Periodico di formazione e informazione della Parrocchia NATALE DEL SIGNORE di Torino Anno XX - Numero 75 - Giugno 2013 In questo numero... DAL TACCUINO DEL PARROCO Padre e amico Il Magnificat l mio articolo del numero di Pasqua “Fratelli e sorelle” terminava così: “Chiudo con una domanda: È cosa buona e giusta continuare a fare l’elemosina a coloro che si piazzano ogni giorno sui gradini della chiesa? (...) Come aiutare questi poveri fratelli a non accontentarsi d’essere questuanti a vita e a diventare protagonisti di una vita più dignitosa?”. Domande che attendono ancora una risposta. Nessuno si è fatto vivo. Ma, come comunità, dovremo affrontare efficacemente questo tema di difficile soluzione. Ora vorrei proporvi una riflessione che, potremmo dire, sta a monte di quel “Fratelli e sorelle”. L’ho intitolata, come avete letto, “Padre e amico”. Questo titolo mi è stato suggerito dalle lettere del nostro Arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia, che spesso si è firmato: Vescovo, padre e amico. Per il termine “padre”, avrei voluto iniziare con le parole di Gesù: “Non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste“ (Mt 23, 9). Obiezione che già fecero al card. Pellegrino, che voleva essere chiamato “padre”, piuttosto che “eminenza”. Come regolarci? Per la definizione di “amico”, mi viene subito alla mente il proverbio I suor Rosanna Gerbino La Basilica di San Pietro Pino Tripodina La Misericordia don Sebastiano Giochiamo a nascondino? “Chi trova un amico, trova un tesoro!”, il quale mette in evidenza una realtà che l’esperienza stessa della nostra vita ci fa constatare: ciascuno di noi infatti deve ammettere che i suoi veri amici si possono contare con le dita di una sola mano. Come può allora un vescovo essere amico di tutti? Il nostro Arcivescovo ha allora usato quelle parole in modo avventato, forse per accattivarsi la nostra attenzione? Non lo posso pensare. Papa Francesco durante l’omelia d’inizio ministero - 19 marzo 2013 Ilaria Godio Dalla parte dei piccoli e dei poveri Lettera alle famiglie Beati... loro! Dalla coppia una... triade ...e molto altro ancora Enrico Occelli don David Daniela Zanvercelli Marida Cardillo DAL TACCUINO DEL PARROCO Come non posso pensare che i tanti gesti compiuti da papa Francesco nei quali tutti intravediamo bontà paterna e amicizia vera siano una recita. Credo che tutti abbiate sentito parlare della “Visita ad limina”, che è l’incontro che i vescovi delle varie regioni pastorali del mondo hanno, ogni cinque anni, con il Papa. Ebbene, un gruppo di vescovi piemontesi, nove per la precisione, ha vissuto questo incontro lunedì 6 maggio scorso. Il nostro Arcivescovo lo ha commentato richiamando l’immagine di Gesù nel Cenacolo: “Papa Francesco si è comportato con noi come Gesù con i suoi, in atteggiamento di pace, di intimità, di piena cordialità. Come un padre che parla ai suoi figli, dicendo loro parole importanti con semplicità, in un vero clima di famiglia. Fra noi, in quell’ora abbondante di colloquio, è intercorsa un’amicizia che ci ha persino un poco spiazzati, quasi cancellando quel sentimento di riverenza che anche noi vescovi proviamo di fronte al Papa… È stata una precisa indicazione di stile per noi pastori, che abbiamo vissuto l’esempio di cordialità, di vicinanza che ci è stato offerto”. Una preziosa indicazione anche per le mie riflessioni. Con viva sorpresa ho trovato tra le parole dell’Arcivescovo il binomio “Padre e amico” che forma il titolo di questo articolo. Penso che Gesù non volesse escludere noi dal diritto di attribuirci l’appellativo di “padre”: se cerchiamo di essere come Lui, non ci è negato né questo né altro analogo titolo. Dipende tutto da noi! Quanti mi hanno chiamato “padre”! E quanti “amico”! Nel rito del Battesimo, al momento dell’unzione con il crisma, io divento il “cristo”, cioè l’unto del Signore, come Gesù Cristo, che è sacerdote, re e profeta. Divento come Lui e come Lui vivo quell’ufficio sacerdotale, profetico e regale. Quanto poi all’amicizia, ci confortano le parole di Gesù che dice: “Non vi chiamo più servi, (...) ma vi ho chiamati amici!”(Gv 15, 15); e precisa: “Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando”. Vorrei provare ad approfondire ancora quei due termini – “padre” e “amico” - che noi usiamo con tanta facilità, un po’ come la parola “amore”, dando il significato che vogliamo noi. Proviamo a chiederci chi è “padre”. Il vocabolario della lingua italiana (Devoto Oli - ed. Le Monnier) afferma che padre è l’uomo che ha generato, rispetto alla prole e all’ambito familiare. Quante volte, nel recitare il “Padre nostro”, abbiamo pronunciato la parola “padre” e ci siamo soffermati a pensare che Lui è Padre perché ci ha generati? È vero che io ho avuto la vita attraverso mio padre e mia madre, ma è altrettanto vero che essi in questo ruolo sono stati collaboratori di Dio, vera ed unica origine della vita. Quando eravamo bambini, nelle piccole liti con i compagni di gioco, di fronte ad un’ingiustizia o ad una violenza, minacciavamo: “Lo dirò a mio padre!”, perché pensavamo al nostro papà come al più forte, all’unico capace di far giustizia! Ma nel “Padre nostro” chiamiamo “Padre” colui che nel “Credo” definiamo “Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”, Colui che ha creato tutto! E dal Genesi (cap. 1-2), pur ammettendo che la narrazione sia mitica, emerge comunque chiara l’immagine di un Dio che ha creato tutto, veramente tutto… la luce, le tenebre, il sole, la luna e le stelle, il mare, il cielo, la vegetazione, gli uccelli, i pesci, gli animali tutti… e noi! Ha dato la vita a me, a te, a noi, a tutti! Lui è “mio Padre”, anzi è “nostro Padre”! E da sempre è Padre del Figlio, che da sempre è generato: non ha incominciato ad esistere, perché generato dall’eternità. Nel Credo affermiamo inoltre che Gesù Cristo è “unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli… generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Un Padre fantastico! Chi lo avrebbe potuto immaginare? E noi lo possiamo invocare come “Padre nostro”! Quel Padre che il Salmo 23 (22), al versetto 4, ci descrive come il Pastore che non ci lascia mancare nulla. Ci difende e ci guida “anche se vado in una valle oscura non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone, il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Se noi vogliamo sapere qualche cosa di questo “Padre nostro” ci è sufficiente guardare Gesù, il quale dice all’apostolo Filippo: “Filippo, chi vede me, vede il Padre” (Gv 14, 9). In tutto ciò che dice e fa, Gesù è talmente in sintonia con il Padre, che ne è una rivelazione continua. 2 Quando mi chiamano “padre”, quando ti chiamano “papà”, quando ti chiamano “mamma” (sì, perché anche la maternità viene dalla paternità generatrice di Dio), quando ci sentiamo chiamare così, pensiamo che la nostra “paternità” (o “maternità”), questa splendida dignità ci viene da Dio? Pensiamo che essa comporta un inderogabile dovere: imitare Lui e afferrare con mano sicura il “testimone” che Lui ci passa e ci affida? Detto così, il compito sembra impossibile, l’obiettivo inarrivabile. Alla misericordia divina basterà però che ognuno s’impegni “onestamente”, senza cioè drammatizzare i propri limiti e senza nascondere i propri talenti. A sostenerci c’è l’immancabile “paterno” aiuto di Dio, a stimolarci e ricaricarci ci sono testimonianze ed esempi particolarmente significativi: l’esempio di papa Francesco, che fa il papà di tutti coloro che incontra, l’amico che si china su tutti; l’esempio del vescovo Cesare, che sembra non avere spazio per sé, ma solo per gli altri, in un continuo vortice d’impegni da capogiro. Come un “padre ed un “amico” il nostro Arcivescovo, al termine di ogni celebrazione, scende tra la gente a salutarla e si preoccupa dei più poveri. Nelle sue Lettere ci raccomanda l’attenzione ai malati e agli anziani, l’accoglienza e l’ospitalità ai poveri, zingari compresi, da avvicinare senza pregiudizi. Ma in Dio vediamo anche un “amico”. Ce l’ha detto Gesù (Mt 11, 29): “Imparate da me che sono mite e umile di cuore…“. Ma avrebbe potuto anche dire: imparate da me che sono “l’immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione” (Col 1,15). Gesù ha proprio il “marchio d’origine controllata” dell’amore, é assolutamente autentico. Il suo amore, proprio perché è l’amore di Dio Uno e Trino, è un amore che non ha date di scadenza. Un amore che non può deteriorarsi, a meno che non lo vogliamo noi. Vale la pena seguire Gesù, imitarlo. “Lo Spirito Santo ci rivela che Dio è un vero papà!”. L’ha detto il Papa. Ed è anche un vero amico! Questo mi permetto di dirvelo io, anche se conto molto meno del Papa. don Romolo EDITORIALE Nell’editoriale de “il nostro tempo” del 24 marzo u. s., Antonio Sassone scrive: “Papa Francesco: un ciclone. Negli ai, nei gesti, nelle parole. È il vento nuovo nella Chiesa. E nel mondo. Bontà, fiducia, speranza, carità. Amore e tenerezza. Sentimenti che sono valori. Esorta a coltivarli. A non avere pudore nel manifestarli. E lo dimostra di persona... e chiede a tutti di essere custodi del creato...”. È una sintesi efficace per un ritratto abbastanza fedele. Riteniamo però molto importante, per una personale riflessione, disporre del testo integrale - che qui di seguito riportiamo dell’omelia pronunciata dal Papa nella Messa d’inizio del suo ministero petrino celebrata il 19 marzo scorso. La Redazione R ingrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale; è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solo noi cristiani: ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente; poi, come genitori si prendono cura dei figli, col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore si inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna. Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di morte e distruzione accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! “Custodire” vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà; anzi, neanche della tenerezza! Con affetto saluto i fratelli cardinali e vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della Comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo diplomatico. Abbiamo ascoltato nel Vangelo che “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: “San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello”. Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne al tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio nel Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù. Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide […]: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. continua a pag. 4 3 Consiglio Pastorale Parrocchiale Dalla 1^ assemblea del 10.05.2013 del nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale Seduti da sinistra In piedi da sinistra Antonio Russo Luca Del Negro Silvia Varano Gallione Samuela Pivaro Leoncino Angela Guzzo Costantino Stefania Frizzi Castellana Lorenzo Paviera Luca Astolfi Gian Bruno Guasco Paolo Leoncino Giorgio Capussotti Jader Godio Alberto Gherra Salvatore Dispenza Elda Frencia Cartello Elena Gaibotti Cristina Bernardi Lanfranco Elsa Pesce Cutica Alberto Bughi Peruglia Filippo Sangiorgio Eliana Rosano don Romolo Chiabrando Giuseppe Sacco Ilaria Godio Giuseppe Corvaglia Lorenza Anfossi Assenti: Salvatore Bruno - Gregorio Caponio - diacono Benito Cutellè - don David Duò Pia Maria Maccario Del Negro - don Giovanni Paino - Anna Taliano Sacco segue da pag. 3 Nella seconda lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale “credette, saldo nella speranza, contro ogni speranza”. Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi, davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo e ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è capire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio. Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza; custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato! E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire! Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen! 4 Cronache e appuntamenti Con gli anziani a Cherasco e Pollenzo iovedì 18 aprile con anziani e pensionati della nostra parrocchia abbiamo partecipato al pellegrinaggio diocesano a Cherasco e Pollenzo. L’aria tersa del mattino, che preludeva ad una splendida giornata di sole, ben si sposava con l’entusiasmo dei partecipanti pieni di gioia per la prospettiva non solo di vedere posti nuovi, ma anche e soprattutto di trascorrere una bella giornata in compagnia. Per gli anziani, che purtroppo spesso vivono in solitudine, l’occasione di trovarsi con persone nuove con le quali conversare e confrontarsi è molto allettante. Il viaggio, abbastanza breve, verso Cherasco (prima meta), non ha smorzato gli entusiasmi, anzi… La voce che in quella cittadina si sarebbero potuti gustare ottimi dolcetti si era sparsa rapidamente e aveva risvegliato negli animi un’ulteriore dose di ottimismo mentre in bocca già si avvertiva una prematura... acquolina: succede a tutte le età. G Poiché però non di “gola” soltanto è fatto l’uomo, raggiunta la meta, si è dedicato un po’ di tempo anche alla cultura, visitando nobili palazzi e chiese storiche. Tra questi Palazzo Salmatoris con i suoi magnifici affreschi… Qui ci attendeva un’esperienza partico- lare: la mostra di pittura che intendevamo visitare, a causa di un problema elettrico, mancava di sufficiente illuminazione, per cui i quadri, anziché ammirarli in piena luce, li abbiamo soltanto “intravisti”, avvolti com’erano in una suggestiva penombra che ha dato un tocco surreale alla visita. Fortunatamente all’esterno il sole continuava ad illuminare tutto. Il santuario di Nostra Signora del Popolo ha rapito gli sguardi di tutti con i suoi eleganti stucchi, le sue statue lignee e la forma curiosa delle vetrate. La chiesa di San Pietro, nella quale è stata celebrata la Messa seguita da tutti con molta partecipazione, ci è sembrata uno scrigno di vere opere d’arte. L’ex monastero dei Padri Somaschi, riportato all’antico splendore da un accurato lavoro di restauro, è ora diventato un hotel di lusso molto elegante. Non certo meno interessante è Pollenzo, paesino che ci sembrava volerci stringere in un abbraccio con la sua grande Piazza della Corte Albertina sulla quale s’affaccia la bella Chiesa di San Vittore che conserva un pregevole coro ligneo e un soffitto delicato e prezioso come un pizzo. L’esterno è un tripudio di statue, pinnacoli, loggette, archi rampanti… E, più in là, il Castello con le due torri merlate e le mura che riportano indietro nel tempo… non ci saremmo stupiti neanche troppo se ci fossero venuti incontro dame e cavalieri. 5 S’incontrano invece giovani studenti olandesi diretti alle cantine del Banco del vino, probabilmente per seguire una lezione su Barolo, Dolcetto e Barbaresco. Per gli amanti del buon bere sono “lezioni di vita” molto interessanti. La presenza di studenti non deve stupire perché a Pollenzo ha sede l’Università delle scienze gastronomiche dove non s’insegna a diventare cuochi bensì a conoscere le varie tecniche dell’agricoltura, i diversi metodi di produzione di tutto ciò che riguarda l’alimentazione; e molte altre cose ancora. È molto interessante ricordare che, grazie a questa Università, si è potuto recuperare la zona storica con la sua preziosa testimonianza del passato e riportarla ad un nuovo splendore. Cherasco e Pollenzo sono solo alcune delle “perle” che si possono ammirare nella nostra bellissima terra; l’importante è sapersi guardare attorno con occhi curiosi e cuore ancora aperto a nuove emozioni. E non importa se le primavere sono tante; anzi, sarà forse maggiore la voglia di arricchire la vita con nuove scoperte, come hanno dimostrato ampiamente i nostri compagni di viaggio. Angela e Maria Antonietta Cronache e appuntamenti La Festa della Bibbia E ccoci qua pronti per la gara, ma soprattutto pronti a divertirci. È domenica 3 marzo e splende un bel sole che consente ai bambini di giocare all’aperto nei cortili delle quattro parrocchie (Madonna delle Rose, Maria Madre della Chiesa, Natale del Signore, Santa Rita) dell’Unità pastorale 17. La Festa della Bibbia si rivela ancora una volta un momento particolarmente adatto e propizio per fare festa tutti insieme e sentirci tutti uniti in un “unico corpo” benché appartenenti a distinte e differenti parrocchie. La squadra del Natale del Signore del secondo anno del ciclo della Prima Comunione vede schierati: Sofia, Francesca, Alessandra, Marta, Alberto, Edoardo grande, Edoardo piccolo, Matteo, Luca, Marco, alcuni genitori e, naturalmente, le catechiste. Un improvviso attacco di febbre ha costretto Bruno a dare forfait, dopo aver dedicato tutta una serata a leggere le parabole a fumetti per essere preparatissimo. Con i nostri bei foulard ci scateniamo correndo e facendo mille acrobazie, ci misuriamo nello “stendere i panni”, nel “cucinare pesci di carta” e nel “leggere messaggi microscopici” per rispondere alle tante domande. La squadra dimostra di essere molto preparata sulle parabole del perdono: dal Padre misericordioso alla Pecorella smarrita, dalla Maddalena a Zaccheo. Le squadre del Natale del Signore del primo e del secondo anno del ciclo della Cresima gareggiano insieme e riescono a destreggiarsi con grande abilità tra Comandamenti e Beatitudini. È bellissimo vedere i più grandi aiutare i più piccoli: un bell’esempio di collaborazione senza rivalità e di sostegno nelle difficoltà presentate dalle domande. I giochi, tanto avvincenti quanto impegnativi, non lasciano spazio all’improvvisazione e sottopongono i nostri ragazzi a tensione e concentrazione molto alte. Risultato: tutti vincitori in almeno una gara e un fantastico primo posto per tutte le squadre presenti! Cos’altro aggiungere? Semplicemente una riflessione. I ragazzi ci hanno ancora una volta insegnato quanto più della vittoria sia importante la partecipazione, alla quale ciascuno di loro ha dato il suo contributo facendosi sostegno per il compagno di gioco, concretizzando la finalità della giornata della “Festa della Bibbia”: rendere vivo il senso dell’unione. Grazie, bambini e ragazzi, grazie di cuore per la gioia che avete dato a tutti noi “vecchietti” lì presenti per sostenervi. i concorrenti Roberta & Ilaria 6 Cronache e appuntamenti la competizione Abbiamo riportato qui alcuni giochi nei quali si sono cimentati e misurati i nostri ragazzi, per testimoniare la serietà del loro impegno e - lo confessiamo - per stimolare negli adulti la curiosità e magari la voglia di verificare se occorra loro rinfrescare la memoria. I ragazzi sarebbero lieti di aiutarli! 7 Per riflettere Come... una bolla di sapone! iamo nello scorso mese di febbraio. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale è prossimo alla scadenza e deve essere rinnovato. Ed ecco che la “macchina elettorale” si mette in moto. Viene formata la canonica Commissione che deve stabilire compiti e scadenze. In essa nasce ben presto un clima d’impaziente attesa e - perché no? - di speranzoso entusiasmo: “Sicuramente nel nuovo Consiglio ci saranno persone nuove con idee nuove!”. Poiché il tempo disponibile non è tantissimo, per prima cosa si procede ad informare i Gruppi parrocchiali, invitandoli a designare ciascuno un proprio rappresentante. Poi ci si rivolge all’intera comunità che, secondo le norme diocesane, deve esprimere i suoi 15 rappresentanti. Inizia la ricerca dei candidati: vengono esposti manifesti esplicativi; al termine di ogni Messa festiva viene data ampia comunicazione e viene rivolto un caldo appello ai parrocchiani “di buona volontà”: “Chi è disponibile a collaborare col parroco?”. Non si tralascia neanche qualche argomento di persuasione specifico per i pigri e gli indolenti: “L’impegno non è poi così gravoso: sei o sette incontri all’anno, nei quali il parroco chiede di essere aiutato a discernere ciò che serve al bene della comunità. Tutto qui!”. In Commissione siamo tutti convinti che saranno almeno una trentina le persone che presenteranno la propria candidatura. Tutto viene preparato con cura, dunque... è giusto coltivare ottimismo e rosee aspettative... è giusto, giorno dopo giorno, dare spazio alla speranza e riempirne, anzi gonfiarne, l’intero ambiente parrocchiale. Ma, alla resa dei conti, inopinatamente, tutto si sgonfia, anzi scoppia come una bolla di sapone, che si riduce ad una piccola goccia d’acqua saponata! Si candidano soltanto 11 persone! Sulle prime ci si sente profondamente delusi; poi, come reazione, ci prende una voglia matta di osannare quegli undici volenterosi: Benvenuti! Anzi, doppiamente benvenuti! - perché si tratta di esemplari rari e preziosi che dovremo accogliere con affetto e proteggere da ogni possibile... rischio d’estinzione. Ma… la delusione è grande: “Solo undici?”. “Sì, solo undici!”. È chiaro che entreranno direttamente a far parte del nuovo Consiglio e che non si procederà ad alcuna votazione. S 8 A questo punto permettetemi alcune osservazioni. Ripensando alla recente visita pastorale del nostro vescovo Cesare che ha definito la comunità come “famiglia di famiglie”, mi chiedo quanto lungo sarà il cammino che dovremo fare per diventare davvero come il Vescovo ci chiede di essere. Mi chiedo poi anche a che cosa sia dovuto il “fallimento” delle elezioni dei rappresentanti della comunità; si tratta infatti di fallimento se in una comunità grande come la nostra solo 11 persone hanno sentito di doversi impegnare per il bene della collettività parrocchiale. Non voglio credere che siano molti coloro che vedono la parrocchia come un “ente di servizio pubblico” che “deve” fornire i sacramenti, che “deve” essere sempre pronto ad accogliere, che “deve” permettere a ciascuno di ricevere ciò che gli serve, e che pensano che “ad impegnarsi debbano essere sempre gli altri”. Voglio pensare, invece, che forse l’informazione data non sia stata né sufficiente né, tanto meno, coinvolgente. E forse, tra le persone che per motivi vari partecipano soltanto alla Messa festiva, non molte conoscono le attività che si svolgono all’interno della parrocchia e il conseguente impegno profuso in esse da tante persone di buona volontà. Qui allora sorge spontanea una domanda: “Serve il Foglio informativo che puntualmente, ogni mese, viene stampato in centinaia di copie?”. Spesso dall’ambone i sacerdoti invitano a partecipare alle diverse attività con la speranza che “i cuori s’inteneriscano” e nuovi volontari offrano il loro contributo rendendo così possibile il graduale quanto necessario ricambio generazionale nei vari gruppi; ma immancabilmente gli appelli cadono... nel vuoto. Chi sostituirà mai le persone da lungo tempo sulla breccia? A volte sento dire che oggi si è soltanto capaci di pretendere tutto e subito, e che non si sa più dare gratuitamente, neanche in misura minima, né tempo né impegno. Io non lo credo. Penso però che la speranza, o meglio l’illusione, che aveva animato i preparativi per il rinnovo del Consiglio, dissoltasi poi in breve tempo come una bolla di sapone scoppiata senza nemmeno fare un botto, aiuti tutti a riflettere e spero che qualcuno si chieda se onestamente può fare di più. In una comunità parrocchiale che vuole diventare “famiglia di famiglie”, c’è posto per tutti. Maria Vittoria Tripodina Per riflettere Ed è davvero da eroi dire al parroco: “Se ti serve, io offro il mio tempo per aiutarti a costruire il bene della nostra comunità!”. Non facciamoci confondere dall’immagine classica dell’eroe come colui che compie nella sua vita un gesto eclatante ed estremo. Oggi il vero coraggio sta nell’essere uomini e donne di fede tutti i giorni, abituati a considerare cosa normale la difesa delle cose e dei valori che contano, capaci di non pensare solo a se stessi, ma anzi pronti a sporcarsi le mani per gli altri. Io sono entrato a far parte del Consiglio per richiesta di don Romolo, e vi confesso che, quando me lo ha proposto, ho subito cercato di quantificare quanto impegno comportasse, quasi fosse un peso da portare... Ma quando venerdì 10 maggio, alla prima convocazione, ho conosciuto quegli undici amici, mi sono sentito meschino, perchè loro mostravano un entusiasmo ed una voglia di fare da cui ho subito deciso di farmi coinvolgere: da loro posso e voglio imparare. Sono membri nuovi del Consiglio, ma non sono certo persone nuove all’impegno in parrocchia: questo faciliterà di sicuro il lavoro di questo neonato CPP, il quale può anche contare su un’altra caratteristica importante, ovvero la presenza di un buon numero di giovani. Non dimentichiamo che il CPP ha bisogno di novità e di tradizione, di membri nuovi e di membri storici, che saranno come i due polmoni necessari a garantire un respiro pieno e sano a questo... tenero neonato. Non sarà sempre tutto facile, non sarà una strada sempre in discesa: non dimentichiamo mai che a volte la fatica, la stanchezza, le preoccupazioni possono colpire anche gli eroi più navigati. Mi piace, concludendo, rilevare una suggestiva coincidenza... numerica: Gesù Cristo trovò, una volta risorto, in altri undici eroi (escludendo il povero Giuda) la collaborazione sufficiente e necessaria per far nascere la Chiesa. Nostro Signore non ebbe bisogno di grandi numeri né di professionisti affermati (molti tra gli apostoli erano semplici pescatori) e nemmeno di fede granitica (Pietro persino lo rinnegò). A Lui basta il nostro “sì” per fare dei miracoli, come gli bastarono pochi pani e pochi pesci per sfamare migliaia di persone. Volete che undici eroi non gli bastino per fare qualche miracolo anche nella nostra parrocchia? Luca Astolfi Undici eroi! N o, non sono i componenti di una squadra di calcio imbattibile. Gli undici eroi di cui voglio parlare sono gli undici amici parrocchiani che hanno deciso di candidarsi per fare parte del nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale ( “CPP”). In un’epoca in cui purtroppo sembra contare solo la visibilità individuale, in cui lo straordinario e l’eccezionale sembrano essere le sole cose importanti, io mi trovo a concordare invece con il buon Lucio Dalla che in una sua canzone sosteneva che “l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. E concordo anche con Caparezza, un altro cantante, forse un po’ più conosciuto dai giovani, che sicuramente è più bravo di me con le parole, il quale ha saputo spiegare meglio come si possa definire oggi l’eroe: “Sono un eroe, perché lotto tutte le ore. Sono un eroe perché combatto per la pensione. Sono un eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari, dei cravattari”. Qualcuno potrebbe ritenere eccessiva questa mia enfatica considerazione, visto che la riferiamo a “persone normali” che, senza tanti clamori, hanno scelto di candidarsi al CPP. Abbiamo subito sentito commentare in giro: “Peccato, ci sono solo undici candidati spontanei!”. Altro che peccato, è un vero miracolo! Significa che ci sono ancora persone (non molte, ma ci sono) capaci di offrire tempo ed energia per aiutare il proprio parroco e la propria comunità! Quanti sono oggi coloro che farebbero qualcosa senza richiedere in cambio soldi o almeno un minimo di popolarità? D’altronde, quale realtà è in difficoltà più della parrocchia, sommersa da emergenze economiche e minata da un crescente spopolamento delle assemblee domenicali? È davvero un’impresa essere “normali”, essere capaci di raccogliere l’invito dei sacerdoti, i quali per settimane hanno chiesto la collaborazione di “parrocchiani di buona volontà” per costituire quel gruppo di collaboratori del parroco che è il CPP. è be lla ! * Apriamo gli occhi su notizie e piccoli fatti che c’inducono a sperare * Q ue st a B isognerebbe chiedere a suor Rosanna di scrivere qualcosa per noi…”. “Sì, l’ho sentita anch’io in un convegno. Ti fa riflettere davvero sulla Parola di Dio…”. Come contattare suor Rosanna? Ed ecco che, avuto da Luca il numero del cellulare, con una grande faccia tosta, le telefono. “Chi le ha dato il mio numero?”. “Luca Astolfi”. “Chi è?”. Mi trovo spiazzata, ma subito le preciso che Luca collabora con Pierluigi Dovis, nella Caritas diocesana. Ce n’è a sufficienza per una... garanzia! Infatti ora la sento più disponibile ad ascoltarmi. Rinfrancata, le chiedo allora se è possibile avere qualche suo scritto da pubblicare sul nostro giornale parrocchiale; la risposta è tanto immediata quanto scoraggiante: “Io non scrivo mai nulla!”. Sono ormai demoralizzata e sul punto di abbandonare il progetto, quando del tutto casualmente, in un incontro con amici, sento parlare di una certa... suor Rosanna. Drizzo le antenne e scopro che una mia amica la frequenta da tempo tanto che ne ha registrato ben 24 conferenze! La faccio breve: alla richiesta, inoltrata tramite la mia amica, di pubblicare parte delle registrazioni, suor Rosanna risponde autorizzandoci, senza alcuna difficoltà, a pubblicare tutto quanto riteniamo utile. È proprio vero che… “il mondo è un villaggio”, e ancor più che “le vie del Signore sono infinite”. [m. v. t.] 9 Per riflettere Detto così il gioco può sembrare poco interessante, ma il divertimento consisteva proprio nel ripetersi di alcune situazioni (la ricerca del nascondiglio, la tensione alle stelle, la corsa sfrenata), ma anche nel variare di altre (a volte, se c’erano troppi partecipanti, a contare si era in due; talvolta, se il designato non era ritenuto abbastanza abile nella corsa, per non essere penalizzato, veniva sostituito d’ufficio). Tutto era, però, finalizzato alla condivisione dei momenti forti del gioco, al piacere di raccontare le emozioni provate, allo studio delle modifiche da apportare alle regole per dare loro un’aria nuova e più brio, al fine di attirare nuovi partecipanti, nella speranza di allargare la cerchia degli amici. Giochiamo a nascondino? “A mbarabà ciccì coccò, tre civette sul comò... e la figlia si sposò! Ambarabà ciccì coccò! Tocca te contare!“. Il designato dalla “conta” cominciava a contare: “Uno, due, tre, quattro, ...”. E mentre lui contava fino a cento, coprendosi gli occhi con le mani e appoggiando la fronte al muretto, la cosiddetta “tana”, tutti gli altri correvano immediatamente a nascondersi nei posti più impervi, dove non fosse facile essere scovati. Trovato il giusto nascondiglio, iniziavano a studiare la strategia per uscirne all’improvviso e raggiungere il muretto senza essere catturati. Quanta trepidante emozione in quell’attesa del momento propizio a cogliere di sorpresa l’avversario! In quel clima di complicità e solidarietà, pur nel silenzio più assoluto, sentivamo accrescersi in noi lo spirito di gruppo e il senso di appartenenza ad esso, valori che da ragazzi ritenevamo fondamentali per la nostra vita. E quando il “nemico” si avvicinava e si sentivano i suoi passi minacciosi ed il suo respiro ansimante per la paura di trovarsi all’improvviso faccia a faccia con un’orda di ragazzi scatenati, pronti a tutto per non farsi prendere, la tensione saliva vertiginosamente, i cuori battevano all’impazzata e, giunto il momento, senza profferir parola, tutti eravamo pronti a sbucar fuori. Passano gli anni e ci si ritrova a giocare a nascondino da adulti; ma le regole, ahimè, non ci sono più e ciò che da ragazzi animava la partecipazione pare totalmente scomparso: chi “è sotto” e deve contare sembra destinato a farlo per tutta la vita; coloro che “si nascondono” rimangono “al riparo” e non manifestano alcuna intenzione di uscirne neppure per far sapere che ci sono; l’alternanza dei ruoli (a volte “conto”, a volte “mi nascondo”) non è più considerata uno stimolo per migliorarsi e per migliorare le dinamiche della partecipazione. Tutto ciò è proprio triste, vero? Sì, triste perché noi adulti abbiamo perso il significato profondo del nascondimento. La ricerca del nascondiglio, ai tempi della nostra adolescenza, serviva per trovare un posto sicuro, ma la permanenza al suo interno non doveva essere perenne: prima o poi si sentiva la necessità di uscirne senza dover forzatamente attendere l’avvicinarsi di chi doveva cercarci. Si usciva perché era giunto il momento di farlo, perché lo si era concordato con i compagni di gioco, perché il gioco doveva continuare e... guai a farlo finire senza avergli dato il naturale sviluppo! Ma, perché abbiamo perso questo senso del gioco? Perché non sentiamo più il pathos della partecipazione? Perché non sentiamo più la necessità di dare una mano a costruire, progettare, innovare? Perché rimangono in pochi - e sempre gli stessi - all’interno dei gruppi? Perché non pensiamo mai ad un rappresentante scelto e sostenuto dal gruppo, invece di mandare allo sbaraglio un malcapitato che deve immolarsi per riempire un vuoto lasciato da altri? Perché non siamo mossi dal desiderio di far sentire la nostra voce mentre, magari, amiamo criticare? Perché una volta terminato il nostro mandato, cerchiamo un sostituto solo perché “non ce la facciamo più” e non sappiamo più trasmettere la gioia della partecipazione e dell’impegno? Perché non ci ricordiamo più che il gioco è bello quando si partecipa in tanti? Perché non vogliamo cambiare i ruoli per sapere “come si sta dall’altra parte”? Perché abbiamo paura di esserci? A quel punto, grida selvagge e salti felini accompagnavano la folle corsa verso il muretto e infine l’urlo liberatorio: “Liberi tutti!”. Ed il povero “designato” era costretto a contare nuovamente… Il gioco poteva ripetersi così, fino a quando il primo designato non fosse riuscito, correndo più velocemente, a catturare uno degli altri al quale poter passare il compito di contare fino a cento. Le domande potrebbero continuare all’infinito e fino a quando riusciremo a porcele potremo ancora avere la speranza di riprendere a giocare; ma se continueremo a rimanere nel nascondiglio alla fine più nessuno verrà a cercarci. Ilaria Godio 10 Campus Lettera alle famiglie C arissime famiglie, è la quattordicesima volta che vi scrivo: lo so perché le conto, e cerco di tenere in ordine il percorso che seguiamo ormai dal 2010. Vi rinnovo l’invito a rispondere alla lettera: il mio indirizzo di posta elettronica (personale) è [email protected]. Inoltre, poiché da ottobre esiste anche la casella postale per i catechismi, i genitori possono scrivere all’indirizzo: [email protected], al quale attualmente accede il sottoscritto, ma che è destinato ad essere lasciato in eredità al mio successore. Potete scrivere per domande personali, richieste di delucidazioni, suggerimenti sui temi che vi stanno più a cuore: non escluderei nulla, neanche i saluti! Veniamo ora al tema di questa lettera, ossia: La legge espressa dai dieci comandamenti. Gesù ha riassunto le due tavole di Mosè nel duplice comandamento dell’unico amore, com’è riportato nel vangelo di Marco (12, 29-31): “Il primo è: Il Signore Dio nostro è l’unico Signore, amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Evidentemente Gesù ha fatto una sintesi potente del cuore della legge, citando l’Antico Testamento (che è evidentemente parola ispirata da Dio): le fonti sono il Deuteronomio per il primo e il Levitico per il secondo. Il primo in particolare riassume la prima tavola, ossia i primi tre comandamenti che regolano i rapporti tra l’uomo e Dio. È quel Dio che ha liberato Israele dall’Egitto al tempo di Mosè e che, per liberare noi dal peccato, non ha esitato a donarci e sacrificare suo Figlio. Dunque, è un Dio che per primo ha amato noi, se così si può dire, con tutte le sue forze e tutta la sua anima. Pertanto, amare Dio è in primo luogo un atto di riconoscenza verso chi ci ha amati da sempre in un modo molto più profondo di quel che possiamo capire. Ora vi dirò perché voglio parlarvi di questo aspetto (di per sé fondamentale), a partire da un episodio dalla vita quotidiana. Una persona anziana a cui voglio molto bene, mi spiegava che un prete che sbaglia compie un atto molto grave: se lui sbaglia, che esempio dà agli altri? Può sviare il gregge. Le ho chiesto se era battezzata, e lei mi ha detto di sì. Allora ho fatto notare che anche lei doveva essere di esempio agli altri, come del resto tutti i battezzati. Lei ha annuito, ma ha anche voluto precisare di considerarsi una buona cristiana: “Non ho mai fatto niente di male, non ho mica rubato o ammazzato qualcuno!”(quinto e settimo comandamento). Allora le ho chiesto se andava a messa tutte le domeniche, ma su questo punto ha glissato, dicendo che in fondo c’erano cose più importanti... Davvero? Allora, perché “amare Dio” è il primo comandamento in assoluto, da ottemperare addirittura “con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente, con tutta la nostra forza”? Esso viene prima dell’amore per il prossimo, che ne consegue quasi automaticamente in una vita spirituale autentica. Ho raccontato l’episodio perché esprime una posizione molto diffusa sulla religione. Cerchiamo di capire cosa funzionava e cosa non funzionava in quel discorso. È certamente corretto dire che in modo particolare i preti devono dare l’esempio, in quanto guide delle comunità. 11 Non è invece corretto scaricare su di loro l’intera responsabilità a tale riguardo. Su questo punto la signora sembrava accettasse l’obiezione, salvo poi a limitare il “proprio dovere” a soltanto due comandamenti. Ma la morale cristiana è basata innanzi tutto sull’amore, e non sul dovere. “Ama!” non è un ordine che s’impone da fuori, ma è un impulso che urge da dentro l’anima: dev’essere l’esigenza della creatura che scopre l’amore del suo creatore e cerca di corrispondervi. In secondo luogo, non puoi dire di amare Dio se non ami ciò che ama Lui; non puoi nemmeno dire di conoscerlo, se non conosci la sua volontà; e, se non lo conosci, come puoi amarlo? Se poi non lo incontri nella liturgia, nella santa messa, di che amore vai parlando? Se stare alla sua presenza ti pesa (“Di nuovo la messa? Di nuovo il catechismo?”), non ti sembra che l’intero rapporto con Lui sia profondamente ipocrita? Che vuol dire per te “con tutta la tua mente” se poi non ci pensi mai, se le sue parole non le ascolti? Scusate lo sfogo, ma è per farvi capire che ci tengo tantissimo, la fede dev’essere autentica! Per questo penso che dedicherò alcune lettere per parlarvi dei dieci comandamenti, ed anche per un altro motivo importante: possiamo scoprire la bellezza di Dio proprio contemplando la bellezza della sua legge. Ciò che Dio nostro Padre ci chiede, ciò che vuole per noi, esprime molto bene la grandezza del suo amore, quindi potremmo conoscere l’amore di Dio proprio a partire dall’amore per la sua legge. Questo è anche il motivo per cui facciamo catechesi ai piccoli e ai grandi, per cui non si smette mai di curare la propria formazione umana e spirituale, per cui i sacramenti non vengono mai dati senza un’adeguata preparazione. E non stanchiamoci di amare Dio, Lui non si stanca mai di noi! Vostro aff.mo don David Campus Ciascuno a suo modo... Abbiamo, infatti, chiesto ai più giovani di scrivere qualcosa da condividere ed essi hanno prontamente risposto. Qui di seguito sono riportati alcuni stralci dei loro pensieri. I più grandi, oltre a confermare anch’essi la bellezza e la profondità di questa esperienza, hanno voluto però sottolineare una loro particolare sensazione: si sono sentiti poco coinvolti in quel modo di pregare, in difficoltà nel seguire la recita dei salmi senza la guida di un libretto. In una liturgia estremamente curata si è corso il rischio di farci sentire spettatori passivi, quando invece dovrebbe aiutarci ad entrare nel Mistero dalla porta principale… Quindi a ciascuno il suo… modo di pregare! Con l’estate ormai alle porte, possiamo comunque affermare che un “giro” in questo monastero potrebbe essere proprio una scelta azzeccata. ome tutti gli anni, in prossimità del Natale o della Pasqua, i giovani della nostra comunità trovano il tempo per fare un momento di ritiro. Quest’anno si è pensato di andare al monastero cistercense Dominus Tecum situato a Pra ‘d Mill, località vicina a Bagnolo Piemonte. Ed allora, in due weekend differenti, i componenti del gruppo Sun Flowers (1^ superiore) e EDI (dalla terza superiore in poi) hanno utiCampo giovani Pra d’mill lizzato lo spazio dell’autogestione del a monastero per riflettere sul proprio cammino individuale. In entrambi i casi abbiamo cercato di sincronizzarci con la rigorosa tempistica dei monaci. La mattina la sveglia era alle 3,40 e alle 4 la partecipazione al primo momento di preghiera della giornata. Che levataccia, ma ne valeva la pena! Dopo qualche ora di sonno... compensativa, ci attendeva l’incontro con padre Abramo, il quale amava intrattenerci su alcuni aspetti della loro vita monastica, in particolare sul loro modo di pregare. Abbiamo così appreso il motivo per cui pregano così presto al mattino: ”Preghiamo per affidare a Dio il mondo e la giornata che lo aspetta”. Preghiera molto curata e strutturata, scandita dal suono di una campana. Non mi dilungo troppo nella descrizione del luogo, molto particolare, e nemmeno nel descrivere come mai questa comunità sia in continua crescita. Vorrei lasciare spazio alle impressioni dei ragazzi. C Questo ritiro mi è servito particolarmente perchè, grazie al silenzio e al deserto, sono riuscito a riflettere. Ringrazio inoltre i monaci per l'accoglienza. Richi Luigi Leone Devo dire che il ritiro, tolto il dover giocare a nascondino per trovare campo per il cell, è stato un’esperienza entusiasmante e, in un certo senso, divertente, ma soprattutto spirituale. Giulio Questo ritiro è stata un'esperienza bellissima... Non solo abbiamo conosciuto e vissuto un altro stile di vita, quello dei monaci, ma per me è stato unico perché ho sentito un grande piacere di stare con voi (anche se ero malato). Ragazzi, vi voglio un bene pazzesco e tengo molto al gruppo della nostra parrocchia e spero che continueremo a crescere insieme. Martin È stato uno dei ritiri migliori... Bellissimo il paesaggio e tutto ciò che avevamo attorno... Siamo stati due giorni a contatto con Dio e con i monaci... Personalmente ha lasciato un segno indelebile nella mia anima. Mattia È stato un ritiro fantastico, un'ottima conclusione per il nostro cammino! Abbiamo vissuto una nuova esperienza: cercare di vivere in silenzio, cosa difficile per noi ragazzi. Il posto lasciava senza parole e il frate che ha parlato con noi si è mostrato molto simpatico e accogliente. Credo che siano tutti da ammirare per la vita che hanno scelto di vivere; mi ha molto stupito però il fatto che anche loro siano “tecnologici” e usino quotidianamente i moderni computer! Da non dimenticare che, fra tutte le loro attività, c’è anche la produzione di un'ottima marmellata di tanti gusti anche strani! In conclusione, penso che farebbe molto bene ad ognuno di noi visitare questi luoghi che aiutano molto a riflettere e avvicinano di più alla preghiera. Giorgia Brunetto 12 È stato bello ed è servito molto per pensare e un po’ a staccare la spina dai soliti giorni... Paolo Che dire? Il paesaggio era fantastico, la compagnia meravigliosa e un silenzio che faceva quasi male alle orecchie, a cui non siamo abituati; era un silenzio che, insieme alla natura, mi ha aiutato a riflettere... E i frati? Facevano scassare e sono da ammirare perché non è facile svegliarsi alle 3 e mezza tutte le mattine... gli insetti non erano molto graditi, ma dài, l’abbiamo superata! GioVenturin Un ritiro strafigo da rifare; la marmellata strabuona, la compagnia ottima come sempre, la condivisione un po’ meno, il posto era unico e non ho nemmeno sofferto il pullman, nonostante le strade tortuose, ma non importa perché mi è piaciuto tutto. Max Campus Il Papa ci ha detto... al 27 al 29 aprile scorso i nostri Cresimandi (e noi con loro), insieme con i loro coetanei di tutto il mondo, sono stati protagonisti di un grande evento all’interno dell’Anno della Fede. D Primo momento - in Piazza San Pietro… Abbracciati dalle due ali del colonnato, che accolgono tutti i fedeli, ci siamo soffermati, proprio al centro, dove svetta l’obelisco, a riflettere sul martirio di San Pietro. Alcuni pensieri “volanti” dei nostri ragazzi È stato molto divertente ed emozionante. Abbiamo anche fatto nuove amicizie simpaticissime. Ringraziamo la diocesi che ci ha dato l’opportunità di andare a Roma alla messa del Papa. Un’occasione stupenda! W papa Francesco!. Mattia e Alessandra Secondo momento - in Basilica, davanti alla Pietà di Michelangelo… Ci ha sorpreso l’espressione giovanile del volto della Vergine Maria: ci viene da pensare che si tratti della bellezza che nasce dalla fede. Terzo momento - presso la tomba di San Pietro… Pellegrini, rinnoviamo la nostra fede come quella degli apostoli che seguirono per primi Gesù. Per me andare a Roma è stata un’esperienza emozionante perhé ho visto il nuovo Papa e ho visto luoghi del Vaticano. Senza firma Quarto momento - davanti alla tomba di Giovanni Paolo II... Sostiamo in preghiera di fronte a colui che ha voluto particolarmente bene ai giovani di tutto il mondo e ci ha indicato Gesù come l’amico che ci aspetta. Questo pellerinaggio sarà per me indimenticabile. Ho visto il Papa e ho sentito le sue parole ricche d’amore e di umiltà... Un grazie di cuore alle mie catechiste che sono state la mia guida spirituale. Federica Infine, domenica mattina - in Piazza San Pietro... per partecipare alla Messa celebrata da papa Francesco, il quale ci ha ripetuto l’invito di papa Wojtyla: “Giovani, andate controcorrente”. Per me è stato molto emozionante poter vedere il Papa dal vivo. Anonimo Per me questo pellegrinaggio è stato meraviglioso ma anche emozionante, soprattutto quando abbiamo visto il Papa. Mi sono emozionata molto quando il Papa ha fatto il giro della piazza e quando ha salutato i ragazzi disabili. Enrica Tutto iniziò venerdì sera. Siamo partiti con nove pullman, stupendo! La domenica mattina, alle sette, ben tre ore prima dell’inizio della messa, piazza San Pietro era già gremita e tanta gente spingeva ancora per entrare. Nonostante il programma molto compresso, è stata un’avventura bellissima... e Roma già mi manca... Carlotta È un invito a rimanere saldi nel cammino di fede con ferma speranza nel Signore… Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente… Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci debbano far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita. Molto importanti le parole che papa Francesco ha rivolto ai giovani. C’è l’imbarazzo della scelta: - “Che bello sarebbe se ognuno di voi, alla sera, potesse dire: oggi a scuola, a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto un gesto d’amore verso un mio compagno, i miei genitori, un anziano!”. - ”Scommettete su grandi ideali… Noi cristiani non siamo stati scelti dal Signore per cosine piccole. Andate sempre al di là verso le cose grandi…”. - “L’azione dello Spirito Santo ci porta alla novità di Dio, viene a noi e fa nuove tutte le cose, ci cambia”. Felici per l’esperienza vissuta a Roma, appena rientrati a casa, tutti i ragazzi hanno subito voluto iscriversi al Campo Estivo di Forno Alpi Graie 30 giugno - 7 luglio Francesca e Maria Gabriella 13 Per crescere nella fede “L’anima mia magnifica il Signore...” Per questo numero e per alcuni altri successivi ci avvarremo della preziosa collaborazione di suor Rosanna Gerbino, suora dell’Istituto di San Giuseppe, molto conosciuta in Torino per le riflessioni sulla Parola di Dio che propone in occasione di Convegni e incontri di gruppi vari. Per tre numeri ci presenterà la figura di Maria, come appare nei Vangeli. La Redazione La Visitazione o pensato di offrirvi una semplice riflessione a partire dal “Magnificat” che la Liturgia delle Ore ci presenta tutte le sere nei vespri. È un canto bellissimo che Luca pone all’inizio del suo Vangelo, per aiutarci a conoscere il volto di Dio nel Figlio. È un canto che scaturisce dalla bocca di una donna cara a tutta la Chiesa: Maria. H La Visitazione - Juan Correa de Vivar (1510-1566) Museo del Prado - Madrid Ma, nel Magnificat non si parla di Maria, si parla di Dio perché Maria vuole portarci a Dio; tuttavia, attraverso la sua preghiera, noi conosciamo anche colei che nella Chiesa ha il compito di aiutarci ad attuare il progetto di Dio su di noi. “Le vostre vie non sono le mie vie”: bisogna pregare molto per conoscere e riconoscere continuamente nella nostra vita le vie del Signore e, se Maria riesce a dire il suo “Eccomi!” dopo l’annuncio dell’angelo, è perché da sempre il suo cuore era pronto, docile, aperto a riconoscere nella sua vita le vie di Dio. Per riconoscere nella nostra vita i progetti del Signore, bisogna fare come Maria, cioè conservare un cuore docile, attento alla sua parola. Maria, ricevuto l’annuncio dell’angelo, si mette “in fretta” in viaggio: “In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1, 39-40). L’incontro tra queste due donne, entrambe ripiene di Spirito Santo, perché entrambe hanno fatto esperienza della potenza di Dio nella loro vita, produce due canti stupendi: il “Benedetto” e il “Magnificat”. La pienezza dello Spirito Santo suggerisce ad Elisabetta una doppia benedizione: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Chi è pieno di Spirito Santo, cioè chi porta a compimento il suo Battesimo come credente nella Chiesa, nella sua vocazione, è capace di benedire, di diventare benedizione per chi incontra. Chissà perché a noi riescono bene invece le benedizioni al contrario, cioè le critiche, le battute che invece di benedire le persone, le sporcano, sporcano i fratelli, sporcano la loro immagine. Imparare a benedire nella pienezza dello Spirito Santo significa imparare a fare il bene. Elisabetta è presa da timore - “come potrà venire a me il Signore?”- perché coglie nel grembo gravido di Maria la presenza dell’Altissimo ed è presa dal santo timore di Dio; non è la paura del castigo, tutt’altro, è il santo rispetto di colui che è l’Altissimo e che fa riconoscere il giusto rapporto tra creatura e creatore. Allora Maria può esplodere nel canto stupendo del Magnificat, che ha le sue radici nell’Antico Testamento, nel Primo libro di Samuele (1Sam 2, 1.6-7). Anna, sterile, prega e il Signore l’ascolta e quando ella resta incinta esplode nel canto che Maria riprende: il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza, grazie al mio Dio, il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta. 14 Per crescere nella fede Il Magnificat “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”. Il Signore non elimina le persone superbe, ma disperde la superbia, la nostra superbia, ribalta i nostri pensieri di potenza. “L’anima mia magnifica il Signore”. Maria, gravida di Dio, magnifica il Signore, cioè rende grande il Signore. Tutte le volte che noi ci facciamo grandi entriamo nel Magnificat al contrario. Maria, invece, non si è fatta grande, è rimasta piccola, umile, serva. Il Magnificat c’insegna che il cristiano veramente pieno di Dio rende grande il Signore nella sua vita. “Ha rovesciato i potenti dai troni”. Dio rovescia la nostra presunta potenza dal trono del nostro orgoglio: il Magnificat si può leggere nell’ottica dei sentimenti di cui tutti abbiamo esperienza. “Ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati”. Dio dona dignità a chi è umile e si offre come cibo nell’Eucaristia a chi ha fame di Lui: chi non ha fame non cerca il Signore. “Ha rimandato i ricchi a mani vuote“ (meglio la traduzione letterale dal greco: “ha rimandato vuoti i ricchi”). I ricchi, che credono d’essere importanti perché colmi di ricchezze, in realtà restano “vuoti” perché la ricchezza non produce vita. “Ha soccorso Israele, suo servo”. Ha soccorso, cioè sollevato, portato su. Nel Deuteronomio (cap. 32) c’è l’immagine di un’aquila (Dio) che spiega le ali e vola sopra il suo popolo, lo prende e lo solleva. È il segno di un Dio che si prende cura di noi e ci solleva dalla chiusura, dall’egoismo, dalla depressione… Magnificat - (1483-85) - Sandro Botticelli (1445-1510) Galleria degli Uffizi - Firenze “E il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. La traduzione dal greco è “ha guardato giù sulla bassezza della sua serva”. Maria è la donna dell’umiltà, che non si mette al posto di Dio perché riconosce che più in alto di lei c’è l’Altissimo, l’Onnipotente: allora Lui guarda giù. Guarda giù perché l’Altissimo ama i piccoli, i poveri, i semplici, ama chi resta nell’umiltà, chi è capace di perdonare, di fare il primo passo, di svuotarsi di sé. Maria può cantare la grandezza di Dio proprio per questo. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. Dio l’ha scelta come madre di suo Figlio. “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”. La potenza di Dio nella vita dell’uomo si esprime soprattutto in una misericordia che non ha fine; noi non meritiamo nulla, ma la sua misericordia ci riempie. “Ha spiegato la potenza del suo braccio”. Il braccio di Dio ha diviso le acque e Israele ha potuto passare attraverso il mare, raggiungere il deserto ed entrare nella terra promessa. Maria ritrova lo stesso braccio potente in colui che ha nel grembo. Madonna dell’Umiltà (1420 circa) - particolare Gentile da Fabriano (1370-1427) Museo Nazionale - Pisa “Ricordandosi della sua misericordia”, cioè del suo grande perdono sull’uomo, sull’umanità, su chi è piccolo, su chi sa di avere bisogno di Dio, come Maria che termina il suo canto con un annuncio in cui passato presente e futuro si legano insieme. “Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. La promessa di Dio si compie in Gesù, nel grembo di Maria, per la sua disponibilità. E noi riceviamo quella pienezza nell’Eucaristia: in essa noi sappiamo che il Magnificat si compie e si riattualizza nella nostra vita. da una conferenza di suor Rosanna Gerbino 15 Forum Dalla parte dei piccoli e dei poveri “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 38, 40) Intervista a cura di Enrico Occelli Q ualche domanda a Paolo Botti, un giovane torinese che da anni dedica la vita al volontariato con la sua associazione “Amici di Lazzaro” Ho imparato tanto da Padre Geppo: la prudenza unita alla fiducia nella Provvidenza, lo spirito semplice e povero nel fare le cose unito alla creatività e alla voglia di inventarne sempre di nuove. La mia attività attuale è lo specchio di quegli insegnamenti, della sua saggezza e della sua intelligenza. D.: Qual è la vocazione specifica degli “Amici di Lazzaro”? Perché hai scelto proprio questa missione? R.: La nostra vocazione è far fare ai giovani esperienze di servizio, amicizia e preghiera con i poveri e i piccoli. Non ho scelto questa missione, direi piuttosto che pian piano mi si è aperta davanti e ho capito che era molto bella! D.: Quanti siete e come operate? Ci racconti una tua giornata tipo? R.: Siamo circa 50 volontari divisi in vari gruppi di servizio (ved. box). Le mie giornate sono molto varie. Al mattino prima delle sette mi svegliano i miei bimbi, con cui faccio colazione; poi comincia il lavoro, commissioni e qualche colloquio con famiglie e mamme; ogni pomeriggio e tre sere a settimana ho vari impegni nelle nostre attività. In mezzo ci metto qualche lavoro extra che serve per mantenermi, e un po’ di preghiera trovando il tempo negli spostamenti anche brevi in auto, mentre addormento i bimbi, in tutti i momenti in cui c’è silenzio. Inoltre tutte le settimane dedico un po’ di tempo ad aggiornarmi su temi giovanili per poter dialogare meglio coi ragazzini (musica, cinema, fumetti) e naturalmente alla mia formazione cristiana. La giornata termina verso l’una o le due di notte… perché spesso alcune attività le posso fare solo quando in casa tutto tace, a notte fonda. Domanda: Quando ti ho conosciuto eri un ragazzino che cantava negli “Alunni del Cielo”, il gruppo vocale fondato e diretto da Padre Geppo Arione. C’è un legame tra quella comunità e la tua scelta successiva? Che cosa porti con te di quella prima esperienza? Risposta: Prima degli “Amici di Lazzaro” ho dedicato vari anni al servizio con gli Alunni del Cielo, dove oltre alla missione dell’annuncio del Vangelo con la musica e il canto ho scoperto il mondo dei poveri che Padre Geppo seguiva ed aiutava; qui ho fatto le prime esperienze di accoglienza di vittime di sfruttamento che ospitavamo all’Istituto Sociale, presso i padri gesuiti. 16 D.: Come vive la tua “famiglia stretta”, tua moglie e i tuoi figli, i rapporti con la “famiglia allargata”? R.: In parte ci convive giorno e notte, dal momento che a casa nostra ospitiamo sempre da 2 a 4 ragazze, a volte ex vittime di sfruttamento, altre volte ragazze con problemi economici, a volte ragazze madri. Stiamo bene, e ci fa bene aprirci agli altri. A volte desideriamo un po’ di privacy in più, però quando abbiamo qualche giorno di pace sentiamo che ci manca il “sano caos” nella casa. Anche i miei figli, pur se piccoli, già si inseriscono in molte iniziative diurne, perché spesso li porto con me e sono abituati a vedere tante persone, tanti bimbi, ad avere tanti amici intorno. Forum D.: Qual è il tuo “sogno” per il futuro? R.: Una casa più grande, magari una canonica o una scuola, dove poter accogliere qualche povero in più e poter ospitare anche gruppi di giovani per settimane comunitarie o campi di servizio. Da anni come associazione siamo davvero poveri; facciamo tanto con pochissimo spazio, senza una vera e propria sede, e speriamo che arrivi qualcosa… D.: Come è vista la tua esperienza (ed altre simili) nell’ambito della Chiesa torinese e universale? Come la vedi tu? R.: Credo sia vista bene. Soprattutto negli ultimi anni tante parrocchie hanno cominciato a collaborare con noi; tanti parroci ci vogliono bene e ci aiutano. La nostra è un’esperienza di Chiesa fatta di cattolici semplici che provano a vivere il bene nel servizio e nel quotidiano. Speriamo che l’associazione testimoni la bellezza dell’essere cattolici e porti frutto di conversione in noi, nei volontari e in chi aiutiamo. Inoltre siamo visti come una realtà abbastanza unica perché accanto al lato sociale, di aiuto ai poveri, non perdiamo la fedeltà totale alla Chiesa e al Papa e non rinunciamo al lato spirituale e all’annuncio esplicito del Vangelo. Inoltre l’amicizia coi poveri aiuta davvero tanti a riscoprire la bellezza della vita. Rapporto annuale sulla condizione delle donne nigeriane vittime di tratta e sfruttamento a scopo sessuale rilevata tramite le attività dell’unità di strada dell’associazione Amici di Lazzaro “Amicizia, preghiera e servizio”, sono questi i tre cardini della nostra associazione. •GRUPPO STAZIONI - Serate di incontro e ascolto dei senzacasa nelle stazioni e nel centro di Torino. •UNITÀ di STRADA CONTRO LO SFRUTTAMENTO - Incontro con le ragazze nigeriane vittime di tratta e sfruttamento. •CORSI gratuiti di LINGUA ITALIANA per le donne straniere. •DOPOSCUOLA PER ELEMENTARI e MEDIE. In partenza anche un supporto linguistico e scolastico per ragazzi e ragazze delle superiori. •Attività di GIOCO E ANIMAZIONE, weekend e CAMPI ESTIVI per dare non solo aiuto ma anche valori, proposte e per condividere la nostra esperienza di fede. •PROGETTO EMERGENZA FAMIGLIE - Un aiuto materiale con pacchi viveri e sostegno economico a tante famiglie in difficoltà. •AIUTO ALLA MATERNITÀ - Aiuto a ragazze e donne che si trovano ad avere una gravidanza inattesa, che è il nostro modo per combattere l’aborto non a parole ma con fatti concreti e solidali. •CATECHISMO INTERCULTURALE - Formazione spirituale a chi lo desidera e a chi vuol approfondire la fede cattolica o sente il desiderio della conversione al cattolicesimo. (Dalla home page del sito www.amicidilazzaro.it) Per il tuo contributo: ccp 27608157 Per altre informazioni: 17 Forum Occorre poi andare controcorrente ed essere pronti a rinunciare ad una parte di sé per accogliere l’altro in una donazione gratuita e reciproca. In questa ottica la relazione tra i due sposi diventa, come ha affermato Giovanni Paolo II, icona della Trinità: i due non sono più due individui separati e distinti ma formano una “triade” con l’entità nuova che è la coppia. L’obiettivo è proprio questo: si proviene da due realtà diverse e ci si ritrova cambiati, non più quelli di Dalla coppia una... triade! Riporto qui di seguito, in una sintesi che forse sembrerà un po’ troppo stringata, le riflessioni emerse e commentate in un gruppo di sposi, del quale Andrea ed io facciamo parte da tempo, in occasione del suo recente canonico ritiro spirituale, con l’intento di condividerle con coloro che le dovessero ritenere utili o semplicemente interessanti. [m. c.] bello pensare alla storia di una coppia come ad un viaggio. Si parte mano nella mano. Di solito, alla partenza il cielo è terso, c’è il sole. Poi lo scenario cambia: tratti di pioggia, di gelo, di nebbia. Il sole ricompare. Poi di nuovo le nuvole. È Il viaggio a volte è più confortevole, a volte è più faticoso. Ciò che conta è continuare a tenere stretta la mano dell’altro, sia nelle bufere della vita sia nel quotidiano. Ogni coppia a qualunque età può, infatti, vivere momenti unici e irripetibili per dare concretezza a quel “prometto di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” pronunciato tanti anni prima e talvolta dimenticato. prima, nella nuova dimensione del “noi”. A parole sembra facile, in pratica non lo è: si tratta di sperimentare, nella vita d’ogni giorno, l’ascolto, talvolta il silenzio per entrare nella sfera dell’altro. Certamente ogni coppia ha la sua storia, i suoi tempi, i suoi tunnel, i suoi arcobaleni, ma è importante alimentare la consapevolezza del senso dell’incontro e del cammino d’ogni giorno, sapendo che questa tensione durerà tutta la vita e non si potrà mai dire “siamo arrivati”. Mi permetto, senza alcuna presunzione, di proporre alcuni modesti suggerimenti pratici, sperimentati positivamente da coppie che si sforzano di vivere la loro relazione sponsale cercando ciascuno l’unione profonda con l’altro: - gioire delle gioie del partner (quando ci racconta di un successo al lavoro, di un incontro significativo, ecc.); - ridere insieme (l’umorismo e l’ironia consentono di scherzare anche sui propri limiti e di rendere così “leggero” il rapporto); - festeggiare i momenti importanti (anniversari, compleanni, onomastici, soprattutto quelli dei coniugi); - manifestare gratitudine verso il partner (per le attenzioni, i doni, le rinunce, ecc.); - infine, per chi ha meno di... 99 anni, stimolare una sana passione. Come fare per vivere bene questo viaggio in modo da arrivare a destinazione con la piena soddisfazione di entrambi? Non ci sono ricette valide per tutti; mi viene però in mente una frase pronunciata da L. Lavelle: “Il bene più grande che posso fare all’altro non è tanto dargli la mia ricchezza, quanto rivelargli la sua”. Occorre allora valorizzare il proprio partner come individuo unico e irripetibile, aiutarlo a tirare fuori il meglio di sé: è il regalo più bello che gli si possa fare! Buon viaggio a tutte le coppie! Marida Cardillo 18 La finestra di don Sebastiano La misericordia “I l male si annida nelle profondità stesse dell’uomo, è inerente alla sua realtà storica, e per questo è decisiva la domanda dell’intervento della Grazia divina. La consapevolezza della propria miseria sfocia nella speranza della purificazione, della liberazione, della nuova creazione” (Giovanni Paolo II nel commento al Salmo 50). Questo richiamo del successore di Pietro e questo invito ripetuto alla misericordia ci portano a considerazioni realistiche necessarie a farci conseguire una chiarezza interiore che ci aiuti nella crescita spirituale, nonostante la debolezza presente in tutti, e a farci adottare un’impostazione di fede che abbracci tutt’intera la nostra vita: con le sue virtù e i suoi peccati, con i suoi alti e bassi, con le sue generosità e i suoi egoismi. Non dobbiamo identificarci con i nostri stati di debolezza o di colpa, ma li possiamo superare. Dio è necessariamente ricco di misericordia perché “l’esperienza della debolezza e del peccato è una pedagogia permessa da Dio, perché l’autosufficienza dell’uomo si spezza solo con l’esperienza ripetuta della propria debolezza morale. Un’anima si apre all’azione purificatrice di Dio solo quando riesce a riconoscere di dovere tutto alla sua misericordia” (Dictionnaire de Spiritualite’ III, 1167). Per rispondere sempre all’amore paterno di Dio si dovrà ricoRitorno del figliol prodigo (1663-65) minciare da capo tutte Rembrandt (1606-1669) le “settanta volte sette” Museo Ermitage - San Pietroburgo che saranno necessarie nella tranquilla cerPapa Francesco, fin dal suo primo tezza dell’amore di Dio che salva. parlare a tutta la Chiesa dopo la sua Così la vita cristiana diventa un elezione, ha insistito sempre sulla mi- cantiere sempre aperto: sericordia, tanto da dire, domenica 14 “Un profondo squilibrio interiore è aprile 2013, nell’Ordinazione di dieci radicato nel cuore dell’uomo. È nell’uomo sacerdoti della Diocesi di Roma: “Nel stesso che molti elementi si contrastano sacramento della Riconciliazione che voi a vicenda. [...] Sollecitato da molte atcelebrerete, siate ministri della misericor- trattive, è costretto sempre a sceglierne dia, mi raccomando, della misericordia!”. qualcuna e a rinunziare alle altre. 19 Peggio: debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe” (Gaudium et spes 10). Queste riflessioni e queste premesse di grandezza e di debolezza possono portarci ad ulteriori considerazioni. Perché non giungere a considerare con occhi di misericordia i casi purtroppo frequenti di separazione nei matrimoni, di divorzio, di un nuovo matrimonio? Già Giovanni Paolo II nella lettera enciclica “Familiaris consortio” invitava i pastori d’anime ad essere attenti alla misericordia, soprattutto in questi casi: se il coniuge abbandonato si è risposato per dare un padre o una madre ai propri figli; se è convinto di avere fatto tutto il possibile per salvare il precedente matrimonio; se è moralmente certo che il precedente matrimonio non fosse valido. Non dobbiamo seguire queste indicazioni del Papa nella misericordia verso i nostri fratelli e sorelle che si sono uniti in un nuovo matrimonio? Non è anche qui che la misericordia si deve applicare? don Sebastiano Galletto Arte e fede Al tempo dei papi mecenati - 1 I recenti avvenimenti che, per la loro straordinarietà, hanno polarizzato l’attenzione del mondo intero portando alla ribalta la Cattedra di Pietro, ci hanno dato l’occasione di rivisitarne la secolare storia, attraverso le vicende - luminose e talvolta travagliate – che l’hanno intessuta e la suggestiva e variegata rassegna dei protagonisti che l’hanno animata. Non è stato difficile, per noi che cercavamo un nuovo filone per la rubrica “Arte e fede”, individuare una fonte preziosa nella biografia dei grandi Papi mecenati che nel periodo rinascimentale trasformarono una Roma ridotta a poche migliaia di miseri abitanti in una superba metropoli, grazie alla fioritura da essi voluta di una grande stagione artistica e culturale, nella quale i migliori artisti del tempo vi crearono splendidi capolavori. La Basilica di San Pietro a costruzione della Basilica di San Pietro, spesso descritta come la più grande chiesa mai edificata, fu iniziata nel 1506 per volere di papa Giulio II (1503-1513) e si concluse nel 1612. Si trattò in realtà di una ricostruzione, poiché nello stesso luogo già sorgeva un’altra basilica risalente al sec. IV, fatta costruire dall’imperatore Costantino (274-337). Questi, dopo aver concesso, con l’Editto di Milano (313), la libertà di culto ai Cristiani, ritenne di dover promuovere la costruzione di basiliche necessarie alla celebrazione dei loro riti, con caratteristiche rispondenti ai canoni liturgici (un percorso L Arricchita nel corso dei secoli con preziose opere d’arte, esercitò grande richiamo sul sempre crescente flusso di pellegrini, fino a quando, a metà del XV secolo, papa Niccolò V (1447-1455), dopo un furioso incendio che aveva distrutto buona parte della costruzione, decise di avviarne una sostanziale ristrutturazione secondo un progetto studiato da Bernardo Rossellino. Alla morte del Papa, però, i lavori, da poco avviati (1450), furono sospesi e ripresi soltanto molto più tardi da papa Giulio II (1505-1513), che riaprì il cantiere con l’intenzione di proseguire i lavori intrapresi da Niccolò V. Ma, nel 1505, forse dietro consiglio di Michelangelo, per dare un grandioso contorno al mastodontico mausoleo che aveva concepito per la propria sepoltura, e comunque nell’ambito di un clima culturale pienamente rinascimentale che aveva coinvolto la Chiesa, Giulio II decise la costruzione di una nuova colossale basilica, affidando al Bramante l’incarico di progettare e dirigere la radicale ristrutturazione della vecchia basilica. per le processioni, un altare per la messa, uno spazio separato per i catecumeni, il quadriportico). L’area da destinare alla costruzione della Basilica di San Pietro non poteva che essere quella, prossima al Circo di Nerone e all’adiacente necropoli, nella quale per tradizione si riteneva fosse stato sepolto l’apostolo Pietro dopo la crocifissione (64 d. C.). Oggi noi possiamo solo immaginare l’imponenza di quella basilica originaria, immortalata in alcune raffigurazioni artistiche. Essa aveva cinque navate con copertura lignea e grande quadriportico antistante, caratteristiche che la resero spiccatamente somigliante alla coeva costantiniana Basilica di San Paolo fuori le mura. 20 Arte e fede 1 2 3 4 1 - in giallo, il tracciato del Circo di Nerone (67 d.C.) ai piedi del colle Vaticano - in azzurro, la Basilica costantiniana del 321 - in marrone, la Basilica edificata da Bramante e Michelangelo (1506-1561) con al centro la tomba di san Pietro, in prossimità della Necropoli - in arancione, il prolungamento eseguito dal Maderno, ultimato nel nel 1614 - in verde, il colonnato del Bernini, terminato nel 1667. 2 - Veduta aerea. 3 - Spaccato della struttura della Basilica. 4 - Pianta della Basilica Il progetto prevedeva la demolizione completa dell’antico edificio e la realizzazione del nuovo con impostazione radicalmente diversa, caratterizzata da una pianta centrale a croce greca, sormontata da una grande cupola. Dopo la morte del Bramante (1511), l’incarico di continuare la progettazione dell’opera fu dato in successione a tre architetti: Raffaello, Fra Giacomo da Verona e Antonio Sangallo. Poiché essi concordarono sull’assoluta necessità di aumentare lo spazio, si decise l’allungamento della navata, ottenendo così una pianta a croce latina. Dopo la morte del Sangallo (1546), il compito di finire la basilica fu assegnato a Michelangelo. Egli tentò di ritornare alla pianta a croce greca del Bramante, ma la sua proposta fu soggetta a moltissime critiche perché non rispondente ai canoni liturgici, e fu pertanto scartata. Il suo apporto, tuttavia, risultò di grande rilevanza per l’eliminazione dei punti deboli del progetto Sangallo e per l’introduzione di nuovi importanti elementi architettonici: al centro, un tamburo, con colonne binate, atte a sostenere una grande cupola emisferica a costoloni, con lanterna terminale; sul fronte, una facciata con porticato e due alti campanili. Dopo la sua morte (1564), la cupola fu completata, con alcune differenze ri- spetto al presunto modello originario, da Giacomo Della Porta; mentre la sua concezione dell’intera opera fu in gran parte stravolta da Carlo Maderno, che, sotto papa Paolo V (1605-1621), completò la basilica con l’aggiunta, tra il 1609 e il 1612, di una navata longitudinale e di una imponente facciata. Sotto papa Clemente VIII (15921605), Cavalier d’Arpino, tra il 1603 e il 1612, eseguì la decorazione a mosaico della cupola; mentre ad altri valenti artisti fu affidata la realizzazione delle pale d’altare, poi riportate a mosaico. Per la decorazione scultorea il Papa si servì prevalentemente dell’opera di Ambrogio Bonvicino (suo è il bassorilievo con La consegna delle chiavi posto sopra l’entrata principale), mentre per la decorazione ad affresco e a stucco si affidò a Giovan Battista Ricci di Novara. La basilica venne finalmente consacrata nel 1626 da Urbano VIII. La sistemazione della grande piazza (1656 - 67) fu realizzata da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680). Egli suddivise lo spazio in due parti: la prima a forma di trapezio con la base maggiore verso la facciata, la seconda di forma ellittica contornata dall’imponente colonnato dorico sormontato da una poderosa architrave. 21 L a Basilica di San Pietro rappresenta il trionfo del barocco romano, in auge proprio nel momento in cui la Chiesa si trovò a dover competere con il crescente prestigio degli Stati nazionali europei, in particolare di Francia e Spagna. La sontuosità architeonica e la ridondanza decorativa, elementi basilari dei canoni del barocco, ben rispondevano all’esigenza della Curia di rappresentarsi con la necessaria magnificenza. La Basilica di San Pietro rappresentò un monumento all’ambizione e alla ricchezza dei Papi del Rinascimento, e particolarmente di papa Giulio II. Essa, oltre ad essere di per sé un’opera d’arte, è anche un insieme di capolavori di valore inestimabile. Per citarne solo alcuni, basterà ricordare la Pietà di Michelangelo, il maestoso Baldacchino del Bernini, i grandiosi monumenti funebri del Bernini e del Canova, le innumerevoli statue in marmo, travertino e bronzo che adornano l’interno e quelle in travertino collocate sul colonnato della piazza (ben 140) e sulla facciata della Basilica. Questo è veramente uno spazio magico: esso stimola l’immediata sensazione che il Bernini abbia voluto impegnare la sua genialità non solo per dare spettacolarità alla piazza, ma anche per alludere alle grandi braccia di Dio costantemente aperte per accogliere l’umanità intera nella Sua infinita misericordia. Pino Tripodina Vita della Chiesa “È proprio Lui!” Riceviamo e pubblichiamo qui di seguito – felici di poter essere latori di un messaggio così importante - la lettera inviata da Luca Del Negro alla Comunità del Natale del Signore il 20 aprile scorso, vigilia della celebrazione in Duomo durante la quale gli è stato conferito l’ordine minore dell’accolitato, in vista della sua ordinazione diaconale che avverrà il prossimo mese di novembre. Carissimi, questa domenica (ndr – il 21 aprile) alle 15,30 in Duomo il Vescovo conferirà i ministeri del lettorato e dell’accolitato (servire messa) e tra gli accoliti ci sarò anch’io. In questi giorni, Gabriele (ndr – il figlio Lele) mi poneva due domande precise: “Ma ti piace quello che studi?” e “Tutta questa fatica per fare il chierichetto, alla tua età non ti sembra un’esagerazione?”. Sono domande vere e piene di buon senso a cui devo stare di fronte se non voglio buttare via tempo ed energie. A caldo avevo risposto più o meno così: Se si trattasse di un mio pallino, sarei proprio uno “stordito”, ma questa cosa mi è capitata e non la posseggo io. Quando ho incontrato la mamma, non si trattava di una strategia pensata a tavolino: è capitato e non potevo non stare di fronte a quel fatto. Stando con la mamma ho scoperto pian piano che valeva la pena passare tutta la vita con lei. Facile? Proprio per nulla! Bello? Sì, da morire, anche dentro le lacrime, le ribellioni e tutti i miei limiti ogni giorno più evidenti. Se la mia vita ha valore è perchè Qualcuno si fida di me; e poter servire questo Qualcuno, proprio mentre si offre a me e a tutto il mondo, è proprio un gran regalo, non soltanto una cosa da fare. Quante volte faccio il “pagliaccio” - ovvero vado dietro ad un ruolo - per servire il mio orgoglio o quello degli altri, buttando via così la mia vita? Per questo motivo vi chiedo di aiutarmi nella preghiera, perché possa accogliere questo dono e non essere un pagliaccio che va dietro al ruolo (bronzo che risuona e cembalo che tintinna ...), perché sostenga Pia, Lele ed Iri in quest’avventura strana, bella e faticosa. In secondo luogo, vorrei ricordarvi che il metodo di Dio è ben strambo: sceglie uno per raggiungere tutti quelli che gli stanno intorno. Se questa cosa è capitata a me (con Pia, Lele ed Iri) dentro la nostra compagnia, vuol dire che anche a voi è chiesto un passo, un “movimento”, uno stupore come quello dei due sciagurati che andavano ad Emmaus pieni di lamentele. Guardiamoci, diamoci di gomito dicendoci: “È proprio Lui!”, corriamo a trovare i nostri amici. Come si tradurrà tutto ciò per voi non ne ho la più pallida idea; di sicuro posso dirvi che vale la pena starci di fronte. Vi ringrazio fin d’ora per le vostre preghiere e per la vostra presenza. Da parte mia vi assicuro che all’offertorio non avrò le mani vuote: tutta la nostra storia, tutti i vostri volti, tutte le persone incontrate e tutte le nostre miserie le potrò affidare a mani più salde delle mie. Se farete la stessa cosa, sarà un bel modo di farci compagnia. Luca 21 aprile 2013 Anniversari di Matrimonio 22 Vita della Chiesa Non potendo, per ovvi motivi di spazio, richiamare tutti gli interventi, mi limiterò alla sintesi di quello del nostro Vescovo, mons. Cesare Nosiglia. XXIV Giornata Caritas Farsi carico di qualcuno significa offrirgli aiuto con continuità, come fa il Samaritano che, con tanto zelo, cura le ferite del “fratello” e poi lo affida alle premure di altri. Per intervenire così, occorre però una formazione, in modo che la carità sia “intelligente”. La persona dev’essere accolta, ascoltata, accompagnata e anche indirizzata. Gli operatori della carità devono agire come i medici generici, i quali curano sì, ma quando è necessario mandano il malato dallo specialista. Ecco, allora, l’importanza del “lavorare in rete”. Non si devono mai abbandonare coloro che si rivolgono a noi. È il Signore che ce li ha fatti incontrare. Se non ce la facciamo da soli a risolvere tutti i loro problemi, indirizziamoli, accompagnamoli, affidiamoli ad altre “braccia”. Ci sono tante strutture e tanti servizi gestiti dalla Caritas nei quali alle persone bisognose si elargiscono non solo sostegno materiale, ma anche conforto morale e spirituale. Ognuno di noi dev’essere anche un evangelizzatore e come tale agire nei confronti delle persone che il Signore ci fa incontrare. Non dobbiamo aspettare che le persone vengano a cercarci. Siamo noi che dobbiamo invece cerare loro. C’è chi si vergogna, chi si nasconde, chi per orgoglio o per dignità non chiede aiuto, chi si isola… Il povero, però, non deve adagiarsi, non deve scegliere di vivere per sempre di sussidi. Ecco perché occorre definire con lui un percorso. Enorme è oggi il problema della casa. Ci sono tante strutture e tanti spazi vuoti; tanti edifici inutilizzati e fatiscenti, anche fra le realtà ecclesiastiche (ed è ciò che più mi addolora). Quanti gli appartamenti sfitti! Ognuno si faccia un esame di coscienza. Sogno una comunità in cui si riesca a pagare l’affitto almeno per qualche famiglia. La Caritas conta ancora molto sul volontariato. La gratuità è una grande risorsa. Però, nel campo giovanile, il volontariato è in ribasso. Il problema è che i giovani, oggi, non sono poveri di cose, ma sono immersi in un mondo virtuale. L’educazione alla carità deve partire dalla famiglia e poi deve essere “coltivata” anche nella scuola. Un altro macigno è la mancanza di lavoro. Quanti sono in difficoltà! Quante famiglie non sanno come campare! E dalla politica e dalle componenti sociali la risposta è un silenzio tombale! “Si salvi chi può!”. Chi raccoglierà questo grido di dolore? Ognuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. O ci salviamo tutti insieme o ci si perde tutti. Dio ci aiuterà. Il Dio dei poveri ci darà la forza. a “mascotte” del Convegno è il cespuglio qui riportato di phlox raffigurato nella prima pagina dell’invito alla XXIV Giornata Caritas proposta dalla Diocesi di Torino. L I phlox sono piccoli fiori a forma di stella, assunti a simbolo dell’alleanza. Fioriscono in primavera e in estate. Poco diffusi in Italia, sono invece coltivati nel resto dell’Europa e in America e sono utilizzati in occasione delle celebrazioni di matrimonio e soprattutto per abbellire le aiuole dei parchi e i giardini rocciosi. Forse questo fiorellino preso da solo potrebbe passare quasi inosservato, ma quando si apre insieme a centinaia di altri esemplari, esplodendo in una coloratissima fioritura, è un incanto per gli occhi di chi cerca meraviglie e per i cuori sensibili alla sindrome di Stendhal. Allo stesso modo, un piccolo gesto di bontà, quando sia unito in una specie di santa alleanza a tante altre piccole manifestazioni di fraternità, di condivisione, di solidarietà, può provocare un’insospettata onda d’amore, una specie di benefico tsunami. Alleanza è dunque la parola magica che fa fare miracoli, ed è stata la parola che ha sostenuto gli interventi di tutti coloro che, sabato 9 marzo u. s., hanno animato la XXIV Giornata Caritas diocesana dal titolo “Alléàti”. I due accenti ne indicano le due chiavi di lettura: occorre prima allearsi per operare poi da alleàti nella missione comune. Alleàti ha richiamato il gemellaggio tra la Caritas torinese e quella di Modena-Nonantola per l’aiuto congiunto portato ai terremotati di Medolla. Alléati e alleàti danno la sintesi della Parola di Dio commentata (Ez 37,15-28). Solo dall’adesione all’alleanza con Dio può nascere l’alleanza con coloro che chiamiamo “fratelli”. Alleanza nella fraternità… Queste accorate parole del nostro Vescovo sono rivolte non solo ai volontari e agli operatori della carità, del sociale, dell’accoglienza, ma anche a ciascuno di noi. N. B. - L’intera documentazione della Giornata Caritas è reperibile su www.caritas.torino.it . Antonietta Callegari Astolfi 23 Vita della Chiesa Ella stessa, nell’ottobre 1879, si recò nella lontana India, a visitare la prima casa missionaria della congregazione. Fu anche consigliera di san Giovanni Bosco nell’istituire la Regola delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Beati... loro! Torino è “famosa” per i suoi cosiddetti Santi sociali, ma potrebbe esserlo altrettanto per i suoi molti Beati, certamente meno conosciuti. A partire da questo numero, apriremo uno “spiraglio” da cui possa filtrare verso di noi un po’ della luce che scaturisce dallo splendore delle loro vite esemplari. Beata Maria Enrica Dominici aterina Dominici nacque il 10 ottobre 1829 a Carmagnola, quartogenita, in una semplice famiglia di campagna. Aveva quattro anni quando i genitori si separarono e del padre non si seppe più nulla: una pena che Caterina portò per sempre nel cuore. Madre e figli andarono a vivere con lo zio sacerdote in una frazione di Carmagnola, insieme al nonno e ad una zia. Tra casa, scuola e chiesa, tutte vicine, Caterina formò il suo carattere, improntato ad una profonda religiosità. Orientò il suo cuore a Dio; sentiva il desiderio di “essere monaca ad ogni costo”, in questo contrastata dallo zio. Soltanto nel novembre 1850 ottenne il permesso di entrare nella Congregazione delle Suore di S. Anna. Fu allora ricevuta nel ricco Palazzo Barolo di Torino dalla stessa fondatrice, la Marchesa Giulia, che ne intuì le virtù e le suggerì di prendere il nome della sua nipote preferita: Caterina diveniva così suor Maria Enrica. L’Istituto di Sant’Anna era stato fondato nel 1834 dal Marchese Tancredi di Barolo, il nobile benefattore torinese che con la moglie aveva dato vita a numerose opere di beneficenza a favore dei poveri. La Casa Madre sorgeva a pochi passi dal celebre Santuario della Consolata, così come il palazzo dei Marchesi nel quale all’inizio venivano ospitati i bambini di strada. Le suore di Sant’Anna nascevano proprio con la missione di educarli ed istruirli. Tra i primi e più valenti collaboratori le suore ebbero la fortuna di avere Silvio Pellico, bibliotecario e segretario della nobile coppia. suor Maria Enrica, superate le difficoltà del noviziato, prese i voti per la festa di Sant’Anna del 1853. Nelle Comunità in cui il Signore la pose e nelle varie situazioni in cui si trovò a vivere, suor Maria Enrica continuò in modo sempre più intenso la vita di donazione al Padre. La fedeltà nelle piccole azioni fu il segreto del suo cammino: “Le piccole azioni fatte con grande amore valgono assai più che gli atti eroici fatti con mire umane”. A soli 32 anni, nel 1861 fu eletta Superiora Generale dell’Ordine. Ricevette così, ancora molto giovane, l’eredità di una congregazione anch’essa giovane e si trovò ad esserne “la Madre” fino al termine della sua vita. Suor Maria Enrica desiderava fortemente che Dio e il Suo amore fossero conosciuti in tutto il mondo perché, pensava, “è impossibile conoscerlo e non amarlo”. Per questo nel 1871 mandò le prime missionarie in India. C 24 Dalla fine del 1893, a causa di un male incurabile, non poté più alzarsi dal letto ma, nonostante i lancinanti dolori, continuò a guidare l’Istituto, compiendo tutte le devozioni previste dalla Regola. Si recarono al suo capezzale Maria Clotilde di Savoia e l’Arcivescovo Riccardi, il quale, uscendo dalla camera, esclamò: “Quale aria di Paradiso!”. Il medico, dal canto suo, affermò: “La vostra Madre da lunghi anni è preparata a morire. Sono sessant’anni che vedo e curo infermità strazianti e penosissime, e confesso che non ho mai trovato un’anima più quieta e rassegnata di Madre Maria Enrica”. Le sue ultime parole rivolte alle sue suore, prima di lasciare questa terra, furono: «Umiltà! Umiltà!». Era il 21 febbraio 1894. Papa Paolo VI, il 1° febbraio 1975, ne riconobbe l’eroicità delle virtù e, il 7 maggio 1978, la beatificò. Nella sua omelia disse: “Ella confermò, ancora una volta, la grande verità evangelica, testimoniando che l’autentico amore verso Dio è anche vero amore verso gli altri, specialmente verso i poveri nel corpo e nello spirito”. Riprendendo le ultime parole della Beata, egli aggiunse: “Umiltà che diventi, nei confronti di Dio, adorazione. L’uomo impari di nuovo il gesto fondamentale della fede religiosa, che non lo umilia, anzi lo esalta perché gli fa riconoscere la sua dimensione essenziale di creatura. Umiltà che diventi, nei confronti degli altri, carità, servizio, solidarietà, armoniosa convivenza, pace, con il conseguente rinnegamento, a livello personale e sociale, del sopruso e della violenza. Umiltà che diventi, nei confronti della Chiesa, amore e docilità, nella convinzione che essa è «in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Umiltà che diventi, nei confronti di noi stessi, serena consapevolezza che la nostra esistenza umana può acquistare il suo globale ed autentico significato solo inserendoci nel disegno amoroso della volontà di Dio”. Daniela Zanvercelli Dosio Vita della Chiesa L’uscita di questo numero di Chiesa Qui oggi segue di qualche giorno soltanto la solennità liturgica del Corpus Domini. Questa quasi contemporaneità ci ha suggerito di richiamare alla memoria nostra e dei nostri lettori quello straordinario evento ben presto denominato Miracolo di Torino, che per lungo tempo conferì alla nostra città il prestigioso appellativo di Città del Santissimo Sacramento. Abbiamo per l’occasione rivisitato la Basilica del Corpus Domini in via Palazzo di Città, 20 - Torino, per riscontrare le varie testimonianze ivi conservate. Qui di seguito, per raccontarvi l’accaduto, ci piace affidarci ad un antico testo cinquecentesco. Anno della Fede Basilica del Corpus Domini Tabernacolo di Exilles La Redazione Il Miracolo di Torino Il che vedendo questo miracollo subito Monsignor Reverendissimo s’inginocchiò con tutti gli astanti et adorando il Santissimo Sacramento come vero Iddio, nostro vero redemptore, fece portare un callice et presente tutto il popollo descende nel callice la Santissima hostia con grande veneratione honore et reverenza come debitamente si conviene et la portano alla chiesa cathedralle di San Giovanni Baptista accompagnata dalli Reverendi Canonici et relligiossi con molti magnifici et nobili cittadini infra li qualli in testimonio primo Petrino de Gorzallo, Pettino Duerio, Gaspardino Bursi Miolario, Martino Bellardi et Georgio Gasialo’ et expectabile Michel Muri, tt loanne Furchigiiono, Bonifatio de Cassano, Berthollomeo Carravino, et il nobille messer Antonio Marcerio di Milano, et molti altri magnifici cittadini, li quali non so il nome, tutti della presente inclita città di Turino et in essa chiesa di San Giovanni si fece un bellissimo tabernacolo, il quale èi statto sinché fu edificatto il domo novo si come al presente vulgarmente si chiama. Alli 6 di giugno 1453 a hore 20 un giobbia apparse la sancta hostia. Venendo certi huomeni di Cherio da certa guera o discordia che era tra francesi et savoja et piemontesi per certi mercadanti con la lhoro mercantia ritenuta a Assiglie la qual fu messa a sacho eccovi che fu un uomo che pigliò nella chiesa di Assiglie lo relliquiario d’argento dov’era il Santissimo Sacramento et lo invillupò in certe balle, le quali gittò sopra un mullo et venendo per Susa, Avigliana, Rivolli et gionse alla città di Turino et subito che il mullo fu entrato in porta Susina per voluntà di Iddio non si firmò sin che fu in questo luocho et subito giunto quivi si gettò in terra et subito furno disligatte le balle per voluntà del Signore Iddio et subito senza alchuno agiuto humano, usci fuori il vero et Santissimo Corpus Domini con lo relliquiario nel aria miracollosamente con un grande splendore et raggi et pareva il solle. Vedendo questo un certo prete chiamato Messer Bertholomeo Chochono presto se ne andò da Monsignor Reverendissimo Lodovicho Romagnano episcopo della presente città di Turino il qualle intendendo questo, subito viene con tutto il clero del domo grande con la Croce accompagnato da canonici et relligiossi che si ritrovavano et quando lo Reverendissimo fu gionto in questo luocho subito cascho lo relliquiario in terra et rimasse lo Santissimo Sacramento in l’aria con grandi raggi et splendore. >>> o <<< Questo antico testo cinquecentesco, oggi disperso, era un tempo conservato presso l’archivio dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo. (da: Gruppo Archeologico Torinese. Guida Archeologica di Torino 1996, pp. 87-88). 25 26 PARROCCHIA INFORMA DAI NOSTRI REGISTRI dal 16 marzo al 31 maggio 2013 H ANNO RICEVUTO LA GRAZIA DEL BATTESIMO: ROVERSI Laura - CIBELLI Roberto - CAPPA Giorgia ANTONELLI Elvira - MAGUGLIANI Roberto, Luciano - MARCHETTI Andrea - RUA Alessia - MASSOLO Caterina - CAVALLO Lorenzo - PERAZZONE Paolo - GRIECO Lara - CISOTTO Chiara - BUGHI PERUGLIA Alessia, Benedetta, Maria - MITTON Luca - BISARO Marco. S ONO TORNATI ALLA CASA DEL PADRE: MANIGLIA Giovanni - PENTENERO Dina ved. Basso - CARELLA Maria ved. Summa - MASSUCCO Bruna ved. Novaresio - MENZIO Vittoria ved. Migliore - STRAZZULLI Aurelia in Iannarelli - MASSARI Grazia ved. Fontana - BISCIA Adele ved. Celloni - BORELLO Adolfo - BERNARDINI Francesco - MARCOGLIESE Antonia Maria ved. Colucci - ZARBA Rosa ved. Madonia - PELLINO Maria ved. Conz - ROSATELLI Giuseppe - NEGRI Zita ved. Francioso - MEINARDI Giuseppe - REVELLINO Luciano - ZAUSA Wanda ved. Santon - D’ERRICO Lucia ved. Morriti - BONELLI Rosanna Emma - ZANFINI Mario - CAMUTI Gaetano - FAVA Delfino - BALESTRO Ilario - SPINELLI Matteo - CELESTINI Marco - CASADEI Assunta ved. Jacob. ALTRE INFORMAZIONI SANTE MESSE UFFICIO PARROCCHIALE “Servizio normale”: dal lunedì al venerdì = ore 17 - 19 sabato = ore 9,45 - 12,00 (Il Servizio integrativo del lunedì e mercoledì 9,45-12,00 è sospeso dal 17/6, riprenderà il 2/9) Feriali: ore 8 - 9,15 (*)- 18 Festive: ore 8,30 - 10 - 11,30 - 16,30 - 18 Festive del sabato e della vigilia nelle solennità infrasettimanali: ore 16,30 - 18 (*) escluso il sabato Messe sospese nei mesi estivi SERVIZIO DI SEGRETERIA AL TELEFONO Feriale delle 9,15: dal 24/6 (riprenderà il 16/9) Festiva delle ore 16,30 del sabato: dal 15/6 (riprenderà il 21/9 ) Festiva delle ore 16,30 della domenica: dal 9/6 (riprenderà il 29/9) Festiva delle ore 11,30 della domenica: dal 4/8 (riprenderà il 1/9) Dal lunedì al venerdì: ore 9,45 - 12 e 15,30 - 17 (sospeso dal 17/6, riprenderà il 2/9) Rivolgersi all’Ufficio Parrocchiale per: ADORAZIONE EUCARISTICA per le vocazioni guidata: il primo venerdì del mese ore 18,30 silenziosa: gli altri venerdì ore 18,30 - Sacramento del Battesimo - Preparazione al Matrimonio - Cresima Adulti - Visita agli ammalati sospesa dal 1°/7 (riprenderà in ottobre) CONFESSIONI giorni feriali Durante il periodo estivo non è garantita la disponibilità dei sacerdoti nei soliti orari. 27 75 Sommario dal taccuino del parroco 1 PADRE E AMICO 3 editoriale consiglio pastorale parrocchiale 4 IL NUOVO CPP cronache e appuntamenti 5 6 CON GLI ANZIANI A CHERASCO E ... FESTA DELLA BIBBIA per rifleere 8 9 10 COME... UNA BOLLA DI SAPONE! UNDICI EROI GIOCHIAMO A NASCONDINO? campus Il miracolo eucaristico - (sec. XVII-XVIII) - Ignoto Basilica del Corpus Domini (Sacrestia) - Torino 11 12 13 LETTERA ALLE FAMIGLIE CIASCUNO A SUO MODO IL PAPA CI HA DETTO... per crescere nella fede L’ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE Redazione don Romolo Chiabrando, Luca Astolfi, Eugenia Berardo Remondino, Antoniea Callegari Astolfi, Marida Cardillo Morbelli, Paolo Dosio, Lucia Eandi Occelli, Ilaria Godio, Luigi Leone, Maria Vioria Martinacci Tripodina, Enrico Occelli, Elda Peroi Ogliei, Roberto Testore, Pino Tripodina, Daniela Zanvercelli Dosio. sede: via Boston, 37 - 10137 Torino tel.: 011.35.20.13 - fax: 011.32.47.476 e-mail: [email protected] sito: hp//parrocchie.diocesi.torino.it/parr037 Periodico della Parrocchia Natale del Signore Supplemento a “Il Giornale della Comunità” Autorizzazione Tribunale di Torino n. 2779 dell’8.3.1978 Direore responsabile: Marco Bonai Distribuito gratuitamente, ma non si respingono eventuali offerte Tipografia: IMPRONTA tipolitografica Via Colombeo, 15 - 10042 Nichelino (TO) - Tel. 011.6800713 14 15 LA VISITAZIONE IL MAGNIFICAT forum 16 18 DALLA PARTE DEI PICCOLI ... DALLA COPPIA UNA ... TRIADE finestra di don Sebastiano 19 LA MISERICORDIA arte e fede 20 LA BASILICA DI SAN PIETRO 22 23 24 25 26 “È PROPRIO LUI!” XXIV GIORNATA CARITAS BEATI... LORO! IL MIRACOLO DI TORINO RENDICONTO ECONOMICO 2012 27 parrocchia informa vita della Chiesa