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Scoraggiamento? No, grazie!
“L’Aimc, associazione professionale di
insegnanti, dirigenti scolastici e tecnici,”
ha preso in considerazione “La sfida
educativa. Rapporto - proposta
sull’educazione” a cura del Comitato per
il progetto culturale della CEI, con
l’intenzione di diffonderne i concetti
fondamentali e alimentare il dibattito
sull’educazione che da sempre
l’Associazione porta avanti avendo come
riferimento il messaggio evangelico.
Rivolgersi alla persona nella sua totalità
e integralità, farne la ragione e la misura
di ogni scelta e di ogni azione del singolo
insegnante e di tutta la comunità
scolastica, lavorare perché l’educazione
sia liberatrice di tutte le potenzialità e,
soprattutto, abitui ciascuno a ragionare
con la propria testa, a sviluppare il senso
critico indispensabile per essere cittadini
consapevoli e per tutelare il bene prezioso
della democrazia sono le linee portanti
del pensiero dell’Aimc, della sua visione
della scuola, dell’insegnante,
dell’educazione.
Educare è ancora possibile, ma servono
alcune condizioni di fondo. “È difficile
educare senza avere in mente un modello
di uomo, di esperienza umana, che
sappiano costituire un fine per cui vale la
pena impegnarsi” e questo fine sta nel
portare alla luce due elementi:
l’educazione è in sé “generativa” e l’uomo
è di per sé “essere in relazione”.
Un’educazione che non si limita ad avere
un oggetto, ma che prevede un
orientamento e traccia il profilo di
un’azione che include, come aspetti
essenziali, l’educazione all’intelligenza e
dell’intelligenza, al desiderio e
dell’affettività, alla libertà e della libertà.
Nel nostro tempo da un lato si avverte
sempre più forte il bisogno di educazione
e di maestri capaci di insegnare, ma
dall’altro sembra essersi perso il senso
ultimo dell’educare, tanto che più di
qualcuno si chiede se è ancora
possibile farlo, se è ragionevole
sperare
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di costruire o ricostruire un patto,
un’alleanza fra più soggetti per educare
insieme.
Prendere atto della profondità di una crisi
che toglie speranza e volontà di futuro,
che alimenta una cultura dell’insignificanza,
è il primo necessario passo per ricostruire
un modello educativo condiviso che torni
a fare della relazione fra persone la radice
dell’educazione.
Sono queste le ragioni di fondo che hanno
portato la Chiesa italiana a proporre
l’educazione come fuoco di attenzione di
tutto il prossimo decennio pastorale,
chiamando a raccolta intelligenze e cuori
per dar vita a un processo che attivi
“l’intera umanità della persona”.
“Per educare a vivere” - come titola
significativamente il XIX Congresso
nazionale Aimc celebrato dal 2 al 5
gennaio 2010 - è necessario che ogni
insegnante, ogni genitore, ogni cristiano,
ogni cittadino porti nell’ambiente il proprio
patrimonio di idee, di storia, di fede
religiosa o laica, per raccontarlo e
confrontarlo con quello degli altri: la parola
non è mai neutra.
Ciascuno sarà un “doctor”, un maestro,
nell’offrire agli altri il suo patrimonio,
ma sarà anche un umile discepolo nel
ricevere quello degli altri o nel rivedere il
proprio.
L’importante è avere tutti la visione
complessiva del progetto.
Nella struttura del testo
I diversi capitoli cercano di verificare
l’efficacia teorica e pratica di quanto
proposto in vari ambiti e settori della vita
di tutti i giorni, raggruppati in due grandi
categorie: luoghi e contesti dove
l’educazione è intenzionale (famiglia, scuola
e comunità cristiana); ambiti della vita
sociale che sono comunque in relazione
con l’educazione (lavoro, impresa, media,
spettacolo, consumo, sport). Due
categorie di “peso” diverso, ma entrambe
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essenziali per costruire l’auspicata e irrinunciabile alleanza per l’educazione, “tema
troppo importante per essere lasciato
nelle mani di poche persone;
è forse il tema pubblico per eccellenza,
dove si gioca davvero il destino dell’intera
comunità nazionale”.
l’Aimc mette a disposizione di tutti coloro
che hanno a cuore il bene educazione,
la lettura e l’analisi del testo, riportando,
per ogni capitolo, alcuni concetti presentati
nella loro versione originale, a supporto
del difficile compito di esercitare discernimento, assumere decisioni consapevoli
che, là dove necessario, possano dar vita
a un cambiamento positivo.
Lo fa sulla base di tre elementi unificanti:
i “cromosomi” che appartengono a ogni
buon cittadino e buon cristiano cattolico,
ossia essere soggetto sociale, politico,
ecclesiale, che ciascuno porta e mette in
gioco nei diversi e specifici campi in cui si
trova a operare; la persona del ragazzo
collocata al centro con i suoi diritti (ad
essere figlio, alunno,….) ad ognuno dei quali
corrisponde il dovere di chi deve assicurarne e promuoverne l’esercizio; un unico
progetto di cui tutti i soggetti in campo
devono essere consapevoli, indipendentemente dallo specifico campo di azione.
Considerazione preliminare è che questo
tipo di proposta incontra, oggi più che
in altri momenti storici, due tipologie di
ostacoli alla sua realizzazione.
La prima è di carattere generale, in rapporto al clima sociale e culturale e alla
mentalità diffusa.
Sono ostacoli che investono la persona e,
di conseguenza, tutti gli ambiti di vita: la
separazione intelligenza-affettività, che la
cultura occidentale ha reso opposte, per
cui si confermano nella loro parzialità a
danno dell’integralità della persona; la
cultura della liquidità, per cui si è perso il
senso della direzione: “per quanto si lavori
e ci si dia da fare sulla piattaforma galleggiante, non si sta andando da nessuna
parte”; la metafora del gioco per rappresentare la vita, per cui diventa possibile
entrare e uscire a piacimento dalle varie
situazioni, senza mai assumerne fino in
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fondo la responsabilità; la sottrazione di
credito alle narrazioni delle grandi tradizioni
culturali, religiose, morali o politiche che
hanno propostosensi unitari dell’esistenza,
del mondo e della storia, per cui si perde
la caratteristica propria dell’essere umano
di “abbracciare tutta la realtà in unità,
attribuendole così un senso”; la caduta
della volontà di avere a che fare con
l’esperienza e di compromettersi nella
sua continuazione, per cui è venuta meno
anche la contestazione sostituita da indifferenza e incomunicabilità generazionale.
La seconda riguarda ostacoli di carattere
particolare per ogni ambito, che solo
chi lo vive può conoscere fino in fondo ed
esporre agli altri, ma che tutti gli altri
devono conoscere per poter entrare in
dialogo ed esercitare al meglio il proprio
specifico.
Ogni capitolo è, pertanto, proposto attraverso una sintetica esposizione del suo
“senso” e l’evidenziazione di alcuni aspetti
problematici a cui fa seguito la proposta
di che cosa è possibile e si deve fare, dei
punti da cui ricominciare per costruire
l’alleanza per l’educazione. Proprio in questa ricerca, che pur prende le mosse dagli
ostacoli specifici, si ricompone la visione
unitaria globale. La settorialità dei capitoli
che inizialmente può risultare frammentante, in quest’ottica può diventare
elemento di unione.
Scoraggiamento? No!
Sappiamo che vivere diversamente ed
educare a vivere diversamente si può.
Qualcuno diceva che il mondo sarà di
chi saprà dare non certezze, ma speranza.
Siamo donne e uomini di speranza?
“La speranza ci aiuta a credere sfacciatamente nel bene, ad avere fiducia
negli altri, ad essere dei punti di
riferimento”.
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Famiglia
Oggi la famiglia è in crisi: c’è un consenso generalizzato
su quest’affermazione. È un fenomeno nuovo rispetto a cosa?
Il moltiplicarsi dei modelli e il rifiuto degli aspetti di vincolo che la relazione di coppia
porta con sé privano i giovani di una testimonianza e di un’esperienza di stabilità.
Anche la relazione genitori-figli è mutata: è giocata più sul piano emotivo che su
quello dell’autorevolezza e dell’orientamento alla piena realizzazione di sé.
Possiamo sinteticamente dire che la specificità della crisi attuale riguarda la grave
e generalizzata difficoltà di dar vita e mantenere vive nel tempo relazioni familiari
stabili che siano generative.
I genitori, frequentemente incerti sulla propria identità e sul proprio compito, finiscono
per impantanarsi in situazioni di sottile ricatto emotivo, hanno paura di perdere
l’affetto dei figli se pongono loro una chiara direzione nel processo di crescita, che
ovviamente porta con sé anche limitazioni e regole da dare.
Prospettive
Il diritto del bambino/figlio ad avere una famiglia è un diritto di identità e la stabilità,
o quantomeno la continuità del legame genitoriale… è un compito che l’esistenza del
figlio richiede e da perseguire per la responsabilità a esso conseguente.
Il legame familiare è il cuore della nostra identità. …l’esperienza delle relazioni vissute
in famiglia è esportabile e diventerà, con le dovute differenziazioni, il modello per
altre esperienze relazionali e di vita sociale. …chi ha fatto esperienza di relazioni positive
sarà più attrezzato a bonificare quel che è attorno a noi, a rendere familiare
l’estraneo. … questo è il valore aggiunto che la famiglia, “scuola di umanità”, dà alla
società, questo l’apporto specifico dato all’educazione. L’uomo può amare se è stato
amato per quello che è.
Il compito educativo familiare che potremmo racchiudere nell’espressione “cura
responsabile” coniuga vicinanza e senso di giustizia ed equità. A quest’ultimo, è
connessa la funzione di orientamento,
una sorta di bussola interiore, un
insieme di criteri, cui il figlio può
riferirsi nelle situazioni della vita.
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C’è bisogno di una rete di relazioni
fiduciarie che generi una rete di
esperienze educative e produca
esperienze condivise di vita.
cammino educativo compete alla
coppia genitoriale in prima persona,
ma le risorse che vanno attivate non
possono provenire solo dal suo
interno: la coppia va sostenuta sia
attraverso iniziative poste in essere
dalla comunità locale sia attraverso
la valorizzazione di aggregazioni
poste in essere dalle famiglie
stesse.
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Scuola
Soprattutto a seguito del rapido irrompere dei nuovi mezzi
di comunicazione, ci si chiede, anche nei paesi in cui la scuola svolge al meglio i propri
compiti, se essa non si basi su un modello superato.
La crisi che investe il sistema scolastico è certamente il riflesso di quella generale,
ma presenta anche ragioni più specifiche: la trasformazione del senso della conoscenza,
ormai identificata con “quantità di informazioni” e la messa in discussione dell’idea
stessa di educazione, la quale suppone un orizzonte condiviso di valori che oggi manca.
È indispensabile che la scuola si ricostituisca luogo deputato alla maturazione e allo
sviluppo della capacità critica, senza la quale è impossibile la verifica personale di
visioni del mondo che oggi tendono a convivere in uno stesso spazio. Le innovazioni
legislative sono importanti, ma è il modo di interpretarle nella prassi quotidiana da
parte degli operatori della scuola a determinare il loro effettivo significato.
Le norme costituiscono lo spartito, ma è l’orchestra che esegue la sinfonia.
È sotto i nostri occhi il fenomeno allarmante dell’“infanzia rubata”.
Nella nostra società i bambini sono molto più precoci dei loro coetanei di trent’anni
fa. Tanto precoci da sembrare, a volte, fin troppo simili agli adulti… Questi “bambini
mancati” spesso non riescono a crescere. La loro adolescenza si svolge all’insegna
della stessa precocità, ma dura ormai fino a trentacinque anni senza riuscire a trovare
sbocco in un’effettiva maturità… A bambini che si comportano da adulti corrispondono
adulti che si comportano da bambini, con la stessa impulsività, la stessa immaturità,
la stessa incapacità di assumersi delle responsabilità.
La nuova scuola ruota intorno all’alunno. Ma a quale alunno? A quello che deve
essere educato oppure a quello che, in quanto utente-cliente, va semplicemente
accontentato?...In questo (secondo) modo essa (la scuola) assomiglia sempre di più
a un gigantesco supermarket, in cui ognuno va a prendere quello che gli serve, in
funzione del proprio progetto di autorealizzazione, senza però cercarvi le indicazioni
esistenziali per mettere a punto questo progetto di vita.
Prospettive
La convinzione diffusa è che educare non significa più trasmettere un sapere,
proporre contenuti, valori, visioni del mondo, esperienze significative, ma addestrare
gli alunni a muoversi agilmente nella complessità, utilizzando tutto senza mai
impegnarsi permanentemente con nulla.
gli educatori non possono essere considerati
sempre facilitatori; hanno un ruolo e un
compito ben più ampio e importante:
presentare, attraverso le diverse discipline,
riferimenti e modelli di comportamento che
possano essere significativi per la vita reale
dei giovani.
Non basta che l’alunno accumuli
informazioni: è indispensabile che la scuola
lo educhi all’arte della sintesi tra i diversi
saperi e modi di conoscere, per conferire
a queste informazioni un significato… un
insegnante non può limitarsi a trasmettere
dei saperi… Solo un insegnante capace di
testimoniare e di comunicare potrà
meritare il nome di maestro, e godere
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dell’autorità che compete a un docente… Si ha autorità perché si è auctor, fonte di
vita e di crescita per qualcuno.
L’ idea di autonomia scolastica sopravvive al suo cattivo uso e rimane un’opportunità
che potrebbe essere ripresa e valorizzata…. Non è un’utopia. Dipende dai protagonisti
del processo educativo realizzarla… Ogni istituto, e non solo quelli non statali, è
chiamato a elaborare una propria linea culturale ed educativa originale, irriducibile a
logiche anonimamente burocratiche. La sola condizione vincolante è quella della
congruenza con le prospettive del bene comune. Su questa base si parla ormai di
“sistema pubblico integrato”.
Se cultura è produzione di senso, l’interculturalità si pone come dialogo sui significati…
Tale compito educativo riguarda tutti gli alunni/studenti … Le diversità culturali vanno
perciò comprese nella fondamentale prospettiva dell’unità del genere umano… Se
fatto seriamente, l’Irc non minimizza la fatica del conoscere e si inserisce attivamente
nell’impegno della scuola italiana a far fronte alle esigenze delle nuove generazioni…
può essere anche un utile spazio di integrazione, aiutando gli stranieri presenti nel
nostro Paese ad accostare valori e tradizioni che sono largamente segnati dalla
presenza di uno specifico patrimonio storico e artistico, permeato profondamente
dallo spazio cristiano.
Comunità Cristiana
Nell’attuale fase culturale, anche la comunità cristiana soffre delle medesime povertà
e difficoltà delle altre agenzie educative. La crisi dell’educazione, espressione di
un diffuso relativismo culturale nemico di ogni forma di identità e di certezza, interessa
in parte anche alcuni soggetti ecclesiali che stentano a ritrovare gli elementi che li
hanno caratterizzati nel passato. È tempo per contribuire a rilanciare l’idea di un
progetto educativo che riproponga l’esigenza di una visione globale e integrale
dell’educazione, aggiornandone i tratti alle caratteristiche della cultura del nostro
tempo. Uno dei segnali è costituito dalla crisi della relazione educativa diretta,
personale… Si moltiplicano appuntamenti di gruppo numerosi e affollati… ma diviene
debole la possibilità di quel dialogo personale che
consente di mettere meglio a fuoco problemi,
scelte, impegni, prospettive… questo tipo di
relazione educativa ha bisogno di tempo, e oggi
anche la comunità cristiana è contagiata dalla
frenesia delle attività e delle iniziative.
Si coglie la tendenza a racchiudere solo nella
parola il messaggio educativo, rischiando così
l’astrattezza, la verbosità e la lontananza dalla
vita… il segnale più serio sta nella crisi delle
vocazioni educative.
Prospettive
La comunità cristiana è uno dei pochi contesti
nei quali adolescenti e giovani possono portare
le loro domande di senso.
È difficile che le esplicitino in famiglia: si cresce
anche perché ci si distacca dalle proprie radici.
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Difficile portarle nella scuola, che sembra orientata a un sapere in cui non c’è posto
per gli aspetti più soggettivi e personali. A volte gli adulti pensano che i giovani non
abbiano domande profonde… ma nessuno è senza domande profonde nella propria
coscienza.
La comunità cristiana offre la possibilità di fare esperienza di una socialità più ricca
di quella consentita dalla famiglia e al contempo meno strutturata di quella sperimentata
nella scuola… la solidarietà si impara mettendosi accanto a qualcuno che ha bisogno:
si scopre il gusto del servizio mediante gesti che non hanno un ritorno di utilità per
chi li compie… Vi è la presenza di generazioni diverse… la possibilità di crescere
imparando l’uno dall’altro.
La comunità cristiana ha la responsabilità e il dovere di tornare a parlare di vocazione
educativa, dopo che oggi questo modo esigente e ricco di fondare l’educazione è stato
spesso dimenticato… questo è tempo per tornare a proporre il servizio educativo
come vocazione e a investire sulla formazione di educatori. È tempo per impegnarsi
a promuovere nuove alleanze – a cominciare dalla famiglia – per l’educazione a servizio
della crescita delle nuove generazioni..
Lavoro
Nonostante constatiamo quotidianamente il ridursi o il venir meno delle oggettive
opportunità lavorative, non è venuto meno il dovere/necessità di educare al lavoro
rivedendone l’idea stessa per recuperarne il senso. Le trasformazioni attuali possono
costituire l’opportunità di mettere in gioco una visione antropologica ed etica del lavoro,
prima ancora che le sue dimensioni tecniche, economiche o politiche. Particolarmente
interessante risulta l’educazione al lavoro promossa nelle organizzazioni di privato
sociale e terzo settore, detti anche “non profit”, che propongono un nuovo modo di
lavorare non finalizzato al successo individuale, ma
primariamente alla cura delle persone, con forti
motivazioni ideali. Che cosa cercano i giovani nel
lavoro? Le indagini empiriche rispondono che essi
sognano le cose più diverse, ma la maggior parte
finisce per cercare solamente denaro e sicurezza
sociale. In ogni caso, i giovani vivono in una
condizione contraddittoria, sospesa fra il bisogno
di sognare un avvenire professionale che li realizzi
come persone e la necessità di ripiegare su mete
puramente strumentali. Che cos’è che con
funziona? Ai giovani si insegna che la relazione
di lavoro ha le caratteristiche del mercato… In
questo modo il lavoro viene trattato in maniera
sostanzialmente analoga a qualsiasi altra merce…
Bisogna uscire da un modo di pensare che traduce
il problema del lavoro in una questione di mero
accoppiamento fra domanda e offerta puramente
quantitativa, quando invece potrebbe e dovrebbe
essere non tanto una questione di adattamento
a delle condizioni date, bensì una questione di
progettualità, di innovazione, di vocazione
professionale e di capacità imprenditoriale.
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Prospettive
La vocazione professionale deve essere oggi concepita non più come strumento di
successo o di ricerca banale di un livello opulento di vita, ma come realizzazione di sé
nella piena integrazione con gli altri… Si richiedono pertanto anche dei mutamenti
strutturali che consentano ai giovani l‘esercizio di una vera e propria vocazione
professionale: si tratta di “liberare il lavoro”.
La formazione al lavoro, anziché puntare a fornire abilità che rispondono a professioni
tramandate o pre-strutturate, deve mirare a sviluppare una vocazione scelta,
attraverso il potenziamento delle capacità riflessive del giovane… Ciò che manca
nell’educazione al lavoro non sono tanto gli aspetti tecnici della professione, e neppure
quelli organizzativi e manageriali, quanto piuttosto quelli relazionali. È qui che l’emergenza
educativa si fa più sentire.
Sarebbe auspicabile che nell’offerta formativa di ciascuna scuola (dai quattordici anni
in su) fossero presenti servizi di orientamento culturale a proposito del senso del
lavoro e delle modalità e opportunità di perseguirlo… anche l‘università dovrebbe
attivare servizi di questo genere... Anche gli insegnanti delle scuole e dell’università
sono spesso alla mercé di culture che hanno una visione negativa o distorta del lavoro;
bisognerebbe prevedere anche momenti di formazione degli insegnanti in tale direzione.
La famiglia non trasmette più un mestiere o una professione di generazione in
generazione, salvo casi particolari… Se il figlio, fin da piccolo, viene educato
prevalentemente al consumo e al divertimento, se apprende solamente l’evasione
(fiction, videogiochi ,ecc.), sarà poi molto difficile che formi le capacità e soprattutto
le motivazioni per farsi un piano di vita orientato al lavoro. Anche il lavoro verrà visto
e vissuto in un’ottica di evasione.
Impresa
In un clima generale che considera il lavoro una qualsiasi merce e che spinge ad
assicurarsi un “posto”, può diventare difficile sostenere il pieno valore dell’affermazione
della nostra Costituzione: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. In realtà a
fondamento c’è la libertà della persona che, grazie al lavoro, rende possibile il progresso
economico, sociale e umano. Questo comporta l’impegno di tutti per il pieno
riconoscimento della dignità sociale della persona che lavora e per la tutela dei suoi
giusti diritti, messi in crisi dalla dilagante prevalenza del mercato. Anche i giovani, per
comprendere il senso del lavoro, hanno diritto a
essere introdotti in una visione positiva
dell’impresa e dell’intraprendere umano:
un’organizzazione moderna di lavoro, una
comunità di risorse umane e finanziarie.
Il diritto del lavoro sposta progressivamente il
suo baricentro dall’avere (un lavoro) all’essere
(un lavoratore competente), ossia sulla persona…
il patrimonio fondamentale di un giovane,
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che vuole entrare nel mercato del lavoro e conservare il posto, è costituito dalle
sue competenze.
L’impresa ha un comportamento responsabile quando considera il perseguimento
del bene comune (sviluppo e benessere dell’umanità nel suo insieme e in ogni sua
forma) come obiettivo a cui concorrere… Vi è una profonda interconnessione tra
impresa e società. Le imprese che non fanno profitto chiudono e sono costrette a
licenziare. Ma il fare impresa non coincide con il fare profitto. Fare impresa significa
produrre valori e sviluppare conoscenze, perché essa è un bene sociale.
Prospettive
È necessario riflettere sulle evidenti disparità di tutele che l’ordinamento offre al
lavoro e aprire una nuova fase di riforme. Per questa nuova fase occorre però una
vera cultura della solidarietà e una leadership politica lungimirante… La solidarietà è
un dovere, a patto che non si trasformi in assistenzialismo che deresponsabilizza. Il
problema fondamentale è innescare il circolo virtuoso dello sviluppo (educazione,
cultura, impresa, lavoro e produzione, redistribuzione).
Ripensare il lavoro in una società postindustriale richiede parametri nuovi.. un massiccio
investimento in ricerca, tecnologia e formazione accompagnato dall’offerta di
maggiori opportunità ai giovani talenti e dalla lotta all’inefficienza… Un Paese che non
punta sulla formazione e sulla ricerca, cioè sul proprio futuro, è destinato al declino.
E l’Italia è in ritardo su entrambi i fronti… Nel lavoro evoluto si apprende, mentre
rimanendone fuori si accumulano ritardi nel sapere che poi diventano incolmabili.
Un altro fattore da coltivare per superare l’emergenza educativa è quello delle
competenze degli adulti, sviluppare l’istruzione e la formazione nell’arco di tutta la
vita. Il sistema formativo deve conoscere ed analizzare i cambiamenti che avvengono
nel sistema produttivo, e quindi tradurre tali conoscenze in un miglioramento
professionale continuo, partendo dall’intelligenza del lavoro, dove valgono i talenti, le
capacità, la responsabilità e l’impegno.
Consumo
La diffusa immagine negativa del consumo e del consumatore è un retaggio del
passato, quando i beni scarseggiavano e il consumo veniva considerato
un’ostentazione di ricchezza. Oggi si alimenta anche di un’impropria equivalenza tra
consumo e consumismo indotto
dalla capacità persuasiva di un
mercato troppo carico di merci.
Per uscirne, necessita un
ragionamento sereno sulle
dinamiche che sottendono le
scelte di consumo, sulle
responsabilità che ciascuno
deve assumersi ed anche sulla
possibilità di orientarle in modo
innovativo e virtuoso, quindi la
sua assunzione come
problematica educativa.
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La famiglia e la scuola, cioè le principali agenzie di socializzazione, poco si sono
preoccupate di affrontare il consumo come campo in cui impegnare seriamente le
proprie energie... non c’era a questo proposito un sapere da trasmettere da generazione
a generazione… così gli esperti dei consumi sono diventati inequivocabilmente i
giovani e in particolare le giovani donne; sono soltanto loro che potrebbero eventualmente
mostrare nuovi modi di consumare.
Gradualmente, alla società gerarchica sembra essersi sostituita una società di pari,
in cui nessuno si assume la responsabilità di dire agli altri cosa si dovrebbe fare...
Inquesto clima di incertezza una risorsa inaspettata potrebbe essere la forza
dell’esempio, il quale può trascinare senza pretendere di essere l’unico, può essere
valido trasversalmente, in ambiti culturali diversi… Ciò che sembra impossibile agli
adulti e ancor più agli anziani, prigionieri dei propri stereotipi e delle proprie abitudini,
può essere immaginato dai più giovani; invece che cercare di ripescare negli assoluti
della tradizione, si può forse cercare di comporre in modo inusitato elementi di diverse
tradizioni culturali.
Prospettive
Ci si prospetta una nuova possibilità. Che non si debba scegliere in modo drastico
tra l’opzione etica e quella estetica, che la scelta del bello in cui siamo stati allevati
non debba necessariamente essere una scelta egoista; che i consumi, nuova frontiera
della cittadinanza, servano… anche a trovare un nuovo rapporto con gli altri, una
nuova socialità e una nuova moralità… È, questa, una sfida diretta a tutte le componenti
sociali… riconosce ai consumatori un peso consistente nell’orientare i consumi e,
implicitamente o esplicitamente, invita i produttori a tenerne conto.
La società dei consumi sta cedendo sotto i colpi delle emergenze, che ne rivelano
l’intrinseca debolezza… ma le emergenze sono anche segni dei tempi, da cui dobbiamo
lasciarci educare… In effetti, è inseguire insensatamente il desiderio ciò che ha
portato alla crisi… L’unica via d’uscita è consumare meglio, perfezionare la propria
competenza di consumatori. E forse ricostituire una riserva, di nuovo a tutti i livelli,
non sprecando le risorse scarse e di tutti, come l’acqua e l’energia.
I consumi responsabili sono un fenomeno in crescita, (ma) le risposte individuali
non bastano di fronte ai problemi e alle paure del nuovo secolo …si deve trovare
una convergenza tra interesse privato e interesse pubblico… Il cosiddetto political
consumerism non si serve delle armi tradizionali della politica, ma si impegna attraverso
i consumi, in negativo, con il boicottaggio, o in positivo, acquistando prodotti in grado
di dimostrare una corretta provenienza.
È ovviamente rilevantissimo il ruolo delle istituzioni, politiche, religiose, culturali, e
chi vi è impegnato deve rendersi conto della sua responsabilità, ma nello stesso
tempo… è determinante riconoscere la circolarità della responsabilità
educativa… incominciamo a renderci conto che non riusciremo mai a cavarcela
da soli, confidando soltanto nel principio del piacere. Dobbiamo riscoprire gli
altri; vedere in essi non soltanto un limite, ma anche una sorta di impegno
per la nostra libertà.
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nostra è la società non più del villaggio globale, bensì del
Mass media Lateatro
globale, in cui tutti siamo attori coinvolti nella vita
degli altri. Questo grazie anche ai social networks, a cui i giovani fanno sempre più
ricorso, allacciando relazioni non sempre prive di pericoli, ma anche costruendo
comunità relazionali basate su interessi o riferimenti culturali comuni.
Siamo tutti immersi nella civiltà della comunicazione, un’attività che condivide con
l’educazione il riferimento alla natura relazionale dell’uomo. Famiglia, scuola e comunità
cristiana devono diventare consapevoli dell’ambivalenza educativa dei media, che,
utilizzando non più solo gesti, parole parlate e scritte, ma anche bit, onde
elettromagnetiche e immagini digitali, possono assecondare e sostenere il processo
educativo, ma anche renderlo più arduo e rischioso.
La più cruda realtà ci mostra come le verità che si affermano nell’opinione pubblica
dipendano largamente dal potere dei media…che funzionano come opinion leader
all’interno del sistema… di promuovere, fin quasi a imporre, certe idee, temi, parole
d’ordine, interpretazione degli eventi… Colpisce il fatto che i media siano capaci di
parlare quasi esclusivamente il linguaggio delle emozioni… Si diffonde una cultura delle
emozioni che spesso non sollecita alcuna riflessione che consenta di valutarle, dirigerle
e renderle più consapevoli. Il corrispettivo è una disabitudine al giudizio e all’esercizio
del senso critico, che riguarda anzitutto la scuola, ma anche i mezzi di informazione.
La delegittimazione della figura dell’adulto è il più inavvertito, ma forse il più grave
effetto di interferenza sulla relazione educativa… L’esposizione televisiva, tanto più se
precoce, estesa e solitaria… mostra al bambino anzitempo non solo la facciata, ma
anche il “retroscena” spiacevole del mondo degli adulti… prima che sia in grado di
elaborare adeguatamente il disincanto che ne consegue… In una simile condizione i
genitori, gli insegnanti e gli altri educatori, anche quelli più attenti e meglio intenzionati,
si trovano spiazzati, perché la televisione produce una sorta di socializzazione anticipata
alla disillusione e alla sfiducia che porta i bambini a dubitare degli adulti e dei
modelli di valore e di comportamento che essi propongono.
Prospettive
In realtà nei media si incontrano sempre due libertà e due volontà autonome, quella
dell’emittente di decidere i contenuti e i messaggi, quella del destinatario che dispone
della facoltà di connettersi e di esporsi ai messaggi dell’emittente… il punto decisivo
non è il fascino dei media, ma la credibilità
degli adulti, con tutta la concretezza
di rischio, di fatica, di sacrificio che
comporta e che, sola, rende possibile
e persuasiva l’educazione.
Vi sono alcune importanti opportunità
che possono essere inserite in un
progetto positivo: la socializzazione in
rete non è verticale, da una
generazione all’altra, ma è largamente
orizzontale, tra gli appartenenti alla
nuova generazione… le nuove
tecnologie possono favorire il
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riconoscimento e la valorizzazione delle competenze dei più giovani da parte degli
adulti… le nuove tecnologie possono infine facilitare una maggiore apertura alle forme
di partecipazione civica e democratica.
Le istituzioni formative e scolastiche sono anch’esse coinvolte. Se il problema chiave
resta quello della credibilità dell’insegnante… uno strumento (tra gli altri) che la scuola
può mettere a disposizione degli studenti è la costruzione di una competenza
comunicativa quale parte integrante del loro bagaglio culturale…. Le famiglie restano
però l’ambito primario della relazione… Ciò implica la capacità di utilizzare una
pedagogia delle “difese esterne”, cioè una vigilanza e un’attenzione sull’esposizione
dei più piccoli a contenuti inadatti e pericolosi, ma soprattutto una pedagogia delle
“difese interne” attraverso l’accompagnamento e la condivisione della visione e
dell’ascolto.
Per dare strumenti efficaci a questa preoccupazione educativa, parrocchie, associazioni,
movimenti e gruppi di impegno civico possono realizzare iniziative di formazione… sul
rapporto con i media e un loro utile uso nell’ambito del sistema delle
relazioni familiari… anche dar vita ad azioni di risposta concertata quale strumento
di pressione sulle istituzioni e sulle organizzazioni mediali, fino al boicottaggio di prodotti
e canali che si reputino lesivi di valori irrinunciabili o irrispettosi delle proprie convinzioni
morali e religiose.
Spettacolo
Gli adolescenti della nostra epoca postmoderna tendono a far coincidere senso e
sentimento: si nutrono di emozioni che ricercano sempre più forti e coinvolgenti, forse
per sconfiggere noia e solitudine. Pensano di poterlo fare con i media e con le
emozioni che i media sanno suscitare soprattutto nella loro dimensione spettacolare.
Si vede come il problema dell’educazione delle nuove generazioni abbia a che fare
con una situazione inedita. Si tratta, oggi, di generazioni sottoposte a intensissime
culturalizzazioni. Questo non solo perché il livello medio di scolarità si è molto alzato,
ma soprattutto a causa della fruizione intensiva dei media a cui i bambini prima e
poi gli adolescenti, i giovani e gli adulti sono sottoposti sin da tenera età.
Se il cinema ha la funzione di battistrada e di elaborazione di storie, temi e personaggi
“nuovi”, la televisione, nel sistema dei media, ha la funzione di diffusore universale,
soprattutto grazie alla sua capacità di raggiungere con enorme facilità, in casa,
praticamente l’intera popolazione di un paese… L’impatto della televisione è continuo
e profondo, agisce soprattutto a lungo termine come una sorta di “ambienti di
cultura”che coltiva atteggiamenti di fondo
– per esempio fiducia o sfiducia,
soddisfazione o insoddisfazione – incide
sulle relazioni familiari (la televisione
come fonte di dialogo o di scontro), sulle
dinamiche di previsione del proprio
futuro (speranza o pessimismo, paura
o audacia), di decodifica di situazioni
reali in cui ci si viene a trovare.
Il racconto cinematografico e televisivo
tende a incentrarsi sul punto di vista di
un personaggio, sul suo vissuto, sulle
sue emozioni trovando sempre
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motivi per giustificare il comportamento del protagonista… Il risultato
è che si rischia di formare personalità che sono frastornate dall’insieme di scelte
contraddittorie a cui hanno assistito… che non sanno come gerarchizzare i punti di
vista, come ordinare i valori, come vivere entro un orizzonte unificante che dia senso
al proprio percorso esistenziale.
Prospettive
Ci attende quindi una generazione di menti aperte, con molti meno pregiudizi… ma
non in grado di dimostrare profondità nelle valutazioni, di comprendere davvero che
cosa è importante nella vita e che cosa no, di confrontarsi realmente con tutte le
durezze e le asperità dell’esistenza; una generazione portata ad assaggiare di tutto,
ma tentata dalla paura di rendere irrevocabili le proprie scelte, di compiere passi
impegnativi, di assumere legami che richiedano stabilità e pazienza. È quello che è
stato chiamato il rischio di una “esperienza senza verità”.
Che cosa significa dare una risposta educativa a tutto questo? Significa anzitutto
che ogni dimensione formativa deve oggi assumere un’intensità, una durata e anche
una qualità, una capacità di trasmettersi in modo affascinante e convincente
notevolmente maggiori di quanto non fosse necessario in passato… Si chiede una
formazione di qualità elevatissima e che sia anche umanamente coinvolgente.
Anche nello studio dei media, non bisogna cadere nel tecnicismo secondo il quale
l’essenziale sarebbe insegnare l’uso delle tecnologie. Ben vengano anche questi aspetti,
ma l‘essenziale è sempre insegnare a rispondere alle grandi domande dell’esistenza…
Accanto a questo si pone il problema di una formazione di eccellenza per
quei giovani che hanno le qualità e la sensibilità per essere leader nel loro contesto
scolastico, universitario, cittadino, professionale o ecclesiale; formazione ancora più
necessaria se il loro impegno professionale è nei settori della comunicazione, dove
le problematiche etico-antropologiche sono quasi sempre all’ordine del giorno.
Per i genitori, di fronte a una generazione nuova che utilizza media e applicazioni a
loro sconosciuti, il rischio è quello di chiamarsi fuori, di dire “io non ne capisco niente”.
Invece no: il dialogo sull’uso dei media, il confronto su quanto i figli vedono, sentono,
scrivono, ricevono è assolutamente fondamentale, non solo perché i figli non si perdano
nel mare delle proposte (e dei rischi) di questi mondi virtualmente infiniti, ma anche
per qualificare e dare “realtà” al dialogo stesso tra le generazioni, tra genitori e figli.
Sport
Qualsiasi pratica
sportiva affrontata con serietà
ripropone su un piano simbolico la
realtà della vita, che è impegno,
sacrificio, lotta, sofferenza, ma
anche gioia, speranza,
soddisfazione e felicità. Ogni partita,
anche a solo livello amatoriale, è
una sfida che può essere vinta o
persa. La sconfitta, però, non è mai
definitiva: si può trovare sempre la
forza per un’altra sfida, per un’altra
occasione, elaborando la vittoria
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o la sconfitta per poi tornare a confrontarsi, proprio come nella vita di ogni giorno.
L’attività sportiva è mezzo per uno scopo più alto: assicurare il dominio della nostra
libertà sul corpo. Se diventa un fine di per sè, si distacca da una visione adeguata della
persona umana e risulta esposto ad ogni degradazione. È questa la ragione vera di
una presenza dei cristiani nel mondo dello sport: prendersi cura della persona umana,
evitando ogni forma di strumentalizzazione.
Il problema centrale della promozione sportiva… è riuscire ad educare alla conoscenza
di se stessi e degli altri. Si tratta di promuovere, attraverso la pratica sportiva,
una persona capace di intendere la vita e di districarsi nei meandri dell’esistenza con
un appropriato bagaglio conoscitivo, culturale e relazionale. Da questo punto di vista
lo sport non è finalizzato a se stesso, ma alla persona… È faticoso costruire… uno
sport capace di accogliere i volti delle persone: i bravi e i meno bravi, abili e disabili, i
cosiddetti campioni e le “scamorze”.
Un po’ come tutta la società, anche lo sport si interroga oggi su quali debbano
essere i suoi principi guida e su come testimoniarli… Le ragioni della crisi sono
soprattutto di natura etica e antropologica. La ricerca a tutti i costi del successo
conduce a comportamenti sleali, tentativi di corruzione, inganni, volontà di prevalere
a ogni costo sull’altro giocatore fino a ricorrere stabilmente al doping e agli anabolizzanti
per riuscire a superare i propri limiti.
Prospettive
La grande sfida culturale della nostra epoca sarà quella di ripartire da un’idea precisa
di quale uomo e quale società civile vogliamo promuovere con lo sport… Per
essere socialmente significativo, deve diventare principio generativo di relazioni, stile
di vita, comportamento, dialogo, partecipazione, cittadinanza attiva… L’anelito di ogni
giovane è la ricerca della felicità, è la ricerca di un benessere interiore. È in questo
anelito che si trova la radice della valenza educativa dello sport. Allenare che cosa,
oltre il corpo e con il corpo? Anzitutto allenare il desiderio; allenare cioè, dentro di
noi, quella capacità, quella forza misteriosa, quella curiosità a essere dei ricercatori
per avere chiara la meta. Il desiderio innesca la ricerca. Se lo sport non allena il
desiderio è un semplice esercizio muscolare.
Quando si gioca o si pratica uno sport è soprattutto il corpo a parlare. Siamo entrati
dentro il tempo del postumanesimo, in cui il corpo è diventato un macchina… Corpi
“usa e getta”. Se ci convinciamo che il corpo è oggetto, diventa poi facile convincerci
che l’uomo stesso sia un oggetto. L’oggetto è funzionale a qualcosa e quando si
usura lo si ricicla e lo si butta. Così accade anche per l’atleta. Ognuno di noi, invece,
è un corpo animato, impastato d’anima, un corpo denso di tensioni e appassionato
alla vita, un intreccio di amore e di eternità… Per questo occorre educare alla corporeità,
incentrata nel riconoscimento, accettazione e valorizzazione del proprio “essere
corpo”… La necessità, pertanto, è quella i sviluppare adeguate modalità espressive e
motorie che diventino comunicazione, azione e relazione.
Lo sport ha bisogno di educatori e non di prestatori d’opera. È soltanto agli
educatori sportivi che possiamo chiedere di mettersi al servizio di un diverso
progetto sportivo. Dobbiamo chiedere loro di essere ben di più che i
maestri di un gesto tecnico o gli allenatori di una capacità fisica.
Il segreto per vincere questa gara risiede in cinque azioni fondamentali:
accogliere, orientare, allenare, accompagnare e dare speranza.
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Occorrono società sportive non chiuse in se stesse: dinamiche, sempre in ascolto
dei bisogni umani ed educativi del territorio, aperte alla collaborazione con le altre
realtà educative (famiglie, scuole, parrocchie, ecc.), …luoghi di incontro e di amicizia,
e le cui attività sportive, culturali e associative si offrano come autentiche esperienze
di vita, la cui centralità risieda nell’aiutare ogni atleta a dare il meglio di se stesso.
Accompagnare, essere compagni di strada, fare un pezzo di strada insieme. Un
ragazzo, un giovane ha bisogno di un adulto che dica: “Va avanti, lotta, dà tutto te
stesso, non aver paura: io ci sono!”. Molte volte non c’è bisogno nemmeno di esserci
fisicamente, basta sapere di non essere soli, basta sapere di non essere traditi, basta
sapere che c’è qualcuno, che c’è un adulto, nella propria vita… Educare alla speranza
è davvero il filo rosso che deve tenere unite tutte le azioni e ci invita a essere coerenti.
Il cammino verso la riconquista dell’educazione può essere rappresentato con una
immagine che ne riassume il fine e gli sforzi: fare carovana per affrontare insieme il
deserto da attraversare, ossia la situazione del momento con la sua desertificazione
di responsabilità genitoriale ed educativa. La carovana è l’antica forma del pellegrinaggio
con alcune caratteristiche:
- è comunità, desiderio di incontrare e lasciarsi incontrare: camminando
insieme ci si unisce, si diventa popolo attraverso il calore dei compagni di strada e la
meraviglia dell’imprevisto;
- è stile di vita: in essa si impara a conoscere e ci si lascia conoscere, mettendosi
reciprocamente in ascolto e servizio per superare insieme le difficoltà del cammino;
- è futuro: è andare “verso” non solo come luogo geografico, ma come realtà
esistenziale fatta di incontri, ascolto, comunicazione reciproca di idee e di progetti,
abbandono di false certezze, apertura al nuovo;.
- è creazione: costruisce ponti, favorisce l’unione negli impegni, fa comunità
di progettazione, di realizzazione, di verifica;
- è gioia, crescita: gente diversa percorre la stessa strada, vive le stesse
emozioni, affronta gli stessi sacrifici, vive la gioia delle stesse conquiste comunicandosi
la forza di parlare (l’annuncio) e la forza di non tacere (la denuncia);
- è sognare lungo tutto il percorso: ogni sogno intermedio raggiunto è gioia,
è forza, è invito a continuare a sognare con speranza maggiore;
- è presenza, non assenza dalla storia: è percezione, scoperta della realtà che
si incontra, sua assunzione e proiezione nel futuro;
- è aiuto e servizio reciproco, senza gelosia: un modo di essere e stare insieme
che si costruisce e si realizza grazie a tutti.
- è condizione interiore: la condizione dell’uomo che non fa clamore, chiasso,
ma progetta e opera nella reciproca comunicazione.
E allora incamminiamoci, in carovana, con convinzioni forti e prassi storica, o per
dirla con l’Assistente nazionale dell’Aimc don Giulio Cirignano, con una grande idea
di Chiesa, una robusta idea di laico, un’ adeguata idea di realtà secolare.
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Fam
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Centro nazionale
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