Organizzazione Sanitaria 1/2009, 5-35
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Organizzazione ospedaliera per
intensità di cure e di assistenza:
proposta di un metodo per la stima
del fabbisogno di unità di assistenza
nelle aree di degenza e correlazione
con la complessità assistenziale
LORENZO BARAGATTI
Direttore U.O. Assistenza Infermieristica Ospedaliera, P.O. Alta Val d’Elsa, Asl 7, Siena
GABRIELE MESSINA
Ricercatore MED 42, Univ. degli Studi di Siena
FRANCO CECCARELLI
Direttore Sanitario, Asl 7, Siena
LUIGI TONELLI
Direttore Sanitario, P.O. Alta Val d’Elsa, Asl 7, Siena
NICOLA NANTE
Ordinario di Igiene, Resp. del Laboratorio di Programmazione e Organizzazione dei Serv. San.,
Univ. degli Studi di Siena
1. L’ospedale per intensità di cure
Ormai da tempo è condivisa la consapevolezza che un ospedale non si misura sui posti
letto bensì sulla capacità di dare prestazioni di
salute. (1)
La definizione di salute, formulata dall’OMS nel 1948, ha incorporato nel concetto
di equilibrio fra le componenti fisiche, psichiche e sociali anche le valenze emozionali, relazionali e spirituali, queste ultime intese non
solo in senso religioso, ma più propriamente
come idea multidimensionale dell’esistenza
umana, connaturata ad aspetti non solo comportamentali ma anche filosofico-cognitivi ed
esistenziali-emotivi.
Nell’avanzamento del movimento culturale
per la salute - dalla Carta di Ottawa fino alla
Dichiarazione di Jakarta - questa viene a connotarsi esplicitamente non solo come obiettivo
del vivere ma come risorsa per la realizzazione
emotiva, intellettiva, economica, morale delle
persone. Il miglioramento delle condizioni di
salute della popolazione non passa solo attra-
verso l’offerta di servizi sanitari; per quanto forte possa sembrare, questa affermazione riflette
l’emergente quadro culturale e scientifico con
il quale il riordino dei servizi sanitari dovrà
confrontarsi; lo stato di salute della popolazione viene infine a configurarsi come risultante
dinamica dell’azione di una molteplicità complessa di fattori - i cosiddetti determinanti di
salute - fatto che pone l’esigenza di ripensare
le politiche e le strategie del settore.
Un moderno sistema assistenziale agisce attraverso un complesso sistema di reti di strutture e di professionisti, orientato ad assicurare la
continuità dei servizi e a garantire percorsi assistenziali adeguati ed appropriati; a tale sistema partecipano gli ospedali ed i servizi sanitari
territoriali. All’interno degli ospedali dovranno
essere identificabili le seguenti aree assistenziali che presentano ciascuna forte rilevanza
progettuale:
a) aree orientate ad interventi rapidi e di
grande complessità e specialità, riservate a pazienti con forme acute, caratterizzate da numero di letti e da tempi di degenza sempre più
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contenuti. Queste aree, anche in futuro, dovranno avere un dimensionamento orientato al
bacino di riferimento; al loro interno saranno
allocate funzioni specialistiche e tecnologiche
in rapporto alle esigenze assistenziali, garantendo un’equilibrata distribuzione nell’ambito
della Usl e dell’Area Vasta di competenza, per
assicurare adeguati elementi di fruibilità e di
qualità;
b) aree destinate all’assistenza in fase di post-acuzie e per riabilitazione, per affrontare la
cronicizzazione delle forme neoplastiche ed in
generale di tutte le forme cronico-degenerative.
Le strutture assistenziali destinate al trattamento degli stati di cui alla precedente lett. b),
nonché di alcune patologie di tipo più marcatamente sociale, che attualmente fanno capo in
modo prevalente agli ospedali, verranno invece curate sostanzialmente, da parte della rete
assistenziale dei servizi sociosanitari territoriali, in altre strutture, diminuendo in modo significativo il carico improprio sull’ospedale, oppure direttamente a domicilio. In quest’ultimo
caso la telemedicina, oltre alle attività preventive legate agli screening, consentirà di svolgere, anche la diagnosi ed il follow-up, con conseguente sollievo per i compiti dell’ospedale
che registrerà così una ulteriore significativa riduzione del numero di pazienti ambulatoriali.
Nel contesto sopra delineato, l’ospedale si
andrà, quindi caratterizzando prevalentemente
come ospedale per pazienti acuti.
In tale ottica, pertanto, il nuovo ospedale
deve essere pensato e realizzato in un contesto
in continua evoluzione sul quale insistono diverse tipologie di offerta - presidi ospedalieri di
aziende territoriali, aziende ospedaliere, presidi ospedalieri privati accreditati - e nel quale
trova sempre più fattiva attuazione la dimensione gestionale interaziendale, come l’Area
Vasta, ambito territoriale che soddisfa la quasi
totalità del bisogno sanitario ed assolve alle
esigenze di programmazione integrata.
Nella nuova concezione l’ospedale deve essere visto come una risorsa da usare appropriatamente, ideato e organizzato in relazione ai
bisogni del paziente, con la sua esigenza di
diagnosi e cura ed i suoi bisogni di assistenza.
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1.1 Il contesto
La prima necessaria riflessione consiste nell’individuazione, sulla base dei riferimenti
scientifici più aggiornati disponibili in letteratura, dell’evoluzione futura del concetto di ospedale. I punti critici da superare nei contesti individuati sono:
strutture sovraffollate nei centri di riferimento e
parallelo sottoutilizzo dei centri minori;
sistema privo di una chiara gerarchia di prestazioni offerte e carente in termini di interconnessione funzionale;
efficienza media limitata da procedure e problemi estranei all’assistenza vera e propria;
ambienti che non favoriscono rapporti proficui
tra il cittadino e l’organizzazione sanitaria;
strutture obsolete, generalmente poco idonee
ad ampliamenti o trasformazioni interne.
È noto che l’attendibilità a 15-20 anni delle
previsioni sulle dinamiche evolutive nel settore
sanitario si attenua gradualmente a seconda
delle dimensioni analizzate, mantenendo stabilità differenti in funzione del grado di accuratezza delle valutazioni condotte nella dimensione sociologica, economica, tecnologica e
scientifica. Questa considerazione suggerisce
di impostare l’analisi dei fattori evolutivi tenendo in massima considerazione le dinamiche,
affidando invece valutazioni di dettaglio agli
approfondimenti da condurre in sede metaprogettuale ed organizzativo-gestionale, consentendo opportuni elementi di flessibilità.
Ulteriori punti critici da superare sono rappresentati da:
• patologie emergenti ed evoluzione del
concetto di salute;
• evoluzione delle biotecnologie e delle
tecnologie della comunicazione;
• evoluzione della medicina e delle connesse modalità assistenziali;
• appropriatezza del percorso assistenziale
e delle prestazioni;
• integrazione funzionale ospedale-territorio;
• innovazione organizzativa;
• ridefinizione delle funzioni ospedaliere
come esclusive della gestione della fase acuta
di malattia.
Riguardo alle malattie del prossimo futuro,
va tenuto presente che l’uomo anziano sarà
colpito soprattutto da patologie degenerative,
in particolare da quelle oncologiche, nonché
da malattie cardiovascolari e dai traumatismi
gravi correlati alla longevità. Tali forme patologiche determinano l’interessamento diretto dell’ospedale nella fase acuta; per il loro trattamento si presenteranno infatti due fasi assistenziali: quella caratterizzata da un decorso breve, che richiede interventi rapidi, a carattere
specialistico, e quella di lunga assistenza, nella
quale, dopo l’intervento immediato della struttura ospedaliera, si pone il problema di un supporto assistenziale che attualmente viene impropriamente ancora assicurato dall’ospedale.
Nel passaggio dal concetto di sanità a quello di salute continueranno ad emergere anche
nuove evidenze per l’assunzione delle decisioni di governo per la salute. Vanno pertanto implementate strategie di pianificazione capaci di
pensare la salute in modo integrato con le politiche sociali, sviluppando un insieme di concetti, metodologie, processi, azioni, che può
essere esplicitato nella definizione di promo-
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zione della salute dell’individuo e della comunità. Le nuove evidenze ruotano attorno ai seguenti concetti:
• l’approccio consapevole costituisce fondamento della promozione della salute ed arricchimento delle competenze del singolo e
della comunità;
• la complessità dei determinanti di salute e
la loro dinamica esigono politiche e strategie
di salute basate su un approccio di tipo interdisciplinare ed intersettoriale;
• l’investimento effettuato per la salute rappresenta anche un’azione sullo sviluppo culturale e socio-economico della comunità, costituendo riferimento imprescindibile per il governo locale.
Un moderno approccio al tema della salute
non può più far perno, quindi, solo sull’organizzazione dei servizi sanitari; la rottura dell’equazione “sanità = salute” è ormai conclamata
e chiama in causa nuove responsabilità sociali
nel costruire un disegno organico, nel quale riconoscere che la salute è determinata in larga
parte da politiche e da strategie che non riguardano il sistema sanitario, quali le politiche per
la casa, per l’occupazione, per l’equa distribuzione del reddito, quelle culturali, energetiche,
dei trasporti, della sostenibilità ambientale.
Nel campo delle tecniche impiegate nella
sanità, oltre alle innovazioni dovute all’informatica, sono attesi continui e profondi cambiamenti nel campo delle biotecnologie, legati alla riduzione dell’invasività delle procedure interventistiche, all’immissione di sempre nuove
procedure diagnostiche, all’introduzione delle
cure personalizzate e della farmacogenomica,
che condurranno ad una vera rivoluzione della
pratica medica e conseguentemente dell’organizzazione funzionale e spaziale dei presidi
sanitari.
Sotto questo profilo è importante condividere quanto emerso a livello nazionale dall’analisi condotta per l’individuazione dei principi
informatori che appaiono maggiormente rilevanti per la definizione di un modello di ospedale: l’ospedale deve essere visto come una risorsa “da usare solo quando è indispensabile e
per il tempo strettamente necessario e deve essere ideato ed organizzato ponendo al centro il
paziente, con la sua esigenza di cura ed i suoi
bisogni d’assistenza”. Le elaborazioni condotte
hanno individuato i seguenti dieci principi
informatori per il nuovo ospedale per acuti.
1.2 Il decalogo per l’ospedale del terzo millennio
U MANIZZAZIONE - C ENTRALITÀ DELLA PERSONA Vanno garantite privacy, comfort, accoglienza,
ascolto, orientamento, trasparenza, comunicazione, informazione. Va altrettanto garantita la
lotta al dolore in tutte le sue forme. Il concetto
corrente di ospedale come luogo di dolore,
sofferenza e morte, dovrà essere trasformato in
quello di ospedale “aperto”, ossia luogo di
speranza, di lotta al dolore e sollievo alla sofferenza, di guarigione o cura.
URBANITÀ. INTEGRAZIONE COL TERRITORIO E LA CITTÀ
- La localizzazione deve puntare a rendere
massima la fruibilità sia in condizioni ordinarie
che in caso di emergenza o catastrofe: accessibilità, viabilità, sicurezza dei percorsi, percorsi
alternativi, punti critici (strettoie, ecc.), sicurezza idrogeologica (esondazioni, frane), sismica
(presenza di faglie importanti vicine o di condizioni favorevoli all’amplificazione dello
scuotimento sismico) anche per il funzionamento di impianti e apparecchiature.
SOCIALITÀ. APPARTENENZA E SOLIDARIETÀ - Caratterizzare l’edificio come “ospedale aperto” ossia
integrato da attività “perisanitarie”: esercizi
commerciali, alberghieri e di ristorazione, servizi (poste, banca) e attrezzature collettive (asilo nido). Prevedere spazi per attività culturali e
di intrattenimento (biblioteca, auditorium).
Nell’area di accoglienza saranno organizzati
spazi per le associazioni di volontariato e di
assistenza sociale.
ORGANIZZAZIONE. EFFICACIA, EFFICIENZA E BENESSERE
PERCEPITO - L’organizzazione deve attenersi a
questo enunciato: il modello tradizionale, per
“funzioni”, tipicamente verticale e a forte gerarchia all’interno delle singole aree specialistiche, non è adatto a garantire l’interdisciplinarietà e l’integrazione indispensabili.
Il modello dipartimentale, al contrario, è
idoneo a superare l’odierna suddivisione delle
competenze, contribuendo a rendere esplicite
e condivise le finalità di lavoro di persone che
afferiscono a discipline e professionalità diverse. Favorisce l’uso ottimale dei posti letto, del
personale e di tutte le risorse.
INTERATTIVITÀ. COMPLETEZZA E CONTINUITÀ ASSISTENZIALE - L’apertura completa dell’ospedale
alle strutture territoriali e ai medici di famiglia
comporterà una stretta collaborazione prima,
durante e dopo il ricovero, con condivisione
delle informazioni, in forma integrata. L’interconnessione con il territorio sarà indispensabile in un sistema basato sulla centralità del malato che eviti disagi, disorientamento, duplicazioni di prestazioni.
Si dovrà prevedere il potenziamento dei sistemi informatici, in particolare di Internet e di
Intranet, favorendo la possibilità di prenotazioni dal territorio (medici, farmacie) e di trasmissione telematica di esami, dati, risultati.
APPROPRIATEZZA. CORRETTEZZA DELLE CURE E DELL’USO DELLE RISORSE - Il posto letto non sarà più il
principale parametro di riferimento per il dimensionamento, bensì il numero delle prestazioni erogabili, e cioè la capacità di prestazioni diagnostiche e terapeutiche del sistema (casi
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trattati). Saranno utilizzate diverse tipologie di
degenza in relazione all’intensità delle cure e
alla tipologia di assistenza richiesta:
a) terapie intensive (intensive care);
b) alto grado di assistenza (high care);
c) basso grado di assistenza (low care);
d) degenze solo diurne (day hospital; day
surgery);
e) ospitalità in albergo per malati autosufficienti che, per motivi logistici o di opportunità,
pur non bisognosi di ricovero, debbano soggiornare in vicinanza dell’ospedale per eventuali interventi d’urgenza o per controlli e prestazioni ripetuti.
AFFIDABILITÀ. SICUREZZA E TRANQUILLITÀ - Per conservare un’immagine di affidabilità saranno necessari preparazione, aggiornamento continuo
e impegno di tutti gli operatori, attraverso una
collaborazione interdisciplinare; l’uso di linee
guida e protocolli e percorsi di cura basati su
prove di efficacia (EBM); impianti e apparecchiature costantemente manutenuti e a norma;
organizzazione e rispetto dei flussi e dei percorsi (malati, visitatori, medici, materiali, ecc.)
con protezione da indebite intrusioni.
INNOVAZIONE. RINNOVAMENTO DIAGNOSTICO, TERAPEUTICO, TECNOLOGICO, INFORMATICO - Dovrà prevedere sistemi costruttivi che consentano il
montaggio, lo smontaggio, lo spostamento,
l’aggiunta degli elementi attraverso lavorazioni
a secco, non polverose, non rumorose, ecc.,
nonché l’espandibilità e l’adeguabilità semplice degli impianti idromeccanici, elettrici di sicurezza, ecc.
Dovrà prevedere aree “polmone” per le
probabili espansioni, specie nei settori ad alta
potenzialità innovativa (es.: diagnostica per immagini).
RICERCA. IMPULSO ALL’APPROFONDIMENTO INTELLETTUALE E CLINICO-SCIENTIFICO - Dovrà permettere e
favorire lo sviluppo di un’attività di ricerca prevalentemente clinica ed epidemiologica continua, integrata e in collegamento e collaborazione con strutture esterne.
Dovrà inoltre predisporre luoghi e strumenti
per la ricerca, e in particolare un sistema informatico in grado di supportarla, che consenta
quindi attività integrata clinica, di ricerca e
amministrativa.
FORMAZIONE. AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE E
CULTURALE - Si dovrà dare una rilevanza sempre
maggiore alle aree destinate specificamente alla formazione, alla didattica, alle riunioni
scientifiche, ai convegni. Aprire queste aree alla città, significherà consentire loro di svolgere
una funzione “ponte” tra interno ed esterno.
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1.3 Percorso assistenziale ed innovazione organizzativa
Il diffondersi di un’attenzione sempre più
marcata verso indicatori di qualità, di utilizzo
efficiente delle risorse e di economicità di sistema, impone la realizzazione di una moderna struttura organizzativa che possa garantire
validi livelli qualitativi e quantitativi di assistenza sanitaria.
Dovrà essere analizzato e recepito nell’assetto progettuale il processo di sviluppo scientifico e tecnologico, sia in ambito medico che
chirurgico, al fine di concretizzare la graduale
trasformazione di quote crescenti dell’attività
ospedaliera da ricovero ordinario, a ricovero
diurno e, ove consentito dalle acquisizioni tecnico-scientifiche, da ricovero a semplice attività ambulatoriale.
Dovrà anche essere valutato e progressivamente metabolizzato l’impatto sul sistema salute dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione ed all’influenza determinata
dai flussi d’immigrazione di popolazioni provenienti da paesi extra comunitari.
Le indicazioni in materia di appropriatezza
delle cure, costituiscono indirizzi per definire
la fattibilità dei nuovi ospedali e linee generali
da adottare per la nuova organizzazione in rete
dei presidi ospedalieri, in un contesto di accentuata deospedalizzazione, con particolare
riferimento alla riconversione in prestazioni
ambulatoriali di prestazioni ospedaliere erogate in regime di ricovero e al trasferimento nel
regime diurno - day hospital e day surgery - di
prestazioni ospedaliere erogate in ricovero ordinario.
In considerazione del dimensionamento
operativo, prevalentemente destinato alla fase
acuta della patologia, è pertanto necessario
prevedere conseguenti variazioni nell’organizzazione ospedaliera. Fattori rilevanti del processo di riorganizzazione sono quelli di seguito indicati:
• l’incremento degli interventi chirurgici ed
endoscopici per via ambulatoriale;
• la diminuzione degli esami di laboratorio,
grazie alla maggiore sofisticazione della diagnostica in genere;
• il superamento dell’organizzazione specialistica e l’introduzione di quella per intensità assistenziale, di cura e durata di degenza;
• l’impiego di tecnologie informatiche che
può liberare da alcuni vincoli di adiacenza
funzionale.
Accanto alla crescita dei servizi ambulatoriali e alla riduzione dei tempi di degenza, si
assisterà quindi ad una maggiore richiesta di
assistenza monitorizzata e ad un maggior numero di esami e procedure da eseguire al letto
del paziente; questa considerazione richiede
parametri di dimensionamento delle aree di
degenza che evidenziano una crescita di spazi
attrezzati a scapito di quelli di soggiorno, superflui per malati che, in prevalenza, trascorre-
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ranno in ospedale solo brevissimi periodi di
degenza per la fase acuta.
Una rete efficace di primo intervento territoriale e l’incremento delle opportunità diagnostiche legato ad una diffusa informatizzazione di tutte le strutture socio sanitarie territoriali - anche attrezzando gli ambulatori dei medici di famiglia e le abitazioni dei pazienti determineranno anche una riduzione di accessi al pronto soccorso.
Dovranno essere previste aree di degenza
articolate per livelli di assistenza omogenea
sulle quali opereranno in sovrapposizione funzionale aree di governo clinico omogeneo, basate sull’applicazione di procedure diagnostico-terapeutiche e costruite su linee guida che
facilitino la gestione plurispecialistica dell’area
omogenea.
Oltre a queste saranno individuate aree articolate sulla durata di degenza, anch’esse con il
sub processo assistenziale e di governo clinico.
Nelle aree di durata di degenza si troveranno le degenze weekly ed inoltre vi saranno
unificate tutte le attività di day hospital e day
surgery, con programmazione dell’accesso che
consente il massimo utilizzo delle strutture,
nonché tutte le attività ambulatoriali, organizzate in macrosettori che garantiscano un uso
razionale e flessibile delle risorse.
A quest’area funzionale di governo clinico
sarà affidato il controllo, la verifica ed il rispetto delle procedure plurispecialistiche riferite ad
un percorso diagnostico-terapeutico omogeneo.
Il processo di riorganizzazione dei servizi
ospedalieri seguirà i criteri sopra esposti e determinerà quindi dei cambiamenti che possono
essere sintetizzati nei seguenti punti:
• il superamento dell’organizzazione per
attività specialistica e l’introduzione di quella
per intensità d’assistenza, di cura e di durata di
degenza con un nuovo modello gestionale,
prevalentemente di tipo funzionale, ma anche
professionale;
• il paziente non sarà più costretto a muoversi all’interno della struttura seguendo la logica della patologia di cui è affetto bensì saranno gli specialisti a ruotare intorno al letto del
paziente che sarà ricoverato in base alle necessità assistenziali di cura e di degenza del momento;
• il recupero della centralità dell’utente ed
un maggior rispetto del criterio dell’appropriatezza del ricovero e del percorso assistenziale;
• l’adozione da parte dei medici delle procedure, basate su linee guida, per la gestione
pluridisciplinare del percorso diagnostico terapeutico;
• il riconoscimento delle nuove funzioni
del personale infermieristico e l’acquisizione
di un nuovo ruolo professionale e gestionale.
1.4 Il dimensionamento delle aree
Le elaborazioni condotte per l’attuazione
del principio di appropriatezza delle cure in
ambito ospedaliero, hanno evidenziato attraverso un’attenta analisi della casistica trattata,
sia in ambito chirurgico che in quello medico,
come circa il 60% dell’attuale attività di ricovero ordinario, possa essere affrontata e risolta
con altra tipologia di trattamento. Per la componente chirurgica si stima che la quota scorporabile dal trattamento ospedaliero ordinario,
possa essere effettuata per il 40-50% del totale
con interventi ambulatoriali e per la restante
quota mediante il ricovero diurno.
Le prestazioni erogate in ricovero ordinario
riguarderanno pertanto patologie complesse a
pesante case mix, con durata media della degenza oscillante tra 3 e 4 giorni ed indice d’occupazione che potrà salire fino al 90%.
Il dimensionamento delle aree d’intensità
assistenziale, in termini di posti letto dovrà tenere conto dei seguenti parametri:
1) la classificazione del presidio ospedaliero e la sua mission come struttura per acuti;
2) l’analisi del case-mix dei ricoveri effettuati negli ultimi tre anni rapportato al tasso di
occupazione;
3) gli indici di performance ospedaliera e i
tempi di attesa per interventi chirurgici;
4) l’analisi dell’attuale situazione logisticostrutturale dei presidi ospedalieri per verificare
la sostenibilità del progetto, con particolare riferimento alla ricerca della compatibilità tra
casistica specialistica ed aree di degenza;
5) il rispetto degli standard di riferimento
previsti dalla delibera regionale n. 31 del 2003
che prevede 2,35 posti letto per mille (posti letto ordinari e di degenza continua) con una degenza media di 5 gg. con gli scostamenti da
prevedere sulla base dei seguenti fattori:
- struttura della popolazione di zona pari
a quella media regionale;
- indice di dotazione di strutture di riabilitazione ospedaliera pari a 0,11 posti ogni mille
abitanti residenti;
- indice di dotazione di strutture private
accreditate pari a quelli registrati in media regionale;
- grado di attrazione corrispondente ad un
flusso entrante pari a 0,30 ricoveri ogni mille
abitanti residenti.
1.5 Il modello toscano dell’intensità di cure
La “standardizzazione” dei criteri di realizzazione dei nuovi ospedali che dovranno via
via sostituire l’attuale rete ospedaliera italiana,
è stata indicata nel 2001 da un’apposita Commissione ministeriale ed ha trovato una sua definitiva conferma nei piani sanitari nazionali
2003-2005 e 2006-2008. (2)
Il modello che ne è risultato, recepito da
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pressoché tutte le amministrazioni regionali,
consiste in una struttura ad alta concentrazione
di tecnologie finalizzata ad accogliere gli acuti, collegata in rete con gli altri livelli di assistenza e particolarmente attenta alla dimensione umana del paziente ricoverato. Il posto letto
come principale parametro di riferimento è sostituito dalla capacità produttiva del sistema.
La struttura fisica del nuovo ospedale si deve caratterizzare per l’alta flessibilità consentita
dalla modularità delle soluzioni adottate e allo
stesso modo deve essere flessibile il sistema organizzativo. Viene superato il concetto del reparto tradizionale in quanto le funzioni specifiche non sono più legate alla peculiarità delle
singole discipline specialistiche ma vanno realizzate in settori il più possibile comuni: salvo
particolari eccezioni (ad es. settore materno-infantile), le degenze, le sale operatorie, i laboratori, gli ambulatori, dovrebbero essere utilizzabili da molteplici professionalità.
Nel nuovo ospedale le tipologie di degenza
sono suddivise, in relazione all’intensità delle
cure, in:
a) terapie intensive (insufficienza d’organo);
b) terapie subintensive (alto grado di assistenza);
c) degenze a medio e basso grado di assistenza;
d) degenze solo diurne;
e) zone di ospitalità alberghiera per malati
autosufficienti che pur non bisognosi di ricovero debbano soggiornare in vicinanza dell’ospedale per possibili eventuali ulteriori procedure
o per controlli e prestazioni ripetuti.
Questi criteri, originariamente previsti per
gli ospedali di nuova costruzione, sono stati assunti dalla programmazione della Regione Toscana come riferimento dell’intera rete ospedaliera e prescritti alle aziende dal piano sanitario regionale 2008-2010 e dalle modifiche alla
L.R. 40/2005.
L’ospedale del XXI secolo si muove dalla
tradizionale visione di luogo di cura e assistenza di alto livello, ma chiuso in se stesso, atto a
separare e distinguere sani e malati, per diventare componente di un sistema di assistenza
complesso e integrato che, funzionando in una
logica di collegamento e collaborazione continua tra tutte le strutture, risponde in maniera
completa alle legittime attese della persona.
All’ospedale moderno si chiede di mettere
al centro la persona e le sue necessità, di aprirsi al territorio e di integrarsi con la comunità
sociale. Per rispondere a tale mandato la L.R.
40/2005 che disciplina l’assistenza sanitaria in
toscana prescrive un nuovo modello organizzativo.
Il nuovo ospedale promuove un approccio
incentrato sul bisogno del singolo, garantendo
assistenza continua e personalizzata, percorsi
multiprofessionali e multidisciplinari nonché
riferimenti sanitari certi ed appropriatezza nell’uso delle risorse. Le strutture organizzative titolari di funzioni operative restano dotate di
piena responsabilità e autonomia tecnico-professionale, ma è previsto per esse il progressivo
superamento del reparto differenziato secondo
la disciplina. L’ospedale organizzato per intensità di cure, strutturato per aree in base a un
fabbisogno assistenziale omogeneo secondo
un ordine di complessità, definisce un nuovo
paradigma del concetto di cura: in questo modello l’unitarietà delle componenti cliniche ed
assistenziali, concetto di cura, è solo funzionale; il bisogno di assistenza si separa, secondo
un parametro di intensità, dal legame tradizionalmente univoco con il percorso clinico e le
responsabilità cliniche si scindono da quelle
gestionali.
È evidente che non è in discussione l’efficacia del modello medico-specialistico, che qui
trova conferma, ma l’efficienza e la sua sostenibilità sistemica.
Con l’abbandono del vecchio modello che
attribuiva alle unità operative spazi e posti letto
prefissati e con il passaggio ai cosiddetti “letti
funzionali”, attraverso l’utilizzo di moduli di ricovero aperti con un notevole numero di posti
letto, ogni presidio ospedaliero di medie dimensioni ha la possibilità di rispondere in maniera flessibile e personalizzata ai cittadini graduando l’intensità delle cure, cioè commisurando le risorse (posti letto, assistenza infermieristica, tecnologie) verso quella popolazione di
pazienti caratterizzati da più elevati livelli di
complessità clinico-assistenziale, utilizzando
in maniera congiunta tra più strutture le diverse
tipologie di assistenza.
In questo modello il personale infermieristico è chiamato a non lavorare più per compiti
ma per funzioni e a svolgere un importante
ruolo di cerniera per rendere possibile la integrazione e la condivisione dei processi tra le
diverse specialità, con una ricaduta positiva
sulla qualità dell’assistenza fornita al paziente.
L’intensità di cura è una dimensione dell’assistenza non facilmente separabile da altre più
specificamente professionali e qualitative: queste si riassumono nel lavoro in équipe di medici, infermieri ed altri addetti all’assistenza. Il
valore dell’équipe sta, oltre che nel raccordo
dei saperi e delle pratiche, nella conoscenza
personale degli operatori e nel rapporto di fiducia. Tutelare questo patrimonio qualitativo è
fondamentale per la qualità dell’assistenza.
In area chirurgica specifiche linee assistenziali sono facilmente individuabili mediante le
modalità di frequenza più caratteristiche della
degenza media postoperatoria; degenze post
operatorie simili, anche per interventi chirurgici diversi, ipotizzano simili bisogni assistenziali
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e propongono modelli organizzativi modulati
sul bisogno assistenziale, week surgery, day
surgery, ricovero ordinario chirurgico: modelli
assistenziali diversi per bisogni assistenziali diversi.
Nell’ospedale moderno l’area medica si
qualifica, invece, essenzialmente come ricovero diagnostico-terapeutico intensivo; il rapporto tra clinica ed assistenza è dinamicamente
interagente. Ovunque esistano specificità di
processo specialistiche, queste dovranno condizionare la strategia delle aggregazioni strutturali nel pool di posti letto.
Il nuovo modello prevede inoltre la creazione di percorsi differenziati all’interno dell’ospedale, tra emergenza-urgenza e attività programmata, creando percorsi specifici per i pazienti provenienti da pronto soccorso e per le
attività dell’area chirurgica.
Un aspetto a cui i pazienti sono particolarmente sensibili è quello della presa in carico.
Un’organizzazione che permette al paziente di
rivolgersi, all’interno dell’unità operativa che
ha la responsabilità primaria della cura, a un
medico di riferimento, in grado di stabilire e
supervisionare il piano delle cure ed il percorso del paziente, integrando tutte le funzioni
specialistiche svolte dai colleghi e ponendosi
in modo proattivo sin dal primo giorno di ricovero e fino alla gestione del momento della dimissione affinché il cittadino trovi la necessaria
continuità. Il medico di riferimento non rappresenta un’ulteriore specializzazione medica o
una figura diversa da quelle già presenti nei
nostri ospedali, ma l’ulteriore diffusione e sviluppo delle best practice già esistenti, che assumono una responsabilità complessiva di percorso, garantendo al cittadino una presa in carico costante. (3)
In sintesi nel modello toscano sono identificati tre livelli di cura/assistenza assegnati alle
degenze:
livello 1 unificato che comprende la terapia
intensiva e subintensiva (alta intensità) - deve
essere centralizzato e polivalente e curare la
reale instabilità clinica; per avere maggiore
flessibilità di utilizzo delle risorse sarebbe opportuna una adiacenza logistica di tutti i letti di
livello 1 anche se devono rimanere ben identificati i letti di terapia intensiva;
livello 2 articolato per area funzionale, che
comprende il ricovero ordinario ed il ricovero a
ciclo breve (week surgery, one day surgery)
(media intensità) - rimane differenziato al suo
interno e vi confluisce gran parte della casistica. Nell’area chirurgica è utile una differenziazione dei ricoveri che utilizza la degenza media come indicatore di complessità, riservando
una parte degli interventi e dei letti di degenza
a casi che è possibile risolvere entro 4 giorni
dall’intervento (week surgery);
livello 3 unificato dedicato alla cura delle
post-acuzie o low care (bassa intensità) - può
configurarsi come livello di decompressione
dove trasferire i pazienti non ancora dimissibili
ed è comunque un livello gestito da personale
ospedaliero.
A completamento di questo modello di
ospedale - logicamente ed anche fisicamente
differenziato dalle degenze - vi è l’area delle
attività ambulatoriali e l’area del ciclo diurno
(day hospital, day surgery, day service).
Il nuovo modello richiede l’adozione del
principio del case management, l’introduzione
di modelli di lavoro multidisciplinari e presuppone la creazione e lo sviluppo di ruoli professionali coerenti con il nuovo sistema.
Ulteriori elementi di implementazione del
modello sono schematicamente:
• l’introduzione di figure che realizzano la
presa in carico (medico tutor ed infermiere referente);
• l’adozione di percorsi clinici integrati;
• l’adozione della cartella clinica integrata;
• il consolidamento dell’offerta territoriale;
• il miglioramento della capacità di filtro
verso l’accesso all’ospedale;
• il potenziamento delle figure del medico
di medicina generale e dell’infermiere territoriale.
1.6 Intensità di cure: riflessioni conclusive
L’ospedale organizzato per intensità di cure
rappresenta una forte innovazione organizzativa. Abbandonato il concetto di innovazione secondo un processo lineare (qualcuno dice che
occorre cambiare, indica la strada e gli attori
del cambiamento si adeguano obbedendo) occorre riflettere sugli elementi certi che caratterizzano l’innovazione finalizzati ad ottenere il
consenso e la collaborazione delle persone
coinvolte:
MOTIVAZIONE - in epoche precedenti i valori
erano rappresentati da “modi intuitivi di vivere”. Oggi i processi di socializzazione non sono né scontati né spesso condivisi.
I valori di cui si fa portatore l’ospedale organizzato per intensità di cure che occorre
condividere sono essenzialmente riconducibili
a tre aspetti trainati:
1) necessità di vivere il cittadino/utente al
centro dell’organizzazione: ciò si realizza attraverso meccanismi di “presa in carico” dove i
principali attori sono il medico, quale referente
clinico che organizza e coordina il percorso
diagnostico e terapeutico e l’infermiere, quale
referente assistenziale che pianifica, gestisce e
valuta l’intervento infermieristico di natura tecnica, relazionale ed educativo.
2) la possibilità di crescita e di responsabilizzazione dei professionisti sanitari non medici (infermieri, terapisti della riabilitazione, tec-
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
12
OS 1/2009
nici sanitari, ecc.) e la necessità di lavoro in
équipe.
Il processo clinico tradizionalmente affidato
al medico resta di sua competenza; i professionisti sanitari si appropriano invece (anche grazie all’evoluzione normativa e formativa universitaria) di competenze autonome e relativa
responsabilità circa i processi assistenziali, riabilitativi e gestionali. È evidente che ciò comporta una forte necessità di integrazione, di
passaggio da responsabilità unica a corresponsabilità, finalizzata al raggiungimento di un
obiettivo comune: la risoluzione del problema
di salute del cittadino/utente;
INFORMAZIONE - qualsiasi innovazione ha necessità di eccessi ridondanti di informazione finalizzata a abbattere schemi mentali precostituiti. Allo stato attuale non esistono modelli di
riferimento certi per l’organizzazione delle
strutture e del lavoro negli ospedali organizzati
per intensità di cure È evidente che il modello
si chiarirà strada facendo attraverso un’organizzazione che apprende da se stessa. La diffusa
disinformazione ed il timore di “confezionamento di un prodotto pronto” rischia di creare
pregiudizio e resistenza tra gli attori del cambiamento. Adeguati livelli informativi ridondati, risulteranno utili ad evitare fughe in avanti;
COMUNICAZIONE - in un ambiente sistemico è
rappresentata dalla direttiva, seguita dalla traduzione e dalla trasmissione a chi lavora (comunicazione per via gerarchica).
Relativamente all’ospedale organizzato per
intensità di cure, il presupposto della necessità
di lavoro in équipe, la necessità di integrazione
e di realizzazione condivisa del modello rendono il modello comunicativo sistemico non
solo inutile ma probabilmente dannoso. Sono
necessari modelli comunicativi orizzontali e
non verticali, finalizzati ad accrescere il senso
di appartenenza e di fiducia negli operatori.
Particolare attenzione deve essere rivolta alla
coerenza dei messaggi inviati dalla direzione
strategica ed il middle management che deve
farsi carico di “recapitare” i messaggi a tutti i
livelli dell’organizzazione.
A questi tre elementi, una volta non critici
ma “dati” se ne aggiunge un quarto che è rappresentato dagli elementi strutturali: risorse di
personale, struttura fisica, risorse economiche
spesso creano la soglia tra impossibilità e possibilità. Quest’ultima risente dell’impegno personale volto anche alla gratificazione.
Nel processo dell’ospedale organizzato per
intensità di cure le responsabilità gestionali si
separano da quelle cliniche. Un ottimo clinico
non sarà necessariamente chiamato a gestire
posti letto, attrezzature, personale e budget. I
ruoli gestional saranno chiamati ad assicurare
l’utilizzo appropriato di risorse ad a creare le
migliori condizioni di lavoro ai professional.
2. Le dotazioni organiche
Allo stato attuale non esiste una normativa
nazionale che determini le dotazioni organiche; ci sono state nel tempo, varie leggi o documenti che hanno fornito riferimenti, nella
maggior parte dei casi non osservati in genere
per motivi finanziari, ma anche per specifiche
politiche di gestione del personale. A tutt’oggi
assistiamo a differenze, spesso notevoli, di dotazione soprattutto fra regione e regione.
Il diritto all’assistenza, così come sancito
dai livelli essenziali di assistenza, è garantito
attraverso una buona ed appropriata organizzazione e gestione delle risorse. Ciò presuppone il diritto ad avere un’assistenza erogata da
un numero congruo di operatori tale da garantire le qualità delle prestazioni sanitarie ed assistenziali ai cittadini.
La definizione di indicatori e standard rispetta concetti di modularità, flessibilità e adattabilità in relazione alle diverse e specifiche
esigenze dei servizi. Indicatori e standard devono essere costruiti secondo concetti di appropriatezza e di evidenza scientifica, comunque collegati all’attenta valutazione della domanda e dell’offerta di prestazioni. Il fabbisogno del personale può essere condizionato, oltre che dalle variabili “tipo” (monte ore lavorativo/carico di lavoro) anche da altre variabili
quali l’organizzazione del lavoro, il modello
assistenziale prescelto (nursing funzionale, piccole équipes, presa in carico), il tasso di rotazione di personale, la struttura architettonica,
la presenza di servizi tecnici ed amministrativi
di supporto, la negoziazione di progetti di sviluppo. (4)
Nell’estate 2007 l’Azienda usl 7 di Siena ha
istituito un gruppo di lavoro con l’obiettivo di
analizzare le dotazioni organiche dei presidi
ospedalieri e individuare modalità per la ridefinizione del fabbisogno (tab. 1).
2.1 Le norme del passato
Il gruppo di lavoro ha analizzato i principali riferimenti normativi del passato e del presente:
D.P.R. 128/1968
art. 5: Il direttore sanitario “stabilisce in rapporto alle esigenze dei servizi l’impiego, la destinazione, i turni ed i congedi, del personale
sanitario, tecnico, ausiliario ed esecutivo addetto ai servizi sanitari dell’ospedale”;
art. 8: “La dotazione organica del personale
sanitario ausiliario deve assicurare un tempo
minimo di assistenza effettiva per malato di
120 minuti nelle 24 ore e deve prevedere:
- un capo sala
- un infermiere professionale sempre presente in ogni sezione
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
13
Tab. 1 - Gruppo di lavoro per la ridefinizione del fabbisogno delle dotazioni organiche (percorso intrapreso)
- un adeguato numero di infermieri professionali e generici
Servizi diagnosi e cura: 120’
Sezioni neonatali: 420’
Anestesia e rianimazione: 420’
Delibera CIPE 20 dicembre 1984
Fornisce indicazioni su standard di organizzazione e di attività al fine di garantire uniformità di livelli assistenziali e di prestazioni sanitarie in tutte le regioni e relative usl:
- standard aggregato di 10-12 dipendenti
ogni 1.000 abitanti in regione
- nei servizi di ricovero ospedaliero il rapporto del personale infermieristico e tecnico rispetto ai posti letto dovrà essere 1: 1,1-1,3 p.l.
Per quanto riguarda il personale infermieristico viene fissata la seguente parametrazione:
- settori di degenza di base: 70-90 minuti;
- settori di terapia sub-intensiva: 200-240
minuti;
- settori di terapia intensiva: 500-600 minuti.
D.M. sanità 13 settembre 1988
Individuazione di moduli organizzativi tipo
che costituiscono:
- la soglia minima al di sotto della quale la
gestione dell’unità operativa diviene antieconomica
- una indicazione parametrica per la determinazione della dotazione organica del personale
- sono riferiti a personale utilizzato a tempo
pieno.
I parametri di riferimento definiti dal decreto evidenziano come il calcolo del fabbisogno
tenga conto di posti letto, tempo assistenziale
(teorico), orario contrattuale dovuto, giornate
di presenza, ecc., senza mai considerare il bisogno globale di assistenza di ogni singolo paziente.
2.2 Le norme del presente
Nel corso degli anni si passa da una legislazione prevalentemente di tipo statale (attenta ai
bisogni generali della popolazione) ad una di
tipo regionale più vicina alle esigenze/richieste
dei propri cittadini residenti.
Il cambiamento politico-culturale nell’organizzazione e gestione della sanità pubblica, ha
prodotto sostanziali trasformazioni anche nella
modalità di calcolo del fabbisogno di personale infermieristico. Viene abbandonato il concetto di pianta organica predefinita e, con il
D.Lgs. n. 29/1993 si fissa l’obbligo di definire il
fabbisogno di personale sulla base della rilevazione del carico di lavoro, attraverso i seguenti
riferimenti:
- definizione della quantità totale di esercizio delle attività ed operazioni prodotte;
- tempi standard di esercizio delle attività
svolte;
- grado di copertura del servizio reso in rapporto alla domanda reale o potenziale.
In proposito va ricordata la circolare della
funzione pubblica n. 6/2004 che indica i criteri
per la definizione di standard di esecuzione
(tempo necessario ad espletare le operazioni),
effettuata mediante osservazione ed esperienza
passata:
• analisi delle attività e delle risorse lavoro
necessarie
- quantità atti richiesti dall’utenza (richiesta à procedura à prodotto);
- individuazione prodotti richiesti e linea
di attività (processo produttivo scomponibile in
atti);
• configurazione della domanda
- domanda potenziale (quante richieste
posso avere?);
- domanda espressa (carico di lavoro reale);
• condizioni della produzione (standard di
impiego del fattore lavoro riferito all’atto elementare)
- calcolo delle medie dei tempi;
- simulazioni;
- giudizio di esperti;
- rilevazione con personale addetto;
• flussi di lavoro disponibili
- calcolo del monte orario.
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
14
Le delibere regionali di recepimento della
circolare citata individuano i metodi per la determinazione delle piante organiche e provvedono alla definizione dei tempi di riferimento
regionali mediante i quali le aziende possono
rilevare il carico di lavoro e definire le dotazioni organiche. Tuttavia, osservando la produzione legislativa in materia (leggi finanziarie) si
nota come la riduzione dei costi del personale
e i blocchi delle assunzioni nelle aziende sanitarie, che garantiscono a stento i turn over, siano di fatto divenuti gli strumenti tecnici delle
manovre per il contenimento della spesa. Tale
logica si è spesso posta in contraddizione con
l’offerta appropriata e responsabile di
servizi/prestazioni ai cittadini utenti. Si continua a parlare molto di contenimento della spesa e poco di carico di lavoro.
2.3 Calcolare l’offerta lavorativa
Il gruppo di lavoro ha analizzato “l’offerta
lavorativa”, intesa come il monte orario annuo
reso da ciascun infermiere o operatore di supporto. La disponibilità di tempo lavoro deriva
da vincoli contrattuali e dal livello di assenza
relativo, che sono due aspetti essenziali nel definire la programmazione dell’utilizzo delle risorse umane.
Orario contrattuale - Le assenze programmate
possono essere così calcolate: 365 giorni annui, 52 domeniche, 10 festività infrasettimanali, 36 ferie e festività soppresse, per un totale di
267 giorni lavorativi x 6 ore = 1.602.
Livello di assenza - Per ottenere le ore effettive
annue lavorate il gruppo di lavoro ha procedu-
to alla rilevazione del livello di assenza, rappresentato da tutte le assenze effettuate dal
personale negli anni 2004, 2005 e 2006 sui
dati che seguono prodotti dalla U.O. Gestione
del personale:
1) aspettative: ASA per incarico, vincita
concorso, motivi familiari, educazione figli, richiamo militare, emergency, missione breve
(causali programma rilevazione presenze A65 A62 - A75 - A92R - A84 - A11);
2) maternità: astensione anticipata, obbligatoria, facoltativa 100% e 30%, adozione internazionale (causali programma rilevazione presenze A56A - A56 - A76 - A68 - A68N - A94 A05);
3) malattia e infortunio: malattia 100%,
90% e 50%, senza assegni, infortuni (causali
programma rilevazione presenze A51 - A51A A51B - A51C - A57);
4) permessi retribuiti e non: permessi sindacali, cariche pubbliche, 150 ore, gravi motivi,
malattia figlio, matrimonio, donazione sangue,
decesso parenti, convocazione tribunale, aggiornamento facoltativo, esami, concorsi, commissione concorsi, commissione elettorale, legge 104, congedo per handicap, sciopero (causali programma rilevazione presenze: A60 A60B - A60C - A72 - A53 - A77 - A77N - A52 A59 - A64 - A63 - A69 - A70 - A71 - A73 - A80
- A08 - A99).
Sono stati poi aggiunti i giorni medi di assenza per aggiornamento obbligatorio collettivo. Questo dato è limitato agli anni 2005 e
2006 (schede 1, 2 e 3).
Ovviamente ogni raggruppamento esprime
Scheda 1 - Media giorni assenza pro capite annui = giorni assenza operatori/n. operatori (ore effettive annue lavorate = giorni effettivi annui * 6)
Tipologia di assenza
Anno
Totale
Per aspettativa e maternità
Per altre cause (malattie/infortuni,
permessi, formazione)
2004
2005
2006
267 - 32,24 = 234,76 * 6 = 1408,56
267 - 34,79 = 232,21 * 6 = 1393,26
267 - 31,66 = 235,34 * 6 = 1412,04
267 - 15,95 = 251,05 * 6 = 1506,03
267 - 19,10 = 247,90 * 6 = 1487,04
267 - 16,57 = 250,43 * 6 = 1502,58
267 - 16,17 = 250,83 * 6 = 1504,98
267 - 15,70 = 251,30 * 6 = 1507,80
267 - 15,05 = 251,95 * 6 = 1511,07
Scheda 2 - Tasso di assenza = giorni di assenza pro capite annui x 100/365 (il valore ottenuto deve essere
applicato alle ore annue lavorabili = 1602)
Tipologia di assenza
OS 1/2009
Anno
Totale
Per aspettativa e maternità
Per altre cause (malattie/infortuni,
permessi, formazione)
2004
2005
2006
8,83
9,53
8,67
4,37
5,23
4,54
4,12
4,30
4,43
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
15
Scheda 3 - Coefficiente di sostituzione = Ore lavoro annue/ore effettive annue
Tipologia di assenza
Anno
Totale
Per aspettativa e maternità
Per altre cause (malattie/infortuni,
permessi, formazione)
2004
2005
2006
1,33
1,34
1,33
1,24
1,26
1,25
1,24
1,24
1,24
valori diversi. Al fine di individuare il valore di
riferimento è necessario definire la capacità di
sostituzione da parte dell’azienda, del personale assente per aspettative e maternità.
2.4 Le proposte per la determinazione del fabbisogno
Come già accennato in precedenza la proposta per la determinazione del fabbisogno
non può prescindere dalla misurazione dell’impegno assistenziale attraverso la rilevazione dei carichi di lavoro. I tempi assegnati al
gruppo di lavoro non consentivano l’effettuazione di tale attività. Il gruppo ha ritenuto tuttavia utile suggerire una modalità di rilevazione semplice e indicativa derivante dalla definizione dei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali.
L’esempio riportato nella tabella 2 presenta,
a titolo di esempio, una scomposizione delle
attività alle quali possono essere attribuiti range temporali che opportunamente elaborati ed
integrati possono fornire indicazioni utili per
calcolare i fabbisogni assistenziali.
In alternativa, alcuni indicatori possono essere ricavati da percorsi di negoziazione basati
sulle vecchie norme o dall’analisi della letteratura esistente, metodo individuato dal gruppo
di lavoro con l’obiettivo di determinare un criterio replicabile.
2.5 Il fabbisogno secondo la letteratura
Delibera G.R. Umbria n. 1972 del 15 dicembre 2004 “Linee di indirizzo sulla definizione del fabbisogno della risorsa infermieristica” (5) - Il fabbisogno delle unità di degenza è
definito dalla seguente formula:
D.O. = STD * PMG * Coeff I.O.
Legenda
D.O. = dotazione organica
STD = standard di riferimento espresso nelle tabelle
inserite in delibera
PMG = presenza media giornaliera (tasso di occupazione * posti letto)
Tab. 2 - PDTA per protesi d’anca (scomposizione delle attività giorno ricovero)
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
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Coeff I.O. = integrazione organica (unità necessarie
per garantire la presenza/n. turni da assicurare nelle
24h)
La tab. 3 indica lo standard di riferimento
per il calcolo del fabbisogno.
Rapporto posti letto/posti di lavoro - Per posto
di lavoro si intende la quantità di risorse necessarie e indispensabili da considerare sempre
presenti per garantire livelli di assistenza almeno sicuri. I posti di lavoro vanno moltiplicati
per il coefficiente di sostituzione. (6)
Esempio: 30 pl = 12PLV * 1,31 = 15,72
Il rapporto suggerito tra posti letto e posti di
lavoro relativo ad unità organizzative elementari (nei presidi ospedalieri Asl 7 riconducibili
a medicina, chirurgia generale, ortopedia, ostetricia e ginecologia) è riportato nella tab. 4.
La formula definisce il livello minimo di dotazione organica. La rilevazione puntuale dei
carichi di lavoro (con metodi semplici e indicativi) permetterà alcuni aggiustamenti. Tuttavia,
definire parametri di base (per tutti i presidi, da
ridistribuire secondo i carichi di lavoro) pur
con tutte le critiche che si possono fare consente di definire un punto da cui partire, sotto
al quale non scendere.
I posti letto possono essere considerati nella
loro totalità oppure rapportati al tasso di occupazione. In tal caso la formula può essere
espressa nel seguente modo:
Il nurse-to-patient ratio - Questa modalità per
definire il fabbisogno assistenziale è mutuabile
dalla letteratura e in particolare dal rapporto
“To Err is Human” dell’Institute of Medicine
che ha documentato come errori ed inefficienze dell’assistenza sanitaria siano la causa diretta del decesso negli ospedali USA di 100.000
pazienti all’anno. A seguito di questo rapporto
l’attenzione è stata rivolta anche all’attività infermieristica, essendo gli infermieri gli operatori di assistenza che più frequentemente i pazienti incontrano e con i quali i trascorrono la
maggior parte del tempo di cura. Si è avviato
così il dibattito sul “nurse-to-patient ratio” ottimale, ovvero su quale debba essere il numero
di pazienti per ciascun infermiere presente nelle degenze ospedaliere necessario per minimizzare il rischio che una situazione di “understaffing” sia causa diretta di mortalità e di
eventi avversi.
Lo Stato della California ha per primo stabilito un rapporto “nurse-to-patient” di sicurezza
verso il rischio clinico. L’obbligo di adeguamento a questi standard, inizialmente posto al
2004 per tutti gli ospedali californiani, è stato
poi rinviato per difficoltà a reperire personale
infermieristico sufficiente. Ma l’indicazione è
rimasta, ed è in corso di estensione anche in
altri Stati degli USA.
Per il calcolo del rapporto “nurse-to-patient” il gruppo di lavoro ha proposto lo svolgimento delle due semplici espressioni matematiche sotto elencate.
PL * TO = XPLV * CS
Legenda
PL = posto letto
TO = tasso di occupazione
XPLV = posti lavoro secondo la tabella proposta
CS = coefficiente sostituzione
(1) nI = ((i/p)*tO*pl*4) * (1+A)
(2) i/p=(nI /(1+A))*(1/(tO*pl*4))
Legenda
nI = numero di infermieri
i/p = rapporto infermieri/pazienti
Tab. 3 - D.G.R. Umbria n. 1972/2004 (degenza ospedaliera)
Tab. 4 - Rapporto posti letto/posti lavoro
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Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
17
4 = numero di infermieri che si avvicendano in una
turnazione di 24 ore
tO = tasso medio di occupazione della degenza
pl = numero di posti letto di degenza
A = percentuale media di assenze dal servizio
Conoscendo le variabili che caratterizzano
una degenza ospedaliera, l’espressione “1”
consente di calcolare il numero di unità infermieristiche necessarie ad assicurare nelle 24
ore il rapporto “nurse-to-patient” desiderato,
mentre l’espressione “2” consente di desumere
quale sia il rapporto in una situazione concreta
dove il numero di infermieri assegnato sia già
noto.
Ad esempio, volendo conoscere il rapporto
“nurse-to-patient” esistente in una degenza di
32 posti letto, con una dotazione di pianta organica di 17 infermieri, un tasso di occupazione del 90% ed una percentuale di assenza
del 25%, applicando la formula “2” si ottiene
0,118, ovvero un rapporto i/p di 1/0,118 =
8,47, ovvero 8,5 pazienti per infermiere. Se
per lo stesso reparto il rapporto “nurse-to-patient” ritenuto “di sicurezza” fosse invece 1/5,
applicando l’espressione “1” si potrebbe ottenere il numero di infermieri necessario, che
in questo caso sarebbe 28,8 ovvero circa 12
in più.
Applicando nella pratica questa formula
probabilmente emergerebbe in molte realtà
ospedaliere la necessità di un forte adeguamento aggiuntivo delle presenze infermieristiche. Ovviamente preoccupano i costi, ma a
questo proposito è utile considerare quanto
documentato nella rivista AHRQ - Research in
Action del marzo 2004, ovvero che un’inadeguata presenza infermieristica determina inevitabilmente eventi avversi (infezioni da
pneumococco, ulcere da pressione, infezioni
del tratto urinario, infezioni di ferite, cadute,
errori relativi alla somministrazione dei farmaci) che sensibilmente aumentano i costi di
degenza. Ad esempio i costi relativi ad eventi
avversi associati ad ulcere da pressione negli
USA sono stimati in 8,5 miliardi di dollari per
anno.
Naturalmente, in fase applicativa, molti
aspetti che la formula non considera dovrebbero essere definiti. Il rapporto i/p nella nostra
realtà ospedaliera dovrebbe essere comprensivo degli operatori di supporto (OSS OSS/FC), e potrebbe anche essere considerato
variabile nelle 24 ore. Inoltre una corretta applicazione richiederebbe flussi di dati sempre
attendibili, aggiornati e aggregati secondo il
settore (reparto o area). E occorre anche decidere se il fabbisogno di operatori infermieristici sia da definirsi in relazione alla domanda
realmente espressa oppure alla domanda potenziale. (7)
3. Il modello assistenziale e la complessità assistenziale
3.1 Il modello assistenziale
Per modello assistenziale deve intendersi
una rappresentazione mentale dei concetti di
una teoria, sufficientemente completa da divenire una guida per gli ambiti di attività della
professione infermieristica.
Presso i presidi ospedalieri dell’Azienda usl
7 di Siena è prevalentemente in uso il modello
delle prestazioni infermieristiche secondo Marisa Cantarelli.
Tale modello prevede undici prestazioni infermieristiche e, per ogni prestazione, cinque
livelli di complessità assistenziale che definiscono la finalità e le azioni e quindi la complessità dell’intervento stesso.
Le “prestazioni” sono risultati ottenuti dallo
svolgimento di azioni complesse e coordinate
tra loro; ovvero la prestazione infermieristica è
la risposta ad un bisogno di assistenza esplicitato o meno dall’utente. All’interno della prestazione l’infermiere ha la responsabilità totale
sul risultato del proprio operato decidendo, di
volta in volta, la tipologia d’intervento “cosa”,
la modalità di azione “come” e i tempi di erogazione e di valutazione dei risultati “quando”. (8)
I cinque livelli di complessità sono così rappresentati:
indirizzare: orientare in funzione di un
esplicito e conveniente criterio di scelta. L’azione di indirizzo si fonda sul presupposto che
la persona, acquisite determinate conoscenze,
sa in grado di soddisfare i propri bisogni;
guidare: sorreggere la scelta con un intervento teorico e/o pratico. L’azione di guida si
fonda sul presupposto che la persona, compiute le scelte ed acquisite specifiche abilità, sia in
grado di agire efficacemente per soddisfare
propri bisogni;
sostenere: contribuire al mantenimento di
una condizione di relativa stabilità e sicurezza. L’azione di sostegno si fonda sul presupposto che la persona, messa in condizione di
poterlo fare, mantenga o metta in atto le conoscenze e le abilità acquisite per soddisfare
il bisogno;
compensare: intervento per ristabilire un
equilibrio precedente tramite una parziale sostituzione. L’azione di compensazione si fonda
sul presupposto che la persona necessiti costantemente di interventi assistenziali di parziale sostituzione nello svolgere le attività collegate al soddisfacimento del bisogno;
sostituire: espletare completamente una o
più funzioni di una persona in sua vece. L’azione di sostituzione si fonda sul presupposto che
la persona necessiti costantemente di interventi
assistenziali di totale sostituzione che può av-
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
18
venire anche mediante l’impiego di ausili, presidi, attrezzature da parte dell’infermiere.
Le prestazioni sono rappresentate da:
• assicurare la respirazione;
• assicurare l’alimentazione e l’idratazione;
• assicurare l’eliminazione urinaria e intestinale;
• assicurare l’igiene;
• assicurare il movimento;
• assicurare il riposo e il sonno;
• assicurare la funzione cardiocircolatoria;
• assicurare un ambiente sicuro;
• assicurare l’interazione nella comunicazione;
• applicare le procedure terapeutiche;
• eseguire le procedure diagnostiche.
La complessità assistenziale, definita come
impegno professionale richiesto per erogare assistenza infermieristica, viene generalmente associata al livello di abilità/disabilità posseduto
dalla persona, (intese come capacità di azioni
autonome ed efficaci) ed è condizionata dalle
seguenti variabili:
• grado di standardizzabilità degli interventi
assistenziali;
• presenza di presidi sanitari ad alta competenza (pompe infusionali, monitor cardiaco,
ecc.);
• grado di stabilità/instabilità clinica;
• livello cognitivo dell’assistito.
La tab. 5 sintetizza quanto sopra espresso.
Applicando il modello assistenziale precedentemente descritto alla complessità assistenziale è altresì possibile ipotizzare la suddivisione delle unità funzionali dei presidi ospedalieri
della Asl 7 per area di intensità riportata nella
tab. 6.
Un’analisi più puntuale della complessità
assistenziale può essere proposta attraverso l’uso metodico dell’indice di complessità assistenziale.
3.2 L’indice di complessità assistenziale (ICA)
L’ICA è uno strumento di lavoro basato sul
modello delle prestazioni infermieristiche e misura la complessità assistenziale rispetto al soddisfacimento dei bisogni di assistenza infermieristica. La finalità che l’infermiere ricerca attraverso le prestazioni infermieristiche viene comparata con la condizione dell’individuo rispetto al soddisfacimento dei bisogni (9). La complessità è espressa mediante una scala che ai
poli opposti mostra le condizioni estreme di
autonomia e dipendenza:
autonomia = 0
indirizzare = 1
guidare = 2
sostenere = 3
compensare = 4
sostituire = 5
Questi cinque livelli di finalità assistenziali
sono interpretati come livelli di “complessità
assistenziale” in quanto si riferiscono alla condizione della persona assistita. Tale criterio
consente di classificare differenti tipologie di
prestazioni che possono essere misurate attraverso la rilevazione degli indicatori specifici
per ogni malato.
Attraverso il metodo ICA è possibile:
- misurare la complessità assistenziale per
malato, U.O. di degenza, dipartimento, presidio ospedaliero;
- determinare le competenze necessarie;
- definire e pianificare l’attività infermieristica;
- comparare la complessità di diverse strutture.
La rilevazione dei dati prevede la compilazione da parte dell’infermiere della griglia di
rilevazione indice di complessità assistenziale
annotando in corrispondenza dei livelli per
ogni singola prestazione il numero dei degenti
che presentano quella condizione (tab. 7).
Tab. 5 - Variabili della complessità assistenziale
Tab. 6 – Ipotesi di suddivisione delle unità funzionali dei P.O. Asl 7 per area di intensità
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Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
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Tab. 7 - Griglia di rilevazione dell’indice di complessità assistenziale
La casella in basso a destra mostra il “Numero indice”, ossia una misura numerica,
espressione della complessità assistenziale di
quella U.O. (dipartimento, ospedale, ecc.) ottenuta dal prodotto della somma dei pazienti per
il livello di complessità mostrato che può essere comparato con quello di altre organizzazioni simili.
Dal rapporto tra numero indice/utenti ricoverati si ottiene il valore ponderato, ossia un
valore statistico della complessità assistenziale
media in quella unità operativa (nel caso in
esempio = 38,95).
La classe di dipendenza attribuita ad ogni
unità operativa è riportata nella tab. 8.
È possibile altresì calcolare la media ponderata tra le unità operative di degenza oggetto
dello studio e successivamente calcolare per
ciascuna unità operativa lo scarto che indica il
peso con cui può essere misurata la maggiore
o minore complessità assistenziale.
Quest’ultimi dati hanno maggiore rilevanza
se calcolati per unità operative di degenza affini.
3.3 La rilevazione della stabilità/instabilità clinica mediante la scala EWSS
La complessità assistenziale di un singolo o
di un gruppo di pazienti risente fortemente del
loro livello di stabilità/instabilità clinica. È secondo questo criterio che fino ad oggi si è
provveduto a definire l’assegnazione del paziente ad aree intensive o sub intensive, utilizzando laddove possibile il criterio della suddivisione secondo la specialistica medica di riferimento. Lavorando all’interno degli ospedali
si ha la sensazione che allo stato attuale non
esistano procedure consolidate per valutare il
rischio che il livello di stabilità clinica possa
deteriorarsi e richiedere un maggior livello di
attenzione da pare del personale di assistenza
e l’assegnazione del paziente ad un livello di
cura ed assistenza intensiva superiore. Nel
maggio del 2005 il NCEPOD, Agenzia indipendente finanziata dal National Health System britannico per valutare l’assistenza sanitaria, ha prodotto un rapporto su 226 ospedali
visitati nel corso del 2003. Nel rapporto viene
riferito di numerose situazioni assistenziali
inadeguate, e tra queste: che il 66% dei pazienti con funzioni vitali instabili aveva atteso
oltre 12 ore prima di accedere ad un reparto
intensivo, che per questi pazienti i criteri di
sorveglianza in degenza ordinaria erano poco
o nulla conformi alla gravità clinica, che in generale la registrazione dei parametri clinici era
scarsa e scadente, e che per il 47% dei deceduti le cure erano state al di sotto dello standard necessario.
Stanti queste risultanze, nel 2007 il NICE,
Agenzia del National Health System deputata
alla produzione di linee guida per tutta la sa-
Tab. 8 - Classe di dipendenza in base al valore ICA
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
20
OS 1/2009
nità britannica, ha pubblicato la Linea Guida
50 “Acutely ill patients in hospital” contenente
una serie di raccomandazioni per gli ospedali
finalizzate a produrre standard di allerta e di
soccorso tempestivi. In estrema sintesi la linea
guida raccomanda:
1) che i parametri clinici vitali di ciascun
paziente siano rilevati fin dall’ingresso in ospedale;
2) che fin dalla prima rilevazione sia redatto
un piano per il monitoraggio successivo;
3) che la frequenza della rilevazione delle
funzioni vitali sia correlata allo stato clinico;
4) che i parametri vitali vengano misurati e
registrati facendo riferimento a uno schema di
sorveglianza clinica “track and trigger”;
5) che per differenti gradi di compromissione delle funzione vitali siano definiti tipologie
di soccorso e livelli assistenziali adatti.
Fondamentale è lo strumento indicato dal
NICE per la sorveglianza, il “track and trigger”
altrimenti indicato con l’acronimo EWSS da
Early Warning Score System, fondato su criteri
molto semplici. Consiste nella rilevazione dei
parametri fisiologici delle principali funzioni
vitali - frequenza del polso, pressione arteriosa
sistolica, frequenza del respiro, diuresi oraria,
stato di coscienza, saturazione di ossigeno e
temperatura corporea - e nella loro registrazione in una scheda idonea anche a seguirne il
decorso nel tempo.
Nella scheda sono indicati per ciascun parametro vitale i valori relativi a differenti gradi
di deviazione dalla fisiologia del normale. Ad
ogni intervallo numerico è attribuito un punteggio compreso fra 0 e 3 che esprime un crescente livello di gravità, anche indicato dalla
variazione di colore verde - giallo - arancio rosso. Sommando i singoli punteggi si ottiene
un numero che esprime il rischio di decesso.
Sul piano applicativo un punteggio = 0 è indicativo di condizioni cliniche stabili, un punteggio = 1 sta ad indicare instabilità clinica e la
necessità di controlli frequenti (almeno ogni 4
ore), un punteggio = 2 indica allarme clinico e
necessità di controllo almeno ogni ora, e punteggi maggiori di 2 esprimono condizioni cliniche sempre più gravi per cui sono necessari
specifici protocolli di emergenza.
Un’ulteriore linea guida è stata pubblicata
dal Clinical Resource Efficiency Support Team
che cura la promozione dell’efficienza clinica
per il Servizio sanitario dell’Irlanda del Nord
(10) il quale ha proposto 8 raccomandazioni e
fornito gli strumenti per il monitoraggio e le
decisioni cliniche conseguenti alla rilevazione.
La scala EWSS, conosciuta e localmente utilizzata per queste finalità anche nel nostro Paese, è ancora lontana dall’aver raggiunto una
vera diffusione mentre sarebbe opportuno che
negli ospedali e in generale in tutti i servizi di
urgenza ne venisse promosso il più ampio utilizzo. La gestione dei pazienti potenzialmente
critici richiede proattività e senso dell’urgenza.
Assieme alla valutazione dell’indice di complessità assistenziale la scala EWSS può rappresentare uno strumento utile alla definizione del
livello appropriato di intensità di cure al quale
assegnare il paziente.
4. Il fabbisogno infermieristico nelle U.O. di
degenza presso il P.O. Alta Val d’Elsa della Asl
7
In ottemperanza alle disposizioni regionali
la Asl 7 sta procedendo alla riorganizzazione
dei propri presidi ospedalieri secondo il criterio delle intensità di cure e di assistenza. Questo processo, già iniziato da almeno due-tre
anni e destinato a concludersi entro il 2010, ha
comportato e comporterà la ridefinizione del
complesso dei posti letto, degli spazi fisici e
soprattutto dei processi di lavoro intesi sia come revisione del sistema delle responsabilità
che delle modalità operative ed organizzative.
Qui viene analizzato il percorso che a partire
dal regolamento di organizzazione aziendale
del dicembre 2007 ha condotto ad un nuovo
disegno dei presidi ospedalieri, ad una previsione della casistica assegnata ai diversi livelli
di intensità ed alla definizione dei posti letto
per acuti. Alla direzione infermieristica è richiesta la riorganizzazione del percorso assistenziale ed una stima del fabbisogno di personale di assistenza secondo il modello per presa
in carico correlata alla complessità assistenziale stimata per area di intensità.
4.1 Il modello intensità di cure negli ospedali
della Usl 7 secondo il regolamento di organizzazione
Il regolamento di organizzazione aziendale
allegato alla delibera 739 del 21 dicembre
2007 recita che i presidi ospedalieri zonali articolano le attività di ricovero in aree di degenza, individuate secondo criteri di intensità di
assistenza e cura e qualificate come aree di: alta intensità, media intensità, bassa intensità,
materno infantile e funzioni comuni. Nelle diverse aree gli utenti sono presi in carico per le
attività di diagnosi e cura (processo clinico)
dalle unità operative specialistiche dell’area.
Per le attività assistenziali sono presi in carico
dall’unità funzionale di assistenza che fa capo
al responsabile infermieristico di area. Quest’ultimo governa il processo assistenziale attraverso la pianificazione delle attività di sua
competenza, in accordo con i responsabili delle attività cliniche e con la gestione di apposito
budget. Il responsabile infermieristico di area
assicura inoltre l’efficienza e controlla la qua-
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
21
lità dei servizi di pulizia, ristorazione ed ogni
altra attività accessoria relativa al comfort dei
ricoverati. Egli assume le funzioni di preposto
ai sensi del D.Lgs. 626/1994 e di consegnatario
dei beni mobili e immobili di pertinenza dell’area.
Il coordinamento dell’attività dei responsabili delle unità funzionali di assistenza di area
è assicurato dal direttore dell’U.O. assistenza
infermieristica ospedaliera, il quale, in accordo
con le disposizioni del direttore di presidio
ospedaliero, sovrintende all’equilibrata distribuzione del personale di assistenza fra le diverse aree, attraverso la gestione di apposito
budget. Svolge inoltre le funzioni proprie del
direttore di U.O. professionale.
Nell’area di media intensità possono essere
organizzati due distinti moduli che fanno riferimento alle specialità mediche e a quelle chirurgiche, nonché specifici moduli correlati alla
durata della degenza (a ciclo continuo o sui
cinque giorni feriali).
La presa in carico degli assistiti per le attività di diagnosi e cura in regime di ricovero
(processo clinico) è effettuata dal personale
medico, secondo le disposizioni impartite dal
direttore della rispettiva unità operativa specialistica. L’assegnazione di ogni ricoverato all’area di degenza appropriata, per quanto attiene
l’attività programmata, è disposta dal direttore
dell’unità operativa specialistica, in accordo
con il responsabile U.F. assistenza dell’area interessata per quanto di sua competenza; per i
ricoveri d’urgenza l’assegnazione è disposta
dal responsabile dell’U.F. pronto soccorso, che
definisce contestualmente l’unità operativa
specialistica incaricata di provvedere alle attività di diagnosi e cura per il nuovo ricoverato,
dandone comunicazione al direttore dell’unità
operativa medesima ed al responsabile U.F. assistenza dell’area interessata. Il trasferimento
da un’area di degenza ad un’altra, in relazione
alle mutate esigenze assistenziali, è disposto
dal direttore dell’unità operativa specialistica
che ha in carico il soggetto (11).
Appare evidente l’assegnazione al personale di assistenza sia di funzioni professionali di
propria responsabilità che di funzioni gestionali. Il processo assistenziale corre parallelamente al processo clinico e ambedue concorrono
al risultato finale. I ricoveri non avvengono più
in base alla disciplina clinica ma secondo l’area di degenza appropriata. Viene sancita la separazione, nell’area a media intensità tra le attività mediche e chirurgiche. Lo specialista clinico riceve comunicazione che un paziente di
sua pertinenza è ricoverato in una determinata
area all’interno della quale il paziente riceve
assistenza dal personale infermieristico che risponde al responsabile infermieristico di area.
Per le attività di assistenza il responsabile infer-
mieristico dispone di apposito budget attraverso il quale si determinano le attività e si garantiscono i risultati.
4.2 Il progetto di organizzazione per intensità
di cura negli ospedali della Usl 7
L’Azienda usl 7 ha recepito le linee di indirizzo regionali nel programma annuale 2004,
introducendo negli obiettivi di sviluppo dei
presidi ospedalieri l’organizzazione per intensità di cure. Nel corso degli anni successivi sono state realizzate alcune importanti riorganizzazioni che vanno nella direzione indicata dalla Regione e così riassumibili:
P.O. Zona Val di Chiana
- istituzione dell’area chirurgica, con unificazione di tutte le attività chirurgiche in due moduli di degenza, di cui uno per la chirurgia breve, con utilizzo dipartimentale delle risorse ed
integrazione di tutto il personale infermieristico;
- centralizzazione di tutte le attività di ricovero diurno attraverso la realizzazione di un
day hospital multidisciplinare in cui confluiscono tutti i ricoveri diurni sia chirurgici che
medici ad eccezione di quelli oncologici;
- centralizzazione della pre-ospedalizzazione e della gestione delle liste di attesa dell’area
chirurgica.
P.O. Zona Amiata
Realizzazione di un nuovo modello organizzativo sperimentale, modulato sulle peculiarità della zona, così articolato:
- articolazione delle aree di degenza in media e bassa intensità assistenziale;
- unificazione di tutte le attività diagnosticoterapeutiche in una unità funzionale governo
clinico a cui afferiscono i livelli professionali di
medicina, cardiologia e chirurgia;
- istituzione di una unità funzionale assistenza a cui viene attribuita la responsabilità
funzionale e professionale dei processi assistenziali del presidio;
- unificazione di tutte le attività di supporto
nell’unità funzionale funzioni comuni.
P.O. Zona Valdelsa
- avvio di un progetto di sviluppo dell’area
di alta intensità;
- costituzione dell’area chirurgica con unica
équipe di assistenza infermieristica.
Nel 2008, tenendo conto di precedenti esperienze riportate da gruppi di lavoro attivi nel
2007, al fine di riportare tutti i presidi ospedalieri ad un modello omogeneo, pur contestualizzato in base a peculiarità strutturali e logistiche, è
stato costituito un gruppo di lavoro aziendale,
presieduto dal direttore sanitario, avente come
obiettivo quello di elaborare un’ipotesi di modello aziendale ed in particolare di:
- elaborare linee di indirizzo per la riorganizzazione degli ospedali della Usl 7 e definizione dei livelli di intensità;
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
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- formulare criteri di classificazione per intensità di cura delle patologie trattate ed analizzare la casistica storica trattata;
- elaborare ipotesi di dimensionamento delle aree di intensità individuate.
DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI INTENSITÀ DI CURE
È stato adottato come principio generale
quello di mantenere distinte area medica e
area chirurgica e di ipotizzare i diversi livelli di
intensità all’interno delle due macro-aree così
distinte. I livelli di intensità su cui costruire
l’assetto futuro dei presidi Usl 7 sono così articolati:
Livello 1 - Alta intensità terapia intensiva sub intensiva di nuova istituzione - è un’area multidisciplinare in cui trovano collocazione le seguenti categorie di pazienti:
- pazienti con patologie acute caratterizzate
da compromissione delle funzioni vitali che richiedono un supporto artificiale o farmacologico delle stesse ed un monitoraggio invasivo;
- pazienti sia chirurgici che medici, in condizioni di instabilità delle funzioni vitali o che
dopo una fase critica non hanno ancora riacquisito la stabilità (es. pazienti svezzati, post
operatorio) e che non hanno più necessità di
supporto strumentale alle funzioni vitali.
I letti di cura intensivi degli ospedali della
Usl attualmente suddivisi in intensivo-generale
e UTIC, e quelli subintensivi (attualmente solo
cardiologici) confluiscono in un’unica area assistenziale. Sul piano organizzativo si realizza
un’unità funzionale a gestione multidisciplinare che ospita nell’area intensiva i pazienti con
insufficienza acuta di organo, ed in quella subintensiva pazienti acuti clinicamente instabili e
pazienti nell’immediato post-operatorio.
OS 1/2009
Livello 2 - Media intensità
area medica - vi trovano collocazione pazienti
con patologie acute internistiche e cardiologiche che possono essere trattate in regime ordinario, non necessitando di monitoraggio o trattamento intensivo;
area chirurgica - vi trovano collocazione pazienti con patologie chirurgiche (chirurgia generale, ortopedia, ginecologia), ed al suo interno è possibile un’ulteriore suddivisione in base
alla durata di degenza in due sottoaree così distinte:
degenza breve
a) ricoveri programmati dimissibili entro 5
gg. (dal lunedì al venerdì)
b) one-day surgery
degenza ciclo continuo
a) ricoveri programmati la cui durata di
degenza supera i 5 gg.
b) ricoveri urgenti
c) pazienti trasferiti dalla degenza breve.
I letti a media assistenza ospitano pazienti
in fase acuta non in pericolo di vita, pazienti
ancora instabili, ma non ad alto rischio di decesso e pazienti in elezione.
Livello 3 - Attività a ciclo diurno - in questa
area possono trovare collocazione i ricoveri a
regime diurno sia medici che chirurgici, le attività di tipo ambulatoriale, le attività di preospedalizzazione, eventuali attività di day service per la gestione di percorsi diagnostici-terapeutici con effettuazione di prestazioni multiple integrate e/o complesse (es. follow up paziente diabetico). L’accesso del paziente avviene non ad una singola specifica prestazione sanitaria ma al complesso delle funzioni dell’ospedale per lo svolgimento di un iter diagnostico-terapeutico di rapido svolgimento non riferibile a situazioni di acuzie e tanto meno in urgenza.
4.3 Criteri di classificazione per intensità di cura delle patologie trattate, analisi della casistica
storica trattata e definizione dei posti letto
Il gruppo di lavoro citato nel paragrafo precedente ha stimato gli scenari clinici futuri di
concerto con l’Ufficio Sviluppo Sistemi di Valutazione efficacia delle cure che ha elaborato
lo studio preliminare al progetto che viene presentato di seguito.
Attraverso la valutazione di un anno di casistica di ricovero ospedaliero nei tre ospedali
della Asl 7 e la attribuzione delle degenze
2007 alle diverse aree di intensità previste dal
modello, secondo parametri e criteri concordati all’interno del gruppo di lavoro, è stata prodotta una prima ipotesi di dimensionamento di
posti letto.
Il Sistema di classificazione APR-DRG è stato utilizzato sugli archivi SDO 2007 consentendo, attraverso una più evoluta capacità di
descrizione clinica rispetto al Sistema DRG, di
effettuare stadiazioni di severità clinica e rischio di morte sulla casistica di ricovero.
I valori dimensionati sui criteri dell’analisi
preliminare sono stati successivamente rivisti e
“aggiustati” a seguito di una serie di considerazioni e di valutazioni di diverso ordine, sia teoriche che organizzative, che hanno portato ad
una proposta definitiva.
Si riporta di seguito una sintesi dello studio
ed un riepilogo delle considerazioni che hanno
prodotto le correzioni e gli aggiustamenti finalizzati alla definizione della nuova configurazione dei posti letto.
Alta intensità e subintensiva - i posti letto da
collocare in quest’area sono stati calcolati sui
casi di ricovero 2007 selezionati come potenzialmente trattabili in area intensiva, per una
degenza media standard di 7 gg., per stroke di
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
23
4 gg., per IMA di 6 gg., attribuite in base ai dati
storici e alle valutazioni dei clinici, e per
un’occupazione ritenuta appropriata del 75%.
Per l’ospedale di Nottola (zona Valdichiana Senese) si è applicata un’occupazione dell’85%
in previsione di un effettivo maggior utilizzo a
causa sia della distanza dalla A.O.U. Senese
che di attrazione di pazienti dalla zona dell’Amiata.
Si è tenuto conto anche dell’influenza in
termini di potenziale minor occupazione dei
letti dei presidi della Asl determinata dall’attivazione dei Centri di riferimento per Stroke e
IMA presso l’A.O.U. Senese.
Attività diurna - area dedicata ad attività diurna
(ambulatoriale, day service, day hospital, day
surgery), dimensionata sulla casistica di day
hospital 2007, compresi i Lea chirurgici in ordinario breve e altri ricoveri ordinari non urgenti, con varie esclusioni, di 0-1 giorno. È stata prevista una occupazione del 90% per 240
giorni l’anno e per 1 paziente per posto letto al
giorno; è stato considerato nel calcolo della
dotazione necessaria per Nottola anche il peso
dell’attività di chirurgia oculistica ambulatoriale che attualmente viene svolta con letti di day
surgery un giorno la settimana e che non compare negli archivi dei ricoveri.
Media intensità - la previsione è dimensionata
sulla selezione di pazienti che nel 2007 non
appartenevano alle due aree precedenti, ed è
calcolata per occupazioni dell’85% per DRG
medici e del 75% per DRG chirurgici attribuite
come standard.
Lo studio, che utilizza però come numeratore nel calcolo le giornate di degenza effettivamente registrate nell’anno, conduce ad un
numero di posti letto che nel progetto è stato
poi corretto da una serie di aggiustamenti, che
guardano alla attivazione e allo sviluppo di
progetti di recupero di appropriatezza e di integrazione ospedale-territorio come interventi
in grado di contribuire alla riduzione di valori
anomali di domanda e durata di ricovero.
Nell’area si misura la fascia delle degenze
gestite nell’arco di 5 giorni e all’interno di questa, come area di potenziale miglioramento organizzativo, si evidenziano i casi non urgenti
che hanno avuto giornate di degenza nel week
end.
Considerazioni ed aggiustamenti - è stata individuata ed evidenziata, all’interno della casistica di media intensità, una quota di ricoveri potenzialmente riconducibili ad aree di trattamento di maggiore appropriatezza, come alcuni DRG definiti “sentinella” che la normativa
che regola le compensazioni della mobilità
ospedaliera fra regioni (TUC) descrive come 56
DRG di tipo medico per i quali potrebbero essere presenti pratiche di ricovero opportunistico.
È stato calcolato inoltre, in termini di letti
“utilizzati” nel 2007 per una ipotetica occupazione dell’85%, il peso dei ricoveri non intensivi di minore severità monitorati dagli indicatori S. Anna (polmonite e scompenso cardiaco
selezionati con criteri MeS).
È stata considerata cioè, nel calcolo del fabbisogno di posti letto proposto, una potenziale
progressiva riduzione di degenze in regime di
ricovero ospedaliero dovuta all’attivazione di
percorsi ospedale/territorio e di più appropriata
collocazione di casistica in area di hospice o
di ospedale di comunità.
Questo ha comportato, soprattutto nelle
Medicine, una diminuzione di quel numero di
posti letto calcolato, nello studio, su dati “storici” spesso anomali per occupazione percentuale e durata di degenza, che viene poi compensato, sia in area medica che chirurgica, dall’incremento portato dal peso dell’eccedenza
di giornate effettive registrate nei ricoveri di pazienti transitati da e verso l’area intensiva (letti
“intermedi”) rispetto alla degenza “ottimale”
attribuita dallo studio.
Oltre a prevedere uno spostamento degli
attuali e più bassi tassi di occupazione dei
letti chirurgici dell’area di media intensità
verso lo standard del 75%, si è tenuto conto
dei ricoveri con DRG medico attualmente
trattati in reparti chirurgici e viceversa, ipotizzando, rispetto ai valori prodotti da una distribuzione “rigida” della casistica per aree,
un riequilibrio dei ricoveri fra letti medici e
chirurgici.
Si è poi previsto un potenziamento della
funzione di filtro del pronto soccorso, sia
nell’ottica di una riconduzione degli indici di
occupazione delle Medicine (attualmente anche superiori al 100%) verso valori più appropriati che nell’obiettivo di una possibile
riduzione di ricoveri anche all’interno dell’area chirurgica.
Il dimensionamento (n. posti letto per area)
degli ospedali organizzati per livelli di intensità
delle cure è rappresentato nella tab. 9.
Ad essa devono essere aggiunti i seguenti
posti letto di “pertinenza territoriale”:
Campostaggia: 4 hospice - 12 ospedale comunità;
Nottola: 4 hospice - 12 ospedale comunità;
Amiata: 2 hospice.
Il gruppo di lavoro ha rinviato a successiva
analisi le attività afferenti all’area materno-infantile sia in considerazione della specificità
dell’area che della costituzione del dipartimento materno-infantile di Area Vasta che dovrà
procedere alla definizione di specifiche linee
di indirizzo.
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Tab. 9 - Dimensionamento (p.l. per area) degli ospedali della Asl 7 organizzati per livelli di intensità delle
cure
OS 1/2009
4.4 L’assistenza infermieristica nei presidi ospedalieri organizzati per intensità di cura e di assistenza
L’ultimo decennio per la professione infermieristica è stato un periodo di profonde trasformazioni e conquiste. Alla progressione normativa attraverso la quale sono state affermate
la “giuridicizzazione” del processo di nursing,
il pieno riconoscimento della professione quale sanitaria, l’attribuzione all’infermiere della
diretta responsabilità e gestione delle attività di
assistenza infermieristica e delle connesse funzioni con piena autonomia professionale ed al
mandato di ricercare “modelli di assistenza
personalizzata”, anche attraverso l’adozione di
modelli organizzativi sperimentali deve fare riscontro una concreta realizzazione dell’evoluzione infermieristica nella pratica quotidiana.
Da sempre l’assistenza infermieristica ricerca, quali valori assoluti della professione, l’umanizzazione, la centralità dell’utente, il benessere percepito, la completezza delle cure e
la correttezza nell’uso delle risorse.
Il profilo professionale dell’infermiere mantiene e amplia le funzioni di assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, di natura tecnica, relazionale ed educativa, individuando come principali funzioni
la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei
malati, dei disabili e l’educazione sanitaria,
connotando l’infermieristica come disciplina
distintiva. L’assistenza infermieristica è al servizio dell’individuo e della collettività, la responsabilità consiste nel prendersi cura della persona, nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo.
La trasformazione delle attività del presidio
ospedaliero per livelli di intensità introduce ulteriori elementi qualificanti per gli infermieri
quali la valorizzazione della funzione clinica e
gestionale e l’opportunità di una progressiva
crescita professionale rintracciabile nelle funzioni assistenziali trasversali.
L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA NELL’AZIENDA USL 7 DI
SIENA
Nell’anno 2008 l’Azienda usl 7 ha deliberato il nuovo regolamento area nursing che ridisegna le competenze infermieristiche secondo
la progressione normativa e professionale degli
infermieri. In tale senso individua le seguenti
figure professionali e di supporto:
Infermiere dirigente - assume funzione di leader gestionale e professionale; concorre alla
definizione ed al raggiungimento degli obiettivi
strategici aziendali; contribuisce, congiuntamente alla figure di coordinamento, alla gestione dei processi organizzativi del sistema assistenziale.
Ad esso spetta la negoziazione e l’allocazione delle risorse destinate all’assistenza, l’attivazione di sistemi di monitoraggio dei processi e dei risultati, il sostegno del gruppo professionale, delle motivazioni, dei talenti, il supporto dello sviluppo professionale degli operatori, la progettazione, realizzazione e valutazione di interventi formativi. Ad esso spetta
inoltre il presidio del clima organizzativo e
l’attivazione delle iniziative per motivare gli infermieri.
Infermiere coordinatore - l’infermiere coordinatore presidia l’appropriatezza organizzativa,
ovvero la migliore utilizzazione delle risorse rispetto agli obiettivi da perseguire e ai livelli di
interdipendenza esistenti; crea le condizioni
per una efficace ed efficiente presa in carico
dei pazienti.
L’infermiere coordinatore, in funzione del
suo curriculum formativo, assicura inoltre la
gestione degli strumenti economici (es. budget), dei processi di informazione e documentazione, la progettazione e la gestione di progetti di ricerca.
Crea le condizioni e coordina lo sviluppo,
l’implementazione e la verifica di tutte le fasi
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
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del processo infermieristico, valutandone la
coerenza con il modello assistenziale e organizzativo.
Laddove è previsto un modello per intensità
assistenziale l’“Area di intensità assistenziale”
rappresenta il livello ottimale per le principali
funzioni gestionali.
Infermiere specialista - sempre più spesso, nell’ambito dei sistemi sanitari, si assiste ad un
notevole incremento della complessità delle
cure, con un continuo proliferare di frammentazioni dei molteplici apporti specialistici. La
necessità di assicurare la continuità delle cure,
la loro appropriatezza e tempestività, anche
con contributi provenienti da professionalità e
discipline molto diverse fra loro, orientano verso l’introduzione della figura dell’infermiere
case manager. Lo sviluppo scientifico e tecnologico e la necessità di introdurre specifici modelli assistenziali, richiedono la presenza di
competenze specialistiche acquisite con percorsi formativi post laurea.
L’attività peculiare dell’infermiere specialista (expertise) è identificata nella capacità di
contribuire attivamente allo sviluppo, implementazione e verifica di tutte le fasi dei processi infermieristici ad alta specializzazione sia attraverso interventi tecnici codificati che di problem-solving.
Al fine di implementare il processo di integrazione professionale, è prevista, inoltre, l’istituzione di infermieri esperti all’interno delle
strutture organizzative con competenze specifiche attivabili sotto forma di consulenza. Il risultato atteso è il miglioramento qualitativo
delle modalità di erogazione dell’assistenza e
una maggiore uniformità di comportamenti a
favore dell’utenza.
Gli interventi dell’infermiere specialista sono finalizzati alla produzione di risultati efficaci e coerenti con i bisogni/problemi della persona, della famiglia e/o della comunità, in linea con le indicazioni infermieristiche nazionali e il D.P.R. 739/94.
Infermiere - è titolare dei processi assistenziali,
per i quali vede valorizzata la propria autonomia e responsabilità mediante la diretta presa
in carico dell’utente. Spetta all’infermiere contribuire all’organizzazione dell’assistenza e
collaborare con il coordinatore nel dimensionamento del team sulla base dell’intensità assistenziale. L’infermiere deve gestire il tempo per
i briefing con gli altri professionisti della salute,
organizzare la dimissione pianificata di un paziente e garantire la continuità assistenziale tra
un contesto e l’altro nonché il mantenimento
della presa in carico durante tutto il percorso
assistenziale.
L’infermiere è responsabile dell’assistenza
generale infermieristica, il suo ambito di competenza ed autonomia fa riferimento a tre criteri guida che sono il profilo professionale, il codice deontologico ed il curriculum formativo,
riferimenti dai quali trae continua ispirazione.
L’infermiere si avvale per l’espletamento
delle proprie funzioni di personale di supporto
(OSS e OSSFC) con il quale deve saper collaborare fornendo indicazioni sia di natura professionale che organizzativa.
Operatore Socio Sanitario (OSS) - (OSS con
formazione complementare) - l’operatore di
supporto svolge la sua attività su indicazione
degli infermieri, i quali rimangono garanti verso il paziente preso in carico; tuttavia non può
e non deve essere considerato mero esecutore
di ordini ma titolare degli spazi di autonomia
previsti dal proprio profilo, che contribuiscono
al raggiungimento dei risultati.
Nell’ambito della riprogettazione delle attività assistenziali appare necessario tendere alla
valorizzazione degli operatori di supporto mediante la presenza nelle varie aree di un clima
non verticistico ma di responsabilizzazione,
partecipazione e collaborazione in relazione al
raggiungimento di obiettivi comuni. (12)
Individua inoltre i seguenti elementi come
qualificanti il percorso assistenziale:
la presa in carico del paziente e la personalizzazione dell’assistenza - la chiave di volta
per la personalizzazione dell’assistenza risiede
nella conoscenza del paziente attraverso la
quale è possibile applicare le migliori decisioni, adattandole di volta in volta. Permette anche di mantenere fede all’impegno di considerare quel paziente come unico. Per conoscere
il paziente sono rilevanti l’esperienza dell’infermiere, il tempo a disposizione e la costruzione di una vicinanza. Gli infermieri conoscono il paziente quando riescono a comprendere le sue abitudini, le sue risorse di adattamento, le sue capacità fisiche ed emotive. La
conoscenza del paziente è rilevante per il ragionamento clinico e l’assunzione delle decisioni. Personalizzare non è applicare il piano
di nursing a tutti i pazienti; significa applicarlo
ad alcuni ma con un contenuto di elevata discrezionalità. Personalizzare significa decidere
sui pazienti in base alle loro preferenze, valori,
esigenze all’interno di quanto definito dalle
evidenze scientifiche.
L’applicazione di metodologie di lavoro
quali il processo di nursing e piani di assistenza individuali facilitano quanto appena detto;
i meccanismi operativi - l’assistenza personalizzata comporta il cambiamento della presa
in carico del paziente, che può essere favorita
dall’introduzione di modelli di erogazione dell’assistenza personalizzati, quali ad esempio il
primary nursing ed il team nursing. I casi sono
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26
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assegnati all’infermiere referente in base alla
sua competenza clinica e/o di pianificazione.
Gli altri infermieri svolgono il ruolo di “associati”; erogano pertanto prestazioni secondo
programma e garantiscono la continuità assistenziale in assenza dell’infermiere referente.
Affinché l’infermiere possa compiere tale ruolo
e concentrarsi sull’assistenza avanzata è necessario l’inserimento e la rivalutazione degli operatori socio sanitari, a cui trasferire parte delle
attività.
È necessario curare con attenzione i principali meccanismi di coordinamento interprofessionale; questo comporta la necessità di una
forte standardizzazione degli strumenti informativi e delle modalità organizzative ed una
stretta programmazione dei tempi.
In ospedale la riorganizzazione del giro medico nelle aree prevede briefing giornalieri a livello di setting i quali, oltre a favorire una migliore comunicazione ed un miglior clima tra
gli operatori, snelliscono il carico di coordinamento associato al giro medico, limitando la
necessità della presenza contemporanea di più
figure professionali ai casi selezionati come
più complessi. È infine importante definire a livello operativo come dovrà avvenire l’integrazione e il coordinamento tra la figura dell’infermiere referente (processo assistenziale) e la
figura del medico che ha in carico il paziente
sotto il profilo diagnostico terapeutico (processo clinico).
Nel territorio il briefing giornaliero è rappresentato dalla verifica a tempi prestabiliti
dell’aderenza al piano di intervento definito
dall’unità di valutazione multidimensionale e
dei risultati clinico-assistenziali ottenuti;
il percorso terapeutico assistenziale - un altro strumento ritenuto necessario per la standardizzazione dei meccanismi operativi è rappresentato dall’implementazione dei percorsi
diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA). Esso concorre alla rappresentazione di piani di
cura ed assistenza interdisciplinari e interprofessionali volti a definire l’iter per rispondere
ai problemi di salute dei pazienti, rappresentando la migliore sequenza temporale e spaziale possibile delle attività da svolgere per risolvere i problemi di salute della persona. Una
volta definito, il processo migliora la compliance degli operatori che lo attuano favorendo l’inserimento di nuovo personale, uniformando i comportamenti e consentendo continue misurazioni in termini di efficienza, efficacia ed appropriatezza.
Può essere definito come il risultato degli
adattamenti della linee guida e delle raccomandazioni evidence based alle situazioni locali, con le loro specifiche caratteristiche organizzative e gestionali. Ha lo scopo di eliminare
il più possibile i ritardi, gli sprechi, limitare le
variazioni necessarie nei trattamenti, assicurare
la continuità ed il coordinamento dell’assistenza, ridurre al minimo i rischi per il paziente e
migliorare gli esiti.
Il paziente stesso, grazie ad un’accurata comunicazione, sarà maggiormente coinvolto nel
processo di cura che lo vede protagonista;
il rapporto con i care giver - perché l’utente
si senta partecipe e soggetto di tale cambiamento è necessario, in fase di progettazione,
individuare strumenti di coinvolgimento che
vadano nel duplice senso della partecipazione
attiva e della comunicazione. Il modello assistenziale deve prevedere un’attenta gestione
della fase della dimissione, soprattutto per i casi clinici più complessi. In questo passaggio è
necessario, infatti, già a livello ospedaliero,
preparare adeguatamente il paziente ed i familiari ad una gestione adeguata ed efficace della
malattia una volta tornati a casa e condividere
le informazioni e l’educazione alla famiglia
con il personale infermieristico delle cure domiciliari. I risultati assistenziali ottenuti in
ospedale, opportunamente documentati, potranno rappresentare una fonte preziosa di
informazioni per la pianificazione dell’assistenza a domicilio.
Relativamente ai presidi ospedalieri l’organizzazione dell’assistenza, in sintonia con
quanto definito dal regolamento di organizzazione aziendale è così concepita.
Il direttore dell’U.O./F. infermieristica ospedaliera di zona svolge funzioni di tipo professionale e gestionale; funzionalmente dipende
dal direttore di presidio e come tale rientra nell’organizzazione funzionale della zona/distretto; sotto il profilo professionale dipende dal dirigente delle professioni infermieristiche ed
ostetriche.
Nella Zona Amiata, il direttore dell’U.O./F
assistenza infermieristica ospedaliera svolge
anche il ruolo di coordinatore infermieristico
di zona in dipendenza funzionale dal direttore
di zona/distretto.
Nelle Zone Val di Chiana e Val d’Elsa si
prevede una sezione di assistenza ostetrica
con funzioni di tipo professionale e gestionale.
Il responsabile della sezione, funzionalmente
dipende dal direttore dell’U.O./F. assistenza
infermieristica ospedaliera e sotto il profilo
professionale dal direttore U.O. assistenza
ostetrica.
Il direttore dell’U.O./F. assistenza infermieristica ospedaliera assicura il coordinamento
dell’attività dei responsabili delle U.F. assistenza di area in accordo con le disposizioni del
direttore di presidio ospedaliero, provvede all’equilibrata distribuzione del personale di assistenza fra le diverse aree, attraverso la gestione
di un apposito budget. Svolge inoltre le funzioni proprie delle strutture organizzative profes-
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
27
sionali secondo quanto previsto dal regolamento aziendale e dalle normative nazionali e
regionali in vigore;
integrazione e raccordo del processo clinico-assistenziale - nelle varie articolazioni organizzative ospedaliere e territoriali, gli utenti sono presi in carico, per le attività di diagnosi e
cura (processo clinico) dalle specialistiche mediche e per le attività assistenziali (processo assistenziale) dall’infermiere. Al fine di ottenere
un risultato complessivo, in termini di salute, è
necessaria una integrazione ed un raccordo tra
i due processi.
L’integrazione è ottenibile mediante l’introduzione di strumenti che favoriscono la standardizzazione dei meccanismi operativi (percorsi clinico-assistenziali e meccanismi di
coordinamento interprofessionale), mentre, il
raccordo, sarà garantito dalle macro strutture
ospedaliere e territoriali (direzione di presidio
e distretto).
In ogni struttura ospedaliera è individuata
una U.F. assistenza infermieristica di area per
ogni area d’intensità, funzioni comuni e materno infantile (da valutare anche l’ulteriore suddivisione medico/chirurgica della media intensità). Per ogni U.F. è nominato un responsabile
e per ciascuna area è possibile prevedere dei
moduli organizzativi.
I pazienti, per le attività assistenziali, sono
presi in carico dall’unità funzionale di assistenza che fa capo al responsabile infermieristico
di area che governa il processo assistenziale attraverso la pianificazione delle attività di sua
competenza, in accordo con i responsabili delle attività cliniche e con la gestione di un apposito budget.
Le U.F. di assistenza ospedaliera dipendono
professionalmente e funzionalmente dal direttore dell’U.O./F. assistenza infermieristica
ospedaliera.
Le funzioni di coordinamento di modulo organizzativo e/o di processo verranno ulteriormente dettagliate in fase applicativa del presente regolamento in sintonia con l’evoluzione
organizzativa delle strutture aziendali, nel rispetto di quanto previsto dal regolamento
aziendale.
La figura 1 schematizza, con riferimento all’area nursing della Asl 7, il processo di budget
del presidio ospedaliero.
4.5 La rilevazione dell’indice di complessità assistenziale presso il P.O. Alta Val d’Elsa
Il P.O. Alta Val d’Elsa inizia la sua attività
nell’anno 2000 ed è frutto della riorganizzazione della rete ospedaliera della Provincia di
Siena; deriva dall’accorpamento dei presidi
ospedalieri di Colle Val d’Elsa, Poggibonsi e
San Gimignano.
Oltre alle preesistenti U.O. medicina e chirurgia generale, pronto soccorso, ostetricia e
ginecologia, laboratorio e diagnostica per immagini vennero istituite le nuove unità operative di rianimazione e cardiologia, compresi 4
letti di UTIC. I posti letto di degenza ordinaria
sono attualmente 164 che vanno sommati ai
22 letti a ciclo diurno (molti dei quali inseriti
all’interno della degenza ordinaria). Sono presenti inoltre 4 letti di osservazione breve presso il pronto soccorso, 5 letti di degenza per
l’attività libero-professionale intramuraria e 14
letti tecnici di dialisi per un totale di 209 posti
letto.
Fig. 1 - Area Nursing Asl 7 (processo di budget presidio ospedaliero)
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La popolazione di riferimento ammonta a
circa 60.000 unità; la collocazione strategica
del presidio rende facile l’accesso per i comuni
limitrofi e alcune attività di eccellenza costituiscono attrazione a livello nazionale.
La definizione della complessità assistenziale nell’organizzazione per intensità di cure e di
assistenza assume una doppia valenza; è utile,
sia al fine di “stratificare” il paziente al momento dell’ingresso in ospedale e definire,
congiuntamente al grado di stabilità/instabilità
clinica quale sia il livello di degenza più appropriato, sia al fine di definire l’impegno assistenziale che un dato setting richiede non solo
come carico di lavoro ma anche come complessità delle prestazioni assistenziali che devono essere garantite.
In previsione della definizione delle risorse
umane da assegnare ai diversi livelli di intensità nell’anno 2007 il personale infermieristico
di tutte le U.O. di degenza del P.O. Alta Val
d’Elsa ha rilevato quotidianamente e sistematicamente la complessità dei pazienti ricoverati
utilizzando una scheda paziente, con validità
settimanale, appositamente creata per lo studio
ed attribuendo per ciascun paziente e per ciascuna prestazione un valore da 1 a 5 in base al
livello di dipendenza riferito al bisogno specifico secondo il metodo ICA già presentato al
punto 3.
La scheda individuale ha reso possibile determinare quotidianamente l’ICA per ciascun
paziente nonché monitorare i risultati in relazione agli obiettivi definiti dal piano di assistenza, laddove esistente, redatto all’accoglienza del paziente nell’unità di degenza.
Per uniformare la determinazione del livello
di dipendenza si è reso necessario “mappare”
le attività (azioni) rispetto alle finalità (complessità) e consegnare ad ogni unità di degenza
apposite tabelle riferite alle undici prestazioni.
La struttura di ciascuna tabella presenta due
fondamentali unità:
- la prestazione, che a sua volta definisce
delle azioni e degli atti infermieristici;
- le finalità assistenziali (elenco numerato)
che a loro volta definiscono la complessità della prestazione erogata.
L’attività più lieve è rappresentata da indirizzare (valore 1), la più complessa è rappresentata dalla sostituire valore 5, la quale comprende
tutte le altre finalità.
La tabella 10, sulla base della rilevazione
ICA ponderato - relativo al P.O. Alta Val d’Elsa
(2008) - presenta la media ponderata relativa al
complesso delle unità di degenza esaminate e i
relativi scarti.
L’analisi dei risultati mostra che nessuna
delle unità operative di degenza prese in esame presenta complessità “moderata” o “assente”. Sei unità operative presentano una com-
plessità “grave”, due “lieve” ed una “critica”.
Le U.O. chirurgia, cardiologia, ostetricia e
ginecologia pur mostrando una complessità
“grave“ presentano valori medi prossimi a
complessità “moderata”, la U.O. medicina mostra una complessità “grave” con valori prossimi a “critica”.
L’analisi degli scarti consente di affermare
che, a parità di degenti e di area di intensità di
probabile assegnazione, la specialità di medicina interna presenta una maggiore complessità assistenziale e presumibilmente un maggior carico di lavoro.
La lettura dei valori raggruppati per area di
intensità conferma la necessità di assistenza
elevata in aree destinate all’alta intensità, mentre sembra ridurre la complessità assistenziale
nell’area destinata alla media intensità medica
(in entrambe occorre considerare che i valori
relativi alla U.O. cardiologia comprendono anche i pazienti ricoverati in UTIC che affluiranno nell’area ad alta intensità e ove affluiranno
anche alcuni pazienti oggi impropriamente ricoverati in medicina). Rimane pressoché invariata l’area a media intensità chirurgica. Da rivalutare la complessità assistenziale stimata
nell’area materno infantile in quanto per la
U.O. “moderata” neonatologia, l’ICA probabilmente non rappresenta un indice esaustivo. La
stessa unità operativa ha in corso la partecipazione ad uno studio multicentrico con uno
strumento di rilevazione della complessità più
appropriato.
L’analisi delle singole schede suggerisce
inoltre alcune osservazioni:
- gli unici dati supportati da piani di assistenza formalizzati sono quelli relativi alle
U.O. di medicina e cardiologia. Ciò attribuisce
maggiore affidabilità ai valori attribuiti;
- per quanto detto potrebbero essere utili alcune rilevazioni a campione finalizzate ad accertare la conferma del livello di complessità
assistenziale rilevato;
- il metodo ICA favorisce l’introduzione dei
piani di assistenza, strumento indispensabile
per la personalizzazione. È necessario integrare i due strumenti in modo da ottenere l’ICA
dalle rilevazioni effettuate nella raccolta dati
per la stesura del piano assistenziale ed utiliz-
Tab. 10 - Media ponderata ICA relativa al complesso delle unità di degenza esaminate e relativi scarti
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
29
zare l’ICA per il monitoraggio dei risultati relativi agli obiettivi definiti.
Una volta reso più affinato il sistema di rilevazione, l’analisi dei risultati ottenuti fornirà
spunti di riflessione circa l’equa distribuzione
delle risorse di personale.
4.6 La dotazione organica attuale delle U.O. di
degenza presso il P.O. Alta Val d’Elsa
La dotazione organica delle U.O. di degenza risale all’anno dell’apertura del monoblocco
di Campostaggia. Successivamente sono state
apportate modifiche in relazione alla presenza
sul mercato di nuove figure assistenziali (OSS)
e alla realizzazione di nuovi processi assistenziali definiti durante le negoziazioni di budget.
Il modello professionale di riferimento prevalente nel presidio è il modello delle prestazioni infermieristiche già descritto nei precedenti capitoli anche se una minoranza delle
U.O. adotta in modo più o meno strutturato il
modello di Virginia Handerson. Il modello di
erogazione dell’assistenza è principalmente riconducibile al nursing funzionale con alcune
eccezioni. La U.O. medicina generale offre un
modello assistenziale per piccole équipes con
alcuni tentativi di sperimentazione del modello
nursing primario. Altre U.O. di degenza stanno
sperimentando esperienze più o meno strutturate di lavoro per presa in carico personalizzata (limitata alla durata del turno di lavoro). Allo
stato attuale la presa in carico infermieristica è
affidata all’infermiere di turno e l’infermiere
coordinatore rappresenta il “garante” dei risultati assistenziali. Di norma le U.O. adottano
piani di lavoro strutturati, solo alcune predispongono piani di assistenza individualizzati.
Relativamente alla documentazione infermieristica lo strumento prevalente in uso è la cartella infermieristica, realizzata secondo specifiche
necessità delle singole U.O. mentre sono in atto tentativi di uso della cartella integrata. Si segnalano, inoltre, significative esperienze relative a materiale informativo da consegnare agli
utenti (redatto da personale infermieristico) e
percorsi di educazione e tutoraggio rivolti sia
agli utenti che al personale.
A ciascuna unità operativa è attribuita una
dotazione comprensiva dell’organico di base e
dell’organico integrativo per far fronte alle assenze del personale (sia contrattuali che contingenti). Ogni U.O. ha un infermiere coordinatore che gestisce in autonomia il turno di
servizio secondo linee di indirizzo condivise
con la direzione infermieristica.
Dal mese di marzo 2008 le U.O. ortopedia
e chirurgia generale condividono le risorse infermieristiche e di personale di supporto quale
primo passo verso la costituzione dell’area a
media intensità chirurgica.
La U.O. assistenza infermieristica ospeda-
liera della Zona Val d’Elsa dispone di 8 risorse
infermieristiche per la sostituzione di assenze
dovute a gravidanza e/o maternità e di 7 risorse infermieristiche per l’integrazione oraria dei
part-time. Solo in casi eccezionali la U.O. assistenza infermieristica ospedaliera assicura la
sostituzione di personale assente nelle singole
unità.
La dotazione organica complessiva del presidio e delle singole U.O. di degenza, aggiornate a dicembre 2008 sono riportate nella tabella 11.
Il rapporto attuale infermieri vs pazienti e
l’attuale quota di personale di assistenza riservata a ciascun paziente sono descritte nelle tabelle 12 e 13.
5. Stima del fabbisogno infermieristico delle
aree di degenza del P.O. Alta Val d’Elsa organizzate secondo il criterio per intensità di cure e di assistenza e sua correlazione con l’ICA
Il P.O. Alta Val d’Elsa è, come già detto, destinato, come tutta la rete ospedaliera regionale, a trasformare l’attività secondo il principio
dell’intensità di cure. Relativamente al personale infermieristico e di supporto, in previsione
della trasformazione, tenuto conto di quanto riportato al punto 4.3 circa le revisione della casistica storica ed il nuovo assetto dei posti letto
del presidio si è provveduto alla stima degli
standard di dotazione organica del personale
di assistenza.
Prima di procedere alla stima è opportuno
inserire alcune riflessioni utili a prefigurare lo
scenario assistenziale nel quale il personale di
assistenza si troverà ad operare applicando il
nuovo modello organizzativo ospedaliero.
Relativamente al modello scientifico assistenziale di riferimento la prevalenza dell’utilizzo e la presenza di studi ed approfondimenti
pregressi suggeriscono l’implementazione in
tutto il presidio ospedaliero del modello delle
prestazioni infermieristiche. In previsione della
riorganizzazione del presidio per intensità di
cure è auspicabile il passaggio ad un modello
di erogazione dell’assistenza per presa in carico con un infermiere referente, responsabile
dell’intero processo assistenziale. Ciò presuppone attività preparatorie che possono essere
così riassunte:
- formazione/informazione circa il nuovo
modello da adottare;
- revisione dei principali meccanismi di lavoro; in particolare quelli che vedono coinvolti
più professionisti (es. visita medica);
- adeguamento delle dotazioni organiche;
- revisione degli spazi di lavoro;
- analisi circa la necessità di eventuali nuove modalità di articolazione dei turni;
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
30
OS 1/2009
5.1 Introduzione
Il nuovo modello organizzativo degli ospedali richiede l’adozione
del principio del case
management, l’introduzione di modelli di lavoro multidisciplinari e
presuppone la creazione e lo sviluppo di ruoli professionali coerenti
con il nuovo sistema. Il
Tab. 11 - Dotazioni organiche personale di assistenza P.O. Val d’Elsa (dicembre 2008)
- inserimento del
personale di supporto;
- revisione dei processi informativi interni
alle singole aree di degenza;
- analisi delle funzioni amministrative assicurate dagli infermieri
coordinatori delle singole U.O. e valutazione circa l’opportunità
di prevedere adeguati
supporti.
È inoltre da considerare l’opportunità di
formare e definire il
ruolo degli infermieri
esperti con funzioni
specialistiche sia all’interno delle singole aree
che trasversalmente all’interno del presidio
ospedaliero.
Relativamente alla
documentazione clinica si avverte in modo
impellente la necessità
di integrazione ed
informatizzazione.
Questo processo deve
costituire l’occasione
per standardizzare la
documentazione delle
attività infermieristiche
comuni, definire i principali clinical pathways
ed attraverso la documentazione monitorarne la progressione, rendere la raccolta dati
funzionale agli indicatori da monitorare, rendere lo strumento informatizzato di supporto
alla pianificazione, gestione e valutazione
dell’assistenza.
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
31
Tab. 12 - Rapporto infermieri/pazienti (P.O. Alta Val d’Elsa - dicembre 2008)
Tab. 13 - Quote personale di assistenza per paziente (P.O. Alta Val d’Elsa - dicembre 2008)
processo clinico tradizionalmente affidato al
medico resta di sua competenza; gli infermieri
si appropriano invece (anche grazie all’evoluzione normativa e formativa) di competenze
autonome e relativa responsabilità circa i processi assistenziali. Ogni area deve poter offrire
all’utente una intensità di assistenza consona
ai suoi bisogni ed al suo stato di malattia. Ogni
utente, al momento dell’ingresso in ospedale
deve essere assegnato all’area assistenziale più
vicina alle sue necessità. Da queste ultime affermazioni emergono due inderogabili necessità:
- individuare le aree di intensità e calibrare,
per ciascuna di esse, un’offerta assistenziale
adeguata al livello di intensità/complessità da
garantire;
- individuare i criteri di assegnazione dell’utente all’area di intensità adeguata e definire il
peso del fattore intensità/complessità assistenziale sul complesso dei criteri di attribuzione.
Lo studio intende fornire standard e metodo
di calcolo relativo alla dotazione organica, intesa come rapporto infermiere/paziente e viceversa e complessità, intesa come comparazione tra le finalità che l’infermiere ricerca attraverso le prestazioni infermieristiche con la
condizione dell’individuo rispetto al soddisfacimento dei bisogni.
Nello studio californiano finalizzato a definire i rapporti infermiere/paziente i parametri
utilizzati per definire la gravità dei pazienti da
assistere è stata valorizzata attraverso l’elaborazione di dati provenienti dai DRG.
Come ampiamente descritto nel punto 4.5,
nell’anno 2007 i pazienti ricoverati presso il
P.O. di Campostaggia sono stati stratificati in
base alla complessità assistenziale quotidianamente presentata ed i valori ottenuti sono stati
raggruppati per U.O. ottenendo la relativa
complessità assistenziale.
Qui si vuole proporre uno studio finalizzato
alla valutazione della congruenza tra complessità assistenziale e dotazione organica attuale e
futura.
5.2 Materiali e metodi
Le unità di degenza prese in considerazione
sono quelle che presso il P.O. Alta Val d’Elsa
interessano le seguenti aree:
- alta intensità (suddiviso in area intensiva e
subintensiva): ex rianimazione ed ex UTIC;
- media intensità medica: ex medicina generale ed ex cardiologia;
- media intensità chirurgica: ex chirurgia generale, ex ortopedia, ex ginecologia;
- materno infantile: ex ostetricia, ex neonatologia, ex nido, ex pediatria.
Le dotazioni di personale sono state definite
applicando il calcolo matematico descritto nel
nurse-to-patient ratio e qui riproposto per comodità del lettore:
nI = ((I/p x tO x pl x 4) x (1 + A))
Legenda
nI è il numero di operatori (Infermieri - OSS) tempo
pieno da assegnare. In questo studio il numero si riferisce indistintamente ad infermieri ed OSS. La successiva analisi del case mix e delle prestazioni prevalenti fornirà indicazione circa la differenziazione
delle professionalità.
I/p è il rapporto infermiere/paziente suggerito in letteratura. La letteratura di riferimento è quella relativa al paragrafo sul nurse to patient ratio. Il rapporto
utilizzato è il seguente:
area alta intensità = 1:2 (0,50)
area subintensiva = 1:3 (0,33)
area media intensità med. e chir. = 1:5 (0,20)
area materno infantile = 1:4 (0,25)
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tO è il tasso medio annuo di occupazione dei posti
letto di degenza. I valori utilizzati si riferiscono all’occupazione stimata nel paragrafo 4.3. (ipotesi A).
In seconda applicazione (ipotesi B) è stato calcolato
un tasso di occupazione del 100% prevedendo di
assicurare la massima presenza di personale di assistenza al fine garantire la necessaria assistenza anche a seguito di inaspettati picchi di presenza.
Pl è il numero di posti letto di degenza mediamente
disponibili. Il valore utilizzato per il calcolo è quello riportato nella tabella 9.
4 è il numero di infermieri (o altra qualifica) che si
avvicendano in una turnazione di 24 ore al giorno
(considerando turni di 6 ore).
A è la percentuale media di assenze dal servizio. Il
valore utilizzato deriva da dati provenienti dalla
U.O. Gestione del personale Asl 7 = 0,26 pari ad
una stima di 1.480 ore annue effettive per ciascun
dipendente.
Tab. 14 - Quote personale di assistenza per paziente (P.O. Alta Val d’Elsa - dotazione organica futura)
Il mero numero di unità di assistenza destinati a costituire la dotazione organica non può
rappresentare un riferimento univoco in quanto
rappresentativo di diverse variabili (n. posti letto, tasso di occupazione, ecc). Il valore relativo
alla dotazione organica attuale e futura individuato al fine della correlazione con l’indice di
complessità assistenziale è stato definito calcolando le quote di personale di assistenza spettanti a ciascun paziente nelle 24 ore. Tale valore è stato ottenuto verificando il rapporto pazienti vs infermieri applicando la seguente formula inversa:
I/p = 1/ ((nI/(1+A) x (1/(tO x pl x 4))
Il risultato derivante dal rapporto unità di assistenza/pazienti presenti nelle 24 ore fornisce
la quota di personale di assistenza assegnata a
ciascun paziente nelle 24 ore (tabelle 13 e 14).
I valori indicativi della complessità assistenziale relativi alla dotazione attuale sono rappresentati da quanto emerso dalle rilevazioni
effettuate nell’anno 2007 con le seguenti modifiche (tab. 15):
medicina generale = media aritmetica medicina uomini e medicina donne;
area chirurgica = media aritmetica chirurgia
generale e ortopedia.
I valori indicativi della complessità assistenziale relativi alla dotazione futura sono rappresentati da quanto emerso dalla rilevazioni effettuate nell’anno 2007 con le seguenti modifiche (tab. 16):
area subintensiva = media aritmetica rianimazione e cardiologia + UTIC;
area media intensità medica = media aritmetica medicina uomini e donne e cardiologia
+ UTIC;
area media intensità chirurgica = media
aritmetica chirurgia generale, ortopedia, ostetricia e ginecologia;
area materno infantile = media aritmetica
Tab. 16 - ICA rilevazione 2007 stima per aree di intensità
Tab. 15 - ICA rilevazione 2007
ostetricia e ginecologia, pediatria, nido e neonatologia.
Per calcolare la correlazione tra la quota di
personale di assistenza e l’indice di complessità assistenziale è stato utilizzato il coefficiente di Spearman, misura statistica non parametrica che definisce il grado di relazione tra due
variabili per le quali non si fa altra ipotesi che
non la misura ordinale ma possibilmente continua (13).
5.3 Risultati
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
33
Relativamente alla correlazione sono stati
osservati i seguenti risultati:
correlazione tra quote infermiere per paziente spettanti su dotazione organica futura e
indice di complessità assistenziale stimato per
area: coefficiente di Spearman = 0,527;
correlazione tra quote infermiere per paziente spettanti su dotazione organica attuale
ed occupazione reale e indice di complessità
assistenziale rilevazione attuale: coefficiente di
Spearman = - 0,06;
correlazione tra quote infermiere per paziente spettanti su dotazione organica attuale
ed occupazione potenziale e indice di complessità assistenziale rilevazione attuale: coefficiente di Spearman = 0,143.
5.4 Discussione dei risultati
Il numero attuale delle unità di personale
di assistenza assegnato alle unità operative
che nell’organizzazione futura saranno raggruppate in aree è pari a 129. Le unità complessive per le stesse U.O. di degenza raggruppate in aree sono stimate considerando l’ipotesi A pari a 138 (+ 10 unità = + 7%) per 167
posti letto e considerando l’ipotesi B pari a
176 (+ 47 unità = + 36%) per 150 posti letto.
In relazione alle singole aree possiamo osservare quanto segue:
area alta intensità ed area subintensiva - il
numero attuale delle unità di personale di assistenza assegnato alle unità operative che nell’organizzazione futura saranno raggruppate
nell’area è pari a 20 (12 unità U.O. rianimazione e 8 unità UTIC) per 8 posti letto (4 U.O. rianimazione e 4 UTIC). Le unità complessive per
le stesse U.O. di degenza raggruppate nell’area
di 16 posti letto sono stimate considerando l’ipotesi A ed arrotondando per eccesso pari a 24
(+ 4 unità = + 20%) e considerando l’ipotesi B
pari a 32 (+ 12 unità = + 60%). Il raddoppio
dei posti letto dell’area giustifica ampiamente
l’investimento in risorse umane;
area media intensità medica - il numero attuale delle unità di personale di assistenza assegnato alle unità operative che nell’organizzazione futura saranno raggruppate nell’area è
pari a 48 (41 U.O. medicina generale e 7 U.O.
cardiologia) per 67 posti letto (59 U.O. medicina generale e 8 U.O. cardiologia).
Le unità complessive per le stesse U.O. di
degenza raggruppate nell’area di 60 posti letto
sono stimate considerando l’ipotesi A ed arrotondando per eccesso pari a 51 (+ 3 unità = +
6,25%) e considerando l’ipotesi B pari a 60 (+
12 unità = + 25%). Ad una prima lettura può
sembrare incongruente che a fronte di una diminuzione di posti letto si assista ad un considerevole aumento delle unità di assistenza. Ciò
è da imputare alla variazione del modello assistenziale che dovrà essere assicurato nell’ospedale per intensità di cure e di assistenza. Il passaggio dal nursing funzionale al primary nursing prevede la perdita della standardizzazione
e della ripetitività degli interventi a favore di
un’assistenza dove gli infermieri sono responsabili di casi e la pianificazione gestione e valutazione degli interventi assume una forte personalizzazione a discapito dell’efficienza ma a
vantaggio dell’efficacia;
area media intensità chirurgica - il numero
attuale delle unità di personale di assistenza
assegnato alle unità operative che nell’organizzazione futura saranno raggruppate nell’area è
pari a 31 già tutte assegnate all’area chirurgica
ex ortopedia ed ex chirurgia generale per 46
posti letto (30 U.O. chirurgia generale e 16
U.O. ortopedia). Le unità complessive per le
stesse U.O. di degenza con in aggiunta la specialistica ginecologica raggruppate nell’area di
38 posti letto sono stimate considerando l’ipotesi A ed arrotondando per eccesso pari a 29 (2 unità = - 6,50%) e considerando l’ipotesi B
pari a 38 (+ 7 unità = + 22,5%). Anche in questo caso l’aumento delle unità di assistenza è
imputabile al nuovo modello professionale organizzativo;
area materno infantile - il numero attuale
delle unità di personale di assistenza assegnato
alle unità operative che nell’organizzazione futura saranno raggruppate nell’area è pari a 30
(15 U.O. neonatologia e 15 U.O. ostetricia e
ginecologia) per 46 posti letto (20 U.O. neonatologia e 26 U.O. ostetricia e ginecologia). Le
unità complessive per le stesse U.O. di degenza raggruppate nell’area di 36 posti letto sono
stimate considerando l’ipotesi A ed arrotondando per eccesso pari a 34 (+ 4 unità = +
13%) e considerando l’ipotesi B pari a 45 (+ 15
unità = + 50%). Occorre considerare che il
calcolo della dotazione organica attuale non
conteggia 10 ostetriche che si affiancano in
quota consistente al personale infermieristico e
di supporto nell’assistenza alle degenti della
OS 1/2009
Lorenzo Baragatti, Gabriele Messina, Franco Ceccarelli, Luigi Tonelli, Nicola Nante
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specialistica ostetricia: Includendole nel conteggio della dotazione organica attuale, l’investimento di risorse umane sarebbe limitato a
sole 5 unità (+ 12,5%) della dotazione attuale.
Relativamente alla misura della correlazione esiste una buona correlazione per il punto
1, a Spearman coefficient of 0,6 is described as
very high (14) ma il dato non sembra significativo mentre non c’è correlazione per i punti 2 e
3, addirittura per il punto 2 il dato mostra una
relazione inversa.
Conclusioni
È assai evidente l’investimento in risorse
umane a fronte di una riduzione dei posti letto. La ragione principale, già precedentemente
espressa, risiede nell’applicazione del modello
assistenziale del primary nursing già da anni
in uso negli USA e nel metodo di calcolo, ispirato agli standard imposti dallo Stato della California derivati da una ricerca commissionata
alla California Nurses Association, dall’Institute for Health and Socio-economic Policy (IHSP), finalizzata a definire specifici rapporti di
dotazione organica infermiere/paziente. Occorre evidenziare che i rapporti definiti, secondo lo studio devono essere mantenuti nell’arco delle 24 ore, quando nella realtà quotidiana dei nostri presidi ospedalieri nella fascia
oraria notturna nelle degenze non intensive si
riducono drasticamente le prestazioni di assistenza a favore di una prevalente attività di
sorveglianza. Un ulteriore studio sarà utile al
fine di verificare quanto sopra affermato ed i
risultati, qualora le affermazioni venissero
confermate, potrebbero indurre a rivedere nella fascia oraria notturna i rapporti
infermiere/paziente e di conseguenza il numero di unità di assistenza utili al fine di garantire la dotazione organica necessaria.
Il dato relativo alla inesistente correlazione
tra la dotazione organica attuale e la complessità assistenziale rilevata induce a riflessioni
circa la corretta distribuzione del personale all’interno delle U.O. di degenza del Presidio Alta Val d’Elsa, anche se alcune perplessità emergono relativamente alla corretta rilevazione dei
tassi di occupazione; osservando il valore relativo alla correlazione calcolata sull’occupazione potenziale si nota infatti l’aumento del valore dell’indice di correlazione.
L’esistenza di correlazione tra la stima delle
dotazioni organiche future e la complessità assistenziale prevista per ciascuna area di degenza conferma le necessità di adeguamento delle
risorse del personale dedicato all’assistenza di
assistenza.
Il percorso della riorganizzazione dei presidi ospedalieri per intensità di cura e di assistenza rappresenta una delle sfida del prossimo
decennio finalizzata alla ricerca dell’appropriatezza e coniugata alla qualità delle cure e
dell’assistenza.
Il piano sanitario della Regione Toscana
2008-2010 al paragrafo 5.4.1 recita: “Nel periodo di vigenza del piano, tenuto conto della
complessità e della portata innovativa del progetto, si ritiene di estendere ad ogni azienda
sanitaria la sperimentazione del modello di organizzazione per intensità di cura in modo da
verificarne l’efficacia.
Saranno monitorati e confrontati i risultati
in ospedali con mission e dimensioni differenti. Il periodo di sperimentazione sull’avvio,
l’applicazione e l’adattamento del modello
sarà utilizzato anche per promuovere l’informazione e favorire il dibattito tra esperti, operatori e cittadini sul grado di rispondenza alle
attese, e sulla capacità di coniugare efficienza
ed efficacia, di valorizzare le capacità professionali degli operatori sanitari e sviluppare la
cultura sanitaria”.
La professione infermieristica, che ha vissuto una repentina evoluzione normativa e formativa, attraverso la Federazione Nazionale
IPASVI si interroga sulla necessità di misurare
su basi scientifiche, l’effettivo fabbisogno di
personale infermieristico, reparto per reparto, e
calcolare le necessità assistenziali infermieristiche del Servizio sanitario nazionale (15).
È evidente che siamo ancora lontani dal definire procedure, indicatori e standard; con
questo lavoro si è inteso fornire uno spunto di
riflessione in questa direzione auspicando che
possa rappresentare un contributo al dibattito
istituzionale e professionale.
Bibliografia
OS 1/2009
(1) Asl 7 di Siena - Progetto aziendale di riorganizzazione delle funzioni ospedaliere per livelli di intensità
assistenziale, di cura e durata di degenza - febbraio 2006.
(2) Asl 7 di Siena - Presidi Ospedalieri dell’Ausl 7 organizzati per intensità di cure - Allegato Delibera G.R.
23 ottobre 2008, n. 679.
(3) Piano sanitario della Regione Toscana - Paragrafo 5.4.1 L’ospedale per intensità di cure.
(4) Asl 7 di Siena - Documento dotazione organiche presidi ospedalieri: analisi modalità di definizione del
fabbisogno e comparazione con la dotazione attuale - luglio 2007.
Organizzazione ospedaliera per intensità di cure e di assistenza: …
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(5) Regione Umbria - Delibera G.R. 15 dicembre 2004, n. 1972 - Linee di indirizzo sulla definizione del
fabbisogno della risorsa infermieristica.
(6) www.nursing.it - Le FAQ di Patrizia Mondini - Le dotazioni organiche di personale infermieristico.
(7) Baragatti L., Tonelli L. (2008): Quanti degenti per infermiere, Il Sole-24 Ore Sanità, 8: 29.
(8) Cantarelli M. (1996): Il modello delle prestazioni infermieristiche, Masson, Milano.
(9) Cavaliere B., Snaidero D. (1999): Metodologia per la rilevazione della complessità assistenziale infermieristica: calcolo dell’indice di complessità assistenziale, Management Infermieristico, 1.
(10) CREST (2007): Guideline on the use of physiological early warning systems.
(11) Asl 7 - Regolamento di Organizzazione - Allegato alla Delibera G.R. 21 dicembre 2007, n. 739.
(12) Asl 7 - Regolamento dell’area Nursing - Allegato alla Delibera G.R. 5 giugno 2008, n. 386.
(13) www.wikipedia.org.
(14) McDowell I., Newell C. (1996): Measuring Health: A Guide to Rating Scales and Questionnaires,
Oxford University Press.
(15) www.ipasvi.it - Comunicato stampa del 22 dicembre 2008 Emergenza infermieri: un metodo scientifico
“made in Italy” dirà quanti ne occorrono.
OS 1/2009
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