Elettrostatica e fenomeni elettrici Introduzione all'elettricità La parola elettricità deriva dal greco élecktron che significa ambra. La ragione di questa etimologia è presto spiegata: la proprietà dell'ambra di attirare pezzi di carta se strofinata è nota da millenni. Tali proprietà sono riportate ad esempio nel De rerum natura di Lucrezio, il primo grande poema di divulgazione scientifica, del I secolo a.C. Molte altre sostanze, come il vetro o il plexiglas, hanno la proprietà di elettrizzarsi per strofinio o per contatto. Ad esempio, strofinando un pettine, il pettine acquista la proprietà di attrarre dei pezzetti di carta posti nelle vicinanze. Avvicinando oggetti costituiti dallo stesso materiale (ad esempio vetro‐vetro oppure plexiglas‐plexiglas) si ha una repulsione. Viceversa, se avviciniamo due oggetti costituiti da materiali diversi, come ad esempio il vetro e il plexiglas, possiamo avere un'attrazione elettrostatica. Il primo che propose una spiegazione di questi fenomeni abbastanza vicina a quella attuale fu Benjamin Franklin nel Settecento. Nello strofinio o nel contatto una certa quantità di elettricità passa da un corpo all'altro (oggi diciamo che quella che si trasferisce è una certa carica elettrica). Se strofiniamo il vetro con la lana il vetro si carica positivamente e la lana negativamente, se invece strofiniamo il plexiglas con la lana abbiamo che la lana si carica positivamente e il plexiglas negativamente. Un corpo non elettrizzato si dice che è elettricamente neutro. La storia più recente dell'elettricità va di pari passo con lo sviluppo dei vari modelli di atomo. Il primo modello di atomo venne proposto da Democrito nel 400 a.C. La parola atomo in greco significa indivisibile. In realtà l'atomo, come lo intendono i fisici al giorno d'oggi, non è più indivisibile. Nel 1897 Thompson rilevò sperimentalmente l'esistenza dell'elettrone, una particella di carica negativa presente all'interno dell'atomo. Nel 1909 Millikan dimostrò sperimentalmente che l'elettrone è la più piccola carica esistente in natura. In altre parole, la carica elettrica è una grandezza fisica quantizzata, ossia la carica elettrica non varia con continuità ma ogni carica elettrica esistente in natura deve essere un multiplo intero della carica di un elettrone. Sono proprio gli elettroni a trasferirsi da un corpo all'altro per strofinio o per contatto determinando così il trasferimento della carica elettrica. Nel 1911 Rutherford propose il suo modello di atomo costituito da un nucleo centrale, carico positivamente e dagli elettroni, carichi negativamente. Inizialmente il modello di atomo di Bohr proponeva per gli elettroni delle traiettorie simili a quelle dei pianeti attorno al Sole. Oggi invece la meccanica quantistica ci dice che non possiamo parlare di traiettorie per gli elettroni ma solo di probabilità di trovare l'elettrone in una certa regione dello spazio attorno al nucleo. Oggi sappiamo anche che i materiali, a seconda delle loro proprietà elettriche, si distinguono in tre grandi categorie: 1. i conduttori, come i metalli, in cui gli elettroni sono liberi di muoversi, 2. gli isolanti, come la plastica o il vetro, in cui le cariche elettriche non sono libere di muoversi ma rimangono fisse nel punto in cui vengono a trovarsi, ad esempio in seguito a uno strofinio, 1 3. i semiconduttori che hanno proprietà intermedie che variano al variare della temperatura. I conduttori possono essere facilmente elettrizzati per contatto. Infatti, in un conduttore le cariche elettriche sono libere di muoversi. Pertanto, se poniamo a contatto un conduttore carico con un conduttore neutro, parte delle cariche elettriche passeranno dal conduttore carico a quello neutro e alla fine entrambi i conduttori risulteranno carichi elettricamente. Concludiamo questa sezione menzionando una proprietà importantissima della carica elettrica: la carica elettrica si può trasferire da un corpo all'altro ma non si può né creare né distruggere (principio di conservazione della carica elettrica). Forza elettrostatica Se poniamo due masse puntiformi m ed M a una certa distanza r tra loro, sappiamo che tra queste due masse si crea una forza di gravitazione universale la cui intensità è F = G m1 m2 / r2, dove G è la costante di gravitazione universale: G = 6.67 ∙ 10‐11 N ∙ m2 / kg2. Le masse m ed M sono grandezze scalari positive e la forza di gravitazione universale tra le due masse è sempre una forza attrattiva. Cosa succede invece se poniamo due cariche elettriche puntiformi Q1 e Q2 a una certa distanza r? Anche in questo caso tra le due cariche Q1 e Q2 si crea una forza elettrostatica la cui intensità è regolata da una formula simile a quella della forza di gravitazione universale: F = k Q1 Q2 / r2. La costante k è una costante di proporzionalità che nel vuoto assume il valore k0 = 9 ∙ 109 N ∙ m2 / C2. Dunque la forza elettrostatica F raddoppia al raddoppiare della carica Q1 o della carica Q2, mentre diventa quattro volte più piccola al raddoppiare della distanza r. La differenza fondamentale tra la forza di gravitazione universale e la forza elettrostatica è che, a differenza delle masse, le cariche elettriche possono avere anche segno negativo. Come conseguenza abbiamo che la forza elettrostatica può essere sia attrattiva che repulsiva. Tutto dipende dai segni delle cariche: se le cariche hanno lo stesso segno la forza risulta repulsiva, se invece i segni sono opposti la forza elettrostatica risulta essere attrattiva. La legge che ci permette di ottenere l'intensità della forza elettrostatica F = k0 Q1 Q2 / r2, detta anche legge di Coulomb, consente anche di definire l'unità di misura della carica elettrica nel Sistema Internazionale, ossia il coulomb (simbolo: C). Due cariche valgono 1 C se, poste nel vuoto alla distanza di 1 m, interagiscono tra loro con una forza di intensità pari a 9 ∙ 109 N. Una volta che abbiamo chiarito qual è l'unità di misura nel Sistema Internazionale della carica elettrica la carica elettrica dell'elettrone viene ad essere Qe = ‐1.6 ∙ 10‐19 C. La carica del protone presente nei nuclei degli atomi è uguale ed opposta a quella dell'elettrone, ossia Qp = 1.6 ∙ 10‐19 C. Questo ci dice che c'è una forza di attrazione tra i nuclei, carichi positivamente, e gli elettroni, carichi negativamente. Dunque gli elettroni, in assenza di altre forze, tenderebbero a collassare sul nucleo. Fu per questo che Rutherford prima e Bohr poi proposero il loro modello di atomo, in cui è la forza centripeta dovuta alla rotazione degli elettroni attorno al nucleo che consente di bilanciare la forza elettrostatica e di avere un sistema stabile. 2 Prima di concludere questa sezione vogliamo vedere cosa succede se invece di avere due cariche elettriche nel vuoto abbiamo due cariche elettriche in un mezzo materiale. In generale, la forza elettrica in un mezzo è minore rispetto alla forza elettrica presente tra le stesse cariche nel vuoto. Esiste una costante, detta costante dielettrica relativa che si indica con εr e che ci permette di quantificare di quanto la forza nel mezzo è minore rispetto al vuoto. Infatti in un mezzo la costante di proporzionalità che compare nella legge di Coulomb è data da k = k0 / εr. (ε è la lettera greca epsilon). La costante εr dipende dalla particolare sostanza con cui abbiamo a che fare ed è un numero sempre maggiore di 1. Ad esempio nell'acqua εr = 80, nel vetro la costante dielettrica relativa è compresa tra 5 e 15. Il fenomeno fisico per cui la forza elettrostatica nel mezzo è minore rispetto al vuoto va sotto il nome di induzione elettrostatica: se abbiamo una carica elettrica positiva posta in un mezzo, le cariche elettriche negative presenti nel mezzo (gli elettroni) si orienteranno in modo da circondare la carica positiva e da schermarne l'effetto. Di conseguenza la forza elettrostatica che tale carica positiva riesce a generare risulta essere inferiore rispetto al vuoto. Notiamo come la presenza della carica positiva abbia provocato una redistribuzione delle cariche elettriche nel mezzo che, pur rimanendo neutro nel suo complesso, presenta al suo interno una distribuzione di cariche elettriche non uniforme. Questo può essere visto come un terzo modo, oltre allo strofinio e al contatto, per elettrizzare un corpo. Introduzione al concetto di campo In questa sezione introdurremo un concetto fisico importantissimo per la fisica moderna, quello di campo. Partiamo da un esempio che è sotto gli occhi di tutti: quando guardiamo le previsioni del tempo ci vengono spesso mostrate le mappe di temperatura, dove a ogni città o, più in generale, ad ogni punto della cartina, viene associato un valore della temperatura. La mappa che ne risulta è il campo delle temperature in quella particolare regione. Siccome la temperatura è una grandezza scalare, parleremo in questo caso di campo scalare. Se la grandezza fisica che viene rappresentata nella mappa è invece una grandezza vettoriale (ad esempio, una forza) parleremo di campo vettoriale. L'importanza dei campi sta nel fatto che nella fisica moderna ogni forza è descritta da un campo. Ad esempio, la forza di gravitazione universale è descritta in termini di un campo gravitazionale. La Terra, per il fatto di possedere una sua massa M, modifica lo spazio circostante creando un campo di forza gravitazionale. 3 Il campo gravitazionale in un certo punto è un vettore che ha la stessa direzione (la congiungente il punto al centro della Terra) e lo stesso verso (dal punto al centro della Terra) della forza di gravitazione universale. La sua intensità è data dall'intensità della forza divisa per la massa m di prova che abbiamo posto nel punto in esame. Pertanto l'intensità del campo gravitazionale terrestre è g = G M / r2. Come abbiamo già visto, sulla superficie terrestre r coincide con il raggio della Terra e il valore del campo gravitazionale diventa l'usuale accelerazione di gravità g = 9.8 m / s2. Vogliamo sottolineare come il campo gravitazionale esista indipendentemente dalla massa di prova m. Anche se non ci fosse alcuna massa di prova nello spazio, il campo gravitazionale terrestre risulterebbe essere ugualmente presente. Il campo elettrico E Allo stesso modo in cui nella precedente sezione abbiamo introdotto il campo gravitazionale, andremo ora ad introdurre il campo elettrico. Il campo elettrico in un punto P si definisce come il rapporto tra la forza che agisce una carica positiva q, detta carica di prova, e la carica stessa: . Evidentemente il campo elettrico ha la stessa direzione e lo stesso verso della forza elettrostatica. L'intensità del campo elettrico E viene invece a dipendere solo dal punto dello spazio in cui ci troviamo e dalla distribuzione di cariche elettriche che generano il campo, non dal valore della carica di prova. Ad esempio, il campo elettrico generato da una carica puntiforme Q nel vuoto è dato da: E = k0 Q / r2. Dunque una carica Q è in grado di modificare lo spazio circostante creando un campo di forze elettriche. Vogliamo sottolineare come il campo elettrico esista indipendentemente dalla presenza della carica di prova q, il campo elettrico ha una sua realtà fisica. La carica di prova può essere usata per misurare in ogni punto dello spazio il valore della forza elettrica, in modo da poter poi risalire al valore del campo elettrico E = k0 Q / r2. Da questa formula ricaviamo subito che l'unità di misura del campo elettrico nel Sistema Internazionale è il newton su coulomb (N / C). Se non introducessimo il concetto di campo dovremmo ammettere che le due cariche elettriche (oppure le due masse) subiscono un'azione a distanza istantanea. La moderna interpretazione delle interazioni è invece quella riportata nella figura seguente: Una delle due cariche produce un campo elettrico ed è questo campo che va poi ad agire sull'altra carica. La presenza del campo elettrico è fondamentale perché, se la carica 1 viene modificata, questa modifica si farà sentire sulla carica 2 solo dopo il tempo Δt necessario al campo per passare da un punto all'altro dello spazio. Prima di concludere, vogliamo fare alcune precisazioni: finora abbiamo introdotto il concetto di campo elettrico generato da una sola carica elettrica puntiforme. Se abbiamo più cariche come sorgenti, esse generano un campo elettrico che è dato dalla sovrapposizione dei singoli campi elettrici. Il campo elettrico è un vettore e pertanto punto per punto il campo elettrico è dato dalla 4 somma dei vettori campo elettrico generati dalle singole cariche puntiformi. Questo principio va sotto il nome di principio di sovrapposizione. Un'altra precisazione che vogliamo fare è relativa al segno della carica elettrica di prova: per convenzione tale segno è sempre positivo. Di conseguenza il campo elettrico generato da una carica positiva risulta essere uscente, mentre il campo elettrico generato da una carica negativa risulta essere entrante, come nella seguente figura: Infine vogliamo solo menzionare il concetto di linee del campo elettrico: sono linee tangenti in ogni punto al campo elettrico. Sono importanti perché danno un'indicazione visiva dell'intensità del campo elettrico in un certo punto. Dove le linee di campo sono più dense là il campo elettrico risulta essere più intenso. Differenza di potenziale ΔV Supponiamo di avere due piastre metalliche parallele, poste a una piccola distanza e aventi cariche uguali ed opposte. Il campo elettrico che si crea tra le due piastre è uniforme e le linee di campo elettrico sono parallele tra loro, equidistanti e orientate dalla piastra carica positivamente a quella carica negativamente. In tal caso la forza elettrica F = q ∙ E è la stessa in tutti i punti del campo. Di conseguenza, se vogliamo calcolare il lavoro necessario per spostare una carica elettrica da un punto all'altro del campo dobbiamo applicare la formula del lavoro di una forza costante: L = F ∙ s = q E s, dove E è l'intensità del campo elettrico uniforme, q la carica che vogliamo spostare ed s il suo spostamento. Ora, ricordiamoci che il lavoro che bisognava fare su una massa m per vincere il campo gravitazionale e portarla ad una certa altezza h rimaneva immagazzinato nella carica sotto forma di energia potenziale gravitazionale U = m ∙ g ∙ h. Qualcosa di analogo avviene nel caso del campo 5 elettrico. Supponiamo di considerare sempre due piastre, una carica positivamente e l'altra carica negativamente, e il campo elettrico uniforme che si viene a creare. Per portare una carica positiva a una certa distanza dalla piastra negativa è necessario compiere un lavoro per vincere la forza elettrica L = F ∙ s = q ∙ E ∙ s. Questo lavoro rimane immagazzinato sotto forma di energia potenziale elettrica. Se lasciamo la carica libera di muoversi, essa comincia a muoversi verso la piastra negativa convertendo progressivamente la sua energia potenziale elettrica in energia cinetica. Se il campo elettrico è creato da una carica puntiforme il campo elettrico non è uniforme, ciò nonostante possiamo definire il concetto di lavoro L necessario per spostare una carica tra due punti del campo. Si può poi definire un'altra grandezza fisica che gioca un ruolo importantissimo in elettromagnetismo e che va sotto il nome di differenza di potenziale o tensione. La differenza di potenziale (d.d.p.) V = VA ‐ VB fra due punti A e B si definisce come il rapporto tra il lavoro LAB necessario per spostare la carica tra i due punti A e B e la carica stessa q. Dunque VA ‐ VB = LAB / q. L'unità di misura della d.d.p. nel Sistema Internazionale prende il nome di volt (simbolo V). Poiché nel Sistema Internazionale il lavoro si misura in joule (J) e la carica elettrica in coulomb (C) avremo: 1 V = 1 J / 1 C. Nel caso particolare di un campo elettrico uniforme la differenza di potenziale tra il punto in cui si trova la carica q e la piastra carica negativamente è data da: VA ‐ VB = LAB / q = q E s / q = E s. La differenza di potenziale tra due punti dipende dall'intensità del campo elettrico E e dalla distanza s tra i due punti, ma non dipende dal valore q della carica di prova. La differenza di potenziale consente di introdurre anche un'altra unità di misura per l'energia che viene spesso utilizzata dai fisici: l'elettronvolt (simbolo eV). Siccome dalla definizione di potenziale abbiamo che LAB = q (VA ‐VB) definiremo 1 eV come l'energia necessaria per spostare la carica di un elettrone tra due punti fra i quali vi è una d.d.p. di 1 V. Siccome la carica di un elettrone vale q = ‐ 1.6 ∙ 10‐19 C avremo che 1 eV = 1.6 ∙ 10‐19 J. Definizione di corrente elettrica Nei metalli sono presenti uno o due elettroni per atomo nei livelli più esterni. Questi elettroni sono poco legati ai rispettivi atomi e pertanto sono dotati di una grande mobilità. Quando inseriamo un filo di materiale conduttore in un circuito elettrico, ossia quando colleghiamo il filo ai due capi di un generatore, ad esempio una pila, gli elettroni più esterni, carichi negativamente, 6 si dirigono verso il polo positivo generando in questo modo una grande quantità di cariche in movimento ordinato: ha così origine una corrente elettrica. In particolare, si definisce intensità di corrente elettrica i il rapporto tra la quantità di carica elettrica Q che passa attraverso una sezione unitaria del circuito, e l'intervallo di tempo Δt in cui questo passaggio avviene: i = Q / Δt. L'unità di misura della corrente nel Sistema Internazionale è l'ampere. Dal momento che la carica Q si misura in coulomb e il tempo in secondi avremo che 1 A = 1 C / 1 s. Per convenzione il verso della corrente coincide con quello in cui si muovono le cariche positive, quindi dal polo positivo al polo negativo del generatore. Quindi il verso della corrente non coincide con il verso del moto degli elettroni. Se la corrente i in un circuito è costante nel tempo parleremo di corrente continua (in tal caso la corrente Q che attraversa una sezione del conduttore e l'intervallo di tempo Δt sono direttamente proporzionali), se invece la corrente elettrica varia nel tempo parleremo di corrente alternata. i i Per misurare la corrente si usa uno strumento detto amperometro che va inserito in serie con l'utilizzatore X come nella figura sotto. Per misurare la differenza di potenziale presente tra due punti, ad esempio ai capi dell'utilizzatore X, dobbiamo usare uno strumento detto voltmetro e inserirlo in parallelo all'utilizzatore X come nella figura di destra: In generale, il ruolo del generatore è quello di fornire la differenza di potenziale ΔV in grado di mantenere in moto le cariche elettriche all'interno del circuito elettrico fornendo loro l'energia necessaria. Ai capi di ogni utilizzatore ci ritroviamo poi parte di questa differenza di potenziale. Se ai capi di un utilizzatore c'è una differenza di potenziale ΔV, per far passare una carica elettrica q da un capo all'altro devo compiere un lavoro dato da L = q ∙ ΔV = i Δt ΔV. Pertanto la potenza assorbita da ogni utilizzatore è uguale a P = L / Δt = i ∙ ΔV, ossia la potenza assorbita da un utilizzatore è il prodotto dell'intensità di corrente i che circola nell'utilizzatore per la differenza di potenziale ΔV ai capi dell'utilizzatore. Poiché l'unità di misura della potenza nel Sistema Internazionale è il watt (W), possiamo definire un'unità di misura per l'energia elettrica alternativa al joule, vale a dire il kilowattora (kWh), molto 7 utilizzato soprattutto per indicare i consumi di energia elettrica. 1 kWh è l'energia che viene assorbita da un utilizzatore di potenza 1 kW, tenuto acceso per un'ora. Dalla definizione stessa si ottiene facilmente che 1 kWh = 1000 W ∙ 3600 s = 3.6 ∙ 106 J. Ad esempio, un fon di potenza P = 1.6 kW che funziona per Δt = 10 min = 1/6 h, assorbe dalla rete E = P ∙ Δt = 1.6 ∙ 1/6 kWh = 0.27 kWh di energia elettrica. È chiaro che, per ridurre i consumi di energia elettrica, non possiamo che ridurre o la potenza P degli utilizzatori oppure il tempo Δt in cui essi vengono mantenuti in funzione. Definizione di resistenza elettrica R Abbiamo visto nella precedente sezione che la differenza di potenziale ΔV fornita dal generatore mette in movimento le cariche elettriche in un circuito dando origine a una corrente elettrica i. A parità di differenza di potenziale applicata, la corrente i che passa in un circuito dipende dalle caratteristiche del materiale conduttore che si è utilizzato. Ogni conduttore manifesta infatti una certa resistenza al passaggio della corrente, dovuta agli urti tra gli elettroni in movimento all'interno del conduttore e gli atomi delle impurità presenti nel circuito. In termini matematici si definisce resistenza R di un conduttore il rapporto tra la differenza di potenziale ΔV applicata e l'intensità di corrente i, ossia R = ΔV / i. Dal momento che la corrente i compare al denominatore abbiamo che in un conduttore con grande resistenza R circola una piccola corrente i, viceversa un conduttore con piccola resistenza R è caratterizzato da elevate correnti i. Possiamo dire che la resistenza R misura il grado di opposizione che incontrano gli elettroni per risalire la differenza di potenziale ΔV. L'unità di misura della resistenza è l'ohm (simbolo Ω, omega maiuscola): 1 Ω = 1 V / 1 A. In generale, all'aumentare della differenza di potenziale ΔV aumenta anche la corrente i ma ci sono varie possibili relazioni tra i e ΔV a seconda del conduttore che prendiamo in considerazione. C'è però una categoria importante, costituita dai conduttori metallici, per i quali possiamo dire qualcosa di più. Infatti per i conduttori metallici vale la prima legge di Ohm, ossia la differenza di potenziale ΔV ai capi di un conduttore e la corrente i che vi circola sono direttamente proporzionali: ΔV = R ∙ i e la resistenza R è la costante di proporzionalità. La curva caratteristica risulta pertanto una semiretta passante per l'origine: Dunque se misuriamo con un voltmetro la differenza di potenziale ΔV e con un amperometro la corrente i scopriamo che in un metallo il rapporto R = ΔV / i è costante. Nei conduttori metallici la resistenza non dipende dalla differenza di potenziale ΔV che applichiamo al conduttore. Da cosa dipende allora la resistenza in un conduttore metallico? La risposta è data dalla seconda legge di Ohm. La resistenza R in un conduttore metallico dipende dal materiale di cui è fatto il filo, dalla 8 sua lunghezza L e dalla sua sezione A. Più precisamente, R = ρ ∙ L / A, ossia la resistenza è direttamente proporzionale alla lunghezza L del filo e inversamente proporzionale all'area A della sezione. La costante di proporzionalità ρ (simbolo che corrisponde alla lettera greca ro) dipende dal tipo di metallo che prendiamo in considerazione e va sotto il nome di resistività. Nella seguente tabella riportiamo la resistività di alcuni metalli comuni a temperatura ambiente T=20°C: Resistività piccola vuol dire piccola resistenza, ossia buona capacità di condurre elettricità. Dal momento che ρ = R ∙ A / L, l'unità di misura della resistività nel Sistema Internazionale è l'ohm per metro [Ω ∙ m] oppure [Ω ∙ mm2/m]. 9 Esercizi 1. Quesito: Un asciugacapelli ha una potenza di 1.6 kW. Quanti joule di energia elettrica vengono trasformati se l'asciugacapelli viene tenuto acceso per 10 minuti? Se l'asciugacapelli è collegato a una d.d.p. costante di 220 V, quale corrente circola al suo interno? Risposta: L'asciugacapelli assorbe E = P ∙ Δt = 1600 W ∙ 10 min = 1600 W ∙ 600 s = 9.6 ∙ 105 J di energia elettrica nei 10 minuti in cui rimane acceso. La seconda domanda non corrisponde al caso reale che esamineremo in seguito. Infatti la d.d.p. fornita dalle prese di corrente del circuito domestica non sono costanti ma variano sinusoidalmente nel tempo. Ad ogni modo se la d.d.p. ΔV = 220 V è costante nel tempo possiamo usare la formula P = i ∙ Δ V per ricavarci la corrente elettrica i = P / ΔV = 1600 / 220 A = 7.27 A. 2. Quesito: Se misuriamo la differenza di potenziale ΔV in volt e l'intensità di corrente i in ampere la curva caratteristica di un conduttore soddisfa la relazione ΔV = 4 ∙ i. Stabilire se si tratta di un conduttore che soddisfa la I legge di Ohm e, in caso affermativo, determinare la resistenza del conduttore. Risposta: Dal momento che la differenza di potenziale ΔV e l'intensità di corrente i sono direttamente proporzionali il conduttore soddisfa la prima legge di Ohm. Il valore della resistenza si calcola dal rapporto R = ΔV / i = 4 &Omega. In altre parole, la resistenza è la costante di proporzionalità. 3. Quesito: Un conduttore che soddisfa la prima legge di Ohm assorbe una potenza di 8 W quando è collegato a una d.d.p. di 220 V. Calcola la corrente che circola e la resistenza del conduttore. Risposta: La potenza è data da P = i ∙ ΔV, da cui i = P / ΔV = 8 W / 220 V = 3.6 ∙ 10‐2 A. La resistenza è data dal rapporto: R = ΔV / i = 220 V / 0.036 A = 6.1 ∙ 103 Ω. 4. Quesito: Si calcoli la resistenza di un filo di rame lungo 1 m e avente una sezione di 1 mm2. Risposta: Il rame ha resistività ρ = 1.7 ∙ 10‐8 Ω ∙ m. La resistenza del filo è data dalla seconda legge di Ohm: R = ρ ∙ l / A = 1.7 ∙ 10‐8 ∙ 1 / (10‐3 m)2 Ω = 0.017 Ω. 10