Enrico Ruggeri ricorda Lou Reed
Lunedì 28 Ottobre 2013 05:52
Articolo tratto da rockol.it
È successo: Lou Reed non c'è più. Me lo hanno detto mentre mi preparavo a salire sul palco
per un concerto one shot in cui avevo in scaletta solo cover storiche di rock e punk. Tra queste,
naturalmente, c'era già Sweet Jane, la prima canzone che ho cantato davanti a un pubblico
quasi 40 anni fa. Proprio stasera. E quando ho detto "standing on a corner" ho capito che avrei
voluto non arrivare mai alla fine, quasi a voler fermare uno dei momenti più intensi che io abbia
mai vissuto su un palco. So tutto su Lou Reed, conosco ogni sua canzone, ho amato anche i
suoi momenti più ostici, quelli in cui sembrava non volesse piacerti, in cui voleva spingerti oltre il
tuo limite. L'ho anche conosciuto e intervistato: era come mi aspettavo, un saggio indisponente
pronto a tagliarti a fette che ti squadra e ti dice con gli occhi gelidi "tu non sai come ho vissuto e
cosa ho visto". Abbiamo parlato di tutto, dalla musica di oggi, che disprezzava, ad Andy Warhol,
"my university".
Lou Reed è stato uno dei più grandi poeti del Novecento, ha conferito dignità e poesia alla
tossicodipendenza, all'omosessualita, al suicidio, al male di vivere, perfino alla cattiveria e al
cinismo. Non si è mai accontentato, ha vissuto in bilico tra cultura, autodistruzione, star system
ed emarginazione. La sua lezione è "dare and don't care".
Guardando nel fondo del meraviglioso abisso della sua mente e della sua anima ha aiutato
molti a conoscere se stessi e i propri incubi. Senza paura. Avrà risposto al richiamo con il suo
sorriso amaro. E avrà guardato la morte negli occhi. Faceva così con tutti e con tutto.
Enrico Ruggeri
© Rockol.com
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