CAPITOLO 7 VENTI NUOVI -1- A Eltz Emma si stava abituando a quella nuova vita e, man mano che i giorni passavano, il ricordo del nonno diventava meno doloroso. Le giornate scorrevano serene e lei cercava in tutti i modi di rendersi utile. Ogni momento che passava, diventava più abile a tenere in mano ago e filo e a distinguere le stoffe tra loro. Ce n’erano di diverse: alcune molto semplici, altre con strani arabeschi disegnati e i colori dorati. Certi tipi di stoffe poi erano pesanti e al tatto spesse e resistenti, altre invece talmente leggere che parevano potersi rompere da un momento all’altro. Il lavoro di Emma consisteva nel dividere le stoffe, etichettarle, catalogarle e riporle negli appositi ripiani. Compito questo che pareva facile, ma solo in apparenza. In realtà distinguerle non era affatto semplice e lei si trovava costretta a chiedere continuamente dei chiarimenti. Pensò che, se fosse rimasta nelle Terre del Nord avrebbe di sicuro studiato per poi lavorare nelle Scuole Alte. Sarebbe diventata uno scienziato amato e rispettato da tutti come suo padre, anche grazie al nonno Josepha. A Emma quella prospettiva era sempre piaciuta molto e non l’aveva mai messa in dubbio: mai, fino ad allora. Il lavoro manuale le piaceva, la faceva sentire attiva e impegnata. Tra quelle persone cominciava a stare bene e ad amare quel senso di libertà. Lou si era resa conto del cambiamento della ragazzina e ne aveva parlato anche con Karl. “Sembra trovarsi bene” aveva detto. “Già…” “A volte la guardo, senza che se ne accorga. E’ piccola, ma fa delle osservazioni da persona adulta. Come se sapesse già cose che, altre della sua età non sanno” “Al Nord sono tutti così. Studiosi e molto riflessivi di solito mancano però di fantasia, cosa che nel suo caso non è affatto vera.” Lou aveva asserito con il capo. Non sapeva che aggiungere. Voleva aiutare quella bambina, ma sapeva che forse non avrebbe potuto davvero. “Non parla molto del vecchio” “Stai attenta Lou. Non attenerti solo a ciò che vedi. Al Nord sono dotati di strane capacità a noi non ammesse. In particolare poi, la bambina arriva dai di Barden.” “Cosa significa questo?” “Che potrebbe essere in grado di apparire diversa da com’è realmente. Più piccola del dovuto, o più grande della realtà.” Karl non si vedeva quasi mai: sempre chiuso nella sua carrozza intento a contar monete, usciva solo quando c’era un spettacolo da presentare. Tutta assieme, la carovana era davvero numerosa: durante le esibizioni saltimbanchi, trapezisti, pallottolieri, artisti di ogni tipo, si alternavano in fretta, per non parlare degli addestratori di leoni che passavano ore e ore nella gabbia di questi enormi animali senza alcuna paura. Emma cominciava a convincersi non fosse poi così brutto, essersi trovata in quella nuova situazione. Era felice delle nuove amicizie e soprattutto di Lou. Di lei ne ammirava non solo la bellezza, ma anche la personalità. L’aveva osservata la sera mentre si toglieva gli abiti, si truccava e pettinava i capelli. E aveva sperato, in cuor suo, di diventare come lei, una volta che fosse diventata grande. Lou era anche dotata di un buonissimo carattere: dolce e sensibile, non si arrabbiava quasi mai e solo se strettamente necessario. La giovane eseguiva i suoi doveri con serietà e senza mai distrarsi, lamentarsi o essere triste. A pensarci bene, questo non era del tutto vero: a volte, la notava con gli occhi un po’ arrossati e vacui, ma Emma non ne capiva il motivo. A lei pareva potesse avere tutto ciò di cui aveva bisogno. Più volte fu sicura di averla vista piangere, e si ripromise di chiederle una spiegazione. Ormai per lei Lou rappresentava un’amica e una confidente, quasi come fosse una sorella su cui poter contare. E quindi perché non avrebbe potuto farle delle domande più personali? Si trattava solamente di aspettare il momento giusto. Una notte Emma, dopo l’ennesimo sogno si era svegliata di soprassalto, rimanendo con gli occhi aperti per diversi minuti. Tutta sudata, faceva fatica ad addormentarsi e quindi aveva deciso di scendere un momento, per prendere un po’ d’aria. Sporgendosi però, aveva notato che la sua amica, teneva un piccolo lumino acceso e che, sommessamente singhiozzava ripetutamente. Emma si fece coraggio: “Che cos’hai Lou? Stai male?” ”Emma…bambina. Come mai sei sveglia? Mettiti a dormire…” ”Perché sei triste?” ma la giovane si rifiutò di rispondere. Allora insistette: scese dal letto e andò a sedersi vicino all’amica. “Piccola Emma, certe cose non le puoi ancora capire…. Le persone, a volte, prendono delle decisioni che ne coinvolgono altre e, purtroppo, non possiamo farci nulla”. Emma, che aveva compreso ben poco da quella risposta, la guardò con sguardo interrogativo. “Voglio capire Lou. Ti ho vista anche altre volte così triste. Posso capire.” Lou non aveva desistito. “Ora torna a letto. Domani ci aspetta una lunga giornata. Abbiamo ancora un giorno di cammino, prima di arrivare alla prossima città. Dormi adesso” le disse, facendola rimettere nel letto e rimboccandole le coperte. Ma un singhiozzo la tradì di nuovo. Emma la guardò di nuovo con gli occhi che esprimevano sia stupore, sia preoccupazione. “Non è niente, bambina. Su ora dormi” e le aveva dato un bacio in fronte. Poi si era di nuovo distesa. Emma aveva aspettato un poco e poi, evitando che lei se ne accorgesse si era protesa di nuovo in avanti. Vide che l’amica teneva tra le mani una fotografia vecchia e sgualcita, dove Lou era raffigurata abbracciata ad un ragazzo che non aveva mai veduto. “Raphael…” sentì dire all’amica, ma poi il sonno l’aveva assalita ed Emma si era riaddormentata quasi subito. Marciavano da giorni e ormai Oban era una città lontana. Si erano spostati sempre più a Sud ed ora si stavano dirigendo verso il mare, quel mare che non aveva mai visto. Ansiosa, sperava ardentemente di poterlo ammirare. Intanto, la vita della carovana si susseguiva normalmente ed Emma stava sempre meglio. Aveva fatto amicizia con tutti: l’uomo palla, un signore buffissimo piccolo e magro che sapeva far ruotare nell’aria almeno quattro palline contemporaneamente, poi la donna gatto, magrissima che si infilava dappertutto anche dentro un baule di dimensioni piccolissime: “E’ una valigia” le disse una volta. “Un tipo di sacca in uso prima del Grande Cataclisma” poi ci entrò dentro e si accomodò. La sua insegnante di sartoria una sera, le comunicò che, appena arrivati a Eltz la città dov’erano diretti, avrebbe cominciato anche un altro mansione: aiutare gli artisti a indossare i loro vestiti prima dello spettacolo. Per quello bisognava essere svelti, attenti e pieni di buona volontà. Emma ne era entusiasta e le pareva un grande onore. Arrivarono ad Eltz di mattino presto. Lou la chiamò, che lei stava ancora dormendo. “Emma vieni a vedere”. La bambina si alzò e vide uno spettacolo inaspettato. Davanti a lei una distesa d’acqua enorme dalle varie tonalità di blu e azzurro si stagliava all’orizzonte e il sole, che sorgeva in quel momento, ne accentuava le sfumature. Su di una rupe si ergeva la piccola cittadina: le case ammassate tra loro, parevano poter cadere da un momento all’altro dal dirupo. Eppure, sorprendentemente erano lì da molti anni solide e ferme. Eltz non era una città molto grande e manteneva un aspetto simile a quelle considerate “pre – cataclismatiche”. Pareva che in quel luogo il tempo non fosse mai passato. Le caffetterie del centro erano molto pulite e frequentate da gran dame vestite di gonne larghe e sinuose, accompagnate da uomini distinti, con in testa cappelli lunghi e neri, mentre la periferia dinamica e attiva, era il vero centro del commercio. Essa si apriva direttamente sul mare e, la città viveva soprattutto del lavoro dei pescatori che tutte le notti si inoltravano nel grande mare, per rientrare solo la mattina dopo. Eltz pareva proprio una antica città di commercio e vitalità cittadina. -2- DIETRO LE QUINTE Erano quasi le nove di sera. Mancava poco più di un’ora ed Emma si diresse svelta dagli artisti, e si mise subito al lavoro. Tutti la chiamavano e lei lesta passava da uno all’altro il più in fretta possibile. Faceva fatica talvolta, vista la sua ancora, bassa statura, ma quelli per aiutarla si abbassavano un poco e lei poteva appuntare spilli, chiudere cerniere e aggiustare corsetti. Appena finito, uscì per recarsi dove si vendevano i biglietti d’ingresso. Emma adorava vedere la gente arrivare e mettersi in coda in attesa. Osservava di nascosto i bambini: o tenevano in mano un palloncino gonfio e variopinto, oppure un fagotto enorme di zucchero filato. Alcuni tiravano i genitori per la giacca, altri rimanevano a bocca aperta, davanti a tutti quei colori e alla musica che arrivava dal grande tendone. Gli sembravano tutti così belli, così felici. Anche quella sera si erano accalcati con diligenza, mentre un’ artista strillava: “Accorrete amici, accorrete!” e tutti si disponevano in fila pazientemente. Anche Emma si mise a richiamare la folla. Dopo poco intravide un uomo che le era stranamente famigliare, magro e piccolo, completamente pelato. Aveva gli occhi stretti e delle pupille di un strano colore rosso. Stranamente le ricordava qualcuno: forse l’uomo con il pappagallo, conosciuto nella piazza del mercato due mesi prima, quando era stata portata da Karl. Anche lui la vide e la stava fissando insistentemente, proprio come quella volta. Quando tutta la gente fu entrata anche Emma si recò dentro il tendone, per andare finalmente ad assistere allo spettacolo assieme Lou. Stava correndo velocemente quando si imbatté in quell’uomo il quale le disse: “Ciao ragazzina”. “Ciao”. “Ti ricordi di me?”. “Sei l’uomo del mercato?”. “Sì ragazza. Mi devi aiutare” “Perché?” “Vai a chiamare Lou”. “La conosci?” “Non ti preoccupare, non le farò del male” Emma stette un momento in silenzio, perplessa. Poi rispose: “Ora è nei camerini, che aiuta Karl a prepararsi. Le darò il tuo messaggio. Chi devo dire?” “Sono Raphael, del popolo del Sud. Dille solo questo. Io la aspetterò qui.” Emma allora corse subito dalla sua amica, per riferirle il messaggio. “Lou c’è un uomo qui fuori. Dice che deve parlarti. Si chiama Raphael, del popolo del Sud”. L’amica impallidì visibilmente e si dovette sedere su di una sedia per non cadere a terra. ”Emma, sei sicura?!” le chiese strattonandola un poco. Era evidentemente scossa. “Sì. Ha detto proprio di chiamarsi Raphael” “…non è possibile…finalmente!!!” ed Emma vide che l’amica si era messa nuovamente a piangere. “Grazie piccola. “ le disse cercando di calmarsi. “Riferiscigli che ora non posso. Ci vedremo appena comincia lo spettacolo. Digli di aspettare.” e riprese il suo lavoro. “Ora va, corri!” disse ancora. Intanto lo spettacolo stava cominciando. Sentì Karl urlare forte: “Benvenuti signore e signori…” e uno scroscio di applausi subito dopo. ”Questa sera avremo con noi….” e cominciò ad elencare tutti gli artisti. Ma non riuscì a sentire tutto il suo discorso perché velocissima era già tornata da quel suo nuovo amico. Trovò Raphael esattamente dove lo aveva lasciato. “Lou arriverà subito” “Grazie ragazzina.” E le strizzò un occhio in segno di complicità. Dopo poco Emma vide Lou uscire anche lei per andare da quel giovane uomo. Decise di seguirla. Dopotutto, ne era sicura, il nonno avrebbe fatto lo stesso. ‘O forse no?’ si chiese, pensando che la sua era semplice curiosità e non vera preoccupazione. Ma dopotutto che importanza aveva? Si mise dietro una botte poco più in là, messa apposta per raccogliere l’acqua piovana e li osservò incontrarsi. I due stettero un momento immobili a guardarsi quindi lui cercò di abbracciarla, ma lei si scansò in fretta. “Lasciami” pareva aver detto, ma da dov’ era la bambina non sentiva nulla. Poteva solo vederne i gesti. “Lou…” e la strinse ugualmente. Lei resistette ancora un momento, ma poi si arrese al suo abbraccio. Emma vide che si era messa di nuovo a piangere. Poi la vide staccarsi con forza e cominciare a parlare, mentre gesticolava in modo molto animato. “Perché? Perché sei qui?” stava chiedendo. Lui allora cambiò di colpo. Il viso gli venne freddo e duro. Gli occhi si fecero vacui. “Tu sai il perché. Piantala di chiedere. Devi dimenticarti di me.” Allargò gli occhi, la fissò un momento pensieroso, quasi insicuro di sé, ma poi distolse lo sguardo. “Lo sai che non posso. Non posso più”, poi senza permetterle di parlare, cambiò il discorso incurante delle sue lacrime: “La bambina. Deve venire con me e tu lo sai. E poi siete diventate troppo amiche. Lo sapevi che non avresti dovuto affezionarti” . “Ma…non può più fare niente. Lasciala qui” “La ragazzina viene con me” . “E dopo? Cosa ne sarà di lei? E …ti vedrò ancora?” chiese. “Lou…se vuoi vedermi sai dove trovarmi. Abbraccia la Congregazione e saremo di nuovo assieme” Lei scosse la testa: “No! Non voglio....” Emma intanto non riusciva a capire, ma le spiaceva vedere la sua amica comportarsi in quel modo. “Lo sai bene che tutto dipende da te. Io non tornerò indietro” rispose duramente. Poi si voltò e se ne andò di scatto, scomparendo in modo improvviso. Emma vide la sua amica, rimanere sola e, nel buio piegarsi su se stessa singhiozzando. Le andò incontro: “Lou...” lei alzò la testa. “Emma…cosa fai qui?” ora pareva in apprensione. Continuava a scrutarla sperando che la bambina non avesse sentito nulla, ma poi esclamò: “Andiamo dentro piccola, è tardi” e la prese per mano senza aggiungere nient’altro. Sono a Callan. C’è una festa ed è tutto meraviglioso. Luci colorate illuminano le strade. Una musica melodiosa ci tiene compagnia. La gente danza, allegra. Nonno…ecco che mi sorride. Ha dei libri sotto il braccio. Uno è quello dei Grandi Cataclismi. Gli corro incontro...sto per raggiungerlo. Ma ad un certo punto non riesco ad avanzare, come se una sorta di melma lattiginosa mi stesse avvolgendo, impedendomi di andare avanti. Nonno...che ti succede? Hai cambiato aspetto: le tue mani sono nodose e la tua statura …come sei diventato piccolo…e gli occhi sono del tutto arrossati. Ma cosa esce dalla tua bocca? Emma si svegliò di scatto sopraffatta dalla paura appena vide un enorme serpente provenire dal corpo del nonno e aprire le fauci contro di lei. Forse l’avrebbe inghiottita in un colpo solo e sarebbe morta di sicuro se non si fosse svegliata. Urlò e iniziò a chiamare tra i singhiozzi: “Lou!!! Lou!!!”. Si mise seduta e rannicchiò le gambe contro il petto, prese il cuscino e lo strinse a sé. Cercò di respirare lentamente e poi si alzò per bere un po’ d’acqua. Si avvicinò alla credenza e non volle accendere la luce per non disturbare la sua amica. Mentre faceva scorrere l’acqua sentì un rumore improvviso: si girò di scatto e vide Lou, in piedi, davanti a lei. Aveva gli occhi vacui e fissi, le braccia lungo i fianchi e, con le dita teneva uno dei suoi cuscini. Emma le sorrise e disse: “Lou…ho avuto un altro incubo…” e aprì le braccia, sicura che la ragazza volesse a sua volta abbracciarla. Non fece in tempo a realizzare cosa stesse succedendo che la vide alzare un cuscino e schiacciarlo con forza su di lei. Un fastidioso odore di arsenico la investì: poi sentì la testa girarle, fino a che perse i sensi e non sentì più nulla. -3- RAPHAEL Si risvegliò che il sole era molto alto nel cielo. Attorno a lei nessuno. Un enorme cane accucciato per terra, sonnecchiava beatamente. Emma cercò di alzarsi, ma le girava testa. Chiusa all’interno di essa, sentiva voci arrivare dall’esterno. Una di queste le fu subito famigliare. Era la sua amica: Lou . Ancora un po’ stordita, aveva la vista annebbiata e faceva fatica a ricordare, ma poi le venne in mente Lou che si avvicinava con il cuscino. Mentre cercava di capire lei entrò. ”Ciao bambina” Emma aveva il viso incredulo. “Perché… sono qui? Lou…” “Emma…io…dovevo farlo” lo sguardo ancora vacuo. “…quello …è Raphael. E’ il mio fidanzato” Emma non aveva idea di cosa fosse esattamente un fidanzato, ma le pareva dovesse essere una cosa molto seria. “Cos’è…un fidanzato?” “Sai…Quella persona con cui decidi di condividere la tua vita. … quando due persone si amano, si fidanzano…stanno assieme”. “Ma io non l’avevo mai visto prima” osservò Emma “Lui…lui...era partito” silenzio. Lo sguardo ancora fisso. A volte non lo vedo per mesi. Poi all’improvviso torna. Lui… torna da me” “Ma….non capisco...e adesso dove stiamo andando?” ripeté insistente. “Verso Sud.” rispose evasivamente. Poi entrò un uomo. Quello stesso del mercato, quello stesso che si era incontrato con Emma e forse lo stesso che aveva visto raffigurato assieme a Lou. “Ciao” “Dove sono?” “Sei in viaggio. Stiamo andando verso sud.” “Come?” “Si, la Congregazione ti vuole”. Era di nuovo con uno sconosciuto e diretta chissà dove, riuscì solo a pensare. “Chi sei? Che cosa vuoi da me?” “Emma…” “Tu…sei l’uomo che c’era al mercato quel giorno…perché sei qui?” “Andremo a Sud, te l’ ho già detto. Non fare altre domande sciocche” poi le pose la mano sulla fronte. E lei si riaddormentò. Passarono alcuni giorni, durante il quale Emma venne lasciata da sola e solamente Lou le portava del cibo e vestiti puliti. La ragazza però non le parlava, anzi sembrava proprio evitare qualsiasi tipo di dialogo. Avrebbe tanto voluto capire dove potessero essere, ma chiusa lì dentro le veniva molto difficile. Dal rumore dell’acqua che batteva sugli scogli e l’odore di salsedine, capiva che stavano fiancheggiando la costa. Cominciò di nuovo a pensare al nonno. E si accorse che era da molto tempo che non lo pensava. Chissà se era già arrivato a Sud. E se aveva trovato Wal. ‘Nonno’ pensò intensamente, più volte. Ma non ricevette alcuna risposta. La ragazzina non demorse. Ci avrebbe provato tutti i giorni e, prima o poi sarebbe riuscita a contattarlo. Quanto cose erano successe da quando erano partiti da Callan. Eppure non era passato nemmeno troppo tempo. Chissà se sua madre era tornato. Chissà il nonno Eugen se era guarito. ‘A quante cose tristi pensi, bambina. Non ascoltarle. Ma accogli la tua sofferenza. Voglile bene. E vedrai che sarai più serena’. ‘Chi aveva parlato?’ Pensò. Sperò fosse Josepha, ma la voce che rimbombava nella sua testa era sottile e cristallina. Era la voce di una donna. Emma cercò di capire chi fosse, ma era sicura di non averne minimamente idea. Si ripromise però di reagire. Non aveva alternativa se voleva tornare a essere la bambina solare partita da Callan, appena due mesi prima. Quel giorno il sole era già molto alto quando si fermarono in una strada secondaria lontana dagli occhi della gente. Lou venne a chiamarla: “Raphael ti vuole”. Emma la seguì controvoglia. Cosa poteva volere ancora da lei quell’uomo sconosciuto? Percorsero un tratto di strada e si avvicinarono al mare, dove il ragazzo era assieme ad altri due e la stava aspettando. Questi erano piccoli e magri, come Raphael. “Bene, bambina. Oggi forse comincerai a capire perché sei qui, tra di noi. Inizieremo il tuo addestramento.” Emma lo guardò con sguardo perplesso. “Per combattere contro gli uomini che lottano contro la Grande Congregazione. Contro chi non accetta la diversità. Contro quegli uomini che, nella convinzione dell’uguaglianza sociale guardano solo ai loro interessi e non realmente a quelli del popolo.” sentenziò. Emma, per nulla impaurita – ormai di gente strana ne aveva incontrata parecchia- lo guardava incuriosita. “Bambina. Tu non sai moltissime cose. Raphael…vuole solo aiutarti.” Le disse Lou. Emma non capiva ancora. Si chiuse in un silenzio ostinato. ‘Solo il nonno può aiutarmi davvero’ Intanto uno degli altri due giovani si tolse la giacca, mettendosi a dorso nudo. Poi impugnò una spada enorme e ricurva e la diresse verso di lei con fare minaccioso. Emma impaurita fu costretta così a indietreggiare impaurita. Tremava. “Vedremo quello che sai fare ragazzina”, ma lei pensò di non sapere fare proprio nulla. L’uomo cominciò a far roteare l’arma contro di lei e si mise ad mettere parole incomprensibili. Allora lei continuò a spostarsi all’indietro, fino a che l’uomo non si trovò schiacciata contro il tronco di un albero lì vicino. La ragazzina si guardò attorno atterrita per cercare una scappatoia, ma intravide solo Raphael e Lou che osservavano attenti tutta la scena. Intanto l’uomo continuava a sovrastarla di almeno dieci spanne e la fissava infuriato. “Raphael, questa non vale nulla!” urlò sprezzante. Poi avanzò con la lama e le sfiorò la mano che cominciò a sanguinare. Emma, istintivamente, se la portò alla bocca mentre, intanto, gli occhi si riempivano di lacrime. Si sentiva ferita, arrabbiata. Di nuovo si guardò attorno e notò che tutti ridevano di lei: anche Lou. Vederla fare così, la ragazza che in tutto quel periodo l’aveva protetta e aiutata, la ferì profondamente e, per la prima volta, sentì un profondo rancore venirle dal cuore. Lo stomaco si chiuse e il battito aumentò. Le lacrime, che prima scendevano copiose si bloccarono e la vista si annebbiò. Tum tum tum…sentì nel petto. Iniziò a tremare e a digrignare i denti. Doveva aver cambiato espressione, perché l’uomo la guardò sorpreso e alzò la lunga spada affilata, mettendosi in guardia. Improvvisamente il corpo della ragazzina si alzò da terra e iniziò lentamente a roteare. Le braccia che ricadevano verso il basso, parevano tenute da una mano invisibile mentre le gambe cominciarono a contorcersi visibilmente. Si sentiva leggera e non percepiva più nessuna paura. Il cuore si era calmato. I suoi capelli da crespi e ricci diventarono morbidi e lucenti. La mano ferita scattò verso l’alto e il sangue che usciva rimase sospeso nell’aria formando delle piccole gocce che ruotavano anch’esse fluttuando nell’aria. D’improvviso le dita della sua mani si stesero aprendosi al limite della loro possibilità e da esse cominciarono ad uscire fasci di luce che illuminarono tutta l’aria circostante. Allora iniziò a muovere la mano e si accorse di riuscire a indirizzarla dove voleva lei. Si volse verso l’uomo: adesso era lui a trovarsi schiacciato contro l’albero, incerto sul da farsi. Emma scagliò, con tutta la forza che aveva, il fascio di luce verso di lui che, prima di essere colpito la guardò con lo sguardo pieno di paura. La luce lo investì in pieno. La ragazzina chiuse forte la mano e vide l’uomo accartocciarsi su se stesso. Era come se riuscisse a comandarlo facendogli fare ciò che voleva lei. L’uomo adesso urlava di dolore. “Basta Emma!” urlò Lou a quel punto. Emma allora apri la mano e l’uomo cadde a terra con un colpo secco. Subito dopo il fascio di luce si interruppe e la ragazza vide la sua mano rimpicciolire lentamente. Il suo corpo riprese a fluttuare nell’aria, fino a che si adagiò piano a terra. Il cuore tornò a battere normalmente. Una strana tranquillità la avvolse, prima di cadere a terra spossata e indolenzita. Aprì gli occhi e vide l’uomo a terra inerme. Lei si sedette stancamente. ‘Cosa è successo?’ si chiese. ”Hai visto? Lo sapevo! Ne ero sicuro.” “… come sta?” chiese Lou indicando il malcapitato. E Raphael gli rispose secco: “Bene…ma l’abbiamo fermata in tempo.“ A quelle parole ad Emma girò la testa, poi perse i sensi e non sentì più nulla. -4- Raphael e Lou Rimase tra il sonno e la veglia per parecchi giorni. A volte sentiva Lou che la chiamava, obbligandola a bere un po’ d’acqua, ma poi si riaddormentava cadendo in un sonno pieno di sogni e incubi. ‘Nonno…nonno…’ chiamava nel delirio, ma non riusciva davvero a svegliarsi. Però sentì: “Ce la farà?” “Si caro. E’ forte. Sopravvivrà” “Bene, molto bene”. Poi cadde di nuovo nel buio più profondo e vi rimase per parecchi giorni. Si svegliò alcuni giorni dopo, con un gran male di testa e molta fame. “Lou…” chiamò. “Bambina…finalmente!” “Lou...che cos’è successo?”. “Emma….presto capirai. Ma devi avere ancora un po’ di pazienza”. “Perché? ” chiese. Adesso urlava in preda al panico. “Dov’è il nonno? Che gli avete fatto?”. “Non so dove sia tuo nonno, né che cosa stia facendo” le rispose . E nemmeno so dov’è tuo padre”. “Lou… quell’uomo…. Dov’è?” chiese Emma con la voce tremolante. “Sta bene bambina. Ci è mancato poco però….” le rispose accarezzandole la testa in gesto consolatorio senza parere però, affatto dispiaciuta. Adesso il suo era uno sguardo pieno di nuova ammirazione. “Sei stata brava. Raphael è orgoglioso di te”. Emma allora cominciò di nuovo a piangere. Le lacrime le scendevano copiose sulle guance: piangeva per lei, per quell’uomo, per il nonno, per suo padre, sua madre. Piangeva, perché per la prima volta, nella sua vita aveva fatto del male a qualcuno e, nel farlo non aveva sentito alcun rimorso, né dubbio, ma solo una grande e incredibile soddisfazione. Anche lì, come dal nonno si sentiva dire: “Capirai”, ma non capiva proprio nulla, se non che era di nuovo in mano a degli sconosciuti, senza sapere che cosa ne sarebbe stato di lei. Lentamente il suo corpo cominciò a reagire e, giorno per giorno si sentiva meglio, anche se continuava a rifiutare il cibo e a bere appena. Pareva di essere di nuovo da Karl, quando Lou si prendeva cura di lei, ma questa volta con una foga rinnovata e un entusiasmo che Emma non comprendeva. Qualche giorno dopo Lou arrivò con dei nuovi vestiti per lei: un paio di pantaloni scuri più lunghi degli altri, una camicia bianca di lino e una casacca blu. Le portò anche un nastro per i capelli, ora più lunghi e ondulati che le avvolse attorno ai capelli. Mentre Emma si vestiva Lou la osservò attentamente, notando il suo corpo notevolmente assottigliato. ‘Sta crescendo’ pensò osservandola con tenerezza. Voleva molto bene ad Emma ed era convinta che tutto ciò fosse, dopotutto, per il suo bene. Così le aveva detto Raphael e così doveva essere. Ecco, stava di nuovo pensando a lui. Oddio quanto lo amava. Quanto erano stati felici un tempo. E come si erano amati. Fin da ragazzini. Era stato un amore puro, dolce, unico, Ognuno dei due bastava all’altro e nessuno avrebbe potuto dividerli. Erano cresciuti assieme nel loro paesino di Oban tra le case e le cascine, giocando a nascondersi tra le bancarelle del mercato, o andando a scuola e studiando assieme. La madre di Lou adorava Raphael e tutto il paese sosteneva quell’unione, tanto da considerarli già futuri sposi, quando ancora non si era detto nulla. Solo il padre del ragazzo si opponeva chiaramente a quella frequentazione, e spesso dovevano vedersi di nascosto per evitare che si arrabbiasse. Ciononostante il loro legame durò svariati anni e tutti aspettavano il giorno in cui avrebbero annunciato la data del loro matrimonio. Lou chiedeva spesso a Raphael di decidersi, ma in questo però appariva evasivo e poco rassicurante. “Stai tranquilla Lou, presto ci sposeremo” e lei serena si tranquillizzava un po’. Poi, qualche giorno dopo il suo diciottesimo compleanno, Raphael le annunciò che sarebbe partito per qualche tempo assieme al padre. Sarebbero andati nelle Terre dl Sud. “Tornerò presto” le aveva detto, salutandola affettuosamente “E ti scriverò tutti i giorni” E infatti dopo circa due settimane erano cominciate ad arrivare due, tre lettere alla settimana, tutte piene di parole ricolme di amore e affetto per lei. La madre di Lou la vedeva rasserenarsi tutte le volte in cui quelle missive arrivavano, ma un brutto presentimento le attanagliava il cuore. Sapeva bene di come il padre del ragazzo non fosse favorevole a quella amicizia e, in cuor suo aveva sempre avuto paura che prima o poi il ragazzo se ne sarebbe andato. Aveva cercato molte volte di mettere in guardia la sua piccola Lucilla, ma lei ostinatamente non si era mai soffermata sulle sue parole; così aveva dovuto capitolare. E adesso la vedeva sempre trepidante, in attesa di sue notizie e, ogni giorno pregava per la sua piccola, perché ricevesse notizie. Quella partenza improvvisa per il Sud non faceva presagire nulla di buono. Tutti sapevano di come la Congregazione cercasse continuamente adepti , non importava se uomini o donne, ma preferibilmente giovani. Spesso essi venivano chiamati tramite l’inganno o la forza, ma a volte genitori senza scrupoli e solamente interessati al buon nome della propria famiglia e al prestigio, acconsentivano di buon grado nel vedere i propri figli affiliarsi ad essa. “Speriamo sia solamente un viaggio di piacere” pensò la donna, ma qualcosa le diceva che il ragazzo non sarebbe tornato. Infatti dopo appena due mesi dalla partenza, le lettere cominciarono a diventare molto più corte ed esigue. La madre di Lou iniziò seriamente a temere il peggio. “Non ti preoccupare. Forse non ha avuto tempo” le diceva, ma in cuor suo sapeva che non era affatto così. Le sue parole poi sortivano l’effetto del tutto opposto. “Tu che ne sai?” le rispondeva rabbiosa, per poi chiudersi in un silenzio preoccupante. Iniziò anche a non mangiare più e se ne stava ore ed ore alla finestra aspettando nuove notizie. Esse però divennero sempre più rade, fino a scomparire del tutto. Lou allora cadde come in catalessi e una mattina non si alzò più da letto. Se ne stava coricata, dormendo profondamente senza mangiare più. La madre cercava in tutti i modi di scuoterla ma pareva non esserci nulla da fare. “Se non mangerà qualcosa potrebbe accadere il peggio” le disse il medico di Oban, La madre allora aveva deciso di rivolgersi alle Scuole Alte dell’Ovest, per avere un consiglio sul da farsi. ‘Com’era triste mia mamma in quel periodo. Poveretta, deve aver sofferto molto’ concluse Lou, ripensando a quei momenti. Ricordava molto bene quei momenti. Quel suo dormire continuamente, senza volersi svegliare mai. Ricordava di come le avessero aperto la bocca forzatamente, per farla mangiare. Di come cercavano di non farla addormentare, chiamandola continuamente. Ma il dolore di Lou non aveva una cura concreta. Semplicemente soffriva di un sentimento doloroso, proporzionale all’amore che provava per Raphael. Sua mamma quindi, sempre più in ansia si era recata dalla madre del ragazzo, implorandola di darle notizie del figlio. Quella l’aveva accolta molto freddamente, al contrario di mille altre volte. ”Raphael deve fare la sua scelta signora e voi non potete farci niente. A ogni modo so che tornerà molto presto. Me lo ha comunicato mio marito proprio ieri sera” aveva detto. La magrezza di Lou era ormai impressionante e la ragazza non riusciva più ad alzarsi dal letto, se qualcuno non accorreva in suo aiuto. Quando avevano bussato alla porta Lou era nella sua camera, che riposava.Di scattò si era messa seduta tendendo le orecchie. Un presentimento l’aveva assalita. “Buongiorno signora” “Ciao Raphael, prego entra” Aveva capito bene? Era proprio lui? Era Raphael? “Cara c’è una sorpresa per te” E lui era entrato. Ricordava quel momento come fosse accaduto il giorno prima. Aveva sentito mille emozioni, mille sentimenti: gioia, rabbia, amore, paura….tutti assieme. Per lei era difficile rimanere calma. Si erano guardati negli occhi per un istante che le era parsa un’eternità. Poi stancamente si era alzata e, camminando piano gli era andata incontro. Lui l’aveva abbracciata piano accarezzandole i capelli, con un gesto che era loro famigliare. “Raphael…finalmente. Cosa ti è successo?” Lui non aveva risposto. “Ho avuto da fare, Lou” poi l’aveva sollevata di peso, per adagiarla dolcemente sul letto. La madre di Lou era rimasta ferma dietro la porta. Finalmente sua figlia si sarebbe ripresa pensò. Sperava in cuor suo che il ragazzo rimanesse e che non fosse passato da loro per dare notizie infauste. Vide che la faceva coricare e le rimboccava le coperte e pregò sommessamente per la felicità della sua bambina. Lucilla si era messa ad accarezzargli il viso: “Raphael! Finalmente sei qui con me” “Lou…cara. Anche io sono contento di rivederti. Vedo però che sei molto dimagrita. Dovresti mangiare di più” aveva commentato sbrigativo. Il suo tono era stato stranamente freddo e incolore. Non lo aveva mai sentito così. “Raphael. Ti ho aspettato molto e ho sofferto. Perché non mi hai scritto più? Ma adesso non conta. Quello che importa è che sei qui con me.” “Lou…noi… Io non posso fermarmi” le aveva detto seccamente, senza guardarla negli occhi. A pensarci ancora adesso si sentiva male. Rammentava la testa girarle forte. Non era riuscita a dire nulla. “Devo tornare da mio padre” “Ma dove caro?...perché? Non stai bene qui con me? Qui ad Oban?” “Devo partire. Tornare di nuovo a Sud. Io…sono stato… scelto” “Scelto? Ma…cosa… Scelto da chi?” chiese Lou. “Lo sai da chi. Guardami. Guarda i miei occhi. Lou vide quella strana luce rossa che rifletteva dai suoi occhi e che si era negata di notare. Quello era un segno che contraddistingueva chiaramente gli adepti della Congregazione. “Preso mi taglieranno i capelli. Allora la trasformazione sarà conclusa” “Perché?” Per salvare il nostro mondo. Per salvare tutti. Anche te” “Ma noi…ma io…” “Devo andare cara” “No…ti prego” “Non dobbiamo vederci più” “Ma noi …dovevamo sposarci…vivere tutta la vita assieme” “Non posso più” e una piega profonda gli comparve sulla fronte. Lei allora lo abbracciò forte. “Smettila” Poi, senza guardarla, e molto velocemente era uscito e da quel giorno non lo aveva visto più. Rabbrividiva ancora ripensando a quei momenti: rammentò la febbre altissima che le venne e di come il medico, quando l’aveva visitata ancora una volta si era preoccupato seriamente, temendo di nuovo il peggio. ‘Non riuscivo a mangiare’. “Dobbiamo portarla alle Scuole Alte. Signora le consiglio quelle del Nord a Callan. La loro ricerca è più avanzata, forse potranno fare qualcosa.” Dunque erano partiti per Callan, viaggiando ininterrottamente notte e giorno. Una volta arrivati il Comitato Scientifico era intervenuto prontamente, tanto da lasciare la madre di Lou favorevolmente colpita. Era stato chiamato addirittura il Referente della Scuola, Josepha di Barden, uno tra gli scienziati più accreditati di allora. ‘Quell’uomo è davvero affascinante. Dai suoi occhi, dalle sue mani si sprigiona energia, serenità, dolcezza. Se non fosse stato per lui sarei morta sicuramente.’. Non si stupiva che la piccola Emma ne sentisse così tanto la mancanza. Avere come riferimento un uomo di quella statura doveva essere una grande fortuna. Si sentì un po’ in colpa. Lei era lì viva e vegeta grazie al vecchio Josepha, eppure gli stava portando via la nipote assieme a colui che l’aveva quasi uccisa per il dolore. ‘Strani esseri siamo noi donne. Non tradiremmo mai i nostri sentimenti, perché significherebbe tradire noi stesse’ Ricordava di come il vecchio Josepha, l’aveva accolta con pazienza e ascoltata attentamente. Di quanto le fosse stato vicino tenendole le mani sulla fronte per scaldarle non solo il cuore, ma anche la mente. “Presto starai meglio, ragazza” le aveva detto. “Ma devi volerlo tu.” Vedere quella ragazza così sofferente per Josepha era stato un duro colpo: quella era la testimonianza eclatante di quanto la Congregazione del Sud, stesse diventando sempre più forte e implacabile. Lou era rimasta molti giorni in silenzio, poi Josepha le aveva detto che il suo corpo stava cominciando a reagire. Presto sarebbe stata meglio. “E’ necessario farla andare via da Oban. Almeno per un po’” aveva detto il Referente alla madre di Lucilla. “Si Referente. Dove posso portarla?” Josepha ci aveva pensato un po’ poi aveva concluso che per Lucilla era necessario trovarle un lavoro creativo, che la distogliesse dal dolore. “Presto arriverà Karl, il Maestro Circense. Spesso ha bisogno di nuovi ragazzi. Forse per vostra figlia potrebbe essere la soluzione migliore” La madre di Lou non se lo era fatto ripetere due volte. Tornati ad Oban aveva cercato di prendere contatti con il Maestro. Lo aveva incontrato nella piazza del mercato, dove i nomadi solevano sostare per un certo periodo. “Portala con te. E’ giovane. Potrà tornarti utile” le aveva detto seria. Lui aveva inizialmente scettico aveva voluto però incontrare la ragazza e ne era rimasto colpito. Magrissima e pallida emanava dai suoi occhi un dolore mai visto prima. Di chi si è perso e non sa come tornare alla vita. Tutti conoscevano Karl ed era noto il suo caratteraccio burbero che nascondeva un uomo corpulento, dal cuore tenero e dolce. “Si riprenderà o porto con me un sacco morto?” “Signore vi garantisco che la ragazza è forte. Ed è sveglia. Imparerà in fretta” “Lo spero tanto” aveva risposto scettico. Preso a compassione però non era riuscito a dire di no a quella donna e così aveva acconsentito. E così Lucilla era partita assieme a quello strano gruppo di artisti girovaghi e a cui oggi non avrebbe potuto più fare a meno. Quante ragazze avrebbero voluto essere al suo posto? Si sentiva libera senza freni e alcun limite, padrona della propria vita e decisioni. Lou si dava da fare con tutti e lavorava sodo, così Karl fu talmente soddisfatto che l’aveva nominata presto responsabile del suo carrozzone. Il tempo era passato in fretta e Lucilla aveva cominciato a riprendersi nonostante tutto. Tutti i giorni pensava a Raphael, ma era arrivata a percepirlo in un modo più distaccato. Aveva avuto anche un nuovo fidanzato per un certo periodo, ma poi lei aveva interrotto quella frequentazione, dicendo: “Non sono ancora pronta”, ma sapeva in cuor suo che quelle erano tutte scuse. Non riusciva a provare amore per nessuno, o per lo meno, non con quella stessa intensità che aveva sentito per Raphael. Altro tempo se ne era andato e senza che quasi se ne accorgesse erano già quasi due anni che Lou lavorava per il Maestro Karl. Solamente due volte era tornata ad Oban per salutare la madre, ma si era fermata molto poco, non sentendosi ancora in grado di rivedere quei luoghi, che tanto l’avevano addolorata. Un giorno – lei era con l’uomo palla che lo stava guardando eseguire il suo numero- un uomo era apparso sulla porta, chiedendo di lei. Sorpresa Lucilla gli era andata incontro incuriosita. “Chi siete?” “Ho una lettera per voi, signora” e le aveva sporto una busta chiusa. Poi se ne era andato in fretta. Lucilla aveva preso la busta e si era recata nel carrozzone di Karl. In quel momento non doveva esserci nessuno. Si era seduta e l’aveva aperta veloce, sentendo uno strano presentimento. Si era messa a leggere in fretta. ‘Lou, amore mio. Come stai? Finalmente ti ho ritrovata. Ti ho cercata per moltissimo tempo, ma a Oban nessuno sapeva di te e dove fossi. Mi manchi molto e ho bisogno di te. Presto avrai miei notizie, ma mi devi fare un favore: tra un po’ di tempo porteranno una ragazzina ricciola, piccolina. Devi accudirla e aver cura che non le succeda niente di grave. Io verrò a prenderla un giorno e con lei porterò via anche te . Così ci sposeremo, e riavremo il nostro amore tutto per noi. Perdonami se ti ho lasciata sola’ Lou era rimasta sorpresa. Non sapeva che Raphael la stesse cercando e nemmeno che fosse tornato al paese. Ma in quel momento non c’era tempo per le domande. ‘Ero totalmente inebetita’ pensò. Come potevo non esserlo? Non pensavo l’avrei mai più rivisto. Addirittura credevo fosse morto. E invece è tornato.’ Ricordava di come avesse vissuto i giorni successivi con la testa che vagava da un’altra parte. Di come sognava quando lo avrebbe rivisto e di come sarebbero finalmente stati felici assieme. Da quel giorno, però, era passato di nuovo molto tempo e lei stava cominciando a stare di nuovo male, quando una mattina era arrivata quella strana coppia di mercanti, assieme a una bambina che corrispondeva perfettamente alla descrizione data nella missiva. Lou aveva capito subito che doveva essere la ragazzina di cui Raphael aveva parlato, così si era offerta subito di accudirla. Fortunatamente Karl aveva acconsentito. Fino a che non gli fosse venuto in mente che cosa farsene di quella bimba, sarebbe stata con lei. “Ci potrà essere utile. Per ora mandala dalla sarta e poi vedremo”. E così lei si era messa di nuovo ad aspettare. Se era arrivata quella bambina presto sarebbe tornato anche Raphael. E adesso non poteva ancora crederci, lui era lì accanto a lei. Ancora qualche tempo e si sarebbero sposati, tornando ad Oban l’unico posto dove erano stati davvero felici. Pensò a lui come era un tempo e si rivide di nuovo ragazzina, mentre lui la baciava sulle labbra per un tempo infinito. Una voce la scosse dai suoi pensieri. Era lui che la chiamava: “Dobbiamo ripartire, o ci metteremo troppo tempo” “Va bene Raphael” “Devi controllarla, non lasciarla mai sola” “Si” e le accarezzò i capelli. Lei lo abbracciò: “Oh…amore mio” “Basta” disse lui e si scostò. Quella durezza ancora la feriva ma Lou cercò di non darci molto peso. Presto sarebbe tornato ad essere il ragazzo di un tempo. Lou rientrò ed Emma vide la sua amica che aveva sulle labbra un sorriso amaro: quello di chi ama troppo e non sa di essere manipolato. Non solo dall’altro, ma soprattutto dalla propria mente.