria non l’abbia mai affrontata con la giusta attenzione e nella sua interezza, «per prepotenza, una specie di necessità normativa. La pediatria è stata troppo sollecita nel criticare le usanze delle nonne, la tradizione. Ha preteso di instaurare norme assolute, con un atteggiamento più pressorio che consapevole. E le norme le ha stabilite in base a quei parametri che erano più facilmente misurabili, tralasciandone però molti altri. L’ideologia alla fine è quella dell’omogeneizzato, che urta contro l’esperienza, la logica, il buon senso. È un’omologazione uguale a tutte le altre. Con omogeneizzati e prodotti industriali il gusto dei piccoli si modifica a tal punto che questi non gradiscono più cibi naturalmente dolci quali miele, marmellata, frutta. Persino pane e olio non mangiano più. Si sta rivivendo la situazione degli anni Sessanta-Settanta, quando l’industria riuscì a imporre il latte artificiale». Ci sono poi voluti 30 anni per accorgersi che non era stata una grande idea. .