DI MARIA LUCE ALOISIO La Cappella Sansevero, che racchiude le spoglie dei membri della famiglia, si trova a Napoli nelle vicinanze della Piazza S. Domenico Maggiore, attigua al palazzo di famiglia dei Principi di Sansevero. Essa fu fatta costruire nel 1590 da Giovan Francesco in devozione della Vergine della Pietà che lo aveva guarito da una grave malattia. Proprio per questo, la Cappella è nota anche col nome di Santa Maria della Pietà dei Sangro o, più semplicemente, la Pietatella. Per comprendere a pieno la portata storica, artistica e filosofica della Cappella è necessario presentare la personalità del Principe Raimondo di Sangro, figura attorno alla quale ruotano da sempre leggende e mistero. Di intelligenza molto vivace, all'età di dieci anni Raimondo viene inviato al Seminario di Roma dove è affidato ai padri Gesuiti. Solo a vent'anni, con un bagaglio culturale notevolmente superiore a quello solitamente posseduto dai nobili dell'epoca, il giovane riesce finalmente a tornare nel palazzo dei suoi avi, a Napoli, fregiandosi del titolo di Principe di Sansevero. Nonostante l'insegnamento religioso che ha ricevuto dei gesuiti, ben presto il giovane nobile napoletano entra a far parte della Confraternita segreta dei Rosa-Croce dove è iniziato agli antichi riti alchemici e alla cosiddetta «arte sacra» o «arte regia». Il principe cambia radicalmente la sua vita dedicando tutto il suo tempo all’Alchimia. LE OPERE Attraverso una scaletta a chiocciola, si arriva a quello che una volta era il vano d'ingresso al laboratorio segreto del Principe di Sansevero. Qui in due teche di vetro si trovano due corpi umani che, grazie all’abilità scientifica del principe, non hanno più l 'involucro corporeo: con un preparato di sua invenzione l'intero sistema delle vene e delle arterie è stato metallizzato. Tutto ciò che presente nella Cappella deve essere letto attraverso un doppio linguaggio: quello religiosospirituale e quello massonico- esoterico. Niente di ciò che vediamo è stato plasmato, scolpito, decorato e dipinto come semplice abbellimento. Nell'Archivio Notarile di Napoli è stato rinvenuto il contratto tra il Principe e Giuseppe Sammartino. Nel contratto quest’ultimo s’impegnava ad eseguire l'opera. Il Principe si impegnava, a sua volta, a procurare il marmo e di realizzare una sindone,una tela da depositare sulla la scultura. Un Cristo morto nell'atto della resurrezione, interamente avvolto nel sudario, un velo leggero, naturale, impalpabile, straordinariamente aderente alla pelle. La pietra diventa liquida grazie all’arte dello scultore: la trasparenza è perfetta, inesistente il peso del sudario, che non c’è, eppure è visibile quasi per un incantesimo della materia all’occhio. Il corpo stesso genera, piegando il marmo, morbidissime onde. La scultura del Disinganno raffigura un uomo che si libera da una rete, simbolo di prigionia del peccato. Sia pur nelle differenze figurative, anche in tal caso il riferimento all‘ iconologia è immediato: se Ripa rappresenta l'Inganno con una rete in mano, il Principe fa scolpire un Disinganno che si libera dalla rete. Al primo livello di lettura, così com'è esplicitato nella dedica, esso ricorda il padre di Raimondo, Antonio di Sangro. Questi soltanto in tarda età, dopo una vita di dissolutezze, si converte rinunciando ai titoli nobiliari e agli averi e trascorre gli ultimi anni di vita da abate della Cappella. A livello anagogico il Disinganno diventa immagine di una Virtù: il Dispregio del Mondo a favore delle cose celesti. Nel livello analogico, però, oltre allo scultore Francesco Queirolo che raffigurò il proprio volto nella statua, nel monumento del Disinganno c'è Raimondo de Sangro. L A PUDICIZIA Sul quinto pilastro a sinistra vi è la statua di Antonio Corradini de La Pudicizia Velata. Il monumento è eretto alla memoria di Cecilia Gaetani, madre di Raimondo , morta prematuramente. Ma la Pudicizia Velata non costituisce esclusivamente un simulacro posto in memoria di Cecilia Gaetani d’Aragona. Nelle pieghe del velo che la ricopre è celato un senso denotato di immenso potere esoterico. Posta a sinistra dell’altare, essa rappresenta la Luna, il principio femminile, la Grande Madre Iniziatica; nelle sue opulente forme matronali si nasconde la parte femminile dell’Universo, colei che nelle filosofie indiane viene detta Kundalini, il riflesso della Madre Divina nel cui grembo viene generato il Tutto . Tuttavia la Madre non si mostra mai nuda, non è accessibile a chiunque. Potrà contemplarla nella sua immensità soltanto colui che riuscirà a toglierle i Veli, attraverso l’esperienza dei misteri Isiaci. La corona di rose che la donna stringe tra le mani, rappresenta un chiaro riferimento alla tradizione templare della Rosa Mistica, la coppa in cui venne versato il sangue di Cristo. Queste rose simboleggiano l’agognata Redenzione dello spirito, ma anche la millenaria leggenda del Graal. E’, inoltre, un rimando alla Rinascita della Vita, quando la Madre Terra si rinnova nella primavera. Il Cristo velato, il Disinganno la Pudicizia: tutte allegorie che potrebbero avere un comune significato: l'uomo che, con l'aiuto della ragione, squarcia il velo delle false verità. Nelle ultime volontà, Raimondo de Sangro impose ai discendenti di non alterare il complesso simbolismo insito negli arredi di varie sculture (non modificandone ornamenti, bassorilievi, iscrizioni e nomi); alcuni studiosi, in ciò, leggono la conferma dell'esistenza di un messaggio massonico codificato.