Dossier Infertilità
La sindrome dell’ovaio policistico
Giorgio Tresoldi
SIMG, Milano
La sindrome dell’ovaio policistico (polycystic ovary syndrome, PCOS) è uno dei più comuni disordini ormonali
nelle donne, essendo presente nel 5-10% delle donne
in età fertile 1.
Attualmente la diagnosi di PCOS viene posta in base ai
criteri proposti nel 2003 dal Rotterdam ESHRE (European
Society of Human Reproduction and Embryology) /ASRM
(American Society or Reproductive Medicine) PCOS
Consensus Workshop Group che definisce come PCOS
la presenza di almeno due dei seguenti criteri:
• oligomenorrea e/o anovulazione;
• segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo;
• ecostruttura policistica dell’ovaio;
in assenza di iperplasia surrenale congenita, sindrome di
Cushing e tumori surrenalici o ovarici secernenti androgeni 2. Nel caso tali criteri non siano soddisfatti totalmente si può parlare di un quadro PCOS-like.
La PCOS viene in questo modo definita come una patologia funzionale e non primariamente come un’alterazione anatomica dell’apparato genitale: l’ingrandimento
delle ovaie e la loro presentazione cistica (cioè proprio
ciò che indusse Stein e Leventhal a dare questo nome
alla sindrome) non sono necessari per fare diagnosi di
PCOS e per converso, la loro sola presenza non permette di fare diagnosi.
Pur essendo caratterizzata da un’ampia eterogeneità di
quadri clinici, nella pratica clinica quotidiana il medico
di medicina generale (MMG) di solito viene interpellato
dalla paziente affetta da PCOS per uno o più dei seguenti
problemi: irregolarità mestruale, infertilità, segni di iperandrogenismo oppure sovrappeso/obesità.
• Le irregolarità mestruali sono di solito associate ad
anovulazione che è la causa della oligomenorrea
(meno di nove cicli mestruali/anno; cicli di durata
media superiore a 36-40 giorni). L’anovulazione
può comparire anche prima che si instauri l’oligomenorrea e in circa il 30% dei casi l’anovulazione
è accompagnata da amenorrea secondaria, che
insorge dopo un periodo di oligomenorrea di durata
variabile.
• L’iperandrogenismo, le cui manifestazioni cliniche
più caratteristiche sono irsutismo ed acne (anche
se questa da sola non costituisce un elemento diaN. 6 • Dicembre 2009
gnostico). Frequente è il riscontro di seborrea e cute
grassa mentre di solito non si riscontrano i segni
di virilizzazione tipici delle forme di iperandrogenismo grave quali alopecia temporale, modificazione
in senso maschile del timbro della voce e ipertrofia
del clitoride. La valutazione biochimica dell’iperandrogenismo è legata ai livelli di testosterone totale
e libero 3.
• Ecostruttura policistica dell’ovaio: il solo riscontro
ecografico di presenza di microcisti ovariche non è
patognomonico della PCOS in quanto si può riscontrare anche in altre endocrinopatie, non caratterizzate da iperandrogenismo (esempio iperprolattinemia e amenorrea da stress). Secondo i criteri
di Rotterdam sono definite policistiche le ovaie in
“presenza di almeno un ovaio che mostri 12 o più
follicoli con diametro medio 2-9 mm, a prescindere
dalla loro disposizione, e/o un volume ovarico totale
> 10 ml3, esaminate con sonda transvaginale” e la
valutazione deve essere effettuata sia in scansione longitudinale sia trasversale 2. È sufficiente che
una sola ovaia abbia questi caratteri, se valutata
in fase follicolare e in assenza di utilizzo di terapia
estroprogestinica. La distribuzione periferica dei
follicoli e l’ipertrofia dello stroma ovarico possono
essere presenti, ma non sono necessari per la diagnosi, in quanto la misura del volume ovarico si
è dimostrata un indicatore sufficiente nella pratica
clinica. Non è attendibile una valutazione ecografica per via soltanto transaddominale, soprattutto in
donne che sono spesso in sovrappeso 4.
I sintomi esordiscono solitamente in epoca puberale (attenzione a un pubarca precoce: è un campanello
d’allarme perché indicatore di una precoce secrezione
androgena), ma possono modificarsi spontaneamente
nel tempo. Proprio ciò rappresenta il pericolo per noi
medici: inseguire e trattare di volta in volta un segno
(l’acne, le irregolarità mestruali, l’infertilità …) senza
affrontare e risolvere il problema fondamentale.
L’iperinsulinemia secondaria all’insulino resistenza e
l’associata iperincrezione di androgeni con diminuzione
della sex hormone-binding globulin (SHBG), costituiscono il momento centrale della patogenesi della PCOS.
Rivista della Società Italiana di Medicina Generale
Circa il 25-50% delle pazienti affette da PCOS sono sovrappeso/obese (body mass index, BMI > 25). Tuttavia nelle
donne affette da PCOS l’iperinsulinismo non è presente
solo nelle pazienti obese, (circa il 70-80% delle obese sono
iperinsulinemiche), ma anche nel 30-40% delle pazienti
magre o normopeso, forse per fattori eredo-costituzionali
e familiari (genitori e/o nonni diabetici).
L’obesità delle donne con PCOS è una obesità di tipo
androide, caratterizzata cioè dal rapporto vita/fianchi
WHR (waist-hip ratio) > 0,80, che è già di per sé causa
di insulino-resistenza e di aumento della increzione di
androgeni. Non a caso, infatti, il calo ponderale nelle
pazienti PCOS obese è un mezzo efficace per ridurre gli
androgeni, incrementare la sensibilità periferica all’insulina e in generale per migliorare il quadro ormonale 5.
L’insulina induce iperandrogenismo stimolando le cellule
della teca ovarica. Tuttavia, vari studi hanno evidenziato
la possibilità che non tutte le donne con insulino-resistenza e iperinsulinismo sviluppino iperandrogenismo.
Ciò supporta l’ipotesi che esistano due sottopopolazioni
di pazienti PCOS, una con assente ipersensibilità ovarica all’insulina e una con marcata ipersensibilità ovarica
all’insulina, quest’ultima caratterizzata da un’aumentata
produzione ovarica di androgeni 6.
Le conseguenze a lungo termine della PCOS vanno quindi
ben al di là del solo apparato genitale e comprendono più
elevati rischi di sviluppare patologie di tipo metabolico,
cardiovascolare e neoplastico. Le donne con PCOS, infatti,
possono andare incontro con maggiore frequenza a 7:
• obesità con distribuzione del grasso di tipo androide;
• IGT (ridotta tolleranza al glucosio) e diabete mellito
di 2 tipo;
• ipertensione arteriosa e disfunzione vascolare endoteliale;
• dislipidemia mista con VLDL (very low density lipoprotein) e LDL (low density lipoprotein) elevate; HDL (high
density lipoprotein) basse e trigliceridi elevati;
• aterosclerosi delle coronarie e dei vasi periferici e
cerebrali;
• iperplasia e carcinoma dell’endometrio (vedi poi).
Non è confermato l’aumento di rischio di tumore
dell’ovaio e della mammella segnalato negli scorsi
anni in pazienti affette da PCOS.
È difficile in queste pazienti discriminare il rischio dovuto
alla sola PCOS da quello dovuto all’obesità, all’anovulazione, all’infertilità e alle numerose terapie ormonali cui
queste pazienti vengono sottoposte.
Tutte le conseguenze metaboliche presenti nelle donne
affette da PCOS sono simili a quelle dei pazienti affetti
da sindrome metabolica, che è notoriamente una situazione clinica predisponente e predittiva di aterosclerosi,
in particolare di malattia coronaria e cerebrovascolare 8.
Valutazione clinico-diagnostica
In ambulatorio, di fronte ad una paziente che lamenta
irregolarità mestruale, infertilità, segni di iperandrogeniRivista della Società Italiana di Medicina Generale
smo e spesso sovrappeso/obesità, il MMG dovrà porre
diagnosi differenziale con tutti quei quadri che generino
sintomi o segni simili a quelli della PCOS (Tab. I).
TABELLA I.
Diagnosi differenziale della PCOS.
• Amenorrea delle sportive
• Iperprolattinemia/prolattinoma
• Ipotiroidismo primitivo
• Tumori virilizzanti ovarici o surrenalici
• Iperplasia surrenalica congenita ad esordio tardivo
• Acromegalia
• Sindrome di Cushing
• Menopausa precoce
• Obesità semplice
• Condizioni correlate all’uso di farmaci (androgeni, acido
valproico, ciclosporina, ecc.)
Anamnesi: considerare lo sviluppo puberale, l’epoca
del menarca, le caratteristiche del ciclo mestruale e
in particolare il momento di inizio delle irregolarità
mestruali e l’eventuale nascita prematura (forse correlata all’insorgenza di PCOS). Verificare la modalità
d’esordio dei segni di iperandrogenismo e la loro evoluzione, poiché un esordio rapido (2-6 mesi) deve far
sospettare la presenza di un tumore androgeno-secernente, mentre un andamento graduale con esordio
nell’adolescenza è più tipico della PCOS. Rilevante è
anche indagare sulla possibile assunzione di farmaci
ad azione androgenica.
L’esame obiettivo ha lo scopo di:
• accertare e quantificare i segni di iperandrogenismo
quali irsutismo, acne, seborrea ed eventuali segni di
virilizzazione;
• constatare la presenza di obesità valutando il BMI, la
circonferenza addominale e la stima della distribuzione del grasso corporeo (ginoide o androide) tramite il calcolo del rapporto vita/fianchi (WHR);
• verificare la presenza di ipertensione arteriosa, dei
segni della sindrome di Cushing e l’acanthosis nigricans (espressione cutanea di iperinsulinismo).
Le indagini di laboratorio 9 sono di ausilio per la diagnosi
differenziale e per la valutazione del rischio di complicanze metaboliche. Il loro razionale è il seguente:
1. escludere una gravidanza con beta HCG;
2. confermare l’eccesso di androgeni mediante: testosterone, nella PCOS può essere normale, basso o
aumentato; utile soprattutto per escludere tumori
virilizzanti; testosterone libero, solitamente aumentato soprattutto nelle donne con PCOS; utile per
stabilire la diagnosi e il monitoraggio delle terapie;
didroepiandrosterone (DHEA), un suo valore molto
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6.
elevato dovrebbe suggerire la presenza di una virilizzazione di origine surrenalica;
17-OH-progesterone permette di escludere un deficit di 21-beta idrossilasi e quindi una forma ad esordio tardivo di iperplasia surrenale;
cortisolo ematico e urinario 24 ore per escludere la
s.di Cushing;
LH, FSH e estradiolo permettono di escludere un ipogonadismo ipogonadotropo o una menopausa precoce; inoltre il loro rapporto (di solito elevato nella PCOS)
è un ulteriore indicatore della presenza della patologia;
TSH e prolattina per escludere patologie tiroidee ed
ipofisarie.
Per il controllo ormonale di base, si consiglia di procedere in questo modo: se la paziente mestrua, si
eseguono 3 prelievi, il primo tra il 3° e 6° giorno del
ciclo, il secondo tra il 16° e il 20° giorno del ciclo e il
terzo prelievo tra il 26° e il 30° giorno del ciclo, qualora la donna mestruasse ogni 40-50 giorni. In caso
di amenorrea, si eseguono due prelievi a random, a
distanza di 15 giorni l’uno dall’altro.
La diagnosi ormonale di PCOS è certa quando sono
presenti i seguenti valori: LH > 10 mUI/ml ; LH/
FSH > 2,5; estradiolo (in fase follicolare) > 60 pg/
ml; androstenedione > 2,5 ng/ml; testosterone
> 1 ng/ml, (in particolare aumenta la quota libera attiva per concomitante riduzione dei livelli di
SHBG); 17-OHP > 2 ng/ml (di regola non supera
gli 8 ng/ml. Se vengono superati si deve ipotizzare
un deficit surrenalico) 10.
7. glicemia o test con carico orale di glucosio (OGTT).
La American Diabetes Association riconosce la
PCOS come fattore di rischio che giustifica lo screening per il diabete mellito 11. Non vi è accordo unanime sull’opportunità di uno screening per l’alterata
tolleranza glucidica in tutte le donne con PCOS. Gli
“Standard Italiani per la cura dl diabete mellito” suggeriscono l’OGTT 12;
8. l’insulina e le indagini che servono a documentare
e quantificare l’insulino resistenza non sono considerate indagini di routine nelle pazienti con PCOS.
Infatti la insulino resistenza nelle obese è sostanzialmente sempre presente e nelle non obese le indagini di laboratorio proposte (insulina a digiuno; OGTT;
clamp euglicemico; rapporto glicemia/insulina o G/I
ratio; HOMA test: insulina x glicemia/22,5; QUICKI
index) non sono sempre precise o sono indaginose. Una curva da carico orale di glucosio (OGTT con
75 g di glucosio) permette di valutare l’andamento
della glicemia e stima la secrezione di insulina. Nella
pratica quotidiana è la soluzione più semplice, economica e redditizia per il tipo e la quantità di informazioni che permette di ottenere;
9. quadro lipidico come indicatore di rischio cardiovascolare;
10. la polisonnografia può essere utile se la paziente è
obesa, russa e il rischio per apnee è aumentato.
Approccio terapeutico
Le scelte terapeutiche saranno in funzione del tipo e
della entità dei disturbi per i quali la paziente si è rivolta a
noi, delle priorità e delle attese di salute che la paziente
ha in quel momento della sua vita e divergono drasticamente se la paziente desidera o meno una gravidanza.
Nel caso vi sia desiderio di gravidanza, infatti, la terapia
avrà come obiettivo principale la ricerca del concepimento e non potrà invece risolvere alcuni dei disturbi
legati all’iperandrogenismo. Di questo la paziente va
resa consapevole.
Gli obiettivi dell’azione terapeutica sono:
1. ridurre gli androgeni circolanti e dei segni di androgenizzazione;
2. ridurre la resistenza all’insulina e prevenire le complicanze metaboliche a lungo termine e diminuire il
rischio cardiovascolare;
3. cercare di raggiungere il peso ideale;
4. controllare la ciclicità mestruale e/o dei sanguinamenti disfunzionali e individuare la forma di contraccezione più adatta per ciascuna paziente;
5. correggere l’infertilità mediante induzione dell’ovulazione spontanea e/o migliorando la risposta alle
terapie di induzione dell’ovulazione;
6. proteggere l’endometrio e prevenire il carcinoma
dell’endometrio;
7. prevenire delle apnee notturne.
A. Strategie non farmacologiche
L’unica misura terapeutica che è proponibile in tutte
le pazienti e che può avere effetti positivi su tutti gli
aspetti della PCOS perché interviene sul meccanismo
“patogenetico” della PCOS è la riduzione del peso corporeo mediante una dieta adeguata e un programma
sistematico di esercizio fisico aerobico. Attività fisica e
calo di peso hanno un significativo impatto non solo sul
quadro metabolico, ma anche sulla funzione ovarica e
sul ripristino della fertilità delle pazienti sovrappeso. Le
donne obese infatti hanno una risposta peggiore alle
terapie di induzione della ovulazione (clomifene citrato e
gonadotropine esogene), e nelle tecniche di fecondazione assistita (fertilization in vitro embryo transfer, FIVET;
intra cytoplasmic sperm injection, ICSI) hanno una minor
percentuale di gravidanze e un’aumentata frequenza di
aborti spontanei.
Pur non essendovi chiare evidenze degli effetti della
dieta e dell’esercizio fisico nelle donne con PCOS non
obese, sembra prudente suggerire anche a loro di mantenere il peso entro i valori normali 13.
Così come accade nei pazienti con sindrome metabolica,
l’attività fisica aumenta la sensibilità all’insulina, riduce il
peso corporeo, il grasso viscerale e sottocutaneo meglio
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della dieta e ha effetti positivi su diversi fattori di rischio
cardiovascolare purché sia regolare, sufficientemente
intensa e prolungata nel tempo 14. Una passeggiata a
passo rapido per 30-40 minuti almeno tre (meglio cinque) volte la settimana per le persone poco allenate;
oppure – se si è allenati – un’ora tre volte a settimana
di attività aerobica (nuoto, bicicletta, corsa) costituiscono
un adeguato programma di attività fisica.
B. Strategie farmacologiche
B.1 Obiettivi terapeutici nelle pazienti
che non cercano la gravidanza
B.1.1 Ridurre l’iperandrogenismo
Obiettivo primario, ma che implica una terapia a lunga
scadenza (non inferiore a 12 mesi) e i cui segni possono
ricomparire alla sospensione del trattamento. Possibili strategie per ridurre il livello di androgeni possono essere:
• contraccettivi orali (CO). I risultati ottenuti con estroprogestinici (15-20 μg/cp di etenil-estradiolo, EE)
sono del tutto paragonabili a quelli con elevato
dosaggio 15, eccetto che nelle pazienti francamente
obese, per le quali è opportuno usare un CO con
30 μg/cp di EE. Tra i progestinici abbinati all’EE il
ciproterone acetato (CPA) ha un’azione antiandrogena potente in grado di bloccare il legame periferico
degli androgeni con i loro recettori ed è pertanto
efficace, in associazione con EE, per il trattamento
dell’irsutismo, dell’acne/seborrea e dell’alopecia di
natura ovarica o secondaria a lievi deficit enzimatici
del surrene 16. Anche drospirenone e clormadinone
Acetato sono risultati efficaci nel miglioramento dei
segni dell’iperandrogenismo;
• anti-androgeni: flutamide, finasteride e spironolattone sono composti sprovvisti del tutto o in parte di
attività ormonale steroidea, in grado però di competere selettivamente con i siti recettoriali androgenici
o di ridurre l’attività enzimatica intracellulare (5αreduttasi). Usati spesso per patologie prostatiche nel
maschio, sono somministrati abitualmente abbinati
con un contraccettivo estro-progestinico per il loro
rischio teratogeno in caso di concepimento di un
feto maschio. La paziente deve essere adeguatamente informata di questo e dare il suo consenso
esplicito e scritto alla terapia. Flutamide, al dosaggio
giornaliero di 250-500 mg per os viene prescritta
in terapia continuativa per almeno 6-12 mesi riducendo la dose del 50% ad intervalli di 4 mesi se si
riscontra una miglioramento della sintomatologia. I
tempi di recidiva dei sintomi dopo sospensione, sono
più prolungati rispetto ad altri farmaci. A causa della
sua possibile tossicità epatica vanno effettuati controlli degli indici di funzionalità epatica già a partire
da un mese dopo l’inizio del trattamento. La finasteride, che inibisce la produzione di DHT (deidroRivista della Società Italiana di Medicina Generale
testosterone) bloccando l’attività dell’enzima 5alfareduttasi, può influenzare positivamente i segni di
irsutismo ma non agisce sull’acne e la seborrea.
Lo spironolattone (diuretico antagonista dell’aldosterone) inibisce la sintesi ovarica e surrenalica di
androgeni, mediante competizione con il recettore
per gli androgeni e inibendo direttamente l’attività
enzimatica 5α-reduttasica. Induce una risposta clinica direttamente correlata al suo dosaggio e richiede un controllo periodico della potassiemia. Viene
spesso utilizzato (50-200 mg/die x os) associato ai
contraccettivi orali di cui limita l’azione sodio ritentiva e potenzia l’azione antiandrogena;
• GnRh analoghi: sopprimono la secrezione ipofisaria
di LH bloccando l’attività ovarica e determinando un
quadro di marcato ipoestrogenismo, responsabile
della comparsa di sintomi simil-menopausali. Per
tale motivo sono utilizzati solo per brevi periodi (3-4
mesi) e nelle forme più severe di iperandrogenismo
della PCOS ed è necessario che vengano associati ad un trattamento sostitutivo estro-progestinico
che anzi conviene in genere iniziare prima e somministrare il GnRh (la cui assunzione va iniziata il
1° giorno della mestruazione) solo dopo 1-2 cicli di
estro-progestinici;
• la rimozione dei peli (meccanica, laser, ecc.) è spesso un necessario completamento delle terapie farmacologiche 17.
B.1.2 Riequilibrare l’insulino-resistenza
Primariamente con il calo ponderale, ma anche con farmaci che aumentano la sensibilità periferica all’insulina, detti perciò insulino-sensibilizzanti: metformina e i
glitazonici e gli inositolofosfoglicani (IPG). Metformina e
glitazonici attualmente hanno come unica indicazione
autorizzata in Italia il diabete mellito tipo 2, pertanto la
loro prescrizione nelle pazienti con PCOS è “off-label”.
Gli IPG sono di fatto integratori.
La metformina 18 è una biguanide utilizzata da molto
tempo nella terapia del diabete di 2 tipo in pazienti
sovrappeso. Agisce come insulino-sensibilizzante inibendo il rilascio epatico e l’assorbimento intestinale di
glucosio e riducendo la gluconeogenesi. Viene usata a
dosi variabili da 250 mg bis die nei casi lievi, sino ad
arrivare ad 1 g x 3 die nei casi più severi. È controindicata in caso di insufficienza epatica o renale (la creatininemia deve essere < 1,3 mg/dl), scompenso cardiaco
e in tutte quelle condizioni patologiche e non (alcool!!)
che predispongono all’acidosi lattica. Raramente determina ipoglicemia e può essere somministrata anche a
pazienti con insulinoresistenza non diabetici. Provoca
spesso nausea, vomito, disgeusia e disturbi gastrointestinali, ma non sono mai stati riportati effetti collaterali gravi a parte l’acidosi lattica. Nelle pazienti affette
da PCOS la somministrazione di metformina provoca
una riduzione dei livelli serici di insulina, di testosterone libero e totale, e un rialzo di SHBG. La metformina
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contribuisce a ridurre alcuni fattori di rischio cardiovascolari (pressione arteriosa e colesterolo LDL) ed ha
effetti anche sulla capacità riproduttiva favorendo, in
terapie a breve-medio termine (3-6 mesi), l’ovulazione spontanea e la percentuale di gravidanze. Migliora
inoltre la risposta alle terapie con farmaci induttori dell’ovulazione: nelle terapie con metformina e clomifene
citrato infatti i tassi di ovulazione e di gravidanze sono
più alti rispetto a quelle con clomifene citrato da solo.
Il suo utilizzo in gravidanza è controverso. Potrebbe
essere indicato per ridurre la percentuale di aborti spontanei e il rischio di diabete gestazionale nelle donne con
PCOS, tuttavia – benché sia ritenuto sicuro (categoria B
della Food and Drug Administration) – sono disponibili
solo studi osservazionali di coorte di piccole dimensioni
con risultati contrastanti sui possibili effetti del farmaco sul feto 19. È utilizzabile nella terapia di pazienti con
PCOS sia obese sia normopeso. Nelle normopeso i maggiori risultati si ottengono quando sia presente anche
iperandrogenismo e iperinsulinemia, quindi in quel gruppo di donne PCOS magre in cui l’ovaio presenta una
maggior sensibilità e risposta ovarica all’insulina in termini di biosintesi androgenica 20. Nella paziente obesa la
perdita di peso corporeo attraverso una dieta ipocalorica
ipoglucidica è spesso efficace nel ripristinare la regolare
ciclicità mestruale e/o l’ovulazione.
Recentemente sono apparse in letteratura segnalazioni
circa un suo effetto di riduzione del rischio di neoplasie
(prevalentemente ormono-correlate) probabilmente in
relazione al suo effetto su IGF-1 21.
I glitazonici sono farmaci insulino-sensibilizzanti che sono
agonisti dei recettori nucleari PPAR gamma (peroxisome
proliferator activated receptor) presenti in molti tessuti,
ma prevalentemente negli adipociti e nelle miocellule.
Il pioglitazone e il rosiglitazone aumentano la ritenzione
idrica e sono controindicati in presenza di insufficienza
cardiaca. Negli USA sono entrambi approvati per l’uso
nelle donne in PCOS con la raccomandazione di un
monitoraggio intensivo della funzione epatica. Recenti
osservazioni segnalano un aumentato rischio di fratture non tipicamente osteoporotiche (mani e piedi) nelle
donne trattate con glitazoni 22. Esistono in commercio
attualmente anche prodotti di associazione tra metformina e glitazoni.
L’ipotesi della presenza di un difetto nel segnale di trasduzione dell’insulina ha fatto porre l’attenzione sulla funzione
dei secondi messaggeri del segnale dell’insulina, quali gli
IPG sui quali esistono per ora solo studi preliminari 23.
B.1.3 Prevenire il carcinoma dell’endometrio
L’associazione della PCOS con il carcinoma endometriale
è stata osservata da tempo. La presenza di anovulazione
cronica associata a livelli estrogenici premenopausali,
comporta una condizione di iperestrogenismo relativo
che, perdurando negli anni, può condurre a iperplasia
endometriale ed aumentato rischio di carcinoma, condizione peraltro associata anche all’obesità e al diabete
mellito. Per questo alcuni 24 raccomandano di indurre
farmacologicamente un flusso pseudomestruale almeno
ogni 3-4 mesi nelle donne con PCOS e oligomenorrea
grave o amenorrea. L’assunzione di contraccettivi orali
combinati sembra avere un effetto protettivo sull’iperplasia endometriale.
B.2 Obiettivi terapeutici nella paziente
che desidera una gravidanza
B.2.1 Determinare un’efficace stimolazione follicolare e la successiva ovulazione mediante:
• clomifene Citrato (CC): farmaco di prima scelta per
indurre l’ovulazione nelle pazienti con anovulazione cronica ma con normale funzionalità ipofisaria.
Agisce a livello ipotalamico inducendo un’aumentata
sintesi e rilascio di FSH e LH. La ripetizione dello
schema terapeutico in più cicli successivi aumenta
la probabilità di successo, ma dopo 6 cicli a dosi
piene senza ovulazione bisogna considerare il cambiamento della terapia;
• gonadotropine esogene: terapia proponibile dopo
fallimento con clomifene. Necessita di controlli ecografici seriati e adeguamento progressivo del dosaggio e si associa un aumentato rischio di sindrome
da iperstimolazione ovarica (OHSS) con un maggior
numero di gravidanze gemellari. Tale rischio viene
ridotto dall’utilizzo di gonadotropine ricombinanti
low-dose dimostratesi efficaci e sicure per ottenere
un’ovulazione monofollicolare;
• GnRh pulsatile: possibilità terapeutica teorica, ma
scarsamente praticabile per il costo e le difficoltà
tecniche.
Nelle pazienti desiderose di gravidanza si dovrà cercare
di ottenere un ripristino del peso corporeo ideale anche
in considerazione dell’aumentato rischio di diabete e di
malattie metaboliche in cui la donna potrebbe incorrere
in caso di gravidanza e sarà possibile anche far precedere la ricerca del concepimento da un periodo di 3-6
mesi durante i quali si cerca di ridurre l’iperandrogenismo, secondo le indicazioni esposte più sopra.
Nella gestione della paziente affetta da PCOS è possibile
e a volte necessario attuare terapie complesse combinando molecole di vario tipo: per esempio nei casi di
PCOS marcata è possibile associare metformina, flutamide e contraccettivi orali con drosperinone.
Va però ribadito che il cambiamento dello stile di vita
resta la misura terapeutica essenziale, soprattutto
nelle pazienti soprappeso. Le pazienti tendono a sottostimare l’importanza dello stile di vita. Anche qui
l’opera del MMG è essenziale: chiarire che non esistono terapie definitive; che le terapie farmacologiche dei
vari segni della PCOS funzionano fin tanto si utilizzano;
chiarire costi e benefici delle terapie antiandrogene ed
estroprogestiniche, degli induttori dell’ovulazione e dei
Rivista della Società Italiana di Medicina Generale
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Dossier Infertilità
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