I Fiori di Charles Dickens
Venerdì 10 Febbraio 2012 09:49
Chissà quale dei suoi personaggi l’avrà accompagnato in quell’ultimo viaggio? Chi si sarà
presentato oltre quella porta spalancata sull’infinito, tendendogli la mano per condurlo
dolcemente oltre i suoi sogni di scrittore, nell’infinito di quei personaggi , universo stesso, che
Lui aveva creato.
La morte di Charles Dickens colpì il mondo intero . Fu come se un parente amato se ne fosse
andato per sempre, tanta era la considerazione che tra quelli genti anglofone e non, si nutriva
per lui, considerato da tutti il più grande scrittore del diciannovesimo secolo: quello dei grandi romanzieri , da Thackeray che lo aveva frequentato, a Manzoni e Victor Hugo. Eppure su tutti
giganteggia la figura di Charles Dickens, con quel romanzo sociale, che è critica e che è
rivoluzione, ma che è soprattutto denuncia. Come non ricordare l’orrore di quegli istituti scolastici descritti nel Nicholas Nickleby
(1838-1839), la drammatica denuncia sulle condizioni nelle fabbriche e nelle miniere del nord
industriale, che suonano come un grido amaro che percorre “Hard Times” (Tempi Difficili
1854), dove gente vive e muore nelle fucine e negli opifici, senza vedere la luce del giorno. L’orrore ancora presente per chi lo legge, sulla condizione della città, gigante impazzito, che
divora e distrugge gli esseri umani in quella cavalcata che porta solo ed unicamente verso un
destino di sopraffazione e morte. Poi contro quelle prigioni e quel sistema giudiziario iniquo e
crudele, che condannava a morte persino chi avesse osato abbattere un albero da frutta.
Questa era l’Inghilterra Vittoriana in cui Dickens scriveva.
Eppure spesso quei lettori a cui Charles Dickens si rivolgeva non erano alfabetizzati,
ascoltavano in gran silenzio, forse riuniti davanti al camino, nelle cucine di casa, chi avesse
dimestichezza con le lettere, leggere davanti a loro, quelle pagine così consumate delle
dispense, tanto da sembrare opuscoli sofferti e vissuti, con le loro copertine bluastre o
verdognole, che tra le pubblicità di un siero portentoso , una medicina miracolosa e un olio per
i capelli, contenevano i capitoli mensili di quel romanzo di Charles Dickens. Tanto attesi erano
quei fascicoli, che all’epoca dell’ Old Curiosity Shop, (La Bottega dell’Antiquario 1840-1841) le
nave che li trasportava per venderli sul mercato americano , venne quasi “assalita” al porto,
con la domanda gridata di bocca in bocca : “La piccola Nell è morta? Sapete se la piccola Nell è
morta
?”. Tante furono le lettere recapitate
personalmente allo scrittore, affinché mantenesse in vita quel suo personaggio così amato.
Come non ricordare il Natale, che Charles Dickens reinventava ogni anno nella scrittura, con
quei volumetti rossi, a volte dalle illustrazioni colorate a mano, (Christmas Carol 1843) dove
anche la festività , acquisiva quel suo vero ruolo, forse dimenticato, di epifania e di unione. Di
insegnamento laico autentico.
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Per questi e tanti altri motivi , durante quei giorni di Giugno del 1870 il mondo intero fu
sconvolto dalla notizia della scomparsa del grande genio. Egli aveva dato disposizioni ben
precise affinché le esequie si svolgessero in forma strettamente privata ma la Nazione, che
accanto a Dickens aveva sofferto, riso e pianto, insisteva nel volergli dare un ultimo saluto
affettuoso. Così lui, che aveva rifiutato qualsiasi onore in vita, sicuro che maggiore gloria fosse
rimanere nel cuore della gente, venne trasportato dalla sua casa a Gad’s Hill, fino a
Westminster Abbey dove avrebbe trovato un’ ultima dimora.
Furono giorni tristi, file di persone che si accalcavano, ognuna a depositare qualcosa, a posare
un fiore, un ricordo per colui che più di ogni altro aveva saputo interpretare quell’umanità
silenziosa e dolente. Si racconta che vennero trovati mazzolini di fiori tenuti insieme da uno
spago o da frammenti di straccio. Non comprati dai fioristi di Londra certamente , ma posati
così, quasi di nascosto accanto al sarcofago e sulla tomba, nella'Angolo dei Poeti dell'Abbazia
di Westmonster. Fiorellini colorati, sgargianti, vivi come sarebbero piaciuti a Charles Dickens.
Strappati o raccolti da un campo, stretti insieme, petalo contro petalo, gambo contro gambo, da
piccoli ornamenti fatti in casa, con cura e devozione. Tale fu l'amore per Charles Dickens che
(lo scrive il suo biografo John Forster) a distanza di quattro anni dalla morte, comparivano
sempre fiori freschi sulla sua tomba oramai chiusa per sempre. Ma quel giorno, quella
cattedrale così enorme, sembrò talmente piccola, con quei silenzi spezzati dal pianto, vicino ai
monumenti di Milton e di Shakespeare dove andava a risposare il grande scrittore così amato
dal popolo.
In quel mese di Giugno del 1870, tutta una Nazione si trovò unita, come tra le pagine di un suo
romanzo, su quei fogli che già viaggiavano verso l'infinito, tra quelle parole che già sapevano di
eterno.
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