LLP
Regulation & Competition Economics
Comitato economico e sociale europeo
Analisi settoriale delle delocalizzazioni:
quadro fattuale di riferimento
Relazione finale
19 maggio 2006 DI CESE 49/2006 riv.
www.reckon.co.uk DI CESE 49/2006 riv. EN-COS/SAN/rl/fb
INDICE
1. RIASSUNTO ............................................................................................... 1
La delocalizzazione: definizione operativa ............................................................................................................1
L'approccio adottato ..............................................................................................................................................1
I settori considerati ................................................................................................................................................3
Osservazioni sui dati disponibili ............................................................................................................................3
Conclusioni ............................................................................................................................................................4
Struttura della relazione .........................................................................................................................................5
2. DESCRIZIONE DEI DATI E DEGLI INDICATORI UTILIZZATI .................... 6
Statistiche sul commercio estero ............................................................................................................................6
La banca dati STAN dell'OCSE per l'analisi industriale .......................................................................................6
Statistiche strutturali delle imprese (SBS) .............................................................................................................6
Tavole input-output simmetriche ...........................................................................................................................7
Osservatorio europeo per le ristrutturazioni (ERM) ..............................................................................................8
Investimenti diretti esteri (IDE) e investimenti fissi nazionali ..............................................................................8
Industria europea e associazioni di categoria .........................................................................................................8
3 ANALISI SETTORIALI .................................................................................
Struttura delle analisi settoriali.........................................................................................…………………………..
Industria aerospaziale ..............................................................................................................................................
Autoveicoli ..............................................................................................................................................................
Cemento ...................................................................................................................................................................
Prodotti chimici .......................................................................................................................................................
Ingegneria elettromeccanica ....................................................................................................................................
Servizi finanziari ......................................................................................................................................................
Prodotti alimentari ....................................................................................................................................................
Vetro ........................................................................................................................................................................
Ferro e acciaio .........................................................................................................................................................
Servizi all'impresa ad alto tasso di conoscenza (Knowledge-Intensive Business Services) ......................................
Pelletteria, abbigliamento e calzature ......................................................................................................................
Metalli non ferrosi ...................................................................................................................................................
Carta e pasta di cellulosa .........................................................................................................................................
Prodotti farmaceutici ...............................................................................................................................................
Plastiche ...................................................................................................................................................................
Attrezzature ferroviarie ............................................................................................................................................
Cantieristica navale ..................................................................................................................................................
Tessile ......................................................................................................................................................................
Legno .......................................................................................................................................................................
ALLEGATO 1: RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ....................................................
ALLEGATO 2: CONTROLLO TRA I SETTORI E LE SERIE DI DATI...……….
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1. Riassunto
Il 14 luglio 2005 il Comitato economico e sociale
europeo (CESE) ha adottato un parere intitolato Portata
1
ed effetti della delocalizzazione delle imprese , in cui si
afferma tra l'altro che "il fenomeno della delocalizzazione
colpisce alcuni settori più di altri" (punto 2.6). L'Ufficio
di presidenza del CESE, riunitosi il 12 luglio 2005, ha
autorizzato la commissione consultiva per le
Trasformazioni industriali (CCMI) a elaborare una
relazione informativa dal titolo Analisi settoriale delle
delocalizzazioni, allo scopo di approfondire tale giudizio
e procedere a una valutazione settoriale del fenomeno.
1.
L'obiettivo del presente documento è contribuire alla
stesura della relazione informativa passando al vaglio i
dati empirici sulle delocalizzazioni per 19 settori
dell'Unione europea. Lo studio ha soprattutto lo scopo di
raccogliere e riportare i dati esistenti in materia e, dove
esistano dati su un dato settore, fornire un quadro
sinottico delle delocalizzazioni. L'analisi deve essere
condotta al livello dell'Unione europea (UE) e di
ciascuno Stato membro.
2.
Le specifiche definite dalla CCMI per la redazione
dello studio ne indicano chiaramente la portata. Lo scopo
non è, ad esempio, raccogliere dati di base, ma solo
esaminare quelli esistenti e già divulgati. Lo studio
inoltre non è tenuto a formulare proposte riguardo alle
opzioni strategiche.
3.
La delocalizzazione: definizione operativa
Come risulta dall'esame dei documenti politici e della
letteratura accademica sull'argomento, oltre che dai
colloqui con le parti interessate, non vi è accordo
unanime sul significato del termine "delocalizzazione".
In questa sede non ci si ripropone di riassumere né di
2
riproporre il dibattito sull'argomento, tanto più che ci è
stato chiesto di adottare la definizione di cui al parere
CESE del 14 luglio 2005. Il termine "delocalizzazione"
(la versione inglese del testo usa indifferentemente
delocalisation o relocation) è definito al punto 1.18 del
documento:
4.
Fenomeno che consiste nella cessazione, totale o parziale
di un'attività e della sua successiva ripresa all'estero per
mezzo di un investimento diretto.
Il parere passa poi a distinguere tra delocalizzazione
interna ed esterna: la prima riguarda i casi in cui le
attività riprendono in un altro Stato membro dell'Unione
europea, la seconda i casi in cui le attività sono trasferite
in paesi terzi.
5.
1
2
La presente relazione verte sulla delocalizzazione
esterna. Si segnaleranno tuttavia i casi in cui le cifre
indicano delocalizzazioni avvenute dai vecchi Stati
membri (UE-15) verso i dieci nuovi Stati membri, o
viceversa.
6.
L'approccio adottato
I dati relativi al volume o al valore delle attività cessate
in uno Stato membro e riprese altrove mediante
investimenti diretti non figurano in raccolte coerenti o
complete per tutti i settori e in tutta Europa. In altri
termini, non esistono dati che consentano una valutazione
diretta del fenomeno della delocalizzazione, così come lo
si è definito.
7.
Alla luce di quanto precede, abbiamo selezionato un
insieme di indicatori che, pur dando una misura
imperfetta
della
delocalizzazione,
rappresentano
altrettanti aspetti di tale realtà. A questo scopo abbiamo
passato all'esame la letteratura esistente per poter definire
una serie di indicatori pertinenti. Gli indicatori scelti sono
enumerati nella tabella 1.1.
8.
L'attività di selezione degli indicatori è stata dominata
da un'esigenza: la disponibilità di dati coerenti e
sufficientemente completi, in modo da consentirne il
computo.
9.
Nessuno degli indicatori elencati nella tabella 1.1 può
essere messo in rapporto diretto con la delocalizzazione.
Il grado di trasferimento delle attività produttive all'estero
non si può dedurre esaminando, ad esempio, le tendenze
della produzione interna. Se è vero infatti che le
delocalizzazioni incidono sulla produzione interna, è
chiaro anche che su di essa agiscono molti altri fattori che
nulla hanno a che vedere con le decisioni delle imprese di
delocalizzare. Altrettanto dicasi per le tendenze
riguardanti le bilance commerciali, i livelli occupazionali,
la quota di produzione interna consumata nei paesi
dell'OCSE (le quali riflettono la posizione del settore sul
mercato mondiale), e per tutti gli altri indicatori previsti.
10.
Dato che gli indicatori scelti danno solo una misura
parziale delle delocalizzazioni, ai fini di una valutazione
efficace è essenziale incrociare i diversi valori.
11.
La necessità di fondarsi su vari indicatori e non su uno
solo è inoltre corroborata dal fatto che neanche le serie di
dati da cui sono tratti gli indicatori sono perfette. Al di là
infatti di occasionali difetti di metodo, nessuna di esse
copre in modo esaustivo tutti i settori in tutti gli Stati
membri per un lasso di tempo sufficientemente
significativo.
12.
Il capitolo 2 presenta in dettaglio gli indicatori
considerati e le serie di dati utilizzate per calcolarli.
13.
Comitato economico e sociale europeo (2005), Portata ed effetti della
delocalizzazione delle imprese, CCMI/014 - CESE 851/2005.
Ciò nonostante, nell'allegato 1 figura una breve rassegna delle diverse
definizioni rinvenute nella letteratura in materia.
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1
Tabella 1.1: Indicatori considerati nell'analisi
Indicatore
Definizione
Fonte
Produzione interna
Occupazione
Produzione interna, in termini di valore e in percentuale del PIL
Occupazione in termini assoluti e in percentuale dell'occupazione interna totale
SBS (Eurostat)
SBS (Eurostat)
Percentuale dei consumi
nell'ambito dell'OCSE
Produzione interna in percentuale dei consumi nei paesi OCSE
SBS (Eurostat), STAN
(OCSE)
Penetrazione delle
importazioni
Rapporto tra importazioni e produzione interna
SBS, COMEXT
(Eurostat)
Tasso di autosufficienza
Rapporto tra produzione interna e consumi interni
Indice settoriale inputoutput ristretto
Indice settoriale inputoutput complessivo
Rapporto tra prodotti intermedi importati dal settore straniero x e valore della
produzione totale del settore interno x
Rapporto tra prodotti intermedi importati e valore della produzione totale del
settore interno x
SBS, COMEXT
(Eurostat)
Eurostat
Bilancia commerciale
Bilancia commerciale (esportazioni nette), con suddivisione dei paesi partner in 4
gruppi: UE-25, UE-15, nuovi Stati membri, paesi in via di sviluppo
COMEXT (Eurostat)
Investimenti diretti
esteri
Investimenti diretti esteri, distinguendo tra quelli all'interno e all'esterno dell'UE15, dell'UE-25 e dei nuovi Stati membri.
Settore Economia e
finanze - Bilancia dei
pagamenti (Eurostat)
Investimenti in capitali
nazionali
Investimenti in attivi fissi nazionali.
Perdita di posti di
lavoro in base a ERM
Numero di posti di lavoro perduti a causa della delocalizzazione secondo la
banca dati ERM, con suddivisione in base alle zone verso cui si effettua la
delocalizzazione: nuovi Stati membri, UE-15, paesi membri dell'OCSE ma non
dell'UE, paesi in via di sviluppo
Dati sui conti
nazionali annui
(Eurostat)
ERM (Osservatorio
europeo per le
ristrutturazioni)
Eurostat
NB: La sigla SBS si riferisce alle statistiche strutturali delle imprese, STAN all'analisi strutturale e COMEXT al
commercio estero. Per maggiori informazioni, si veda il capitolo 2 della presente relazione.
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2
I settori considerati
La presente relazione copre 19 settori, scelti e
definiti dal gruppo di monitoraggio della CCMI:
14.
(a)
Industria aerospaziale
(b)
Autoveicoli
(c)
Cemento
(d)
Prodotti chimici
(e)
Ingegneria elettromeccanica
(f)
Servizi finanziari
(g)
Prodotti alimentari
(h)
Vetro
(i)
Ferro e acciaio
(j)
Servizi all'impresa ad alto tasso di conoscenza
(Knowledge-Intensive Business Services)
(k)
Pelletteria, abbigliamento e calzature
(l)
Metalli non ferrosi
(m)
Carta e pasta di cellulosa
(n)
Prodotti farmaceutici
(o)
Plastiche
(p)
Attrezzature ferroviarie
(q) Cantieristica
(r)
Tessile
(s)
Legno.
navale
Dei 19 settori studiati, 17 fanno capo all'industria
manifatturiera. Nel 2003, questi 17 settori impiegavano
poco meno di 25 milioni di persone, pari all'80% di
tutta l'occupazione dell'industria manufatturiera
3
nell'UE a 25 . I due settori non legati all'industria
manifatturiera sono i servizi finanziari e i servizi
all'impresa ad alto tasso di conoscenza.
15.
Alcuni settori sono più circoscritti di altri. Il settore
dell'industria aerospaziale, ad esempio, è relativamente
ristretto: comprende la costruzione di aeromobili e di
veicoli spaziali, come pure il riattamento degli
aeromobili e la manutenzione e la riparazione dei loro
motori. I servizi all'impresa ad alto tasso di conoscenza
coprono viceversa una gamma più ampia di attività,
alcune delle quali riguardano il settore immobiliare,
l'affitto di macchinari e di attrezzature senza operatore,
l'affitto di beni per uso personale e domestico, attività
informatiche e affini, servizi di consulenza giuridica,
contabile, di audit, architettura e ingegneria, pubblicità
e pulizia industriale. Le sottosezioni del capitolo 3
enumerano le attività coperte da ciascun settore.
16.
3 In base alla nostra analisi delle statistiche strutturali sulle imprese
(SBS), Eurostat.
Osservazioni sui dati disponibili
La banca dati relativa alle statistiche strutturali delle
imprese (Structural Business Statistics - SBS), a cura
di Eurostat, è la migliore fonte esistente per misurare
l'attività in corso, in quanto fornisce informazioni sul
valore dei livelli di produzione e di occupazione nella
maggior parte dei settori oggetto dello studio. Essa
riguarda tutti i 25 paesi dell'Unione europea e copre il
periodo 1995-2003.
17.
Ciò detto, essa presenta alcune gravi lacune. Per
esempio, le informazioni relative ad alcuni Stati
membri, in particolare Grecia, Malta, Cipro e Svezia,
appaiono relativamente incomplete per molti settori. I
dati inerenti alla Germania e ad alcuni dei nuovi Stati
membri riguardano solo il periodo 1999-2003. Nessun
dato è disponibile per il settore dei servizi finanziari, e
piuttosto scarsi sono quelli sulla cantieristica navale.
Nonostante queste carenze, continuiamo a ritenere che
essa presenti i dati migliori in modo sistematico per
tutta l'UE, e che per completezza sia da preferire a
Europroms, anch'essa a cura di Eurostat ma incentrata
sulla produzione.
18.
La banca COMEXT, a cura di Eurostat, fornisce dati
sul commercio estero da e verso gli Stati membri. Le
statistiche disponibili si riferiscono al periodo 19952004 per l'UE-15 e al periodo 1999-2004 per quanto
riguarda i nuovi Stati membri.
19.
Anche COMEXT, tuttavia, non è esente da lacune.
Anzitutto, essa si limita alla fornitura di beni materiali
e non copre quindi le attività rientranti nel settore dei
servizi all'impresa ad alto tasso di conoscenza e in
quello dei servizi finanziari. Infine, per quanto riguarda
Slovacchia e Polonia, solo i dati del 2004 sono
disponibili.
20.
Nonostante questi inconvenienti, COMEXT presenta
un grado di completezza tale da presentare interesse ai
fini di questo studio.
21.
Le tavole input-output diffuse da Eurostat
costituiscono una valida fonte di informazione per
cogliere il fenomeno dell'esternalizzazione (offshore
outsourcing), in quanto permettono di misurare i livelli
di penetrazione dei prodotti intermedi importati nei
processi di produzione nazionali. Tuttavia, se è
importante quantificare il grado di penetrazione dei
prodotti intermedi importati in un dato anno,
particolarmente illuminante è osservarne la variazione
nel tempo. Purtroppo, queste tavole vengono prodotte
di rado, solo ogni cinque anni nella maggior parte degli
Stati. In tali casi, i dati disponibili si riferiscono di
norma a due anni: il 1995 e il 2000. Alcuni Stati
membri hanno elaborato tali tavole solo per un anno
del periodo di riferimento qui considerato. Queste
ultime, quindi, offrono informazioni utili solo su dieci
Stati membri.
22.
Il ricorso alle tavole input-output pone un altro
problema relativo al livello di aggregazione delle
categorie di prodotti, visto che per alcuni settori la
23.
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3
categorizzazione delle attività avviene a un livello di
aggregazione maggiore rispetto ai settori considerati.
Esistono ad esempio tavole input-output per tutta una
serie di attività comprese nella categoria "Altre
attrezzature di trasporto", in cui rientrano le
attrezzature ferroviarie, l'industria aerospaziale e la
cantieristica navale.
La banca dati dell'Osservatorio europeo per le
ristrutturazioni (ERM), a cura dell'Osservatorio
europeo del cambiamento (EMCC) fornisce
informazioni sull'attività di ristrutturazione in corso
nell'Unione europea. La banca ERM contiene
informazioni dettagliate sui tipi di ristrutturazione (tra
cui quello denominato offshoring/delocalizzazione), sui
settori colpiti e sul numero di posti di lavoro persi o
creati.
24.
Pur essendo una valida fonte di informazione, sul
piano metodologico ERM presenta notevoli carenze
legate al sistema di rinvenimento dei dati. Questi ultimi
sono ricavati passando in rassegna una selezione di
quotidiani europei e prendendo nota delle informazioni
relative a soppressioni di impieghi legate a
ristrutturazioni. Di conseguenza, la banca dati registra
le perdite di posti di lavoro anche quando le cifre
indicate si basano su mere dichiarazioni di intenti dei
dirigenti di impresa. In realtà, il numero effettivo di
posti di lavoro soppressi in seguito a un'operazione di
delocalizzazione può differire considerevolmente dalle
previsioni iniziali. Dato che non è facile seguire le
rettifiche a posteriori di tali cifre, esse non vengono
integrate nella base dati. In questa sede si riportano le
cifre indicate nelle tavole che corredano le analisi
settoriali, ma non ci si basa su di esse ai fini di una
descrizione globale del fenomeno delocalizzazione.
25.
flusso dei disinvestimenti effettuati da un ente
nazionale nel settore straniero in questione.
L'affidabilità dei dati sugli IDE è ulteriormente
compromessa dalla relativa frammentarietà delle
statistiche Eurostat, la quale in linea generale non
consente di dedurre dai dati disponibili quali flussi di
IDE provenienti da un ente di un dato settore in un
particolare Stato membro siano destinati a un
particolare paese (ad esempio, Cina, India o Brasile) o
magari a un insieme più ampio di "paesi in via di
sviluppo". Per avere risultati più completi, i paesi
destinatari andrebbero aggregati al livello dei paesi
extracomunitari.
29.
Inoltre, come per le tavole input-output, la possibilità
di applicare i dati IDE ai settori oggetto dello studio
appare ulteriormente complicata dalla classificazione
utilizzata per la serie di dati IDE, la quale presenta un
livello di aggregazione maggiore rispetto alla
definizione dei settori considerati in questa sede.
Nell'ambito della classificazione settoriale dei dati IDE
proposta da Eurostat, solo quattro categorie
corrispondono ad ambiti di nostro interesse: i prodotti
alimentari, l'ingegneria elettromeccanica, i servizi
all'impresa ad alto tasso di conoscenza e i servizi
finanziari. Per questi settori, lo studio riporta i relativi
dati IDE. Tuttavia, per le ragioni già addotte, riteniamo
che l'utilizzo di questi dati come indicatori della
delocalizzazione presenti notevoli inconvenienti, per
cui la nostra analisi della delocalizzazione in tali settori
non si baserà su di essi. L'allegato 1 espone più in
dettaglio i limiti riscontrati nei dati IDE.
30.
Inoltre, come avviene per le tavole input-output, tra
la tassonomia dei settori inclusi nella banca dati ERM e
molti degli ambiti selezionati per il presente studio non
vi è una corrispondenza uno a uno. Ad esempio, la
serie ERM riporta le perdite di posti di lavoro per una
categoria denominata "Metalli", che copre le attività
non solo del settore dell'acciaio e del ferro ma anche
quelle del comparto metalli non ferrosi. Il problema è
stato risolto riclassificando i dati ERM conformemente
ai settori oggetto dello studio: a tal fine ci si è basati
sulle informazioni dettagliate aggiuntive fornite per
ogni dato registrato.
Per certi settori ci si è valsi dei dati sui livelli di
attività diffusi dalle rispettive associazioni di categoria,
dati che nella maggior parte dei casi integrano le
informazioni tratte dalle fonti statistiche enumerate
finora. Per la cantieristica navale, in particolare, si è
scelto di usare i dati in materia di produzione e
occupazione forniti dal Comitato di collegamento dei
costruttori di navi delle Comunità europee (CESA),
anziché quelli disponibili nella base SBS. Ai fini del
presente studio, infatti, i dati del CESA sembrano
offrire un quadro più preciso delle attività afferenti alla
cantieristica navale rispetto a quelli riportati dalla base
SBS di Eurostat. Inoltre, la copertura di tali dati appare
meno lacunosa, pur riferendosi solo ai paesi affiliati al
CESA (cioè solo 14 Stati membri dell'UE).
I dati relativi agli investimenti diretti esteri (IDE) e
agli investimenti nazionali sono pubblicati da Eurostat
e ripartiti per attività e regione di destinazione.
Conclusioni
26.
31.
27.
A nostro giudizio, il collegamento tra i dati relativi
all'IDE e le delocalizzazioni è particolarmente
fuorviante. Infatti, ogni investimento effettuato da un
ente nazionale per acquisire più del 10% del capitale di
un'impresa straniera viene annoverato tra gli IDE e
incluso in questi dati. Tuttavia, non tutti gli
investimenti esteri sono finalizzati alle delocalizzazioni
e non tutte le delocalizzazioni avvengono attraverso
IDE. Inoltre, i dati sugli IDE comprendono anche il
28.
Il capitolo 3 analizza i dati relativi alla
delocalizzazione per settore e giunge ad alcune
conclusioni generali.
32.
Per tutti i settori, tranne due, i dati non fanno
trasparire una chiara attività di delocalizzazione
nell'insieme dell'Unione europea. I due settori in cui i
dati confermano invece l'esistenza di delocalizzazioni
sono il tessile e il comparto "Pelletteria, abbigliamento
33.
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4
e calzature". Si tratta di ambiti strettamente legati, nel
senso che la produzione del tessile costituisce a sua
volta un importante fattore di input per la fabbricazione
di abiti e accessori.
Nel settore dell'ingegneria elettromeccanica, dai
dati provengono segnali misti. La produzione europea
nel settore segna un graduale arretramento e
l'occupazione si contrae in misura ancora maggiore.
Tra il 1999 e il 2003 la quota rappresentata dal settore
nell'insieme dell'economia ha subito un netto calo. In
controtendenza, la bilancia commerciale europea
relativa a questo settore è andata migliorando, specie
nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Una possibile
lettura di questi dati, considerati nel complesso, è che
la produttività del lavoro in Europa è migliorata,
determinando un calo dell'occupazione, e che anche le
esportazioni sono cresciute. Essi però possono essere
visti
anche
come
indicatori
dell'avvenuta
delocalizzazione di certe attività dall'Europa verso i
paesi in via di sviluppo, se non che nei dati
commerciali tale fenomeno è occultato dall'aumento
delle esportazioni verso quegli stessi paesi.
34.
(a)
nel capitolo 2 si descrivono le serie di dati e si
definiscono gli indicatori utilizzati,
(b) nel
capitolo 3 figurano tutte le analisi settoriali,
(c)
nell'allegato 1 si passa in rassegna la letteratura in
materia e si indicano i riferimenti bibliografici,
(d)
nell'allegato 2 si tracciano le corrispondenze tra i
settori esaminati e le categorie di dati proprie delle
fonti statistiche usate per lo studio.
I dati alla base della presente analisi sono riportati in
un file Excel allegato allo studio.
40.
Dai dati non risulta che il fenomeno della
delocalizzazione abbia colpito qualche particolare
Stato membro, né tanto meno che certi Stati membri
abbiano in generale attirato le attività delocalizzate
altrove.
35.
Oltre alla generale tendenza alla delocalizzazione
accertata nei settori europei del tessile e della
pelletteria, abbigliamento e calzature, la nostra analisi
ha evidenziato solo altri tre casi in cui questo
fenomeno è attestato sul piano statistico. Nel settore
dei prodotti chimici, le statistiche sembrano riferirsi a
possibili delocalizzazioni nel Regno Unito e in
Slovacchia. I dati relativi alle attrezzature ferroviarie
fanno supporre l'esistenza del fenomeno in Germania,
mentre nel comparto della cantieristica navale la
delocalizzazione sembra avere interessato Germania e
Danimarca.
36.
Dai dati disponibili non risulta che gli Stati membri
dell'UE abbiano beneficiato in misura notevole della
delocalizzazione interna. Nei due settori in cui le
statistiche hanno accertato una forte tendenza alla
delocalizzazione, cioè il tessile e il comparto
"Pelletteria, abbigliamento e calzature", le attività
sembrano essere state trasferite verso i paesi in via di
sviluppo. In realtà, sulla scorta dei soli dati
commerciali, l'andamento della bilancia commerciale
tra i dieci nuovi Stati membri e l'UE-15 pare essere
stato favorevole a quest'ultima.
37.
Nessun elemento emerso dall'analisi permette di
istituire un collegamento tra la propensione di un
settore a delocalizzare e la sua relativa maturità.
38.
Struttura della relazione
39.
Il resto della relazione è strutturato come segue:
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5
2. Descrizione dei dati e degli
indicatori utilizzati
il commercio extracomunitario sono stati ricavati
sommando le cifre relative alle esportazioni e alle
importazioni extracomunitarie per ciascuno Stato
membro.
1
La banca dati STAN dell'OCSE per l'analisi
industriale
Questo capitolo descrive in dettaglio le fonti
statistiche su cui si basa la relazione e gli indicatori
utilizzati per delimitare il fenomeno della
delocalizzazione. Le informazioni relative alle banche
dati utilizzate provengono dai metadati forniti da
Eurostat.
Statistiche sul commercio estero
2
I dati relativi al commercio estero provengono dalla
banca dati COMEXT, a cura di Eurostat, che riguarda i
movimenti di merci attraverso le frontiere degli Stati
membri dell'UE.
3
I dati relativi al commercio extracomunitario sono
tratti dagli esemplari statistici delle dichiarazioni
doganali. Le statistiche sul commercio intracomunitario
sono calcolate sulla base di dati forniti direttamente
dagli operatori commerciali. Tuttavia, ogni soggetto
detentore di partita IVA in uno Stato membro che
svolga transazioni commerciali all'interno dell'UE al di
sopra di una certa soglia è tenuto a precisarne il valore
alle autorità statistiche nazionali.
4
I principali indicatori presenti in questa banca dati
sono le importazioni e le esportazioni, per valore e
volume, suddivise per gruppi di paesi dichiaranti, paesi
partner e prodotti. Ai fini del presente studio si è ricorso
ai dati sul commercio estero espressi in valore (in
milioni di euro).
5
La banca dati comprende, per ciascun paese
dichiarante, gli scambi commerciali da e verso paesi
terzi e altri Stati membri dell'Unione.
6
Essa copre inoltre tutti i beni mobili e fisici, ma non
gli scambi di servizi, e più di 10.000 prodotti classificati
secondo la nomenclatura combinata (NC).
9
La banca dati per l'analisi strutturale (STAN), curata
dall'OCSE, comprende dati su produzione, manodopera
occupata e commercio estero per varie attività.
10
STAN, che copre tutti gli Stati membri dell'OCSE e
tutti gli anni tra il 1995 e il 2003, presenta dati raccolti
sulla base dei conti nazionali dei diversi paesi.
11
Le attività incluse nella banca dati seguono la
classificazione internazionale tipo, per industrie, di tutti
i rami d'attività economica (CITI riv. 3).
12
La banca dati STAN è utilizzata per calcolare la
variabile consumo dell'OCSE, cosa che avviene
sommando la produzione e le importazioni dei paesi
OCSE, e sottraendo dal totale le esportazioni. Questa
variabile è qui adoperata come misura indiretta del
consumo globale.
Statistiche strutturali delle imprese (SBS)
13
Le statistiche strutturali delle imprese (SBS) sono un
insieme di dati pubblicato da Eurostat che fornisce
diversi indicatori relativi alla natura e ai livelli
dell'attività economica nell'UE.
14
La banca SBS abbraccia le attività in tutti gli Stati
membri, ed è elaborata da Eurostat sulla scorta delle
informazioni trasmesse dagli istituti nazionali di
statistica di ciascuno Stato membro.
15
Questi ultimi raccolgono i dati attraverso indagini
statistiche, fonti amministrative o registri di imprese.
L'unità di campionamento in questa procedura è
l'impresa, così come definita dal regolamento (CEE) del
Consiglio n. 696/93:
la più piccola combinazione di unità giuridiche che
costituisce un'unità organizzativa per la produzione di beni
e servizi che fruisce di una certa autonomia decisionale in
particolare per quanto attiene alla destinazione delle sue
risorse correnti.4
7
La banca dati, che copre tutti i 25 Stati membri
dell'Unione, si riferisce al periodo 1995-2004 per l'UE15 e al periodo 1999-2004 per i dieci nuovi Stati
membri.
8
L'indicatore bilancia commerciale usato nel contesto
del presente studio si basa sui dati COMEXT relativi
alle importazioni e alle esportazioni. Tali dati, aggregati
in un primo momento in gruppi di prodotti quanto più
possibile conformi ai settori considerati per lo studio, lo
sono stati nuovamente per gruppi di paesi partner, al
fine di ottenere cifre relative al commercio
extracomunitario, intracomunitario e con i paesi in via
di sviluppo. Ai fini dell'analisi, sono stati considerati
paesi in via di sviluppo quelli non appartenenti né
all'UE, né all'OCSE. La bilancia commerciale (o saldo
netto delle esportazioni) è stata calcolata sottraendo le
importazioni dalle esportazioni. I dati aggregati UE per
16
I dati sono ripartiti al livello di gruppi di prodotti in
linea con la classificazione statistica delle attività
economiche nella Comunità europea (NACE riv. 1).
17
La banca dati, realizzata nel 1995, ha vissuto una
prima fase transitoria tra il 1995 e il 1998. Di
conseguenza, alcune delle informazioni relative a
questo periodo risultano incomplete, mentre più
4 Statistiche strutturali delle imprese, metadati Eurostat in formato
SDDS: sintesi della metodologia.
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6
esaustivi sono i dati dal 1999 al 2003. Al momento di
scrivere la presente relazione, i dati per il 2004 non
erano ancora disponibili.
Quando non vi erano dati disponibili per un anno
compreso tra il 1995 e il 2003, per ottenere il dato
mancante si è fatto ricorso all'interpolazione lineare.
18
Il valore della produzione misura il valore reale,
espresso in euro, dei beni e servizi venduti da
un'impresa durante l'anno di riferimento. Questa
variabile è utilizzata in questo studio per misurare la
produzione.
19
L'occupazione è definita come il numero di lavoratori
dipendenti, cioè il numero di persone legate all'impresa
da un contratto di lavoro e a cui essa versa una
retribuzione o uno stipendio. In questa variabile non
rientrano i lavoratori contrattuali che non sono
direttamente impiegati dall'impresa.
20
Il consumo apparente è calcolando sommando il
valore della produzione e delle importazioni, e
sottraendo dal totale le esportazioni per ciascun gruppo
di prodotti. Il valore della produzione è tratto dalla
banca dati SBS, mentre i dati relativi alle importazioni e
alle esportazioni provengono da COMEXT.
Tavole input-output simmetriche
28
Le tavole input-output (o delle interdipendenze)
simmetriche, pubblicate da Eurostat previa raccolta dei
relativi dati presso i dipartimenti di contabilità degli
istituti nazionali di statistica, vengono elaborate
convertendo le tavole delle risorse e degli impieghi a
prezzi costanti. Tra tali tavole, quelle che presentano
interesse per il presente studio sono le tavole inputoutput simmetriche per le importazioni e le tavole
input-output simmetriche per la produzione interna.
29
Le tavole input-output simmetriche non vengono
elaborate ogni anno, ma ogni cinque, e comunque
Eurostat non le produce per numerosi Stati membri. I
dati di queste tavole sono stati utilizzati solo quando
erano disponibili per almeno due periodi consecutivi.
21
La produzione in percentuale del PIL, è il rapporto tra
la produzione globale di un settore e il PIL di uno Stato
membro.
Le tavole input-output simmetriche classificano le
attività in 60 categorie, sulla base del sistema di
nomenclatura NACE riv. 1.
22
La produzione in percentuale dei consumi in ambito
OCSE, è il rapporto tra la produzione di un settore e il
consumo apparente aggregato dei prodotti del
medesimo settore in tutti i paesi OCSE. Questo
indicatore può essere utilizzato come misura indiretta
della quota di produzione di un dato settore rispetto alla
produzione mondiale, ovvero della sua quota di mercato
mondiale.
31
Le tavole input-output per le importazioni riportano il
valore totale di ogni prodotto intermedio importato,
suddiviso per le attività interne che ne fanno uso. Le
tavole input-output per la produzione interna indicano il
valore aggregato di tutti i prodotti intermedi importati,
suddiviso per le attività interne che ne fanno uso. Le
tavole indicano anche il valore aggiunto di ciascuna
attività interna.
23
32
Il tasso di autosufficienza è il rapporto tra la
produzione di un dato settore in uno Stato membro e il
consumo apparente dello stesso nel medesimo Stato
membro.
24
L'indice di penetrazione delle importazioni è il
rapporto tra le importazioni in un dato settore e il
consumo apparente nello stesso settore per ciascuno
Stato membro.
25
La quota di occupazione globale, espressa in
percentuale, è il rapporto tra il numero di occupati in un
settore e l'occupazione globale in tutti i settori di uno
Stato membro.
26
I dati aggregati per l'UE relativi a produzione,
occupazione e consumo apparente sono ricavati
sommando i valori relativi a ciascuno Stato membro. Il
dato aggregato UE per la produzione in percentuale del
PIL è il saldo tra la produzione totale e il PIL
complessivo dell'UE. Il dato aggregato UE per la
produzione in percentuale dei consumi in ambito OCSE
è il saldo tra produzione totale UE e consumi
complessivi dei paesi OCSE.
27
Al momento di calcolare i dati aggregati per l'UE,
quando i dati sulla produzione o sull'occupazione in uno
Stato membro non erano disponibili per il 2003, al loro
posto è stato usato il corrispondente valore per il 2002.
30
L'indice ristretto dell'esternalizzazione è il rapporto
tra il valore dei beni intermedi importati nell'ambito di
una data classe di attività e il valore aggiunto dalle
imprese interne consumatrici finali che rientrano nella
medesima classe di attività.
33
L'indice complessivo dell'esternalizzazione per una
data classe di attività è il rapporto tra il valore di tutti i
beni intermedi importati e il valore aggiunto dalle
imprese interne consumatrici finali nell'ambito della
medesima classe d'attività.
34
Dato che le classi di attività presentano talora un
livello di aggregazione maggiore rispetto ai settori in
esame, gli stessi dati vengono utilizzati per i diversi
settori pertinenti a una medesima classe di attività.
Esistono ad esempio tavole di input-output per la
divisione 26 della classificazione NACE, cioè "altri
prodotti minerali non metallici, inclusi vetro e
cemento", per cui gli stessi dati vengono riportati
nell'analisi di questi ultimi due settori. In certi casi,
tuttavia, ciò non è possibile. Un esempio sono le tavole
input-output disponibili per la divisione 24 della
NACE, relativa ai prodotti chimici e farmaceutici, in
quanto le tendenze in atto in questi due settori
differiscono a tal punto che è difficile servirsi dei dati
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7
aggregati. Si tratta di un inconveniente proprio di questa
fonte statistica rispetto alle finalità del presente studio.
Investimenti diretti esteri (IDE) e investimenti
fissi nazionali
35
44
I dati relativi agli investimenti diretti esteri (IDE)
sono pubblicati da Eurostat nell'ambito del settore
Economia e finanze - Bilancia dei pagamenti.
Per questi indici non è possibile ricavare dati
aggregati al livello UE, dato che i beni intermedi
importati non risultano ulteriormente ripartiti in
importazioni intra- ed extracomunitarie.
45
Eurostat definisce gli IDE come
quegli investimenti internazionali che riflettono
l'obiettivo di un'entità residente in un'economia
(investitore diretto) di ottenere un interesse duraturo in
un'impresa residente in un'economia diversa da quella
dell'investitore (impresa di investimento diretto).
L'interesse è considerato duraturo se l'investitore
diretto acquisisce almeno il 10% del capitale sociale
dell'impresa di investimento diretto.
Osservatorio europeo per le ristrutturazioni
(ERM)
36
La banca dati dell'Osservatorio europeo per le
ristrutturazioni (ERM) è pubblicata su base sistematica
dall'Osservatorio europeo del cambiamento (EMCC) di
Dublino.
37
La ERM riporta tutti i casi di ristrutturazione
industriale che:
(a) interessano
almeno uno Stato membro dell'UE;
(b)
comportano una riduzione annunciata o effettiva di
almeno 100 posti di lavoro, o
(c)
interessano aziende con almeno 250 dipendenti e
almeno il 10% della forza lavoro, o
(d) creano
almeno 100 nuovi impieghi.
38
L'Osservatorio europeo del cambiamento ricava
queste informazioni passando in rassegna una selezione
di quotidiani in tutti i 25 Stati membri.
39
I dati sono classificati a seconda del tipo di
ristrutturazione. La banca dati conta otto tipi, tra cui
"offshoring/delocalizzazione".
40
Per ciascun caso di ristrutturazione, la banca dati
riporta le informazioni seguenti:
(a) nome
46
I dati sono suddivisi per paese dichiarante, classe di
attività dell'investitore diretto, regione di destinazione e
anno dell'investimento, e coprono tutti i 25 Stati
membri dell'UE.
47
La banca dati IDE è utilizzata per misurare il livello di
investimenti diretti esteri realizzati da un paese
dichiarante all'interno e all'esterno dell'UE-15,
all'interno e all'esterno dell'UE-25 e nei dieci nuovi
Stati membri. La banca IDE è classificata in base ai
settori di attività dell'entità che effettua l'investimento,
indipendentemente dalla destinazione finale.
48
Le statistiche sugli investimenti fissi nazionali sono
pubblicate da Eurostat nel quadro dei dati relativi ai
conti nazionali annuali.
49
Nella banca dati, gli investimenti fissi nazionali sono
definiti come
dell'impresa,
il saldo delle acquisizioni e delle cessioni di attivi fissi
da parte dei residenti nel corso del periodo di
riferimento, più alcune plusvalenze da attivi non
prodotti derivanti dall'attività di produzione delle unità
produttive o istituzionali.
(b) settore,
(c) tipo
di ristrutturazione,
(d) data
dell'annuncio,
(e) numero
di posti di lavoro persi o creati,
(f) destinazione
(g) riassunto
della delocalizzazione (se nota),
della notizia.
41
Il censimento dei casi ha avuto inizio nel gennaio
2002 e procede in modo sistematico.
42
La variabile posti di lavoro persi è calcolata
sommando il numero di posti di lavoro persi per ciascun
caso in un dato settore e Stato membro.
50
I dati sono ripartiti per paese dichiarante, classe di
attività e anno dell'investimento, e coprono tutti i 25
Stati membri dell'UE.
51
I dati sugli investimenti fissi lordi in un settore di
attività da parte di uno Stato membro sono utilizzati per
indicare il grado di investimento nell'economia
nazionale.
43
Anche in questo caso, come per le tavole di inputoutput, i settori definiti nella banca dati ERM
presentano spesso un grado di aggregazione superiore a
quello richiesto dal presente studio. In tali casi ci si
serve dei riassunti delle notizie per riclassificare i
singoli casi nei settori di nostro interesse.
Industria europea e associazioni di categoria
52
A sostegno della nostra analisi abbiamo fatto ricorso
ai dati raccolti presso diverse associazioni di categoria e
gli organi di settore. Nella maggior parte dei casi, i dati
provengono da fonti pubblicate; tuttavia, per quanto
riguarda il settore della cantieristica navale, i dati sono
stati resi noti dalla stessa associazione.
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8
53
I dati relativi al settore della cantieristica navale sono
stati forniti dal Comitato di collegamento dei costruttori
di navi delle Comunità europee (CESA), e abbracciano
il periodo 1995-2004 con riguardo all'occupazione e il
periodo 1997-2004 con riguardo alla produzione in tutti
i paesi affiliati al CESA. Dato che solo 14 paesi CESA
sono anche Stati membri dell'UE, l'analisi è stata
circoscritta a essi.
54
Ulteriori dati giustificativi sono stati tratti dalle
pubblicazioni delle seguenti associazioni:
(a)
Consiglio europeo delle federazioni dell'industria
chimica (CEFIC),
(b)
Federazione europea delle industrie alimentari
(CIAA),
(c)
Organizzazione europea dell'abbigliamento e del
tessile (Euratex),
(d)
Associazione delle industrie ferroviarie europee
(UNIFE),
(e)
Confederazione delle associazioni nazionali dei
conciatori della Comunità europea (Cotance),
(f)
Confederazione
europea
dell'industria
lavorazione del legno (CEIB),
(g)
Comitato permanente delle industrie del vetro della
CEE (CPIV),
(h)
Confederazione delle industrie europee della carta
(CEPI),
(i)
Associazione europea delle industrie aerospaziali e
di difesa (ASD),
(j)
Associazione europea dei costruttori di materiale
aerospaziale (AECMA),
(k)
Associazione europea del cemento (Cembureau).
di
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9
Allegato 1: Rassegna
bibliografica
Si è passata in rassegna la letteratura esistente sulla
rilocalizzazione5 (relocation) per comprendere meglio:
1
(a)
la definizione dei vari termini associati alla
rilocalizzazione e ciò che si intende per
rilocalizzazione;
(b)
i metodi usati in letteratura per misurare la
rilocalizzazione, e i dati di riferimento;
(c)
i fattori, specifici a determinati settori e ambiti di
attività, che sono associati a una maggiore
propensione alla rilocalizzazione;
(d)
le tendenze future della rilocalizzazione; e infine
(e)
gli effetti della rilocalizzazione.
Sarà ora trattato ognuno di questi aspetti. Alla fine
dell'allegato è riportato un elenco di riferimenti
bibliografici.
2
Produzione internalizzata o esternalizzata
Localizzazione
Internalizzata
Esternalizzata
della produzione
(outsourcing)
Insourcing
Outsourcing
Paese di origine
Captive offshoring
Offshore outsourcing
Paese estero
(offshoring)
Fonte: adattamento di UNCTAD (2004) e Pujals (2005)
organizzative riguardano il ricorso all'outsourcing e
all'offshoring ed è in riferimento a questi due termini
che la maggior parte della letteratura discute la
rilocalizzazione.
L'uso dei termini outsourcing e offshoring, però, non è
ancora standardizzato. Le definizioni più comuni sono
quelle proposte dall'UNCTAD (2004) e da Pujals
(2005). Questi autori definiscono l'outsourcing in
termini di scelta tra "internalizzare" (mantenere
all'interno) ed "esternalizzare" (affidare all'esterno) il
processo di produzione degli input intermedi; il termine
offshoring è impiegato in relazione ai casi in cui il
processo produttivo è svolto in un altro paese.
6
La tabella A1.1 evidenzia i vari aspetti coperti da
questi due termini.
7
Definizione dei termini associati alla
rilocalizzazione
La letteratura esistente in materia non offre una
definizione univoca del termine "rilocalizzazione".
Molti degli studi presi in esame, anzi, non usano affatto
questo termine e trattano le stesse problematiche
impiegando termini quali outsourcing, offshoring,
deindustrializzazione e delocalizzazione. Non tutti gli
autori usano questi termini nella stessa accezione.
3
Tanto per cominciare, il concetto di rilocalizzazione è
spesso associato a quello di delocalizzazione, che si
riferisce alla cessazione di un'attività produttiva seguita
dalla sua riapertura o dal suo subappalto all'estero (cfr.
per esempio Aubert and Sillard, 2005). Ciò è in linea
con la definizione della delocalizzazione adottata dal
Comitato economico e sociale europeo (CESE) nel suo
parere del 20056. Gran parte della letteratura, tuttavia, è
dell'opinione che tale definizione sarebbe troppo
restrittiva e inoltre, come osservano Boulhol e Fontagné
(2005), non si può dire che essa corrisponda a una
categoria statistica o a un fenomeno di rilievo.
4
Gran parte della letteratura preferisce definire il
fenomeno come le alternative che una ditta ha di fronte
per le decisioni organizzative sui possibili modi di
realizzare un dato processo produttivo. Queste decisioni
5
Tabella A1.1: Outsourcing e offshoring
5
6
N.d.T: anche se i termini inglesi "relocation" e "delocalisation"
corrispondono entrambi al termine italiano "delocalizzazione", in
questa sezione si è comunque deciso di mantenere la distinzione
anche in italiano a fini di chiarezza espositiva.
Comitato economico e sociale europeo (2005), Portata ed effetti
della delocalizzazione delle imprese, CCMI/014 – CESE 851/2005,
punto 1.18.
Entrambe le forme di offshoring citate sono
considerate un parziale trasferimento all'estero della
catena di valore e costituiscono il principale ambito di
interesse della letteratura in materia. Secondo
quest'interpretazione le attività oggetto di offshoring
possono essere fatte rientrare nel fenomeno della
rilocalizzazione anche nel caso in cui, inizialmente, non
fossero localizzate nel paese di origine dell'impresa.
8
Le trattazioni citate definiscono l'outsourcing e
l'offshoring con riferimento ai beni intermedi, ovvero
non agli input di materie prime né ai prodotti finiti.
Altri studi, però, non operano la stessa distinzione: per
es. Drumetz (2005), che definisce l'offshoring
semplicemente come trasferimento all'estero di attività
produttive interne, a quanto pare senza limitare l'analisi
agli input intermedi. In sostanza una misura della
rilocalizzazione incentrata sui beni intermedi
interesserebbe solo i settori in cui la fase finale del
processo produttivo è realizzata all'interno. Per
esempio, se un produttore nazionale di automobili
decidesse di produrre i suoi motori all'estero, questo
cambiamento sarebbe rilevato in quanto i motori sono
una componente intermedia. Se invece lo stesso
produttore cessasse l'attività e la domanda interna fosse
soddisfatta da prodotti importati, ciò non sarebbe
rilevato in quanto non si avrebbe importazione di beni
intermedi.
9
10 Alcuni studi impiegano una terminologia leggermente
diversa con riferimento alle pratiche appena descritte.
Per esempio, Geishecker (2005) e Amiti e Wei (2005)
parlano di international outsourcing per intendere le
attività di offshoring di cui nella tabella. I termini
outsourcing e offshoring sembrano essere impiegati in
modo intercambiabile anche in altri studi, nei quali, di
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10
nuovo, di solito è attribuito loro lo stesso significato di
ciò che nella tabella A1.1 è definito offshoring.
Un concetto legato a quelli esaminati finora è quello
della deindustrializzazione: il processo mediante il
quale un paese o una regione passano da un'economia
basata sull'attività manifatturiera a un'economia basata
sui servizi. Il parere del CESE del 2005 precisa il
concetto in termine assoluti e relativi7. Afferma che la
deindustrializzazione assoluta è associata a "un declino
dell'occupazione, della produzione, della redditività e
dello stock di capitale nell'industria e un calo delle
esportazioni di beni industriali, e che determina
disavanzi commerciali persistenti in tale settore". La
"deindustrializzazione relativa" è definita il "processo
che consiste nella riduzione della quota dell'industria
nell'economia e rispecchia un processo di cambiamento
strutturale per quanto riguarda il rapporto tra la
produttività dell'industria e il settore dei servizi."
11
importazioni di ogni settore nazionale da settori di altri
paesi, mentre le tavole input-output sulla produzione
interna indicano il valore aggiunto da ogni settore
nazionale.
Sulla base di questi dati si possono ricavare misure
ristrette o ampie dell'outsourcing. Per una misura
ristretta si prendono in esame, in ogni settore, solo le
importazioni provenienti dal settore corrispondente
all'estero e quindi ci si concentra sull'outsourcing
dell'attività di base, mentre per una misura ampia si
prendono in esame le importazioni da tutti i settori
esteri. Hijzen et al. (2005) calcolano queste misure
ristrette e ampie come segue:
16
(a)
L'outsourcing ristretto del settore I è dato dal
rapporto tra gli acquisti di input importati effettuati
dal settore I presso il settore I e il valore aggiunto
del settore I.
(b)
L'outsourcing ampio del settore I è dato dal rapporto
tra la somma di tutti gli acquisti di input effettuati
dal settore I e il valore aggiunto del settore I.
Misure della rilocalizzazione
Come fa osservare l'OMC (2005), un grosso problema
delle definizioni riportate di outsourcing e offshoring è
che non sono facilmente armonizzabili con i dati
rilevati ufficialmente sull'economia. Di solito questi dati
sono raccolti a livello di settore, mentre le decisioni di
rilocalizzazione sono prese a livello aziendale. È
difficile stabilire un legame tra i dati sulle importazioni
e la decisione gestionale di sostituire un prodotto
importato con un altro prodotto internamente. Un altro
problema potenziale, segnalato da Amiti e Wei (2005),
è che i dati rischiano di sottostimare il valore
dell'offshoring poiché il costo dei beni importati sarà
probabilmente inferiore al loro prezzo di acquisto nel
paese di destinazione. I dati quantitativi, pur essendo
preferibili, non possono essere aggregati al di là dei
singoli prodotti per fornire un utile quadro settoriale,
che infatti in molti casi non è disponibile.
12
In mancanza di dati diretti sul fenomeno, gli studi
hanno impiegato misure indirette (proxies) per ricavare
un'approssimazione del numero di rilocalizzazioni che
si verificano. Sono state impiegate molte proxy diverse,
cosa che non sorprende dato che non esiste un consenso
su cosa si intende per rilocalizzazione.
13
14 Saranno
ora
presentati
gli
indicatori
rilocalizzazione impiegati in letteratura.
di
Tavole input-output
Poiché di solito l'outsourcing è definito in termini di
input intermedi, per costruire una misura del fenomeno
spesso si usano tavole input-output. Forse il metodo più
preciso per misurare l'offshore outsourcing sarebbe
impiegare come fonti tavole input-output riferite sia alle
importazioni che alla produzione interna. Le tavole
input-output per le importazioni riportano le
15
Il difetto principale di queste misure è la scarsa
frequenza con cui sono elaborati i dati su cui si basano,
cioè le tavole input-output per le importazioni e quelle
per la produzione interna, ovvero solitamente ogni
cinque anni. Per ovviare a questo difetto e consentire di
effettuare analisi che hanno bisogno di una maggiore
quantità di osservazioni molti autori, tra i quali Amiti e
Wei (2005), hanno elaborato approssimazioni di queste
misure combinando tavole input-output e dati
sull'interscambio. Le tavole standard, infatti, si limitano
ad elencare gli input per settore, senza suddividerli in
input acquisiti all'interno o all'estero. Questi autori
usano le tavole standard partendo dall'assunto che il
rapporto tra beni intermedi importati e interni sia pari al
rapporto tra il totale delle importazioni del settore e il
consumo totale del settore.
17
Il consumo, che forse sarebbe più esatto chiamare
"consumo apparente", è definito come la somma della
produzione interna e delle importazioni meno le
esportazioni del settore in esame. Le due diverse
tecniche si equivarranno nel caso in cui la quota dei
beni intermedi importati sia pari a quella del totale dei
beni importati.
18
Altri autori, come Geishecker (2005) o Falk e
Wolfmayr (2005), elaborano ulteriormente queste
misure disaggregandole per paese partner, cioè
prendendo in esame solo le importazioni provenienti dai
paesi che interessano.
19
Dati sui conti pubblici nazionali
20 Altre misure di rilocalizzazione non si limitano agli
scambi di beni intermedi, ma prendono in esame anche
i dati sui conti pubblici nazionali, soprattutto per quanto
riguarda le importazioni e le esportazioni.
Drumetz (2005), per esempio, calcola un rapporto di
penetrazione delle importazioni e un rapporto di deficit
21
7
Ibidem.
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11
esterno, che misura indirettamente il grado di
dipendenza dalla produzione interna del consumo
interno. Queste misure sono così calcolate:
(a)
Il rapporto di penetrazione delle importazioni come
rapporto tra le importazioni e la somma della
produzione interna e delle importazioni nette;
(b)
Il rapporto di deficit esterno come rapporto tra le
esportazioni nette e la somma della produzione
interna e delle importazioni nette.
Lo studio parte dall'assunto che l'offshoring abbia
luogo nei settori in cui il rapporto di penetrazione delle
importazioni è in forte aumento, il rapporto di deficit
esterno è in rapida flessione e la quota dei posti di
lavoro del settore sul numero totale è in discesa. Altri
studi che utilizzano il rapporto di penetrazione delle
importazioni sono Anderton and Brenton (1999) e
Campa and Goldberg (1997).
22
Certi studi, come Amiti and Wei, prendono anche in
esame direttamente la bilancia commerciale (il saldo tra
esportazioni
e
importazioni),
utilizzando
le
importazioni come proxy per l'outsourcing e le
esportazioni come misura dell'insourcing.
23
24 Rowthorn and Ramaswamy (1999), tra gli altri,
considerano la quota riferibile al settore in esame sulla
produzione totale, che però di solito è usata come
misura della deindustrializzazione. Lo scopo è studiare
come questa quota sia influenzata da altri fattori, per
esempio dalla bilancia commerciale.
Occupazione
Rowthorn and Ramaswamy (1999), così come usano
la quota di un settore sulla produzione totale come
misura della deindustrializzazione, usano anche, come
ulteriore proxy, la quota di un settore sull'occupazione
totale. Anche Boulhol and Fontagné (2005) usano
questa misura nello stesso contesto.
25
Invece del numero di posti di lavoro, Geishecker
(2005) prende in esame le quote dei vari settori sulla
massa salariale totale e studia come sono condizionate
dall'outsourcing internazionale.
26
Aubert and Sillard (2005) osservano che basare la
comprensione del processo di rilocalizzazione sulle
tendenze occupazionali presenta alcuni limiti, in
particolare il fatto che la variazione dei livelli
occupazionali dipende anche da fattori estranei alla
rilocalizzazione. Tra questi: il mutamento delle
pressioni concorrenziali, sia all'interno che all'esterno, e
gli incrementi di produttività, compresi quelli dovuti
alla sostituzione del fattore lavoro con il fattore
capitale.
27
28 Per elaborare una misura della rilocalizzazione si
possono usare anche i dati dell'Osservatorio sulla
ristrutturazione in Europa attivato nell'ambito
dell'Osservatorio europeo sul cambiamento. Dal 2002
segue gli articoli pubblicati sugli organi di stampa dei
paesi dell'UE sulle ristrutturazioni aziendali per
raccogliere notizie sul numero di posti di lavoro persi e
creati. Particolarmente interessante per il presente
studio è il fatto che l'Osservatorio registri il numero di
posti di lavoro persi quando un'attività, pur rimanendo
all'interno della stessa azienda, è trasferita in altra sede
nello stesso paese. Studi come Daudin and Levasseur
(2005) e Pujals (2005) hanno usato questa fonte di dati
come indicatore dell'effetto della rilocalizzazione
sull'occupazione. Galgoczi (2006), però, osserva
giustamente che la banca dati dell'Osservatorio sulla
ristrutturazione in Europa, fornendo dati non scientifici
e che non possono essere considerati rappresentativi,
non consente di trarre conclusioni valide sulla
rilocalizzazione.
Investimenti diretti esteri
Gli investimenti diretti esteri (IDE), ovvero quegli
investimenti che danno origine ad attività sull'estero,
possono essere suddivisi in due categorie. La prima
comprende gli investimenti in società estere esistenti (e
quindi comporta solo un passaggio di proprietà). È poco
probabile che questi investimenti modifichino la
condotta della società beneficiaria inducendola ad
esportare maggiormente verso il paese di origine degli
IDE. La seconda categoria comprende gli investimenti
che comportano la creazione di una nuova società o di
nuove capacità produttive ed è quindi più affine al
concetto di rilocalizzazione.
29
Nel verificare l'utilità dei dati sugli IDE per acquisire
informazioni sulla rilocalizzazione, l'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa (PACE) introduce
un'ulteriore classificazione: IDE verticali e orizzontali.
Un IDE è definito verticale nel caso in cui una
multinazionale scomponga il processo di produzione
per localizzare ognuna delle sue fasi nel paese in cui
risulta più vantaggiosa in termini di costi. Si parla
invece di IDE orizzontale nel caso in cui una
multinazionale svolga la stessa attività in molti paesi
diversi, in modo da servire i mercati locali. Quest'ultima
categoria non rientra nella rilocalizzazione. I dati sugli
IDE non sono disponibili a un livello disaggregato che
permetta di distinguere tra orizzontali e verticali, tranne
che in un numero ridotto di indagini condotte a lunghi
intervalli. Nello studio PACE (2005) si osserva che
quasi tutti gli studi empirici concludono che gli IDE
verticali hanno un'importanza limitata come percentuale
del totale di IDE e si ammette la difficoltà di trarre
conclusioni semplici sugli effetti economici che
produce la quantità totale di IDE sul paese di origine.
30
31 Anche se i dati sugli IDE sono usati da un gran
numero di studi che trattano di rilocalizzazione, ciò non
basta a spiegare quale logica ne giustifichi l'uso. La
maggior parte degli studi si limita a rilevare che si tratta
di dati disponibili. Una valutazione critica dell'uso dei
dati sugli IDE, però, rafforza la convinzione che una
frazione consistente del flusso di IDE in uscita dall'UE
non è legata ad attività di rilocalizzazione. Ne consegue
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12
che questi dati non si prestano ad essere usati come
proxy.
(c)
costi di transazione e gestione nell'azienda rispetto
all'uso di fornitori esterni;
A questo proposito vanno segnalate le valutazioni
esposte nello studio Drumetz (2005), secondo cui le
statistiche sugli IDE non sono fatte per misurare
l'offshoring e creano difficoltà se le si usa a questo
scopo. Ad esempio, una parte degli IDE effettuati non
sarà stata preceduta dalla chiusura di capacità
produttive nel paese di origine. Anche Aubert and
Sillard (2005) osservano che non è necessariamente
vero che il risultato di un'attività di produzione frutto di
un determinato IDE sarà importato nel suo paese di
origine e, più in generale, nemmeno che questo
prodotto sia destinato a sostituire la corrispondente
produzione interna. Potrebbe darsi, infatti, che l'IDE sia
stato effettuato per espandere un mercato vicino al
paese di destinazione oppure che sia di natura
meramente finanziaria (per es. acquisto di azioni sul
mercato borsistico del paese di destinazione) e abbia
poco o nulla a che vedere con le decisioni produttive.
(d)
costi di produzione; e
(e)
dimensioni del mercato.
32
Una valutazione delle difficoltà che rendono difficile
derivanti nel trarre conclusioni sulla rilocalizzazione dai
dati sugli IDE è contenuta anche nello studio del
Bureau fédéral du Plan (2005), l'Ufficio Federale belga
della Programmazione.
33
34
Fattori associati alla decisione di
rilocalizzare
35 Alcuni studi sulla rilocalizzazione si propongono di
far luce sui fattori associati alla decisione di un'azienda
di rilocalizzare e, più in generale, sul profilo delle ditte
che presentano la massima probabilità di attuare una
rilocalizzazione.
In questo contesto è particolarmente utile lo studio
UNCTAD (2004), in quanto precisa che i servizi ad alta
probabilità di offshoring hanno le seguenti
caratteristiche:
36
(a)
prestazione in modalità "faccia a faccia" non
necessaria;
(b)
alto contenuto informativo;
(c)
procedimento effettuabile a distanza e mediante
Internet;
(d)
ampio divario retributivo rispetto a impieghi
analoghi nel paese di destinazione;
(e)
relativa facilità della creazione di strutture di
servizi; e infine
(f)
scarse esigenze di networking sociale.
Secondo un altro studio, WTO (2005), i principali
determinanti della decisione di rilocalizzare un'attività
sono i seguenti fattori:
37
(a)
separabilità tecnica e istituzionale;
(b)
grado di standardizzazione della mansione da
eseguire;
L'ulteriore scelta di ricorrere o meno all'offshoring
impone di considerare ulteriori fattori pertinenti, in
quanto può far sorgere ulteriori costi di gestione, di
importo variabile, dovuti alle differenze tra i due paesi
interessati in termini di lingua, legislazione e normative
interne, valuta e distanza geografica.
38
Lo studio Girma and Görg (2004) utilizza dati raccolti
a livello delle aziende britanniche di tre comparti
manifatturieri (industria chimica, industria meccanica e
ottica di precisione, industria elettronica) per studiare
l'impatto di vari fattori sulla propensione di una ditta
all'outsourcing. Lo studio non sembra fare distinzioni
tra offshore outsourcing e outsourcing verso produttori
interni. Emerge che le ditte di proprietà estera, nel
valutare fattori come le dimensioni aziendali e il costo
del lavoro, ricorrono maggiormente all'outsourcing
rispetto a quelle nazionali. Questo risultato rimane
convincente per diversi valori attribuiti ai parametri del
modello.
39
40 Lo studio Kakabadse and Kakabadse (2002) esamina
le tendenze dell'outsourcing in base a un'indagine
condotta presso 747 ditte europee e statunitensi. Lo
studio non sembra fare distinzioni tra outsourcing
interno e offshore. La tabella A 1.2 riporta in dettaglio
le motivazioni principali addotte dalle ditte europee per
le loro decisioni di outsourcing.
41 Il lavoro di Rowthorn and Ramaswamy (1997), dopo
aver esaminato cause e implicazioni della
deindustrializzazione, conclude che non si tratta di un
fenomeno negativo, bensì di una naturale conseguenza
dell'ulteriore crescita delle economie industrializzate.
Questi autori ravvisano la causa principale della
deindustrializzazione nel fatto che la produttività cresce
più velocemente nel settore manifatturiero che nel
settore terziario e, inoltre, concludono che
l'interscambio Nord-Sud non ha inciso in modo
rilevante sul fenomeno.
Motivazione
Disciplina/contenimento dei costi
Applicazione delle migliori prassi
Migliorare la qualità del servizio
Concentrarsi sulle competenze centrali
Migliorare la capacità di sviluppare nuovi
prodotti/servizi
Accesso a nuove tecnologie/abilità
Ridurre gli effettivi
Ridurre i costi in conto capitale
Sviluppare competenze specialistiche in-
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Percentuale di
rispondenti che
hanno scelto la
risposta
59
56
41
39
35
34
34
32
30
13
house
Ridurre i costi di transazione
Ridurre i costi promozionali
Investmento tecnologico
Migliorare la propria posizione nella catena
di valore
Accrescere la propria capacità di
cambiamento
27
23
18
17
17
Tendenze previste per la rilocalizzazione
Si è pensato che fosse un utile esercizio verificare
quali studi siano stati realizzati sulla probabile
evoluzione del processo di rilocalizzazione, se sia
considerato un processo destinato ad accelerarsi nel
prossimo decennio, se e in che modo muterà
verosimilmente la direzione dei flussi di attività
economiche sull'intero pianeta.
42
È stato individuato un solo studio che esamina la
questione dal punto di vista quantitativo: Forrester
(2004), che contiene dettagliate previsioni, per paese e
per settore, sui posti di lavori europei che saranno
trasferiti offshore fino al 2015. Stando a queste
previsioni saranno circa 495.000 i posti di lavoro
trasferiti offshore dall'UE-15 entro il 2010 e circa
1.153.000 i posti persi entro il 2015. Si prevede che i
posti persi dal Regno Unito costituiranno circa i due
terzi del totale dell'UE-15. Come possibili cause
dell'elevata percentuale attribuita al Regno Unito si
citano il fatto che ogni anno in India vengono formati
due milioni di anglofoni dotati di competenze tecniche
e quantitative e che il Regno Unito ha un mercato del
lavoro relativamente più flessibile rispetto al resto
dell'UE-15. Passando alla scomposizione per categoria
professionale, lo studio prevede che i posti di lavoro
persi entro il 2015 interesseranno per il 13 percento
circa gli addetti informatici, per il 34 percento gli
impiegati, per il 29 percento gli addetti commerciali e
alla gestione, per il 20 percento gli addetti scientifici e
gli ingegneri, per il 3 percento il pubblico impiego e per
l'1 percento gli addetti ai mezzi di comunicazione.
43
Gli effetti della rilocalizzazione
44 Una questione che la letteratura ha esaminato con una
certa attenzione è quella dell'identificazione degli effetti
della rilocalizzazione. L'interesse per questo aspetto è
comprensibile alla luce delle sensibilità politiche e, cosa
più importante, della diffusa (ma non necessariamente
fondata) convinzione che il processo di rilocalizzazione
continuerà probabilmente ad espandersi. L'analisi degli
effetti della rilocalizzazione si è tendenzialmente
concentrata su uno o l'altro di due aspetti: l'impatto sui
livelli occupazionali nel paese di origine e in quello di
destinazione; l'impatto sulla produttività dell'economia
di origine. Qui di seguito una breve sintesi dei lavori
pertinenti.
Gli effetti della rilocalizzazione
sull'occupazione
45 Lo studio Falk and Wolfmayr (2005) analizza
l'impatto
dell'outsourcing
internazionale
sull'occupazione usando i dati sul settore manifatturiero
di sette paesi dell'UE nel periodo 1995-2000. Lo studio
stima una serie di equazioni di domanda di lavoro che
mostrano come le importazioni da paesi con basse
retribuzioni, a differenza di quelle da paesi
industrializzati, abbiano un effetto statisticamente
significativo sull'occupazione. I calcoli degli autori
mostrano che i cambiamenti osservati nell'outsourcing
dall'UE solo nel periodo dal 1995 al 2000 sono
all'origine di una riduzione annua dei posti di lavoro
pari a 0,26 punti percentuali.
In Stauss-Kahn (2003) si costruisce un modello per
dimostrare l'incidenza della specializzazione verticale
(la quota degli input importati sulla produzione –
misura empirica dell'outsourcing) sulla percentuale di
operai non specializzati nel settore industriale. Il
modello è stimato sulla base dei dati dell'industria
francese su 14 comparti manifatturieri per i periodi
1977-1985 e 1985-1993. In questi periodi la percentuale
di operai non specializzati sul totale dell'occupazione è
scesa rispettivamente di 0,49 e 0,44 punti annui. Negli
stessi periodi il livello di specializzazione verticale è
cresciuto rispettivamente dello 0,094 e dello 0,185 per
cento all'anno. Gli autori stimano che l'evoluzione della
specializzazione verticale abbia contribuito ad
abbassare la quota di operai non specializzati sul totale
degli occupati nel settore manifatturiero francese per
l'11-15% nel periodo 1977-1985 e per il 25 percento nel
periodo 1985-1993.
46
In Egger and Egger (2000) si studiano gli effetti
occupazionali dell'outsourcing verso l'Europa orientale
e l'ex Unione sovietica per un gruppo di venti imprese
industriali austriache nel periodo 1990-1998. I risultati
indicano che un incremento dell'1% dell'outsourcing
verso l'Europa orientale (in termini di produzione lorda)
provoca uno spostamento dell'occupazione relativa in
favore del segmento della manodopera specializzata
pari a circa 0,1 percento. Secondo la stima degli autori
queste attività di outsourcing sono all'origine di circa un
quarto delle variazioni dell'occupazione relativa a
beneficio della manodopera qualificata.
47
Il rapporto dell'OCSE sulle prospettive per
l'occupazione 2005 prende in esame i costi di
aggiustamento all'evoluzione degli scambi nell'ambito
dei mercati del lavoro dell'OCSE. In tema di effetti
degli scambi internazionali su questi mercati, i
principali risultati sono:
48
(a)
i principali effetti a lungo termine degli scambi e
degli investimenti internazionali sui mercati del
lavoro sono: l'aumento dei salari medi e gli
spostamenti nella composizione settoriale e
professionale dell'occupazione. Gli autori del
rapporto non formulano teorie né adducono prove
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14
del fatto che l'espansione degli scambi
internazionali influenzi l'occupazione aggregata, ma
ritengono probabile che la crescita degli scambi con
i paesi con basse retribuzioni abbia contribuito ad
accrescere le disparità salariali in molti paesi OCSE.
(b)
(c)
l'intensificarsi della concorrenza internazionale è
associato alla crescita del job displacement, anche
se si rileva che gli scambi non sono l'unico fattore
trainante dell'avvicendamento della manopera e dei
mutamenti strutturali.
I costi di aggiustamento sembrano più elevati per i
lavoratori che perdono l'impiego per effetto
dell'evoluzione degli scambi rispetto a quelli che lo
perdono per altre cause. I primi, infatti, mettono più
tempo a ritrovare un impiego e, una volta riassunti,
subiscono una più forte contrazione salariale.
Lo studio di Amiti and Wei (2005) si chiede se
l'outsourcing internazionale dei servizi abbia ridotto il
numero di posti di lavoro nel Regno Unito. Sulla base
di dati britannici ricavati nel periodo 1995-2001 da 69
comparti manifatturieri e 9 comparti dei servizi, gli
autori concludono che l'outsourcing non ha effetti
negativi sull'occupazione dell'industria manifatturiera a
livello settoriale. Giungono poi allo stesso risultato
anche nel settore dei servizi. Ciò fa capire che chi perde
il lavoro per effetto dell'outsourcing tende a ritrovare un
posto all'interno della stessa categoria industriale. Dallo
studio emerge anche che la crescita dell'occupazione
non è correlata negativamente all'outsourcing.
49
Geishecker (2005) analizza l'effetto dell'outsourcing
internazionale verso l'Europa centrale e orientale sulla
domanda relativa di lavoratori manuali in Germania,
sulla base dei dati relativi a una serie di venti comparti
manifatturieri nel periodo 1991-2000. Lo studio
combina dati sugli scambi e dati sugli input e output, in
modo da disgiungere l'outsourcing internazionale dagli
scambi di beni finiti e differenziare gli effetti
dell'outsourcing in diverse regioni del mondo. Usando
una misura ristretta di outsourcing e verificando
l'incidenza di altri fattori, trovano che l'outsourcing
internazionale verso l'Europa centrale e orientale ha
ridotto la quota riferita ai lavoratori manuali sulla massa
salariale del 2,7 tra il 1991 e il 2000, il che corrisponde
al 57% della riduzione complessiva di questa quota
nello stesso periodo.
50
Il modello sviluppato da Boulhol (2003), ispirato a
quello di Rowthorn and Ramaswamy (1998), consente
di individuare uno stretto legame tra rilocalizzazione e
incrementi di produttività. Lo studio fa uso di dati
relativi a sedici paesi OCSE tra il 1970 e il 2002. I suoi
risultati avvalorano quelli di Rowthorn and
Ramaswamy
(1998),
confermando
che
la
deindustrializzazione risulta in primo luogo da un
processo naturale di crescita degli incrementi di
produttività nell'industria. Le stime elaborate nello
studio indicano che gli scambi internazionali sono
all'origine di appena il 15 percento dell'entità di
deindustrializzazione osservata. Ciò, a sua volta, è
51
dovuto all'incremento delle importazioni dal Sud (i
paesi più poveri). Si stima infatti che un incremento
delle importazioni dal Sud pari all'un percento del PIL
provochi un impatto sull'occupazione relativa pari al –
2,8 percento.
Gli effetti della rilocalizzazione sulla
produttività
Lo studio di Girma and Görg (2004), come accennato,
analizza l'impatto dell'outsourcing (interno e offshore)
sulle ditte nazionali e quelle di proprietà straniera,
utilizzando dati britannici raccolti a livello aziendale.
Dallo studio emerge che l'outsourcing accresce sia la
produttività del lavoro che la PFT (produttività totale
dei fattori) e che quest'accrescimento risulta più
pronunciato nelle ditte di proprietà straniera.
52
In uno studio successivo con risultati analoghi, Görg
et al. (2005) studiano l'impatto dell'outsourcing
internazionale sulla produttività usando dati
sull'industria manifatturiera irlandese nel periodo 19901998, raccolti a livello di stabilimento e tratti dall'Irish
Economy Expenditure Survey. L'analisi econometrica
consente di evidenziare incrementi di produttività
presso
le
aziende
esportatrici
impegnate
nell'outsourcing internazionale di beni intermedi. Lo
studio scopre che un incremento dell'un percento
dell'intensità di outsourcing accresce la produttività a
livello di stabilimento dell'1,7 percento per le
multinazionali straniere e dello 0,9 percento per le
imprese nazionali. Secondo lo studio una possibile
causa del fatto che le multinazionali traggono un
maggior beneficio dall'outsourcing internazionale è che,
facendo parte di reti produttive internazionali, sono più
informate su dove sia possibile acquistare input a prezzi
competitivi.
53
Sintesi: risultati raggiunti sugli effetti della
rilocalizzazione
Gli studi che indagano sugli effetti della
rilocalizzazione impiegano dati di diverso tipo e
prendono in esame settori, paesi e periodi diversi. Date
queste premesse, forse non è sorprendente che non
venga raggiunto un consenso sugli effetti della
rilocalizzazione sull'occupazione in genere. Mentre
alcuni autori rinvengono un'associazione tra
rilocalizzazione
e
abbassamento
dei
livelli
occupazionali, molti altri sostengono che la
rilocalizzazione non incide sul numero di occupati pur
avendo un indubbio effetto sulle loro caratteristiche. In
particolare, un risultato riproposto da diversi studi è il
fatto che la rilocalizzazione sposta la composizione
dell'occupazione a beneficio dei lavoratori più
qualificati. Un altro risultato che sembra emergere dalla
letteratura è che la rilocalizzazione accresce il divario
tra i livelli salariali nel paese di origine.
54
Fatto forse più sorprendente, la letteratura sembra
realmente raggiungere un consenso in merito agli effetti
55
www.reckon.co.uk DI CESE 49/2006 riv. EN-COS/SAN/rl/fb
15
positivi della rilocalizzazione sulla produttività nel
paese di origine.
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quadro fattuale di riferimento Relazione finale