I tornanti della dialettica tra rappresentanza e conflitto collettivo: dal conflitto per la rappresentanza alla rappresentanza per il controllo del conflitto di Federico Martelloni (Ricercatore in Diritto del Lavoro – Università di Bologna) Convegno internazionale di studio dal titolo: Consenso, dissenso, rappresentanza nel governo delle relazioni industriali Venezia, 25 – 26 ottobre 2013 Sessione: Consenso e dissenso nella rappresentanza e nel conflitto collettivo Sommario: 1. Rappresentanza sindacale e conflitto collettivo: una relazione biunivoca. – 2. La dialettica tra rappresentanza nei luoghi di lavoro e conflitto: il medium della rappresentatività. – 2.1. L’art. 19, l. n. 300/1970: la presenza nel conflitto come indice della «maggiore rappresentatività» – 2.2. L’art. 19 dopo il referendum del 1995, tra discontinuità normativa e continuità interpretativa. – 2.3. L’utilizzo dell’art. 19 nella vicenda FIAT: dissenso e conflitto come fattori di esclusione dalla rappresentanza sindacale in azienda. – 2.4. La declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 19: rilevanza costituzionale della rappresentatività sindacale. – 3. Rappresentanza, rappresentatività e conflitto collettivo negli accordi interconfederali 28.6.2011 e 31.5.2013: le regole per un sistema stabile e inclusivo. 1. La funzione di rappresentanza e l’esercizio del conflitto collettivo costituiscono, tradizionalmente, l’anima e il cuore del fenomeno sindacale. È persino banale rilevare come l’una e l’altro intrattengano un rapporto dialettico-osmotico che permette di accentuare, su ambo i fronti, l’efficacia dell’azione sindacale. Se da un lato, la rappresentanza sindacale, in virtù dei caratteri di stabilità e riconoscibilità che per suo tramite assume l’interesse collettivo, consente di muovere e finalizzare l’azione di autotutela accrescendone l’efficacia, dall’altro lato, l’esercizio del conflitto collettivo conferisce forza alla rappresentanza e, per vero, ne costituisce pure, storicamente, la precondizione: in mancanza di effettività del contropotere collettivo nemmeno vi sarebbe stato, almeno in origine, riconoscimento del ruolo del sindacato ad opera delle controparti datoriali1, né, in un secondo tempo, da parte dei pubblici poteri. 1 Cfr. Giugni G., Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, 1960. Vedi anche Flammia R., Contributo all’analisi dei sindacati di fatto, Giuffrè, 1963, per il quale l’elemento tipico del fenomeno sindacale, per come esso è riconosciuto e tutelato in Costituzione, «consiste nell’attività di autotutela o Nello sviluppo dinamico del sistema di relazioni sindacali e, più ancora, nell’evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale, tale dialettica non si mostra lineare. Essa ha difatti conosciuto, specie nel periodo post-statutario, alcuni significativi tornanti che, in tempi recenti, hanno dato luogo a capovolgimenti di prospettiva, tanto radicali quanto repentini. 2. Emblematica si mostra, sotto questo specifico profilo, la vicenda dell’art. 19 St. Lav, laddove rappresentanza e conflitto entrano in relazione attraverso il medium della rappresentatività2. L’art. 19, l. n. 300/70, anche a seguito di una paziente opera d’interpolazione giurisprudenziale, in una prima lunga stagione (1970-1995), guarda al conflitto collettivo in positivo, come indicatore della maggiore rappresentatività di cui alla lettera a), facendone, per questa via, una delle chiavi d’accesso al Titolo III dello Statuto (2.1.); in un secondo tempo, orfana del più importante criterio selettivo abrogato per via referendaria, recupera il conflitto attraverso una lettura “continuista” del criterio “residuale” (lett. b), riconoscendone la rilevanza a livello di singola impresa (2.2.); mentre negli anni più recenti (2010-2013), con radicale inversione di rotta, si presta a fare del conflitto addirittura un fattore di estromissione dal sistema della rappresentanza (2.3.), per poi recuperare lo sguardo originario, al prezzo di una auto-anamnesi3 del giudice delle leggi (2.4.). Rileggere le vicende dell’art. 19 St. lav. alla luce del rapporto tra rappresentanza e conflitto collettivo non è operazione consueta: il ragionamento esige, dunque, una più articolata dimostrazione. 2.1. Nella formulazione originaria dell’art. 19, l. n. 300/70 il criterio meramente quantitativo quale l’elevato numero degli iscritti al sindacato-associazione, pur svolgendo un ruolo significativo, non è mai stato ritenuto sufficiente, come tale, a schiudere i battenti del Titolo III. Tra gli indici rivelatori della «maggiore rappresentatività» pluricategoriale hanno, autodifesa ed è proprio tale aspetto che vale a distinguere il precetto di cui all’art. 39 Cost. da quello dell’art. 18» (61); Pedrazzoli M., Democrazia industriale e subordinazione, Giuffrè, 1985, il quale ricorda – richiamando il classico studio dei coniugi Webb (Webb S. e B., Industrial Democracy, Longman, 1897) – che «lo sciopero rappresenta il presupposto dell’introduzione di istituti di democrazia industriale» (153 s.). 2 Si tratta di un concetto notoriamente diverso da quello di rappresentanza: mentre quest’ultima nozione richiama l’istituto civilistico che consente di operare in nome e per conto dei rappresentati, e dunque, nel contesto del diritto sindacale, allude al potere del sindacato di compiere attività giuridica (specie contrattuale) in nome e per conto dei suoi iscritti, la rappresentatività si atteggia come concetto, almeno inizialmente, fattuale ed extragiuridico (capacità di influenzare, mobilitare e governare vasti strati di lavoratori), poi assurto al positivizzato, specie dalla normativa statutaria, con l’introduzione della nozione di «sindacato maggiormente rappresentativo». Cfr. Scarponi S., Rappresentatività e organizzazione sindacale, Cedam, 2005. 3 Carinci F., Il buio oltre la siepe: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231, dattiloscritto in corso di pubblicazione, 34. infatti, giocato una parte anche altri criteri –«diffusa organizzazione a livello territoriale», «equilibrata consistenza associativa in tutto l’arco delle categorie»4, capacità d’interlocuzione e influenza nei confronti di pubblici poteri5 – tra i quali non secondario si mostra, specie nel panorama della giurisprudenza ordinaria, l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e diversi interlocutori6. Il che viene riassunto, dalla manualistica corrente, come «effettività dei compiti che qualificano tipicamente l’azione sindacale nei confronti delle controparti datoriali e delle pubbliche istituzioni e la capacità di controllo e mobilitazione della base»7. Se la c.d. presenza nel conflitto8 non assume, nella giurisprudenza costituzionale, espressamente il rango di “indice” della maggiore rappresentatività, ciò si devo, soltanto, al fatto che il conflitto collettivo è supposto e, per così dire, assorbito nel ragionamento che la Corte svolge attorno alla rappresentanza pluricategoriale, nell’argomentare il primato della lett. a): per i giudici costituzionali, l’operazione svolta dal legislatore statutario consiste «nel dotare le organizzazioni sindacali – in ragione del complesso intreccio tra conflitto industriale e conflitti sociali – di strumenti idonei a pervenire ad una sintesi tra istanze rivendicative di tipo microeconomico e di tipo macroeconomico ed, insieme, di raccordare l’azione di tutela delle classi lavoratrici con la considerazione di interessi potenzialmente divergenti, quali, in particolare, quelli dei lavoratori non occupati». Concezione, questa, ritenuta dalla Corte non soltanto rispettosa della cultura sindacale italiana, ma pure «coerente al complessivo disegno cui è informata la Carta costituzionale, nel quale anche l’art. 39 va inserito; e cioè, sia il principio solidaristico, specificatamente enunciato nell’art. 2 e matrice di molte altre disposizioni costituzionali; sia al principio consacrato nel secondo comma dell’art. 3 che, promuovendo l’eguaglianza sostanziale tra i lavoratori e la loro effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, addita anche alle organizzazioni sindacali di rendersi per la loro parte, strumenti di tale partecipazione, oltre che di tutela dei diretti interessi economici dei lavoratori (cfr. sent. n. 15 del 1975)»9. 4 Corte cost. 24 marzo 1988, n. 334. Ferraro G., Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Cedam, Padova, 1981. 6 Cass. 27 aprile 1992, n. 5017; Cass. 30 marzo 1998, n. 3341 7 Carinci F., De Luca Tamajo R., Tosi P., Treu T., Il diritto sindacale, Utet, Torino, 2013, 118. 8 Cfr. M.V. Ballestrero, Diritto sindacale, Giappichelli, 2012, p. 129, la quale ne trova traccia pure nell’ultimo indice di cui alla l. n. 902/1977, il cui art. 2, nell’attribuire un piccola quota percentuale (7%) del patrimonio dei disciolti sindacati fascisti ai sindacati liberi da priorità alle confederazioni e associazioni nazionali « che siano maggiormente rappresentative tenuto conto: della consistenza numerica dei soggetti rappresentati; dell’ampiezza e diffusione delle strutture organizzative; della loro partecipazione alla formazione e stipulazione dei contratti collettivi di lavoro; della loro effettiva partecipazione alla trattazione delle controversie individuali, plurime e collettive di lavoro». 9 Corte cost., n. 334/1988; Cass., 27 aprile 1992, n. 5017. In dottrina cfr. U. Romagnoli, Il sindacato nella giurisprudenza costituzionale, in Bessone M. (a cura di), L’attività del giudice. Mediazione degli interessi e controllo delle attività, Giappichelli, 1997, 171 ss. 5 Il legame tra conflitto collettivo e rappresentanza sindacale non è, insomma, per la Corte, neppure in questione: semmai, la predilezione statutaria per la rappresentanza intercategoriale è ricondotta all’opportunità di far convivere due diverse e necessarie declinazioni del conflitto – «conflitto industriale e conflitti sociali» per l’appunto – entrambe iscritte nel dna di quel particolare corpo intermedio cui spetta di diritto, oltre che per vocazione, il compito di assicurare rappresentanza sociale agli interessi dei lavoratori (art. 39, Cost.), garantendo la loro effettiva partecipazione al processo di emancipazione che li vede protagonisti (art. 3, comma 2, Cost.)10. È stata all’uopo recentemente sottolineata dalla dottrina «l’eco addirittura letterale in questa Corte cost. n. 334/1988 della precedente Corte cost. n. 290/1974, con cui era stato dilatato l’art. 40 Cost., per tramite di una reinterpretazione con la quale veniva elevato a diritto costituzionalmente tutelato lo sciopero c.d. per le riforme»11: ciò che, in tempi piuttosto risalenti, autorizzò Federico Mancini a registrare, senza dar troppo scandalo, che dopo la sentenza sullo sciopero politico «la nostra non è più solo una democrazia rappresentativa»12. Nella stagione statutaria, dunque – ma anche alla sua vigilia e per almeno il quarto di secolo successivo al varo dello Statuto – il conflitto collettivo, è indice rivelatore della rappresentatività sindacale nonché, per questa via, strumento di selezione dei beneficiari della legislazione di sostegno, a partire dalla possibilità di costituire rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Il conflitto assume, dunque, una funzione anche servente rispetto alle dinamiche della rappresentanza sociale, perché misura il consenso dell’organizzazione sindacale su un terreno diverso rispetto alla mera consistenza associativa, ritenuto consustanziale alla legittimazione ex art. 19. Né la circostanza può destare stupore: lo Statuto – come pure è stato sottolineato – rappresentava pur sempre «l’epifenomeno giuridico di un grande momento di conflitto sociale: l’Autunno caldo»13, sicché, anche in mancanza di una specifica regolazione normativa dello sciopero (rectius: anche grazie a 10 Cfr. Romagnoli U., Sub art. 40, in Branca G. (diretto da), Commentario della Costituzione, Zanichelli, 1980, 289 ss. 11 Carinci F., Il buio oltre la siepe, cit., 3. 12 F. Mancini, Sindacato e Costituzione trent’anni dopo, in Id, Costituzione e movimento operaio, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 163 ss., qui p. 180. Per l’Autore – il quale rimarcando la distanza rispetto al modello di sostegno offerto dall’art. 39 Cost., individua la formula-base cui si ispira lo Statuto nel sostegno al «sindacato come centro di contropotere nella fabbrica» (178) – «la sentenza n. 290 del 1974, in cui si attribuisce un ampio spazio di liceità allo sciopero politico, rappresenta per il movimento sindacale il secondo, grosso successo conseguito negli ultimi anni sul terreno del diritto (…). A distanza di ventott’anni, in definitiva, le forze del lavoro hanno cancellato la sconfitta che i loro rappresentanti subirono in Assemblea, quando non riuscirono a imporre un riconoscimento del diritto di sciopero integralmente coordinato e funzionale al programma di emancipazione contenuto nell’art. 3» (p. 179 s.). 13 Garofalo G.M. (1989), Complessità del modo di produzione e possibilità di governo attraverso il diritto del lavoro, in Pedrazzoli M. (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni, Il Mulino, 1989, 193 ss., qui 196. questa mancanza), era inevitabile che il confitto collettivo ne uscisse rafforzato e tutelato, vuoi in termini espliciti, come avviene nell’art. 28 relativo alla repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro, vuoi in termini impliciti, come nella norma sulla costituzione delle RSA. 2.2. Dopo il referendum del ’95 quest’elemento, pur compromesso da un quadro normativo indubitabilmente alterato, viene preservato sul piano dell’interpretazione sistematica. La dottrina, che lucidamente avvertiva i rischi di potenziale destrutturazione del sistema insiti nel testo normativo “di risulta”, già all’esito della consultazione si sforzava di restituire alla pregressa nozione di rappresentatività la centralità perduta, recuperando, per via esegetica, indici e criteri che si erano nel tempo stratificati: «quello della sottoscrizione di un contratto almeno aziendale è quindi – per Giorgio Ghezzi – un segno positivo, juris et de iure, di una rappresentatività da cui discende il diritto di costituire r.s.a., ma che non comporta per nulla un’opposta presunzione assoluta negativa quando la rappresentatività del sindacato sia innegabile: lo sia, in altre parole, aliunde, cioè secondo i noti principi elaborati fin qui in sede dottrinale e giurisprudenziale»14. Dal canto suo, la giurisprudenza, specie costituzionale, in ciò obbiettivamente favorita dal contesto di unità d’azione tra le tre grandi centrali sindacali quantomeno sul piano della contrattazione collettiva, tendeva a muoversi in linea di sostanziale continuità col passato15, sottovalutando apertamente la cesura normativa prodottasi col referendum16. Una volta sdoganato il livello aziendale, la preoccupazione della Corte essenzialmente si appuntava – non diversamente dal passato – sull’esigenza di evitare un’applicazione della norma sbilanciata per eccesso: escludere, nella specie, che l’espressione «associazioni firmatarie», di cui alla lettera b), fosse intesa nel senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, di un contratto collettivo17. Ciò al fine di scongiurare un “potere di 14 Ghezzi G., Forme di rappresentanza degli interessi organizzati e relazioni industriali in azienda: le ragioni per un intervento legislativo, in DRI, 1996, 39 s. 15 V., specialmente, Corte cost. n. 492/1995 per la quale, da un lato, anche dopo il referendum «il criterio della maggiore rappresentatività…è desumibile da numerose norme dell’ordinamento» ivi compreso il quarto comma dell’art. 39 Cost., dall’altro « il criterio del grado di rappresentatività continua ad avere la sua rilevanza in forza dell’altro indice previsto dalla stessa norma, e precisamente di quello che fa riferimento alle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. Viene così valorizzata l’effettività dell’azione sindacale desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva quale presunzione di detta “maggiore rappresentatività”» 16 Lo sottolinea, da ultimo, Carinci F., Il buio oltre la siepe, cit., spec. 10 ss. 17 V. le consonanze tra Corte cost. n. 30/1990 e n. 244/1996. In dottrina cfr. Scarponi S., Rappresentatività e organizzazione sindacale, cit., spec. 98 ss., la quale rammenta che «la mera partecipazione al negoziato, senza sottoscrizione del contratto perché non se ne condivide il contenuto, non viene esaminata dalla Corte costituzionale, che, nella citata pronuncia n. 244 si limita a riproporre le argomentazioni già sostenute in merito alla lett. b) dell’art. 19, ovvero non essere sufficiente la mera adesione al contratto collettivo ma l’effettiva partecipazione alle trattative» (nt. 93). accreditamento” in capo alla controparte datoriale, con conseguente «alterazione assiologia e funzionale della norma quanto al profilo del collegamento tra titolarità dei diritti sindacali ed effettiva rappresentatività del soggetto che ne chiede l’attribuzione»18. Nelle decisioni successive al 1995, dunque, la rilevanza del conflitto collettivo non soltanto si rinnova, ma, in certo qual modo, si accentua, atteso che il potenziale allargamento della pletora dei beneficiari della legislazione di sostegno alle oo.ss. firmatarie di contratti (anche solo) aziendali si giustifica in virtù del riconoscimento del ruolo svolto da soggetti sindacali i quali, a livello di singola impresa, attraverso il conflitto, la trattativa e, in ultimo, la stipulazione del contratto, effettivamente contribuiscono a determinare le condizioni di lavoro di quanti vi sono occupati19. Non può essere altrimenti interpretato l’atteggiamento dei giudici costituzionali i quali, invitati a vagliare la costituzionalità della normativa di risulta, hanno precisato che «la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattizia», bensì dalla «capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale»20. 2.3. Nel testo post-referendario dell’art. 19 St. lav. si annidava, tuttavia, un’insidia destinata a produrre, col tempo, un capovolgimento di prospettiva. Si era, infatti, determinato, nell’ordinamento, un elemento di oggettivo mutamento e altrettanto indubitabile turbamento: nel disegno costituzionale – di cui l’originario testo dell’art. 19 costituiva una rilevante quanto rispettosa implementazione – il prius è l’organizzazione sindacale (art. 39, comma 1), il posterius è il contratto collettivo (art. 39, II parte), mentre all’esito del referendum le parti risultavano obbiettivamente invertite. Ne sono state testimoni, venendo ai tempi recenti, le note vicende della “guerra dei tre anni” tra Fiat e Fiom, i cui tornanti sono sin troppo conosciuti e indagati perché vi si indugi in questa sede. Basta ricordare, ai nostri fini, che sul terreno accidentato del conflitto collettivo si rintracciano, a un tempo, cause ed effetti dell’offensiva datoriale: per un verso l’intera strategia della Fiat – come rilevato da più di un tribunale21 – pare orientata, prioritariamente, ad escludere dalla rappresentanza in azienda un sindacato conflittuale come la Fiom-CGIL; per l’altro, sul piano negoziale, s’impone il tema della esigibilità degli 18 Così riassume Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231. Scarponi S., Rappresentatività e organizzazione sindacale, cit., p. 104 ss. 20 Corte cost. n. 244/1996. 21 Vedi, in termini espliciti, Trib. Torino, 15 settembre 2011, in RGL, 2012, II,, con nota di Lassandari, ove l’estensore parla di «conventio ad excludendum irrispettosa dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori» e App. Roma 19 ottobre 2012, ove la Corte d’Appello ha riconosciuto «la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione dalle assunzioni dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano iscritti alla FIOM», ordinando alla Fiat di procedere all’assunzionei. 19 accordi, presidiato da due clausole molto controverse, rispettivamente denominate clausola di responsabilità (art. 14)22 e clausola integrativa del contratto individuale di lavoro (15)23. La prima, pur potendosi annoverare tra le clausole di tregua (con efficacia esclusivamente obbligatoria)24 comporta, in capo ai sindacati firmatari, una responsabilità particolarmente estesa: le condizioni imposte al sindacato paiono sopravanzare di gran lunga ogni classico dovere d’influenza, facendosi balenare una sorta di responsabilità oggettiva degli stipulanti, i quali incorrono nelle sanzioni previste ogniqualvolta siano poste in essere iniziative di autotutela, anche spontanee, su aspetti fondanti dell’accordo (per es. il lavoro sul 18° turno del sabato o, più in generale, il lavoro straordinario). La clausola integrativa, dal canto suo, è poi espressamente indirizzata ai singoli lavoratori, in essa prevedendosi che l’inosservanza delle disposizioni del contratto collettivo «e quindi anche la partecipazione a qualsiasi sciopero in violazione della clausola di responsabilità, costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, sanzionabile sul piano della responsabilità disciplinare»25. Prescindendo, in questa sede, dalle controversie interpretative che tali clausole hanno originato, è indubbio che, nella vicenda Fiat, conflitto e rappresentanza intrattengano, per così dire, una dialettica negativa: da un lato, conflitto e dissenso si presentano ostativi ai canali della rappresentanza sindacale in azienda; d’altro lato, la rappresentanza assume – almeno sul piano negoziale – la prioritaria funzione di scongiurare il conflitto, venendo pure 22 Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti all’Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l’Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di: -contributi sindacali -permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali ed esonera l'Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di: -permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU -riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali. Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto. 23 Le clausole indicate integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell’efficacia nei suoi confronti delle altre clausole. 24 Ghezzi G., La responsabilità contrattuale delle associazioni sindacali, Giuffrè, 1963; 25 Ghera E., Titolarità del diritto di sciopero, tregua o pace sindacale (spunti critici e di metodo), in Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Marcello Pedrazzoli, Franco Angeli, 2012, 627 ss., qui 636, investita di oneri e responsabilità che sopravanzano largamente il legame con (e la condotta de’) i lavoratori rappresentati. 2.4. Stando al tema della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, negata dalla Fiat la facoltà di costituire RSA all’organizzazione indubbiamente più rappresentativa nel settore metalmeccanico, era inevitabile che la contesa trovasse svolgimento pure nelle aule di tribunale: nei numerosi ricorsi per la repressione della condotta antisindacale presentati dalla Fiom-Cgil, l’organizzazione sindacale ha, infatti, richiesto che le fosse riconosciuto il diritto di costituire proprie rappresentanze sindacali negli stabilimenti del gruppo automobilistico, vuoi a seguito di un’interpretazione costituzionalmente orientata (e sostanzialmente correttiva) dell’art. 19 St. lav., vuoi previa declaratoria d’incostituzionalità della norma statutaria rivisitata. Senza esaminare gli esiti alterni delle pronunce rese dai giudici di merito26, conta il fatto che alcuni di essi, a un certo punto, ritenendo impercorribile la via dell’interpretazione costituzionalmente orientata, hanno investito della questione la Corte costituzionale, la quale, con sentenza del 23 luglio 2013, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda». È interessante notare che nel percorso argomentativo compiuto nella «pronuncia additiva», il tema della rappresentatività sindacale, inteso come rapporto che l’organizzazione sindacale intrattiene con i lavoratori, emerge come «dato oggettivo (e valoriale)» pienamente inscritto nel disegno costituzionale (artt. 2, 3 e 39 Cost.), sicché – come si è osservato – «il diritto di cittadinanza nell’impresa si riconnette alla qualità di soggetto “significativamente rappresentativo a livello aziendale” già altrimenti acquisita»27, mentre «nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività, il criterio della sottoscrizione del contratto collettivo viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost. » 28. Al contempo, 26 Cfr. Lama R., Interpretazione dell’articolo 19 Stat. lav. nella recente giurisprudenza di merito, in Aa.Vv., La RSA dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, Adapt University Press, 2013, 69 ss. 27 Romagnoli U., Un verdetto della Consulta sulla legalità costituzionale, 2013, contributo visibile su: www.dirittisocialiedicittadinanza.org, 11. 28 «Risulta, in primo luogo, violato l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nell’esercizio della loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo – che, in quanto tale, reclama la garanzia tuttavia, la Corte, pronunciandosi sulla lett. b) dell’art. 19, ritiene di non poter comunque prescindere dalla vigenza di un contratto collettivo applicabile, sicché essa si limita, in definitiva, ad estendere il titolo legittimante fino alla partecipazione alle trattative (pur in mancanza di sottoscrizione), diritto a sua volta presidiato, per un organizzazione significativamente rappresentativa, dall’art. 28 St. Lav. Si è osservato, in proposito, che «La Corte si rivela pienamente consapevole di tale problematicità, ma non della sua vera causa, quale data appunto dal privilegiare la contrattazione collettiva»29. Viene da chiedersi se, per uscire dall’impasse, non sia possibile, anche a legislazione invariata, una qualche alternativa: quella di valorizzare il conflitto collettivo come strumento di partecipazione alle trattative, il che, del resto, parrebbe opportuno, in mancanza di un generale obbligo a trattare in capo al datore di lavoro30. Detto altrimenti, ci si domanda se non sia possibile ritenere che «la capacità del sindacato d’imporsi come controparte contrattuale»31, dimostrando «effettività nell’azione sindacale» discenda anche dall’«esercizio della [loro] funzione di autotutela dell’interesse collettivo – che in quanto tale», come scrive la Corte, non solo «reclama la garanzia di cui all’art. 2 Cost.»32 ma pure quella del «secondo comma dell’art. 3 che, promuovendo l’eguaglianza sostanziale tra i lavoratori e la loro effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, addita anche alle organizzazioni sindacali di rendersi per la loro parte, strumenti di tale partecipazione, oltre che di tutela dei diretti interessi economici dei lavoratori (cfr. sent. n. 15 del 1975)»33. Ciò potrebbe pure contribuire a risolvere un’aporia, che la Corte costituzionale risolve sulla base del principio di ragionevolezza (ex art. 3, comma 1), con soluzione opportuna ma non completamente lineare: quella di far discendere l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 attraverso il (prevalente) richiamo all’art. 39 Cost., dopo aver più volte precisato che la legislazione di sostegno ne travalica l’ambito d’applicazione, che è invece generale. di cui all’art. 2 Cost. – sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa». 29 «tant’è che – Prosegue l’Autore – nella rosa delle possibili soluzioni suggerite al legislatore ne include due accomunate dalla rinnovata centralità della stessa contrattazione collettiva» (la “introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento”; e la “attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente”, ambedue non risolutive in mancanza di effettiva stipula del contratto collettivo applicato o di estraneità al sistema contrattuale, Carinci F., Il buio oltre la siepe, cit., 40. 30 Sul punto cfr. Zoli C., Gli obblighi a trattare nel sistema dei rapporti collettivi, Cedam, 1992. 31 Corte cost. n. 244/1996. 32 Corte cost. n. 231/2013. 33 Corte cost., n. 334/1988. Detto altrimenti, nella segnalata prospettiva, la costituzionalizzazione della rappresentatività sindacale discenderebbe non solo e non tanto dal combinato disposto dell’art. 39, comma 1 e 4 (letti alla luce degli artt. 2 e 3, comma 1), bensì dall’art. 39, comma 1, letto alla luce degli art. 3, comma 2 e 40 Cost. 3. Un ulteriore tornante della dialettica tra rappresentanza e conflitto si rintraccia in un campo diverso da quello sin’ora indagato e specialmente negli accordi interconfederali del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013. Se nel primo caso le clausole di tregua – che «hanno effetto vincolante» per le sole rappresentanze aziendali «e non per i singoli lavoratori» (punto 6) – costituiscono soltanto uno degli elementi dello scambio che le oo.ss. mettono in gioco (peraltro destinato a restare in ombra rispetto al tema della derogabilità controllata del CCNL ad opera del contratto di secondo livello), nel più recente accordo del 2013 gli strumenti negoziali di governo del conflitto, a livello nazionale, sembrano vestire i panni di posta principale: è all’uopo previsto che i CCNL, dotati di efficacia erga omnes, debbano «definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti». Qui, insomma, il tema della esigibilità degli accordi, che è pure strumento di “securizzazione” delle scelte datoriali34, è oltremodo presente, ma in un contesto affatto diverso rispetto a quello degli accordi Fiat: alla conventio ad escludendum nei confronti dei soggetti potenzialmente conflittuali si sostituisce, infatti, un dispositivo inclusivo – basato su misurazione della rappresentatività ed efficacia generale del contratto collettivo – finalizzato a saldare la funzione di regolazione con le garanzia di certezza e stabilità della medesima. In tale quadro è assai probabile che il tema delle rappresentanza e rappresentatività sindacale e del conflitto collettivo siano destinati a ridefinire reciprocamente i rispettivi contorni, tanto più in presenza di una (non scontata, ma auspicabile) traduzione legale delle regole pattizie appena richiamate, ciò che finirebbe per riproporre, in forme nuove, non solo il tema dell’attuazione dell’art. 39 Cost., ma pure la possibilità che ad essa si accompagni quella dell’art. 40 Cost., con tutti il corredo di rischi che vi sono indubitabilmente connessi. Senza sconfinare nel campo cui è espressamente dedicata un’altra sessione di questo incontro, è auspicabile che ogni disciplina del conflitto non arrivi a negarlo nella sostanza. Come lucidamente registrava un maestro del diritto del lavoro, con monito valido sia per le parti sociali sia per il legislatore, «se detteremo una disciplina del conflitto che lo soffochi, il 34 Ciò che altrove si è tentato di dimostrare, Martelloni F., Aa. Vv., Mercato del lavoro senza diritto, giuristi del lavoro senza mestiere, in Il diritto sociale del lavoro. La funzione dei giuristi, Cacucci, 2011, 115 ss., qui 125. risultato non sarà la scomparsa dello stesso dalle nostre vite, ma l’impossibilità di una sua gestione razionale. Questo era, fino a qualche anno fa, una riflessione acquisita, ma oggi troppo spesso viene messa in discussione»35. 35 Garofalo M.G., Come cambiano le regole del lavoro? Le risposte alla nuova questione sociale, in Tullini P. (a cura di), Il lavoro: valore, significato, identità, regole, Zanichelli2009,155 ss., qui 176.