LA LEZIONE: LA LEGGE DI GRAVITAZIONE Stelle fisse e astri erranti Oggi, nonostante l’inquinamento luminoso, osservando il cielo notturno privo di nuvole si riesce a distinguere l’apparizione di Venere (la prima “stella” della sera) e più tardi quello di gruppi di stelle “fisse” dislocate in posizioni regolari che mantengono inalterate le distanze relative. Tra le centinaia di oggetti celesti osservabili a occhio nudo pochissimi mostrano movimenti apprezzabili: il Sole, la Luna e 5 pianeti (Marte, Mercurio, Venere, Giove e Saturno). L’astronomia matematica (da Tolomeo fino a Copernico) ha cercato di ridurre il movimento complesso di questi astri erranti a un insieme di movimenti semplici: circolari e uniformi. Le condizioni particolari del sistema solare (la massa della nostra stella predominante rispetto a quella dei pianeti, orbite quasi periodiche e situate all’incirca sullo stesso piano) hanno spinto verso questo sviluppo. Le possibilità didattiche di un simile approccio non sono però prese in considerazione per le difficoltà matematiche. Anche se l’utilizzo dei calcolatori ha reso possibile studiare in modo semplice i movimenti di circoli, a loro volta, mossi da circoli con movimenti uniformi. Per iniziare dobbiamo però prima ricordare alcune espressioni relative al moto circolare uniforme e richiamare il concetto antico di deferente ed epiciclo. Un moto piano semplice Un corpo (punto materiale) che si muove lungo una circonferenza con velocità angolare costante ω a una distanza r dal centro è rappresentato, come chiarito nei testi del biennio, da un vettore r, avente componenti: x = r cos(t) y = r sen(t). Dal punto di vista fisico ogni componente segue l’equazione caratteristica di un oscillatore armonico lineare di periodo T = 2p/. L’interpretazione matematica è quella usuale goniometrica in cui l’angolo descritto dal raggio è uguale a t, rispetto a un sistema opportuno di coordinate. Ritorniamo al moto dei pianeti. Moto retrogrado: deferente ed epiciclo Una delle anomalie delle orbite dei pianeti osservata da Terra è la presenza di moti retrogradi. Il pianeta si muove per un lungo tratto, diciamo da est verso ovest, e le osservazioni nei giorni successivi ci portano a ritroso verso est. Un leggero spostamento che dura un tempo relativamente breve rispetto al periodo di rivoluzione, per poi ritornare nel giusto verso. In altre parole la traiettoria del pianeta ogni tanto si interseca formando una serie di nodi. La soluzione adottata dai Greci per spiegare il moto anomalo è molto semplice. Curve di questo tipo si possono ottenere componendo due movimenti circolari e uniformi. Il primo, relativo alla circonferenza principale di rotazione (deferente) e l’altro dovuto all’epiciclo, una rotazione con velocità diversa e raggio inferiore, il cui centro segue la rotazione del deferente. Proviamo a visualizzare il modello. figura 1 Nella figura il deferente ha raggio r1 e l’epiciclo raggio r2. Il movimento in ogni istante del punto C può essere individuato dalla somma dei vettori AB+BC, le cui componenti non è difficile vedere sono: x = r1 cos(a) – r2 cos(a) e y = r1 sen(a) – r2 sen(a).1 Programmi per disegnare curve parametriche sono ormai gratuiti ed esistono pagine web dedicate come http://fooplot.com/ Sostituendo le velocità angolari la curva viene a dipendere dal parametro tempo t: x = r1 cos(t) – r2 cos(tt) e y = r1 sen(t) – r2 sen(tt). Attribuendo dei valori per tentativi è facile vedere (cambiando le velocità angolari) la composizione dei due moti con la formazione dei nodi. Figura 2 Figura 3 Procedendo con più movimenti circolari, la curva può complicarsi variando l’ampiezza dei nodi come in figura 3. Oggi questi movimenti, non necessariamente periodici, in meccanica celeste sono chiamati quasi periodici. Ovviamente cambiando sistema di riferimento dalla Terra (Tolomeo) al Sole (Copernico) il numero di epicicli da considerare è diverso, ma alcuni movimenti dei pianeti rimangono assai difficili da descrivere. 1 Sommando le singole componenti del vettore x = r1 cos(a) + r2 cos(a) e y = r1 sen(a) + r2 sen(a). Leggi di Keplero Nella figura che segue è rappresentata l’ellisse2 che descrive l’orbita di Mercurio3, prendendo come riferimento il Sole. Figura 4 L’eccentricità del pianeta è quella più grande se confrontata con le eccentricità dei pianeti conosciuti da Keplero. Eppure la volontà di visualizzare e fissare in modo inequivocabile la prima legge di Keplero: i pianeti descrivono un’orbita ellittica con il Sole posizionato in uno dei suoi fuochi, ha generato una forzatura didattica. Così gli assi dell’ellisse sono in genere rappresentati deformati e la curva nei libri di testo risulta notevolmente schiacciata. Ritorniamo alla nostra rappresentazione di Mercurio e disegniamo, a partire dal fuoco, occupato dal Sole, un raggio vettore (con r variabile). La distanza tra il centro dell’ellisse e il fuoco, piccola per la scala in figura, è pari al prodotto del semiasse maggiore a per l’eccentricità e.4 Figura 5 Il raggio vettore, che in ogni istante definisce la distanza tra Sole e pianeta, in accordo alla seconda legge di Keplero, spazza aree uguali in uguali intervalli di tempo. In altre parole la velocità del pianeta è variabile. Nel punto più lontano dal Sole la velocità del 2 Per disegnare un’ellisse, sempre nella notazione parametrica conviene utilizzare le equazioni: x = a cos(E), y = b sen (E), con a e b semiassi dell’ellisse. L’angolo E indicato in astronomia come anomalia eccentrica ha un significato geometrico, al proposito si veda a esempio il libro http://people.na.infn.it/~covone/astrofisica/fondamenti_meccanica.pdf 3 Se il semiasse maggiore viene posto uguale a 1, quello minore è approssimativamente 0,98. 4 Per trasformare l’ellisse in coordinate polari si pone x = ae + r cos q, y = r sen q pianeta ha il valore più basso, viceversa nel punto più vicino il valore più alto. La seconda legge è matematicamente equivalente alla proporzionalità inversa tra distanza e velocità. Essa deriva dal principio di conservazione del momento angolare. Le prime due leggi di Keplero sono solo idealizzazioni delle osservazioni astronomiche dei moti planetari se non integrate con opportune correzioni. L’intuizione di Newton è che la teoria della gravitazione possa descrivere esattamente le orbite ellittiche dei pianeti intorno al Sole nell’ipotesi che il moto non dipenda dagli altri pianeti. Torniamo ancora a Keplero. La terza legge: il quadrato dei periodi di rivoluzione T sono proporzionali al cubo dei semiassi maggiori a della ellissi percorse dagli astri erranti (T 2=ka3). Abbiamo già ricordato che trasformare questa figura in una circonferenza non è una forzatura grandissima. Nel moto circolare uniforme l’accelerazione centripeta 5 è uguale a w2r, quindi per la seconda legge della dinamica F = m w2r= mr(2p/T)2. La forma della forza dev’essere in accordo alla terza legge di Keplero6, proporzionale all’inverso del quadrato della distanza e proporzionale alla massa m del pianeta. Ipotizzando la completa simmetria tra Sole e pianeta anche la forza di reazione esercitata dal pianeta sul Sole dev’essere proporzionale alla massa M del Sole. Infine ponendo queste due forze uguali come intensità si arriva a scrivere per la forza gravitazionale: F= GMm/r2. La legge di gravitazione di Newton Newton nelle dimostrazioni delle conseguenze della legge di gravitazione universale (la forza agisce tra una mela e la Terra, così come tra la Luna e la Terra) utilizza metodi geometrici, ma la rapida diffusione della sua teoria è dovuta alla nascente matematica degli infinitesimi. I pianeti sono così ridotti a punti materiali con la massa concentrata nei centri. L’effetto gravitazionale su un corpo all’interno della Terra a una distanza r dal centro, viene a dipendere solo dalla massa della sfera r, in altre parole tutta la massa della Terra a una distanza maggiore di r, non porta contributi gravitazionali. Le parabole (caratteristiche dei corpi lanciati dalla Terra), le orbite circolari ed ellittiche (Luna e pianeti) sono paragonate ed estese all’iperbole, dimostrando che le coniche sono la forma generale delle traiettorie descritte dall’interazione gravitazionale tra due corpi. Il peso in prossimità di un pianeta diviene, trascurando la rotazione attorno al proprio asse, uguale alla forza gravitazionale. Lo sviluppo successivo della meccanica celeste ha visto soprattutto l’utilizzo di metodi perturbativi. Esistono però soluzioni particolari del problema di tre corpi interagenti gravitazionalmente che, nati come curiosità nei lavori di Eulero e di Lagrange, sono oggi applicate al controllo delle sonde spaziali. Immaginiamo una sonda che si trovi tra la Terra e il Sole, la forza gravitazionale del Sole supera come intensità quella verso la Terra e l’intensità risultante è la differenza tra questi due effetti. L’intensità della forza è anche uguale al prodotto della massa della sonda per l’accelerazione centripeta. Se il periodo di rotazione della sonda è sincronizzato con quello della Terra i tre corpi possono rimanere allineati. Basta una piccola deviazione della stazione dal punto di equilibrio perché le perturbazioni si amplifichino, il valore limitato dell’energia necessaria per correggere continuamente l’orbita rende comunque questa posizione vantaggiosa. La distanza di questo punto di equilibrio instabile è di circa un centesimo della distanza Terra Sole 7. La posizione è chiamata Lagrangiano L1 ed è stata utilizzata in diversi progetti delle agenzie spaziali. La posizione da molti anni è occupata dalla sonda ACE che studia i raggi cosmici. Dopo l’opera di Newton, la fisica terrestre e quella celeste sono ormai definitivamente inseparabili. 5 A esempio approssimando l’orbita della Terra con un raggio costante di circa 1,5 1011 m, si ha una velocità di circa 3 104 m/s e un’accelerazione verso il Sole di 6 10-3 m/s2. 6 Basta sostituire nell’espressione precedente T2=kr3. 7 Per un calcolo semplice della distanza si veda http://www.phy6.org/stargaze/Ilagrang.htm