LA CASSAZIONE: VIA RASELLA, LEGITTIMO ATTO DI GUERRA
Giovedì 09 Agosto 2007 01:08
di Cinzia Frassi
“È la quarta sentenza di un'alta corte italiana, militare penale o civile che ci dà ragione con le
stesse motivazioni dice il vecchio gappista, “ma il mondo è pieno o di imbecilli o di faziosi
ancora disposti a sostenere il contrario. C'è poco da fare”. E aggiunge: “La storia, del resto,
parla chiaro: Norimberga ha detto la stessa cosa, il processo Kappler ha detto la stessa cosa, i
processi intentati dagli alleati contro Kesserling, Meltzer e Mackensen hanno detto la stesa
cosa. Tutto il mondo lo sa”. Sono queste le amare parole di Rosario Bentivegna a seguito della
pronuncia della Suprema Corte che, con Sentenza n.17172 ha confermato la condanna de
Il Giornale
ad un risarcimento di 45mila euro proprio nei confronti del partigiano diffamato dagli articoli
pubblicati nel 1996 dal quotidiano diretto allora da Vittorio Feltri. In particolare, si trattava di un
editoriale pubblicato il 6 aprile 1996, durante il processo a Erich Priebke, comandante
dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Era il 23 marzo 1944 e in Via Rasella il Reggimento
"Bozen", comandato dal maggiore Helmut Dobbrick fu bersaglio di un imboscata ad opera
dell'azione partigiana dei partigiani gappisti Rosario Bentivegna, Franco Calamandrei, Carla
Capponi, Carlo Salinari, Pasquale Balsamo, Guglielmo Blasi, Francesco Cureli, Raoul Falciani,
Silvio Serra, Fernando Vitagliano. I GAP dipendevano dalla Giunta militare ed erano un
emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale, i cui responsabili erano Giorgio Amendola,
Riccardo Bauer e Sandro Pertini.
Era il 24 marzo 1944 e le truppe di occupazione fasciste misero in atto l'aberrante e barbara
rappresaglia consumatasi alle Fosse Ardeatine, dove vennero massacrate 335 persone. Da
allora non si contano le polemiche attorno all'opportunità dell'imboscata di Via Rasella, della
sua connotazione di atto di guerra, di chi fu a dare l'ordine - se la giunta militare unanime
oppure no - e dell’attendibilità stessa della possibilità offerta agli stessi partigiani di consegnarsi,
in modo da evitare la violenta rappresaglia dei nazi-fascisti.
Ora la Cassazione conferma che, in linea con precedenti pronunce, l’attentato di Via Rasella
fu un “legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante e diretto a colpire
unicamente dei militari”. Non solo: l’editoriale di Vittorio Feltri scriveva che i militari tedeschi
erano nient’altro che “vecchi militari disarmati”, mentre la Suprema Corte precisa, in dettaglio,
che “si trattava di soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e
pistole”.
Ma il quotidiano è incappato in altre “gaffes”, dice la Corte: secondo Il Giornale infatti, il
battaglione Bozen era formato da cittadini italiani e le vittime tra i civile furono non due, bensì
sette. Ed ancora, non rispondente al vero, quindi diffamatoria, l’asserzione secondo la quale
subito dopo l’attentato “erano stati affissi manifesti che invitavano gli attentatori a consegnarsi
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per evitare rappresaglie”. Forse il quotidiano di Paolo Berlusconi ignorava la direttiva del
Minculpop che aveva interesse invece a nascondere la notizia di Via Rasella, notizia che
effettivamente venne divulgata a rappresaglia già avvenuta.
La Cassazione conferma che i fatti “non rispondenti al vero” riportati dal quotidiano e la
campagna ai danni del gruppo di partigiani messa in atto in quelle pubblicazioni sono lesivi
“dell’onorabilità politica e personale” di Bentivegna per “la non rispondenza al vero di
circostanze non marginali e l’assimilazione tra Erich Priebke e Bentivegna”. L’avvocato Martino
Umberto Chiocci, uno dei legali del quotidiano, precisa all'Adkronos che Via Rasella ''può
essere [un atto] legittimo e allo stesso tempo criticabile. I giudici, invece, in questo modo hanno
escluso la legittimità del diritto di critica e questo è particolarmente grave''.
In risposta a tanta strumentale confusione, non solo del legale su citato ma anche di tutti
coloro che non conoscono dove termina il diritto di critica e il negare falsamente la verità,
risultano a dir poco limpide ed illuminanti, alcune righe della sentenza : "Quando la critica si
fonda su episodi non veri o rievocati attraverso l'arbitrario inserimento di circostanze qualificanti
non vere, essa diviene un mero pretesto per offendere la reputazione altrui". Parole sante.
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