cucine
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Benedetta patata
di Salvatore Marchese
La prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel 1999
Tutti i diritti sono riservati
Nuova edizione aggiornata: marzo 2013
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Castel Gandolfo (RM)
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Salvatore Marchese
Benedetta patata
Storie, folclore, ricette
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Indice
Presentazione di Gabriella Molli XV
Patate nella cenere di Salvatore Marchese XIX
Dalle Ande agli Appennini e alle Alpi 1
Gateau di patate farcito alla savoiarda 10
Puree di patate all’inglese 10
Patate all’inglese 11
Patate cotte sotto la cenere 11
Patate alla lionese 11
Patate alla maître-d’hôtel 11
Patate in salsa bianca o salsa spagnuola 11
Patate alla provenzale 12
Purée di patate in crostata alla printanière 12
Patate alla bergamasca 12
Patate in insalata calda alla nizzarda 13
Lattata (purée) di patate all’inglese 13
Patate a crosta (au gratin) 14
De’ Pomi Di Terra ossia Patate 15
Premessa di Salvatore Marchese 16
La Società Patria A’ M. Revv. Parochi Rurali 17
De’ Pomi De Terra ossia Patate 19
Annotazioni 30
Le patate di Don Pietro Quilico 43
Il diavolo e il contadino 46
Patata Quarantina 49
Prebugiun della Brinca 51
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VI
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Patate di montagna di ieri, oggi e domani 53
La sosa 54
Insalata di patate lesse prezzemolate e trota salmonata
affumicata 54
La frecacha 55
Bignet di patate 55
Cannelline di patate 55
Crema di patate rosse di Gimillan gratinata al tuorlo d’uovo
e tartufo 56
Rollatina di patate, funghi porcini e ricotta di alpeggio 57
Crespellina di patate soffiata, ragù di salsiccia e crema
di Fontina 57
Patata farcita con fonduta e tartufo nero pregiato 59
Foie gras d’oca con spuma di patate rosse e salsa
al Sauternes 60
Crema di patate e porri con spuma di parmigiano e tartufo
nero 60
Canederlo di patate, luganeghe e Spressa 61
Sgombro con sedano, caviale e alchechengi 63
Patate, pino e gamberi 64
Sformato di mele e patate con gelato al ginepro, gelato alle
mandorle e spuma al latte di capra 65
Delizie valdesi 67
Sformato di fiori di lavanda 70
Calhiettes tradizionali 71
Le patate viola 73
Tagliatelle verdi con patate viola, zucca e salsiccia 73
Tortellini di patate e aglio dolce di Voghera con le vongole 74
Mosaico di polenta e lardo 75
Tortino alle cozze 76
Tartine di patate viola al baccalà 77
Ratatouille alle patate viola 77
Insalatina di calamaretti, patate viola e maionese allo
zenzero 78
“Stracciatella”, Raschera e tartufo 79
Focaccia al rosmarino 80
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indiceVII
I riti conviviali 81
Bagna cauda 81
La “bagna caoda” del San Marco 82
Raclette84
Patata in “raclette” 86
Buone come il pane 87
Treccia di formaggio e patate 89
Panini di patate arrosto e lumache 90
Marocca di Casola 90
Premessa alle ricette 93
Antipasti 95
Insalata di patate, fagioli e tonno 95
Insalata russa 95
Patate, maionese e caviale 96
Tramezzini al forno 96
Le patate di Truman Capote 97
Insalata Nizzarda 98
Sformato di tonno e patate 99
Millefoglie di patate e baccalà 99
L’equivoco del tubero 100
Crema di patate con tartufo bianco 101
Patate, uova e crema di pomodoro 102
Patate e petto di pollo 102
Budino di patate al tartufo nero con insalata di baccalà
e spinaci e salsa all’uvetta 103
Patate in bagna cauda 104
Insalata di patate e acciughe 105
“Niçoise” con acciughe, gelatina di peperone giallo, cialda
di olive nere, spuma di patate e pomodorino fritto 105
Bomboloni di patate 108
Mostacciuoli di patate 108
Millefoglie di patate con fegatelli al miele 109
Insalata fredda e bottarga 109
Nidi di patate fritte con le lumache allo scalogno
e pistacchi 110
Zuppetta di gamberoni 111
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VIII
benedetta patata
Gamberi arrostiti con crema di patate all’erba cipollina
e funghetti di bosco 112
Cappon magro 113
Cappone di galera 114
Cappon magro (I) 115
Cappon magro di casa Molli 116
Cappon magro (II) 119
Primi 123
Colori e forme della patata 123
Gli gnocchi 124
Il mistero delle ravioles della Val Maira 125
Ravioles 125
Riso al latte 129
Maccheroni e patate con funghi 129
Crema di zucca 130
Macarons e trifolas 130
Patata in gnocchi 131
Gnocchi con calamaretti, fagioli e pesto 132
Gnocchi di patate con vellutata di porro e due caviali 132
Gnocchetti di patate con ricotta e rucola al pesto 133
Gnocchi ai funghi porcini 134
Gnocchi alle melanzane 134
Gnocchi di patate e cappelle di porcini su foglie di castagne
con profumo di bacche di rose selvatiche 135
Gnocchi al sugo di tartufi neri 136
Gnocchi al cioccolato 137
Gnocchi alle susine 137
Gnocchi di cuore di fegato grasso d’oca 138
Gnocchi affumicati farciti al Raschera e tartufo 139
Gnocchi in salsa di noci 140
Gnocchi soffiati lime e palamita 141
Gnocchi di patate gratinati al baccalà 141
Gnocchetti al nero di seppie con calamaretti e carciofi
fritti 142
Gnocchi di patate farciti con fonduta di Fontina d’alpeggio
e cardi glassati 143
Ravioli di patate e verdure al burro e salvia 145
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indiceIX
Ravioli di patate 146
Cialzons 147
Cialzons di Timau 148
Ravioli di patate e porcini 149
Ravioli di patate e salsiccia 150
Raviolo gratinato al tartufo bianco 151
Ravioli di patate con crema di carote, pesto e scampi 152
Raviolo di patate, acciughe salate e burrata con broccoli
pomodorini e acciughe fresche 154
Ravioli di patate alla svedese 155
Ravioli di patate alle erbe di campo 156
Cappelletti di patate con pasta di farina di castagne, crema
di funghi e piedino di maiale alle erbe 157
Idrijski zlikrofi 159
Caramelle di pasta di mais farcite di cipolla di Cannara, patate
rosse di Colfiorito, Montasio e maggiorana con salsa di
lardo, erba cipollina 160
Fagottini di patate glassati al parmigiano con ragù
d’agnello 161
Tafina 162
Minestra di bomboline di patate 163
Ragù di pomi di terra 164
Gigli al ragù di polpo allo zafferano e porro croccante 165
Crema di patate e funghi 166
Zuppa del sabato 167
Zuppa alla ueca 168
Minestra di vermicelli alla lattata di patate 168
Minestra alla livornese 169
Cannelloni di farina di castagne con ripieno di patate
e spugnole su fonduta di Sarazzo 170
Lasagna con pasta ai pomodori secchi, fagiolini, patate
e pesto alla genovese 172
Lasagna con rape rosse, patate con aceto al timo, nocciole
tostate, julienne di porro, salsa di burro e parmigiano 173
Riso cozze e pecorino 174
Risotto al Pecorino di fossa e tartufo bianco di Gubbio 175
Rollè di pasta farcita con patate aromatizzate in salsa di zucca
e Aceto Balsamico tradizionale di Modena 175
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X
benedetta patata
Patata, cibo prediletto degli Incas 177
Tagliatelle alla contadina 178
Tagliatelle, patate e cavoli 178
Tagliatelle con porri e ricotta 179
Trenette al pesto con patate e fagiolini 180
Elogio del minestrone 180
Il minestrone secondo Ferrer 181
Minestrone alla genovese 184
La pasta e fagioli di Tonino Guerra 186
La Jota
187
Minestra di fagioli e patate 188
Jota della Majda 191
Secondi 193
Il fritto misto 193
Fritto misto 193
“Cubo” di fegato grasso, sfoglie croccanti di patate
(dedicato a De Chirico) 195
Triglie al vapore con patate alle erbe aromatiche 196
Branzino al vapore di timo con scampo avvolto nelle patate,
salsa al Fortana e purea di ceci 197
Spuma di anguilla e patate, olio alle erbe aromatiche 198
Triglia spadellata con purè al profumo mediterraneo 199
Patate e acciughe 200
Patate e baccalà 201
Tortino di baccalà e sapori di sale 201
Tortino al radicchio di Treviso, salsiccia e Gorgonzola 202
Involtini di pesce spada dello Stretto 203
Guazzetto di capperi e patate con involtini di pesce spada
al finocchio, cubi di melanzane arrosto e burro d’aglio 204
Sformato di pesce e patate 205
Tegame di acciughe alla ligure 206
Scaloppe di rana pescatrice con porcini e patate 207
Gamberoni in crema Parmentier al tartufo nero 208
Polpo e patate 209
Crema di patate e calamaretti 209
Patate e muscoli al forno 210
Capesante su spuma di patate con caviale 211
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indiceXI
Leccia abbrustolita su vellutata di patate allo zafferano 212
Baccalà fritto in crosta di patate con soya caramellata 213
Baccalà con cipolle e patate 213
Stoccafisso in umido 214
Stoccafisso bollito 215
Seppie con patate e carciofi 215
Seppie e patate 216
Involtini di petto di pollo 216
Crema di patate con crepinette al sanguinaccio, pinoli
e scorzette di agrumi 217
Petto di faraona farcito in crosta di patate 218
Insalata di cervo 220
Tortino di patate con salsa di porri e piccione e mostarda di
pere cotogne 221
Budino di patate con ragù d’anatra e uova di quaglia
in camicia 223
Gusti senza frontiere 224
Zuppa di trippe e patate con erba cipollina 225
Tortino di patate schiacciate con il cotechino 226
Crocchette di patate e petto di pollo 227
Omelettes 228
Una patata di 2 chili 229
Contorni e piatti unici 231
L’arte della frittura: patatine e chips 231
Patate grigliate 233
Patate, sedani e finocchi al forno 233
Involtini al lardo 234
Mozzarella e Fontina in carrozza 234
Patatine con finta “fondue” 235
Patatine dolci alla scandinava 236
Pere e patate 236
Patate, verza e pancetta 237
Focaccette di patate con cavoli neri 238
Patate ripiene I 238
Patate ripiene II 239
Patate ripiene III 240
Patate e pomodori al forno 241
Patate al forno con le cipolle 241
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XII
benedetta patata
Teglia di patatine novelle, porri e acciughe 242
Patate arrostite 243
Patate in padella 243
Patate alla pizzaiola 243
Polenta di patate 244
Crocchette di patate 244
Crocchette di patate I 245
Patate Suzette 246
Patate a trucioli 246
Patate all’Ungherese 247
Soufflé di Patate 247
Patate fondenti 247
Gratin di patate alla Dauphinoise 247
Patate Gratinate 248
Patate alla Lionese 248
Patate alla Maître-d’Hôtel 248
Patate Mireille 249
Patate Mirette 249
Patate dauphines 249
Patate duchessa 250
Pommes Berny 251
Torta di patate alla svizzera 251
Flan di patate e funghi porcini con fonduta valdostana e tartufi
bianchi 252
Torta di patate e funghi porcini 253
Patate al burro 254
Zuppa di patate e funghi porcini 254
Patate e Fontina 255
“Bagna cauda” in padella 255
Pizza di patate 256
Pizza peperone e acciughe 257
Patate e cipolle al forno 258
Patate all’aglio 258
Patate croccanti 259
Patate fritte all’agliata 259
Soufflè di patate 259
Polpettone di patate 260
Focaccette 261
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indiceXIII
Zuppa di patate e porri 261
Sformato di patate 262
Tortini di patate 262
Patate stufate con olive 263
Torta di patate I 264
Torta di patate II 264
Bacciocca 265
Frittata di patate 266
Patate bollite con l’olio d’oliva ed erbette 266
Patate alla maniera di Emilia 267
Insalata fredda 267
Patate e funghi al forno 268
Insalata olandese 269
Insalata parigina 269
Tortini di patate al forno 270
Potage Parmentier 270
Skilã 271
Tortino di patate e porri con fonduta valdostana 272
Patate e carciofi 272
Patate e besciamella 273
Gratin di patate 273
Patate e polenta 274
Crocchette di patate e noci 274
Frandura 275
Purè di patate 275
Patate al profumo di alloro 276
Le patate di un “cuocosauro” 276
Frico con patate 277
Torta di patate 278
Dolci 281
La fecola 281
Sfoglia di patate farcita con ricotta al profumo di mandarino,
pinoli e uvetta con crema all’anice stellato 282
Sollucchero di patate 283
Carafoi di patate 284
Pani di patate al limone 284
Polpette di patate dolci 285
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XIV
benedetta patata
Chifeleti di patate 286
Frittelle dolci con patate 286
Budino dolce di patate 287
Torta bianca di patate 287
Torta di patate e cioccolato 288
Sablì 289
Sandtart 290
Torta africana 290
Torta dolce di patate 291
“De pomi de Terra ossia patate”.
Le nuove prospettive del buono 293
Gelato di patatine fritte 294
Sfera magica di patate e Parmigiano Reggiano 294
La patata in attesa di diventare tartufo 296
Bibliografia 298
Indice dei ristoranti citati 300
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Presentazione
Salvatore Marchese ha il dono squisito di portare chi legge i suoi
libri in un affascinante mondo fatto di sapienza culinaria. La sua
scrittura insomma avvince, incatena. Il libro Benedetta patata (ora
in nuova edizione) è pieno di ricette che lui ha scelto fra le tante
incontrate nei suoi viaggi di giornalista specializzato seguendo il filo
del suo palato di gourmet raffinato. E poiché c’è sempre un intento filologico del gusto in ciò che scrive, le sue non sono le “solite”
ricette di cui è inflazionata ormai l’editoria, ma autentici “racconti
gastronomici”. Il susseguirsi dei passaggi è infatti sostenuto dal sottile filo rosso del piacere che offrirà il piatto. Sono tutte ricette selezionate nelle quali affiorano a volte nomi celebri. E accade che a una
elaborazione semplice (Insalata di patate, fagioli e tonno) segua spesso
l’eccellenza, il clou: Patate, maionese e caviale. Lo stile leggero rende
godibili anche le parti storiche del libro, aggiornato con documenti
raccolti dall’autore seguendo un lavoro rigoroso di ricerca. Appare
nel corredo storico un “manualetto a stampa”, inviato nel 1793 ai
parroci della Serenissima Repubblica di Genova. De’ Pomi di Terra
è il titolo della lettera.
Il preciso metodo di lavoro di Salvatore Marchese è ispirato a tracciare un quadro completo sull’argomento patata, da trattare e da risolvere attraverso varie angolature, anche quella estetica. Le ricette,
infatti, a volte sono scelte per quella sinergia degli elementi che dà
origine a un capolavoro di gusto in cui si fondono il bello e il buono. Ne è un esempio: Sfoglia di patate farcita con ricotta al profumo
di mandarino, pinoli e uvetta con crema all’anice stellato.
Perché mi è piaciuta molto la prima edizione. Perché mi piace ancor
di più questa nuova edizione. Sono una curiosa della genealogia dei
sapori e assolutamente una golosa di patate. Lo sono a tal punto che
considero due patate di Pignone bollite accompagnate a un caprino
mantecato con erba cipollina e un filo d’olio extravergine d’oliva
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XVI
benedetta patata
della varietà ligure razzola di produzione biologica una cenetta da
regina. Quando uscì la prima volta ho letto il libro in un soffio: una
notte e un giorno, tornando a leggere e rileggere alcune ricette che
mi avevano acceso la voglia di provarle. La presente edizione di Benedetta patata mi sembra un’operazione editoriale davvero geniale.
Tornare sul tema aggiungendo qualcosa di nuovo, vuol dire che la
voglia di continuare ad annotare usi e consuetudini non è mai venuta meno nell’autore. Dar nuova vita al testo precedente è a mio
avviso una specie di lifting per portare dentro contemporaneamente
inedite emozioni del palato e nuovi indizi storici. Ho considerato un autentico privilegio leggere in anteprima il nuovo lavoro, ho
provato una sorta di felicità.
Le patate fanno parte della mia vita. Ho trascorso la prima infanzia, fino ai sette anni ad Aulla. Tre erano i piccoli poderi dove mio
nonno Domenico seminava le patate ad aprile. Era la nonna che,
verso la metà di agosto, con una zappettina e con gesti misurati,
le toglieva dal terreno scuro della Marina riponendole dentro un
grembiule consunto, piegato sulla vita in modo da formare una sacca. A casa metteva le patate a cuocere nella cenere nell’ampio cammino sempre acceso. Un solo pizzico di sale e il cielo era dentro di
me. Soffici, delicate, la buccia sottile che si staccava a velo. E poi,
eccole nella bocca a piccoli morsi, con quella sensazione di delizioso
appagamento.
Ogni libro di Salvatore Marchese si legge come un romanzo. Il suo
stile veloce e discorsivo permette un approccio agevole. Le sue ricette diventano racconti molto godibili. Una volta, alla presentazione
di una sua opera, ho sentito una signora confessare: “Sa che il suo
libro La cucina di Lunigiana è sul mio comodino e ne leggo un pezzetto ogni sera prima di addormentarmi? Il suo modo di scrivere e
raccontare mi distende e mi fa da dolce preparazione al sonno”. Ci
sono momenti in cui lo scrittore enogastronomo diventa un letterato.
In Benedetta patata a proposito di Elogio del minestrone si legge:
“profumate alchimie casalinghe composte con verdure di stagione”.
Salvatore Marchese sta parlando di “trasformazione” degli ingre-
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presentazioneXVII
dienti, ma la struttura del discorso è quella dello scrittore raffinato.
Lo conferma anche un “divertissement” in copertina, che comincia
così:
un patatone
dal naso a patata
accompagnato dal figlioletto
patatino
E poiché lo conosco da tanto tempo, mi piace terminare con una
nota affettiva. Quando si legge una ricetta semplice come Polpette
di patate dolci, c’è dentro aria dei Colli di Luni. Aria di casa. Aria di
Castelnuovo Magra e di mamma. Sua madre amava i gusti staccati e
le armonie del cibo. Ed è riuscita a trasmettere al figlio questo dono
particolare. Poi lui ha vestito di parole questa grazia ricevuta.
Tutto questo lo si potrà gradevolmente riscontrare nelle pagine che
seguono.
Grazie, Salvatore.
Gabriella Molli
Studiosa di cucina del territorio spezzino
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La scoperta di un manicaretto nuovo
fa per la felicità del genere umano
più che la scoperta di una stella.
***
E voi finalmente, gastronomi del 1825, che trovate già la sazionetà
in mezzo all’abbondanza, e sognate pietanze nuove, voi non godrete
delle scoperte che la scienza prepara per l’anno 1900, come i cibi
minerali e i liquori ottenuti con la pressione di cento atmosfere: voi
non vedrete ciò che viaggiatori non ancora nati faranno arrivare da
quella metà del globo che rimane ancora da scoprire o da sfruttare.
Come vi compiango!
– Anthelme Brillat-Savarin
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Patate nella cenere
Stefanina era una giovane splendida contadina dai lunghi rossi capelli e attizzava il fuoco già la mattina presto, risvegliandolo dal
quieto torpore notturno. Riempiva il paiolo d’acqua e lo attaccava
al gancio della catena che pendeva dalla cappa del largo camino.
Spesso, nella tarda mattinata versava nel recipiente manciate di farina gialla. La polenta doveva servire per tre o quattro volte. Fresca,
prima, con il baccalà bollito con le patate e le cipolle o, più di rado,
con lo stoccafisso in umido. Nei giorni di festa, se suo marito non
era andato a caccia poteva esserci il coniglio in padella. La polenta,
poi, era buona fritta o abbrustolita sulla graticola. Le patate, però,
erano sempre un gustoso contorno.
Accanto al fuoco, vicino ai fornelli a carbone, c’era una piccola panca, la mia. Si trattava di un eccezionale punto di osservazione per
ammirare le fiamme che ubbidivano scoppiettando ai miei fantastici gesti di comando.
Pino teneva un lembo della cartina tra le labbra, mentre con le mani
preparava accuratamente la miscela di tabacco. Con le molle consunte stringeva la brace e accendeva la sigaretta. “Ci siamo quasi.
Una fumatina e poi vediamo se sono cotte.” Le patate si trovavano
sotto la cenere calda, ai margini del fuoco, nella “burnisa”.
Mi piaceva spellarle, sentirmi scottare le dita. Bastava un pizzico
di sale per renderle una prelibata merenda. Ne pretendevo almeno
due, per rifarmi di quando le patate venivano messe a bollire con
il cavolo e le tagliatelle. Le detestavo in quel caso. L’olio sì, che era
buono: magari solo con la polenta o il pane. Pino e Stefanina, i miei
nonni, i genitori di mia madre, di olio ne avevano in abbondanza,
negli orci di terracotta. Potevano permetterselo sulle patate preparate nella cenere e su quelle bollite, più di sessant’anni fa. Con tre
spicchi d’aglio e rametti di rosmarino vi rosolavano le patatine no-
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XX
benedetta patata
velle. Asciutte e croccanti fuori, morbidissime, quasi soavi, dentro.
Una squisitezza senza fine. Pino ci beveva su mezzo fiasco di vino. E
raccontava delle sue esperienze di furiere, nella guerra dell’Abissinia.
Non potevo neppure lontanamente supporre, in quei giocosi momenti, che un giorno mi sarei cimentato con la gustosa prospettiva
di scrivere un libro proprio dedicato alle patate.
L’occasione, del tutto casuale, si sarebbe presentata con il rinvenimento di un testo risalente alla fine del 1700 riguardante i fatidici
“pomi di terra” e le loro incommensurabili virtù. Frutti del sottosuolo, gli strani tuberi portati dall’altra parte del mondo, ma benedetti dal Signore per le loro prodigiose proprietà alimentari, una
sorta di provvidenziale manna ipogea venuta alla luce per sostenere
la povera gente nei disagi procurati dalla fame e dalle carestie.
S. M.
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Dalle Ande agli Appennini e alle Alpi
La patata, tubero di sicure origini andine fu portata in Europa dagli
spagnoli, i quali la scoprirono in seguito alla conquista delle terre
degli Incas, verso la fine del 1500. I Padri Carmelitani scalzi la fecero conoscere in Italia, a Genova. Nella Superba, l’ordine religioso
avviò l’edificazione del primo convento nel 1584. La coltivazione,
nelle diverse regioni, non andò di pari passo. Molti infatti la ritenevano unicamente una pianta ornamentale, altri la consideravano
nutrimento per gli animali.
Per circa due secoli, pregiudizi e ignoranza ne impedirono l’apprezzamento sia delle proprietà alimentari per l’uomo sia delle valenze
gustative.
Verso la fine del 1700, le sempre più frequenti carestie e il bisogno
di trovare alternative alla farina di frumento – il mais non era sufficiente, da solo – indussero i governanti delle singole regioni ad
intraprendere vere e proprie campagne promozionali per favorire la
coltivazione e il consumo delle patate. Esse, da tempo, erano entrate
nelle consuetudini quotidiane delle popolazioni britanniche (irlandesi in particolare), tedesche, olandesi e svizzere e, sia pure in epoca
più recente, francesi.
In Italia, i timori dell’uomo potrebbero essere stati provocati da incertezze riguardanti la provenienza degli strani frutti sotterranei nati
in paesi lontanissimi. Alla voce “pattatta”, “patata”, il vocabolario
genovese-italiano di Giovanni Casaccia, pubblicato a Genova il 4
novembre 1851, spiega: “pianta che si coltiva per la sua radice tuberosa, la quale si mangia cotta, e ridotta in farina se ne fa pane e
amido, è originaria nella Virginia, paese dell’America settentrionale.
Dicesi anche Pomo di terra, ma è francesismo”.
Lo stesso manuale inviato ai parroci liguri nel 1793 si apre con
l’affermazione: “I pomi di terra, detti anche volgarmente patate,
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sono una pianta farinacea del genere bulboso. Essa ci venne d’America verso la fine del secolo XVI, e precisamente dalla Virginia.
Conosciuta di que’ dì da pochi in Europa, ne fu insensibilmente
tramandata la coltivazione”.
La Virginia, tuttavia, costituì esclusivamente una tappa intermedia nel lunghissimo viaggio dalle Ande all’Europa. Sono storie che
coinvolgono direttamente sir Francis Drake (1541-1596), il primo
inglese in grado di circumnavigare il globo – nel 1588 –, figura
leggendaria della marineria britannica. Egli aveva visto per la prima volta i tuberi il 28 novembre 1577, mentre era impegnato nel
compiere il giro del mondo, al largo della costa del Cile, nell’Isola
di Mocha: “Gli abitanti ci vennero incontro sulla spiaggia dimostrandoci amicizia e porgendoci patate, radici e due grasse pecore”.
L’argomento è di notevole interesse perché tira in ballo le vicende
storiche di un continente misterioso e affascinante – ricordiamo
lo splendore delle civiltà precolombiane – come il Sud America e
le guerre tra le flotte europee per il controllo dei traffici mercantili
del mondo conosciuto. Il tema è analizzato dettagliatamente nella
“Storia sociale della patata” un libro di oltre 400 pagine dal significativo sottotitolo “Alimentazione e carestie dall’America degli Incas
all’Europa del Novecento”. Un romanzo in piena regola, con tanto
di trama e ritratti di protagonisti.
Grazie alla Virginia, qualcuno pensò addirittura che la patata fosse
un prodotto inglese. Dalla Gran Bretagna, per la verità, la solanacea
giunse in Francia – ma non come cibo per la gente – e in altri paesi.
I sudditi di Sua Maestà, transfughi per motivi politici e religiosi, la
portarono come fondamentale risorsa – adatta agli uomini e agli
animali – emigrando nell’America del Nord, gli Stati Uniti. Certo
è che la patata diventò l’elemento predominante nella dieta degli
irlandesi, considerati così prolifici – le famiglie erano molto numerose – per gli ingenti consumi che ne facevano.
La patata, insomma, si guadagnò la fama di potente afrodisiaco rinnovando antiche credenze. Il fatto è che a partire dal 1845 il “male
della ruggine” attaccò violentemente le piante di patate in tutta l’isola provocando enormi disastri che si protrassero per alcuni anni.
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Per migliaia e migliaia di persone la forzata emigrazione negli Stati
Uniti costituì l’unica via di fuga dalla rovina e dalla morte per carestia. La grave virosi, infatti, impediva sia il raccolto annuale sia la
semina per la stagione successiva. Essendo sempre stati prodotti a
basso costo – con un favorevolissimo rapporto tra proprietà nutritive e superficie impegnata per la produzione – i tuberi potevano soddisfare le necessità della popolazione e essere contemporaneamente
utilizzati per ingrassare i maiali.
Nel caso del mais, tutto fu assai più semplice. La povera gente imparò in fretta in Italia, in Liguria e in Valle d’Aosta, in Toscana e nelle
Venezie, a preparare la polenta con la gialla farina di granturco. La
fame aiutò il mais – dalle pannocchie illuminante dal sole, frutti del
Signore – a diventare familiare in ogni contrada.
Anche se più lentamente, la fame rese giustizia alla patata. La
scintilla scaturì così in Francia, sotto il regno di Luigi XVI, grazie
all’intuito del farmacista e agronomo Antonio Agostino Parmentier
(1737-1813), il cui spirito di osservazione sarebbe stato premiato da
un bacio della regina Maria Antonietta. Prigioniero dei Prussiani,
nel 1751, in più circostanze era stato costretto a mangiare patate,
sotto la minaccia dei carcerieri. La sua cultura lo indusse alla riflessione. Cominciò a guardare ai pomi di terra quali validi e economici
integratori della farina di frumento per ottenerne pani. Al ritorno a
casa, egli scrisse un libro, in seguito tradotto in Italia, sulle virtù alimentari e gastronomiche della patata. Le sue elaborazioni riscossero
i lusinghieri apprezzamenti della corte reale. Ma il vero problema
era convincere il popolino a mettere da parte i sospetti sugli strani
frutti del sottosuolo.
Il re e il devoto collaboratore – al quale sono state legittimamente
dedicate un’infinità di ricette – concordarono un piano strategico
per persuadere la plebe circa le benefiche proprietà organolettiche
dei frutti della strana – e in qualche maniera velenosa – pianta esotica, fino a quel momento coltivata per motivi ornamentali. Luigi
XVI diede l’ordine di seminare dei terreni reali e di sottoporli a
strettissima sorveglianza, durante il giorno, da parte di soldati fida-
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tissimi. La notte, le guardie si ritiravano nelle caserme per spiare le
mosse degli increduli “visitatori”.
Perché il sovrano si preoccupava di fare presidiare i campi dei tuberi
americani? Ne valeva la pena? La necessità, la gola e la curiosità
spinsero anche i più diffidenti a cercare di capire il mistero.
Cedettero anche i più riottosi: la polpa amidacea, mondata della
buccia, non era poi tanto malvagia. Si prestava a parecchie manipolazioni. Aveva proprietà medicamentose. Preservava dallo scorbuto: chi andava per mare, durante gli interminabili viaggi, se ne
procurava una scorta abbondante. Un’abitudine che si è perpetuata
nel tempo: la patata ha consolidato la fama di ingrediente particolarmente adatto ad assecondare i ritmi della cucina di bordo, a tutte
le latitudini.
Nella lista delle vivande del lussuoso transatlantico Federico “C”,
in crociera verso i fiordi norvegesi, alla fine del mese di maggio del
1979, le patate sono proposte, di giorno in giorno, nelle versioni:
al naturale, rosolate, a fiammifero, a castello, fondenti, in foglia, a
spicchio, in purea, Parmentier, chips, a vapore, al forno, arrosto,
paglia, al rosmarino, in zuppa con fidelini. Senza contare l’insalata
russa e l’immancabile sformato.
Fu il principio della rivoluzione, almeno per la Francia. In Italia,
probabilmente a causa della effettiva difficoltà di comunicazione tra
gli stati e gran ducati divisi da frontiere e dazi doganali, occorse un
po’ di pazienza. I nostri gnocchi, insomma, furono messi a punto
tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.
Il colpo di genio potrebbe consistere nell’intento di risparmiare la
farina di frumento per sfruttare la disponibilità delle patate. In Italia, del resto, il concetto del semplice impasto di farina e acqua da
dividere in minime particelle di varia foggia – troffie, pinci, orecchiette, corzetti e altre tipologie più o meno simili – era solidamente
affermato fino dall’epoca medievale. Spesso, gli stessi “maccaroni”
non erano altro – e il termine è rimasto nella tradizione di alcune
regioni – che gnocchi: porzioni di pasta più o meno piccole da servire, a seconda dei casi, con olio d’oliva, burro, zucchero, mandorle
e sughi assortiti.
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Patate e gnocchi si affermarono grazie all’appassionato intervento
dei preti opportunamente istruiti, e di borghesi illuminati quali il
notaio Fruttaz di Torgnon in Valle d’Aosta, dove le patate entrano,
con le carni e le barbabietole, nella composizione dei boudins, nel
1777 e l’avvocato Zucchi nell’elegante cittadina di Pontremoli, nella Lunigiana toscana, sulla strada per la Cisa, tratto della via Francigena.
Autori tra i più disparati, come rileva Piero Camporesi nella sua
introduzione all’edizione Einaudi della Scienza in cucina e l’arte di
mangiar bene di Pellegrino Artusi, si impegnarono nel tessere le lodi
dell’impiego cucinario dei tuberi sudamericani.
Il riminese Giovanni Battarra nella sua Pratica Agraria (la prima
edizione è del 1778) parla dei pregi della patata attraverso un dialogo tra padre e due figli. “Ed è indicativa – dice un commento di
Massimo Montanari nel Nuovo Convivio, dove il passo è ripreso
interamente – l’osservazione che ai contadini conviene mangiare
cibi pesanti e di difficile digestione per sentire il più tardi possibile
il morso della fame”.
Le ragioni del padre:
Provvidenza fa ora che si comincia a introdurre (e voglio qui introdurle anch’io)
certe radici forestiere come i tartuffi bianchi, che chiamansi patate… Sono un
ottimo cibo per gli uomini non meno che per le bestie. Felici noi, se ne potremo
introdur de’ buoni piantamenti; perché non soffriremo mai più carestia. Lo dico
da senno. Questa mattina ho portato, come sapete, gli agnelli al padrone, e dopo
il mercato son ritornato da lui, e m’ha dato quelle due bisacce di radici come tartufi, che si chiaman patate. Da queste radici si fa pane, si mangian cotte in varie
maniere, e avidamente son mangiate da buoi, pecore, porci, pollami, piccioni,
etc., per cui s’ingrassan moltissimo…
Vi dirò di più, che questo pane, oltre l’aver buon colore e sapore, che come vedete
non si distingue dal pan di farina di frumento, ha anche queste due proprietà, che
non s’indura se non dopo un mese, d’una durezza come quel di grano, che abbia
otto o dieci giorni; e poi non contrae muffa, e questi sono due buoni requisiti…
Benedette patate. Quando andiamo a piantarle?
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Autorevoli, dunque, i contributi che giunsero da ogni parte e, come
afferma il Camporesi “specialmente dal sacerdote Giovan Battista
Occhiolini”– un pioniere, il Parmentier italiano –, che si batté per la
coltivazione del pomo di terra (o batata) indicandone tutti i possibili vantaggi nei più svariati settori economici. Nella Memoria sopra
il meraviglioso frutto americano chiamato volgarmente patata (Roma
1784, p. XI), indirizzata nel 1784 al cardinale Casali, prefetto del
buon governo, accenna brevemente all’impiego alimentare del frutto americano che “l’ignoranza, e l’avversione de’ contadini ha tenuto sepolto … sebbene siansi trovati nelle più lagrimevoli miserie
delle passate carestie. Provino essi … riprovino di nuovo, e dopo
molte riprove troveranno quel medesimo vantaggio, che il pubblico
ritrovò nel granoturco, il quale, mentre era abborito nella sua introduzione in Europa, altrettanto è ora non solo rimedio alle micidiali
carestie, ma serve di graziose vivande nelle tavole de’ Grandi…”.
L’Occhiolini suggerisce anche una serie di proposte cucinarie, molte
generiche per la verità, fra le quali è possibile intravedere l’atto di
nascita dei gnocchi di patata: “Con questa stessa farina potran farsi le sfoglie per i tagliolini, maccheroni, ciambelle, biscotti, e altre
sorte di paste, come parimenti possono farsi con la metà di farina di
grano, e altrettanto di pasta di patate cotte, aggiungendovi alcune
uova; e nella stessa maniera si faranno ancora delle frappe, o frittelle
fritte specialmente nel butirro. Lo stesso si fa anche con la metà di
farina di grano, e l’altra metà di patate cotte”.
Oltre alle operette dell’Occhiolini e dell’Onorati, bisogna ricordare
la vasta pubblicistica scientifica ed economica sull’argomento, che
vede la cultura agraria italiana concorde nel sollecitare la politica
di valorizzazione della patata: Antonio Zanon, Della coltivazione
e dell’uso delle patate e d’altra piante commestibili, Venezia, Fenzo,
1767; id., Lettere intorno alle patate ecc., Roma 1785; Filippo Baldini, De’ pomi di terra, ragionamento, Napoli 1783; id., Maniera di
non far provare più la fame al minuto popolo, ovvero trattato con cui
si insegna la coltura e l’uso utilissimo delle patate, Fermo 1796; Niccolò Delle Piane, De’ pomi di terra, Istruzione economica, Genova,
Scionico, 1793; Anonimo, De’ pomi di terra, Genova 1793; Enrico
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Mozzi, Pane economico ossia di patata secondo il Signor Parmentier,
Bergamo 1796; Carlo Amoretti, Della coltivazione della patata e loro
uso, Parma 1801; Anonimo, Collezione di quanto si è scritto di più
importante e di più adatto intorno alla coltivazione ed uso delle patate.
Preceduta dal Sovrano generale Stabilimento per le sovvenzioni economiche de’ poveri e dalle istituzioni correlative per eseguirlo, Napoli,
Stamp. Simoniana, 1803, interessante anche per le tavole di carattere tecnico come la “gramola per le patate” e il “fornello per uso delle
suppe economiche”, oltre che per la cucina assistenziale dei poveri
(le “suppe economiche”) che nell’Ottocento si concretizzò, negli
anni della fame del proletariato urbano, nelle popolari “cucine economiche”; Anonimo, Grido della ragione per la più estesa coltivazione de’ pomi di terra diretto a’ coloni e possidenti, Milano, Sonzogno,
1815; Baldassarre Americo-Fasani, Della coltivazione delle patate e
dei diversi usi delle medesime, Napoli 1817; Giuseppe Gialdi, Della
coltivazione dei pomi di terra, loro uso e utilità, Parma 1817; Paolo
Benni, Osservazioni sopra la coltivazione delle patate ecc., Bologna,
Ramponi, 1817; Filippo Re, Saggio sulla coltivazione e su gli usi del
pomo di terra ecc., Milano, Silvestri, 1817. Vale la pena notare come
gli opuscoli crescano di numero nel corso del 1817, anno di sinistra
carestia. Ignazio Lomeni, Della coltivazione dei pomi di terra e dei
loro usi nella economia domestica e rurale, Milano 1834; Cosimo Ridolfi, Istruzione popolare per la coltura e conservazione della patata, in
“Giornale agrario toscano” n.63, 1839. Non si dimentichi quanto
scrive Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni sulla coltura inglese della patata; né le pagine del Battana, uno dei primi agronomi
italiani a intuire l’avvenire di questo tubero in questione (Pratica
agraria ecc. cit. I, pp. 118-24). Interessanti, anche per l’antica datazione, le osservazioni di Andrea Navagero indirizzate durante il suo
viaggio in Spagna (1525-26) al Ramusio: “Io ho veduto molte cose
dell’India, ed ho avute di quelle radici che chiamano batatas, e le
ho mangiate: sono di sapor di castagne” (in Opera omnia, Padova,
Comino, 1718, p. 315).
La lunga e doverosa citazione delle osservazioni di Piero Camporesi
pone in rilievo, per la Liguria, la pubblicazione di due opere risa-
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lenti al 1793. Di seguito è riportata quella stampata dagli Eredi di
Adamo Scionico, De Pomi di Terra. Sembra esserci una discordanza
con quanto indicato dal professor Camporesi; non compare infatti
nel libretto, il nome del presunto autore, Niccolò Delle Piane. Un
altro Delle Piane, Gaspare, dei Padri Minimi di San Francesco di
Paola di Genova darà alle stampe, sempre nel capoluogo ligure, nel
1880, il volume La cucina di strettissimo magro, una interessante
raccolta di ricette senza carni, uova e latticini, nel rispetto rigoroso
della regola dell’ordine.
Ai primi dell’800, le patate non sono ancora considerate quali ingredienti pregiati dagli epulari dell’epoca. Non ne troviamo traccia nella Cucina piemontese (Torino, 1798) e neppure nel Cuoco piemontese
ridotto all’ultimo gusto (Milano, 1815). Nella sesta edizione (1832)
tra i “libri diversi di agricoltura” ecco la segnalazione di un lavoro
dell’Onorati: “Delle patate, loro coltura, uso economico e maniera di
farne il pane” (Milano, 1816). Fa eccezione Napoli; la quinta edizione de Il cuoco galante di Vincenzo Corrado (1801) si sofferma con
attenzione sui tuberi sudamericani. E pensare che, al nord, tra i più
convinti assertori dei pregi dei pomi di terra ci fu lo scienziato Alessandro Volta, il quale li avrebbe seminati – già nel 1777 – in un suo
podere, nel Comasco. Li avrebbe conosciuti nel corso di un viaggio
in Francia ed Inghilterra, grazie ad amici (e amiche).
Documenti attestano che le patate vennero poste ufficialmente in
vendita sul mercato di Torino il 26 novembre 1803. Secondo il
Gran Dizionario della Gastronomia del Piemonte di Sandro Doglio
(Daumerie Editrice, San Giorgio di Montiglio, 1990): “I Valdesi residenti nella zona di Pinerolo le avrebbero consumate regolarmente
già nel 1701, infischiandosene dei pregiudizi degli abitanti del luogo. I protestanti contribuirono alla diffusione delle “trifole” – come
erano chiamate per la similitudine con i tartufi – in Svizzera e Germania”. L’equivoco, purtroppo, resta tuttora: i tartufi sono funghi
ipogei, non tuberi.
Per i Valdesi, in ogni caso, le patate garantivano il cibo minimo
indispensabile per sopravvivere nell’isolamento al quale erano costretti dalle circostanze. Sempre per quanto riguarda il Piemonte,
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è curioso sottolineare come ricette sui pomi di terra fossero contenute in un volume poco noto, rispetto ai trattati dei più famosi
cuochi di corte: Polizia e Cucina. Istruzioni a una cuoca piemontese
del primo ‘800 ristampato dai Cavalieri del Tartufo e dei grandi vini
albesi. Il manuale è del 1822. I procedimenti sembrano facilmente
collegabili agli insegnamenti impartiti un po’ dappertutto, in Italia,
grazie alla collaborazione dei sacerdoti e di qualche volenteroso. Ma
dimostrano la progressiva apertura gustativa nei confronti di un ingrediente tanto propizio.
– Pattatte pelate sottilmente e tagliate crude in fette sottili si friggono in olio o
in burro con sale.
– Cotte nella cenere nel forno, o nell’acqua, pelate e tagliate, si gettano in cazzeruola in cui v’è aglio con acciuga stemprata, e si vanno rimescolando, non
dimenticando il sale buona dose di pepe. Se vuolsene in insalata vi si confà assai
bene la senape.
– Nel berrettino. Cotte, pelate e pestate bene (si replica bene) nel mortajo, se ne
incorpora la pasta con fior di latte misto, se vuolsi, con latte, buona dose di zucchero, uova e cannella. Unto il berrettino con burro e asperso di pane grattugiato,
vi si adatta la pasta, sopra della quale, (cioè nella base del cono) posti pezzetti
di burro e pane grattugiato, cuoce a doppio fuoco. Per due libbre di pattate si
richiedono due uova, una scarza tazza da caffè di fior di latte, e due cucchiaj di
zucchero. Se il miscuglio è fatto alla mattina per empo, onde possa meglio incorporarsi, è di riuscita migliore.
Nel suo saggio riguardante le condizioni economiche, sociali e
demografiche della provincia di Levante tra il primo e il secondo
decennio della unione della Liguria al Piemonte (Camera di Commercio della Spezia, 1986, Tipografia Moderna), Gino Redoano
Coppedé osserva: nella provincia di Levante ogni persona che vi
abitava consumava in media all’anno, nel periodo 1823-1827, le
seguenti quantità di alimenti: grano kg 76,88; segale kg 6,20; orzo
kg 11,69; granone kg 50,43; legumi kg 16,63; patate kg 10,18; riso
kg 2,28; vino kg 125,77; olio kg 11,33; castagne kg 19,27; frutta
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fresca kg 26,00; limoni kg 0,21; arance kg 1,73; fichi secchi kg
2,42; verdura kg 33,45; formaggi kg 2,64; pesce kg 4,85.
Sul piano più squisitamente gastronomico, il merito del progressivo
successo delle patate deve essere attribuito ai cuochi di corte come
Giovanni Vialardi, forse convinti dall’esempio francese. La metà
dell’800, così, vede finalmente la consacrazione dei “pomi di terra”
quali ingredienti degni delle tavole nobili.
Alcune ricette del Vialardi:
Gateau di patate farcito alla savoiarda
Mettete in tegame 12 belle e buone patate pelate e tagliate a pezzi, coperte d’acqua, fatele cuocere al fuoco moderato finché sono tenere, scolate l’acqua, asciugatele un po’ sul fuoco, passatele al setaccio; riposte in tegame con 2 ettogr. di
butirro fresco, sale, pepe, mettetele sul fuoco, tramenando, finché sono ben lisce,
versate un terzo di bicchiere di fior di latte, tratte dal fuoco unitevi 5 rossi d’uova,
con i bianchi sbattuti in neve, uniteli leggiermente, giuste di sale, versatele in uno
stampo ben unto di butirro chiarificato, coperto di pane grattugiato fino, empito
a due terzi, poiché cresce molto, con in mezzo un ragout […]; mettetelo al forno
caldo moderatamente, fatelo cuocere un’ora, finchè di color dorato, raffermo nel
mezzo, riversatelo sul piatto, e servitelo caldo. Si può ancora farlo cuocere con
brace sotto, sopra ed all’intorno, e si fa ancora colle uova intiere senza sbattere in
neve i bianchi.
Puree di patate all’inglese
Pelate 2 chilogrammi di patate giallognole, mettetele in un tegame con acqua,
un po’ di sale, fatele cuocere finché cedano alla pressione delle dita, sgocciolate
l’acqua, fatele asciugare sul fuoco, passatele al setaccio, rimettetele, in casseruola
sul fuoco con 3 ettogrammi di butirro fresco, tramenate forte finché resti ben
liscia, aggiungendo mezzo litro di fior di latte poco per volta, un poco di sale,
pepe, e servitela calda.
Nei dì grassi si può mettere brodo o fondo ridotto: purée ottima per ogni sorta di
carne, pesce, uova, e per piatto di mezzo, ecc.
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Patate all’inglese
Fate cuocere 2 chilogr. di belle e buone patate nell’acqua bollente adagio, prima
lavate e nettate dalla terra, cotte tenere, quando cedono alla pressione delle dita,
scolate via l’acqua, riponetele accanto al fuoco finché sono asciutte, pelatele e
servitele entro una terrina coperta o zuppiera, oppure senza pelarle, servitele fra
una tovaglia piegata in modo che stiano coperte. Si serve nel medesimo tempo a
parte del butirro fresco da mangiare con le patate.
Patate cotte sotto la cenere
Lavate ben nette 2 chilogr. di belle patate gialle dette d’Olanda, inviluppatele
entro un foglio di carta umida d’acqua una per una, ponetele in un luogo caldo
ove s’è fatto fuoco, coperte di cenere calda e brace viva sopra, lasciatele per 2 ore,
secondo il calore che riceveranno, colte tenere, pelatele e servitele caldissime con
il butirro, come s’è detto sopra.
Patate alla lionese
Pelate e date la forma di grossi turaccioli a 2 chilogr. di buone patate, ponetele in
tegame coperte d’acqua, con un po’ di sale ed un pezzetto di butirro, fatele cuocere adagio finchè sono tenere, scolate l’acqua, riponetele sul fuoco, fatele asciugare,
riversate su tovaglia tagliatele a soldi; quindi tagliate 4 cipolle grosse a dadolini,
e fatele friggere con 2 ettogr. di butirro adagio, finchè sono cotte d’un bel color
dorato, aggiungete le patate, e fate friggere ancora con sale, versate un po’ di sugo
ridotto nei giorni di grasso, disponetele sul piatto, e servitele.
Patate alla maître-d’hôtel
Preparate cotte e tagliate a fette come s’è detto sopra, due chilogr. di buone patate,
ponetele in tegame con 2 ettogr. di butirro fresco, fatele friggere un po’ bionde
con sale e prezzemolo trito, un bicchiere di buona salsa bianca o spagnuola, ed un
bicchiere di buon brodo, il sugo d’un limone, un po’ di butirro fresco, giuste di
sale, servitele calde sul piatto profondo.
Patate in salsa bianca o salsa spagnuola
Preparate 2 chilogr. di belle patate cotte, tagliate, e fritte nel butirro, come s’è
detto sopra, versate sopra 2 bicchieri di buona salsa fatta con brodo bianco e fior
di latte ridotto, ed un bicchiere di buon brodo, ridotto un po’ assieme, giuste
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di sale, un po’ di pepe, il sugo d’un limone, tutto ben mischiato, in salsa bianca
servitele calde nel piatto profondo. Invece di salsa bianca si può mettere della salsa
spagnuola ed un bicchiere di buon sugo, e tutto finito allo stesso modo.
Patate alla provenzale
Pelate e tagliate delle patate a grossi soldi; mettete un po’ d’olio fino nella padella,
o del butirro, con del prezzemolo, un po’ d’aglio e cipolla triti fini, fritti un poco,
aggiungete le patate, fatele cuocere sul fuoco ardito finchè hanno preso un po’ di
colore, finite di cuocere adagio coperte, con sale, pepe, spezie, finchè sono tenere,
versatele sul piatto, e servitele calde.
Purée di patate in crostata alla printanière
Pelate 12 belle e grosse patate, con esse formate 12 belle crostate, dando loro la
forma d’un bel vaso o d’un canestro, lavorate all’intorno e vuotate dentro, fatele
friggere adagio a grande frittura nella padella sul fuoco ardito, lasciatele cuocere scuotendo nella padella finché sono cotte tenere, e d’un bel color bronzino,
sgocciolate su tovaglia, empitele d’una buona purée […], guarnitele piantando
delle punte di asparagi ben verdi cotte con acqua e sale, delle patate fatte a piccoli
fusi cotte come sopra, qualche piccolo pezzetto di carota fatto a fuso e cotto nel
brodo, con un po’ di butirro ed un pizzico di zucchero; e servitele calde il più che
potete. Si possono variare empiendole di purée di piselli verdi, di purée di carote, di purée di tomatiche, indi guarnite la rossa di patate cotte bianche, la verde
di carote, la gialla di piselli verdi. Questo modo servirebbe per fare una buona
guarnitura svariata a piatti di carne o di pesci, in occasione di un elegante pranzo.
Patate alla bergamasca
Pelate 6 belle patate grosse, tagliatele in due parti, e formate una specie di nidi
d’uccelli con il coltello dentellato vuotandoli dentro; fate una farcia con un po’
di lardo, 1 ettogr. di carne magra netta dai nervi, un po’ d’aglio, prezzemolo, un
pezzetto di mollica di pane umida col latte, sale, pepe, un po’ di cipolla, tritate
tutto ben fino, con un uovo intero, empite le patate, ponetele in tegame largo e
piatto con butirro chiarificato sotto abbondante, spolverizzate sopra un po’ di
pane pesto, umiditele di butirro fuso, ponetele sul fuoco forte, finchè un po’
colorite sotto, quindi adagio con fuoco sopra od al forno, cotte tenere d’un bel
colore, servitele caldissime.
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