Periodico di formazione e informazione
della Parrocchia NATALE DEL SIGNORE di Torino
Anno XX - Numero 75 - Giugno 2013
In questo
numero...
DAL TACCUINO DEL PARROCO
Padre e amico
Il Magnificat
l mio articolo del numero di Pasqua “Fratelli e sorelle” terminava
così: “Chiudo con una domanda: È
cosa buona e giusta continuare a fare l’elemosina a coloro che si piazzano ogni giorno
sui gradini della chiesa? (...) Come aiutare
questi poveri fratelli a non accontentarsi
d’essere questuanti a vita e a diventare protagonisti di una vita più dignitosa?”.
Domande che attendono ancora una
risposta. Nessuno si è fatto vivo. Ma,
come comunità, dovremo affrontare efficacemente questo tema di difficile soluzione.
Ora vorrei proporvi una riflessione
che, potremmo dire, sta a monte di
quel “Fratelli e sorelle”. L’ho intitolata,
come avete letto, “Padre e amico”.
Questo titolo mi è stato suggerito dalle
lettere del nostro Arcivescovo, mons.
Cesare Nosiglia, che spesso si è firmato: Vescovo, padre e amico.
Per il termine “padre”, avrei voluto
iniziare con le parole di Gesù: “Non
chiamate “padre” nessuno di voi sulla
terra, perché uno solo è il Padre vostro,
quello celeste“ (Mt 23, 9). Obiezione che
già fecero al card. Pellegrino, che voleva essere chiamato “padre”, piuttosto che “eminenza”. Come regolarci?
Per la definizione di “amico”, mi
viene subito alla mente il proverbio
I
suor Rosanna Gerbino
La Basilica di
San Pietro
Pino Tripodina
La Misericordia
don Sebastiano
Giochiamo a
nascondino?
“Chi trova un amico, trova un tesoro!”, il quale
mette in evidenza una realtà che l’esperienza
stessa della nostra vita ci fa constatare: ciascuno
di noi infatti deve ammettere che i suoi veri amici
si possono contare con le dita di una sola mano.
Come può allora un vescovo essere amico di
tutti? Il nostro Arcivescovo ha allora usato quelle
parole in modo avventato, forse per accattivarsi
la nostra attenzione? Non lo posso pensare.
Papa Francesco
durante l’omelia d’inizio ministero - 19 marzo 2013
Ilaria Godio
Dalla parte dei
piccoli e dei poveri
Lettera
alle famiglie
Beati... loro!
Dalla coppia
una... triade
...e molto
altro ancora
Enrico Occelli
don David
Daniela Zanvercelli
Marida Cardillo
DAL TACCUINO DEL PARROCO
Come non posso pensare che i tanti
gesti compiuti da papa Francesco nei
quali tutti intravediamo bontà paterna
e amicizia vera siano una recita.
Credo che tutti abbiate sentito parlare della “Visita ad limina”, che è l’incontro che i vescovi delle varie
regioni pastorali del mondo hanno,
ogni cinque anni, con il Papa. Ebbene,
un gruppo di vescovi piemontesi,
nove per la precisione, ha vissuto questo incontro lunedì 6 maggio scorso.
Il nostro Arcivescovo lo ha commentato richiamando l’immagine di
Gesù nel Cenacolo:
“Papa Francesco si è comportato con
noi come Gesù con i suoi, in atteggiamento
di pace, di intimità, di piena cordialità.
Come un padre che parla ai suoi figli, dicendo loro parole importanti con semplicità, in un vero clima di famiglia. Fra noi,
in quell’ora abbondante di colloquio, è intercorsa un’amicizia che ci ha persino un
poco spiazzati, quasi cancellando quel sentimento di riverenza che anche noi vescovi
proviamo di fronte al Papa… È stata una
precisa indicazione di stile per noi pastori,
che abbiamo vissuto l’esempio di cordialità,
di vicinanza che ci è stato offerto”.
Una preziosa indicazione anche
per le mie riflessioni.
Con viva sorpresa ho trovato tra le
parole dell’Arcivescovo il binomio
“Padre e amico” che forma il titolo di
questo articolo.
Penso che Gesù non volesse escludere noi dal diritto di attribuirci l’appellativo di “padre”: se cerchiamo di
essere come Lui, non ci è negato né
questo né altro analogo titolo. Dipende tutto da noi! Quanti mi hanno
chiamato “padre”! E quanti “amico”!
Nel rito del Battesimo, al momento
dell’unzione con il crisma, io divento
il “cristo”, cioè l’unto del Signore,
come Gesù Cristo, che è sacerdote, re
e profeta. Divento come Lui e come
Lui vivo quell’ufficio sacerdotale, profetico e regale.
Quanto poi all’amicizia, ci confortano le parole di Gesù che dice: “Non
vi chiamo più servi, (...) ma vi ho chiamati amici!”(Gv 15, 15); e precisa:
“Voi siete miei amici se fate ciò che io vi
comando”.
Vorrei provare ad approfondire
ancora quei due termini – “padre” e
“amico” - che noi usiamo con tanta facilità, un po’ come la parola “amore”,
dando il significato che vogliamo noi.
Proviamo a chiederci chi è “padre”.
Il vocabolario della lingua italiana (Devoto Oli - ed. Le Monnier) afferma che
padre è l’uomo che ha generato, rispetto
alla prole e all’ambito familiare.
Quante volte, nel recitare il “Padre
nostro”, abbiamo pronunciato la parola “padre” e ci siamo soffermati a
pensare che Lui è Padre perché ci ha
generati? È vero che io ho avuto la
vita attraverso mio padre e mia madre,
ma è altrettanto vero che essi in questo
ruolo sono stati collaboratori di Dio,
vera ed unica origine della vita.
Quando eravamo bambini, nelle
piccole liti con i compagni di gioco, di
fronte ad un’ingiustizia o ad una violenza, minacciavamo: “Lo dirò a mio
padre!”, perché pensavamo al nostro
papà come al più forte, all’unico capace di far giustizia! Ma nel “Padre
nostro” chiamiamo “Padre” colui che
nel “Credo” definiamo “Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”,
Colui che ha creato tutto!
E dal Genesi (cap. 1-2), pur ammettendo che la narrazione sia mitica,
emerge comunque chiara l’immagine
di un Dio che ha creato tutto, veramente tutto… la luce, le tenebre, il sole,
la luna e le stelle, il mare, il cielo, la vegetazione, gli uccelli, i pesci, gli animali tutti… e noi! Ha dato la vita a me,
a te, a noi, a tutti! Lui è “mio Padre”,
anzi è “nostro Padre”! E da sempre è
Padre del Figlio, che da sempre è generato: non ha incominciato ad esistere, perché generato dall’eternità.
Nel Credo affermiamo inoltre che
Gesù Cristo è “unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli… generato, non creato, della stessa sostanza
del Padre”. Un Padre fantastico! Chi lo
avrebbe potuto immaginare? E noi lo
possiamo invocare come “Padre nostro”! Quel Padre che il Salmo 23 (22),
al versetto 4, ci descrive come il Pastore che non ci lascia mancare nulla.
Ci difende e ci guida “anche se vado in
una valle oscura non temo alcun male,
perché tu sei con me. Il tuo bastone, il tuo
vincastro mi danno sicurezza”.
Se noi vogliamo sapere qualche
cosa di questo “Padre nostro” ci è sufficiente guardare Gesù, il quale dice
all’apostolo Filippo: “Filippo, chi vede
me, vede il Padre” (Gv 14, 9). In tutto
ciò che dice e fa, Gesù è talmente in
sintonia con il Padre, che ne è una rivelazione continua.
2
Quando mi chiamano “padre”,
quando ti chiamano “papà”, quando
ti chiamano “mamma” (sì, perché
anche la maternità viene dalla paternità generatrice di Dio), quando ci
sentiamo chiamare così, pensiamo che
la nostra “paternità” (o “maternità”),
questa splendida dignità ci viene da
Dio? Pensiamo che essa comporta un
inderogabile dovere: imitare Lui e afferrare con mano sicura il “testimone”
che Lui ci passa e ci affida?
Detto così, il compito sembra impossibile, l’obiettivo inarrivabile. Alla
misericordia divina basterà però che
ognuno s’impegni “onestamente”,
senza cioè drammatizzare i propri limiti e senza nascondere i propri talenti. A sostenerci c’è l’immancabile
“paterno” aiuto di Dio, a stimolarci e
ricaricarci ci sono testimonianze ed
esempi particolarmente significativi:
l’esempio di papa Francesco, che fa il
papà di tutti coloro che incontra,
l’amico che si china su tutti; l’esempio
del vescovo Cesare, che sembra non
avere spazio per sé, ma solo per gli
altri, in un continuo vortice d’impegni
da capogiro. Come un “padre ed un
“amico” il nostro Arcivescovo, al termine di ogni celebrazione, scende tra
la gente a salutarla e si preoccupa dei
più poveri. Nelle sue Lettere ci raccomanda l’attenzione ai malati e agli anziani, l’accoglienza e l’ospitalità ai
poveri, zingari compresi, da avvicinare senza pregiudizi.
Ma in Dio vediamo anche un
“amico”. Ce l’ha detto Gesù (Mt 11,
29): “Imparate da me che sono mite e umile
di cuore…“. Ma avrebbe potuto anche
dire: imparate da me che sono “l’immagine del Dio invisibile, primogenito di
tutta la creazione” (Col 1,15).
Gesù ha proprio il “marchio
d’origine controllata” dell’amore, é
assolutamente autentico. Il suo
amore, proprio perché è l’amore di
Dio Uno e Trino, è un amore che non
ha date di scadenza. Un amore che
non può deteriorarsi, a meno che non
lo vogliamo noi. Vale la pena seguire
Gesù, imitarlo.
“Lo Spirito Santo ci rivela che Dio
è un vero papà!”. L’ha detto il Papa.
Ed è anche un vero amico! Questo
mi permetto di dirvelo io, anche se
conto molto meno del Papa.
don Romolo
EDITORIALE
Nell’editoriale de “il nostro tempo” del 24 marzo u. s., Antonio Sassone scrive:
“Papa Francesco: un ciclone. Negli ai, nei gesti, nelle parole. È il vento nuovo nella Chiesa. E nel mondo. Bontà, fiducia,
speranza, carità. Amore e tenerezza. Sentimenti che sono valori. Esorta a coltivarli. A non avere pudore nel manifestarli. E lo
dimostra di persona... e chiede a tutti di essere custodi del creato...”. È una sintesi efficace per un ritratto abbastanza fedele.
Riteniamo però molto importante, per una personale riflessione, disporre del testo integrale - che qui di seguito riportiamo dell’omelia pronunciata dal Papa nella Messa d’inizio del suo ministero petrino celebrata il 19 marzo scorso.
La Redazione
R
ingrazio il Signore di poter celebrare questa
Santa Messa di inizio del ministero petrino
nella solennità di san Giuseppe, sposo della
Vergine Maria e patrono della Chiesa universale; è una
coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini
con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa
leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che
lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui,
cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di
Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche
qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per
custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solo
noi cristiani: ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero
creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro
della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.
È custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di
coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente; poi,
come genitori si prendono cura dei figli, col tempo anche
i figli diventano custodi dei genitori.
È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco
custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo,
tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di
custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei
fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore si inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli
“Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano
ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo
“custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella
natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che
segni di morte e distruzione accompagnino il cammino di
questo nostro mondo!
Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi
stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! “Custodire” vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che
escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere
paura della bontà; anzi, neanche della tenerezza!
Con affetto saluto i fratelli cardinali e vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli
laici. Ringrazio per la loro presenza i rappresentanti delle
altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della Comunità ebraica e di altre comunità religiose.
Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo
e al Corpo diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che “Giuseppe fece
come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con
sé la sua sposa”. In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos,
custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una
custodia che si estende alla Chiesa, come ha sottolineato il
beato Giovanni Paolo II: “San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il
suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello”.
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende.
Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne al tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria
sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita,
nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della
fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio nel Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di
Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione
a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto,
non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide
[…]: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma
desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è
Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito.
continua a pag. 4
3
Consiglio Pastorale Parrocchiale
Dalla 1^ assemblea del 10.05.2013 del nuovo
Consiglio Pastorale Parrocchiale
Seduti da sinistra
In piedi da sinistra
Antonio Russo
Luca Del Negro
Silvia Varano Gallione
Samuela Pivaro Leoncino
Angela Guzzo Costantino
Stefania Frizzi Castellana
Lorenzo Paviera
Luca Astolfi
Gian Bruno Guasco
Paolo Leoncino
Giorgio Capussotti
Jader Godio
Alberto Gherra
Salvatore Dispenza
Elda Frencia Cartello
Elena Gaibotti
Cristina Bernardi Lanfranco
Elsa Pesce Cutica
Alberto Bughi Peruglia
Filippo Sangiorgio
Eliana Rosano
don Romolo Chiabrando
Giuseppe Sacco
Ilaria Godio
Giuseppe Corvaglia
Lorenza Anfossi
Assenti: Salvatore Bruno - Gregorio Caponio - diacono Benito Cutellè - don David Duò Pia Maria Maccario Del Negro - don Giovanni Paino - Anna Taliano Sacco
segue da pag. 3
Nella seconda lettura, san Paolo parla di Abramo, il
quale “credette, saldo nella speranza, contro ogni speranza”.
Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi, davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza.
Custodire il creato, ogni uomo e ogni donna, con uno
sguardo di tenerezza e amore, è capire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi,
è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi
cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che
portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma
è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per
far risplendere la stella della speranza; custodiamo con
amore ciò che Dio ci ha donato!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto
con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un
uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge
una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al
contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione,
di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore.
Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo
l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore
di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo
ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla
triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle.
Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio
e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare
sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso
sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto,
ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia
per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto
e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio
finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo,
malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san
Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a
voi tutti dico: pregate per me!
Amen!
4
Cronache e appuntamenti
Con gli anziani a Cherasco e Pollenzo
iovedì 18 aprile con anziani e pensionati della
nostra parrocchia abbiamo partecipato al pellegrinaggio
diocesano a Cherasco e Pollenzo.
L’aria tersa del mattino, che preludeva ad una splendida giornata
di sole, ben si sposava con l’entusiasmo dei partecipanti pieni di
gioia per la prospettiva non solo di
vedere posti nuovi, ma anche e soprattutto di trascorrere una bella
giornata in compagnia. Per gli anziani, che purtroppo spesso vivono
in solitudine, l’occasione di trovarsi
con persone nuove con le quali
conversare e confrontarsi è molto
allettante.
Il viaggio, abbastanza breve,
verso Cherasco (prima meta), non
ha smorzato gli entusiasmi, anzi…
La voce che in quella cittadina
si sarebbero potuti gustare ottimi
dolcetti si era sparsa rapidamente
e aveva risvegliato negli animi
un’ulteriore dose di ottimismo
mentre in bocca già si avvertiva
una prematura... acquolina: succede a tutte le età.
G
Poiché però non di “gola” soltanto è fatto l’uomo, raggiunta la
meta, si è dedicato un po’ di tempo
anche alla cultura, visitando nobili
palazzi e chiese storiche.
Tra questi Palazzo Salmatoris
con i suoi magnifici affreschi… Qui
ci attendeva un’esperienza partico-
lare: la mostra di pittura che intendevamo visitare, a causa di un problema elettrico, mancava di
sufficiente illuminazione, per cui i
quadri, anziché ammirarli in piena
luce, li abbiamo soltanto “intravisti”,
avvolti com’erano in una suggestiva
penombra che ha dato un tocco surreale alla visita.
Fortunatamente all’esterno il sole
continuava ad illuminare tutto.
Il santuario di Nostra Signora
del Popolo ha rapito gli sguardi di
tutti con i suoi eleganti stucchi, le sue
statue lignee e la
forma curiosa delle
vetrate. La chiesa di
San Pietro, nella
quale è stata celebrata
la Messa seguita da
tutti con molta partecipazione, ci è sembrata uno scrigno di
vere opere d’arte.
L’ex monastero
dei Padri Somaschi,
riportato all’antico splendore da un accurato lavoro
di restauro, è ora diventato
un hotel di lusso molto
elegante.
Non certo meno interessante è Pollenzo, paesino
che ci sembrava volerci
stringere in un abbraccio
con la sua grande Piazza
della Corte Albertina sulla
quale s’affaccia la bella
Chiesa di San Vittore che
conserva un pregevole coro
ligneo e un soffitto delicato
e prezioso come un pizzo. L’esterno è
un tripudio di statue, pinnacoli, loggette, archi rampanti…
E, più in là, il Castello con le due
torri merlate e le mura che riportano
indietro nel tempo… non ci saremmo
stupiti neanche troppo se ci fossero
venuti incontro dame e cavalieri.
5
S’incontrano invece giovani studenti olandesi diretti alle cantine
del Banco del vino, probabilmente
per seguire una lezione su Barolo,
Dolcetto e Barbaresco. Per gli
amanti del buon bere sono “lezioni
di vita” molto interessanti.
La presenza di studenti non
deve stupire perché a Pollenzo ha
sede l’Università delle scienze gastronomiche dove non s’insegna a
diventare cuochi bensì a conoscere
le varie tecniche dell’agricoltura, i
diversi metodi di produzione di
tutto ciò che riguarda l’alimentazione; e molte altre cose ancora.
È molto interessante ricordare
che, grazie a questa Università, si è
potuto recuperare la zona storica
con la sua preziosa testimonianza
del passato e riportarla ad un
nuovo splendore.
Cherasco e Pollenzo sono solo
alcune delle “perle” che si possono
ammirare nella nostra bellissima
terra; l’importante è sapersi guardare attorno con occhi curiosi e
cuore ancora aperto a nuove emozioni. E non importa se le primavere sono tante; anzi, sarà forse
maggiore la voglia di arricchire la
vita con nuove scoperte, come
hanno dimostrato ampiamente i
nostri compagni di viaggio.
Angela e Maria Antonietta
Cronache e appuntamenti
La Festa della Bibbia
E
ccoci qua pronti per la gara, ma soprattutto
pronti a divertirci.
È domenica 3 marzo e splende un bel sole che
consente ai bambini di giocare all’aperto nei cortili
delle quattro parrocchie (Madonna delle Rose, Maria
Madre della Chiesa, Natale del Signore, Santa Rita) dell’Unità pastorale 17. La Festa della Bibbia si rivela ancora una volta un momento particolarmente adatto
e propizio per fare festa tutti insieme e sentirci tutti
uniti in un “unico corpo” benché appartenenti a distinte e differenti parrocchie.
La squadra del Natale del Signore del secondo
anno del ciclo della Prima Comunione vede schierati: Sofia, Francesca, Alessandra, Marta, Alberto,
Edoardo grande, Edoardo piccolo, Matteo, Luca,
Marco, alcuni genitori e, naturalmente, le catechiste.
Un improvviso attacco di febbre ha costretto
Bruno a dare forfait, dopo aver dedicato tutta una serata a leggere le parabole a fumetti per essere preparatissimo.
Con i nostri bei foulard ci scateniamo correndo e
facendo mille acrobazie, ci misuriamo nello “stendere i panni”, nel “cucinare pesci di carta” e nel “leggere
messaggi microscopici” per rispondere alle tante domande. La squadra dimostra di essere molto preparata sulle parabole del perdono: dal Padre
misericordioso alla Pecorella smarrita, dalla Maddalena
a Zaccheo.
Le squadre del Natale del Signore del primo e del
secondo anno del ciclo della Cresima gareggiano insieme e riescono a destreggiarsi con grande abilità
tra Comandamenti e Beatitudini.
È bellissimo vedere i più grandi aiutare i più piccoli: un bell’esempio di collaborazione senza rivalità e
di sostegno nelle difficoltà presentate dalle domande.
I giochi, tanto avvincenti quanto impegnativi,
non lasciano spazio all’improvvisazione e sottopongono i nostri ragazzi a tensione e concentrazione
molto alte.
Risultato: tutti vincitori in almeno una gara e un
fantastico primo posto per tutte le squadre presenti!
Cos’altro aggiungere? Semplicemente una riflessione. I ragazzi ci hanno ancora una volta insegnato
quanto più della vittoria sia importante la partecipazione, alla quale ciascuno di loro ha dato il suo
contributo facendosi sostegno per il compagno di
gioco, concretizzando la finalità della giornata della
“Festa della Bibbia”: rendere vivo il senso dell’unione.
Grazie, bambini e ragazzi, grazie di cuore per la
gioia che avete dato a tutti noi “vecchietti” lì presenti per sostenervi.
i concorrenti
Roberta & Ilaria
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Cronache e appuntamenti
la competizione
Abbiamo riportato qui alcuni giochi nei quali si sono cimentati e misurati i nostri ragazzi, per testimoniare la serietà del loro impegno e - lo confessiamo - per stimolare negli adulti la curiosità e magari la voglia di verificare se occorra loro rinfrescare la memoria. I ragazzi sarebbero lieti di aiutarli!
7
Per riflettere
Come... una bolla di sapone!
iamo nello scorso mese di febbraio. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale è prossimo alla scadenza e deve
essere rinnovato. Ed ecco che la “macchina elettorale” si mette in moto. Viene formata la canonica Commissione che deve stabilire compiti e scadenze. In essa nasce ben
presto un clima d’impaziente attesa e - perché no? - di speranzoso entusiasmo: “Sicuramente nel nuovo Consiglio ci saranno persone nuove con idee nuove!”.
Poiché il tempo disponibile non è tantissimo, per prima
cosa si procede ad informare i Gruppi parrocchiali, invitandoli a designare ciascuno un proprio rappresentante. Poi ci si
rivolge all’intera comunità
che, secondo le norme diocesane, deve esprimere i
suoi 15 rappresentanti.
Inizia la ricerca dei candidati: vengono esposti manifesti
esplicativi;
al
termine di ogni Messa festiva viene data ampia comunicazione e viene rivolto
un caldo appello ai parrocchiani “di buona volontà”:
“Chi è disponibile a collaborare col parroco?”.
Non si tralascia neanche
qualche argomento di persuasione specifico per i
pigri e gli indolenti: “L’impegno non è poi così gravoso:
sei o sette incontri all’anno,
nei quali il parroco chiede di essere aiutato a discernere ciò che serve
al bene della comunità. Tutto qui!”.
In Commissione siamo tutti convinti che saranno almeno
una trentina le persone che presenteranno la propria candidatura. Tutto viene preparato con cura, dunque... è giusto coltivare ottimismo e rosee aspettative... è giusto, giorno dopo
giorno, dare spazio alla speranza e riempirne, anzi gonfiarne,
l’intero ambiente parrocchiale.
Ma, alla resa dei conti, inopinatamente, tutto si sgonfia,
anzi scoppia come una bolla di sapone, che si riduce ad una
piccola goccia d’acqua saponata!
Si candidano soltanto 11 persone! Sulle prime ci si sente
profondamente delusi; poi, come reazione, ci prende una voglia matta di osannare quegli undici volenterosi: Benvenuti!
Anzi, doppiamente benvenuti! - perché si tratta di esemplari rari
e preziosi che dovremo accogliere con affetto e proteggere da
ogni possibile... rischio d’estinzione.
Ma… la delusione è grande: “Solo undici?”. “Sì, solo undici!”. È chiaro che entreranno direttamente a far parte del
nuovo Consiglio e che non si procederà ad alcuna votazione.
S
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A questo punto permettetemi alcune osservazioni.
Ripensando alla recente visita pastorale del nostro vescovo Cesare che ha definito la comunità come “famiglia
di famiglie”, mi chiedo quanto lungo sarà il cammino che
dovremo fare per diventare davvero come il Vescovo ci
chiede di essere.
Mi chiedo poi anche a che cosa sia dovuto il “fallimento” delle elezioni dei rappresentanti della comunità;
si tratta infatti di fallimento se in una comunità grande
come la nostra solo 11 persone hanno sentito di doversi
impegnare per il bene della collettività parrocchiale.
Non voglio credere che siano molti coloro che vedono la parrocchia come un
“ente di servizio pubblico” che “deve” fornire i sacramenti, che “deve” essere sempre
pronto ad accogliere, che “deve” permettere
a ciascuno di ricevere ciò che gli serve, e che
pensano che “ad impegnarsi debbano essere sempre gli altri”.
Voglio pensare, invece, che forse l’informazione data non sia stata né sufficiente né,
tanto meno, coinvolgente.
E forse, tra le persone che per motivi vari
partecipano soltanto alla Messa festiva, non
molte conoscono le attività che si svolgono
all’interno della parrocchia e il conseguente
impegno profuso in esse da tante persone di
buona volontà. Qui allora sorge spontanea
una domanda: “Serve il Foglio informativo che
puntualmente, ogni mese, viene stampato in
centinaia di copie?”.
Spesso dall’ambone i sacerdoti invitano a partecipare
alle diverse attività con la speranza che “i cuori s’inteneriscano” e nuovi volontari offrano il loro contributo rendendo così possibile il graduale quanto necessario
ricambio generazionale nei vari gruppi; ma immancabilmente gli appelli cadono... nel vuoto. Chi sostituirà mai le
persone da lungo tempo sulla breccia?
A volte sento dire che oggi si è soltanto capaci di pretendere tutto e subito, e che non si sa più dare gratuitamente, neanche in misura minima, né tempo né impegno.
Io non lo credo. Penso però che la speranza, o meglio
l’illusione, che aveva animato i preparativi per il rinnovo
del Consiglio, dissoltasi poi in breve tempo come una
bolla di sapone scoppiata senza nemmeno fare un botto,
aiuti tutti a riflettere e spero che qualcuno si chieda se
onestamente può fare di più.
In una comunità parrocchiale che vuole diventare
“famiglia di famiglie”, c’è posto per tutti.
Maria Vittoria Tripodina
Per riflettere
Ed è davvero da eroi dire al parroco: “Se ti serve, io offro il mio tempo
per aiutarti a costruire il bene della nostra comunità!”. Non facciamoci
confondere dall’immagine classica dell’eroe come colui che compie nella
sua vita un gesto eclatante ed estremo. Oggi il vero coraggio sta nell’essere uomini e donne di fede tutti i giorni, abituati a considerare cosa
normale la difesa delle cose e dei valori che contano, capaci di non pensare solo a se stessi, ma anzi pronti a sporcarsi le mani per gli altri.
Io sono entrato a far parte del Consiglio per richiesta di don Romolo, e vi confesso che, quando me lo ha proposto, ho subito cercato
di quantificare quanto impegno comportasse, quasi fosse un peso da
portare... Ma quando venerdì 10 maggio, alla prima convocazione,
ho conosciuto quegli undici amici, mi sono sentito meschino, perchè
loro mostravano un entusiasmo ed una voglia di fare da cui ho subito
deciso di farmi coinvolgere: da loro posso e voglio imparare. Sono
membri nuovi del Consiglio, ma non sono certo persone nuove all’impegno in parrocchia: questo faciliterà di sicuro il lavoro di questo
neonato CPP, il quale può anche contare su un’altra caratteristica
importante, ovvero la presenza di un buon numero di giovani. Non
dimentichiamo che il CPP ha bisogno di novità e di tradizione, di
membri nuovi e di membri storici, che saranno come i due polmoni
necessari a garantire un respiro pieno e sano a questo... tenero
neonato. Non sarà sempre tutto facile, non sarà una strada sempre in
discesa: non dimentichiamo mai che a volte la fatica, la stanchezza, le
preoccupazioni possono colpire anche gli eroi più navigati.
Mi piace, concludendo, rilevare una suggestiva coincidenza...
numerica: Gesù Cristo trovò, una volta risorto, in altri undici eroi
(escludendo il povero Giuda) la collaborazione sufficiente e necessaria per far nascere la Chiesa. Nostro Signore non ebbe bisogno di
grandi numeri né di professionisti affermati (molti tra gli apostoli
erano semplici pescatori) e nemmeno di fede granitica (Pietro persino
lo rinnegò). A Lui basta il nostro “sì” per fare dei miracoli, come gli
bastarono pochi pani e pochi pesci per sfamare migliaia di persone.
Volete che undici eroi non gli bastino per fare qualche miracolo anche
nella nostra parrocchia?
Luca Astolfi
Undici eroi!
N
o, non sono i componenti di una squadra di calcio imbattibile. Gli undici eroi di cui voglio parlare sono gli undici amici parrocchiani che hanno deciso di candidarsi
per fare parte del nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale ( “CPP”).
In un’epoca in cui purtroppo sembra contare solo la visibilità individuale, in cui lo straordinario e l’eccezionale sembrano essere le sole
cose importanti, io mi trovo a concordare invece con il buon Lucio
Dalla che in una sua canzone sosteneva che “l’impresa eccezionale,
dammi retta, è essere normale”. E concordo anche con Caparezza, un
altro cantante, forse un po’ più conosciuto dai giovani, che sicuramente è più bravo di me con le parole, il quale ha saputo spiegare meglio come si possa definire oggi l’eroe: “Sono un eroe, perché lotto
tutte le ore. Sono un eroe perché combatto per la pensione. Sono un
eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari, dei cravattari”.
Qualcuno potrebbe ritenere eccessiva questa mia enfatica considerazione, visto che la riferiamo a “persone normali” che, senza
tanti clamori, hanno scelto di candidarsi al CPP.
Abbiamo subito sentito commentare in giro: “Peccato, ci sono
solo undici candidati spontanei!”. Altro che peccato, è un vero miracolo! Significa che ci sono ancora persone (non molte, ma ci sono)
capaci di offrire tempo ed energia per aiutare il proprio parroco e la
propria comunità! Quanti sono oggi coloro che farebbero qualcosa
senza richiedere in cambio soldi o almeno un minimo di popolarità?
D’altronde, quale realtà è in difficoltà più della parrocchia, sommersa da emergenze economiche e minata da un crescente spopolamento delle assemblee domenicali?
È davvero un’impresa essere “normali”, essere capaci di raccogliere l’invito dei sacerdoti, i quali per settimane hanno chiesto la
collaborazione di “parrocchiani di buona volontà” per costituire quel
gruppo di collaboratori del parroco che è il CPP.
è
be
lla
!
*
Apriamo gli occhi su notizie
e piccoli fatti che
c’inducono a sperare
*
Q
ue
st
a
B isognerebbe chiedere a suor Rosanna di scrivere qualcosa per noi…”. “Sì, l’ho sentita
anch’io in un convegno. Ti fa riflettere davvero sulla Parola di Dio…”.
Come contattare suor Rosanna? Ed ecco che, avuto da Luca il numero del cellulare, con una grande
faccia tosta, le telefono. “Chi le ha dato il mio numero?”. “Luca Astolfi”. “Chi è?”.
Mi trovo spiazzata, ma subito le preciso che Luca collabora con Pierluigi Dovis, nella Caritas diocesana.
Ce n’è a sufficienza per una... garanzia! Infatti ora la sento più disponibile ad ascoltarmi. Rinfrancata, le
chiedo allora se è possibile avere qualche suo scritto da pubblicare sul nostro giornale parrocchiale; la risposta è tanto immediata quanto scoraggiante: “Io non scrivo mai nulla!”.
Sono ormai demoralizzata e sul punto di abbandonare il progetto, quando del tutto casualmente, in un
incontro con amici, sento parlare di una certa... suor Rosanna. Drizzo le antenne e scopro che una mia
amica la frequenta da tempo tanto che ne ha registrato ben 24 conferenze!
La faccio breve: alla richiesta, inoltrata tramite la mia amica, di pubblicare parte delle registrazioni, suor
Rosanna risponde autorizzandoci, senza alcuna difficoltà, a pubblicare tutto quanto riteniamo utile.
È proprio vero che… “il mondo è un villaggio”, e ancor più che “le vie del Signore sono infinite”.
[m. v. t.]
9
Per riflettere
Detto così il gioco può sembrare poco interessante,
ma il divertimento consisteva proprio nel ripetersi di alcune situazioni (la ricerca del nascondiglio, la tensione alle
stelle, la corsa sfrenata), ma anche nel variare di altre (a
volte, se c’erano troppi partecipanti, a contare si era in due;
talvolta, se il designato non era ritenuto abbastanza abile nella
corsa, per non essere penalizzato, veniva sostituito d’ufficio).
Tutto era, però, finalizzato alla condivisione dei momenti forti del gioco, al piacere di raccontare le emozioni provate, allo studio delle modifiche da apportare
alle regole per dare loro un’aria nuova e più brio, al fine
di attirare nuovi partecipanti, nella speranza di allargare la cerchia degli amici.
Giochiamo a nascondino?
“A
mbarabà ciccì coccò, tre civette sul comò... e
la figlia si sposò! Ambarabà ciccì coccò!
Tocca te contare!“.
Il designato dalla “conta” cominciava a contare:
“Uno, due, tre, quattro, ...”.
E mentre lui contava fino a cento, coprendosi gli
occhi con le mani e appoggiando la fronte al muretto, la
cosiddetta “tana”, tutti gli altri correvano immediatamente a nascondersi nei posti più impervi, dove non
fosse facile essere scovati. Trovato il giusto nascondiglio,
iniziavano a studiare la strategia per uscirne all’improvviso e raggiungere il muretto senza essere catturati.
Quanta trepidante emozione in quell’attesa del momento propizio a cogliere di sorpresa l’avversario! In
quel clima di complicità e solidarietà, pur nel silenzio
più assoluto, sentivamo accrescersi in noi lo spirito di
gruppo e il senso di appartenenza ad esso, valori che
da ragazzi ritenevamo fondamentali per la nostra vita.
E quando il “nemico” si avvicinava e si sentivano i
suoi passi minacciosi ed il suo respiro ansimante per la
paura di trovarsi all’improvviso faccia a faccia con
un’orda di ragazzi scatenati, pronti a tutto per non farsi
prendere, la tensione saliva vertiginosamente, i cuori battevano all’impazzata e, giunto il momento, senza profferir parola, tutti eravamo pronti a sbucar fuori.
Passano gli anni e ci si ritrova a giocare a nascondino
da adulti; ma le regole, ahimè, non ci sono più e ciò che
da ragazzi animava la partecipazione pare totalmente
scomparso: chi “è sotto” e deve contare sembra destinato a farlo per tutta la vita; coloro che “si nascondono”
rimangono “al riparo” e non manifestano alcuna intenzione di uscirne neppure per far sapere che ci sono; l’alternanza dei ruoli (a volte “conto”, a volte “mi nascondo”)
non è più considerata uno stimolo per migliorarsi e per
migliorare le dinamiche della partecipazione.
Tutto ciò è proprio triste, vero? Sì, triste perché noi
adulti abbiamo perso il significato profondo del nascondimento. La ricerca del nascondiglio, ai tempi della
nostra adolescenza, serviva per trovare un posto sicuro,
ma la permanenza al suo interno non doveva essere perenne: prima o poi si sentiva la necessità di uscirne
senza dover forzatamente attendere l’avvicinarsi di chi
doveva cercarci. Si usciva perché era giunto il momento
di farlo, perché lo si era concordato con i compagni di
gioco, perché il gioco doveva continuare e... guai a
farlo finire senza avergli dato il naturale sviluppo!
Ma, perché abbiamo perso questo senso del gioco? Perché non sentiamo più il pathos della partecipazione? Perché non sentiamo più la necessità di dare una mano a
costruire, progettare, innovare? Perché rimangono in
pochi - e sempre gli stessi - all’interno dei gruppi? Perché non pensiamo mai ad un rappresentante scelto e sostenuto dal gruppo, invece di mandare allo sbaraglio un
malcapitato che deve immolarsi per riempire un vuoto
lasciato da altri? Perché non siamo mossi dal desiderio di
far sentire la nostra voce mentre, magari, amiamo criticare? Perché una volta terminato il nostro mandato, cerchiamo un sostituto solo perché “non ce la facciamo più”
e non sappiamo più trasmettere la gioia della partecipazione e dell’impegno? Perché non ci ricordiamo più che
il gioco è bello quando si partecipa in tanti? Perché non
vogliamo cambiare i ruoli per sapere “come si sta dall’altra parte”? Perché abbiamo paura di esserci?
A quel punto, grida selvagge e salti felini accompagnavano la folle corsa verso il muretto e infine l’urlo liberatorio: “Liberi tutti!”. Ed il povero “designato” era
costretto a contare nuovamente…
Il gioco poteva ripetersi così, fino a quando il primo
designato non fosse riuscito, correndo più velocemente, a catturare uno degli altri al quale poter passare
il compito di contare fino a cento.
Le domande potrebbero continuare all’infinito e fino
a quando riusciremo a porcele potremo ancora avere la
speranza di riprendere a giocare; ma se continueremo
a rimanere nel nascondiglio alla fine più nessuno verrà
a cercarci.
Ilaria Godio
10
Campus
Lettera alle famiglie
C
arissime famiglie,
è la quattordicesima volta che vi scrivo:
lo so perché le conto, e cerco di tenere in ordine il percorso che seguiamo ormai dal
2010. Vi rinnovo l’invito a rispondere alla
lettera: il mio indirizzo di posta elettronica
(personale) è [email protected].
Inoltre, poiché da ottobre esiste anche la
casella postale per i catechismi, i genitori
possono scrivere all’indirizzo:
[email protected],
al quale attualmente accede il sottoscritto,
ma che è destinato ad essere lasciato in
eredità al mio successore.
Potete scrivere per domande personali, richieste di delucidazioni, suggerimenti sui temi che vi stanno più a cuore:
non escluderei nulla, neanche i saluti!
Veniamo ora al tema di questa lettera,
ossia: La legge espressa dai dieci comandamenti. Gesù ha riassunto le due
tavole di Mosè nel duplice comandamento
dell’unico amore, com’è riportato nel vangelo di Marco (12, 29-31): “Il primo è:
Il Signore Dio nostro è l’unico Signore, amerai dunque il Signore Dio
tuo con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua mente, con tutta la tua forza.
E il secondo è questo: Amerai il
prossimo tuo come te stesso”.
Evidentemente Gesù ha fatto una
sintesi potente del cuore della legge, citando l’Antico Testamento (che è evidentemente parola ispirata da Dio): le fonti
sono il Deuteronomio per il primo e il
Levitico per il secondo.
Il primo in particolare riassume la
prima tavola, ossia i primi tre comandamenti che regolano i rapporti tra l’uomo e
Dio. È quel Dio che ha liberato Israele dall’Egitto al tempo di Mosè e che, per liberare noi dal peccato, non ha esitato a
donarci e sacrificare suo Figlio.
Dunque, è un Dio che per primo ha
amato noi, se così si può dire, con tutte le
sue forze e tutta la sua anima. Pertanto,
amare Dio è in primo luogo un atto di riconoscenza verso chi ci ha amati da sempre in un modo molto più profondo di
quel che possiamo capire.
Ora vi dirò perché voglio parlarvi di
questo aspetto (di per sé fondamentale), a
partire da un episodio dalla vita quotidiana.
Una persona anziana a cui voglio molto
bene, mi spiegava che un prete che sbaglia
compie un atto molto grave: se lui sbaglia,
che esempio dà agli altri? Può sviare il
gregge. Le ho chiesto se era battezzata, e lei
mi ha detto di sì. Allora ho fatto notare che
anche lei doveva essere di esempio agli altri,
come del resto tutti i battezzati. Lei ha annuito, ma ha anche voluto precisare di considerarsi una buona cristiana: “Non ho mai
fatto niente di male, non ho mica rubato o
ammazzato qualcuno!”(quinto e settimo
comandamento). Allora le ho chiesto se andava a messa tutte le domeniche, ma su
questo punto ha glissato, dicendo che in
fondo c’erano cose più importanti... Davvero? Allora, perché “amare Dio” è il primo
comandamento in assoluto, da ottemperare
addirittura “con tutto il nostro cuore, con
tutta la nostra mente, con tutta la nostra
forza”? Esso viene prima dell’amore per il
prossimo, che ne consegue quasi automaticamente in una vita spirituale autentica.
Ho raccontato l’episodio perché
esprime una posizione molto diffusa sulla
religione. Cerchiamo di capire cosa funzionava e cosa non funzionava in quel discorso. È certamente corretto dire che in
modo particolare i preti devono dare
l’esempio, in quanto guide delle comunità.
11
Non è invece corretto scaricare su di
loro l’intera responsabilità a tale riguardo.
Su questo punto la signora sembrava accettasse l’obiezione, salvo poi a limitare il
“proprio dovere” a soltanto due comandamenti.
Ma la morale cristiana è basata innanzi tutto sull’amore, e non sul dovere.
“Ama!” non è un ordine che s’impone da
fuori, ma è un impulso che urge da dentro
l’anima: dev’essere l’esigenza della creatura che scopre l’amore del suo creatore e
cerca di corrispondervi.
In secondo luogo, non puoi dire di
amare Dio se non ami ciò che ama Lui;
non puoi nemmeno dire di conoscerlo, se
non conosci la sua volontà; e, se non lo conosci, come puoi amarlo? Se poi non lo
incontri nella liturgia, nella santa messa,
di che amore vai parlando? Se stare alla
sua presenza ti pesa (“Di nuovo la
messa? Di nuovo il catechismo?”), non ti
sembra che l’intero rapporto con Lui sia
profondamente ipocrita? Che vuol dire
per te “con tutta la tua mente” se poi non
ci pensi mai, se le sue parole non le
ascolti?
Scusate lo sfogo, ma è per farvi capire
che ci tengo tantissimo, la fede dev’essere
autentica!
Per questo penso che dedicherò alcune
lettere per parlarvi dei dieci comandamenti, ed anche per un altro motivo importante: possiamo scoprire la bellezza
di Dio proprio contemplando la bellezza della sua legge. Ciò che Dio nostro Padre ci chiede, ciò che vuole per noi,
esprime molto bene la grandezza del suo
amore, quindi potremmo conoscere
l’amore di Dio proprio a partire dall’amore per la sua legge.
Questo è anche il motivo per cui facciamo catechesi ai piccoli e ai grandi, per
cui non si smette mai di curare la propria
formazione umana e spirituale, per cui i
sacramenti non vengono mai dati senza
un’adeguata preparazione.
E non stanchiamoci di amare Dio,
Lui non si stanca mai di noi!
Vostro aff.mo
don David
Campus
Ciascuno a suo modo...
Abbiamo, infatti, chiesto ai più giovani di scrivere
qualcosa da condividere ed essi hanno prontamente risposto. Qui di seguito sono riportati alcuni stralci dei
loro pensieri.
I più grandi, oltre a confermare anch’essi la bellezza e
la profondità di questa esperienza, hanno voluto però
sottolineare una loro particolare sensazione: si sono sentiti poco coinvolti in quel modo di pregare, in difficoltà
nel seguire la recita dei salmi senza la guida di un libretto. In una liturgia estremamente curata si è corso il
rischio di farci sentire spettatori passivi, quando invece
dovrebbe aiutarci ad entrare nel Mistero dalla porta principale… Quindi a ciascuno il suo… modo di pregare!
Con l’estate ormai alle porte, possiamo comunque
affermare che un “giro” in questo monastero potrebbe
essere proprio una scelta azzeccata.
ome tutti gli anni, in prossimità del Natale o
della Pasqua, i giovani della nostra comunità
trovano il tempo per fare un momento di ritiro. Quest’anno si è pensato di andare al monastero cistercense Dominus Tecum situato a Pra ‘d Mill, località
vicina a Bagnolo Piemonte. Ed allora, in due weekend
differenti, i componenti del gruppo Sun Flowers (1^ superiore) e EDI (dalla terza superiore in poi) hanno utiCampo giovani
Pra d’mill
lizzato lo spazio dell’autogestione
del a
monastero
per
riflettere sul proprio cammino individuale.
In entrambi i casi abbiamo cercato di sincronizzarci
con la rigorosa tempistica dei monaci. La mattina la sveglia era alle 3,40 e alle 4 la partecipazione al primo momento di preghiera della giornata. Che levataccia, ma
ne valeva la pena! Dopo qualche ora di sonno... compensativa, ci attendeva l’incontro con padre Abramo, il
quale amava intrattenerci su alcuni aspetti della loro
vita monastica, in particolare sul loro modo di pregare.
Abbiamo così appreso il motivo per cui pregano così
presto al mattino: ”Preghiamo per affidare a Dio il mondo
e la giornata che lo aspetta”. Preghiera molto curata e
strutturata, scandita dal suono di una campana.
Non mi dilungo troppo nella descrizione del luogo,
molto particolare, e nemmeno nel descrivere come mai
questa comunità sia in continua crescita. Vorrei lasciare
spazio alle impressioni dei ragazzi.
C
Questo ritiro mi è servito particolarmente perchè, grazie al silenzio e al
deserto, sono riuscito a riflettere.
Ringrazio inoltre i monaci per l'accoglienza.
Richi
Luigi Leone
Devo dire che il ritiro, tolto il dover giocare a nascondino per trovare campo
per il cell, è stato un’esperienza entusiasmante e, in un certo senso, divertente, ma soprattutto spirituale.
Giulio
Questo ritiro è stata un'esperienza bellissima... Non solo abbiamo conosciuto e vissuto un altro stile di vita, quello dei monaci,
ma per me è stato unico perché ho sentito un
grande piacere di stare con voi (anche se
ero malato). Ragazzi, vi voglio un bene pazzesco e tengo molto al gruppo della nostra
parrocchia e spero che continueremo a crescere insieme.
Martin
È stato uno dei ritiri migliori... Bellissimo il paesaggio e tutto ciò che avevamo
attorno... Siamo stati due
giorni a contatto con Dio e
con i monaci... Personalmente ha lasciato un segno
indelebile nella mia anima.
Mattia
È stato un ritiro fantastico, un'ottima conclusione per
il nostro cammino! Abbiamo vissuto una nuova esperienza: cercare di vivere in silenzio, cosa difficile per noi ragazzi. Il posto lasciava senza parole e il frate che ha parlato con noi si è mostrato molto
simpatico e accogliente. Credo che siano tutti da ammirare per la vita che
hanno scelto di vivere; mi ha molto stupito però il fatto che anche loro siano
“tecnologici” e usino quotidianamente i moderni computer! Da non dimenticare che, fra tutte le loro attività, c’è anche la produzione di un'ottima marmellata di tanti gusti anche strani! In conclusione, penso che farebbe molto
bene ad ognuno di noi visitare questi luoghi che aiutano molto a riflettere e avvicinano di più alla preghiera.
Giorgia Brunetto
12
È stato bello ed è servito molto
per pensare e un po’ a staccare
la spina dai soliti giorni...
Paolo
Che dire? Il paesaggio era fantastico, la compagnia meravigliosa
e un silenzio che faceva quasi
male alle orecchie, a cui non
siamo abituati; era un silenzio
che, insieme alla natura, mi ha
aiutato a riflettere... E i frati? Facevano scassare e sono da ammirare perché non è facile
svegliarsi alle 3 e mezza tutte le
mattine... gli insetti non erano
molto graditi, ma dài, l’abbiamo
superata!
GioVenturin
Un ritiro strafigo da rifare; la marmellata
strabuona, la compagnia ottima come sempre, la condivisione un po’ meno, il posto
era unico e non ho nemmeno sofferto il pullman, nonostante le strade tortuose, ma
non importa perché mi è piaciuto tutto.
Max
Campus
Il Papa ci ha detto...
al 27 al 29 aprile scorso i nostri Cresimandi
(e noi con loro), insieme con i loro coetanei
di tutto il mondo, sono stati protagonisti di
un grande evento all’interno dell’Anno della Fede.
D
Primo momento - in Piazza San Pietro…
Abbracciati dalle due ali del colonnato, che accolgono tutti i fedeli, ci siamo soffermati, proprio al centro, dove svetta l’obelisco, a riflettere sul martirio di
San Pietro.
Alcuni pensieri “volanti” dei nostri ragazzi
È stato molto divertente ed emozionante. Abbiamo anche fatto nuove
amicizie simpaticissime.
Ringraziamo la diocesi che ci ha
dato l’opportunità di andare a Roma
alla messa del Papa. Un’occasione
stupenda! W papa Francesco!.
Mattia e Alessandra
Secondo momento - in Basilica, davanti alla Pietà di
Michelangelo…
Ci ha sorpreso l’espressione giovanile del volto
della Vergine Maria: ci viene da pensare che si tratti
della bellezza che nasce dalla fede.
Terzo momento - presso la tomba di San Pietro…
Pellegrini, rinnoviamo la nostra fede come quella
degli apostoli che seguirono per primi Gesù.
Per me andare a Roma è stata
un’esperienza
emozionante
perhé ho visto il nuovo Papa e
ho visto luoghi del Vaticano.
Senza firma
Quarto momento - davanti alla tomba di Giovanni
Paolo II... Sostiamo in preghiera di fronte a colui che ha
voluto particolarmente bene ai giovani di tutto il
mondo e ci ha indicato Gesù come l’amico che ci
aspetta.
Questo pellerinaggio sarà per me
indimenticabile. Ho visto il Papa e
ho sentito le sue parole ricche
d’amore e di umiltà...
Un grazie di cuore alle mie catechiste che sono state la mia guida
spirituale.
Federica
Infine, domenica mattina - in Piazza San Pietro...
per partecipare alla Messa celebrata da papa Francesco, il quale ci ha ripetuto l’invito di papa Wojtyla:
“Giovani, andate controcorrente”.
Per me è stato molto emozionante poter vedere il Papa dal
vivo.
Anonimo
Per me questo pellegrinaggio è
stato meraviglioso ma anche emozionante, soprattutto quando abbiamo visto il Papa. Mi sono
emozionata molto quando il Papa ha
fatto il giro della piazza e quando ha
salutato i ragazzi disabili.
Enrica
Tutto iniziò venerdì sera. Siamo partiti
con nove pullman, stupendo!
La domenica mattina, alle sette, ben tre
ore prima dell’inizio della messa, piazza
San Pietro era già gremita e tanta gente
spingeva ancora per entrare.
Nonostante il programma molto compresso, è stata un’avventura bellissima... e Roma già mi manca...
Carlotta
È un invito a rimanere saldi nel cammino di fede
con ferma speranza nel Signore… Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente… Non ci sono difficoltà,
tribolazioni, incomprensioni che ci debbano far paura
se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla
vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita.
Molto importanti le parole che papa Francesco ha
rivolto ai giovani.
C’è l’imbarazzo della scelta:
- “Che bello sarebbe se ognuno di voi, alla sera, potesse
dire: oggi a scuola, a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto un gesto d’amore verso un mio compagno, i miei genitori, un anziano!”.
- ”Scommettete su grandi ideali… Noi cristiani non
siamo stati scelti dal Signore per cosine piccole. Andate sempre al di là verso le cose grandi…”.
- “L’azione dello Spirito Santo ci porta alla novità di
Dio, viene a noi e fa nuove tutte le cose, ci cambia”.
Felici per l’esperienza vissuta a Roma,
appena rientrati a casa, tutti i ragazzi
hanno subito voluto iscriversi al
Campo Estivo di Forno Alpi Graie
30 giugno - 7 luglio
Francesca e Maria Gabriella
13
Per crescere nella fede
“L’anima mia magnifica il Signore...”
Per questo numero e per alcuni altri successivi ci avvarremo della preziosa collaborazione di
suor Rosanna Gerbino, suora dell’Istituto di San Giuseppe, molto conosciuta in Torino per
le riflessioni sulla Parola di Dio che propone in occasione di Convegni e incontri di gruppi
vari. Per tre numeri ci presenterà la figura di Maria, come appare nei Vangeli.
La Redazione
La Visitazione
o pensato di offrirvi una semplice riflessione a
partire dal “Magnificat” che la Liturgia delle
Ore ci presenta tutte le sere nei vespri. È un
canto bellissimo che Luca pone all’inizio del suo Vangelo,
per aiutarci a conoscere il volto di Dio nel Figlio. È un
canto che scaturisce dalla bocca di una donna cara a tutta
la Chiesa: Maria.
H
La Visitazione - Juan Correa de Vivar (1510-1566)
Museo del Prado - Madrid
Ma, nel Magnificat non si parla di Maria, si parla di Dio
perché Maria vuole portarci a Dio; tuttavia, attraverso la sua
preghiera, noi conosciamo anche colei che nella Chiesa ha il
compito di aiutarci ad attuare il progetto di Dio su di noi.
“Le vostre vie non sono le mie vie”: bisogna pregare
molto per conoscere e riconoscere continuamente nella nostra vita le vie del Signore e, se Maria riesce a dire il suo
“Eccomi!” dopo l’annuncio dell’angelo, è perché da sempre il suo cuore era pronto, docile, aperto a riconoscere
nella sua vita le vie di Dio. Per riconoscere nella nostra vita
i progetti del Signore, bisogna fare come Maria, cioè conservare un cuore docile, attento alla sua parola.
Maria, ricevuto l’annuncio dell’angelo, si mette “in
fretta” in viaggio: “In quei giorni Maria si mise in viaggio
verso la montagna e raggiunse in fretta una città di
Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”
(Lc 1, 39-40). L’incontro tra queste due donne, entrambe
ripiene di Spirito Santo, perché entrambe hanno fatto
esperienza della potenza di Dio nella loro vita, produce
due canti stupendi: il “Benedetto” e il “Magnificat”.
La pienezza dello Spirito Santo suggerisce ad Elisabetta una doppia benedizione: “Benedetta tu fra le donne,
e benedetto il frutto del tuo grembo!”.
Chi è pieno di Spirito Santo, cioè chi porta a compimento il suo Battesimo come credente nella Chiesa, nella
sua vocazione, è capace di benedire, di diventare benedizione per chi incontra.
Chissà perché a noi riescono bene invece le benedizioni
al contrario, cioè le critiche, le battute che invece di benedire le persone, le sporcano, sporcano i fratelli, sporcano la
loro immagine. Imparare a benedire nella pienezza dello
Spirito Santo significa imparare a fare il bene.
Elisabetta è presa da timore - “come potrà venire a me
il Signore?”- perché coglie nel grembo gravido di Maria
la presenza dell’Altissimo ed è presa dal santo timore di
Dio; non è la paura del castigo, tutt’altro, è il santo rispetto
di colui che è l’Altissimo e che fa riconoscere il giusto rapporto tra creatura e creatore.
Allora Maria può esplodere nel canto stupendo del
Magnificat, che ha le sue radici nell’Antico Testamento, nel
Primo libro di Samuele (1Sam 2, 1.6-7). Anna, sterile, prega
e il Signore l’ascolta e quando ella resta incinta esplode nel
canto che Maria riprende: il mio cuore esulta nel Signore,
la mia fronte s’innalza, grazie al mio Dio, il Signore fa
morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. Il Signore
rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta.
14
Per crescere nella fede
Il Magnificat
“Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”. Il Signore non elimina le persone superbe, ma disperde la superbia, la nostra superbia, ribalta i nostri pensieri di potenza.
“L’anima mia magnifica il Signore”. Maria, gravida
di Dio, magnifica il Signore, cioè rende grande il Signore.
Tutte le volte che noi ci facciamo grandi entriamo nel
Magnificat al contrario. Maria, invece, non si è fatta grande,
è rimasta piccola, umile, serva. Il Magnificat c’insegna che
il cristiano veramente pieno di Dio rende grande il Signore
nella sua vita.
“Ha rovesciato i potenti dai troni”. Dio rovescia la nostra presunta potenza dal trono del nostro orgoglio: il Magnificat si può leggere nell’ottica dei sentimenti di cui tutti
abbiamo esperienza.
“Ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati”. Dio dona dignità a chi è umile e si offre come cibo
nell’Eucaristia a chi ha fame di Lui: chi non ha fame non
cerca il Signore.
“Ha rimandato i ricchi a mani vuote“ (meglio la traduzione letterale dal greco: “ha rimandato vuoti i ricchi”).
I ricchi, che credono d’essere importanti perché colmi
di ricchezze, in realtà restano “vuoti” perché la ricchezza
non produce vita.
“Ha soccorso Israele, suo servo”. Ha soccorso, cioè sollevato, portato su. Nel Deuteronomio (cap. 32) c’è l’immagine di un’aquila (Dio) che spiega le ali e vola sopra il suo
popolo, lo prende e lo solleva. È il segno di un Dio che si
prende cura di noi e ci solleva dalla chiusura, dall’egoismo, dalla depressione…
Magnificat - (1483-85) - Sandro Botticelli (1445-1510)
Galleria degli Uffizi - Firenze
“E il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché
ha guardato l’umiltà della sua serva”. La traduzione dal
greco è “ha guardato giù sulla bassezza della sua serva”.
Maria è la donna dell’umiltà, che non si mette al posto
di Dio perché riconosce che più in alto di lei c’è l’Altissimo,
l’Onnipotente: allora Lui guarda giù. Guarda giù perché
l’Altissimo ama i piccoli, i poveri, i semplici, ama chi resta
nell’umiltà, chi è capace di perdonare, di fare il primo
passo, di svuotarsi di sé. Maria può cantare la grandezza
di Dio proprio per questo.
“Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. Dio l’ha
scelta come madre di suo Figlio.
“Di generazione in generazione la sua misericordia si
stende su quelli che lo temono”. La potenza di Dio nella
vita dell’uomo si esprime soprattutto in una misericordia
che non ha fine; noi non meritiamo nulla, ma la sua misericordia ci riempie.
“Ha spiegato la potenza del suo braccio”. Il braccio di
Dio ha diviso le acque e Israele ha potuto passare attraverso il mare, raggiungere il deserto ed entrare nella terra
promessa. Maria ritrova lo stesso braccio potente in colui
che ha nel grembo.
Madonna dell’Umiltà (1420 circa) - particolare
Gentile da Fabriano (1370-1427)
Museo Nazionale - Pisa
“Ricordandosi della sua misericordia”, cioè del suo
grande perdono sull’uomo, sull’umanità, su chi è piccolo,
su chi sa di avere bisogno di Dio, come Maria che termina
il suo canto con un annuncio in cui passato presente e futuro si legano insieme.
“Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e
alla sua discendenza, per sempre”. La promessa di Dio si
compie in Gesù, nel grembo di Maria, per la sua disponibilità. E noi riceviamo quella pienezza nell’Eucaristia: in
essa noi sappiamo che il Magnificat si compie e si riattualizza nella nostra vita.
da una conferenza di
suor Rosanna Gerbino
15
Forum
Dalla parte dei piccoli e dei poveri
“Ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me” (Mt 38, 40)
Intervista a cura di Enrico Occelli
Q
ualche domanda a Paolo Botti, un giovane
torinese che da anni dedica la vita al volontariato con la sua associazione
“Amici di Lazzaro”
Ho imparato tanto da Padre Geppo: la prudenza
unita alla fiducia nella Provvidenza, lo spirito semplice e povero nel fare le cose unito alla creatività e
alla voglia di inventarne sempre di nuove. La mia attività attuale è lo specchio di quegli insegnamenti,
della sua saggezza e della sua intelligenza.
D.: Qual è la vocazione specifica degli “Amici di Lazzaro”? Perché hai scelto proprio questa missione?
R.: La nostra vocazione è far fare ai giovani esperienze di servizio, amicizia e preghiera con i poveri
e i piccoli. Non ho scelto questa missione, direi piuttosto che pian piano mi si è aperta davanti e ho capito che era molto bella!
D.: Quanti siete e come operate? Ci racconti una tua
giornata tipo?
R.: Siamo circa 50 volontari divisi in vari gruppi
di servizio (ved. box). Le mie giornate sono molto
varie. Al mattino prima delle sette mi svegliano i miei
bimbi, con cui faccio colazione; poi comincia il lavoro,
commissioni e qualche colloquio con famiglie e
mamme; ogni pomeriggio e tre sere a settimana ho
vari impegni nelle nostre attività. In mezzo ci metto
qualche lavoro extra che serve per mantenermi, e un
po’ di preghiera trovando il tempo negli spostamenti
anche brevi in auto, mentre addormento i bimbi, in
tutti i momenti in cui c’è silenzio.
Inoltre tutte le settimane dedico un po’ di tempo
ad aggiornarmi su temi giovanili per poter dialogare
meglio coi ragazzini (musica, cinema, fumetti) e naturalmente alla mia formazione cristiana. La giornata
termina verso l’una o le due di notte… perché spesso
alcune attività le posso fare solo quando in casa tutto
tace, a notte fonda.
Domanda:
Quando ti ho conosciuto eri un ragazzino che cantava negli
“Alunni del Cielo”, il gruppo vocale fondato e diretto da Padre
Geppo Arione. C’è un legame tra quella comunità e la tua scelta
successiva? Che cosa porti con te di quella prima esperienza?
Risposta:
Prima degli “Amici di Lazzaro” ho dedicato vari anni al
servizio con gli Alunni del Cielo, dove oltre alla missione
dell’annuncio del Vangelo con la musica e il canto ho
scoperto il mondo dei poveri che Padre Geppo seguiva
ed aiutava; qui ho fatto le prime esperienze di accoglienza di vittime di sfruttamento che ospitavamo all’Istituto Sociale, presso i padri gesuiti.
16
D.: Come vive la tua “famiglia stretta”, tua moglie e i
tuoi figli, i rapporti con la “famiglia allargata”?
R.: In parte ci convive giorno e notte, dal momento che a casa nostra ospitiamo sempre da 2 a 4 ragazze, a volte ex vittime di sfruttamento, altre volte
ragazze con problemi economici, a volte ragazze
madri. Stiamo bene, e ci fa bene aprirci agli altri. A
volte desideriamo un po’ di privacy in più, però
quando abbiamo qualche giorno di pace sentiamo
che ci manca il “sano caos” nella casa. Anche i miei
figli, pur se piccoli, già si inseriscono in molte iniziative diurne, perché spesso li porto con me e sono abituati a vedere tante persone, tanti bimbi, ad avere
tanti amici intorno.
Forum
D.: Qual è il tuo “sogno” per il futuro?
R.: Una casa più grande, magari una canonica o una scuola,
dove poter accogliere qualche povero in più e poter ospitare
anche gruppi di giovani per settimane comunitarie o campi di
servizio. Da anni come associazione siamo davvero poveri; facciamo tanto con pochissimo spazio, senza una vera e propria
sede, e speriamo che arrivi qualcosa…
D.: Come è vista la tua esperienza (ed altre simili) nell’ambito
della Chiesa torinese e universale?
Come la vedi tu?
R.: Credo sia vista bene. Soprattutto negli ultimi anni tante
parrocchie hanno cominciato a collaborare con noi; tanti parroci
ci vogliono bene e ci aiutano.
La nostra è un’esperienza di Chiesa fatta di cattolici semplici
che provano a vivere il bene nel servizio e nel quotidiano. Speriamo che l’associazione testimoni la bellezza dell’essere cattolici e porti frutto di conversione in noi, nei volontari e in chi
aiutiamo.
Inoltre siamo visti come una realtà abbastanza unica perché
accanto al lato sociale, di aiuto ai poveri, non perdiamo la fedeltà
totale alla Chiesa e al Papa e non rinunciamo al lato spirituale e
all’annuncio esplicito del Vangelo.
Inoltre l’amicizia coi poveri aiuta davvero tanti a riscoprire
la bellezza della vita.
Rapporto annuale sulla condizione delle
donne nigeriane vittime di tratta e sfruttamento a scopo sessuale rilevata tramite le
attività dell’unità di strada dell’associazione
Amici di Lazzaro
“Amicizia, preghiera e servizio”,
sono questi i tre cardini della nostra associazione.
•GRUPPO STAZIONI - Serate di incontro e ascolto dei senzacasa nelle stazioni e nel centro di Torino.
•UNITÀ di STRADA CONTRO LO SFRUTTAMENTO - Incontro con le ragazze nigeriane vittime
di tratta e sfruttamento.
•CORSI gratuiti di LINGUA ITALIANA per le donne straniere.
•DOPOSCUOLA PER ELEMENTARI e MEDIE. In partenza anche un supporto linguistico e scolastico per ragazzi e ragazze delle superiori.
•Attività di GIOCO E ANIMAZIONE, weekend e CAMPI ESTIVI per dare non solo aiuto ma
anche valori, proposte e per condividere la nostra esperienza di fede.
•PROGETTO EMERGENZA FAMIGLIE - Un aiuto materiale con pacchi viveri e sostegno economico
a tante famiglie in difficoltà.
•AIUTO ALLA MATERNITÀ - Aiuto a ragazze e donne che si trovano ad avere una gravidanza inattesa, che è il nostro modo per combattere l’aborto non a parole ma con fatti concreti e solidali.
•CATECHISMO INTERCULTURALE - Formazione spirituale a chi lo desidera e a chi vuol approfondire la fede cattolica o sente il desiderio della conversione al cattolicesimo.
(Dalla home page del sito www.amicidilazzaro.it)
Per il tuo contributo: ccp 27608157
Per altre informazioni:
17
Forum
Occorre poi andare controcorrente ed essere pronti
a rinunciare ad una parte di sé per accogliere l’altro in
una donazione gratuita e reciproca.
In questa ottica la relazione tra i due sposi diventa,
come ha affermato Giovanni Paolo II, icona della Trinità:
i due non sono più due individui separati e distinti ma
formano una “triade” con l’entità nuova che è la coppia.
L’obiettivo è proprio questo: si proviene da due realtà diverse e ci si ritrova cambiati, non più quelli di
Dalla coppia una... triade!
Riporto qui di seguito, in una sintesi che
forse sembrerà un po’ troppo stringata, le riflessioni emerse e commentate in un gruppo di
sposi, del quale Andrea ed io facciamo parte da
tempo, in occasione del suo recente canonico
ritiro spirituale, con l’intento di condividerle con
coloro che le dovessero ritenere utili o semplicemente interessanti.
[m. c.]
bello pensare alla storia di una coppia come
ad un viaggio. Si parte mano nella mano. Di
solito, alla partenza il cielo è terso, c’è il sole.
Poi lo scenario cambia: tratti di pioggia, di gelo, di nebbia. Il sole ricompare. Poi di nuovo le nuvole.
È
Il viaggio a volte è più confortevole, a volte è più faticoso. Ciò che conta è continuare a tenere stretta la
mano dell’altro, sia nelle bufere della vita sia nel quotidiano. Ogni coppia a qualunque età può, infatti, vivere
momenti unici e irripetibili per dare concretezza a quel
“prometto di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”
pronunciato tanti anni prima e talvolta dimenticato.
prima, nella nuova dimensione del “noi”.
A parole sembra facile, in pratica non lo è: si tratta di
sperimentare, nella vita d’ogni giorno, l’ascolto, talvolta
il silenzio per entrare nella sfera dell’altro.
Certamente ogni coppia ha la sua storia, i suoi tempi,
i suoi tunnel, i suoi arcobaleni, ma è importante alimentare la consapevolezza del senso dell’incontro e del cammino d’ogni giorno, sapendo che questa tensione durerà
tutta la vita e non si potrà mai dire “siamo arrivati”.
Mi permetto, senza alcuna presunzione, di proporre
alcuni modesti suggerimenti pratici, sperimentati positivamente da coppie che si sforzano di vivere la loro relazione sponsale cercando ciascuno l’unione profonda
con l’altro:
- gioire delle gioie del partner (quando ci racconta di
un successo al lavoro, di un incontro significativo, ecc.);
- ridere insieme (l’umorismo e l’ironia consentono
di scherzare anche sui propri limiti e di rendere così
“leggero” il rapporto);
- festeggiare i momenti importanti (anniversari,
compleanni, onomastici, soprattutto quelli dei coniugi);
- manifestare gratitudine verso il partner (per le attenzioni, i doni, le rinunce, ecc.);
- infine, per chi ha meno di... 99 anni, stimolare una
sana passione.
Come fare per vivere bene questo viaggio in modo
da arrivare a destinazione con la piena soddisfazione
di entrambi?
Non ci sono ricette valide per tutti; mi viene però in
mente una frase pronunciata da L. Lavelle: “Il bene più
grande che posso fare all’altro non è tanto dargli la mia ricchezza, quanto rivelargli la sua”.
Occorre allora valorizzare il proprio partner come
individuo unico e irripetibile, aiutarlo a tirare fuori il
meglio di sé: è il regalo più bello che gli si possa fare!
Buon viaggio a tutte le coppie!
Marida Cardillo
18
La finestra di don Sebastiano
La misericordia
“I
l male si annida nelle profondità stesse dell’uomo, è
inerente alla sua realtà storica, e per questo è decisiva la domanda
dell’intervento della Grazia divina.
La consapevolezza della propria miseria sfocia nella speranza della purificazione, della liberazione, della nuova
creazione” (Giovanni Paolo II nel commento al Salmo 50).
Questo richiamo del successore di
Pietro e questo invito ripetuto alla misericordia ci portano a considerazioni
realistiche necessarie a farci conseguire
una chiarezza interiore che ci aiuti nella
crescita spirituale, nonostante la debolezza presente in tutti, e a farci adottare
un’impostazione di fede che abbracci
tutt’intera la nostra vita: con le sue virtù
e i suoi peccati, con i suoi alti e bassi,
con le sue generosità e i
suoi egoismi.
Non dobbiamo identificarci con i nostri stati di
debolezza o di colpa, ma
li possiamo superare.
Dio è necessariamente ricco di misericordia perché “l’esperienza
della debolezza e del peccato
è una pedagogia permessa
da Dio, perché l’autosufficienza dell’uomo si spezza
solo con l’esperienza ripetuta della propria debolezza
morale. Un’anima si apre
all’azione purificatrice di
Dio solo quando riesce a
riconoscere di dovere
tutto alla sua misericordia” (Dictionnaire de
Spiritualite’ III, 1167).
Per rispondere sempre all’amore paterno
di Dio si dovrà ricoRitorno del figliol prodigo (1663-65)
minciare da capo tutte
Rembrandt (1606-1669)
le “settanta volte sette”
Museo Ermitage - San Pietroburgo
che saranno necessarie
nella tranquilla cerPapa Francesco, fin dal suo primo tezza dell’amore di Dio che salva.
parlare a tutta la Chiesa dopo la sua
Così la vita cristiana diventa un
elezione, ha insistito sempre sulla mi- cantiere sempre aperto:
sericordia, tanto da dire, domenica 14
“Un profondo squilibrio interiore è
aprile 2013, nell’Ordinazione di dieci radicato nel cuore dell’uomo. È nell’uomo
sacerdoti della Diocesi di Roma: “Nel stesso che molti elementi si contrastano
sacramento della Riconciliazione che voi a vicenda. [...] Sollecitato da molte atcelebrerete, siate ministri della misericor- trattive, è costretto sempre a sceglierne
dia, mi raccomando, della misericordia!”. qualcuna e a rinunziare alle altre.
19
Peggio: debole e peccatore, non di rado
fa quello che non vorrebbe e non fa quello
che vorrebbe” (Gaudium et spes 10).
Queste riflessioni e queste premesse di grandezza e di debolezza
possono portarci ad ulteriori considerazioni. Perché non giungere a considerare con occhi di misericordia i casi
purtroppo frequenti di separazione
nei matrimoni, di divorzio, di un
nuovo matrimonio? Già Giovanni
Paolo II nella lettera enciclica “Familiaris consortio” invitava i pastori
d’anime ad essere attenti alla misericordia, soprattutto in questi casi: se il
coniuge abbandonato si è risposato
per dare un padre o una madre ai
propri figli; se è convinto di avere
fatto tutto il possibile per salvare il
precedente matrimonio; se è moralmente certo che il precedente matrimonio non fosse valido.
Non dobbiamo seguire queste indicazioni del Papa nella misericordia
verso i nostri fratelli e sorelle che si
sono uniti in un nuovo matrimonio?
Non è anche qui che la misericordia
si deve applicare?
don Sebastiano Galletto
Arte e fede
Al tempo dei papi mecenati - 1
I
recenti avvenimenti che, per la loro straordinarietà, hanno polarizzato l’attenzione del mondo intero portando
alla ribalta la Cattedra di Pietro, ci hanno dato l’occasione di rivisitarne la secolare storia, attraverso le vicende
- luminose e talvolta travagliate – che l’hanno intessuta e la suggestiva e variegata rassegna dei protagonisti che
l’hanno animata. Non è stato difficile, per noi che cercavamo un nuovo filone per la rubrica “Arte e fede”, individuare
una fonte preziosa nella biografia dei grandi Papi mecenati che nel periodo rinascimentale trasformarono una Roma ridotta a poche migliaia di miseri abitanti in una superba metropoli, grazie alla fioritura da essi voluta di una grande stagione artistica e culturale, nella quale i migliori artisti del tempo vi crearono splendidi capolavori.
La Basilica di San Pietro
a costruzione
della Basilica
di San Pietro,
spesso descritta come la più grande chiesa mai edificata, fu
iniziata nel 1506 per volere di papa Giulio II (1503-1513) e si
concluse nel 1612. Si trattò in realtà di una ricostruzione, poiché nello stesso luogo già sorgeva un’altra basilica risalente al
sec. IV, fatta costruire dall’imperatore Costantino (274-337).
Questi, dopo aver concesso, con l’Editto di Milano (313), la libertà di culto ai Cristiani, ritenne di dover promuovere la costruzione di basiliche necessarie alla celebrazione dei loro riti,
con caratteristiche rispondenti ai canoni liturgici (un percorso
L
Arricchita nel corso
dei secoli con preziose
opere d’arte, esercitò
grande richiamo sul sempre crescente flusso di pellegrini,
fino a quando, a metà del XV secolo, papa Niccolò V
(1447-1455), dopo un furioso incendio che aveva distrutto
buona parte della costruzione, decise di avviarne una
sostanziale ristrutturazione
secondo un progetto studiato da Bernardo Rossellino. Alla morte del Papa,
però, i lavori, da poco avviati (1450), furono sospesi e ripresi soltanto
molto più tardi da papa
Giulio II (1505-1513), che
riaprì il cantiere con l’intenzione di proseguire i lavori intrapresi da Niccolò V.
Ma, nel 1505, forse dietro consiglio di Michelangelo,
per dare un grandioso contorno al mastodontico mausoleo che aveva concepito per la propria sepoltura, e comunque nell’ambito di un clima culturale pienamente
rinascimentale che aveva coinvolto la Chiesa, Giulio II
decise la costruzione di una nuova colossale basilica, affidando al Bramante l’incarico di progettare e dirigere la
radicale ristrutturazione della vecchia basilica.
per le processioni, un altare per la messa, uno spazio separato per i catecumeni, il quadriportico).
L’area da destinare alla costruzione della Basilica di
San Pietro non poteva che essere quella, prossima al
Circo di Nerone e all’adiacente necropoli, nella quale per
tradizione si riteneva fosse stato sepolto l’apostolo Pietro
dopo la crocifissione (64 d. C.).
Oggi noi possiamo solo immaginare l’imponenza
di quella basilica originaria, immortalata in alcune raffigurazioni artistiche. Essa aveva cinque navate con copertura lignea e grande quadriportico antistante,
caratteristiche che la resero spiccatamente somigliante
alla coeva costantiniana Basilica di San Paolo fuori le mura.
20
Arte e fede
1
2
3
4
1 - in giallo, il tracciato del Circo di Nerone (67 d.C.) ai piedi del colle Vaticano - in azzurro, la Basilica costantiniana del 321 - in marrone, la Basilica
edificata da Bramante e Michelangelo (1506-1561) con al centro la tomba di san Pietro, in prossimità della Necropoli - in arancione, il prolungamento
eseguito dal Maderno, ultimato nel nel 1614 - in verde, il colonnato del Bernini, terminato nel 1667.
2 - Veduta aerea. 3 - Spaccato della struttura della Basilica. 4 - Pianta della Basilica
Il progetto prevedeva la demolizione
completa dell’antico edificio e la realizzazione del nuovo con impostazione radicalmente diversa, caratterizzata da una
pianta centrale a croce greca, sormontata
da una grande cupola. Dopo la morte del
Bramante (1511), l’incarico di continuare
la progettazione dell’opera fu dato in
successione a tre architetti: Raffaello, Fra
Giacomo da Verona e Antonio Sangallo.
Poiché essi concordarono sull’assoluta
necessità di aumentare lo spazio, si decise l’allungamento della navata, ottenendo così una pianta a croce latina.
Dopo la morte del Sangallo (1546), il
compito di finire la basilica fu assegnato
a Michelangelo. Egli tentò di ritornare
alla pianta a croce greca del Bramante,
ma la sua proposta fu soggetta a moltissime critiche perché non rispondente ai
canoni liturgici, e fu pertanto scartata.
Il suo apporto, tuttavia, risultò di
grande rilevanza per l’eliminazione dei
punti deboli del progetto Sangallo e per
l’introduzione di nuovi importanti elementi architettonici: al centro, un tamburo,
con colonne binate, atte a sostenere una
grande cupola emisferica a costoloni, con lanterna terminale; sul fronte, una facciata con
porticato e due alti campanili.
Dopo la sua morte (1564), la cupola
fu completata, con alcune differenze ri-
spetto al presunto modello originario, da
Giacomo Della Porta; mentre la sua concezione dell’intera opera fu in gran parte
stravolta da Carlo Maderno, che, sotto
papa Paolo V (1605-1621), completò la
basilica con l’aggiunta, tra il 1609 e il
1612, di una navata longitudinale e di una
imponente facciata.
Sotto papa Clemente VIII (15921605), Cavalier d’Arpino, tra il 1603 e il
1612, eseguì la decorazione a mosaico
della cupola; mentre ad altri valenti artisti
fu affidata la realizzazione delle pale d’altare, poi riportate a mosaico.
Per la decorazione scultorea il Papa
si servì prevalentemente dell’opera di
Ambrogio Bonvicino (suo è il bassorilievo con La consegna delle chiavi posto
sopra l’entrata principale), mentre per la
decorazione ad affresco e a stucco si affidò a Giovan Battista Ricci di Novara.
La basilica venne finalmente consacrata nel 1626 da Urbano VIII.
La sistemazione della grande piazza
(1656 - 67) fu realizzata da Gian Lorenzo
Bernini (1598-1680).
Egli suddivise lo spazio in due parti:
la prima a forma di trapezio con la base
maggiore verso la facciata, la seconda di
forma ellittica contornata dall’imponente colonnato dorico sormontato da una
poderosa architrave.
21
L
a Basilica di San Pietro rappresenta il trionfo del barocco romano, in auge proprio nel momento in cui
la Chiesa si trovò a dover competere con il
crescente prestigio degli Stati nazionali europei, in particolare di Francia e Spagna.
La sontuosità architeonica e la ridondanza decorativa, elementi basilari dei
canoni del barocco, ben rispondevano all’esigenza della Curia di rappresentarsi
con la necessaria magnificenza.
La Basilica di San Pietro rappresentò
un monumento all’ambizione e alla ricchezza dei Papi del Rinascimento, e particolarmente di papa Giulio II.
Essa, oltre ad essere di per sé un’opera
d’arte, è anche un insieme di capolavori di
valore inestimabile. Per citarne solo alcuni,
basterà ricordare la Pietà di Michelangelo, il maestoso Baldacchino del Bernini, i grandiosi monumenti funebri del
Bernini e del Canova, le innumerevoli
statue in marmo, travertino e bronzo che
adornano l’interno e quelle in travertino
collocate sul colonnato della piazza (ben
140) e sulla facciata della Basilica.
Questo è veramente uno spazio
magico: esso stimola l’immediata
sensazione che il Bernini abbia voluto impegnare la sua genialità non
solo per dare spettacolarità alla
piazza, ma anche per alludere alle
grandi braccia di Dio costantemente
aperte per accogliere l’umanità intera nella Sua infinita misericordia.
Pino Tripodina
Vita della Chiesa
“È proprio Lui!”
Riceviamo e pubblichiamo qui di seguito – felici di poter essere latori di un messaggio così importante - la lettera inviata da Luca Del Negro alla Comunità del Natale del Signore il 20 aprile scorso,
vigilia della celebrazione in Duomo durante la quale gli è stato conferito l’ordine minore dell’accolitato,
in vista della sua ordinazione diaconale che avverrà il prossimo mese di novembre.
Carissimi,
questa domenica (ndr – il 21 aprile) alle 15,30 in
Duomo il Vescovo conferirà i ministeri del lettorato e dell’accolitato (servire messa) e tra gli accoliti ci sarò anch’io.
In questi giorni, Gabriele (ndr – il figlio Lele) mi poneva due domande precise: “Ma ti piace quello che
studi?” e “Tutta questa fatica per fare il chierichetto, alla
tua età non ti sembra un’esagerazione?”.
Sono domande vere e piene di buon senso a cui
devo stare di fronte se non voglio buttare via tempo ed
energie.
A caldo avevo risposto più o meno così: Se si trattasse di un mio pallino, sarei proprio uno “stordito”, ma questa cosa mi è capitata e non la posseggo io. Quando ho
incontrato la mamma, non si trattava di una strategia pensata a tavolino: è capitato e non potevo non stare di fronte a
quel fatto. Stando con la mamma ho scoperto pian piano che
valeva la pena passare tutta la vita con lei. Facile? Proprio
per nulla! Bello? Sì, da morire, anche dentro le lacrime, le
ribellioni e tutti i miei limiti ogni giorno più evidenti. Se la
mia vita ha valore è perchè Qualcuno si fida di me; e poter
servire questo Qualcuno, proprio mentre si offre a me e a
tutto il mondo, è proprio un gran regalo, non soltanto una
cosa da fare. Quante volte faccio il “pagliaccio” - ovvero vado
dietro ad un ruolo - per servire il mio orgoglio o quello degli
altri, buttando via così la mia vita?
Per questo motivo vi chiedo di aiutarmi nella preghiera, perché possa accogliere questo dono e non essere un pagliaccio che va dietro al ruolo (bronzo che
risuona e cembalo che tintinna ...), perché sostenga Pia,
Lele ed Iri in quest’avventura strana, bella e faticosa.
In secondo luogo, vorrei ricordarvi che il metodo di
Dio è ben strambo: sceglie uno per raggiungere tutti
quelli che gli stanno intorno. Se questa cosa è capitata
a me (con Pia, Lele ed Iri) dentro la nostra compagnia,
vuol dire che anche a voi è chiesto un passo, un “movimento”, uno stupore come quello dei due sciagurati
che andavano ad Emmaus pieni di lamentele.
Guardiamoci, diamoci di gomito dicendoci: “È proprio Lui!”, corriamo a trovare i nostri amici. Come si
tradurrà tutto ciò per voi non ne ho la più pallida idea;
di sicuro posso dirvi che vale la pena starci di fronte.
Vi ringrazio fin d’ora per le vostre preghiere e per la
vostra presenza. Da parte mia vi assicuro che all’offertorio non avrò le mani vuote: tutta la nostra storia, tutti i
vostri volti, tutte le persone incontrate e tutte le nostre
miserie le potrò affidare a mani più salde delle mie. Se
farete la stessa cosa, sarà un bel modo di farci compagnia.
Luca
21 aprile 2013
Anniversari di Matrimonio
22
Vita della Chiesa
Non potendo, per ovvi motivi di spazio, richiamare
tutti gli interventi, mi limiterò alla sintesi di quello del
nostro Vescovo, mons. Cesare Nosiglia.
XXIV Giornata Caritas
Farsi carico di qualcuno significa offrirgli aiuto con continuità, come fa il Samaritano che, con tanto zelo, cura le ferite del “fratello” e poi lo affida alle premure di altri. Per
intervenire così, occorre però una formazione, in modo che la
carità sia “intelligente”. La persona dev’essere accolta, ascoltata, accompagnata e anche indirizzata. Gli operatori della
carità devono agire come i medici generici, i quali curano sì,
ma quando è necessario mandano il malato dallo specialista.
Ecco, allora, l’importanza del “lavorare in rete”.
Non si devono mai abbandonare coloro che si rivolgono a
noi. È il Signore che ce li ha fatti incontrare. Se non ce la facciamo da soli a risolvere tutti i loro problemi, indirizziamoli,
accompagnamoli, affidiamoli ad altre “braccia”. Ci sono tante
strutture e tanti servizi gestiti dalla Caritas nei quali alle persone bisognose si elargiscono non solo sostegno materiale,
ma anche conforto morale e spirituale. Ognuno di noi dev’essere anche un evangelizzatore e come tale agire nei confronti delle persone che il Signore ci fa incontrare.
Non dobbiamo aspettare che le persone vengano a cercarci. Siamo noi che dobbiamo invece cerare loro. C’è chi si
vergogna, chi si nasconde, chi per orgoglio o per dignità non
chiede aiuto, chi si isola… Il povero, però, non deve adagiarsi,
non deve scegliere di vivere per sempre di sussidi. Ecco perché occorre definire con lui un percorso.
Enorme è oggi il problema della casa. Ci sono tante strutture e tanti spazi vuoti; tanti edifici inutilizzati e fatiscenti,
anche fra le realtà ecclesiastiche (ed è ciò che più mi addolora).
Quanti gli appartamenti sfitti! Ognuno si faccia un esame
di coscienza. Sogno una comunità in cui si riesca a pagare l’affitto almeno per qualche famiglia.
La Caritas conta ancora
molto sul volontariato. La gratuità è una grande risorsa. Però,
nel campo giovanile, il volontariato è in ribasso. Il problema è che
i giovani, oggi, non sono poveri di
cose, ma sono immersi in un
mondo virtuale. L’educazione alla
carità deve partire dalla famiglia
e poi deve essere “coltivata” anche
nella scuola.
Un altro macigno è la mancanza di lavoro. Quanti sono
in difficoltà! Quante famiglie non sanno come campare! E
dalla politica e dalle componenti sociali la risposta è un silenzio tombale! “Si salvi chi può!”. Chi raccoglierà questo
grido di dolore? Ognuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. O ci salviamo tutti insieme o ci si perde tutti.
Dio ci aiuterà. Il Dio dei poveri ci darà la forza.
a “mascotte” del Convegno è il cespuglio qui
riportato di phlox raffigurato nella prima pagina dell’invito alla XXIV Giornata Caritas
proposta dalla Diocesi di Torino.
L
I phlox sono piccoli fiori a forma di stella, assunti a
simbolo dell’alleanza. Fioriscono in primavera e in
estate. Poco diffusi in Italia, sono invece coltivati nel
resto dell’Europa e in America e sono utilizzati in occasione delle celebrazioni di matrimonio e soprattutto per
abbellire le aiuole dei parchi e i giardini rocciosi.
Forse questo fiorellino preso da solo potrebbe passare
quasi inosservato, ma quando si apre insieme a centinaia
di altri esemplari, esplodendo in una coloratissima fioritura, è un incanto per gli occhi di chi cerca meraviglie e
per i cuori sensibili alla sindrome di Stendhal.
Allo stesso modo, un piccolo gesto di bontà, quando
sia unito in una specie di santa
alleanza a tante altre piccole
manifestazioni di fraternità,
di condivisione, di solidarietà,
può provocare un’insospettata
onda d’amore, una specie di
benefico tsunami.
Alleanza è dunque la parola magica che fa fare miracoli, ed è stata la parola che ha
sostenuto gli interventi di tutti coloro che, sabato 9 marzo
u. s., hanno animato la XXIV Giornata Caritas diocesana
dal titolo “Alléàti”. I due accenti ne indicano le due
chiavi di lettura: occorre prima allearsi per operare poi da alleàti nella missione comune.
Alleàti ha richiamato il gemellaggio tra la Caritas torinese e quella di Modena-Nonantola per l’aiuto congiunto portato ai terremotati di Medolla.
Alléati e alleàti danno la sintesi della Parola di Dio
commentata (Ez 37,15-28). Solo dall’adesione all’alleanza con Dio può nascere l’alleanza con coloro che chiamiamo “fratelli”. Alleanza nella fraternità…
Queste accorate parole del nostro Vescovo sono rivolte non solo ai volontari e agli operatori della carità,
del sociale, dell’accoglienza, ma anche a ciascuno di noi.
N. B. - L’intera documentazione della Giornata Caritas è
reperibile su www.caritas.torino.it .
Antonietta Callegari Astolfi
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Vita della Chiesa
Ella stessa, nell’ottobre 1879, si recò nella lontana India,
a visitare la prima casa missionaria della congregazione.
Fu anche consigliera di san Giovanni Bosco nell’istituire la
Regola delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Beati... loro!
Torino è “famosa” per i suoi cosiddetti Santi sociali,
ma potrebbe esserlo altrettanto per i suoi molti Beati,
certamente meno conosciuti. A partire da questo numero, apriremo uno “spiraglio” da cui possa filtrare
verso di noi un po’ della luce che scaturisce dallo splendore delle loro vite esemplari.
Beata Maria Enrica Dominici
aterina Dominici nacque il 10 ottobre 1829 a Carmagnola, quartogenita, in una semplice famiglia
di campagna. Aveva quattro anni quando i genitori si separarono e del padre non si seppe più nulla: una
pena che Caterina portò per sempre nel cuore.
Madre e figli andarono a vivere con lo zio sacerdote in una frazione di Carmagnola, insieme al nonno
e ad una zia. Tra casa, scuola e chiesa, tutte vicine, Caterina formò il suo carattere, improntato ad una profonda religiosità. Orientò il suo cuore a Dio; sentiva il
desiderio di “essere monaca ad ogni costo”, in questo
contrastata dallo zio. Soltanto nel novembre 1850 ottenne il permesso di entrare nella Congregazione
delle Suore di S. Anna. Fu allora ricevuta nel ricco Palazzo Barolo di Torino dalla stessa fondatrice, la Marchesa Giulia, che ne intuì le virtù e le suggerì di
prendere il nome della sua nipote preferita: Caterina
diveniva così suor Maria Enrica.
L’Istituto di Sant’Anna era stato fondato nel 1834
dal Marchese Tancredi di Barolo, il nobile benefattore torinese che con la moglie aveva dato vita a numerose opere di beneficenza a favore dei poveri.
La Casa Madre sorgeva a pochi passi dal celebre
Santuario della Consolata, così come il palazzo dei
Marchesi nel quale all’inizio venivano ospitati i bambini di strada. Le suore di Sant’Anna nascevano proprio con la missione di educarli ed istruirli. Tra i primi
e più valenti collaboratori le suore ebbero la fortuna
di avere Silvio Pellico, bibliotecario e segretario della
nobile coppia. suor Maria Enrica, superate le difficoltà del noviziato, prese i voti per la festa di Sant’Anna del 1853.
Nelle Comunità in cui il Signore la pose e nelle varie situazioni in cui si trovò a vivere, suor Maria Enrica continuò
in modo sempre più intenso la vita di donazione al Padre.
La fedeltà nelle piccole azioni fu il segreto del suo cammino:
“Le piccole azioni fatte con grande amore valgono assai più
che gli atti eroici fatti con mire umane”.
A soli 32 anni, nel 1861 fu eletta Superiora Generale dell’Ordine. Ricevette così, ancora molto giovane, l’eredità di
una congregazione anch’essa giovane e si trovò ad esserne
“la Madre” fino al termine della sua vita.
Suor Maria Enrica desiderava fortemente che Dio e il Suo
amore fossero conosciuti in tutto il mondo perché, pensava,
“è impossibile conoscerlo e non amarlo”. Per questo nel 1871
mandò le prime missionarie in India.
C
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Dalla fine del 1893, a causa di un male incurabile, non
poté più alzarsi dal letto ma, nonostante i lancinanti dolori, continuò a guidare l’Istituto, compiendo tutte le devozioni previste dalla Regola.
Si recarono al suo capezzale Maria Clotilde di Savoia
e l’Arcivescovo Riccardi, il quale, uscendo dalla camera,
esclamò: “Quale aria di Paradiso!”.
Il medico, dal canto suo, affermò: “La vostra Madre da
lunghi anni è preparata a morire. Sono sessant’anni che vedo
e curo infermità strazianti e penosissime, e confesso che non
ho mai trovato un’anima più quieta e rassegnata di Madre
Maria Enrica”.
Le sue ultime parole rivolte alle sue suore, prima di
lasciare questa terra, furono: «Umiltà! Umiltà!».
Era il 21 febbraio 1894.
Papa Paolo VI, il
1° febbraio 1975, ne
riconobbe l’eroicità
delle virtù e, il 7 maggio 1978, la beatificò.
Nella sua omelia
disse: “Ella confermò,
ancora una volta, la
grande verità evangelica, testimoniando che
l’autentico amore verso
Dio è anche vero amore
verso gli altri, specialmente verso i poveri nel
corpo e nello spirito”.
Riprendendo le
ultime parole della
Beata, egli aggiunse:
“Umiltà che diventi, nei confronti di
Dio, adorazione. L’uomo
impari di nuovo il gesto fondamentale della fede religiosa, che non
lo umilia, anzi lo esalta perché gli fa riconoscere la sua dimensione
essenziale di creatura.
Umiltà che diventi, nei confronti degli altri, carità, servizio, solidarietà, armoniosa convivenza, pace, con il conseguente
rinnegamento, a livello personale e sociale, del sopruso e della
violenza.
Umiltà che diventi, nei confronti della Chiesa, amore e docilità, nella convinzione che essa è «in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano».
Umiltà che diventi, nei confronti di noi stessi, serena consapevolezza che la nostra esistenza umana può acquistare il
suo globale ed autentico significato solo inserendoci nel disegno
amoroso della volontà di Dio”.
Daniela Zanvercelli Dosio
Vita della Chiesa
L’uscita di questo numero di Chiesa Qui oggi
segue di qualche giorno soltanto la solennità liturgica del Corpus Domini. Questa quasi contemporaneità ci ha suggerito di richiamare alla memoria
nostra e dei nostri lettori quello straordinario evento
ben presto denominato Miracolo di Torino, che per
lungo tempo conferì alla nostra città il prestigioso appellativo di Città del Santissimo Sacramento.
Abbiamo per l’occasione rivisitato la Basilica del
Corpus Domini in via Palazzo di Città, 20 - Torino, per
riscontrare le varie testimonianze ivi conservate.
Qui di seguito, per raccontarvi l’accaduto, ci piace
affidarci ad un antico testo cinquecentesco.
Anno della Fede
Basilica del Corpus Domini
Tabernacolo di Exilles
La Redazione
Il Miracolo di Torino
Il che vedendo questo miracollo subito Monsignor
Reverendissimo s’inginocchiò con tutti gli astanti et
adorando il Santissimo Sacramento come vero Iddio,
nostro vero redemptore, fece portare un callice et presente tutto il popollo descende nel callice la Santissima
hostia con grande veneratione honore et reverenza
come debitamente si conviene et la portano alla chiesa
cathedralle di San Giovanni Baptista accompagnata
dalli Reverendi Canonici et relligiossi con molti magnifici et nobili cittadini infra li qualli in testimonio
primo Petrino de Gorzallo, Pettino Duerio, Gaspardino Bursi Miolario, Martino Bellardi et Georgio Gasialo’ et expectabile Michel Muri, tt loanne
Furchigiiono, Bonifatio de Cassano, Berthollomeo
Carravino, et il nobille messer Antonio Marcerio di
Milano, et molti altri magnifici cittadini, li quali non
so il nome, tutti della presente inclita città di Turino et
in essa chiesa di San Giovanni si fece un bellissimo tabernacolo, il quale èi statto sinché fu edificatto il domo
novo si come al presente vulgarmente si chiama.
Alli 6 di giugno 1453 a hore 20 un giobbia apparse
la sancta hostia. Venendo certi huomeni di Cherio da
certa guera o discordia che era tra francesi et savoja et
piemontesi per certi mercadanti con la lhoro mercantia ritenuta a Assiglie la qual fu messa a sacho eccovi
che fu un uomo che pigliò nella chiesa di Assiglie lo relliquiario d’argento dov’era il Santissimo Sacramento
et lo invillupò in certe balle, le quali gittò sopra un
mullo et venendo per Susa, Avigliana, Rivolli et gionse
alla città di Turino et subito che il mullo fu entrato in
porta Susina per voluntà di Iddio non si firmò sin che
fu in questo luocho et subito giunto quivi si gettò in
terra et subito furno disligatte le balle per voluntà del
Signore Iddio et subito senza alchuno agiuto humano,
usci fuori il vero et Santissimo Corpus Domini con lo
relliquiario nel aria miracollosamente con un grande
splendore et raggi et pareva il solle.
Vedendo questo un certo prete chiamato Messer
Bertholomeo Chochono presto se ne andò da Monsignor Reverendissimo Lodovicho Romagnano episcopo
della presente città di Turino il qualle intendendo questo, subito viene con tutto il clero del domo grande con
la Croce accompagnato da canonici et relligiossi che
si ritrovavano et quando lo Reverendissimo fu gionto
in questo luocho subito cascho lo relliquiario in terra
et rimasse lo Santissimo Sacramento in l’aria con
grandi raggi et splendore.
>>> o <<<
Questo antico testo cinquecentesco, oggi disperso,
era un tempo conservato presso l’archivio dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo.
(da: Gruppo Archeologico Torinese. Guida Archeologica di Torino 1996, pp. 87-88).
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PARROCCHIA INFORMA
DAI NOSTRI REGISTRI
dal 16 marzo al 31 maggio 2013
H ANNO RICEVUTO LA GRAZIA DEL BATTESIMO: ROVERSI Laura - CIBELLI Roberto - CAPPA Giorgia ANTONELLI Elvira - MAGUGLIANI Roberto, Luciano - MARCHETTI Andrea - RUA Alessia - MASSOLO Caterina
- CAVALLO Lorenzo - PERAZZONE Paolo - GRIECO Lara - CISOTTO Chiara - BUGHI PERUGLIA Alessia, Benedetta, Maria - MITTON Luca - BISARO Marco.
S
ONO TORNATI ALLA CASA DEL PADRE: MANIGLIA Giovanni - PENTENERO Dina ved. Basso - CARELLA
Maria ved. Summa - MASSUCCO Bruna ved. Novaresio - MENZIO Vittoria ved. Migliore - STRAZZULLI Aurelia in
Iannarelli - MASSARI Grazia ved. Fontana - BISCIA Adele ved. Celloni - BORELLO Adolfo - BERNARDINI Francesco - MARCOGLIESE Antonia Maria ved. Colucci - ZARBA Rosa ved. Madonia - PELLINO Maria ved. Conz - ROSATELLI Giuseppe - NEGRI Zita ved. Francioso - MEINARDI Giuseppe - REVELLINO Luciano - ZAUSA Wanda ved.
Santon - D’ERRICO Lucia ved. Morriti - BONELLI Rosanna Emma - ZANFINI Mario - CAMUTI Gaetano - FAVA Delfino - BALESTRO Ilario - SPINELLI Matteo - CELESTINI Marco - CASADEI Assunta ved. Jacob.
ALTRE INFORMAZIONI
SANTE MESSE
UFFICIO PARROCCHIALE
“Servizio normale”:
dal lunedì al venerdì = ore 17 - 19
sabato = ore 9,45 - 12,00
(Il Servizio integrativo del lunedì e mercoledì 9,45-12,00
è sospeso dal 17/6, riprenderà il 2/9)
Feriali: ore 8 - 9,15 (*)- 18
Festive: ore 8,30 - 10 - 11,30 - 16,30 - 18
Festive del sabato e della vigilia
nelle solennità infrasettimanali:
ore 16,30 - 18
(*) escluso il sabato
Messe sospese nei mesi estivi
SERVIZIO DI SEGRETERIA
AL TELEFONO
Feriale delle 9,15: dal 24/6
(riprenderà il 16/9)
Festiva delle ore 16,30 del sabato: dal 15/6
(riprenderà il 21/9 )
Festiva delle ore 16,30 della domenica: dal 9/6
(riprenderà il 29/9)
Festiva delle ore 11,30 della domenica: dal 4/8
(riprenderà il 1/9)
Dal lunedì al venerdì:
ore 9,45 - 12 e 15,30 - 17
(sospeso dal 17/6, riprenderà il 2/9)
Rivolgersi all’Ufficio Parrocchiale per:
ADORAZIONE EUCARISTICA
per le vocazioni
guidata: il primo venerdì del mese ore 18,30
silenziosa: gli altri venerdì ore 18,30
- Sacramento del Battesimo
- Preparazione al Matrimonio
- Cresima Adulti
- Visita agli ammalati
sospesa dal 1°/7
(riprenderà in ottobre)
CONFESSIONI giorni feriali
Durante il periodo estivo non è garantita la disponibilità dei sacerdoti nei soliti orari.
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Sommario
dal taccuino del parroco
1
PADRE E AMICO
3
editoriale
consiglio pastorale parrocchiale
4
IL NUOVO CPP
cronache e appuntamenti
5
6
CON GLI ANZIANI A CHERASCO E ...
FESTA DELLA BIBBIA
per rifleere
8
9
10
COME... UNA BOLLA DI SAPONE!
UNDICI EROI
GIOCHIAMO A NASCONDINO?
campus
Il miracolo eucaristico - (sec. XVII-XVIII) - Ignoto
Basilica del Corpus Domini (Sacrestia) - Torino
11
12
13
LETTERA ALLE FAMIGLIE
CIASCUNO A SUO MODO
IL PAPA CI HA DETTO...
per crescere nella fede
L’ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE
Redazione
don Romolo Chiabrando,
Luca Astolfi, Eugenia Berardo Remondino,
Antoniea Callegari Astolfi, Marida Cardillo Morbelli,
Paolo Dosio, Lucia Eandi Occelli,
Ilaria Godio, Luigi Leone,
Maria Vioria Martinacci Tripodina, Enrico Occelli,
Elda Peroi Ogliei, Roberto Testore,
Pino Tripodina, Daniela Zanvercelli Dosio.
sede: via Boston, 37 - 10137 Torino
tel.: 011.35.20.13 - fax: 011.32.47.476
e-mail: [email protected]
sito: hp//parrocchie.diocesi.torino.it/parr037
Periodico della Parrocchia Natale del Signore
Supplemento a “Il Giornale della Comunità”
Autorizzazione Tribunale di Torino n. 2779 dell’8.3.1978
Direore responsabile: Marco Bonai
Distribuito gratuitamente,
ma non si respingono eventuali offerte
Tipografia: IMPRONTA tipolitografica
Via Colombeo, 15 - 10042 Nichelino (TO) - Tel. 011.6800713
14
15
LA VISITAZIONE
IL MAGNIFICAT
forum
16
18
DALLA PARTE DEI PICCOLI ...
DALLA COPPIA UNA ... TRIADE
finestra di don Sebastiano
19
LA MISERICORDIA
arte e fede
20
LA BASILICA DI SAN PIETRO
22
23
24
25
26
“È PROPRIO LUI!”
XXIV GIORNATA CARITAS
BEATI... LORO!
IL MIRACOLO DI TORINO
RENDICONTO ECONOMICO 2012
27
parrocchia informa
vita della Chiesa
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