Il senso comune: una piattaforma per la comunicazione culturale. Il senso comune è un sapere implicito, cioè un’insieme di quadri di pensiero, rappresentazioni, schemi di conoscenza e di percezione che le persone impiegano a livello implicito. È un sapere incorporato nelle pratiche che si succedono nella vita quotidiana così come nella storia di una cultura. Boudon ha recentemente parlato di vere e proprie disposizioni, forme di conoscenza e di agire che a noi sembrano autoevidenti e scontate, ma che in realtà sono il frutto di un consolidamento storico. In parte il senso comune si basa anche su microrituali che l’etnometodologia (Garfinkel) ha messo in rilievo. I rituali e la pratiche contribuiscono a sviluppare e mantenere il senso comune. Anche gli stereotipi nascono dal e fanno parte del senso comune. Gli stereotipi sono modalità attraverso cui ci rappresentiamo gli altri e l’ambiente sociale senza possedere le conoscenze dettagliate e precise. Appartengono al senso comune non solo le 1) categorie, 2) le nozioni generali, ma anche la maniera di 3) rappresentarsi gli altri e 4) l’ambiente circostante. Il senso comune è stato affrontato dalla sociologia principalmente attraverso due filoni interpretativi differenti: le teorie di ispirazione durkheimiana e la fusione tra pragmatismo americano e fenomenologia. Senso comune e teorie di ispirazione neodurkheimiana Nell’ambito dell’impostazione basata sulle opere e sul pensiero di Durkheim, si assegna una centralità esplicativa alle categorie fondamentali del pensiero e alle forme classificatorie, intese come rappresentazioni collettive, cioè come prodotti del vivere collettivo e sociale. Esse dipenderebbero dal modo in cui il gruppo sociale è organizzato. Il fatto che categorie del pensiero e forme di classificazione dipendono dalle rappresentazioni collettive, fa sì che diventino vere e proprie istituzioni sociali, frutto dell’interazione sociale e capaci di influire sul comportamento del singolo. Durkheim sostiene la visione della natura collettiva delle categorie e delle forme di classificazione in quanto critica sia l’empirismo (la mente umana e dunque la psiche è al centro di un processo di immagazzinamento), sia il kantismo (tali categorie e forme di classificazioni esistono a priori). Durkheim e Mauss nei loro scritti giustificano l’idea che genere e specie, tempo e spazio siano sistemi classificatori e categorie del pensiero che variano da società a società in funzione del tipo di organizzazione sociale e del tipo di conformismo logico in esse presenti. Norbert Elias svilupperà ulteriormente l’importante concezione di Durkheim del tempo come come categoria sociale, cioè come una istituzione sociale che è diversa dal tempo individuale. In particolare Elias traccia l’evoluzione storica che ha portato le società occidentali industrializzate a giungere ad una dimensione scientifica, astratta e razionale di tempo: il tempo esatto. Senso comune e teorie di ispirazione neodurkheimiana Anche la categoria di ‘persona’ ha subito un particolare processo di cambiamento nelle società occidentali. Soprattutto, così come le altre categorie fondamentali del pensiero umano, mostra un’ampia variabilità nell’ambito delle diverse società e culture osservate dalla sociologia e dall’antropologia di ispirazione durkheimiana. Marcel Mauss, ad esempio, ha mostrato come nelle società tribali il concetto di persona si esaurisca nei ruoli sociali svolti da quella persona. Successivi studi comparativi realizzati sulla base dell’influenza della sociologia di Durkheim e dell’antropologia di Mauss, non solo hanno confermato questa impostazione, ma hanno anche allargato lo spettro delle variabilità, spingendo il dibattito sulle forme di classificazione, sul linguaggio e sulle categorie verso posizioni relativiste. Sempre nell’ambito dell’influenza esercitata dalla sociologia di Durkheim, Halbwachs ha introdotto il concetto di memoria collettiva che è qualcosa che le società costruiscono sull’insieme dei quadri di pensiero, delle rappresentazioni dello spazio e del tempo, dei modi di classificare il mondo. Anche e persino la memoria individuale dipende da quella collettiva, cioè da categorie sociali pre-esistenti, da quadri che hanno un’origine sociale e che quindi portano la memoria individuale a dipendere dall’appartenenza a un gruppo e al fatto di condividere con altri la medesima esperienza. La memoria dunque opera non tanto in base alla conservazione, ma grazie a processi di ricostruzione e selezione del passato in funzione del presente. La memoria dunque è un insieme dinamico, la cui coerenza è solo parziale e viene ricostruita di volta in volta. Senso comune: pragmatismo americano e fenomenologia. Durkheim non soltanto aveva considerato le categorie e le classificazioni come rappresentazioni collettive, ma aveva anche legato tali rappresentazioni ai rituali perché questi costituiscono un forte momento di associazione e interazione in cui gli individui sperimentano sentimenti e stati emotivi comuni che servono anche a rinsaldare la trasmissione dell’eredità sociale. Anche il pragmatismo americano - Peirce, Dewey, Cooley, Mead - considera il comportamento quotidiano come basato sulla ripetizione di soluzioni per problemi comuni. Sia l’approccio di Durkheim che quello del pragmatismo americano condividono la simile avversione a considerare le azioni degli individui come sempre dettate dalla logica della scelta razionale. In sintesi, il pragmatismo americano riprende la matrice di Alfred Schütz secondo cui al centro del comportamento c’è il senso comune che opera come un sistema di significati e di definizioni della realtà che collocandosi ad un livello diverso dalle ideologie, dal sapere scientifico o dalle dottrine filosofiche riguarda un livello pre-teorico. Alfred Schütz e la sociologia della conoscenza. Alfred Schütz (1899–1959), filosofo e sociologo austriaco, è considerato come il fondatore dell'idea di una sociologia fenomenologica. È influenzato dalla sociologia di Max Weber, dalle tesi sulla scelta e sulla temporalità di Henri Bergson e, soprattutto, dalla fenomenologia di Edmund Husserl. Dall’individualismo metodologico weberiano Schütz mutua la preminenza data all’azione dell’individuo e al significato dell’azione, ma a differenza di Weber, manca in Schütz ogni ambizione a tracciare comparazioni fra lunghi archi spaziali o temporali, cosicché l’analisi rimane sempre centrata sulle strutture dell’esperire individuale nel mondo sociale e nella vita quotidiana. A partire dall’opera di Schutz è possibile individuare 5 componenti importanti che caratterizzano il concetto sociologico di senso comune. 1) Oggettività: le persone nella vita quotidiana tendono generalmente a percepire la realtà come ordinata, oggettivata e dotata di senso. Il linguaggio costituisce l’elemento in cui è maggiormente riscontrabile il senso di oggettivazione da parte del singolo individuo che si ritrova vocaboli, regole grammaticali ed espressioni come qualcosa di già definito e presente, pronto all’uso nella realtà quotidiana. 2) Intersoggettività e interscambiabilità: la realtà è condivisa sempre con gli altri. Si ritiene che vi sia una corrispondenza tra i propri significati e quelli degli altri o quanto meno che ci possa essere. Il linguaggio e la comunicazione servono, tra le altre cose, proprio a favorire questo continuo confronto per mettere alla prova la validità dei significati del senso comune. Alfred Schütz e la sociologia della conoscenza. 3) Auto-evidenza: il senso comune è quel sapere-agire, quelle disposizionidispositivi che diamo per scontati come evidenti, per i quali non c’è bisogno di interrogarsi. Nei loro confronti vi è una sospensione del dubbio. 4) Tipizzazioni: le relazioni sociali ordinarie sono modellate e percepite in base a schemi di tipizzazione. Si tratta di scorciatoie interpretative di azione, pronte all’uso che regolano la nostra azione. Gli schemi di tipizzazione consentono di prevedere il comportamento degli altri e forniscono una base per valutare quale possa essere il proprio comportamento più adatto alla situazione. Essi forniscono a loro volta schemi di aspettative. Più ci si allontana da una situazione faccia a faccia, più gli schemi di tipizzazione e gli schemi di aspettative tendono a farsi anonimi e astratti. 5) Fondo di conoscenza comune: esiste un fondo minimo di conoscenza comune fatto di simboli, vocaboli, modelli di comportamento, tratti culturali, schemi che data la loro ripetuta validità ed efficacia di fronte a situazioni ricorrenti, sono ormai dati per scontati e in quanto tali fanno ormai parte del senso comune. La loro conoscenza non è totalmente omogenea, ma è socialmente distribuita e relativamente coerente. George Herbert Mead e l’interazionismo simbolico L'interazionismo simbolico è un orientamento teorico affermatosi nell'ambito della sociologia e della psicologia sociale, soprattutto negli Stati Uniti, a partire dalla prima metà del Novecento. Il suo tratto distintivo consiste nel porre al centro dell'analisi l'interazione sociale e l'interpretazione che di questa danno quanti vi partecipano. una concezione della società umana come insieme di individui dotati di un Sé, individui, cioè, in grado di dotarsi di indicazioni relative alla realtà esterna in vista della elaborazione della propria condotta Geroge Herbert Mead non era un sociologo in senso stretto, ma un filosofo interessato ad alcuni problemi di epistemologia e tra questi quello della percezione della realtà. Rispetto a questo problema, acquistano centralità i processi interpersonali tramite i quali gli individui si rapportano al proprio modo di pensare e a quello che presumono essere dell'altro, per scegliere le linee di condotta da seguire. Viene dato risalto all'attività di simbolizzazione svolta dagli individui nel corso dell'interazione e allo sviluppo di capacità interpretative delle proprie e delle altrui esperienze. I significati che vengono attribuiti a tali esperienze derivano dalle definizioni che l’Io (l’agente attivo della personalità) e l’Altro danno delle 'situazioni' in cui sono rispettivamente coinvolti. Tuttavia, il soggetto non si basa soltanto sull’Io. Ad esso si accompagna un Me – che rappresenta l’immagine di se stessi così come viene forgiata dagli altri – e l’Altro Generalizzato – l’immagine del punto di vista della società che la singola persona introietta al suo interno. L’Altro Generalizzato trasforma gli oggetti dell’esperienza comune in segni universali, ovvero in significati particolari che sono altrettanti esempi di universali. Critiche sono state rivolte a questa visione: sembra che le persone non cerchino nemmeno di riflettere così a fondo sul significato di ciò che scambiano. L’etnometodologia(*) Harold Garfinkel propone il concetto di account, che letteralmente significa “dar conto di”. Gli accounts sono azioni-argomentazioni con cui si dà senso al mondo. Attraverso gli accounts, gli individui riproducono e spiegano la realtà. Non esiste un significato oggettivo del linguaggio o dei gesti, ma un significato che è dato dal rapporto tra l’account e il contesto. La realtà non viene riprodotta dal senso comune, perché ha un carattere fragile L’account possiede una natura indicale (**). ** Indessicalità: ogni descrizione è connessa al contesto della sua produzione e indica in genere molto di più di ciò che esprime letteralmente. Così come il significato di un enunciato non si esaurisce, di regola, nel suo contenuto proposizionale, ma rinvia all’insieme di atti, gesti e simboli che definiscono l’intelligibilità delle espressioni, la semiotica e la linguistica ritengono che non esistano espressioni dotate di un significato univoco e universale, avendo ogni espressione un senso unicamente all’interno di una qualche interazione sociale e per essere compreso deve essere considerato in un contesto più ampio. Garfinkel riesce – attraverso esperimenti di etnometodologia(*) – a mostrare gli spazi vuoti, privi di significato che si possono aprire nella vita quotidiana. È la parte implicita dell’interazione (e non la parte esplicita) a fondare l’accordo, la reciproca comprensione tra noi e gli altri. Questa parte implicita si basa sull’infra-testo: un metalinguaggio fatto di gesti, espressioni facciali, toni, pause e accelerazioni, modi di dire ed esclamazioni che riceviamo e inviamo nel corso dell’interazione. * Etnometodologia: metodi impiegati dagli attori per creare e sostenere l'atteggiamento 'naturale' (nel senso di senso comune) nei confronti del mondo sociale. Per metodi Garfinkel intende precise sequenze o procedure da osservare per raggiungere un risultato, cioè a micropratiche locali e contestualizzate non oggettivabili in sistemi di regole. Erving Goffman e l’interazione nella vita quotidiana Erving Goffman, al contrario degli autori dell’interazionismo simbolico ritiene che il senso comune e l’interazione abbiano fondamenti più che reali. Il mondo fisico esiste eccome, quello sociale ha una sua realtà indiscussa. Le situazioni particolari della vita quotidiana sono qualcosa a cui i partecipanti dell’interazione giungono, più che qualcosa che costruiscono. Goffman (1974) adotta la metafora dei frames (cornici): le persone incorniciano i livelli della realtà in diversi quadri di significato. Ciascuno contiene altri quadri di livello inferiore ed è a sua volta contenuto in quadri superiori. 1) Cornici (frameworks) primarie di riferimento: il mondo naturale degli oggetti fisici in cui le persone vivono con il loro corpo accanto al mondo sociale delle altre persone e delle reti di relazione. Come in un sistema di incastri, le persone interagiscono tentando di tenere sotto controllo più quadri di riferimento, spingendosi spesso ai livelli più elevati di incorniciamento della realtà. 2) Cornici (frameworks) secondarie: il mondo delle rappresentazioni, dei giochi, dell’immaginazione, della fantasia e dei rituali; il livello delle competizioni, attività sportive, gare, scommesse; i cerimoniali, i matrimoni, i funerali, le funzioni religiose e tutte le situazioni ricche di significati simbolici costituiscono tipiche trasformazioni dei frameworks primari. Anche le falsificazioni fanno parte di incorniciamento secondario. Le attività di re-framing servono ricodificare ciò che si para davanti ai nostri occhi secondo il flusso dell’interpretazione, man mano che l’interazione procede. Quando qualcosa infrange una rappresentazione o non si addice al frame in cui stiamo incorniciando la rappresentazione, cerchiamo rapidamente di porvi rimedio o, nel peggiore dei casi, di terminare la rappresentazione. Erving Goffman: ribalta e retroscena Secondo Goffman, i ceti superiori hanno maggiori capacità di re-incorniciare i riturali e sono più sofisticati nel trasformare i frameworks primari. Le persone delle classi inferiori invece adottano un livello meno complesso di trasformazione delle cornici di senso. La realtà sociale è costruita, riprodotta e mantenuta a partire dalle catene interattive rituali. Il rituale si svolge in un territorio simile al teatro, in spazi riconducibili a una ribalta, a un «retroscena» e a una «totalità esterna». •La vita è una serie infinita di rappresentazioni teatrali in cui agiamo da attori su un palcoscenico, al cospetto di un pubblico. •La ribalta è il nostro palcoscenico, sul quale mettiamo in scena la faccia pubblica di noi stessi. •Il palcoscenico dell’esperienza delle nostre rappresentazioni quotidiane è organizzato con arredi, strumenti e rinforzi simbolici per favorire una buona impressione e facilitare le nostre performances di ruolo. Prima e dopo la rappresentazione teatrale ciascuno di noi vive nei retroscena. •Il retroscena è una dimensione spaziale sottratta allo sguardo pubblico, adatta a ricomporre l’immagine da offrire sulla scena, per la successiva rappresentazione. • Vi si svolgono le attività preliminari di preparazione e di recupero delle energie e degli strumenti di scena. •Vi sono nascosti e conservati gli artifici e gli elementi incongrui che non devono emergere in pubblico Il confine tra retroscena e ribalta è mobile e dipende da: •chi vi è presente in un dato momento •gesti e dalle azioni che noi eseguiamo per connotarlo in un certo modo. Per Goffman il sé non esiste. È qualcosa di molto instabile. Dipende dal palcoscenisco su cui si recita, dal pubblico che assiste allo spettacolo. Michel de Certeau e l’invenzione del quotidiano Michel de Certeau (1925-1986), negli anni ottanta si è dedicato al progetto di identificare e studiare la gente comune in base alla cultura di cui fruiscono per mezzo dei mass-media, della conoscenza scientifica, dei dispositivi dominanti. Egli si è convinto che attraverso le pratiche a prima vista banali della vita quotidiana le persone creano cultura. Una cultura semplice, non ufficiale, non catalogabile che sfugge alle analisi scientifiche che non può essere trattata con metodi statistici, classificazioni, modelli di conoscenza razionale. Ne L’invenzione del quotidiano, de Certeau rivaluta le dimensioni dove vive l’uomo qualunque e la relativa cultura dal basso. Egli assegna valore alle arti del fare, alle pratiche a prima vista ordinarie e banali della vita quotidiana. de Certeau si pone fuori dallo schema che aveva guidato l’agenda della riflessione sulla produzione e il consumo di cultura: non gli interessa stabilire se la cultura dei mondi popolari e subordinati contiene gli elementi di una resistenza simbolica o i segni di un passivo asservimento. È attirato piuttosto dalla indicibilità di quelle pratiche quotidiane apparentemente insignificanti - leggere, arredare, cucinare, conversare, spostarsi nella città, utilizzare prodotti e oggetti ordinari, vivere il tempo libero e il divertimento - eppure dense di inventiva. Gli estranei, i marginali, i subordinati non sono affatto privi di forze intelligenti, creatrici e astute che trovano sbocco in modalità d’uso di spazi, tempi e oggetti, in pratiche di fabbricazione del quotidiano. È una resistenza non organizzata, spesso non consapevole, quasi mai strategica. Michel de Certeau: strategie e tattiche de Certeau distingue fra strategia e tattica. Le strategie sono piani di azione tipici delle istituzioni, dei gruppi e delle persone dotate di potere Le tattiche sono utilizzate dagli individui privi di potere per creare spazi propri negli ambienti definiti dalle strategie. Sono escamotages pensati e attuati sul momento, nella contingenza dei casi della vita. Non mosse studiate a tavolino, non pianificazioni con obiettivi predeterminati, ma scatti, inserzioni, rapide combinazioni che nascono sull’istante. Intendo [...] per “tattica” un calcolo che non può contare su una base propria, né dunque su una frontiera che distingue l’altro come una totalità vivibile. La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Si insinua, in modo frammentario, senza coglierlo nella sua interezza, senza poterlo tenere a distanza. Non dispone di una base su cui capitalizzare i suoi vantaggi, prepararsi a espandersi e garantire un’indipendenza in rapporto alle circostanze (de Certeau, 1980, trad. it. p. 15).