Vittorio Parlato* IL VESCOVO DI ROMA, PATRIARCA D’OCCIDENTE. ALCUNE RIFLESSIONI ABSTRACT T he article treats the recent controversy concerning the title of Patriarch of the West attributed to the Pope, and omitted by the 2006 Annuario Pontificio. The study begins with the remarks of the Orthodox Church in this sense. The author notes the absence of an unitary plan of the Church organisation at a level higher than the metropolitan one. Studying the basis of the special Primate prerogatives and the territorial extension, the article shows the limits of these rights in the case of the Bishop of Rome. The historical and normative reality of today should be a reference for the reestablishment of the full communion with the Orthodox Church. 1. Attualità del tema Una recente polemica è nata dalla mancata indicazione, nell’Annuario Pontificio del 2006, tra i titoli spettanti al Romano Pontefice di quello di Patriarca d’Occidente, cui hanno fatto seguito le spiegazioni del 22 marzo 2006 da parte Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani apparsa nell’Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose1. Ci sono state delle osservazioni negative di parte ortodossa, sia della Chiesa Greca del 17 marzo 2006 e poi dallo stesso Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico dell’8 giugno 20062; la non menzione del titolo di Patriarca d’Occidente e quindi di un limite territoriale, viene temuta a * Prof. Vittorio F. Parlato preda Drept bisericesc la Universitatea din Urbino; Presedinte al Facultatii de Stiinte politice; Director al Institutului juridic; Cavaler al Ordinului Sfântului Iosif. 1 Comunicato del P. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, del 22 marzo 2006, www.olir.it 2 In cui tra l’altro si esprimono riserve sul il mantenimento per il Papa dei titoli di Vicario di Cristo e di Sommo Pontefice della Chiesa universale. Letter of Greek Orthodox Archbishop, www.ecclesia.gr e Announcement Holy and Sacred Synod Ecumenical Patriarchate, www.ec-patr.gr ; sull’argomento si segnala LORUSSO, L., Reazioni ortodosse circa la rinuncia del Papa di Roma Benedetto XVI al titolo di “Patriarca di Occidente”, in O Odigos, n. 2 del 2006, p. 11 s. Caietele Institutului Catolic VII (2008, 1), 102-120. Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 103 Costantinopoli come possibile giustificazione di una giurisdizione, anche sull’Oriente, come si verificò dopo la IV Crociata. La tesi sostenuta dal succitato P. Consiglio è che: Il titolo di ‘Patriarca d’Occidente’ fu adoperato nell’anno 642 da Papa Teodoro I. In seguito esso ricorse soltanto raramente e non ebbe un significato chiaro. La sua fioritura avvenne nel XVI e XVII secolo nel quadro del moltiplicarsi dei titoli del Papa; nell’annuario esso apparve per la prima volta nel 1863. A questa precisazione, che potremmo chiamare cronologica, si aggiungono altre considerazioni che toccano la concezione ecclesiale del primo millennio allorquando vigeva la piena comunione, sia pure con ripetuti momenti di rottura, tra la chiesa latina e le chiese orientali 3. Continua il documento citato: Senza la pretesa di considerare la complessa questione storica del titolo di Patriarca in tutti i suoi aspetti, si può affermare dal punto di vista storico che gli antichi Patriarcati d’Oriente, fissati dai Concili di Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451), erano relativi ad un territorio abbastanza chiaramente circoscritto, allorché il territorio della Sede del vescovo di Roma rimaneva vago. In Oriente nell’ambito del sistema ecclesiastico imperiale di Giustiniano (527-565), accanto ai quattro Patriarcati orientali (Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme), il Papa era compreso come Patriarca d’Occidente. Inversamente, Roma privilegiò l’idea delle tre sedi episcopali petrine: Roma, Alessandria ed Antiochia. Senza usare il titolo di ‘Patriarca d’Occidente’, il IV Concilio di Costantinopoli (869-870), il IV Concilio del Laterano (1215) ed il Concilio di Firenze (1439), elencarono il Papa come primo degli allora cinque Patriarchi. Queste note nel ricordare alcuni dati storici sembrano voler continuare a legare il rango primaziale di certe sedi all’essere sedi petrine, così Alessandria, sede vescovile fondata da Marco inviato da Pietro, avrebbe dovuto precedere Antiochia, prima sede episcopale di Pietro. Discutibile è poi l’affermazione secondo cui attualmente il significato del termine ‘Occidente’ richiama un contesto culturale che non si riferisce soltanto all’Europa Occidentale, ma si estende agli Stati Uniti d’America fino all’Australia e alla Nuova Zelanda, differenziandosi così da altri contesti culturali. Ovviamente tale significato del termine ‘Occidente’ non intende descrivere un territorio ecclesiastico né esso può essere adoperato come definizione di un territorio patriarcale. Se si vuole dare al termine ‘Occidente’ un significato applicabile al linguaggio giuridico ecclesiale, potrebbe essere compreso 3 Basti vedere ad es. il volume PARLATO,V., L’ ufficio patriarcale nelle chiese orientali dal IV al X secolo, Contributo allo studio della ‘communio’, Padova, 1969, in cui si ricordano i periodi più o meno lunghi di mancanza di comunione tra Roma e Costantinopoli. 104 Vittorio Parlato soltanto in riferimento alla Chiesa latina. Pertanto il titolo di ‘Patriarca d’Occidente’ descriverebbe la speciale relazione del Vescovo di Roma a quest’ultima, e potrebbe esprimere la giurisdizione particolare del Vescovo di Roma per la Chiesa latina. Ancor più criticabile è l’ulteriore precisazione: Di conseguenza il titolo ‘Patriarca d’Occidente’ , sin dall’inizio poco chiaro, nell’evolversi della storia diventava obsoleto e praticamente non più utilizzabile. Appare dunque privo di senso insistere a trascinarlo dietro. Ciò tanto più che la Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II ha trovato per la Chiesa latina nella forma delle Conferenze Episcopali e delle loro riunioni internazionali di Conferenze episcopali, l’ordinamento canonico adeguato alle necessità di oggi. Tralasciare il titolo di ‘Patriarca d’Occidente’ non cambia chiaramente nulla al riconoscimento, tanto solennemente dichiarato dal Concilio Vaticano II, delle antiche Chiese patriarcali (Lumen Gentium, 23). Ancor meno tale soppressione può voler dire che essa sottintende nuove rivendicazioni. La rinuncia a detto titolo vuole esprimere un realismo storico e teologico e, allo stesso tempo, essere la rinuncia ad una pretesa, rinuncia che potrebbe essere di giovamento al dialogo ecumenico. In tutto il documento si confondono dati teologici, situazioni giuridiche storiche e istituti giuridici attuali, così si equiparano le Conferenze Episcopali e le loro riunioni internazionali di Conferenze episcopali, che certamente rispondono alle necessità pastorali odierne, ai patriarcati orientali, e si presenta l’omissione della titolo di Patriarca d’Occidente come un fatto non solo non influente nel dialogo ecumenico, ma addirittura utile. Senza voler esaminare i punti qualificanti del documento succitato ed esprimere un mio giudizio, ritengo opportuno fare alcune precisazioni storiche che permettano di comprendere le riserve manifestate da parte di autorità ortodosse, riserve che certamente nuocciono al dialogo ecumenico. Le osservazioni di parte ortodossa Le osservazioni da parte ortodossa partono dalla diversa ecclesiologia loro propria, perciò si soffermano sul principio di collegialità e di comunione tra chiese e si rifanno alla concezione pentarchica della Chiesa universale, ed alla necessaria esistenza di un patriarcato d’Occidente, come patriarcato del vescovo di Roma; è come patriarca d’Occidente che il Papa è membro del collegio patriarcale. Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 105 Il Santo Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli prende atto, come innegabile realtà, che il termine Occidente abbia oggi acquistato un contesto colturale che travalica gli antichi confini dell’Impero romano d’Occidente comprendendo le Americhe e l’Oceania, ma ricorda anche che, secondo la concezione ortodossa, il principio culturale non può essere sostituito al principio geografico per delineare la struttura organizzativa della Chiesa4. Il Patriarcato ecumenico ritiene anche (numero 5) che il fatto che il vescovo di Roma mantenga il titolo di Patriarca d’Occidente, cioè si consideri uno dei patriarchi, esprima bene il concetto di ‘chiese sorelle’ che deve essere alla base dell’ecclesiologia su cui ripristinare la piena comunione tra le Chiese5. Aggiungo a quanto detto il pensiero dell’Arcivescovo di Grecia: Il titolo di Patriarca d’Occidente attribuito al Vescovo di Roma deve essere mantenuto; esso implica il riconoscimento di una duplice potestà nel Papa: quella di Protos con una speciale giurisdizione sulla Chiesa latina, identificabile con il Patriarcato d’Occidente, e quella di Sommo Pontefice, con un primato sulla comunione delle Chiese, cioè una sollecitudine nei confronti della Chiesa universale. For us Orthodox, the Pope of Elder Rome has always been the Patriarch of the West, the successor of the Apostles Peter and Paul who funded the Church of Rome, the first in honour, primus inter pares, and he who presides in Charity, and it is only logical that upon this title, within the framework of the ancient pentarchy […] of the first millennium that we can build the reunification of One Undivided Church6. “The unity of Church cannot be conceived as a sum of culturally distinct Churches, but as a unity local, namely geographically determined, Churches. The removal of the title ‘Patriarch of the West’ must not lead to the absorption of the clearly distinct geographical ecclesiastical ‘jurisdictions’ by a ‘universal’ Church, consisting of Churches which are distinguished on the basis of either ‘culture’ or ‘confession’ or ‘rite’,” cfr. punto 4. 5 I titoli di Vicario di Cristo e di Sommo Pontefice della Chiesa universale creano invece serie difficoltà per il dialogo ecumenico in quanto sono percepiti “as implying a universal jurisdiction of the bishop of Rome over the entire Church, which is something the Orthodox have never accepted”. 6 Lettera dell’Arcivescovo di Atene, Christodoulos, del 17 marzo 2006, inviata a Papa Benedetto XVI. 4 106 Vittorio Parlato Credo che queste parole, così autorevoli per la fonte e per il destinatario, esprimano meglio di ogni altra considerazione una delle linee su cui muovere il dialogo fruttuoso con l’Ortodossia7. 2. Assenza di un disegno unitario nell’organizzazione ultra metropolitana della Chiesa Le norme costituzionali che regolavano la vita della Chiesa, ed in specie l’organizzazione ecclesiastica del primo millennio, anche riconosciute definitivamente dal Concilio di Nicea II, del 787, non sono il frutto di una elaborazione di un legislatore sovrano o di un’assemblea costituente e promulgate in un determinato momento storico, esse sono invece frutto di una prassi che si stava consolidando, prassi accettata e sancita nel prosieguo del tempo da canoni dei concili ecumenici, o anche particolari e da leggi imperiali. Queste norme, spesso, costituiscono la soluzione di specifiche fattispecie date da sinodi particolari o sono risposte di alcuni Padri della Chiesa, recepite poi in altre chiese locali con atti di comunione ecclesiastica. Esempio tipico dell’accettazione di una prassi instaurata è il can. 6 del Concilio di Nicea I, del 325, in cui si dice: Antiqua consuetudo servetur per Aegyptum, Lybiam et Pentapolim ita ut Alexandrinus episcopus horum omnium habeat potestatem, quia et urbis Romae episcopo parilis mos est. Similiter autem et apud Antiochiam ceterasque provincias sua privilegia serventur ecclesiis. I Padri a Nicea prendono atto, quindi, che alcune chiese avevano goduto sin dall’età sub-apostolica di un prestigio particolare, sia a causa della loro origine apostolica, sia a causa della fama e santità di uno dei loro vescovi, sia per importanza civile della città8. Il vescovo di Alessandria si vede riconfermato un potere eccezionale (????s ?a ) non su una provincia come ogni metropolita, bensì su più 7 Sui problemi attuali dell’ecumenismo con le Chiese Ortodosse rinvio al volume V. PARLATO, Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto, Saggi, Torino, 2003, in special modo al capitolo IV, titolo I, Principi dell’ecumenismo cattolico e titolo II, Le Chiese orientali cattoliche e la problematica ecumenica con le Chiese ortodosse. 8 PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 11-12 e bibl. ivi cit. Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 107 province e su più metropoliti9; egli è paragonato al vescovo di Roma, è a lui parilis, in quanto dalle fonti si rileva che ha una giurisdizione, in quel periodo sub-apostolico sulle dieci province civili della diocesi dell’Italia suburbicaria10; non è invece precisato il potere sopra-episcopale riconosciuto al vescovo di Antiochia11 ed anche questo è a riprova del prendere atto e sanzionare di situazioni giuridiche preesistenti il cui contenuto è noto e perciò non precisato. Queste sedi con Roma, come poi quelle di Costantinopoli e di Gerusalemme, prenderanno il titolo di sedi patriarcali. L’esistenza di una differenza di poteri tra i vescovi di Alessandria e quello di Antiochia con conseguente presa d’atto, senza indicazione di causa, risulta dai deliberati del Concilio di Costantinopoli I, del 381, dove, anche qui, il can. 2 stabilisce: Qui sunt super diocesim episcopi, nequaquam ad ecclesias quae sunt extra terminos sibi praefixos, accedant nec eas hac praesumptione confundant. Sed iuxta canones Alexandrinus antistes quae sunt in Aegypto regat solummodo. Et Orientis episcopi Orientem tantum gubernent servatis privilegiis, quae nicaenis canonibus ecclesiae Antiochenae tributa sunt. Mentre il vescovo di Alessandria si vede riconfermata il suo potere su tutta la diocesi civile d’Egitto, nella diocesi civile d’Oriente è il sinodo dei vescovi che ha la supremazia, salvi quei poteri, ancora una volta non menzionati, che il concilio di Nicea aveva riconosciuto al vescovo di Antiochia12. La mancanza di un disegno giuridico unitario è del tutto evidente. Lo stesso accordo tra il vescovo di Antiochia e quello di Gerusalemme, raOltre ad ordinare tutti i vescovi e metropoliti il vescovo di Alessandria interviene a difesa dell’ortodossia convocando sinodi, inviando lettere, deponendo anche vescovi, risolvendo controversie, promulgando norme per tutti quei territori, PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 12. La comparazione con i poteri del vescovo di Roma va intesa naturalmente per quel che concerne i poteri sopra-episcopali, cfr. sul punto PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 11. 10 Tuscia-Umbria, Campania, Lucania-Bruttium, Apulia-Calabria, Sannio, Piceno, Valeria, Sicilia, Sardegna e Corsica, cfr. VOGEL, C., Unité de l'Église et pluralité des formes historiques d’organisation ecclésiastique du III au V siècle, in L'Épiscopat et l'Église universelle, Paris, 1962, p. 629. 11 Antiochia era considerata la principale metropoli ecclesiastica dell’Oriente. Il vescovo antiocheno già nel 252 presiede i concili regionali; cfr. PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 13, nota 13. 12 PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 14-15 e bibl. ivi citata 9 108 Vittorio Parlato tificato dal Concilio di Calcedonia del 451, con il quale si riconosce una giurisdizione ultrametropolitana anche a Gerusalemme sulle tre Palestine, istituisce una quinta giurisdizione patriarcale per soddisfare un desiderio di una persona, Giovenale di Gerusalemme 13, o di una Chiesa locale, quella gerosolimitana, non è fatto per razionalizzare con una ripartizione equilibrata l’organizzazione ecclesiastica regionale. 3. Il fondamento delle speciali prerogative primaziali ed estensione territoriale Quanto all’affermazione contenuta nel Documento del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani secondo cui “gli antichi Patriarcati d’Oriente, fissati dai Concili di Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451), erano relativi ad un territorio abbastanza chiaramente circoscritto , allorché il territorio della Sede del vescovo di Roma rimaneva vago”, mi pare che le fonti parlino espressamente sì di giurisdizione in determinati territori, ma prevedono interventi primaziali aldilà di quei territori specifici. La giustificazione e legittimità delle speciali prerogative esercitate dal patriarca di Costantinopoli14 traggono fondamento nel can. 28 del concilio di Calcedonia, del 451, e nel can. 36 del concilio in Trullo, del 691, dove anche si ribadisce il primato di onore a quella sede, seconda solo all’antica Roma; lì si affermava che spettava al vescovo primate di ogni diocesi civile dell’Impero consacrare (e quindi controllarne la nomina) i vescovi di quella diocesi e che al vescovo di Costantinopoli spettava or- 13 PARLATO,V., L’ufficio cit., p. 17 ; si legge in MANSI, VIII, 177 s., „Maximus reverendissimus episcopus Antiochiae Syriae dixit. Placuit mihi reverend. Episcopo Juvenali, propter multam contentionem per consensum ut sedes quidem Antiochensium maxime civitatis beati Petri habeat duas Phoenicias et Arabiam, sedes autem Hierosolimorum habeat tres Palestinas. Et rogamus ex decreto vestrae magnificentiae et sancti concilii, haec scripto firmari”. 14 Sulle prerogative di Costantinopoli cfr. VOGEL, C., Unité de l’Eglise et pluralité des formes historiques d’organisation cit., p. 620 s. e JOANNOU, P.P., Pape et patriarches dans la législation canonique, in Les canons des synodes Particuliers (Pontificia commissione per la redazione del codice di diritto canonico orientale, Fonti, Discipline générale antique, IV-X s., t. I,2) Grottaferrata, 1962, p.541 s. Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 109 dinare i vescovi del Ponto, Asia e Tracia e quelli dei paesi fuori i confini dell’Impero (Paesi barbari) vicini15. Stando alla situazione politico-geografica del V secolo si può ritenere che i Paesi barbari fossero quelli limitrofi all’Impero Romano d’Oriente, cioè i territori orientali balcanici e quelli della odierna pianura russa e delle sponde del mar Nero fino al Caucaso; territori non ‘chiaramente circoscritti’16. Analogamente i vescovi della Mesopotamia e della Persia venivano ordinati all’inizio17 dal patriarca viciniore, quello di Antiochia, e sempre fin dai primi tempi il metropolita di Etiopia veniva ordinato dal patriarca di Alessandria18. Quanto al fondamento ecclesiologico delle speciali prerogative riconosciute ad alcuni vescovi va detto che per gli orientali esse derivavano da decisioni conciliari che prendevano atto di situazioni esistenti determinate da fattori politici e sociali. Per la Chiesa di Roma il Decretum Ge- 15 A tal proposito il canone recita: „et ut Ponticam et Asiam et Thraciam gubernationem habeant etiam qui in barbaricis sunt episcopi a sede suprascripta [Costantinopoli] paroecias eis ordinentur“. Su questo cfr. JOANNOU, P.P., op. cit., p. 546 dove si dice: „ Quant aux mission en territoires sis hors des limites de l’empire, le droit consétudinaire établi attribuait au chef de claque diocèse [civile] la juridiction sur les peuples habitant les terres limitrophes à son territoire: c’est ainsi que p. ex. la Mésopotamie, la Perse dépendaient d’Antioche ; suivant cette pratique le siège de CP se voit attribuer la juridiction de métropolitain sur les évêchés ‘des barbares’ , limitrophes de Trace et du Pont “. 16 Si tenga presente che dal 374 il Catholicos di Armenia negò la propria soggezione all’esarca di Cesarea, uno dei tre esarcati su cui si sovrapponeva la giurisdizione patriarcale di Costantinopoli. Coussa, G. A., Epitome praelectionum de iure ecclesiastico orientali, I, Grottaferrata, 1948, p. 198. 17 COUSSA, G. A., Epitome cit., p. 189. 18 COUSSA, G. A., Epitome cit ., p. 173-174. La consacrazione del metropolita per l’Etiopia (chiesa monofisita) da parte del patriarca copto di Alessandria si è protratta fino al XX secolo. Il primo vescovo di Auxum, Frumenzio, fu consacrato vescovo pochi anni prima del Concilio di Nicea, del 325, da Atanasio di Alessandria (Cfr. La Chiesa d’Etiopia, a cura del Centro Studi e Documentazione del C.V.M. [Centro Volontari Marchigiani], Ancona 1984, p. 20) e dopo Frumenzio i vescovi etiopi erano sempre di nazionalità egiziana e consacrati dal vescovo di Alessandria, con riferimento a normative particolari anche ricomprese nel Feta Negist (p. 26); solo nel 1948 dopo lunghe trattative il Patriarca copto di Alessandria accettò l’indipendenza della Chiesa etiope con successiva nomina di un proprio patriarca (p. 52). 110 Vittorio Parlato lasianum19 oltre a rivendicare il collegamento speciale tra il vescovo di Roma e Pietro precisa che anche gli speciali privilegi di Alessandria ed Antiochia hanno fondamento nell’essere tutte e tre sedi petrine, nella prima ha predicato Marco, inviato di Pietro, nella seconda ha predicato lo stesso Pietro prima di venire a Roma dove ha subito il martirio; Gerusalemme dove ha predicato ed è stato crocifisso il Cristo non sembra riscuotere speciale valore, secondo questa tesi romana. L’esercizio delle prerogative primaziale del vescovo di Roma in Occidente: limiti di modalità e di tempi Credo che una cosa sia da chiarire subito, quando noi oggi parliamo di speciali prerogative primaziale di alcuni vescovi rispetto ad altri vescovi e ad altre chiese, non dobbiamo aver presente i caratteri tipici della giurisdizione ultrametropolitana o metropolitana classica del diritto canonico occidentale. Una antica e tradizionale prerogativa, ribadita da concili ecumenici e particolari, è quella di consacrare i vescovi metropoliti soggetti, controllandone così la nomina, ma poteva anche essere quella di conferire loro la communio ecclesiastica tramite lettere di comunione. Il vescovo di Roma consacrava di norma i vescovi dell’Italia centro meridionale 20, si limitava a riconoscere i vescovi di Arles in Gallia e di Tessalonica in Macedonia21 e con lettere di comunione li nominava anche suoi vicari per quei territori. Documento composito di oscure origini rispecchiava la visione della curia papale secondo cui non dai concili, ma dallo stesso Cristo Pietro e i suoi successori avevano ricevuto il primato con la frase evangelica “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, Cfr. anche Meyendorff, J., Lo scisma tra Roma e Costantinopoli, a cura di A. Rigo, Comunità di Bose, Magnano, 2005, p. 17. 20 VOGEL, C., Unité de l'Église et pluralité des formes historiques d’organisation cit., p. 629. 21 Cfr. PARLATO, V., Il vicariato di Tessalonica (IV-VII sec.), in Studi in memoria di Pietro Gismondi, vol. II, 2, Milano, 1991, p. 98-112, in cui il pontefice investe di poteri vicariali vescovi di Tessalonica e di Arles già nominati(p. 100-101), cfr. anche VOGEL, C., Unité de l'Église et pluralité des formes historiques d’organisation cit., p. 630 e 632. 19 Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 111 Limitatissima era poi l’influenza che la sede di Roma attuava in Africa dove un vero primato era esercitato dalla sede di Cartagine fino all’invasione dei Vandali del 45522. L’affermazione del potere primaziale, ultrametropolitano, in Occidente sarà realizzato per tappe, nel 445 l’Imperatore d’Occidente “emana un editto con il quale riconosce pienamente il primato giurisdizionale del papa in Occidente con la seguente formula ‘nulla deve essere fatto contro o senza l’autorità della chiesa romana’ ”23. Sarà solo dopo il 742 che papa Bonifacio imporrà a tutti i vescovi dell’Occidente di ricevere il pallium da Roma, quale segno di soggezione alla sede romana24. Roma esercita anche il suo ruolo ultrametropolitano sempre in Occidente patrocinando e favorendo l’attività missionaria nei popoli del Nord-Europa: Irlandesi e Anglosassoni25 e in seguito a cavallo tra il I e II millennio presso Magiari, Polacchi e alcuni Slavi. Nello stesso periodo si assiste ad una frantumazione normativa e di governo nei nuovi regni che si vengono formando in Europa26. Tutto questo territorio viene considerato l’Occidente, il patriarcato del vescovo di Roma, caratterizzato da un riferimento alla tradizione rituale, giuridica, culturale e linguistica latina. 4. Ulteriore espansione territoriale della giurisdizione patriarcale bizantina Il processo di accentramento, operato da Costantinopoli già dal IX secolo e della progressiva estensione delle suo prerogative anche sugli altri patriarcati27, dilaniati da scismi ed eresie e soggetti a dominazione araba, ha determinato l’interpretazione estensiva dei poteri del patriarCfr. anche VOGEL, C., Unité de l'Église et pluralité des formes historiques d’organisation cit., p. 630-631. 23 ULLMANN, W., Il papato nel Medioevo, Roma-Bari, 1987, p. 26, citato da FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto canonico,Bologna, 1999, p. 64. 24 MEYENDORFF, J., Lo scisma tra Roma e Costantinopoli cit., p. 28-29. 25 FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 71 s. 26 FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 67 s. 27 Sul potere di accentramento del patriarcato di Costantinopoli cfr. PARLATO,V., Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto cit., p. 13-20; DARROUZÈS, J., Documents inédits d’Ecclesiologie byzantine, Paris, 1966, p. 78. 22 112 Vittorio Parlato cato costantinopolitano in tutti i territori posti fuori dei confini dell’Impero bizantino per tutelare e provvedere alla cura pastorale anche di quanti, seguaci dell’ortodossia, abitanti nel patriarcato d’ Occidente – il patriarcato del Papa - che ormai si era irrimediabilmente staccato dagli altri quattro patriarcati orientali. Di qui la dipendenza attuale da Costantinopoli di circoscrizioni episcopali negli Stati dell’Europa occidentale. Diverso è il problema della dipendenza da Costantinopoli delle chiese e dei vescovi di diocesi situate nelle Americhe ed in Australia; si può ritenere che esse dipendano dal Patriarca bizantino perché i fedeli appartengono alla diaspora ortodossa in Occidente (analogamente a quello che succede per i cristiani ortodossi dell’Europa occidentale), e quindi si tratterebbe di una giurisdizione personale giustificata dalla cura pastorale di fedeli della diaspora28, oppure potrebbe essere ricondotta alla prevista giurisdizione sui Paesi Barbari, di cui ai canoni 28 di Calcedonia e 36 del Trullano, qualificando le Americhe e l’Australia come 28 A suffragio della qualificazione di giurisdizione eccezionale e personale, che si può portare quanto affermato da un canonista ortodosso (THEODOROU, E. T., Gli uniati ostacolo per l’unità, trad. italiana, in Oriente Cristiano, n. 2-3, 1992, pp. 37-38) secondo il quale “si richiede un’attenzione ed un tatto particolare nel regolare i rapporti tra Chiese di confessioni diverse, che non sono dal punto di vista numerico ugualmente rappresentate nello stesso ambito geografico. La Chiesa ufficiale o dominante deve evidentemente rispettare la libertà di coscienza dei membri delle minoranze, ma queste, in quanto credono sul serio che la Chiesa ufficiale o dominante ha le caratteristiche di vera Chiesa e può assicurare le condizioni della salvezza e la possibilità di appropriarsi dell’opera redentrice del Signore dovrebbero manifestare la sincerità del loro spirito ecumenico non solo evitando qualsiasi attività di proselitismo, diretta o indiretta, ma anche auto limitarsi al minimo indispensabile per la soddisfazione delle esigenze dei propri membri nella loro situazione particolare e lasciando via libera alla Chiesa ufficiale o dominante“. In altre parole si chiede che nei territori in cui la religione ortodossa è la religione di stato o della maggioranza della popolazione e come tale abbia una situazione particolare anche nell’ambito civile, quale è la Chiesa in Grecia considerata dallo stato greco come religione dominante, i fedeli delle altre confessioni, cioè i fedeli della Chiesa cattolica o quelli delle antiche Chiese orientali, Chiese tutte che riconoscono la Chiesa ortodossa come Chiesa sorella e strumento di grazia divina, godano di una libertà religiosa minima, vicina ad un regime di tolleranza, al fine di non ostacolare le attività della Chiesa dominante. Uguale situazione dovrebbe valere in occidente per gli ortodossi, che sono un’esigua minoranza tra i cattolici e i protestanti. Bisogna riconoscere che, per più ragioni, gli ortodossi in occidente non fanno opera di proselitismo e si limitano alla cura spirituale dei propri fedeli. Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 113 tali; in questo caso non sarebbe una giurisdizione personale, bensì una vera e propria giurisdizione territoriale. Certo è difficile dire in base ai citati canoni chi sia il patriarca competente in ragione della vicinanza, ed è difficile dire che siamo in presenza di una concorrenza di giurisdizioni patriarcali in medesimo territorio, sia pure vastissimo, contraddicendo un principio classico dell’ortodossia che vuole una unica chiesa in un unico territorio29. Forse si potrebbe ritenere che, in base alla situazione che si è creata in virtù del potere di accentramento del patriarcato bizantino, ricordato sopra, saremmo in presenza di una giurisdizione esclusiva di Costantinopoli sui fedeli ortodossi e di Roma sui fedeli cattolici. Quanto ai limiti dei singoli patriarcati, si potrebbe sostenere che corrispondano ai limiti territoriali esistenti nell’Impero Romano e che i territori al di fuori di esso non fanno parte di nessun patriarcato storico, ma seguono le tradizioni proposte (e accettate) dell’azione missionaria. Basti ricordare l’azione di Cirillo e Metodio nei confronti dei Boemi e degli altri slavi mitteleuropei, della chiesa bizantina nei confronti dei Bulgari30 e dei Russi, per non parlare della successiva evangelizzazione delle Americhe e dell’Australia; non credo che si possa parlare di Patriarcato d’Occidente per questi territori, ma solo di zone in cui si è sviluppata, in modo del tutto prevalente, la chiesa cattolica latina, tramite l’azione missionaria occidentale e per il numero dei fedeli e per la volontà dei governi, specie latino-americani di convertire i nativi alla chiesa cattolica; le tradizioni orientali, bizantine, melkite, russe sono rimaste così solo proprie di popolazioni emigrate appartenenti a quelle tradizioni, riti e culture. 29 Cfr. anche quanto affermato in CARPIFAVE, A., Conversazioni con Alessio II, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Milano,2003, p. 213. 30 Sulla volontà della Chiesa di Roma di ottenere la giurisdizione ultrametropolitana sulla Bulgaria, cfr. DVORNIK, F., Byzance et la primauté romaine, Paris, 1964, p. 137s. e 147s. 114 Vittorio Parlato 5. La pentarchia: limiti temporali e territoriali I termini „patriarca“ e „patriarcato“ sono successivi; non lo sono, invece, come ho detto sopra, le speciali prerogative attribuite ai cinque vescovi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme in determinati territori. Nel concilio di Calcedonia, del 451, la Chiesa viene divisa in cinque grandi circoscrizioni ultra-metropolitane, i cinque patriarcati31: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, cui si aggiunge la chiesa di Cipro32. Tutto il territorio dell’Impero romano era compreso in quelle cinque grandi circoscrizioni; la parte occidentale, su cui esercita il potere primaziale il vescovi di Roma, in quel periodo non corrisponde ormai più ai confini dell’Impero d’Occidente sotto Diocleziano; Spagna, Gallia, Germania, Britannia e parte dell’Africa sono soggetti a domini barbarici, non per questo si ritiene che le speciali prerogative del vescovo di Roma siano venute meno in tutti quei territori che una volta facevano parte dell’Impero. Una riprova di ciò sta nel fatto che quando, nel 379, le diocesi civili di Macedonia e di Dacia che facevano parte della Prefettura dell’Illirico e quindi dell’Impero d’Occidente, furono unite all’Impero d’Oriente, i papi per salvaguardare le loro speciali prerogative su vescovi di quelle regioni, conferiscono al vescovo di Tessalonica, una potestà vicaria33. Ho detto che il titolo di patriarca viene assunto dai cinque vescovi in quegli anni, senza un deliberazione ad hoc, ma come titolo corrispondente allo speciale ruolo ricoperto. Quello che merita rilevare è che agli inizi quando si parla di chiesa di Roma, di chiesa di Costantinopoli, di chiesa di Alessandria, di chiesa di Gerusalemme non si intende riferirsi alle circoscrizioni territoriali sottoposte alle succitate chiese, ma alla chiesa particolare dove risiede il vescovo-patriarca, considerata chiesa madre. Nel IV e V secolo il patriarPer una diversa valutazione della pentarchia cfr. anche Z ANCHINI DI CASTIGLIONCHIO, F., Riflessioni sulla collegialità episcopale nel sistema della pentarchia, in Studi in onore di P. A. D’Avack, vol. III Milano, 1977, p. 1043 s. 32 La cui autocefalia venne giustificata dal fatto che quella chiesa fosse stata fondata dall’apostolo Barnaba nel IV secolo Cfr. PALMIERI, A., Chypre (Église de) in Dictionnaire de Théologie catholique, II,2, Paris, 1923, 2424-2472. 33 Cfr. PARLATO, V., Il vicariato di Tessalonica (IV - VII sec.) cit., p. 98-112 e bibliografia ivi citata; DVORNIK, C., Byzance et la primauté romaine cit., p. 31. 31 Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 115 cato può essere considerato come ‘unione’ di chiese locali o regionali raggruppate intorno ad una chiesa-madre ed unite da un vinculum communionis tra loro e soggette alle speciali prerogative del patriarca. Attraverso lo sviluppo della teoria della pentarchia si giungerà ad un grado di astrazione che permetterà di individuare nella chiesa patriarcale non più la chiesa madre dove risiede il vescovo-patriarca, bensì una unità organica composta di più chiese locali sotto l’autorità gerarchica di un prelato: il Patriarca; la conseguenza sarà che il fulcro della vita ecclesiale si sposterà dalle chiese locali e dalle chiese metropolitane al patriarcato34. Il concilio di Costantinopoli, dell’869-870, VIII ecumenico per la Chiesa di Roma, segna l’apice della concezione confederale, pentarchica, della Chiesa; da tutto il contesto si deduce che il vescovo di Roma ha una giurisdizione sull’Occidente; nelle sue sessioni si proclama che Dio ha fondato la sua Chiesa sui cinque patriarchi e che se anche quattro di loro dovessero errare, uno di essi rimarrà sempre a custodire il gregge di Cristo35. Questo concilio è, però, disconosciuto dagli ortodossi. Si sostiene che fu annullato da papa Giovanni VIII36; i canoni di questo concilio non si trovano in nessuna collezione canonica orientale e non può essere portato come documento a suffragio della pentarchia da parte ortodossa. A sostegno della pentarchia gli ortodossi pongono invece il concilio dell’879-880 tenuto anche questo a Costantinopoli, un concilio che riabilita Fozio e disconosce il precedente sinodo; dai canoni si ricava il principio della pentarchia e l’affermazione della reciproca parità tra Roma e Costantinopoli in relazione alla potestà coercitiva. 34 In Oriente si sostenne che il potere supremo nella Chiesa spettasse ai cinque patriarchi. “Cette idée – scriveva DUCHESNE, L., Autonomies ecclésiastiques, Églises séparées, vol. I, Paris, 1906, p. 167 – s’est perpétuée dans le droit byzantin; à Rome on l’acceptait dans le langage officiel, mais sens enthousiasme”. 35 MANSI, op. cit., XVI, coll. 140-141; DVORNIK, F., Bizance cit., p. 91; PARLATO, V., L’ufficio patriarcale cit., p. 176. 36 Lo stesso Papa in una lettera inviata all’imperatore afferma: “sanctam Constantinopoli synodum contra eundem sanctissimum Photium definimus omnino damnatam et abrogatam esse” MANSI,J. D., Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae-Venetiis-Parisiis-Lipsiae, 1759 s., XVII, col. 490 e Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna-Friburgi, 1962, p. 133. 116 Vittorio Parlato In realtà il canone I è un punto di partenza per superare la concezione pentarchica. I contraenti sono solo Roma e Costantinopoli; il rappresentante di Gerusalemme plaude all’intesa raggiunta; quello di Alessandria compare solo alla firma degli atti conciliari; il rappresentante di Antiochia esprime il suo parere favorevole a che contro chiunque chierico o laico trovato intento a separare se stesso dalla Chiesa di Dio sia punito da Fozio, detentore del pieno potere di legare e sciogliere37. Un concilio che si proclama ecumenico38 avrebbe legiferato in modo diverso se la potestà dei cinque patriarchi fosse stata considerata eguale e, visto, che il canone si chiude con la salvaguardia degli speciali privilegi della sede romana avrebbe potuto accennare, a maggior ragione, ai diritti delle altre chiese patriarcali. Se il concilio di Costantinopoli dell’869-870, antifoziano, ma, come ho detto, non riconosciuto dagli ortodossi, dette un’indubbia prova dell’esercizio del primato pontificio in Oriente con l’ottenere la piena sconfessione dell’operato di Fozio e con la ratifica di molte disposizioni relative alla nomina di patriarchi e vescovi, fino ad allora non osservate nella chiesa bizantina39, il concilio dell’879-880 segna, invece, il trionfo di Fozio, non solo per la sua piena reintegrazione, ma anche per la completa invalidazione del concilio precedente e la cassazione dei canoni disciplinari di quello. Questo concilio fu approvato dagli inviati di Papa Giovanni VIII e benché non ecumenico, riscuote grande autorevolezza presso gli ortodossi che in esso vedono una conferma della sede romana alla pentarchia40. Approfittando del momento favorevole41 l’abile patriarca costantinopolitano si equipara, quasi, al vescovo di Roma, le sue decisioni discipli„Ut qui ex Dei jussu praesit tamquam pontifex maximus”, cfr. MANSI, XVII, A, col, 499. 38 Can. I: „sancta et universalis synodus“ nell’edizione citata da JOANNOU, P. P., nella versione latina; in quella greca: ? ? ?a ? a ? ? ?? ? ? µe? ?? ? s ? ? ? d?? / „sancta et oecumenica Synodus“, in Mansi, XVII A, col. 498. 39 In particolare il divieto di elevare alla cattedra patriarcale un laico, can. IV del Concilio di Costantinopoli dell’869-870; cfr. PARLATO, V., L’ufficio patriarcale cit., p. 172 s. e bibl. ivi citata e in parte nota 164 a p. 176. 40 “Agreed upon at the Council of Constantinople of 879 and signed by the Legates of Pope John VIII”, così si legge nella lettera di Christodoulos, Arcivescovo di Atene del 17 marzo 2006, inviata a Papa Benedetto XVI. 37 Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 117 nari sono valide come quelle del romano pontefice e l’uno e l’altro si impegnano a recepirle. Se consideriamo la situazione politica di quegli anni il primato di Costantinopoli appare ben giustificato. Gli arabi hanno conquistato i territori degli altri patriarcati, quelle antiche sedi sono in piena decadenza e per gli scismi che le hanno dilaniate, e, ora, per la dominazione intollerante ed ostile dei conquistatori mussulmani. Solo Costantinopoli vive, legata alle fortune dell’Impero d’Oriente; essa si identifica sempre più con quello e vuole estendere la sua giurisdizione fino là dove si estende la sovranità imperiale, anche nei territori d’Occidente; in Oriente, poi, come l’imperatore, si considera rappresentante e portatore di interessi di tutte le popolazioni cristiane e territori caduti in mano agli infedeli. La pentarchia così delineata alla metà del I millennio si presenta ben presto come una costruzione debole, essenzialmente per tre motivi che la minano dalle fondamenta. Alla fine del I millennio resterà solo un fatto storico, un dato ecclesiale che esprimerà una realizzazione ormai al tramonto. Il primo motivo negativo risiede del programma del vescovo di Roma di voler esercitare un primato su tutti i vescovi, compresi i patriarcati orientali, ratione primatus Petri42; il secondo motivo di debolezza è dato dalla costituzione di gerarchie ecclesiastiche eretiche monofisite contrapposte a quelle melkite (ortodosse e filo imperiali) nei patriarcati di Alessandria e di Antiochia, gerarchie che tuttavia riscuotevano il consenso di gran parte dei fedeli cristiani43; il terzo fattore che ne ha sanzionato la fine va visto nella occupazione, secoli VIII e IX, dei territori dei patriarcati di Alessandria e di Antiochia da parte dell’islam e la 41 Siamo in un periodo di splendore e potenza dell’Impero d’Oriente sotto Basilio I, i bizantini si presentano come gli unici in grado di contrastare gli Arabi che continuavano a dominare il Mediterraneo ed a minacciare perfino Roma, la quale, vista la gravissima crisi che travagliava quello d’Occidente, dovette chiedere aiuto all’Impero d’Oriente. Questo spiega l’atteggiamento conciliante che il papato assunse allora verso Bisanzio nelle questioni ecclesiastiche. Cfr. OSTROGORSKY, G., Storia dell’Impero bizantino, Torino 1968, p. 215. 42 Su questo cfr. VOGEL, C., Unité de l'Église et pluralité des formes historiques d’organisation ecclésiastique du III au V siècle, in L’Épiscopat et l'Église universelle, Paris, 1962, p.632 s. 43 Cfr. PARLATO,V., L’ ufficio patriarcale nelle chiese orientali dal IV al X secolo, Contributo allo studio della ‘communio’, Padova, 1969, p. 26-27. 118 Vittorio Parlato contemporanea politica di accentramento di Costantinopoli su tutte le chiese orientali44. 6. Realtà storica e normativa attuale, come punti di riferimento per il ristabilimento della piena comunione con le Chiese ortodosse Un punto fermo del dialogo ecumenico è che il vescovo di Roma come Patriarca d’Occidente ha speciali funzioni, diritti, prerogative nell’ambito della chiesa latina, ha una giurisdizione ultrametropolitana assimilabile negli aspetti fondamentali per origine e contenuto a quella degli altri patriarchi nel primo millennio; diversamente come successore di Pietro, come colui che presiede nella carità, ha un primato universale45 che può essere meglio specificato, quanto all’esercizio, in successive precisazioni che tengano conto dell’ecclesiologia del primo millennio nonché delle tesi di teologi cattolici46 ed ortodossi47. A tal proposito cito quanto scrive Joannou48 : Nous y voyons persister, au IXe siècle, la tradition antique de l’église qui voyait dans l’évêque de Rome la garantie d’infaillibilité des conciles œcuméniques, le juge suprême de la foi à cause du pouvoir des clefs confié par le Christ à Pierre, et le lien d’unité entre les églises chrétiennes. 44 cfr. PARLATO,V., Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto, Saggi cit., p. 13-20; DARROUZÈS, J., Documents inédits d’Ecclesiologie byzantine cit., p. 78. Segnalo un recente studio del metropolita di Vienna ALFEYEV, H., La nozione di ‘territorio canonico’ nella tradizione ortodossa, in O Odigos, n. 3 del 2006, p. 10-20. 45 Che, per i cattolici, trova il punto più alto nel contenuto del dogma stabilito dal Concilio Vaticano I nella Costituzione Pastor aeternus. 46 Cito, ad esempio, gli studi di DEJAIFVE, G. , Primauté et collégialité au premier concile di Vatican, in L’Épiscopat et l'Église universelle cit., p. 639 s., DEWAS, W. F., “Potestas vere episcopalis” au premier concile du Vatican, in L’Épiscopat et l'Église universelle cit., p. 661 s. e di THILS, G., “Potestas ordinaria”, in L’Épiscopat et l'Église universelle cit., p. 690 s. dove si esaminano i lavori conciliari e le possibili interpretazioni e da ultimo FANTAPPIÈ, C., Introduzione storica al diritto canonico cit., p. 245-249 con fonti e bibl. ivi citata. 47 Lo stesso documento del Santo Sinodo, al punto 3, dice espressamente che: “Among the ‘ancient’ Patriarchates the first place belongs to the Patriarchate of West, under the bishop of Rome, even though its communion with the Orthodox Churches has been interrupted after the Schism of 1054 AD.” 48 JOANNOU, P.P., op. cit., p.550. Il Vescovo di Roma, Patriarca d’Occidente. Alcune riflessioni 119 La duplice codificazione canonica una per la chiesa latina ed una per le chiese orientali e la stessa costituzione Pastor Bonus regolatrice delle competenze di Congregazioni ed Uffici della Curia Romana in cui si indicano le competenze della Congregazione per le Chiese Orientali49 che assorbono anche quelle di altri dicasteri competenti su questioni della chiesa latina, mostrano la volontà di regolare al vertice in modo differente quanto attiene alla chiesa latina, patriarcato d’Occidente, da quanto attiene alle chiese d’Oriente. Ho detto, mostrano la volontà di regolare in modo differente, giacché la normativa avrebbe potuto essere molto più incisiva. Il Decreto del Concilio Vaticano II Orientalium Ecclesiarum stabilisce che sono riconosciuti e confermati i diritti e i privilegi dei patriarchi affermando che “i patriarchi e i loro sinodi costituiscono le supreme istanze di quelle chiese” ed esprime la volontà di ripristinarli secondo le antiche tradizioni di ogni chiesa e secondo i decreti dei concili ecumenici, questi diritti e privilegi debbono essere quelli vigenti al tempo dell’unione tra Oriente ed Occidente, adattati alle odierne esigenze50. Stando alla lettera la nuova codificazione orientale con la distinzione tra chiese patriarcali, chiese arcivescovili maggiori, chiese metropolitane e altre chiese sui iuris è stato riconosciuto un largo autogoverno alle chiese patriarcali, mentre si è previsto un intervento progressivamente più accentuato sulle altre tre tipologie di chiese, specie per la nomina dei vescovi. Forse lo spirito della norma conciliare dava la possibilità di una maggiore autonomia per le chiese d’oriente e l’introduzione della nuova figura giuridica di Chiesa arcivescovile maggiore non ha ampliato molto l’autonomia riconosciuta alle chiese metropolitane51. La competenza della Congregazione per le Chiese Orientali incontra dei limiti al §2 dello stesso art. 58 per la riconfermata esclusività della competenza di altri dicasteri ed uffici della Curia Romana, in alcuni casi (ad es. dispensa dal matrimonio rato e non consumato) a mio sommesso giudizio non necessaria. 49 Peraltro già precisate nella Costituzione Apostolica Regimini Ecclesiae Universae di Paolo VI del 1967, ai cap.44 e 45, §1. 50 Orientalium Ecclesiarum, n. 9. 51 La Chiesa Ucraina fu eretta in arcivescovato maggiore il di Leopoli il 23 dicembre 1963; cfr. LORUSSO, L., La chiesa Greco-Cattolica Ucraina, in O Odigos, n. 4 del 2005. 120 Vittorio Parlato Altro punto su cui occorre riflettere è l’aver deciso di mantenere per i patriarchi orientali in comunione con la Santa Sede52 una potestà più limitata sui fedeli residenti in eparchie al di fuori dei patriarcati53, volendo ribadire che la loro giurisdizione è al tempo stesso personale sui fedeli della propria chiesa rituale, ma piena solo su quelli residenti nel tradizionale territorio patriarcale. Credo la valutazione corretta della realtà storica-giuridica del primo millennio, di cui ho evidenziato alcuni aspetti salienti ed alcune considerazioni cattoliche ed ortodosse indichino le linee su cui muovere il dialogo fruttuoso con l’Ortodossia54. Va sottolineato che rispetto nell’altra Dichiarazione comune tra il Romano Pontefice e il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, quella del 7 dicembre 1965, Pénétrés de reconnaissance con la quale si tolgono reciprocamente le scomuniche tra Roma e Costantinopoli si legge “Il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I nel suo sinodo”55 (ed il 28 ottobre 1967), la recentissima Dichiarazione comune del 30 novembre 2006, riportata nel L’Osservatore Romano del 1 dicembre 2006 recita testualmente: La rencontre fraternelle que nous avons eu, nous Benoît XVI, Pape de Rome, et Bartholomaios I, Patriarche œcuménique, est l’œuvre de Dieu [… ]56. Si sottolinea così l’aspetto territoriale della giurisdizione papale, usando a mo’ di compromesso un titolo quello di Papa di Roma non usato nello stile della Curia romana. Ugualmente si indica l’aspetto territoriale della potestà pontificia nell’ultima Dichiarazione comune del Romano Pontefice e un primate ortodosso, l’Arcivescovo di Atene, si legge: “Nous, Benoît XVI, Pape et Évêque de Rome, et Christodoulos Archevêque d’Athènes et de toute la Grèce […]”57 Alessandria dei Copti, Antiochia dei Melkiti, Antiochia dei Siri, Antiochia dei Maroniti, Cilicia degli Armeni, Babilonia dei Caldei. 53 In materia legislativa le leggi liturgiche entrano in vigore immediatamente in tutte le chiese locali del rito, quelle disciplinari nelle eparchie ‘esterne’ vengono regolate in modo particolare ai sensi del canone 150 C.C.E.O. 54 Sui problemi attuali dell’ecumenismo con le Chiese Ortodosse rinvio al volume V. PARLATO, Le Chiese d’Oriente tra storia e diritto, Saggi, cit., in special modo al capitolo IV, titolo I, Principi dell’ecumenismo cattolico e titolo II, Le Chiese orientali cattoliche e la problematica ecumenica con le Chiese ortodosse. 55 A.A.S. 58 (1966), p. 20. 56 La Dichiarazione è riportata in www.vatican.va, 14/12/2006. 57 La Dichiarazione è riportata in www.vatican.va, 14/12/2006 52