Rivista Quadrimestrale - Anno XI - N. 2/2005 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA Foto di copertina: Palazzo Vidoni (secolo XVI) Elaborazione grafica di Romualdo Chiesa FUNZIONE PUBBLICA Periodico della Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento della funzione pubblica Anno XI – N. 2 / 2005 – Nuova serie. Proprietà - Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, in persona del ministro per la Funzione pubblica, MARIO BACCINI Direttore responsabile - MARIA CASTRIANNI – Capo dell’ufficio stampa Comitato scientifico - FEDERICO BASILICA - Avvocato dello Stato – Capo del dipartimento - ANTONELLO COLOSIMO – Consigliere della Corte dei conti Consigliere giuridico - FLAVIO DE LUCA - Avvocato - Capo della segreteria tecnica - FRANCESCO D’ISANTO – Consigliere della Corte dei conti Consigliere giuridico - VINCENZA LOMONACO – Ministro plenipotenziario - Consigliere diplomatico - VINCENZO NUNZIATA – Avvocato dello Stato – Capo ufficio legislativo - RAFFAELE PERNA - Consigliere parlamentare - Capo di gabinetto - FRANCESCO SANSEVERINO – Portavoce del ministro - ROSARIO SCALIA - Consigliere della Corte dei conti Comitato tecnico di redazione - LUCIANO CANNEROZZI – Direttore dell’ufficio per la semplificazione delle norme e delle procedure - PIA MARCONI - Direttore dell’ufficio per l'innovazione delle pubbliche amministrazioni - ANDREA MORICHETTI FRANCHI – Direttore dell’Ispettorato - ANTONIO NADDEO - Direttore dell’ufficio per le relazioni sindacali delle pubbliche amministrazioni - FRANCESCA RUSSO - Direttore dell’ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni - PAOLA PADUANO - Direttore dell’ufficio per gli affari generali e per il personale - FRANCESCO VERBARO – Direttore dell’ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Redazione - ROSSELLA BOCCI, ROMUALDO CHIESA - Funzionari dell’ufficio stampa e documentazione Direzione e redazione - Corso Vittorio Emanuele, 116 - 00186 Roma - Tel. 06.6899.7565, fax 06.6899.7196 Stampa e distribuzione - Istituto poligrafico e zecca dello Stato Registrazione presso il Tribunale civile di Roma n. 263/86 del 18 maggio 1995. Si autorizzano riproduzioni complete o parziali degli elaborati con citazione della fonte, con esclusione del caso in cui l’articolo contenga la clausola “riproduzione riservata” richiesta dall’autore. La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli firmati è assunta dagli autori. 3 SOMMARIO Pag. X Editoriale, di Maria Castrianni. 7 X L'umanizzazione della Pubblica Amministrazione, di Mario Baccini. Le istanze regionalistiche nel nuovo sistema costituzionale europeo: il contributo culturale della pubblica amministrazione italiana e, in particolare, di quella regionale, di Learco Saporito. 9 X INTERVENTI _______________________________________ Prime osservazioni sulla riforma della legge n. 241/1990, di Federico Basilica. X L'Europa dopo il terremoto francese (e il no olandese), di Leonardo Casini. X Prime considerazioni sulla legge 168/2005 in materia di dirigenza pubblica, di X Antonello Colosimo. X X La programmazione strategica del FORMEZ, di Flavio De Luca. Il pensiero di Alberto Mochi. Idee e prospettive per una federazione europea, di Michele Magli. Alla ricerca dell'uomo europeo, di Giovanni Reale. La formazione come strumento strategico per l’innovazione nelle pubbliche istituzioni. Il ruolo del dipartimento della funzione pubblica, di Rosario Scalia. X Dall’autorità al consenso: spunti metodologici e riflessioni, di Alberto Scerbo. X 11 17 19 22 25 27 29 42 X DOCUMENTI _______________________________________ X X X X X X X Human Governance per una cultura della Pubblica Amministrazione. Protocollo d’intesa tra il Dipartimento della funzione pubblica e Confindustria Lazio. Protocollo d'intesa tra il Dipartimento per la funzione pubblica e Poste Italiane S.p.a., in qualità di capogruppo del "Gruppo Poste Italiane". Protocollo d'intesa tra Il ministro per la Funzione pubblica ed il ministro dell’Economia e delle finanze per l'Ispettorato. DM 5 maggio 2005 "Condizioni agevolate per l'acquisto di un personal computer per i dipendenti pubblici, ai sensi dell'articolo 1, comma 208, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.". Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 18 maggio 2005 "Autorizzazione alla Scuola superiore della pubblica amministrazione, ad indire un corso-concorso di formazione dirigenziale, ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni, e dell'articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica del 24 settembre 2004, n. 272.". DM 25 luglio 2005 "Estensione dei benefici del PC ai docenti, al personale dirigente e non docente, ai sensi dell'articolo 1, comma 207, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.". 5 44 59 65 67 73 75 78 81 83 85 89 ESPERIENZE AMMINISTRATIVE _____________________________________ Semplificazione del linguaggio e human governance, di Federico Basilica. La scuola superiore di diritto ed economia del lavoro: un centro specializzato per lo studio del mercato del lavoro. Una ipotesi di lavoro, di Lorenzo Ieva. X La gestione del personale di un ufficio di diretta collaborazione di un vertice politico, di Cristiana Luciani. X Il sistema di informazione Schengen, di Domenico Riccio. X 91 X 93 101 104 RUBRICHE _______________________________________ 119 Risposte a quesiti Circolari Giurisprudenza, a cura di Rossella Bocci Normativa Notizie in breve, a cura di Giselda Papitto. 121 137 159 291 407 X X X X X 6 EDITORIALE dI Maria Castrianni Al tema della valorizzazione delle risorse umane viene dedicata forte attenzione dal vertice politico del Dipartimento della Funzione Pubblica, costituendo una delle missioni fondamentali che la legislazione nazionale intesta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, soprattutto a seguito dell’intervenuta riforma della metà degli anni ’90. L’attenzione alla questione è posta, appunto, in termini di un intervento sistematico: in tal senso va letta la “human governance“. Il governo delle risorse umane deve realizzarsi nel contesto dei diversi livelli di governo secondo quei principi che sono leggibili da sempre nella nostra carta costituzionale. Non c’è alcun dubbio che le problematiche che il “buon governo” del personale di per sé genera, vanno viste in un contesto che non ha più orizzonti nazionali ma europei e internazionali. Ed esso ha bisogno di essere seguito anche a tali livelli di gestione delle politiche pubbliche, ricordando che una sempre più forte responsabilizzazione delle dirigenze regionali deriva dalle discussioni che il Parlamento nazionale, soprattutto nel nostro Paese, ha assunto nella XIII e, ora, nella XIV legislatura. Nel frattempo, il Governo ha posto una serie di paletti all’eccessiva burocratizzazione in una logica che è, ormai, quella di rimuovere tutti quegli ostacoli che possano limitare il libero esercizio dei diritti di libertà civile ed economica che con l’adesione al nuovo Trattato europeo, poi, all’unanimità, ha voluto dimostrare. Non possiamo, certamente, nasconderci le difficoltà che sono emerse in tempi successivi; ma questo è un tema che va discusso tra i cittadini per evitare che la costruzione di un nuovo spazio europeo sia gestito da minoranze illuminate ma che non siano state capaci di spiegare alla gente i pro e i contro delle scelte politiche fatte. Questo numero intende fornire all’attenzione dei suoi lettori i diversi punti di vista, nella certezza che la riforma dei poteri delle burocrazie pubbliche, soprattutto di quella parte di esse che ha avuto “più poteri” - quella regionale - e che, come si è avuto modo di chiarire, è chiamata ad assicurare il suo contributo al consolidamento del dialogo tra Regioni ed Europa. Il Governo ha innovato sostanzialmente nell’area dei poteri esercitabili dalla burocrazia statale; spetta alle Regioni, poi, legiferare sulla stessa lunghezza d’onda. Così come spetterà al sistema degli enti locali recepire, nei relativi regolamenti di organizzazione, le novità che la legislazione nazionale con la riforma della legge n. 241 del 19990, ha accolto venendo incontro alle istanze di semplificazione e di accelerazione degli iter procedurali provenienti dai cittadini e dalle imprese. Anche questo numero della rivista vuole dare concretezza all’attività di coordinamento assicurata dal Dipartimento della Funzione Pubblica, nell’applicazione omogenea, sull’ intero territorio nazionale, della legislazione e della normativa derivata di competenza parlamentare. Chiudono il numero, come di consueto, le rubriche che intendono assicurare quella visione d’insieme del fenomeno ”Pubblica Amministrazione”, anche ai non addetti ai lavori. 7 L’UMANIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE di Mario Baccini ∗ La Human Governance per una cultura della Pubblica Amministrazione, ovvero l’umanizzazione della Pubblica Amministrazione", è l’espressione prescelta per definire criteri e principi che sono alla base di una riflessione avviata fin dal mio insediamento alla Funzione Pubblica. Mi piace, in primo luogo, sottolineare che sia questo progetto che l’idea che lo anima sono di marca e di stile tipicamente italiani e che entrambi hanno trovato un’accoglienza entusiastica in importanti fori internazionali come il VI Global Forum di Seoul o ancora la riunione dei Ministri europei per la Funzione Pubblica di Lussemburgo che ha inserito il principio della Human Governance nella risoluzione finale oltre che tra gli obiettivi del piano a medio termine 2005/06. Ho anche appreso, da qualche giorno, che la Finlandia, Paese a noi amico che ricoprirà la Presidenza dell’Unione Europea nel 2006, ha espresso pieno sostegno all’iniziativa italiana sulla Human Governance auspicando che sia discussa nei prossimi incontri europei. Tra una settimana a Bruxelles è previsto anche un incontro con rappresentanti ad alto livello della Commissione europea per verificare in che misura e con quali modalità la Human Governance potrà trovare una più concreta attuazione attraverso l’avvio di programmi specifici. Cosa è la Human Governance? Nasce, sostanzialmente, da una riflessione sul processo di riforma della Pubblica Amministrazione, ovvero sui risultati positivi raggiunti a partire dagli inizi degli anni ’90 e fino ad oggi nel campo del miglioramento della qualità dei servizi pubblici, dell’intensificazione degli investimenti nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (egovernment), del miglioramento della qualità della regolazione, della corretta gestione e formazione delle risorse umane. Si è trattato di risultati senza alcun dubbio eccellenti sul piano tecnicostrutturale ma che hanno concentrato l’attenzione sull’oggetto del processo di Governance, trascurando il soggetto di questo stesso processo e cioè l’individuo con il suo corredo “integrale” di diritti e di doveri. La Human Governance vuole ridare centralità al rapporto Stato-cittadino rafforzando il valore e il significato dell’individuo nell’intero processo di Governance. Riferirsi alle “pratiche migliori” - ovvero alla cosiddetta “better regulation” - deve voler dire non solo concentrarsi sull’attuazione “tecnica” di alcune pratiche amministrative ma deve anche voler dire riferirsi costantemente a quei principi e a quei valori - come appunto il rispetto della persona umana - che costituiscono il presupposto per il raggiungimento del bene comune e della democrazia. In termini concreti: il rilascio di un documento, l’esame di un dossier e la sua evasione da parte delle Amministrazioni interessate, oltre ad essere segno di efficienza, devono diventare ed essere anche strumento ed indice della democrazia di un paese. La Human Governance intende favorire ed accompagnare un vero e proprio processo di rinnovamento culturale, tanto nei cittadini che nell’Amministrazione: in particolare, quest’ultima deve diventare più aperta alle esigenze degli utenti ma soprattutto più affidabile, e cioè qualcuno e qualcosa cui fare affidamento e cui affidarsi. Non una entità con cui il cittadino non può e non sa dialogare, ma un organismo dal volto umano, che sa parlare lo stesso linguaggio dell’utente, comprenderne le esigenze e che ha come scopo primario solo e sempre il bene comune. Dai contenuti della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, a quelli dei Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici ed economico-sociali del 1966 fino alle enunciazioni contenute nelle numerose Convenzioni in ambito europeo ed extra-europeo sugli stessi temi - peraltro affini ai principi enunciati dal Magistero della Chiesa - le idee di dignità della persona e di eguaglianza costituiscono l’humus in cui hanno potuto fermentare le idee di democrazia e di pluralismo. ∗ Intervento del ministro per la Funzione pubblica, on. Mario Baccini, tenuto a New York il 13 luglio 2005, presso l'Istituto italiano di cultura in occasione della presentazione del documento "Human Governance per una cultura della Pubblica Amministrazione". 9 In questo contesto, la Human Governance può essere definita come la proposta italiana finalizzata a dare una veste più organica a quanto è stato già elaborato in materia ed a riportare, a livello internazionale, la discussione intorno ad alcuni valori comuni, in quanto tali condivisi (o condivisibili), suscettibili di essere oggetto di un documento unitario. La Human Governance non vuole limitarsi a formulare slogan almeno nell’apparenza scontati: come partecipazione, coprogettazione e dialogo, ma intende identificare alcuni modelli di riferimento, proporre una sorta di vademecum rivolto a tutti gli attori del processo amministrativo (e non solo per gli addetti ai lavori), in grado di far convergere gli sforzi e gli interessi di amministrazioni, cittadini e organizzazioni intorno ad alcuni punti fermi dell’identità sociale. Limitandosi ad affermare e a ribadire la centralità di alcuni principi fondamentali ai quali dovrebbero ispirarsi i Governi, il documento sulla Human Governance ha una valenza essenzialmente politica che, per essere tradotta sul piano operativo, necessita di azioni, interventi e scelte concrete da parte dei singoli Stati. Alla base della Human Governance c’è il concetto e l’insegnamento cristiano che ritiene l’uomo, la sua dignità e il rispetto che è dovuto alla persona umana il “dettato” fondamentale, da perseguire lungo tutta l’esistenza. E c’è anche un concetto di impronta schiettamente umanista, quello dell’uomo “misura di tutte le cose” che rappresenta uno degli elementi distintivi della nostra cultura, quello che fa sì che questa stessa nostra cultura si collochi indiscutibilmente al cuore della cultura europea. La Human Governance si ricollega facilmente a numerose esperienze già avviate dal Dipartimento e realizzate con il concorso di numerose Amministrazioni. Sono convinto, tuttavia, che aver dato un supporto teorico a tali esperienze pratiche, attraverso la Human Governance, contribuirà a dare loro un senso più profondo, in grado di portare tutti gli attori del processo amministrativo a quella riflessione sui valori che sempre più spesso manca nella nostra società e che è invece il sale dell’esistenza, la ragion d’essere di ciascuno, l’essenza stessa dell’humanitas. 10 LE ISTANZE REGIONALISTICHE NEL NUOVO SISTEMA COSTITUZIONALE EUROPEO: IL CONTRIBUTO CULTURALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ITALIANA E, IN PARTICOLARE, DI QUELLA REGIONALE∗ ∗∗ di Learco Saporito E' utile chiedersi come (e se mai) l'Italia abbia reagito alle istanze regionalistiche europee, o se le istanze autonomiste e la polivalenza anche culturale italiana abbia viceversa contribuito all'evoluzione istituzionale (e culturale) comunitaria. E questo alla luce delle vicende che hanno interessato il procedimento di ratifica della nuova Costituzione europea… L’Italia, in quanto Paese membro dell’Unione europea e sottoscrittore del Trattato, ha acconsentito a limitazioni alla propria competenza che si sono riverberate ed imposte anche alle Regioni. Del resto la stessa Corte Costituzionale ha affermato che “è principio indubitabile che la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea e agli obblighi che ne derivano deve coordinarsi con la propria struttura costituzionale fondamentale della quale fa parte integrante la struttura regionale dello Stato". Tale necessario coordinamento ha dato luogo a un lungo e, in alcuni passaggi, tormentato processo di affinamento di principi e istituti. L’equilibrio che ne deriva può sintetizzarsi come segue: l’attuazione negli Stati membri delle norme comunitarie deve tenere conto della struttura (accentrata, decentrata, federale) di ciascuno di essi, cosicché l’Italia è abilitata, oltre che tenuta dal suo stesso diritto costituzionale, a rispettare il fondamentale impianto regionale. Pertanto, ove l’attuazione o l’esecuzione di una norma comunitaria metta in questione una competenza legislativa o amministrativa spettante a un soggetto titolare di autonomia costituzionale, non si può dubitare che, normalmente, ad esso spetti agire in attuazione o 1 esecuzione” . E la Corte di Giustizia europea ha precisato che “spetta a tutte le autorità degli Stati membri, siano esse autorità del potere centrale dello Stato, autorità di uno Stato federale o altre autorità territoriali, garantire il rispetto delle norme del diritto comunitario nell’ambito delle loro 2 competenze” . Peraltro se le Regioni italiane possono ormai operare nell’ambito del diritto internazionale e comunitario con una propria legittimazione (se non con una vera e propria soggettività), ciò è in gran parte merito da attribuire al travagliato processo legislativo, politico e amministrativo che ha coinvolto il nostro Paese negli ultimi decenni. 3 A ben vedere può parlarsi di una “questione regionale” già a partire dall’emanazione dell’attuale Costituzione, nella quale come accennato nella parte introduttiva, il regionalismo è stato “frutto più di tatticismi che di reali convinzioni”, per la diffusa convinzione che la costituzione degli enti ∗ Il documento riprende i contenuti del lavoro di ricerca svolto nell’ambito del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 381 (art. 1, 2° c., lett. d). ∗∗ Il senatore Learco Saporito è sottosegretario di Stato per la Funzione pubblica ∗∗ 1 Si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 24 aprile 1996 (in Riv.it.dir.pubbl.com., 1996, 1241), definita una “sentenza trattato che razionalizza le precedenti posizioni, peraltro non sempre coerenti, della giurisprudenza costituzionale"; così M. Cartabia, La cooperazione transfrontaliera delle Regioni e delle Province autonome nei rapporti con le istituzioni comunitarie, in Riv.dir.pubbl.com., 1998, 206. 2 Cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 12 giugno 1980, Germania c. Commissione. 3 Di “questione regionale" ha parlato V. Crisafulli in Vicende della “questione regionale”, in Stato, popolo e governo, Milano, 1985, 252. 11 regionali avrebbe comportato una frammentazione del potere in molteplici centri decisionali competitivi tra loro e con il Governo. Ecco la ragione del lento e complicato processo della riforma dello Stato, da centralista a regionalista, ad autonomista; cosicché da un modello centralista, si è via via elaborato un modello 4 5 fondato sulle Regioni a diverse autonomie sempre più spiccate e garantiste , fino a giungere ad un 6 modello decentrato e limitatamente federalista . La formula del “federalismo a Costituzione invariata” ha avuto il merito, oltre che di realizzare l’invocata semplificazione del rapporto quotidiano tra cittadini e P.A., di introdurre nella struttura amministrativa dello Stato la cultura dei risultati e dell’efficacia, allo scopo di attuare una modernizzazione strutturale ed operativa degli enti territoriali. E’ stato anche grazie a tale evoluzione in chiave politico-autonomista, che le Regioni hanno finalmente potuto porsi in maniera chiara e concreta come interlocutrici sul piano comunitario ed internazionale, dando luogo all’affermazione del “principio partecipativo” anche in sede europea. 2 – Superamento dell’esperienza del 1977 nella legislazione Bassanini. Il "federalismo amministrativo" attuato dalle leggi "Bassanini" (1997-1999) si distingue dalla regionalizzazione degli anni settanta (D.P.R. 616/1977) sotto il profilo della completezza. La legge n. 59/1997 e la legge n. 127/1997, nonché i successivi decreti delegati, sono andati oltre la stretta necessità di attuazione della Costituzione e si sono spinti anche oltre il mero trasferimento di una rilevante mole di funzioni amministrative; hanno, finalmente, messo mano al nodo irrisolto dei rapporti fra Stato, regioni ed enti locali, ponendo le basi per un sistema organico di relazioni. La vera novità dell'ultimo trasferimento di competenze risiede nel capovolgimento del principio tradizionale della distribuzione fra centro e periferia, per il quale alla seconda spettavano attribuzioni minori, tassativamente indicate dalla legge. Il nuovo principio, c.d. "della sussidiarietà", è opposto al vecchio: allo Stato spettano le funzioni espressamente riservate dalla legge, mentre le altre sono di competenza delle autonomie. Nell'ordinamento italiano il principio in esame è stato introdotto dalla legge n. 59/1997, il cui art. 4 (comma 3) ne fornisce una definizione sintetica: nei confronti delle regioni e degli enti locali lo Stato, come l'Unione europea nei confronti degli stati membri, deve trattenere a sé soltanto quelle funzioni che, per loro natura, non possono essere attribuite agli enti minori, in quanto incompatibili con le dimensioni degli stessi; le altre funzioni devono essere attribuite all'autorità territorialmente più vicina ai cittadini interessati. Il principio di sussidiarietà ha raccolto ed espresso istanze da tempo latenti nella società europea e italiana; e uno dei primi dictat del principio è l'avvicinamento del potere al singolo cittadino, sub specie dell’attribuzione della generalità delle funzioni pubbliche alle autorità a lui più vicine e, pertanto, da lui più controllabili. 4 La "prima regionalizzazione" si è realizzata tramite l'emanazione degli undici decreti di trasferimento del gennaio 1972, caratterizzati da scelte restrittive, peraltro avallate dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale: ne è risultata la sottrazione - a discapito degli enti sub-nazionali – di rilevanti competenze ritenute di competenza statale, cosicché il processo devolutivo si è rivelato inefficace in quanto caratterizzato dall'abnorme frammentazione delle competenze trasferite e dalla mancata attribuzione alla Regioni di un qualsiasi tipo di autonomia finanziaria. Sul punto si rinvia a S. Biliardo, Il costo delle funzioni conferite alle Regioni, in Le istituzioni del federalismo - Regione e governo locale - Bimestrale di studi giuridici e politici della Regione Emilia-Romagna, 2001, 5. 5 La "seconda regionalizzazione" si è realizzata tramite la legge 22 luglio 1975 n.382 e i relativi decreti delegati nn. 616, 617 e 618 del 1977, i quali hanno operato un più consistente trasferimento di funzioni e di compiti basati sulla formula della "leale cooperazione" tra centro e periferia, lo Stato anche in questa seconda fase, ha ampiamente utilizzato la propria funzione di indirizzo e coordinamento. 6 Ci si riferisce alle c.d. leggi Bassanini che hanno rappresentato una riforma culturale prima ancora che politico-legislativa, e che hanno finito con l'orientare in senso autonomista anche la concezione delle Regioni in ambito comunitario ed internazionale. 12 Siffatta regola è sancita esplicitamente dallo stesso Testo unico degli enti locali, il cui art. 4, comma 3, con riferimento al riparto di competenze fra gli enti locali e gli enti di livello immediatamente superiore, cioè le regioni, stabilisce che "la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative è attribuita ai comuni, alle province e alle comunità montane, in base ai principi di cui all'art. 4, comma 3, della legge 15 marzo 1997 n. 59, secondo le loro dimensioni territoriali, associative ed organizzative, con esclusione delle sole funzioni che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale". Si può dire che mentre i decreti del '77 hanno attuato il dettato degli artt. 117 e 118 della Costituzione, le leggi "Bassanini", invece, hanno preso avvio dal dato di fondo delle norme costituzionali, mirando però ad un obiettivo ulteriore. Questo non è più identificabile in un mero, nuovo decentramento di funzioni, bensì nella riorganizzazione generale della struttura amministrativa della Repubblica. 3 – Le recenti modifiche costituzionali in Italia. Invero già prima dell’approvazione del testo di riforma del Titolo V della Costituzione, era stata riconosciuta alle Regioni la possibilità di svolgere alcuni tipi di attività e di attuare alcuni obblighi internazionali. In particolare la Corte Costituzionale aveva affermato la sussistenza di un vero e proprio “diritto” di tali enti territoriali a svolgere – previa intesa con lo Stato - attività di promozione in campo economico-sociale in materie connesse con quelle di stretta competenza regionale, nonché 7 la possibilità di svolgere attività di studio ed informazione con analoghi organismi esteri . Con una legge costituzionale (l.c.18 ottobre 2001 n.3) il legislatore ha interamente ridisegnato il sistema delle autonomie e dei rapporti fra gli enti territoriali che compongono la Repubblica. La nuova legge costituzionale si pone, al contempo, in linea di continuità con il vasto movimento di riforma identificabile nelle leggi sugli enti locali del 1990 e del 1999 e, soprattutto, nelle "leggi Bassanini" (la 59/1997, la 127/1997, la 191/1998 e la 50/1999), in quanto si introducono nella Carta fondamentale principi e meccanismi propri delle "leggi Bassanini" (la sussidiarietà, la competenza tassativa dello Stato e residuale degli altri enti territoriali…), e in posizione di frattura rispetto alle stesse leggi in quanto supera le complesse costruzioni del federalismo amministrativo e le necessarie interpretazioni estensive del testo costituzionale vigente. Costituzionalizza il principio di sussidiarietà garantendolo da successivi interventi del legislatore, consacra la competenza residuale degli enti locali e delle regioni a fronte della limitazione dell'intervento centrale ad ambiti predefiniti, chiarisce definitivamente che lo Stato è ente pubblico distinto dalla Repubblica, la quale si compone del primo e degli altri enti territoriali. Tuttavia, la legge di cui si tratta non muta l'assetto della Repubblica in ordinamento federale; né ridefinisce la composizione, né muta gli equilibri interni fra centro e periferia, né ricostruisce dalle basi la rete di relazioni fra privati, enti locali e Stato, ma non sostituisce alla struttura originaria dello Stato unitario una federazione di Stati sovrani. Per questo motivo è stato bocciato l’emendamento che proponeva la modifica della rubrica del titolo V, con l'inserimento di un esplicito richiamo al federalismo. Il nuovo titolo V della parte II della Costituzione sancisce la pari dignità costituzionale di tutti gli Enti politici territoriali. Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni acquisiscono così "diritto di cittadinanza" nella nuova carta costituzionale perché non vengono più considerati semplici parti della Repubblica, ma elementi costitutivi della stessa (nuovo art. 114). 7 Cfr. sentenze della Corte Costituzionale nn. 719 del 1987 e 737 del 1988, secondo cui il fondamento del "potere estero" regionale va cercato nello stesso sistema costituzionale. 13 La nuova formulazione dell'art. 117 opera un capovolgimento del criterio stabilito dal vecchio articolo 117 in materia di riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Il nuovo criterio di riparto è il seguente: − il testo enumera una serie di materie la cui disciplina è demandata alla competenza esclusiva dello Stato; − è quindi individuata una seconda serie di materie (dette di "legislazione concorrente") per le quali è attribuita alle regioni la potestà legislativa salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Tutto quello che resta è attribuito al potere legislativo delle Regioni, nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Ciò che disegna la riforma è uno Stato che, pur restando unitario, è composto da enti territoriali la cui forte autonomia è garantita da sfere esclusive di competenze; insomma, uno Stato autonomista. La prima ragione che ha mosso la riscrittura del titolo V della seconda parte della Costituzione è quella di eliminare le norme non più conformi all'impostazione del nuovo sistema e la "legittimazione" a livello costituzionale diventa così il corollario per una stabilizzazione dell'ordinamento che può essere data solo dal rinnovato assetto costituzionale. Il nuovo Titolo V della nostra Carta Costituzionale ha definitivamente introdotto una 8 legittimazione internazionale delle Regioni : ne consegue che nell’ambito del diritto internazionale le Regioni agiscono in via autonoma e “diretta”, e non come soggetti “delegati” o “rappresentanti” dello Stato. Basti pensare che il nuovo art. 117 della Costituzione prevede rispettivamente: a) la partecipazione delle Regioni alla cosiddetta “fase ascendente del diritto comunitario”, vale a dire all’iter procedurale che porta all’adozione da parte delle istituzioni comunitarie di determinati atti; b) la partecipazione alla cosiddetta “fase discendente del diritto comunitario”, vale a dire all’attuazione degli atti normativi comunitari, in particolare in quelle materie in cui è prevista una potestà legislativa delle Regioni esclusiva o concorrente; c) l’emanazione di una legge organica dello Stato che disciplini sia le modalità di esercizio della potestà legislativa per l’attuazione della normativa comunitaria, sia il relativo potere sostitutivo. Il rapporto attuale tra lo Stato e le Regioni è dunque caratterizzato (ci si perdoni la schematicità) in modo che, da un lato, sia attribuito agli enti regionali il potere di dare attuazione alle disposizioni comunitarie in materie di competenza locale (diversamente facendo avremmo assistito ad un’ulteriore limitazione delle competenze attribuite alle Regioni, che sarebbero state condizionate sia dalla normativa comunitaria che da quella statale di attuazione), e, dall'altro, sia affidato al Governo centrale un potere sostitutivo nel caso di mancata attuazione delle disposizioni sovranazionali da parte delle Regioni. Così non è casuale se la giurisprudenza comunitaria e costituzionale attribuisce solamente allo Stato la responsabilità per eventuali violazioni del diritto comunitario, risultando del tutto indifferente 9 la ripartizione interna dei poteri e delle competenze . Se così non fosse del resto (se cioè non fosse delineato un potere sostitutivo dello Stato), quest'ultimo si troverebbe sprovvisto, nelle materie di competenza delle Regioni, di qualunque strumento per imporre il rispetto degli obblighi comunitari; così si spiega la presenza nel nostro 8 Invero in precedenza si segnala l’art. 6 della legge 29 dicembre 2000, n. 422 che ha introdotto l’art. 1 bis nella legge 9 marzo 1989, n. 86, e disciplina la “trasmissione al Parlamento e alle Regioni dei progetti di legge comunitari”. La responsabilità statale nei confronti dell’Unione europea è stata ricordata dalla nostra Corte Costituzionale nella già citata sentenza n. 126 del 1996. 9 14 10 ordinamento di una norma che disciplina il potere sostitutivo dello Stato , oltre all'art. 120 della Costituzione che contiene la clausola generale secondo cui “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni …nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria”. In conclusione può dirsi che, pur potendo sia lo Stato che le Regioni intrattenere rapporti internazionali e rapporti comunitari, solo lo Stato è titolare della “politica estera” (secondo l'art. 117, 11 2° comma, lett. a) : i rapporti internazionali e/o comunitari delle Regioni dovranno dunque svolgersi non solo nel rispetto della legge, ma anche nell’ambito di una “politica estera” necessariamente unitaria. Ed è in base a tale presupposto che si giustifica anche la previsione di un flusso di informazioni dalle Regioni allo Stato in ordine ai rapporti internazionali delle stesse. L’esperienza italiana, secondo cui le Regioni e gli altri enti territoriali hanno acquistato faticosamente e lentamente un ruolo di rilievo nella politica interna, ha quindi influenzato il processo di integrazione a livello comunitario (nel quale si inserisce la “nascita” del Comitato delle Regioni). A sua volta l'esperienza italiana è stata influenzata da quella comunitaria; così lo sforzo di tutela delle realtà locali assume oggi valenza proprio nell'ottica di una integrazione europea. Del resto va considerato che la valorizzazione delle diversità è fonte di arricchimento culturale e di crescita socio-politica, se essa è fatta nella cura contestuale dei contrapposti interessi e nell'approfondimento e nella attualizzazione delle radici comuni. Alla luce delle considerazioni svolte il ruolo che le burocrazie regionali hanno svolto, e continuano a svolgere, a supporto dei processi decisionali di competenza tripartita (UE - Stato Regioni), si può considerare decisivo per la creazione di una cultura dell’amministrazione della “res publica” che si ispiri ai principi della legalità e del buon andamento. Le burocrazie regionali hanno condiviso il valore della ricerca incessante, propria della cultura amministrativa d’Oltralpe, di sottoporre ad analisi i risultati della gestione delle risorse pubbliche; la burocrazia europea ha scoperto, sia pure in ritardo, che non è sufficiente avere dati o informazioni per ritenere valide le scelte fatte in questa o in quella politica pubblica, in cui si evidenzi il ruolo di sussidiarietà del governo comunitario; infatti, è necessario che a prevalere sia il buon senso e, soprattutto, una visione d’insieme delle politiche pubbliche, dato che risultano poco indagati dalla ricerca gli effetti delle scelte pubbliche su aree della società che apparentemente non sembrano essere destinatarie dirette delle prime. 10 Trattasi dell'art.9 della legge n.86 del 1989 (nel testo modificato dalla legge n. 128 del 1998). Rispetto alla disposizione contenuta nell'art. 120, 2° comma (che fa riferimento ad un potere sostitutivo da esercitare in caso di mancato rispetto della "normativa comunitaria"), la formula del nuovo art. 117, 5° comma appare più ampia, avendo riguardo all'ipotesi di esercizio del potere sostitutivo in caso di "inadempienza", ma non provvede ad individuare il titolare del potere sostitutivo, laddove l'art. 120 fa diretto riferimento al Governo. Tali differenze hanno portato a pensare che la legge organica richiamata dall'art. 117, 5° comma, regoli un caso particolare di potere sostitutivo che possa essere esercitato - a differenza di quanto avviene per il potere sostitutivo "generale" - anche tramite l'emanazione di atti aventi forza di legge. Si mirerebbe così a realizzare la "distribuzione verticale delle funzioni e la necessità di mantenere l'unità dello Stato, come indicato da S. Mangiameli, in La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002, 197. 11 15 INTERVENTI PRIME OSSERVAZIONI SULLA RIFORMA DELLA LEGGE N. 241/1990 di Federico Basilica∗ Pochi mesi fa è stata approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati una delle leggi più importanti degli ultimi anni, fortemente voluta da questo Governo. Si tratta della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (in G.U. n. 42 del 21 febbraio ed in vigore dall'8 marzo 2005) che reca “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, in materia di trasparenza e semplificazione dell'azione amministrativa. Con tale normativa vengono introdotte nel nostro sistema amministrativo una serie di innovazioni particolarmente rilevanti che incideranno, in senso positivo, sui rapporti tra l'amministrazione e il cittadino. Questa legge rappresenta il primo serio tentativo di codificazione dei principi riguardanti l'azione della pubblica amministrazione. La legge di riforma è ispirata da un disegno unitario e coerente che ha, come obiettivo, quello di individuare, in maniera precisa, i limiti dell'azione della pubblica amministrazione anche in chiave di maggiore tutela del privato nei confronti degli abusi dei soggetti pubblici. Si tratta, quindi, di una normativa che per la prima volta introduce nell'ordinamento disposizioni generali su aspetti fondamentali dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione, la disciplina dei quali era fondata esclusivamente sull'elaborazione della giurisprudenza amministrativa. In questo modo i principi vengono codificati e, quindi, inseriti stabilmente nel tessuto normativo in modo tale da divenire sicure barriere invalicabili dalla pubblica amministrazione che vedrà fortemente ridotta la possibilità di adottare provvedimenti amministrativi arbitrari e ingiustamente lesivi delle posizioni giuridiche dei privati. Venendo alle specifiche innovazioni introdotte dalla legge si può osservare che essa ha operato su vari livelli. In particolare le innovazioni hanno riguardato: − i principi generali dell'azione amministrativa; − il procedimento amministrativo; − la disciplina dei procedimenti di autotutela e della disciplina della invalidità del provvedimento amministrativo. Con riferimento ai principi generali dell'attività amministrativa si può osservare che la legge ha previsto espressamente l’obbligo per la pubblica amministrazione di agire attraverso criteri di trasparenza, nonché di improntare la propria azione anche al rispetto dei principi dell’ordinamento comunitario. Questa ultima previsione è stata inserita per la prima volta in un testo legislativo. Tale prescrizione è di particolare importanza in quanto recepisce alcuni principi ora inseriti nella Costituzione europea. Basti pensare al diritto della cittadino ad avere una buona amministrazione (principio già inserito già nella Carta dei diritti dell'Unione). Non solo, ma ora divengono pilastri dell’azione amministrativa alcuni fondamentali principi elaborati dalla Corte di giustizia della comunità europea tra i quali quello di proporzionalità, manifestazione del principio di ragionevolezza in base al quale ogni misura adottata dalla pubblica amministrazione che va ad incidere su posizioni private deve essere proporzionale rispetto quanto richiesto dagli obiettivi perseguiti, nonché il principio del legittimo affidamento, secondo il quale una situazione di vantaggio assicurata ad un privato da un atto specifico della pubblica amministrazione non può essere successivamente rimossa, salvo indennizzo della posizione acquisita. Già da queste prime considerazioni si può notare come l'ottica della legge sia quella di favorire il cittadino che entra in contatto con la pubblica amministrazione, nonché creare una serie di garanzie atte a tutelarlo da eventuali abusi dei soggetti pubblici. ∗ Federico Basilica, avvocato dello Stato, è capo Dipartimento della funzione pubblica. 19 Altra norma che rappresenta un’autentica rivoluzione nel sistema amministrativo è quella che prevede l’utilizzo prioritario degli strumenti di diritto privato da parte delle pubbliche amministrazioni nei casi in cui non vi sia un espresso divieto. Ciò significa che la pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie potestà, può utilizzare strumenti negoziali privatistici, certamente più flessibili di quelli provvedimentali, per raggiungere nel modo migliore possibile i propri scopi istituzionali. In questo modo, peraltro, si consente alla pubblica amministrazione di concordare con il privato la decisione che si intende prendere. L’intento, chiaramente, è quello di limitare il più possibile il campo della tradizionale azione autoritativa, mal percepita dal cittadino, in quanto imposta dall’alto. In passato, infatti, il cittadino doveva subire esclusivamente la decisione della pubblica amministrazione. Ora, invece, diviene parte attiva del processo decisionale. Accanto a questo effetto immediato non si può trascurare di rilevare che la norma avrà un altro positivo effetto, sia pure indiretto: quello della deflazione del contenzioso amministrativo. Infatti, nel caso di una decisione concordata con il privato, ben difficilmente il cittadino si rivolgerà al giudice amministrativo per contestare il contenuto della decisione alla quale esso ha contribuito. Il principio consensualistico, quindi, fa sicuramente diminuire la litigiosità. L'intento di deflazione del contenzioso amministrativo è stato raggiunto anche da quelle norme, anch’esse di primaria importanza, riguardanti la compressione dell’area delle invalidità degli atti amministrativi mediante l’individuazione di vizi a carattere meramente formale non invalidanti. E’ stato, infatti, sancito il principio che esclude l'annullabilità di provvedimenti vincolati per vizi formali o procedurali, nonché dei provvedimenti discrezionali per mancata comunicazione di avvio del procedimento, nel caso in cui il nuovo provvedimento, epurato dal vizio, non avrebbe potuto comunque avere contenuto diverso da quello annullato. In questo modo si evita che il giudice amministrativo venga occupato da controversie inutili. Il giudice concentrerà la sua attenzione solo sulle controversie causate da una azione illegittima della pubblica amministrazione che abbia ingiustamente sacrificato i diritti del cittadino. Il vantaggio, inoltre, è evidente per le stesse amministrazioni le quali non saranno costrette a duplicare la loro azione a seguito di annullamenti provvedimentali del tutto inutili. In questo modo si limitano anche dal punto di vista economico i costi amministrativi e burocratici. La legge, inoltre, inserisce come principio cardine dell'azione amministrativa l'uso di strumenti telematici e di nuove tecnologie. Viene affermato che le amministrazioni pubbliche utilizzano regolarmente gli strumenti forniti dalle nuove tecnologie sia nei rapporti interni sia nei rapporti esterni con i privati. Come è noto l'utilizzo delle nuove tecnologie comporta una netta semplificazione dei rapporti tra la pubblica amministrazione ed il privato (per esempio si riducono i tempi di attesa agli sportelli, si possono richiedere servizi anche tramite reti telematiche, ecc.). Ma la semplificazione derivante dall'utilizzo della telematica è evidente anche nei rapporti tra le stesse pubbliche amministrazioni. Ed infatti, attraverso strumenti telematici, le pubbliche amministrazioni si possono scambiare in tempi rapidi informazioni nei casi in cui vi siamo procedimenti amministrativi complessi coinvolgenti vari soggetti pubblici. In tal modo si riducono sensibilmente i tempi delle decisioni amministrative. Infine, l'utilizzo della telematica ridurrebbe in maniera drastica anche gli spechi nelle pubbliche amministrazioni. Basti pensare al risparmio di spesa che deriverebbe da un utilizzo sistematico della posta elettronica tra uffici al posto dei consueti canali di trasmissione della corrispondenza. In quest’ottica l’azione del governo e del Dipartimento della Funzione pubblica è stata particolarmente incisiva. Infatti, si deve ricordare la recente approvazione da parte de Consiglio dei Ministri del Codice dell’amministrazione digitale che razionalizza le norme in materia di utilizzo delle nuove tecnologie da parte delle pubbliche amministrazioni. Infine, la legge prevede una notevole semplificazione delle modalità di reazione del cittadino al comportamento inerte della pubblica amministrazione. Ora, scaduto il termine previsto per l’adozione del provvedimento, nel caso in cui l’amministrazione sia rimasta inerte, il cittadino può direttamente impugnare il silenzio dinanzi al giudice amministrativo, senza essere obbligato a notificare una diffida all’amministrazione come era previsto in passato. In sostanza, si rende più 20 efficace il principio della conclusione nei termini del procedimento amministrativo. Una volta spirato questo termine l’amministrazione si deve considerare senz’altro inadempiente senza bisogno di ulteriori adempimenti da parte del privato. La seconda direttrice della riforma operata dal Governo incide sulla disciplina del procedimento amministrativo. Norma particolarmente significativa è quella secondo la quale nei procedimenti ad istanza di parte l'amministrazione, prima di adottare il provvedimento negativo, comunica agli interessati i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. In tal modo è data possibilità agli interessati di presentare per iscritto le proprie osservazioni ed eventualmente nuova documentazione a supporto delle proprie richieste. Si estende il più possibile l'ambito di partecipazione dei privati al procedimento amministrativo, nell'ottica di garantire una decisione il più possibile concordata. Sempre con riguardo alla disciplina del procedimento amministrativo è stata operata una significativa razionalizzazione delle norme in materia di semplificazione amministrativa con particolare riferimento all’istituto della conferenza di servizi. L’intento è stato quello di rendere effettivamente operativo l’istituto eliminando complicazioni procedimentali e prevedendo la possibilità che la decisione in sede di conferenza venga presa a maggioranza. Si è definitivamente eliminata l’ipotesi di paralisi decisoria, scaturente dalla previsione del principio dell’unanimità. E’ stata, infine, rivista la disciplina del diritto di accesso. Questo entra a far parte dei principi generali dell'azione amministrativa con il dichiarato fine di favorire la partecipazione procedimentale, di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione. In particolare, sono stati chiaramente definiti i casi di esclusione dal diritto di accesso. Essi, è bene ricordarlo rappresentano solo l'eccezione rispetto alla regola della piena accessibilità alla documentazione amministrativa e, dunque, della piena trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione. Inoltre, sono stati potenziati gli organi che devono sovrintendere all’esatto adempimento da parte della pubblica amministrazione degli obblighi relativi all’accesso: il difensore civico e la Commissione nazionale per il diritto di accesso. La terza direttrice dell’azione riformatrice del Governo ha riguardato il regime degli atti di autotutela e della invalidità dei provvedimenti amministrativi. In quest'ultima materia il disegno perseguito è stato quello di cristallizzare alcuni principi fondamentali che fino a questo momento erano stati enunciati solo dalla giurisprudenza, ma non avevano mai trovato una precisa codificazione nella normativa nazionale. Basti pensare al chiarimento sui presupposti per i quali possono essere adottati i provvedimenti di revoca e di annullamento d’ufficio, nonché relativi a nullità ed annullabilità del provvedimento amministrativo. Queste norme si rivolgono sia alla pubblica amministrazione sia al privato. La pubblica amministrazione, infatti, avrà dei punti di riferimento ben precisi per orientare la propria azione in maniera legittima senza sacrificare ingiustamente le posizioni dei privati. I cittadini a loro volta avranno una maggiore consapevolezza dei limiti nei quali si può muovere la pubblica amministrazione e potranno cogliere immediatamente le illegittimità dei provvedimenti amministrativi facendo valere utilmente le proprie posizioni davanti al giudice. 21 L'EUROPA DOPO IL TERREMOTO FRANCESE (E IL NO OLANDESE)∗ di Leonardo Casini Con Asterix contro la Costituzione europea ("Mit Asterix gegen die EU-Verfassung"), titolava con un po' di malignità, ma con una brillante ed icastica frase a effetto Der Spiegel, il più noto rotocalco tedesco, all'indomani del "no" francese alla Costituzione europea. Ed in effetti Asterix, il famosissimo eroe revanscista del fumetto francese, che intende contraddire nientemeno che il De Bello Gallico di Giulio Cesare, è il "microcosmo" dell'orgoglio nazionale francese, delle sue rivendicazioni, del tradizionale sentimento di "grandeur"; e il "no" del referendum francese è stato in primo luogo il trionfo del nazionalismo. Ma è stato solo il prevalere del sentimento nazionale e il timore di un allargamento incontrollabile dell'Unione o c'è dell'altro alla base del voto francese? E tutti in questo voto hanno visto il rifiuto non solo della Costituzione europea, come sembra dal quesito di merito, circoscritto al testo costituzionale, ma dello stesso progetto della costruzione dell'Unione Europea, proprio da parte di una delle nazioni fondatrici. Anzi da due, dato l'immediatamente successivo voto olandese. Certo molti altri Paesi europei - soprattutto quelli più storicamente ancorati all'Europa, come Italia e Spagna, e quelli di recente adesione all'Unione e, ovunque, coloro che credono fortemente nell'Europa - hanno guardato con sconcerto e con forte disappunto il responso delle urne francesi. Ma sarebbe un gravissimo errore scambiare questo "no" unicamente come il risultato di un rinato nazionalismo, confondendo tutto in un solo magma indistinto su cui è piantata la bandiera estremistica di Le Pen. Cosa è avvenuto esattamente? Siamo di fronte ad una crisi o addirittura alla fine del "sogno europeo"? In che cosa hanno sbagliato gli estensori della nuova Costituzione, i membri del Parlamento e del Governo europeo, Bruxelles, Strasburgo, e tutti noi cittadini chiamati più volte a sancire i passi verso l'Unione e che abbiamo fatto avanzare questo progetto in modo quasi plebiscitario? Per comprendere il voto francese occorre tenere conto di molti elementi, a partire dalla situazione interna francese per spingersi poi oltre, all'allargamento e alle implicazioni economiche e di mercato del lavoro, nonché a quelle più squisitamente politiche che sono entrate in gioco nella battaglia referendaria. All'indomani del voto scriveva il direttore di Le Monde, Jean-Marie Colombani, che pure è stato uno strenuo oppositore del "no": "Franco e massiccio, come avrebbe detto De Gaulle, il "no" francese alla Costituzione europea non è un incidente. È stato pronunciato al termine di un dibattito come pochi ve ne sono stati nella storia di questo Paese". Ma un lungo dibattito può non essere per ciò stesso razionale, competente, serio. "I partigiani del no - prosegue Colombani - volevano farla finita con quello che considerano come il mito europeo. Per nazionalismo, per xenofobia, per dogmatismo o per nostalgia volevano sbarazzarsi di questa Europa che chiude gli orizzonti, disturba le abitudini, impone cambiamenti". E anche i non antieuropeisti si sono lasciati convincere che si poteva dire no solo a quest'Europa, nella prospettiva di costruirne una diversa. Concordo con il direttore di Le Monde che questi "distinguo" spesso sono solo apparenti, che la sostanza è un rifiuto a tutto tondo all'unità europea; e concordo inoltre ancor più sulla "fragilità" dell'Europa, sul fatto che essa non è affatto irreversibile, come abbiamo creduto o voluto credere fino ad oggi; il terremoto francese - perché è un vero terremoto - ci ha posto brutalmente di fronte alla realtà delle cose, all'aspetto più sgradevole di questo nostro martoriato continente, la sua "profonda mancanza di coesione". ∗ Intervento tratto dal Bulletin européen, n. 661 del giugno 2005. 22 Eppure sembrava che tutto procedesse tranquillamente, come l'olio, passo dopo passo, verso un'integrazione sempre più solida, che creasse un amalgama sempre più omogeneo, e invece non solo questo è stato fortemente messo in crisi, ma è stato fatto un grande passo indietro. E l'impatto psicologico è forse più potente e devastante dell'evento concreto, cioè di un voto di sfiducia circoscritto alle norme costituzionali, perché ha "stoppato", fermato il cammino verso l'Unione, costringendo tutta l'Europa ad una battuta d'arresto e ad una - se vogliamo esprimerci con un eufemismo - "pausa di riflessione". Speriamo che non si tratti, invece, di un pericolosissimo "congelamento". Ma ritorniamo alle motivazioni di questo "no". Oltre al nazionalismo, alla xenofobia, alla paura del nuovo, al timore di un'Europa in cui la leadership francese possa vanificarsi con l'allargamento ai tanti nuovi Paesi dell'Est, (che comporta il rassegnarsi a cedere con la doverosa umiltà il passo ad una più democratica pluralità di voci), esistono indubbiamente anche altre motivazioni più degne di considerazione. Come la paura del plombier polonais, dell"'idraulico polacco", cioè di lavoratori provenienti da Paesi meno fortunati e meno ricchi, pronti a fare lavori ad un costo assai inferiore a quello dei lavoratori francesi; che spesso, però scarseggiano o sono del tutto introvabili, rendendo assai discutibile questa paura. Ma occorre anche ricordarsi che in Francia c'è una - com'è stata definita dalla stampa francese "disoccupazione di massa", che tocca il 10%; le aziende chiudono una dopo l'altra, magari per trasferirsi all'estero (anche fuori dall'Europa), ove la manodopera costa assai meno; e infine la concorrenza e la competizione internazionale, soprattutto asiatica, provoca problemi assai gravi a tutte le economie europee. Ma ad un problema così grave la risposta del "no all'Europa" è esclusivamente demagogico: il problema della disoccupazione non si risolve, anzi si aggrava distaccandosi dall'Europa, perché risorse e mercati non possono più rispondere in modo frammentario, isolandosi, ma solo coalizzandosi e risolvendo insieme i problemi di fondo. Ma si sa, rispondere alla demagogia con complesse valutazioni razionali e tecniche serve a poco. Le masse comprendono solo i messaggi semplici, immediati, di fronte a una delle più gravi crisi economiche dell'Europa. Il lavoro manca, le imprese falliscono. Il malcontento è forte, e non si può certo non ritenerlo giustificato, e per questo ha pesato moltissimo sul piatto del no della bilancia elettorale l'ondata di protesta contro il governo, contro Jean-Pierre Raffarin e lo stesso presidente Chirac. Il quale, ostentando una serenità olimpica dopo quella che è stata sicuramente anche una cocente sconfitta personale e politica, ha parlato alla nazione proclamando che egli avrebbe "difeso la posizione del nostro Paese" nel concerto europeo e internazionale; e così, implicitamente, alla sinistra, che reclamava a gran voce le sue dimissioni, rispondeva che non aveva alcuna intenzione di dimettersi, coerentemente a quanto aveva già detto prima del voto. Ne ha fatto le spese - e in gran parte a ragione - il premier Raffarin, sostituito immediatamente da Chirac con Dominique de Villepin, che cercherà di rilanciare l'azione di governo. Un altro evento che manifesta appieno la confusione in cui è caduta la Francia in questo referendum è lo strano e paradossale compattarsi di destra e sinistra. Una consistente parte della sinistra, sposando le tesi estremistiche di una "lotta al capitalismo" e al "liberalismo sfrenato" del "modello americano o anglosassone", che sarebbe a loro avviso presente nella Costituzione, ha optato decisamente per il "no". Il partito socialista si è diviso tra i fautori del "no" e quelli del "sì". Il capofila del "no", Laurent Fabius, ha affermato, rovesciando la realtà dei fatti: "È la crisi europea che ha trascinato con sé il "no" più che l'inverso. Il contesto ha giocato come in ogni scrutinio, ma quello che vive l'Europa con i suoi 22 milioni di senza lavoro e la sua competizione sempre più selvaggia tra salariati e sistemi di protezione sociale - come il testo proposto sono stati ugualmente decisivi". Ma ha poi aggiunto, significativamente: "Voglio che gli interessi della Francia siano difesi... Abbiamo i nostri interessi da difendere". Con buona pace dell'internazionalismo socialista. L'Unione europea presuppone la solidarietà, e quindi un mercato del lavoro che usufruisca della circolazione di lavoratori, nuovi posti di lavoro e risorse in tutta Eurolandia. Con gli egoismi nazionali si va avanti ben poco. Infatti qui non si tratta di salvare il proprio campicello, i piccoli privilegi che poi, come un boomerang, tornano a danno dello stesso Paese che 23 li vuole salvare, ma pensare "in grande" quel "sogno europeo" che solo può scaldare le menti e i cuori, e salvarci politicamente, economicamente, culturalmente e anche - nel malaugurato caso che ve ne fosse bisogno - militarmente. E infatti proprio al "sogno europeo" per salvare l'Europa fanno appello due grandi intellettuali, il filosofo tedesco Jürgen Habermas e l'economista statunitense Jeremy Rifkin. Habermas in un recente articolo dal titolo significativo "Soltanto un sogno può salvare l'Europa" (in traduzione italiana su Repubblica del 9 giugno scorso), fa notare come il testo della Costituzione - un guazzabuglio di norme e regole preesistenti - è quanto di meno adatto possa esserci per "far sognare", ossia indicare ideali forti su cui i popoli possano sentirsi uniti e mobilitarsi; per far ciò occorrerebbe far precedere l'unione politica alla Costituzione, e quindi sciogliere i nodi che via via si sono moltiplicati ("la spazzatura che da decenni si era preferito nascondere sotto il tappeto"); ma occorrerebbero uomini e segnali forti che per ora non si vedono. Assai più ottimista è invece Jeremy Rifkin, un simpatico intellettuale dai baffetti anglosassoni, una "voce fuori dal coro" perché proveniente dagli Stati Uniti. Rifkin, ha pubblicato recentemente un bel libro, ("The european dream"), Il sogno europeo, tr. it. Mondadori, 2004, in cui si afferma come ormai sia tramontato il "sogno americano" che ha spinto milioni e milioni di emigranti in America per far fortuna, e che oggi - prendendosi una rivincita storica sorprendente - proprio il Vecchio Mondo va oscurando, grazie alla sua saggezza, ai suoi ideali di pace, ad un lavoro concepito in modo non febbrile e alle garanzie sociali da cui i popoli europei sono tutelati. In questo articolo, dal titolo incoraggiante, "Dal no nascerà l'Europa" (apparso in Italia sull'Espresso del 16 giugno scorso), Rifkin non vede nel voto francese una smentita del sogno europeo, ma al contrario una sua conferma, cioè la volontà di promuovere il modello sociale e garantista europeo, e per questo fa appello soprattutto al "no" di sinistra, quello socialista. Quindi un rifiuto del liberismo anglo-americano del "fai "da te" e del "chi-arriva-prima-prendetutto" che finirebbe per minare la visione e un'economia di mercato europea più coesa e sociale, basata sul sogno europeo e "inclusività", sulla diversità culturale sulla qualità della vita, sul mantenimento di una rete sociale adeguata, sullo sviluppo sostenibile, su diritti umani sociali e universali e sulla pace". L'altro elemento che per Rifkin fa sperare è la grande partecipazione popolare al voto. Rifkin era a Parigi prima e durante lo svolgimento del referendum. Nel quale non ha visto, o non ha visto solo un uragano antieuropeista, ma, al contrario, un vasto dibattito sui temi europei, non più gestiti dall'alto, come è stato finora, ma "a livello di base, attorno ai tavoli di cucina, nei caffè, nelle fabbriche, negli uffici, per le strade. Specialmente la Francia è diventata una sorta di gigantesca aula scolastica in cui si discute sul futuro dell'Europa. Ero lì. L'ho visto con i miei occhi. La passione, l'impegno, il coinvolgimento personale. Milioni di cittadini, regioni rurali. Per quasi cinquant'anni, l'Unione europea è stata un esclusivo campo da gioco politico appannaggio della sola élite europea. Ora la Francia e l'Olanda hanno afferrato la palla e hanno trasformato la politica europea in uno sport popolare e, sebbene io non sia d'accordo con il risultato del voto sulla Costituzione, devo ammettere che per la prima volta l'opinione pubblica francese e olandese hanno reso emozionante la politica europea". Questo coinvolgimento popolare è un dato molto positivo per il saggista americano. "È da sperare - auspica Rifkin - che quindi il "no" non sia un "no" all'Europa, ma la base per riprogettare il "sogno europeo"", di cui l'autore è innamorato. Anche noi speriamo, con Rifkin, che il "sogno europeo" non svanisca o si avvii al declino, ma che per l'UE si chiuda solo una prima fase ancora non matura perché se ne apra un'altra più concreta, più solida, con uno slancio nuovo. Rifkin ricorda che ci sono voluti 100 anni e una guerra sanguinosa perché fosse accettata da tutti la Costituzione degli Stati Uniti. E conclude che "pazienza è il nome del gioco". In fondo, è un proverbio squisitamente francese "reculer pour mieux sauter"’. 24 PRIME CONSIDERAZIONI SULLA LEGGE 168/2005 IN MATERIA DI DIRIGENZA PUBBLICA di Antonello Colosimo ∗ Con la recente conversione in legge n. 168 del 17 agosto 2005 del d.l. 30 giugno 2005 n. 115, contenente misure urgenti per il funzionamento della Pubblica Amministrazione, il Parlamento ha, tra l’altro, introdotto alcune significative correzioni al d.l.vo 165/2001 nella disciplina relativa alla dirigenza. Le novità non sono di poco conto sia sotto il profilo degli effetti sia sotto il profilo dei contenuti e sia, infine, anche sotto il profilo del metodo usato. Partiamo da quest’ultimo. Le norme contenute nell’art. 14 sexies, e che riguardano gli incarichi dirigenziali sono il frutto di una proposta emendativa d’iniziativa parlamentare alla quale il Governo si è dichiarato favorevole. In buona sostanza il metodo usato è quello che, in maniera più appropriata, l’emendamento parlamentare effettua interventi correttivi significativi, in questo scorcio di legislatura, dopo quelli compiuti all’inizio con la legge 145 del 2002. Ciò evidenzia che il tema della disciplina della dirigenza pubblica non può che essere d’interesse generale, sottratta alle continue modifiche da parte dei Governi, e tornando ad essere, auspicabilmente, e per lungo tempo, non più modificata, materia su cui si esprime il Parlamento. Ma vediamo nel dettaglio i contenuti delle novelle introdotte. Il primo comma dell’art. 14 sexies fissa il termine per la durata degli incarichi attribuiti sia ai dirigenti di 1ª che di 2ª fascia in un periodo non inferiore ai 3 anni e non eccedente i 5 anni. L’innovazione è significativa per due ordini di ragioni: in primis viene fissato un termine di durata minima dell’incarico di dirigente di 1ª e di 2ª fascia che l’art. 19 co. 2 del d.lvo 165 del 2001 non conteneva; inoltre equiparare la durata degli incarichi dirigenziali di 1ª e 2ª fascia, in precedenza difformi nel termine finale. La previsione della durata minima dell’incarico dirigenziale costituisce in realtà un elemento necessario per la realizzazione degli obiettivi assegnati e pone rimedio ad un profilo che in questi tre anni, a partire dalla modifica al d.l.vo 80/98 introdotto con la legge 145/2002, aveva di fatto reso più precario l’incarico dirigenziale essendo anche possibile, come nei fatti è avvenuto, conferire incarichi per 6 mesi. Il perno delle riforme che, a partire dal d.l.vo 29 del 1993 hanno profondamente e significativamente rivoluzionato il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, è sempre stato centrato nell’attribuzione di obiettivi, mezzi, risorse e, quindi, risultati valutabili che con il rapporto contrattuale tra Amministrazione e dirigente viene regolato. Orbene, un tale rapporto richiede un tempo congruo per poter essere misurato così come già il testo originario del d.l.vo 29 fissava in una durata minima di 2 e massima di 7 anni. Inoltre anche il rapporto del dirigente di 2ª fascia viene toccato allorquando, come si rilevava, la novella dell’art. 19 co. 6 prevede che anch’esso abbia la stessa durata minima e massima di quello del dirigente di 1ª fascia. ∗ Antonello Colosimo, magistrato della Corte dei conti, è consigliere giuridico del ministro per la Funzione pubblica. 25 In realtà pure questa modifica è di non poco conto dal momento che il dirigente di 2ª fascia costituisce soggetto rilevante ai fini della realizzazione degli obiettivi assegnati al dirigente di 1ª fascia. Egli è posto a capo di strutture organizzative complesse che concorrono, per le relative funzioni, ad assicurare il funzionamento dell’intero ufficio dirigenziale generale e, pertanto, vi è un vero e proprio legame nell’azione e nella realizzazione degli obiettivi tra i dirigenti di fascia diversa. Ne costituisce riprova, tra l’altro, la titolarità del conferimento dell’incarico al dirigente di 2ª fascia che, come stabilito dall’art. 19 co. 5, non modificato, è attribuita al dirigente di 1ª fascia, sulla base dell’assegnazione effettuata dal Ministro. Altre due novità meritano qualche considerazione. La prima riguarda gli incarichi di dirigente di 1ª e 2ª fascia che ciascuna amministrazione, nel limite rispettivamente del 10% e dell’8%, può conferire a soggetti particolarmente qualificati ed esperti provenienti da settori diversi della PA. Finora tale facoltà escludeva la possibilità che nella provvista da cui le amministrazioni possono attingere fossero ricompresi anche dipendenti della stessa amministrazione e in tal senso la Corte dei conti ha sempre operato ricusando la registrazione di provvedimenti di tal genere. La modifica introdotta con la legge 168 consente, ferma restando la facoltà per l’amministrazione di utilizzare questa modalità di attribuzione, di ricomprendere anche i dipendenti dell’amministrazione che conferisce l’incarico. L’ampliamento della scelta è importante perché spesso nelle amministrazioni ci sono professionalità giovani e formate che spesso si vedono precluse le opportunità di crescita e, pertanto, optano per mercati del lavoro diversi, riducendo, in tal guisa, le possibilità di nuovi innesti negli apparati amministrativi. La seconda innovazione, di non poco rilievo, riguarda le modalità di passaggio dei dirigenti di 2ª fascia alla prima. Finora ciò era possibile qualora il dirigente di 2ª avesse diretto uffici di livello dirigenziale generale per un periodo pari almeno a cinque anni (art. 23, co. 1, d.l.vo 165). La novella introdotta riduce la durata a 3 anni consentendo a molti dei giovani che in questi anni si sono trovati a svolgere le funzioni di livello superiore, con meritato successo, a stabilizzarsi nella qualifica di dirigente di 1ª fascia. In definitiva le correzioni apportate dal legislatore con la legge 168 vanno nella giusta direzione di contemperare, secondo lo spirito della riforma del 1992, una componente di necessaria flessibilità nel rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici per la realizzazione di obiettivi di efficienza ed efficacia nel funzionamento degli apparati pubblici con una garanzia di congrua durata del rapporto instaurato e di crescita nella carriera che costituisce, soprattutto per i giovani, una motivazione da coltivare. 26 LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA DEL FORMEZ ∗ di Flavio De Luca L’attenzione posta ai temi della programmazione strategica da parte del management del Formez costituisce il presupposto per allineare le attività e le iniziative di medio-lungo termine, che esso è chiamato a svolgere, con i processi dì riforma delle istituzioni pubbliche promossi dal Dipartimento della Funzione Pubblica. Questo è un momento di riflessione sulle linee-guida da seguire di assoluta rilevanza. Ma, naturalmente, dobbiamo cercare di rispondere ad alcuni interrogativi che nascono dalla realtà dei fatti. I principali interrogativi riguardano il metodo con cui affrontare le nuove sfide derivanti dai recenti cambiamenti legislativi e le nuove esigenze di riforma, le prospettive per il Formez nel medio-lungo periodo, l'esigenza di valorizzare il rapporto con le società in-house e il miglioramento dell'organizzazione e del clima aziendale. Si tratta di argomenti di rilievo e di attualità perché direttamente riconducibili alla missione che si vuole individuare per il Formez, essendo tale Ente chiamato a fornire risposte efficaci in un contesto che si presenta, per alcuni aspetti, in perenne evoluzione interessando le pubbliche amministrazioni del nostro Paese. Tra le priorità del Formez, che si pongono lungo un piano di continuità con le recenti proposte innovative promosse da questa Amministrazione, e che sono rinvenibili nel Piano Triennale 20062008, vanno richiamate le seguenti: − la semplificazione amministrativa; − la semplificazione del linguaggio; − la human governance; − il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica. Sono tutti temi sui quali richiamare l’attenzione degli operatori pubblici. La semplificazione amministrativa. L'evoluzione della normativa in materia di semplificazione amministrativa relativa alla nuova disciplina, per ciò che riguarda il sistema delle imprese, della “dichiarazione di inizio attività” (dia, in sigla) ed alla generalizzazione del principio del silenzio-assenso fa emergere l'esigenza di un significativo supporto alle pubbliche amministrazioni nella concreta implementazione della semplificazione di tale procedimento amministrativo. Emerge, di conseguenza, la necessità che le amministrazioni pongano in essere adeguate campagne di informazione e di comunicazione nei riguardi dei cittadini in ordine alle principali novità che interessano la ridefinita disciplina della 241/90. Le Amministrazioni si possono ritrovare nella situazione di ristrutturarsi al loro interno: − rivedendo le procedure; − realizzando gli opportuni adeguamenti delle risorse tecniche; − potenziando le competenze delle risorse umane, attraverso il ricorso agli interventi di formazione continua. Solo in questo modo si potrà in futuro governare al meglio i processi di innovazione, e garantire ai cittadini servizi migliori, sempre più rispondenti alle loro attese. ∗ Flavio De Luca è il capo della segreteria tecnica del ministro per la Funzione pubblica. 27 I temi menzionati sono del resto indicati dagli esperti del "Gruppo ad hoc Lisbona" (costituito dal network dei Direttori Generali della Funzione pubblica) come decisivi per la riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e le imprese, potendo assicurare un contributo alla crescita dell'occupazione. La semplificazione del linguaggio. Dalle recenti rilevazioni effettuate dall' "Osservatorio sulle opinioni dei cittadini e delle imprese" del Dipartimento emerge come oltre il 75% degli intervistati - 3 cittadini su 4 - giudicano la chiarezza del linguaggio delle Pubbliche Amministrazioni "poco" o "per niente" soddisfacente. La semplificazione del linguaggio, pertanto, rientra nel complesso delle esigenze che i cittadini esprimono. Non solo. Operare in questa direzione significa favorire anche la trasparenza dell'azione amministrativa, in quanto si cerca di far capire al cittadino/all’impresa. La Human Governance. Si tratta di una iniziativa nata per promuovere una dimensione più umana della pubblica amministrazione, che dia maggiore centralità all'individuo nella sua interezza ed ai valori della democrazia, del pluralismo e del rispetto della persona umana. Tale iniziativa, voluta dal Ministro per la Funzione Pubblica, Mario Baccini, ha ottenuto riconoscimenti e consensi anche in ambito internazionale. Il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica. Vi è, infine, da affrontare il tema del contenimento e della razionalizzazione della spesa pubblica, sul quale va richiamata l'attenzione di tutti. E’ fortemente auspicabile che il Formez si ponga quale promotore di iniziative volte a favorire un migliore utilizzo delle risorse da parte delle pubbliche amministrazioni mediante il ricorso ad innovazioni organizzative e di processo, a forme di gestione esterna di attività e di servizi e all'utilizzo più efficace dei sistemi di programmazione e del controllo di gestione. In ordine al tema della c.d. "lotta agli sprechi", va sottolineata la possibilità di ricorrere ad un'utilizzazione più efficiente delle risorse sollecitando le organizzazioni a imporsi delle regole e dei limiti. E’ così ineludibile una riflessione sul modello di funzionamento del Formez, ed in particolare sul rapporto con le società in house. L'attuale struttura organizzativa permette certamente all'istituto di intervenire in una pluralità di aree disponendo di risorse e di competenze specialistiche e complementari. Tuttavia, sull'affidamento di attività dal Formez alle società in house sono stati negli ultimi tempi rilevati alcuni profili problematici. Nel pieno rispetto della autonomia degli organi preposti, è bene che il Formez si ponga l'ambizioso obiettivo di una razionalizzazione della propria struttura organizzativa, elaborando un modello duttile e semplificato, in grado di operare in condizioni di maggiore efficienza, puntando al raggiungimento di sinergie di costi. Per alcune aree di azione può essere opportuno, inoltre, preferire ad una logica di direzione una logica di indirizzo dell'attività dei privati, continuando questi ultimi ad essere rispettosi del principio del buon andamento che deve ispirare le scelte e i processi decisionali in questo campo. 28 IL PENSIERO DI ALBERTO MOCHI. IDEE E PROSPETTIVE PER UNA FEDERAZIONE EUROPEA∗ ∗∗ di Michele Magli Introduzione Non è frequente incontrare un personaggio che, nell’esercitare l’attività professionale, nella fattispecie, di medico psichiatra, ha trovato anche il tempo per interessarsi con una certa acutezza e profondità di analisi, a problematiche di carattere internazionale e, in particolare, inerenti alla costituzione di una Federazione europea. Ebbene, la figura di Alberto Mochi va calata nel periodo particolarmente delicato e preoccupante in cui visse, caratterizzato dalle due guerre mondiali, dai notevoli mutamenti internazionali, dallo sviluppo della tecnica, dalla paura della bomba atomica e per il futuro della civiltà. Particolarmente interessante risulta la sua dura condanna nei confronti dell’operato della Società delle Nazioni, la presa di posizione contro gli egoismi individuali e le sovranità nazionali, nonché l’opposizione alla guerra intesa come strumento di risoluzione delle controversie, ed infine, i seri dubbi sul futuro dell’O.N.U.. Così, il Mochi, arrivava ad affermare che: “Non è più il tempo in cui l’uomo può sottomettersi alle necessità naturali e lasciarsi guidare dai fatti: bisogna che si serva della sua intelligenza per piegare i fatti ai suoi fini”. Ora l’uno, ora l’altro dei fatti sociali, poteva rappresentare il pericolo e doveva essere modificato con urgenza. Al riguardo, l’autore poneva l’esempio dell’epoca di Augusto, nella quale il pericolo era costituito dalla schiavitù; la sovranità degli Stati, manifestatasi sotto tutte le sue forme, rappresentava invece il pericolo nel periodo in cui visse. A questo punto, il Mochi indicava una via di uscita, tesa verso la sopravvivenza della civiltà che, se fosse stata seguita prima, avrebbe probabilmente evitato lo scoppio dei due conflitti mondiali: bisognava procedere per gradi, creare dapprima una Federazione europea per arrivare infine ad unire tutti i popoli del mondo. Sarà scopo principale della presente disamina, soffermare l’attenzione sul pensiero del Mochi riguardo l’idea della costruzione di una Federazione europea, sulle sue modalità di attuazione e le sue finalità, rinviando ad altro studio la trattazione della dottrina morale e filosofica dell’autore stesso. ∗ Alberto Mochi - Medico psichiatra, nato a Firenze il 26 settembre 1883 da Giuseppe e Giorgia Roster e deceduto nella stessa il giorno 8 febbraio 1949. Laureatosi nel 1906, frequentò a Siena il laboratorio di fisiologia di Balduino Bocci e dedicò poi vari anni all’Ospedale psichiatrico di quella città. Fu redattore capo della Rassegna di Studi psichiatrici a Siena dal 1911 al 1914 e libero docente di clinica e malattie nervose e mentali nel 1914. In tale periodo, pare che il Mochi abbia scritto numerose comunicazioni a società scientifiche e articoli su riviste, quali ad esempio, “Le Asimbolie” in Rassegna di st. psich., Siena 1914. Trasferitosi poi in Eritrea, vi restò fino al 1918 in qualità di capitano medico. Passò poi, quale medico capo, all’Ospedale italiano “Umberto I” del Cairo. Dal 1922 fu medico fondatore della Soc. International (poi Royale) de Medicine d’Egypte e dell’Institut d’Egypte e, dal 1936, presidente dell’una e dell’altro. Fu durante il suo soggiorno africano che egli cominciò a stendere i primi frutti delle sue riflessioni sull’applicazione del metodo scientifico allo studio dei fatti sociali, con la memoria su “I fondamenti, i limiti e il valore della psicologia scientifica”, pubblicata nel Bollettino dell’Institut d’Egypte (titolo originario: “Les fondements, les limites et la valeur de la Psychologie scientifique”, Cairo 1926). Assumono un certo valore filosofico, le dottrine enunciate dal Mochi nei 3 volumi editi dalla Biblioteque de philosophie contemporaine dell’Alcan (ora Presses Universitaires de France) e precisamente: “La connaissance scientifique” del 1927; “De la connaissance à l’action” del 1928;“Science et morale dans les problemes sociaux” del 1931. Successivamente l’autore ha scritto “Perchè l’uomo è uno sconosciuto?” critica di un libro celebre (Siena 1943). Infine, scrisse: “Civiltà. I termini di una crisi” (1947) e “Oriente comunista e federazione europea. Materialismo marxista e moralismo storico” (1948), quest’ultimo pubblicato postumo nel 1950. ∗∗ L'avvocato Michele Magli, specialista in politiche comunitarie, è in servizio presso la PCM - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie. 29 1.1. “Il problema dell’anarchia internazionale e il fallimento della Società delle Nazioni”. Il problema dell’anarchia internazionale ha rappresentato per il Mochi una delle questioni più urgenti da risolvere in quanto c’era in gioco niente di meno che la pace mondiale. La pace, insieme alla salute, non è fine a se stessa e, a tale proposito, si diceva: “L’uomo vuol essere sano e vivere in una società bene organizzata per godere di più, per ottenere delle soddisfazioni che altrimenti gli 1 sarebbero negate, per sviluppare, insomma, le sue tendenze egocentriche”. Il perdurare della sovranità degli Stati, insieme al progressivo sviluppo della tecnica, hanno senza dubbio riproposto con maggiore urgenza il problema dell’anarchia internazionale, ovvero il ricercare l’assetto migliore tra i vari Stati, tra le varie federazioni, al fine di giungere ad una pace permanente e così scongiurare future guerre e il ricorso all’uso della forza. E’ interessante vedere l’analisi che il Mochi fa riguardo al periodo che va dalla fine della guerra franco-prussiana del 1870 al 1914. In tale periodo “L’indipendenza e la sovranità degli Stati presentava ancora vantaggi che pareggiavano i danni. Le guerre non erano né troppo lunghe né troppo micidiali, lo sconfitto poteva 2 risollevarsi in pochi anni…”. Si evidenziava il fatto che, allora, le Nazioni europee si sentivano fra loro molto diverse e lontane, e questo, di conseguenza, comportava l’effetto che non ci fosse nessun desiderio di rinunciare ad una parte della loro personalità fondendosi in uno Stato unico. Anzi, in buona parte dell’Europa, l’opinione pubblica, temendo il ritorno dell’oppressione straniera, si dimostrava contro ogni minaccia di limitazione della sovranità. Dominava indiscussa l’idea che nessuno Stato ha il diritto di ingerirsi nei fatti interni di un altro, facendo così che, lo scopo ultimo della politica internazionale fosse rappresentato dall’assoluta indipendenza ed illimitata sovranità degli Stati. 3 “Ogni tentativo di unione europea era combattuto o relegato fra le utopie”. L’autore, evidenzia altresì come, nel 1914, nonostante le condizioni materiali fossero notevolmente mutate, lo stato d’animo fosse rimasto lo stesso. Uomini politici e diplomatici dovevano assumersi la responsabilità di aver recepito con ritardo i mutamenti del mondo esterno. Malgrado la 1ª guerra mondiale aprì, in un certo qual senso, gli occhi sull’enorme portata dei mutamenti materiali avvenuti, purtroppo l’ondata federalista nata subito dopo la sua fine, non ebbe fertile sviluppo. L’egoismo trionfava ancora e l’idea di sovranità nazionale era ancora forte. Mentre l’Inghilterra credeva ancora di poter esercitare la sua supremazia attraverso il gioco dell’equilibrio dei gruppi di potenze del continente, la Germania cominciava a prepararsi alla lotta per l’unificazione dell’Europa sotto la sua egemonia. Particolarmente dura è la critica del Mochi nei confronti della Società delle Nazioni, considerata come una organizzazione avente “la funzione di mezzo per permettere ai vincitori di render 4 permanenti i vantaggi ottenuti con la forza”. Inoltre, veniva affermato che “la Società delle Nazioni rinnegava i principi del diritto elevando a legge l’arbitrio e permettendo ai forti di essere giudici nella 5 propria causa”. Il Mochi, giunse così a dire che “la Federazione europea avrebbe indubbiamente 6 rappresentato un progresso sulla via della solidarietà internazionale”. Regnava l’egoismo e si avvaleva dell’ipocrisia delle formule ginevrine per nascondersi sotto forme moralmente accettabili; il fine ultimo era quello di mantenere lo status quo. Tra l’altro, la Società delle Nazioni non ebbe neppure una forza propria per far rispettar le sue decisioni, in quanto, i popoli che la componevano non si potevano trovare d’accordo fra loro. In pratica, con l’unire popoli troppo diversi fra loro, non si è riusciti a dare in mano alla Società delle Nazioni la forza necessaria per imporre la sua volontà. 1 2 3 4 5 6 Mochi Alberto (a cura di) – Civiltà. I termini di una crisi, Universale, Roma, 1947, p. 233. Op. cit. pag. 233-234. Op. cit. p. 234. Op. cit. p. 235. Op. cit. p. 235. Op. cit. p. 235. 30 Il Mochi arrivò perfino a paragonare l’iscrizione all’organizzazione ginevrina all’iscrizione al partito fascista: “Gli Stati si trovarono allora in una situazione analoga a quella degli individui durante il periodo fascista in Italia: si poteva non firmare ma a tutto proprio rischio e pericolo. Una volta firmato, si era sottoscritto un patto che garantiva tutti i vantaggi ai potenti e si era rinunciato ad 7 uscire dal proprio stato di inferiorità senza il permesso dei grandi”. Tale era la critica alla Società delle Nazioni, che il Mochi giunse a considerare giusta la resistenza alle sanzioni dalla stessa imposte. Non poteva infatti l’Italia essere sottoposta a giudizio e punita per aver fatto in Etiopia ciò che altri paesi colonizzatori avevano fatto prima di lei nel resto del mondo. Prendendo spunto dal fallimento della Società delle Nazioni, il Mochi arriva così ad affermare: “La formazione di uno Stato federale è dunque possibile soltanto se i paesi che si uniscono hanno uno sfondo comune di civiltà, professano cioè idee fondamentali analoghe sulla religione, la morale, 8 la politica, il diritto, l’economia”. Questa, a mio avviso, rappresenta la base del pensiero che il Mochi andrà a sviluppare e che, del resto, condivido. 1.2. “Seri ostacoli per una Federazione effettiva. Il Partito d’Azione e il suo fallimento”. Si è vista la dura critica rivolta dal Mochi alla Società delle Nazioni, la cui “stessa esistenza e la sua struttura pseudogiuridica contribuirono potentemente ad affrettare la decadenza della civiltà 9 occidentale”. Dopo dette considerazioni, il Mochi giunse perfino a considerare “quasi simpatico il brutale 10 realismo dei regimi totalitari”. Prendendo spunto dal fallimento della Società delle Nazioni, che aveva aperto uno stato di crisi nella civiltà occidentale, l’autore si mostrò alquanto scettico sia nei confronti di chi professava idee di costituzione di una Federazione mondiale, sia nei confronti dell’istituzione dell’O.N.U. . In quanto alla prima, la considerava solo “un comodo paravento per dare alla prepotenza una verniciatura 11 morale” e, quanto alla seconda, affermava: “l’O.N.U. ha ripetuti gli errori della Società delle Nazioni ed è destinata a subirne le sorti. Non si uniscono federalmente popoli che non hanno in 12 comune le concezioni fondamentali della vita”. Così, proseguendo nella critica, il Mochi diceva inoltre che “Il Patto Atlantico minaccia di divenire quello che fu la Società delle Nazioni: un organismo destinato a garantire ad una parte dei vincitori 13 la conservazione dei frutti della vittoria”. Per il Mochi, quindi, tutto questo stava a dimostrare quanto fossero gravi gli ostacoli che si opponevano ad una federazione effettiva e non soltanto nominale, “che intanto funzionerebbe in quanto potrebbe imporre la propria volontà a ciascuno dei componenti e quindi ne ridurrebbe 14 realmente la sovranità e li terrebbe alle proprie dipendenze”. Insomma, si aveva come l’impressione che nessuno volesse modificare lo stato delle cose, andando così incontro alla guerra, alla legge dei ricorsi storici, ad una condizione di crisi profonda della civiltà. Per il Mochi, l’esperienza non ha insegnato nulla agli uomini politici, poiché questi vanno ricommettendo con cieca ostinazione gli errori del passato. 7 Op. cit. p. 235. Op. cit. p. 238. 9 Op. cit. p. 235. 10 Op. cit. p. 235-236. 11 Op. cit. p. 235. 12 Mochi Alberto (a cura di) Oriente comunista e federazione europea. Materialismo marxista e moralismo storico, La Nuova Italia, Firenze, 1950, p. 77. Opera pubblicata postuma, scritta nel 1948. 13 Op. cit. Oriente com. p. 79. 14 Op. cit. Civiltà, p. 237. 8 31 Drammatica ed allo stesso tempo realistica, la considerazione che il Mochi fa: “La seconda guerra mondiale è stata più violenta e più crudele della prima ed ha rivelato fino a che punto la belva sopravviva nell’anima dell’uomo civile. Soprattutto ha riproposto il problema dell’anarchia internazionale con un’ urgenza tutta nuova. Impedire il ripetersi di un conflitto mondiale appare 15 ormai come l’unico mezzo per sfuggire alla distruzione totale della civiltà”. Certamente, con gli sviluppi notevoli della tecnica, un’altra guerra mondiale era da evitare poiché poteva essere l’ultima e rappresentare così la fine della civiltà. Nel rilevare come l’unione dei popoli non possa essere messa in discussione, in quanto indispensabile per il perseguimento della pace, il Mochi, con una sorta di profondo rammarico rappresenta come, “anche questa volta, sul declinare del conflitto e nei mesi immediatamente successivi alla sua fine, si sono levate, soprattutto nei paesi sconfitti, le stesse voci per la Federazione europea che risuonarono dopo la guerra precedente, ma i vincitori gettano di nuovo 16 acqua sul fuoco”. In primo luogo l’Inghilterra, uno dei paesi vincitori, faceva ben intendere che non voleva alcun mutamento dello stato delle cose, tutelando in tal modo la sua manifesta sovranità. Interessante a questo punto, è il pensiero del Mochi nei confronti dell’operato del Partito d’Azione che, nel corso della resistenza, sembrò potesse riunire intorno a sé le forze democratiche. Detto partito era stato fondato da un gruppo di antifascisti che, negli anni dell’esilio, avevano meditato a lungo sulla situazione politica non solo dell’Italia ma della intera Europa. Il loro motto era “Giustizia e Libertà” e chiamavano la loro dottrina “Liberalsocialismo”. Il loro fine era quello di unire le tre correnti fondamentali della vita sociale contemporanea: la corrente federalista, la liberale e la socialista. Il Partito d’Azione, nella pratica, ha tuttavia fallito, in quanto i suoi uomini non sono stati in grado di guidare la politica del paese. Il partito stesso, sciogliendosi, ha fatto sì che i suoi membri ritornassero alle varie correnti da cui provenivano. Tuttavia, il Mochi ben ribadisce come gli antichi azionisti continuassero ad esercitare una notevole influenza nel mondo dello spirito e concentrassero i loro sforzi per la costituzione di una Federazione europea. Del resto, per i loro contatti esterni, erano i più adatti per la propaganda federalista. Dopo la 2ª guerra mondiale si cercava di giungere, per diverse vie, ad una federazione dei paesi dell’Europa occidentale ancora liberi dal bolscevismo. Nella convinzione che i popoli non possono unirsi federalmente se non hanno dottrine politiche affini, si è ritenuto che il socialismo democratico o il laburismo potessero offrire una base comune di unione. Sul piano internazionale, i membri del Partito d’Azione non avevano perduto la speranza di realizzare la fusione del liberalismo col socialismo. A tale proposito il Mochi fa presente che due dei più noti azionisti, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, si erano interessati della questione in un volumetto firmato con le loro sole iniziali, uscito durante la lotta clandestina ed intitolato “Problemi 17 della Federazione europea”. Entrambi pensavano che il passaggio dal capitalismo al socialismo si potesse effettuare attraverso una rivoluzione che sarebbe scoppiata dopo la guerra. Al riguardo, il Mochi, nel far presente che “Chi oggi si avvicina alle loro idee, ritiene che lo si possa invece 18 effettuare per altre vie”, alla fine afferma che “il metodo conta poco”. Il Mochi, a questo punto, si sofferma a citare una parte significativa del pensiero espresso da Spinelli e da Rossi nel volume sopra indicato: “Occorre operare una redistribuzione della proprietà che non tenga conto degli interessi acquisiti delle classi padronali”, dare cioè “la proprietà dei mezzi di produzione ai lavoratori capaci di gestirli: la terra a coloro che la coltivano, la maggior parte delle azioni delle industrie agli 19 operai”. Su quest’ultimo punto, il Mochi è fortemente critico in quanto, operando in tal modo, si avrebbero niente altro che nuovi padroni che subentrano ai vecchi. Inoltre, si può dubitare che con la collettivizzazione parziale, cioè il livellamento obbligatorio, l’impossibilità di investire i risparmi, possa aumentare lo spirito d’iniziativa. Citando esempi, per la verità poco incoraggianti, di sistemi di socialismo democratico e laburista quali quello svedese ed inglese, il Mochi viene affermando infine che, la fusione della mentalità liberale con quella socialista è praticamente impossibile in quanto le due sono basate su concezioni 15 Op. cit. Civiltà, p. 236. Op. cit. Civiltà, p. 236. 17 A tale riguardo, vedere Op. cit. Oriente com. p. 14. 18 Op. cit. Oriente com. p. 15. 19 Op. cit. Oriente com. p. 15. 16 32 opposte della vita. Infatti, mentre il liberalismo esalta l’individuo, le disuguaglianze sociali, l’amor del rischio, il socialismo propugna l’assoggettamento dell’individuo alla comunità, l’egalitarismo, la ricerca della sicurezza economica. Peraltro, in ogni esperimento socialista è permanente il pericolo di uno scivolamento totalitario. Dopo queste brevi considerazioni, il Mochi comunque arriva a dire che: “L’Europa deve unirsi per le stesse ragioni per cui furono obbligati ad unirsi i Principati italiani e germanici del secolo scorso: perché i suoi Stati sono troppo piccoli per conservarsi indipendenti in un mondo in cui la 20 velocità dei mezzi di trasporto aumenta di continuo”. Inoltre, lo sviluppo delle armi moderne rendeva eccessivamente pericoloso lo scoppio di eventuali conflitti fra paesi di uno stesso continente. Il Mochi, pur affermando che “L’Europa si unirà dunque, o prima o poi”, subito dopo aggiunge: 21 “Ma nessuno può dir come”. Assai significativa può essere considerata tale espressione, in quanto lascia intravedere nell’autore un’ombra di paura sul futuro assetto dell’Europa. Infatti, nel vedere la costituzione di una Federazione tra i vari paesi europei, come la soluzione di forma migliore per salvare la loro stessa fisionomia nonché la loro civiltà, seppur difficile da realizzare, il Mochi rappresenta il rischio di un’Europa interamente conquistata dai sovietici o ridotta a colonia 22 degli Stati Uniti preoccupati di difendersi contro l’espansione russa. Prendendo spunto dal consolidarsi della civiltà americana e russa, gli europei devono, a detta dell’autore, trovare il senso della propria civiltà e il desiderio di salvarla, considerando allo stesso tempo che, le differenze di tradizioni, di lingua, di cultura, non sono da ritenere ostacoli insormontabili. La causa che rallenta il movimento federale e minaccia di farlo fallire, è vista nella paura che si trasformi in oppressione dei deboli da parte dei forti o in una sorta di sopraffazione. Del resto, aggiunge il Mochi, “Non si è trovata nessuna formula che permetta di dare ai singoli paesi la garanzia che unendosi agli altri non perderanno nulla, anche senza guadagnare. E allora si pensa che è pazzia mettersi da sé la corda al collo. E’ più facile tollerare una tirannia imposta, contro la quale si può imprecare, che non una spontaneamente accettata, dinanzi a cui non si può che 23 intonare il «mea culpa»” Tenendo presente i rischi di una unione federale mal congegnata sotto lo stimolo dell’urgenza, bisognava tuttavia ricercare la forma migliore per realizzare un’effettiva Federazione europea, così scongiurando altre soluzioni pericolose. 1.3. “Brevi considerazioni sulla Russia e la Germania in particolare. Giudizi di valore”. Interessante e degna di essere menzionata è senz’altro la posizione assunta dal Mochi nei confronti dell’espansionismo sovietico, inteso come seria minaccia per il mondo intero ed in particolare, per l’Europa occidentale, negli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. Emblematica, a mio avviso, appare l’espressione: “Il bolscevismo è la pretesa d’imporre con la 24 forza il regime che, contro le previsioni di Marx, non è riuscito a sorgere spontaneamente” , in quanto tende a rappresentare la dura critica dell’autore nei riguardi del comunismo. Tuttavia il Mochi, nell’affermare che il comunismo un secolo fa, ponendo in evidenza tra le più grandi ingiustizie sociali, la grave situazione degli operai all’inizio dell’epoca industriale, veniva a dire che, in un certo qual senso, aveva salvato la civiltà occidentale. Oggi però, prosegue l’autore, il comunismo minaccia la stessa civiltà, in quanto “le condizioni sono mutate e la potenza delle armi 25 ha reso la guerra un pericolo maggiore dell’asservimento del proletariato”. La mancata formazione di una Federazione europea occidentale costituente un unico blocco, e l’eventuale probabile fallimento dell’O.N.U., potevano dar luogo ad un’egemonia della Russia, tale 20 Op. cit. Oriente com. p. 20. Op. cit. Oriente com. p. 21. 22 A tale riguardo, vedere Op. cit. Oriente com. p. 21. 23 Op. cit. Oriente com. p. 22. 24 Op. cit. Oriente com. p. 39. 25 Op. cit. Oriente com. p. 95. 21 33 da formare sì un’Europa unita, ma sotto la stessa, così come era stato, in precedenza, il programma di Hitler per la grande Germania. Certamente l’autore, fa ben comprendere quali fossero i rischi e le difficoltà del momento. Si andava riproponendo, con la massima urgenza, il problema dell’Anarchia internazionale insieme a quello relativo alla sopravvivenza della civiltà occidentale, che doveva far fronte alla minaccia rappresentata dai terrificanti sviluppi della scienza e della tecnica. Dinanzi ai problemi umani, bisognava quindi evitare il ricorso alle soluzioni naturali quali le lotte, le distruzioni, il disprezzo per la persona umana e per la vita, in quanto riconducono l’uomo al livello delle bestie. Il Mochi, al riguardo, così affermava: “E infatti la Russia, appunto perché non conosce che le soluzioni naturali, fomenta le guerre civili nei paesi capitalisti, prepara la terza guerra mondiale nella quale vede lo strumento del suo definitivo trionfo, elimina inesorabilmente gli avversari, distrugge il vecchio mondo, convinta che la natura provvederà a formarne uno nuovo e 26 migliore”. L’autore, riprendendo a parlare dell’idea comunista, prosegue nel dire: “L’unione di tutti i popoli del mondo avrebbe dovuto essere la conseguenza della dittatura del proletariato che, 27 insieme alle classi sociali, avrebbe fatto scomparire anche i nazionalismi”. E’ importante infine, vedere come il Mochi consideri essenziale per il conseguimento della pace, la costituzione di una Federazione europea. Al riguardo, infatti afferma che: “Soltanto se si formasse un blocco europeo non sovietico, l’URSS avrebbe persa ogni speranza di far dell’Europa un suo feudo. A lei interessa che i paesi non ancora soggetti alla sua influenza entrino in conflitto fra loro per impedire che si consolidino all’interno. Il trionfo del comunismo non può essere che conseguenza della disperazione e del disordine: appena l’ordine si ristabilisce e i rapporti tra cittadini riprendono un andamento normale scompare ogni possibilità di accentrare nel partito e nello Stato tutto il potere. Ecco perché i comunisti d’oggi sono più nazionalisti dei fascisti e dei 28 nazisti di ieri”. Proseguendo nella sua critica, l’autore conclude dicendo: “Dopo la guerra attuale i delitti contro la reciprocità si accumulano e si moltiplicano. I paesi a struttura liberale ammettono la propaganda comunista sul loro territorio, mentre la Russia comunista non ammette la propaganda 29 liberale. Il Comunismo non è meno totalitario del fascismo e del nazismo”. Dopo essermi soffermato a parlare delle considerazioni del Mochi riguardo al Comunismo e all’URSS, mi sembra ora opportuno ed altrettanto interessante analizzare il suo punto di vista circa la posizione assunta dalla Germania subito dopo la 2ª guerra mondiale. La situazione in cui si trovava la Germania era davvero critica, sia sotto il profilo materiale che morale. Per la sua rinascita, il Mochi considerava necessaria non solo l’entrata della Germania in una confederazione europea, ma alla base auspicava, come condizione primaria, un mutamento della sua mentalità. Infatti, soltanto attraverso questo mutamento la sua situazione potrebbe cambiare, “sicché la sua rinascita materiale sarebbe condizionata dalla sua conversione. Soltanto una Germania liberata dalle scorie naziste potrebbe riprendere poco a poco in Europa il posto che 30 le compete”. Il Mochi era dell’idea che, sotto l’infatuazione post-bellica, si era teso attribuire alla Germania una mentalità diabolica. Ma al riguardo, l’autore ha seri dubbi, in quanto, se i tedeschi avessero veramente detta mentalità, non avrebbero prodotto un Kant, un Goethe, un Beethoven… Il fatto è che, attraverso un esame di coscienza si dovrebbe dimostrare che non tutte le colpe sono da una parte sola. Per il Mochi “la guerra è una conseguenza fatale dell’ingiustizia inerente all’organizzazione internazionale. Fare la guerra dunque, sia questa aggressiva o difensiva, non può essere imputato a colpa. Chi difende ciò che ha conquistato con la forza non è meno colpevole 26 Op. cit. Oriente com. p. 73. Op. cit. Civiltà p. 234. 28 Op. cit. Civiltà p. 239. 29 Op. cit. Civiltà p. 251. 30 Op. cit. Civiltà p. 251. 27 34 31 o meno privo di colpa di chi vuole acquistare con la forza ciò che non ha” , e aggiunge, “Punire 32 come un delitto la mancata fede al patto Briand-Kellog è indubbiamente assurdo”. Il Mochi, a proposito della Germania, continuava le sue osservazioni dicendo: “Molte sue rivendicazioni erano giuste, molte delle accuse che rivolgeva ai suoi avversari politici ed ai suoi concorrenti economici erano giustificate. Essa era in Europa il paese che sentiva di più l’ingiustizia della differenza di livello economico, di potenza, di espansione di fronte a Stati a lei vicini, come la Francia e l’Inghilterra, che non avevano avuto altro merito che quello di essere arrivate prima nella corsa alla conquista delle terre e delle materie prime. Le sue critiche alla Società delle Nazioni, 33 organo destinato a render permanenti i vantaggi della vittoria dei suoi nemici, erano giuste”. Tuttavia, il Mochi, rimproverava alla Germania il fatto che, anziché mettersi a capo di un movimento federale dove le sarebbe stato riconosciuto il giusto posto che le spetta, aveva preferito ricorrere alla forza bruta nel tentativo di sostituire i potenti e compiere a sua volta tutte le ingiustizie che questi avevano compiuto prima di lei. A questo punto mi sembra opportuno far rilevare come il problema della Federazione occidentale acquisti il rilievo predominante. Il Mochi, a mio avviso, vuole dimostrare come la formulazione del problema federalista debba passare dalla fase mitica a quella tecnico-scientifica. E’ il momento in cui quest’ “utopia” divenga una realtà politica. In Mochi si può cogliere tutta l’ansia di una persona seriamente intenzionata a mettere in luce gli ostacoli effettivi alla realizzazione della Federazione europea e, allo stesso tempo, trovare il modo di superarli, ciò sempre al fine ultimo che la guerra sia evitata e sia così salva la civiltà occidentale. Per l’autore, infatti, “la guerra impedisce le valutazioni morali oggettive: impossibile parlare di 34 giustizia quando la forza decide”. Purtroppo, sembra trapelare dal suo pensiero una sorta di pessimismo quando afferma: “E così, mentre si discute sull’estensione della Federazione, sui modi di eleggere i rappresentanti e per fornire al superstato la forza sufficiente ad imporsi, gli avvenimenti 35 precipitano e altre soluzioni avanzano” , oppure quando, nel ritenere assolutamente indispensabile una profonda rivoluzione spirituale affinché i princìpi della morale univoca vengano assunti come base delle valutazioni dei fatti sociali, dichiara con rammarico che “da questa rivoluzione ci andiamo ogni giorno allontanando; e finché non l’avremo compiuta sarà inutile controllare l’energia atomica o organizzare le Nazioni Unite; non potremo in alcun modo risalire la china che stiamo 36 discendendo”. Prendendo spunto dalle osservazioni appena esposte, a mio avviso, appare ora opportuno soffermare la nostra attenzione sul mezzo “tecnico” elaborato dal Mochi per rendere concretamente realizzabile la Federazione europea. Va ribadito comunque che, il fine ultimo è sempre quello di eliminare l’anarchia internazionale, generatrice di guerre, attraverso la realizzazione di un sistema dove regni la giustizia. E così l’autore, facendo una sorta di parallelismo con Cesare Lombroso, il quale, nella seconda metà del secolo scorso, analizzando i caratteri dei delinquenti secondo i metodi della biologia, creò l’antropologia criminale, arriva a dire: “Analogamente, noi sappiamo che non tutti i paesi sono allo stesso livello né dal punto di vista della loro potenza materiale, né da quello del loro avanzamento civile: dobbiamo proporci di usare i princìpi della morale univoca come Lombroso usò quelli della 37 biologia e fissare il posto di ciascuna collettività nella comunità internazionale”. Bisognava allora, in un certo qual senso, cercare di “misurare” i singoli paesi, e, tale compito, doveva essere assegnato a tecnici e non politici. Si doveva tener conto oltre agli elementi materiali della potenza quali l’estensione territoriale, numero di abitanti, ricchezza in materie prime, volume degli scambi, anche di dati che rappresentavano lo stato di avanzamento civile di un popolo, quali ad esempio il tasso di analfabetismo, la criminalità, la mortalità generale ed infantile, l’assistenza 31 Op. cit. Civiltà p. 245. Op. cit. Civiltà p. 245. 33 Op. cit. Civiltà p. 242. 34 Op. cit. Civiltà p. 245. 35 Op. cit. Oriente com. p. 22. 36 Op. cit. Civiltà p. 245. 37 Op. cit. Civiltà p. 240. 32 35 alle malattie e alla vecchiaia. Si evidenzia infatti che, agli elementi della potenza materiale non si poteva dare importanza esclusiva in quanto la forza determina solo la superiorità fra le bestie e non fra gli uomini. Tra l’altro, si rappresentava che alcuni elementi della potenza erano completamente indipendenti dalla volontà umana, come ad esempio l’estensione territoriale, la ricchezza del suolo, il clima. Infatti, il Mochi, riguardo ad altri elementi, affermava che essi dipendevano dal valore morale degli uomini. A sostegno del suo pensiero asseriva che “in nessun paese, per esempio, le ricchezze naturali vengono sfruttate se gli abitanti, invece di darsi ad un lavoro proficuo, 38 preferiscono combattere fra loro per togliersi scambievolmente il poco che possiedono”. I dati così raccolti dovevano infine essere elaborati dai tecnici, poiché ad ogni giudizio su di uno stato di fatto doveva accostarsi un giudizio di valore. Certamente si riconosceva che non era un’impresa facile, poiché anche lo scienziato come uomo, poteva nei suoi giudizi non essere pienamente obiettivo e cedere alle passioni, così allontanandosi dal raggiungimento della realtà morale oggettiva tanto auspicata nell’applicazione dei principi della morale univoca. Gli elementi naturali andavano valutati non tanto in base a numeri assoluti ma in base a rapporti o numeri indice. Così, il valore di un paese veniva determinato non solo per ciò che la natura gli ha dato, ma soprattutto per il modo in cui sa utilizzare le forze in suo possesso. Al riguardo, si poneva l’esempio di un paese che, con scarsa mortalità e con clima insalubre, valeva più di un altro che aveva il clima salubre e la stessa percentuale di morti. A sostegno della sua valutazione morale scientifica, il Mochi dichiarava: “Il giudizio complessivo sul posto da attribuire ad ogni paese non sarebbe certo più difficile di molti giudizi in processi complicati. I dati della morale univoca servirebbero da guida sempre più sicura via via che si 39 formasse un corpo di “Pandette” atto a servir di base ai ragionamenti analogici”. Assai significativo appare essere il pensiero del Mochi quando, da una parte sostenendo che “la Federazione dell’Europa occidentale non può essere realizzata perché non si riesce a fare in modo che i singoli paesi sentano di non perdere, unendosi, più di quanto guadagnano. Il problema tecnico 40 si riduce quindi alla ricerca della proporzione necessaria a che questo stato d’animo si ridesti” , arriva infine ad affermare: “Quanto maggiore sarà la convinzione che la proporzione proposta garantisce a ciascun popolo di conservare la situazione che ha raggiunta, tanto più presto si 41 giungerà allo stato federale europeo”. I federalisti, allora, se volevano veramente dare il loro apporto per il conseguimento della pace, dovevano concentrare le loro energie nella ricerca di un metodo che realizzasse un minimo di giustizia nella distribuzione dell’influenza dei singoli paesi nella Federazione. Se è vero che la causa delle guerre va ricercata in degli errori nella valutazione del livello civile dei popoli, bisognava proporre un metodo per evitarli. Particolarmente interessante, in quanto degno di riflessione, è il pensiero che il Mochi va esprimendo quando dice: “Sono oggi percepibili rapporti fra fatti sociali che prima sfuggivano, si 42 tratta di studiarli e di modificarli in modo da eliminarne le conseguenze dannose”. Così, ad esempio, dal rapporto fra il numero dei delitti denunciati e il numero dei delitti puniti, si può misurare il progresso giuridico, dal rapporto fra le forze naturali e le materie prime esistenti in un paese, e quelle effettivamente utilizzate, può venire misurata la laboriosità e l’organizzazione tecnica e industriale. Si è quindi di fronte a una scienza che si è posa per compito la misurazione del livello civile dei popoli; si tendeva a perseguire uno scopo pratico immediato da cui dipendeva addirittura la conservazione della nostra civiltà. Giustamente però, il Mochi fa presente che, una volta acquisiti i dati, occorre trovare l’accordo sulla loro interpretazione. A tale proposito, l’autore, per garantire l’oggettività dei giudizi, detta una procedura alquanto particolare: “In ogni paese dovrebbe esser permesso l’accesso degli studiosi di 38 Op. cit. Civiltà p. 241-242. Op. cit. Civiltà p. 244. 40 Op. cit. Oriente com. p. 86. 41 Op. cit. Oriente com. p. 91. 42 Op. cit. Oriente com. p. 89-90. 39 36 tutti gli altri; ognuno avrebbe il diritto di proporre una sua graduatoria; le graduatorie singole dovrebbero essere sottoposte ad una commissione suprema, ad un vero tribunale formato come meglio si riuscisse per garantire il massimo di competenza e di oggettività dei componenti: il giudizio definitivo dovrebbe essere preceduto da una specie di processo, con parte civile, difensore e procuratore generale, per conciliare gli interessi dei singoli senza allontanarsi dalla realtà. Se dopo tante garanzie si trovasse la forza sufficiente per eseguire la sentenza, si potrebbe esser certi 43 di aver raggiunto il minimo necessario di oggettività”. Certamente, affinché il sistema funzionasse, era essenziale che sia i valori fissati dai tecnici che il giudizio del tribunale, fossero improntati da una rigorosa imparzialità, il che non era facile da realizzare. 1.4 . “Problemi di rappresentanza e settori chiave nella Federazione europea.” Forse il momento più opportuno per applicare alla pratica le idee sul giudizio di valore, precedentemente esposte, si era presentato alla fine della prima guerra mondiale. E’ proprio in tale frangente che il Mochi vede il periodo storico più favorevole, infatti, “La Russia si era appartata da sé dall’Europa, il fascismo e il nazismo non erano ancora sorti, l’Italia e la Germania cercavano la loro via e non avrebbero certo rifiutato di apportare il loro contributo alla formazione di una confederazione basata sul principio della proporzionalità”. E aggiunge: “Oggi le cose si presentano molto più complicate. Alla Confederazione europea bisognerà che non si oppongano né l’America 44 né la Russia”. Tuttavia, per il Mochi, la paura della bomba atomica, probabilmente avrebbe contribuito a convincere gli uomini che esiste una realtà morale non meno oggettiva di quella fisica. Come si è già potuto osservare, per il Mochi risultava fondamentale la risoluzione del problema tecnico relativo alla ricerca della proporzione necessaria a far sì che si concretizzi un sistema di giustizia tra le varie Nazioni. Infatti, l’autore non ritiene affatto impossibile attribuire a ciascun paese il posto che gli spetta, a condizione però che sia valutata non solo la sua potenza, la sua ricchezza o la sua popolazione, ma anche il suo avanzamento civile. Il Mochi, al riguardo, arriva a dire: “Ma di una rappresentanza proporzionale alla ricchezza o agli armamenti non si parla neppure perché se ne sente subito l’assurdità. Ci si può rassegnare a subire la forza, ma non la si accetta come base del 45 diritto”. Così pure, un sistema basato sulla rappresentanza proporzionale alla popolazione, presenta i suoi inconvenienti. A tale proposito, il Mochi, in primo luogo, tende a criticare la proposta di una formazione di schema preliminare per la Costituzione mondiale, avanzata da un certo movimento universalista, tesa a chiedere la convocazione di un’assemblea costituente composta di un delegato per ogni milione di abitanti del globo. In tal modo, secondo il Mochi, si dava già in partenza, la 46 maggioranza dei tre quarti agli avversari della civiltà occidentale. In secondo luogo, l’autore, prendendo spunto da quanto sopra espresso, non era altrettanto convinto circa l’idea federalista della formazione di un’assemblea di popoli eletta democraticamente con un delegato per ogni aliquota di abitanti. Per il Mochi, inconvenienti non meno gravi di quelli rappresentati per il progetto di federazione mondiale si potevano verificare per la federazione europea. A tal fine, l’autore afferma che: “Con un rappresentante per ogni milione di abitanti, arrotondando le cifre, il Regno Unito avrebbe 46 voti, 47 l’Italia, se si tiene conto delle ultime statistiche, un numero uguale, la Francia 42, la Spagna 23….” E aggiunge: “Basta dare uno sguardo a queste cifre per spiegare gli entusiasmi dell’Italia e le esitazioni della Gran Bretagna. Ed i federalisti vorrebbero che l’Inghilterra mettesse le sue navi a 48 disposizione di un Parlamento nel quale Italia e Francia unite potrebbero metterla in minoranza”. 43 Op. cit. Oriente com. p. 91-92. Op. cit. Civiltà p. 247. 45 Op. cit. Oriente com. p. 83. 46 A tale riguardo, vedere Oriente com. p. 78. 47 Op. cit. Oriente com. p. 82. 48 Op. cit. Oriente com. p. 82. 44 37 Così procedendo, con questo sistema si può osservare che l’influenza dei piccoli Stati sarebbe sproporzionata alla loro importanza reale, realizzando in tal modo una patente negazione dei massimi valori dello spirito. Dopo queste considerazioni, ci si rende ancor più conto dell’importanza assegnata dal Mochi al giudizio di valore e, di conseguenza, allo stato di avanzamento civile dei popoli. Assai significativa è l’espressione che sta alla base del suo pensiero: “Qui dobbiamo partir dal principio che una confederazione fra i paesi europei che si mantengono fedeli ai principi della democrazia liberale sia 49 possibile”. Infine, veniva ribadito che “nell’assemblea federale, dunque, ogni paese avrà un numero di rappresentanti proporzionale ai valori fissati dai tecnici. Se la fusione dei dati riguardanti la potenza materiale con quelli relativi a valutazioni più strettamente morali risulterà troppo difficile, si potranno creare due assemblee, un parlamento ed un senato, nell’una delle quali la proporzione sarà stabilita prevalentemente sui dati della potenza materiale, nell’altra sui dati dell’avanzamento civile. Scopo supremo della confederazione sarà garantire l’unità militare ed economica e di evitare gli attriti fra i confederati. Quattro ministeri dovrebbero bastarle: difesa, finanze e economia, esteri e 50 interni”. Al riguardo, mi sembra degna di nota l’attenzione particolare riposta dall’autore nei confronti del settore militare ed economico nonché di quello interno. Altrettanto interessante è il procedimento di revisione delineato dal Mochi: “Ogni volta che vi saranno le elezioni al parlamento federale, si chiederà ai tecnici se si debbono mutare le proporzioni, accordando un maggior numero di rappresentanti agli stati che avessero nel frattempo 51 progredito ed eventualmente uno minore a quelli che fossero arretrati”. Detto sistema di revisione periodica dei valori, a parere del Mochi, si sarebbe dovuto attuare ogni cinque o dieci anni, poiché, a seconda della velocità dei cambiamenti e delle circostanze, si sarebbero dovuti rivedere i numeri indice e, di conseguenza, proporre una nuova composizione percentuale dell’assemblea. Seguendo questo sistema, quando i paesi meno progrediti avranno raggiunto gli altri più avanzati, e quindi saranno al loro stesso livello, si potrà allora dire che “sarà aperta la via al passaggio allo Stato unitario, nel quale si può senza pericoli accordare un rappresentante ad ogni 52 aliquota di abitanti”. 1.5 . “Aspetti critici sul federalismo mondiale. Frammentazione e misti-cismo dell’idea federalista.” Si è visto già in precedenza come, la risoluzione del problema dell’abolizione dell’anarchia internazionale rappresenti per il Mochi la questione più urgente da risolvere. Al riguardo però, appare interessante vedere come l’autore prenda le distanze da certi movimenti universalistici, giungendo così ad affermare: “Dall’America ci giunge rinnovato il sogno della pace perpetua attraverso la formazione di uno stato mondiale: ma nessuno dei numerosi movimenti per la federazione universale insegna come si deve fare per realizzarla; e allora le buone intenzioni non 53 valgono più nulla”. In questo modo, osservando che alcune di queste correnti ritengono necessario appoggiare l’O.N.U., si va incontro, a detta del Mochi, agli stessi errori precedentemente compiuti con la Società delle Nazioni, unendo popoli che non hanno in comune le concezioni fondamentali della vita. Per il Mochi, infatti, “perché il regime federale funzioni, occorre che chi passa da uno Stato ad un altro si senta ancora in casa propria e non debba mutare le proprie idee sul vero e sul giusto, sul 49 Op. cit. Civiltà p. 248. Op. cit. Civiltà p. 248. 51 Op. cit. Oriente com. p. 113-114. 52 Op. cit. Oriente com. p. 114. 53 Op. cit. Oriente com. p. 77. 50 38 bene e sull’utile, sul bello e sul sacro, come è obbligato a farlo, per esempio, chi attraversa la 54 cortina di ferro. Contro questo ostacolo urtano tutti i movimenti universalisti”. Così facendo, i federalisti mondiali si oppongono recisamente al solo provvedimento che, sia pur in via provvisoria, potrebbe offrire una soluzione del problema: la federazione dell’Europa non comunista. Si è arrivati persino a dire che, se si creasse una federazione europea cui non partecipassero né la Russia né l’America, ciò darebbe luogo alla formazione di nuclei federali asiatici e americani che si opporrebbero gli uni agli altri, così avvicinando la possibilità di un conflitto mondiale anziché allontanarlo. Il Mochi, al riguardo, è assai chiaro, in quanto si schiera con coloro che intendono procedere per gradi, cercando di realizzare dapprima la federazione europea. Attacca, di conseguenza, i federalisti mondiali accusati di non voler modificare, in pratica, lo stato delle cose. Certo, per l’autore, realizzare almeno questo minimo, cioè la federazione europea, non è affatto facile, in quanto non solo “l’idea federale si combina con le ideologie dei singoli partiti, ognuno dei 55 quali la tinge del proprio colore e vuole monopolizzarla a suo vantaggio” , ma anche perché “in ciascun paese esistono numerosi federalismi che si guardano in cagnesco: uno conservatore… uno 56 laburista… uno cattolico… uno nazionalista…”. Tale frammentarismo non giova sicuramente alla causa comune e fa sì che si ridestano le diffidenze e gli antagonismi, allontanando così la meta finale. Il Mochi, continuando nella sua riflessione, pone in guardia da un altro pericolo: “Uno dei segni dell’assenza di spirito scientifico nell’analisi dei fatti sociali è la tendenza alla degenerazione mistica delle diverse dottrine, che non è affatto un monopolio dei regimi totalitari. Accanto alla mistica democratica si va formando, almeno in Italia, una mistica federalista, sorda come tutte le mistiche alla logica ed al buon senso. Di fatto, la federazione non è un toccasana. Non basta che si formi, 57 bisogna anche che si mantenga;” Arriva così, infine, puntuale la critica: “Perciò i movimenti federalisti, o non riescono a scendere dalle nubi dell’ideale, o si contentano di battezzare con nomi 58 nuovi quello che c’è di più vecchio”. 1.6. “Europa come insieme culturale. Il ruolo fondamentale del mondo musulmano nei rapporti tra Occidente e Oriente. Dalla Lega di Nazioni allo Stato unitario.” Se da un lato il Mochi, nel rappresentare il posto preminente assunto dal problema della federazione dell’Europa occidentale, prendeva le distanze dalle posizioni utopistiche, inerti e pericolose, del pacifismo mondiale, dall’altro si era reso conto delle forti resistenze da parte dei paesi vincitori, in primo luogo la Gran Bretagna, al progetto di formazione di una federazione europea vera e propria. Ciò era dovuto al fatto che, fondare uno stato federale, significava togliere la forza agli Stati singoli e consegnarla nelle mani della nuova entità. Secondo il Mochi, tuttavia, alla Gran Bretagna, considerato come uno tra gli Stati più potenti e avanzati d’Europa del 2° dopoguerra, andava riconosciuto un ruolo di preminenza nell’assemblea federale. Con riferimento alla questione coloniale, l’autore ci rammenta che “l’Europa non è un’espressione geografica, ma un insieme culturale cui appartengono da un lato i Dominions 59 Britannici, dall’altro gli Stati più o meno indipendenti del bacino del Mediterraneo”. L’Inghilterra si trovava di fronte a due grossi problemi: da una parte l’Europa, dall’altra, i Dominions. Se si disinteressava all’Europa, l’Inghilterra creava ai suoi confini un focolaio di Comunismo, se si faceva sempre più europea ridestava la diffidenza dei suoi territori lontani, che rischiavano così di cadere sotto l’influenza americana. A questo punto, il Mochi proponeva una soluzione: “Da un lato potrebbe 54 Op. cit. Oriente com. p. 77-78. Op. cit. Oriente com. p. 79. 56 Op. cit. Oriente com. p. 80. 57 Op. cit. Oriente com. p. 93. 58 Op. cit. Oriente com. p. 79. 59 Op. cit. Civiltà p. 252. 55 39 divenire la guida dell’Europa, dall’altro restare la tutrice dei Dominions, senza che l’una delle sue 60 funzioni interferisse con l’altra”. L’autore, immaginando questo esperimento riuscito, riteneva che l’esempio dell’Europa avrebbe influenzato altre parti del mondo, tra cui l’America latina, che troverebbe utile organizzarsi federalmente. Verrebbero così nel tempo a formarsi quattro gruppi federali, dei superstati, gli U.S.A., l’Europa, il Commonwealth britannico e l’America latina. “Questi quattro superstati potrebbero formare una confederazione di confederazioni unendosi mediante un patto che prevedesse l’istituzione di un tribunale arbitrale e di due commissioni permanenti, una militare ed 61 una economica, per regolare i loro rapporti”. Di indubbia rilevanza appare anche la questione, tuttora di attualità e di enorme interesse, dei paesi del bacino del Mediterraneo. Essi rientravano nel problema di base dei rapporti tra Occidente e Oriente. Come ben rileva il Mochi, i popoli islamici, in qualità di rappresentanti del monoteismo più intransigente, in un certo qual modo riattaccati alla tradizione europea, erano situati tra il mondo monoteista composto dalle due Americhe, l’Europa e i Dominions, ed il mondo panteista ed ateo dell’Asia e della Russia. Veniva osservato tra l’altro che “l’Islam ha servito spesso a proteggere l’Occidente monoteista contro l’Oriente panteista, ma altre volte invece che una diga è stato una 62 via, attraverso la quale l’Oriente è penetrato in Occidente”. L’Europa ed il mondo occidentale, attraverso l’Islam, entrano in rapporto da un lato col panteismo dell’India, dall’altro con l’ateismo materialista della Russia. Il mondo musulmano rappresentava così la chiave dei rapporti tra Occidente e Oriente. Il Mochi, allora, dinanzi a tale problema, prospettava svariate soluzioni tese ad individuare un possibile inserimento dei popoli arabi nel contesto mondiale. Così, si ipotizzava una loro unione in una quinta confederazione che si assocerebbe alle altre quattro. Oppure, una loro divisione in due gruppi, dove, quegli Stati più progrediti ed evoluti, a parità di diritti e di doveri, sarebbero potuti entrare nella federazione europea, mentre gli altri paesi rimarrebbero ancora passibili di regime coloniale. Il problema dei rapporti tra Occidente e Oriente, riportava di conseguenza in primo piano la questione del confronto tra la Russia e le democrazie occidentali. I rapporti tra le stesse erano 63 considerati dal Mochi ambigui ed assurdi, e non meritevoli di continuazione. Infatti, non esisteva reciprocità in quanto idee e uomini si spostavano in una direzione sola. Se l’Occidente non vuole abdicare realmente al comunismo, deve esigere da quest’ultimo la reciprocità positiva o quella negativa. A questo punto, il Mochi propone un’alternativa: “E’ indispensabile farne o un filtro che si lasci percorrere nei due sensi, o una diga nella quale si possano aprire a ragion veduta delle 64 saracinesche, nel luogo e nel tempo più opportuni”. Considerando l’assenza di logica nei rapporti fra la Russia e l’Occidente, l’autore vedeva nella reciprocità negativa il solo rapporto razionale tra Russia ed Europa. Tuttavia, la posizione di dura ostilità assunta dal Mochi nei confronti del Comunismo, pare aprirsi ad una imprevista forma di intesa e di comprensione, al fine che la guerra sia evitata e sia salva la civiltà occidentale. Al riguardo, infatti, il Mochi viene ad affermare: “E’ molto probabile che demoliberalismo e comunismo siano ugualmente buoni, ma adatti a due tipi diversi di mentalità, proprio come il monoteismo e il panteismo. Lasciamo dunque che si svolgano liberamente, evitiamo con cura meticolosa tutto 65 quello che li può alterare o disturbare: soltanto così l’esperienza ci potrà insegnare qualche cosa”. Così pure veniva espresso che: “Se la concezione orientale della vita si svilupperà in maniera autonoma sul proprio terreno mentre l’occidentale procederà indisturbata sul suo, se i rapporti fra le due potranno essere regolati da una specie di Società delle Nazioni, che avrà qui la sua ragion 66 d’essere ed il suo compito, l’esperienza deciderà chi sa far meglio”. 60 Op. cit. Civiltà p. 252. Op. cit. Civiltà p. 252. 62 Op. cit. Civiltà p. 253. 63 A tale riguardo vedere Civiltà p. 255. 64 Op. cit. Civiltà p. 255. 65 Op. cit. Civiltà p. 256. 66 Op. cit. Oriente com. p. 99. 61 40 Per il Mochi, il formarsi di tre o quattro grandi unità, di veri e propri blocchi di Nazioni, avrebbe dovuto rendere più facile l’intesa, rispetto che al rapporto tra cinquanta o sessanta Stati. Veniva in questo modo auspicata, con la formazione eventuale di questi blocchi, quale ad esempio quello russo-mongolico e quello occidentale, accompagnata da una più stretta collaborazione e amichevole composizione dei diversi interessi, la tanto sospirata pace mondiale. L’autore arriva così ad affermare: “Liberi dei loro movimenti, autonomi seppur legati fra loro, i vari indirizzi della civiltà saranno messi alla prova. Quello che riuscirà meglio eserciterà indubbiamente un’attrazione sugli altri. La civiltà occidentale deve fondare tutte le sue speranze sulla fede che il suo metodo sia migliore degli altri e che quindi poco a poco tutta l’umanità debba 67 piegarsi, non per forza, ma nel proprio interesse, ad adottare i principi della morale univoca”. Allora, di conseguenza,si poteva arrivare a dire che: “Il sistema che garantirà maggior giustizia ed 68 aprirà più vasti orizzonti si estenderà spontaneamente, quasi all’infuori dell’opera dei singoli”. In conclusione, il programma delineato dal Mochi prevedeva nel mondo quattro tipi di organizzazione politica, il cui progresso era rappresentato nel passaggio dei singoli paesi da uno stadio di organizzazione al precedente. Essi erano: − Stati unitari con governo centralizzato; − Stati federali con organizzazione della difesa, dell’economia, della finanza e rappresentanza comune verso l’estero; − Federazioni senza governo centrale ma con tribunali arbitrali e commissioni per la coordinazione delle forze armate e dell’economia; 69 − Lega di Nazioni con un’assemblea permanente a tipo diplomatico. Il problema del governo mondiale, se l’Occidente avrà la meglio, sarà così risolto attraverso la trasformazione delle federazioni in Stati unitari, delle confederazioni in federazioni, della Lega di Nazioni in confederazione, finché il mondo intero sarà regolato nel modo migliore. In tale contesto, la Federazione europea, è vista dal Mochi come momento di passaggio obbligato per arrivare a formare un’Europa intesa come Stato unitario con una vera e propria coscienza nazionale europea. 67 Op. cit. Civiltà p. 256-257. Op. cit. Oriente com. p. 99. 69 A tale riguardo vedere Civiltà p. 257. 68 41 ALLA RICERCA DELL'UOMO EUROPEO∗ ∗∗ di Giovanni Reale Una Costituzione europea è ormai scritta e in fase di ratifica in molti Paesi europei (Francia e Olanda esclusi!), ma in certa misura manca una cosa essenziale: manca l’"uomo europeo". In effetti, la Carta costituzionale è ricca di indicazioni di carattere giuridico ed economico, ma è povera di "spirito europeo". Ma perché possa spuntare il "nuovo spirito europeo", dovrebbe rinascere un "nuovo uomo europeo". Max Scheler diceva: "Mai e in nessun luogo i semplici trattati hanno creato una comunità, al massimo essi la esprimono". Una Costituzione rischia di rimanere una costruzione geometrica artificiale, se non fa riferimento a un soggetto che, al di là di ogni diversità, non possegga un'unità spirituale di fondo, e non solo interessi pragmatici ed economici. Ecco i problemi di fondo che emergono a questo riguardo: 1) che cosa è stata l'Europa? 2) a prescindere dalla Costituzione, si può dire o no che esiste, o che comunque può rinascere un "uomo europeo", ossia quel soggetto culturale e spirituale, di cui dicevo? 3) e come si può pensare possibile questo, se ormai sono ben venticinque i Paesi che entrano nella nuova Europa, e cresceranno ulteriormente di numero nei prossimi anni? 4) la nuova Europa non rischierà di essere non più che una sorta di "mosaico", fatto da un insieme di "tessere" giustapposte le une alle altre, senza un ben preciso disegno fortemente unitario? Per rispondere a questi dubbi, io ritengo opportuno fare alcune osservazioni di principio. Lützeler scrive: "Non si può costruire una casa comune europea senza avere un'idea dell'Europa conforme alle sue identità". Io amplierei questa affermazione e la approfondirei in questo senso: "Non si può costruire una casa comune europea senza ricostruire non solo l'idea di Europa, ma anche e specialmente l'idea dell'uomo europeo conforme alle sue identità". In effetti, più che mai oggi emerge la verità di ciò che Platone diceva: “ lo Stato non è se non un'immagine ingrandita dell'anima dell'uomo”, per la ragione che lo Stato sta nell'interiorità dell'uomo stesso prima ancora che al di fuori, in quanto il vero Stato viene costruito in primis et ante omnia nella sua anima. Di conseguenza, la "casa europea" non si può costruire in maniera adeguata se non si costruisce nell'anima stessa dell'uomo europeo. In altri termini, la "casa europea" è quell'abitazione che non può veramente sussistere se non è e se non si sente "europeo" colui che la deve abitare. Come è nata e che cosa è stata l'Europa. Hans-Georg Gadamer diceva giustamente che il domandarsi che cosa sia stata l'Europa in passato, che cosa sia ora e che cosa sarà domani, significa innanzitutto domandarsi: "come l'Europa è diventata ciò che è". ∗ ∗∗ Intervento tratto dal Bulletin européen, n. 661 del giugno 2005. Il prof. Giovanni Reale è docente di filosofia presso l’Università degli Studi “San Raffaele” di Milano. 42 Edgar Morin precisa: “Se si cerca l'essenza dell'Europa, non si trova che uno "spirito europeo"”. Ricordiamo che, in effetti, l'Europa è sempre stata: 1) una realtà "meta-geografica" (ossia con confini indeterminati e mobili); 2) inoltre, è stata una realtà "meta-politica" (eccezion fatta solo per il momento particolare del Sacro Romano Impero); 3) la realtà dell'Europa è sempre stata di carattere prevalentemente "spirituale". Il filosofo ceco Jan Patocka scriveva: "Si parla senza fine dell'Europa in senso politico, ma si trascura la questione di sapere che cosa sia realmente e da dove è nata. Noi vogliamo parlare dell'unificazione dell'Europa. Ma l'Europa è qualcosa che si può unificare? Si tratta di un concetto geografico o puramente politico? No! Se vogliamo affrontare la questione della nostra situazione presente, dobbiamo comprendere che l'Europa è un concetto che si basa su fondamenti spirituali e così si capisce che cosa significa la domanda". L' “Idea di Europa” è nata dalle seguenti grandi radici: 1) in primo luogo, dalla cultura greca e greco-romana; 2) in secondo luogo, dal messaggio cristiano; 3) in terzo luogo - quella moderna e soprattutto quella contemporanea - dalla grande rivoluzione scientifico-tecnologica, iniziata nel Seicento e proseguita a straordinaria velocità e con strabilianti effetti. Oltre a queste grandi radici ci sono anche altri elementi di vario genere e di varia portata. Io mi concentrerò solamente su questi tre grandi, che sono stati quelli che hanno assorbito e 1 metabolizzato anche gli altri . 1 Quest'articolo e i seguenti che saranno pubblicati nel Bulletin européen si ispirano al mio volume: Radici culturali e spirituali dell'Europa. Per una rinascita dell'uomo europeo, Cortina Editore, Milano, 2003, già più volte riedito in pochi mesi e in corso di traduzione in tedesco, francese, spagnolo, ceco e albanese. Chi è interessato potrà trovare adeguati approfondimenti di ciò che qui in sintesi presento nel volume citato, con relativa documentazione e rimandi bibliografici (nota dell'autore). 43 LA FORMAZIONE COME STRUMENTO STRATEGICO PER L’INNOVAZIONE NELLE PUBBLICHE ISTITUZIONI. IL RUOLO DEL DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA ∗ di Rosario Scalia 1. Una premessa di carattere metodologico. Quando si intende affrontare il tema della “qualità delle risorse umane” nel contesto delle pubbliche istituzioni, di quelle pubbliche istituzioni che continuano ad essere responsabili, al di là dell’applicazione che una classe politica possa fare, in un determinato periodo storico, del principio della sussidiarietà orizzontale (“più privato meno Stato”), non si può fare a meno di svolgere alcune riflessioni di fondo su quella politica che siamo abituati a definire, in maniera onnicomprensiva, come la “politica del personale nel settore pubblico”. L’analisi che si intende portare all’attenzione è quella di verificare se effettivamente vi sia stata sinora, da parte dei diversi livelli di governo (e, in particolare, di quello statale) una adeguata considerazione del valore che questo strumento di innovazione possiede, se effettivamente vi sia stata, nelle diverse realtà istituzionali, una offerta formativa adeguata alla domanda di conoscenza, se effettivamente la formazione, in quanto capace di creare “nuova cultura” (saperi) così come “disponibilità al cambiamento” (comportamenti), sia stata utilizzata per migliorare i prodotti/i servizi resi al cittadino, al sistema delle imprese. Si può condividere, innanzitutto, la tesi secondo cui le risorse umane costituiscono parte essenziale del patrimonio immateriale di ogni organizzazione; esse sono un capitale, il “capitale umano”. E si può anche dire, senza che alcuno possa formulare posizioni culturali che ne smentiscano la validità, che senza una adeguata politica del personale, delle risorse umane, qualsiasi organizzazione è destinata inevitabilmente all’inefficienza, prima, e alla conseguente inefficacia, risultando anti-economica la sua stessa sopravvivenza. E ciò è tanto più vero nelle organizzazioni che producono servizi: in tutti i casi in cui la prestazione è un servizio, viene ad essere valutata l’attività del personale che ha reso il servizio stesso e il modo in cui tale personale lo ha reso. Le caratteristiche possedute da questo personale e la qualità delle relazioni (contatti) che esso instaura con l’utenza, quindi, definiscono il grado di soddisfazione dei clienti non meno delle caratteristiche intrinseche del servizio stesso. Se è vero che le risorse umane costituiscono parte essenziale del patrimonio immateriale di ogni organizzazione, si rende necessario porre in essere attività specifiche per la loro acquisizione, per la loro conservazione, per la loro gestione e, infine, per la loro valorizzazione. L’insieme di queste attività costituisce “la politica del personale”, costituisce, in senso minimo, “la politica delle risorse umane”. Non abbiamo usato a caso termini come “acquisizione”, come “conservazione”, come “gestione”, come “valorizzazione” delle risorse umane. Sono termini questi ripresi non dalla disciplina del diritto amministrativo, che usa un linguaggio suo proprio, ma dalla poco coltivata disciplina, nel nostro Paese, della “scienza dell’amministrazione”, della “scienza dell’organizzazione”. ∗ Rosario Scalia è consigliere della Corte dei conti, docente di "Contabilità degli enti pubblici" presso la LUMSA di Roma e socio fondatore del centro di studi "Max Weber". 44 Già questo costituisce un indice del cambiamento culturale che è stato probabilmente generato dai principi contenuti in alcuni articoli del decreto legislativo n. 29/93; principi che, in considerazione della loro essenziale generalità, ritroviamo confermati in quelli del d.lgs. n. 165/2001. Ed è carico di sostanziale significatività il richiamo che l’art. 1 del citato d.lgs. n. 165/2001 fa dell’art. 97, 1° comma, della Costituzione; quell’articolo della Costituzione che fa riferimento al “buon andamento”, a quel sistema virtuoso di comportamenti degli amministratori pubblici che la cultura anglosassone chiama, più comprensibilmente, “sana gestione”. Non può non far riflettere che anche le autonomie locali debbano, avendo a presidio culturale dei comportamenti dei loro amministratori il principio costituzionale richiamato, “accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici” e, al contempo, esse – le autonomie locali – debbano “realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane …, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti…”. Una linea-guida che il Parlamento nazionale, in aderenza al testo, non più vigente, dell’art. 117 Cost. (si faceva riferimento alla potestà legislativa nazionale di fissare “principi fondamentali” nei riguardi delle Regioni a statuto ordinario; o di qualificare tali principi come “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica” nei riguardi delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano), ha inteso riaffermare nell’art. 7, 4° c., dello stesso decreto legislativo: “Le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l’aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l’adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione”. C’è da chiedersi, allo stato della nuova legislazione costituzionale del nuovo art. 117, che esclude nella materia dell’ordinamento degli uffici diversi da quelli statali l’interferenza normativa del Parlamento nazionale, se l’obbligo di curare la formazione continua del personale dipendente, posto a carico del bilancio di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, risulti coperto da un sistema normativo di fonte costituzionale. Al di là della disciplina nazionale, di fonte parlamentare, che ha inteso privatizzare il rapporto di lavoro della maggior parte dei dipendenti pubblici nell’illusione che con ciò si sarebbe conseguito una maggior livello di produttività degli apparati, sono gli articoli 28 e 97 della Costituzione che, letti integrativamente in rapporto all’art. 3 della stessa (tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge), legittimano oggi le diverse amministrazioni pubbliche a: a) curare la formazione e l’aggiornamento del personale b) garantendo l’adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione. Sembrerebbe quest’ultima dichiarazione un “refuso storico”. Affermazione questa che sembra contraddire la strategia di pervasiva privatizzazione del rapporto di lavoro che si è venuta attuando nel periodo successivo all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 80 del 1998: si afferma, infatti, l’esistenza di una cultura propria, specifica della pubblica amministrazione. Ebbene, da questa affermazione, sulla quale quasi nessuno studioso di pubblica amministrazione ha ritenuto di dover puntare l’attenzione, possiamo risalire al valore “diverso” che ha lo svolgimento dei servizi pubblici essenziali rispetto a quello dei servizi che “pubblici” non sono. Lo svolgimento dei servizi pubblici richiede, in sostanza, di fare ragionamenti e valutazioni in termini di qualità, in termini di standards che vanno condivisi dagli utenti, e che vanno giudicati dagli stessi. E perché questa qualità risulti evidente sarebbe interessante verificare quali e quante risorse finanziarie un datore di lavoro – in questo caso pubblico – dedica alla formazione del personale che il servizio è chiamato a rendere. 45 Il “buon andamento” comprende, secondo una affermata tendenza giurisprudenziale della Corte Costituzionale, il rispetto del parametro della legittimità, ma anche il rispetto di altri parametri: quello dell’efficienza, quello dell’economicità, quello dell’efficacia. Da qui la riscoperta di una cultura della Pubblica Amministrazione che non è semplicemente quella dell’aziendalistica privata. C’è, quindi, una via tutta nuova, del tutto originale, che porta alla riscoperta del “buon andamento” cui hanno inteso fare riferimento i nostri padri Costituenti. E tale tipo di riflessione assumerà tanto più valore quanto più la ricerca scientifica riuscirà ad assicurare una lettura coesa dei principi “tradizionali” contenuti negli artt. 28 e 97 Cost. e di quelli “nuovi” contenuti negli artt. 117 (buon andamento/imparzialità) e 118 (sussidiarietà; differenziazione; adeguatezza) nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001. Alla luce di queste disposizioni andrebbe, quindi, letta la direttiva sulla formazione del personale delle pubbliche amministrazioni che, il 13 dicembre del 2001, è stata messa a punto dal Dipartimento della Funzione Pubblica. Una “direttiva” che, proprio per assicurare ancora al Dipartimento il ruolo di coordinamento nella materia, introduce concetti nuovi sulla valenza che le dirigenze pubbliche, responsabili amministrativamente ai sensi dell’art. 28 Cost., sono chiamate ad annettere alle gestione delle risorse finanziarie utilizzate a tale scopo. La direttiva indica metodi, propone procedure, sollecita comportamenti diversi rispetto al passato, sposando una logica di sostanziale razionalizzazione della gestione degli interventi formativi. E proprio da queste sollecitazioni vanno emergendo, nel territorio nazionale, esempi di una corretta gestione delle risorse finanziarie destinate a una sempre più razionale gestione della politica delle risorse umane…; e che deve diventare misura del “buon andamento” conseguibile dai diversi livelli di governo. 2. L’interpretazione da dare al tema della formazione dei dipendenti delle pubbliche istituzioni. Vi sono alcune affermazioni, formulate dal Dipartimento della Funzione Pubblica nell’occasione della messa a punto della “direttiva” sulla formazione e sulla “valorizzazione” delle risorse umane (per l’anno 2002 e per gli anni a venire) – diretta a tutte le pubbliche amministrazioni -, che sono destinate a conservare nel tempo il pregio di una loro sempre viva attualità, di una loro sempre fresca validità. Sono affermazioni che, per la forte individuazione di valori che esse stesse contengono, sono – e possono essere – richiamate a supporto del principio del buon andamento (art. 97 Cost.) cui si deve ispirare anche la politica pubblica della gestione delle risorse umane nella Pubblica amministrazione, dato che essa utilizza risorse finanziarie rivenienti dal sistema tributario. La formazione è un investimento; la formazione deve consentire la crescita professionale degli operatori pubblici; la formazione deve consentire, al contempo, il miglioramento dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni ai cittadini. Ma c’è un’altra affermazione che occorre porre in giusta evidenza: il fatto che, attraverso l’analisi dei fabbisogni formativi e la conseguente programmazione degli interventi, si possa assicurare il diritto individuale alla formazione permanente in coerenza con gli obiettivi istituzionali delle singole amministrazioni. Un passaggio questo che la dice lunga sui tempi e sui modi di realizzazione di quella parte della politica pubblica delle risorse umane, che viene a costituire il “torso” fondamentale delle relazioni sindacali a livello centrale. E che si deve nutrire degli apporti contenutistici della “periferia” del sistema amministrativo, se è vero che si richiede alla formazione di essere strumento a supporto del sistema delle innovazioni introdotte. 46 Nelle affermazioni richiamate c’è la profonda consapevolezza che ormai le procedure definite, i tempi delle decisioni da assumere, le modalità di realizzazione dei progetti richiedono ai diversi attori del sistema una cultura che, se non c’è, va costruita. E, oggi, se si intende fare seriamente “formazione aziendale”, occorre evitare situazioni di pressappochismo nell’approccio al tema; occorre evitare, ancora, che la formazione assuma solo ed esclusivamente i caratteri della lezione teorica, senza alcuna garanzia di trasmissione dei risultati dell’esperienza acquisita sul campo; ma occorre, anche, che la scelta dell’offerta formativa possa essere esercitata dal singolo, anche al di fuori degli spazi circoscritti dal proprio datore di lavoro. Anche perché, a volte, la programmazione degli interventi, sia che sia cadenzata su base annuale sia che si sviluppi secondo tempi più ampi (triennalità), così come gestita dallo stesso ente pubblico, non consente di capire le esigenze di “nuova” cultura via via emergenti. Anche in questo campo, vi sono ancora da scrivere piccole regole di comportamento; vi sono da individuare spazi di acquisizione di nuova cultura per i tanti come per i pochi; vi sono da scoprire talenti, tra gli stessi operatori, che sono in grado di trasmettere l’esperienza maturata ai propri colleghi. Alla luce di queste prime considerazioni, c’è da immaginare che le risorse finanziarie sono da utilizzare in quanto si abbia la capacità previsiva, da parte degli stessi amministratori, di valutarne l’efficacia e la qualità degli interventi formativi da porre in essere. Non è questo un progetto culturale di poco momento. Mi pare di poter solo dire, qui, alcune semplici cose: a) la qualità del servizio formativo è assicurata, in genere, dalla professionalità degli interventori (adeguatezza culturale); b) la qualità del servizio formativo subisce graduazioni in rapporto al livello culturale posseduto dai suoi destinatari (personalizzazione); c) la qualità del servizio formativo è data dall’accuratezza posta fin dalla (fase della) progettazione degli interventi, e nel dosaggio che si sia riusciti ad assicurare tra i momenti di teoria e quelli di pratica (variabilità nei contenuti). E’ in questo scenario che si inserisce la politica pubblica delle risorse umane, una politica che è chiamata ad adattarsi al sistema delle funzioni gestionali, quali risultano ripartite dalla Costituzione tra i diversi livelli di governo. Un adattamento alla realtà amministrativa che risulta contrappuntato dalla diversità dei saperi e delle tecniche gestionali: quelli che sono necessari per svolgere la funzione di programmazione sono diversi da quelli necessari per controllare l’esecuzione di una legge; così come sono ancora diversi quelli necessari a gestire i provvedimenti/i servizi da rendere per dare esecuzione, appunto, a una legge, statale o regionale che sia. A questa esigenza differenziata di contenuti occorre essere in grado di fornire una risposta adeguata, e per ciò stesso mirata. E in tale situazione può essere utile la creazione di un “centro” di progettazione formativa che guidi le pubbliche istituzioni verso traguardi culturali possibilmente non differenziati? 3. Alla ricerca dei responsabili della politica pubblica della formazione permanente delle risorse umane nella Pubblica Amministrazione. La individuazione di “centri di responsabilità”, che siano in grado di capire l’evoluzione del fabbisogno formativo degli operatori pubblici, viene richiesta nella direttiva del 13 dicembre 2001 del Dipartimento della Funzione Pubblica. 47 Come progettare la formazione. I dati/le informazioni disponibili. Progettare la formazione sulla base di dati/informazioni relativi a 1. personale 2. mutamenti organizzativi 3. mutamenti normativi 4. offerta presente sul mercato della formazione 48 Le tre sfide importanti da affrontare. Il ruolo della formazione. La domanda di nuove competenze − Analisi aggiornata dei profili professionali L’informatizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni − − Riorganizzazione delle amministrazioni Migliore organizzazione del lavoro La riforma della dirigenza − − Alta formazione continua Modello manageriale 49 Essa diviene una necessità ove si tenga conto che, tra le azioni di natura propedeutica, c’è quella di creare delle specifiche banche-dati: banche-dati che siano in grado di rendere prontamente leggibili le competenze possedute dal personale. Nella sostanza, il Dipartimento della Funzione Pubblica dimostra uno specifico interesse a che la programmazione degli interventi formativi risulti ancorata all’analisi (quanto più realistica possibile) della professionalità (grado di) posseduta dagli operatori. Ma il Dipartimento sembra dimenticare le vicende che hanno interessato l’evoluzione della carriera dei dipendenti pubblici in conseguenza dell’affidamento alla contrattazione collettiva decentrata del potere di autodefinizione dei contenuti dei profili professionali. Così che, oggi, non sembra più essere agevolmente praticabile il percorso della programmazione degli interventi formativi ispirato dalla verifica degli skills posseduti; per quasi tutti gli operatori pubblici si prospetta un periodo, almeno decennale, di formazione permanente da programmare. Ma senza che si parli necessariamente di riqualificazione, o di riconversione professionale, o di aggiornamento. C’è, invece, da pensare a un movimento culturale dalle caratteristiche fondamentali che si ponga quale primo, fondamentale obiettivo quello di “allineare” il livello professionale di quanti si sono ritrovati ad occupare posizioni professionali per la cui copertura l’ordinamento richiede(va), ad esempio, il possesso del diploma di laurea. Senza questo sforzo corale di adeguamento minimo a un disegno ricostruttivo della cultura amministrativa violata, non sarà possibile pensare a un effettivo decentramento delle funzioni, né dallo Stato alle Regioni né da queste ultime al sistema delle autonomie locali. Saranno i dirigenti a dover essere i responsabili della formazione delle risorse umane: è una indicazione che emerge dalla lettura della direttiva. Ma nel sistema delle autonomie locali, soprattutto, in quei Comuni che hanno un sistema organizzativo minimo, nel quale non possono essere presenti i dirigenti, sarà difficile seguire il percorso accennato. Eppure, le esigenze di aggiornamento, così come quelle di riqualificazione professionale, sono assai evidenti proprio nei Comuni di piccola e di media dimensione. Ed è proprio in questi Comuni che, nei fatti, la responsabilità amministrativa si ritrova ad essere connaturalmente definita in capo ai politici locali, dato che essi sono stati chiamati dalla legislazione più recente ad occuparsi in prima persona della gestione delle risorse finanziarie. Non c’è alcun dubbio sul fatto che al progetto culturale in questione deve essere posta una forte attenzione. Anche perché c’è uno stretto collegamento tra responsabilità amministrativa e cultura della gestione. Ma in questa nuova visione del sistema amministrativo, in cui la classe politica è chiamata a svolgere a tutto campo il suo ruolo, si scopre il valore della formazione, uno strumento per il cambiamento che deve essere guardato come un veicolo di traformazione della complessità… 4. A chi serve la formazione? Ai cittadini, utenti del servizio pubblico. Sembrerebbe, leggendo la direttiva nella sua parte introduttiva, che la formazione sia da considerare un diritto-dovere dell’operatore pubblico… E si guarda alla programmazione come a una tecnica gestionale che il decisore politico è chiamato ad usare perché sia soddisfatta l’esigenza manifestata dagli operatori, quella di vedere destinate risorse finanziarie certe a copertura delle spese necessarie a tale scopo. Invece, si introduce – nel linguaggio della burocrazia – il riferimento agli utenti indiretti, agli utenti finali dell’attività formativa. 50 Sono utenti indiretti, le amministrazioni; sono utenti finali i cittadini. Così che “per misurare l’efficacia dei risultati dell’azione formativa intrapresa, …, occorre tenere presenti le valutazioni espresse dai partecipanti alle attività formative, quelle dei dirigenti delle amministrazioni e, infine, le valutazioni espresse dai cittadini che usufruiscono dei servizi delle pubbliche amministrazioni”. Ed è in tale contesto che si afferma che “sono i cittadini che debbono poter riscontrare un miglioramento continuo delle prestazioni ad essi rese”. In tal modo, la formazione si pone al servizio di mutamenti istituzionali, che vengono a incidere sull’organizzazione e sulla capacità di assicurare il miglioramento del servizio pubblico dell’attività amministrativa. A questo punto, si viene ad evidenziare un problema che nella contrattazione collettiva (soprattutto quella di livello decentrato) è stato posto in termini diversi in cui, oggi, la direttiva lo pone: quello di dover considerare la formazione come un obbligo del datore di lavoro per consentire la crescita professionale degli operatori. Nella direttiva si continua a parlare di crescita professionale del singolo dipendente, ma essa viene vista precipuamente in funzione di un miglioramento del servizio reso agli utenti. In fondo, al datore di lavoro pubblico non si chiede di definire il budget della formazione in funzione di un impegno sindacale sottoscritto, ma di costringere i soggetti sottoscrittori a evidenziare le positività che derivano da quello. Se così è, cambia la prospettiva della valutazione svolta o dagli stessi partecipanti ai corsi, o dai dirigenti, o, alla fine, dagli utenti. Solo che, seguendo questo percorso, il parametro di valutazione diventa quello dato dal rapporto tra costi (sopportati) e benefici (conseguiti dagli utenti). Non è mai successo che si sia dato tanto peso ai “benefici”. Si viene a ragionare di questo tema ponendoci, quindi, una prospettiva nuova. E siccome gli errori nella scelta dei processi decisionali relativi al tema non sono più tollerati, sarà facile accorgersi di essi dopo che si saranno osservate le prescrizioni contenute nella direttiva. Prescrizioni che sono da seguire, ma soprattutto da tesaurizzare. Tanto da far ritenere che finora si siano impegnate risorse per svolgere attività formative che non hanno perseguito l’obiettivo fondamentale che, oggi soltanto, risulta esplicitamente espresso: migliorare la resa del servizio pubblico. Una formazione, quindi, quella che viene prefigurata che non diventa un campo da mietere, né una occasione per accumulare, nel fascicolo personale, “certificazioni” di frequenza a corsi nella maggior parte non confacenti con la posizione professionale rivestita dal singolo dipendente. Sembra che si sia inteso operare una svolta. E a questa “nuova politica” non si può che prestare attenzione da parte dei decisori amministrativi, da parte dei decisori politici. 5. Il ricorso alla formazione a distanza: una alternativa alla formazione d’aula? Mentre il fabbisogno formativo cresce secondo un andamento che si presenta caratterizzato dalla esponenzialità delle esigenze espresse, non ci si poteva sottrarre dal fornire indicazioni in ordine all’utilità che può avere il ricorso alla formazione a distanza (l’e-learning). 51 Ma le indicazioni che la direttiva contiene si dimostrano utili perché anche questa via possa essere percorsa: si avvertono i decisori che, in ogni caso, l’adozione delle tecnologie cui fare ricorso richiede una attenta pianificazione. E’ necessario, infatti, tenere conto “degli obiettivi della formazione, dei destinatari e dell’integrazione con le tradizionali metodologie d’aula”. Al contempo, si prospetta la necessità di “una organizzazione modulare” e di “una gestione flessibile”: ciò in considerazione del fatto che si dovrebbe venire incontro alle esigenze formative individuali. In ogni caso, la sensazione è che ci vorrà del tempo perché la formazione a distanza soppianti quella tradizionale, cioè quella somministrata in aula. Ma è auspicabile che ai ritardi accumulati in questa area della trasmissione della cultura amministrativa si faccia fronte con una certa quale meditata tempestività. D’altra parte, gli interventi effettuati sull’organizzazione richiedono personalizzato della professionalità posseduta dai singoli operatori. un adeguamento E non c’è più tempo per rinviare ancora la messa a punto di quel progetto culturale che riteniamo indispensabile: allineare al minimo le professionalità possedute. Occorrerà usare, a tal riguardo, una terminologia tecnica senza la quale il trasferimento dei saperi non potrà realizzarsi. Ecco in che modo la parola continua a diventare il veicolo per (ri)creare nelle menti degli operatori pubblici un livello di cultura gestionale adeguato agli stessi mutamenti di riallocazione delle responsabilità amministrative. Che la nuova Costituzione impone ai legislatori, a quello nazionale come a quelli regionali. 52 Le risorse finanziarie da dedicare alla politica pubblica della formazione permanente dei dipendenti pubblici. Finanziamento dei progetti formativi fondi comunitari fondi ordinari nazionali e regionali fondi derivanti da: • risparmi di spesa • processi di esternalizzazione 53 Gli interventi formativi, strumento per supportare i processi innovativi. “Le attività formative dovranno rispondere a standard minimi di qualità e assicurare il controllo del raggiungimento degli obiettivi di crescita professionale dei partecipanti e di miglioramento dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni”. Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001). 54 Gli interventi formativi, strumento per supportare i processi innovativi. “Poiché la formazione costituisce un processo complesso, che ha come fine la valorizzazione del personale e il miglioramento dei servizi pubblici, l’impegno delle amministrazioni nella gestione della formazione dovrà essere particolarmente attento alla qualità e all’efficacia”. Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001). 55 Gli interventi formativi, strumento per supportare i processi innovativi. “In particolare, i dirigenti dovranno attivarsi, ove possibile con il supporto dei propri uffici o rivolgendosi a soggetti esterni, per valutare il “cambiamento” prodotto dalla formazione: in termini di crescita professionale individuale, impatto organizzativo e miglioramento della qualità dei servizi; …”. Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001). 56 Gli interventi formativi, strumento per supportare i processi innovativi. “Il progetto didattico dovrà essere concentrato sui fabbisogni specifici delle amministrazioni e dovrà corrispondere alle esigenze sia dell’organizzazione sia del personale”. Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001). 57 Gli interventi formativi, strumento per supportare i processi innovativi. “L’attivazione di diversi piani strategici, tra cui quello finalizzato alla realizzazione dell’egovernment, sarà possibile soltanto grazie alla formazione delle risorse umane”. Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001). 58 DALL’AUTORITÀ AL CONSENSO: SPUNTI METODOLOGICI E RIFLESSIONI∗ di Alberto Scerbo 1. Premessa Nel 1987, nel corso di un convegno sul tema “Teoria e prassi alle radici del diritto amministrativo”, Massimo Severo Giannini ha affermato perentoriamente che il diritto amministrativo non esiste perché, da una parte fondamentalmente ricompreso all’interno del diritto costituzionale, e dall’altra tendenzialmente rifluente nell’ambito del diritto privato. L’intento di Giannini era al tempo sicuramente provocatorio; la rilettura di questa dichiarazione oggi presenta invece il carattere della premonizione, visto che la materia amministrativistica si prospetta influenzata in maniera sempre più incisiva dalle riforme costituzionali intervenute in questi anni, ma, per altro verso, fortemente proiettata in direzione dell’accoglimento di modelli e paradigmi privatistici. L’organizzazione della pubblica amministrazione sta attraversando in questo momento una fase di transizione, che sembra caratterizzata dalla sovrapposizione di un modello antico e radicato che continua a voler fare prevalere i principi consolidati di un sistema statico ed in fondo “sicuro” e di una innovativa “forma” di amministrazione ispirata, invece, ai principi dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità, che richiama la necessità di azione creativa ed incessante dinamicità. Lo scontro tra sistemi complica la reale attuazione delle trasformazioni amministrative e rende il passaggio dall’amministrazione per atti all’amministrazione per risultati, con tutte le dovute implicazioni, una questione sviluppata in chiave formale più che sostanziale. I valori del “pubblico” si intersecano con le ragioni del “privato”; le resistenze del “centro” si confrontano con le esigenze e le richieste delle “periferie”; i principi di “autonomia” incontrano limiti direttivi a volte vincolanti; la gestione delle risorse umane è sempre condizionata dai flussi delle risorse economiche: questo catalogo esemplificativo di ambiguità rivela i motivi che stanno a fondamento dello stato autentico del processo di cambiamento in atto della pubblica amministrazione, ma pone, al contempo, la necessità di indagare tanto sulle scelte di fondo che l’ordinamento italiano è chiamato a compiere, quanto sui passaggi ulteriori da svolgere per pervenire ad una idea “rivoluzionaria” di “gestione” amministrativa. Sotto questo profilo si possono richiamare le considerazioni formulate da Cassese, che parla di uno Stato italiano ambivalente, “metà sviluppato, metà arretrato”, e dualistico, “autoritario e liberale”, che “si ingerisce in ogni cosa, senza, poi, riuscire a far valere gli interessi pubblici che 1 motivano tale ingerenza” . Per tratteggiare una situazione generale delle istituzioni pubbliche incapace di portare a compimento i dovuti adeguamenti alle linee evolutive dettate dal modificato contesto economico, politico e giuridico, in accordo con il processo di integrazione europea; ma soprattutto di far fronte alla ricerca di un dialogo “virtuoso” con il cittadino. Il che ha indotto qualche 2 autore in dottrina a stigmatizzare quella che è stata definita “la retorica dell’utente”. 2. Stato versus cittadino Con la legislazione degli anni Novanta si inaugura una svolta nella definizione delle modalità operative della pubblica amministrazione, nella consapevolezza del bisogno di riconoscere al cittadino un ruolo centrale nella vita pubblica, rendendolo soggetto attivo, “partecipe e non mero destinatario delle politiche pubbliche”. Gli interventi normativi di questi anni accolgono l’idea della partecipazione dei soggetti privati interessati alla formazione del procedimento, in stretta ∗ Relazione tenuta dal prof. Alberto Scerbo (Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro) al Convegno su Governance e sistema delle autonomie tenuto a Catanzaro il 21 marzo 2005. 1 Cfr. S. Cassese, Lo Stato introvabile. Modernità e arretratezza delle istituzioni italiane, Roma 1998. L’espressione è di G. Napolitano, Contro la retorica dell’utente, in F. Manganaro e A. Romano Tassone, Persona ed amministrazione. Privato, cittadino, utente e pubbliche amministrazioni, Torino 2004. 2 59 dipendenza con la soggezione dell’attività amministrativa al principio della trasparenza, ma di più tracciano le direttive per indirizzare l’operato del pubblico verso meccanismi ispirati a criteri di derivazione privatistica. La crisi del sistema politico, connessa alle contestuali problematiche economiche e alla conseguente crisi fiscale che accompagna l’evoluzione del decennio, favorisce, così, il mutamento dei cardini posti a fondamento dei rapporti di pubblico impiego, la crescente privatizzazione dei servizi pubblici e la ricerca di una “maggiore prossimità del potere pubblico alla 3 dimensione territoriale infrastatale”. L’inserimento, all’interno della pubblica amministrazione, di una logica di mercato rompe gli equilibri su cui si era assestato il funzionamento della macchina statale e richiede l’acquisizione di una nuova dimensione operativa. Questo processo di rinnovamento dovrebbe consentire una sostanziale modificazione del modo di intendere e di vivere la sfera pubblica, nonché delle modalità relazionali tra pubblico e privato, e di frantumare i contenuti identificativi del modello costruito dalla scienza politica e giuridica moderna. La formazione di uno Stato caratterizzato da “un apparato pubblico centralizzato, ordinato gerarchicamente, sottratto al diritto comune e sottoposto a un diritto privilegiato, con funzionari tutelati dalla garanzia amministrativa”, costituisce sicuramente il frutto di una ben precisa evoluzione storica e dell’influenza esercitata dall’esperienza amministrativa francese. Fatto sta, però, che si carica di ulteriori elementi, che traggono origine dalla cultura giuridica tedesca di fine Ottocento, e che conducono nel complesso a delineare una precisa struttura dello Stato. A questo proposito si ritiene comunemente che l’attività amministrativa possa distinguersi in amministrazione di autorità ed amministrazione di servizio, a seconda che sia indirizzata alla realizzazione di atti amministrativi autoritativi ovvero ad erogazione di prestazioni. Tale partizione ha una incidenza dalla parte dei cittadini, dal momento che, mentre l’amministrazione autoritativa implica la libertà dallo Stato con il riconoscimento dei diritti di libertà tipici della tradizione liberale, l’amministrazione di prestazione ha come interfaccia la libertà attraverso o per mezzo dello Stato, in 4 coincidenza con la previsione e la tutela dei diritti sociali. Queste differenti sfaccettature, che incidono sull’aspetto puramente operativo ed hanno una valenza soprattutto pratica, non alterano, però, la sostanza della questione di fondo, che ha una radice teorica unitaria, risalente alle teorie contrattualistiche. Queste ultime, improntate al metodo della scienza, ricostruiscono in termini convenzionali la natura dell’uomo sotto forma di stato di natura, al fine di rendere la socialità una condizione di vita non più naturale, ma discendente dalla manifestazione di volontà degli individui. Nel momento in cui avviene la costituzione “artificiale” dello stato di società, gli individui scoprono la necessità di attribuire ad un soggetto terzo i poteri, i diritti e le libertà dell’uomo dello stato di natura per risolvere i problemi derivanti dalle reciproche interferenze: all’interno dello stato di società compare, così, un solo “uomo allo stato di natura”, posto in una posizione di supremazia rispetto agli individui, lo Stato. Il processo di formazione dello Stato presenta lo stesso percorso in Hobbes come nella concezione “liberale” di Locke alla stessa maniera della teoria democratica di Rousseau. Lo Stato è stato, cioè, immaginato negli stessi termini, e con le stesse caratteristiche di unicità dell’individuo: è “l’uomo artificiale”, in sé completo, autosufficiente, dotato del crisma dell’assolutezza, e per questo anche “dio mortale”. Dall’individualizzazione dello Stato dipende la considerazione della sovranità come elemento costitutivo del suo essere, come la sua anima, per usare un’espressione del De Cive di Hobbes, che caratterizza appunto lo Stato in quanto tale, a prescindere dalle regole del gioco che presiedono alla sua esistenza. E sovrano è colui il quale superiorem non recognoscens e “non dipende altro che dalla sua spada”; è colui che non è tenuto ad obbedire neppure al diritto da lui stesso posto, o è condizionato dal diritto in virtù di un principio di autolimitazione o ancora è soggetto al diritto in base ad un principio di autoobbligazione. La concezione dello Stato offerta dalla scienza politica e giuridica moderna conduce inevitabilmente ad un’espansione dei compiti attribuiti al soggetto pubblico e al rafforzamento della sua posizione di preminenza rispetto alla società. D’altra parte la richiesta formulata allo Stato dalla 3 Su questi aspetti si rinvia a F. Basilica, La public governance in Europa, in “Funzione Pubblica”, 2004, n. 3. Questo quadro sintetico è ripreso dal bel saggio di M. Mazzamuto, Amministrazione e privato, in F. Manganaro e A. Romano Tassone, Persona ed amministrazione, cit. 4 60 società di garantire sicurezza, tutela e protezione è fin dall’origine la ragione principale di esistenza di questa “categoria” della politica. Che vede moltiplicare le attività da esplicare, nell’ottica della 5 configurazione di un vero e proprio “Stato provvidenza”, o come è stato anche definito di uno 6 “Stato paterno”, chiamato ad accompagnare e ad assistere l’individuo dalla nascita fino alla morte. Si concretizza, così, tra Ottocento e Novecento la formulazione di una teoria che dà atto, in modo chiaro ed espresso, della “personificazione” dello Stato, della sua esatta collocazione nel “gioco” della politica e della definizione dei rapporti con i cittadini. La cultura giuridica tedesca si dedica ad esercitazioni di manipolazione dei concetti generali propri del diritto privato con finalità di trasposizione nell’ambito del diritto pubblico: nasce, così, la considerazione dello Stato come persona giuridica pubblica e si individuano accanto ai diritti soggettivi dei privati i diritti pubblici soggettivi, in un processo che, mediato dagli studi sviluppati dalla Pandettistica, perviene ad una costruzione della sfera giuridica pubblica sbilanciata in direzione del soggetto che esercita il potere. Una visualizzazione di questo fenomeno ci può essere fornita dagli scritti di due processualcivilisti in costante polemica dottrinale. A Mortara risale la individuazione generalizzata di diritti pubblici soggettivi, in dipendenza dell’acquisizione da parte di ogni cittadino di “un diritto di pretendere che il potere discrezionale sia esercitato con legittimità”; che non altera il contenuto della relazione tra pubblico e privato, ma, quantomeno, tende ad una riduzione delle distanze tra 7 individuo-Stato e individuo-governato. Nell’opera del più giovane Chiovenda, di scuola germanista, compare la nozione di interesse legittimo, diretto a privilegiare il primato degli apparati amministrativi e a ridimensionare l’ambito di tutela del cittadino, a fronte di un consolidamento della 8 capacità discrezionale dell’amministrazione. Alla stessa scuola di Chiovenda si è formato Oreste Ranelletti, che consolida il collegamento indeclinabile tra interesse legittimo e potere discrezionale e procede ad una profonda revisione delle relazioni tra legge ed attività amministrativa nell’ottica della affermazione di un solido primato degli apparati amministrativi, per sancire che soltanto 9 l’amministrazione rappresenta l’unica funzione essenziale tra i poteri dello Stato. 3. La “meta” della libertà con lo Stato. In questo quadro generale si inserisce il processo di trasformazione della pubblica amministrazione delineato dalla legislazione dell’ultimo quindicennio, che ha condotto all’enucleazione del concetto di amministrazione partecipata, per mettere in risalto la volontà di costruire scelte amministrative attraverso la partecipazione di tutti gli interessati. Ad un’amministrazione di questo tipo fa riscontro la libertà nello Stato, che esprime l’estensione del riconoscimento dei diritti politici dalla sfera politico-legislativa a quella amministrativa: in questa prospettiva i diritti di partecipazione contribuiscono al rafforzamento della categoria degli interessi 10 procedimentali. Il passaggio da un’amministrazione che assume unilateralmente le proprie decisioni ad un’amministrazione caratterizzata dall’allargamento della legittimazione partecipativa provoca indubbiamente un consistente incremento delle garanzie del privato. Ciò incide senza dubbio sui margini di determinazione del rapporto tra autorità e libertà, che spinge, in questo nuovo percorso intrapreso, verso una restrizione della sfera e dell’ambito degli apprezzamenti discrezionali delle pubbliche amministrazioni. Sotto questo profilo è forse opportuno rilevare la necessità di superare qualche intrinseca ambiguità. Innanzitutto con riferimento al ruolo e ai compiti ai quali sono chiamate le pubbliche amministrazioni. Non bisogna dimenticare, infatti, che lo Stato e le sue propaggini esecutive devono agire nell’ottica del perseguimento degli interessi della collettività, che devono comunque essere prevalenti su ogni altra valutazione di carattere operativo. Può essere, perciò, produttivo mutuare dal diritto privato valori, principi ed istituti che possano favorire la realizzazione di questo obiettivo; 5 Per un’analisi più completa v. F. Gentile, Politica aut/et statistica, Milano 2003, soprattutto pp. 95-100. La definizione è di S. Cassese, Lo Stato introvabile, cit. 7 Cfr. L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, vol. I, Milano s.d. 8 Cfr. G. Chiovenda, Lezioni di diritto amministrativo, anno 1909-1910, Milano 1991. 9 Sulla posizione di Ranelletti si rinvia a B. Sordi, Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale. La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano 1985. Per un approccio filosofico al tema cfr. M. Fracanzani, Alle radici teoriche dell’interesse legittimo, in Diritto processuale amministrativo, 1997. 10 Ancora una volta il riferimento è alle considerazioni sviluppate da M. Mazzamuto, Amministrazione e privato, cit. 6 61 va forse rimessa in discussione la diffusa tendenza ad avvolgere l’attività amministrativa in un alone privatistico e va esclusa l’idea che i parametri espressivi dell’azione amministrativa, efficienza, efficacia ed economicità, debbano rispondere ad una logica di mercato, o peggio ancora ad una logica aziendalistica. Un altro aspetto da sottolineare è che l’autoritatività del soggetto pubblico deve essere ricomposta in termini corretti con la libertà dei cittadini, senza aspettative di frantumazione del principio, né, ancor più, senza indulgere in compiacimenti di forma, svincolati, cioè, da effetti che incidono sulla sostanza. Tutto ciò implica la necessità di proseguire lungo la strada del cambiamento, per superare la “logica del procedimento”, abbandonare il criterio della formalità e modificare la persistente tendenza degli organi amministrativi a valutare e giudicare i risultati delle novità organizzative attraverso la lente dell’autoreferenzialità, al fine di pervenire ad una rete organizzativa pubblica che rivesta più correttamente i caratteri della “amministrazione condivisa”. L’eliminazione dei “residui” di oppressività della pubblica amministrazione è condizione indispensabile per questo ulteriore salto di qualità. Il riferimento non è soltanto alle generali disfunzioni che attanagliano la gestione amministrativa, e che comunque costituiscono una valida ragione di valutazione della sostanziale inalterabilità del rapporto amministrativo, ma anche al bisogno di trasformare realmente la relazione tra pubblico e privato sulla base di un modello che sia improntato al requisito dell’autentica comunicazione piuttosto che a quello della mera informazione. Non si può negare che il cittadino sia costantemente informato della propria posizione amministrativa e dei termini del rapporto sussistente con l’amministrazione; ma tutto ciò quanto incide sulla facilitazione di accesso ai servizi da parte del comune cittadino? Spesso e volentieri si assiste ad un aggravamento della crisi dell’utente dinanzi alle note informative di cui è destinatario, nell’ambito dei servizi, come nel campo dell’assistenza e della previdenza, per non parlare del settore fiscale. Ed infine si pone l’assoluta necessità di smaltire la cultura del primato del “bene pubblico”, che svilisce il “bene privato”, ma ancor più si sovrappone, ritenendo erroneamente di ricomprenderlo, al “bene comune”. Di cui è una esemplificazione non marginale l’atteggiamento espresso dai soggetti pubblici nella materia fiscale e tributaria, dove la forma è assolutamente dominante sulla sostanza e la supremazia assoluta del pubblico riduce il singolo cittadino a vero e proprio suddito: basti pensare alla procedura esattoriale, venata di antidemocraticità e priva anche di logica giuridica. Appare inevitabile, pertanto, ripensare alla radice l’essere dell’amministrazione. Di cui è precisa espressione proprio l’immagine del passaggio dall’autorità al consenso. Hegel sottolinea che l’interesse di una partecipazione dei privati alle faccende pubbliche risiede “essenzialmente, nel diritto, che lo spirito comune giunga anche all’apparizione di una volontà esternamente universale in una attività espressamente ordinata per la pubblica occorrenza. Mediante questo soddisfacimento, esso riceve altresì un’onda di nuova vita per sé, e l’infonde negli impiegati dell’amministrazione; nei quali, per tal modo, si mantiene viva la coscienza, che essi, per quanto abbiano doveri da far 11 adempiere, hanno altresì, essenzialmente, innanzi a sé, dei diritti”. Queste considerazioni evidenziano il bisogno di superare una visione della pubblica amministrazione che sia meramente operativa per confrontarsi, senza confondersi, con il problema della politica, intesa “quale problema dell’orientamento al bene comune, in ogni forma di società dalla più semplice alla più complessa”. Se è vero, pertanto, che l’amministrazione pubblica riguarda l’organizzazione di cose e persone in vista di fini predeterminati, è anche vero che la funzione strumentale dell’apparato amministrativo deve essere indirizzato verso il perseguimento del bene della comunità, considerata nel suo complesso, ma anche nelle sue singole componenti. Ciò significa volgere lo sguardo non verso l’alto, ovvero il potere, ma verso il basso, cioè la comunità, nella consapevolezza che la pubblica amministrazione, quale strumento della politica, deve essere orientata al servizio della collettività sociale. L’intreccio delle relazioni amministrative deve essere, pertanto, caratterizzato dalla ricerca del consenso, inteso non in termini statistici come mera conta aritmetica di volontà individuali, ma come condivisione delle decisioni, in forza di un “comune sentire”. Al dire unilaterale si deve sostituire il dialogo, alla staticità procedimentale deve essere affiancata la visione dialettica dell’esperienza, alla impersonalità dell’azione amministrativa deve subentrare l’attenzione per la “persona”, per “l’uomo concreto in carne ed ossa”, portatore di problemi specifici e protagonista 11 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, § 544. 62 della vita reale. Qualche autore avveduto ha proposto di compiere un mutamento qualitativo, 12 passando dalla amministrazione “del cittadino” all’amministrazione “per l’uomo”. In questo contesto acquista pieno significato il riferimento al principio di sussidiarietà, che accompagna la riorganizzazione delle competenze “delle istituzioni pubbliche in ragione della loro reale capacità di raggiungere gli obiettivi di rilevanza comune”. La domanda avanzata ai soggetti pubblici di essere “il più vicino possibile ai cittadini” impone una autentica trasformazione “culturale”, al fine di rendere la “vita delle istituzioni” del tutto adatta alla “vita dei cittadini”. In tale prospettiva bisogna evitare il pericolo di ridurre la sussidiarietà a mera formula burocratica di gestione del potere, nella consapevolezza che “non è il “luogo”, più o meno vicino, in cui la decisione viene presa a garantire di per sé che questa sia vicina, nel senso di opportuna, conveniente, adeguata alle esigenze della comunità” particolare, ma, piuttosto, la capacità “del riconoscimento dei beni aggreganti la comunità. Non si tratta d’alchimia o di meccanica o d’ingegneria gestionale ma d’orientamento, di riconoscimento, d’intelligenza del bene comune. Del Bene cioè che accomuna 13 una molteplicità di soggetti diversi facendone, appunto, una comunità”. Ma questa è la condizione indispensabile per riconoscere il bene di ciascuno ed agire nel rispetto dell’essere della persona viva, vera, non solo oggetto, ma soggetto partecipante della attività amministrativa. E’ questa la strada da percorrere perché l’autorità possa essere esercitata con il consenso e perché si possa magari godere di una libertà con lo Stato. 12 Così G.D. Comporti, Amministrazione e cittadino, in F. Manganaro e A. Romano Tassone, Persona ed amministrazione, cit. 13 F. Gentile, Politica aut/et statistica, cit., p. 223. 63 DOCUMENTI HUMAN GOVERNANCE PER UNA CULTURA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE∗ “Nei momenti di difficoltà e di incertezza, come quello che attualmente attraversiamo, è necessario tornare ai principi generali e ai valori. E’ solo da essi che possiamo trarre ispirazione per la nostra azione”. (Mario Baccini) “La Human Governance: per una “cultura” della Pubblica Amministrazione, ovvero l’umanizzazione della Pubblica Amministrazione" è l’espressione prescelta per definire, in una prospettiva diversa e innovativa, alcuni criteri e principi che sono alla base di ogni riflessione sulle problematiche legate alla Pubblica Amministrazione. Fino ad oggi, tali problematiche sono state affrontate solo o prevalentemente da una prospettiva che si può definire tecnico-strutturale, attenta al raggiungimento dei risultati in direzione dei quattro motori della Buona Governance, e cioè: 1. il miglioramento della qualità dei servizi pubblici, 2. l’intensificazione degli investimenti nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (e- government), 3. il miglioramento della qualità della regolazione, 4. la corretta gestione e formazione delle risorse umane. La “prospettiva diversa e innovativa”, quella che dà originalità all’Human Governance, consiste nello spostare l’attenzione dall’oggetto al soggetto della Pubblica Amministrazione, rinnovando la maniera stessa di concepire il rapporto Stato-cittadino. Un rapporto che va inteso nel suo senso più ampio, con il suo corredo “integrale” di diritti e di doveri; un rapporto che deve essere vissuto come una realtà essenziale dell’esistere e dell’agire quotidiano di ciascuno e non come un’astrazione, un problema teorico-dottrinale o una questione formale. La Human Governance nasce dall’attenta osservazione della realtà quotidiana del cittadinoutente, dalle considerazioni su questa stessa realtà e dalla volontà di darle un senso diverso: e cioè, una dimensione sostanzialmente più umana. Un percorso apparentemente semplice ma, nella sostanza, complesso che implica come inevitabile conseguenza la necessità di ridare centralità all’individuo nella sua interezza, ai valori fondamentali della democrazia, del pluralismo e al rispetto dei diritti della persona umana. ***** Nel corso degli anni '90 sono stati effettuati numerosi interventi volti a riformare i modelli organizzativi e le strutture, con l’avvio di un ampio processo di semplificazione delle procedure. Gli sviluppi dell'informatica, l’organizzazione della conoscenza e l’economia globale, interagendo sempre più nel corso degli anni, hanno prospettato differenti problematiche e nuove sfide, anche per la Pubblica Amministrazione - che di queste sfide dovrebbe costituire uno dei principali motori di cambiamento - e ciò grazie allo sviluppo della ricerca, all'offerta di servizi e di infrastrutture e, naturalmente, grazie alla formazione. I cambiamenti, intervenuti in Italia come negli altri Paesi, sono evidenti e altrettanto evidenti sono i risultati positivi. Tuttavia, “oscurità”, lentezza e distanza sono ancora oggi i termini che ∗ Documento presentato dal ministro Mario Baccini a New York il 13 luglio 2005 presso l'Istituto italiano di cultura. 67 vengono sovente utilizzati per indicare il rapporto dei cittadini con la Pubblica Amministrazione. Ciò dà la misura di una relazione ancora difficile. In una tale situazione, la sfera dei diritti dell’individuo può risultare, in un certo senso, diminuita e compromessa, con ripercussioni sensibili in termini di uguaglianza tra i cittadini e con effetti innegabili sulla dicotomia inclusione/esclusione. Questa situazione ha radici essenzialmente culturali: cultura della Pubblica Amministrazione ma anche cultura del cittadino. La qual cosa vuol dire che il rapporto tra Stato e individuo, mettendo in discussione modelli culturali e abitudini ormai consolidate, deve subire una trasformazione, anche sul piano internazionale. La Human Governance intende favorire ed accompagnare tale processo di rinnovamento culturale, tanto nei cittadini che nell’Amministrazione: quest’ultima deve diventare più aperta alle esigenze degli utenti ma soprattutto più affidabile, e cioè – alla lettera - qualcuno e qualcosa cui fare affidamento e cui affidarsi. Non una entità con cui il cittadino non può e non sa dialogare, ma un organismo dal volto umano, che sa parlare lo stesso linguaggio dell’utente, comprenderne le esigenze e che ha come scopo primario solo e sempre il bene comune. Nello stesso tempo, occorre progressivamente far maturare anche l’atteggiamento del cittadino-utente promuovendo e sviluppando in ciascuno l’identità di appartenenza ad una comunità politica, nella quale si può liberamente perseguire il raggiungimento del benessere individuale e collettivo, mediante un dialogo che, solo, può portare al miglioramento delle strutture che offrono servizi. Tali criteri possono trovare applicazione non solo in ambito nazionale ma anche in sede di cooperazione internazionale, in primo luogo europea, dove è attiva da oltre venti anni una cooperazione sul tema della Pubblica Amministrazione tendente a promuovere scambi di idee esperienze e informazioni per il miglioramento della qualità dei sistemi amministrativi e per lo sviluppo economico e sociale dell’Unione Europea. Le tematiche della Pubblica Amministrazione non solo sono da tempo oggetto di riflessione, ma hanno anche trovato spazio in numerosi documenti. Dai contenuti della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, a quelli dei Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici ed economico-sociali del 1966 fino alle enunciazioni contenute nelle numerose Convenzioni in ambito europeo ed extra-europeo sugli stessi temi - peraltro affini ai principi enunciati dal Magistero della Chiesa - le idee di dignità della persona e di eguaglianza costituiscono l’humus in cui hanno potuto fermentare le idee di democrazia e di pluralismo. In questo contesto, la Human Governance può essere definita come la proposta italiana finalizzata a dare una veste più organica a quanto è stato già elaborato in materia ed a riportare, a livello internazionale, la discussione intorno ad alcuni valori comuni, in quanto tali condivisi (o condivisibili), suscettibili di essere oggetto di un documento unitario. La Human Governance non vuole limitarsi a formulare slogan almeno nell’apparenza scontati: come partecipazione, coprogettazione e dialogo, ma intende identificare alcuni modelli di riferimento, proporre una sorta di vademecum - una “Dichiarazione” - rivolta a tutti gli attori del processo amministrativo (e non solo per gli addetti ai lavori), in grado di far convergere gli sforzi e gli interessi di amministrazioni, cittadini e organizzazioni intorno ad alcuni punti fermi dell’identità sociale. La “Dichiarazione” sulla Human Governance, ponendosi come obiettivo centrale il rispetto della persona umana, dovrebbe enunciare ed esplicitare regole di comportamento universalmente condivise perché patrimonio della comunità internazionale e tali da consentire alla società di crescere in maniera organica, equilibrata e serena. Il documento non deve essere un'esposizione dogmatica, né un codice di condotta né una semplice dichiarazione di principi teorici. Esso deve mirare, piuttosto, a presentare una formulazione - la più completa e ordinata possibile - dei fondamentali criteri che dovrebbero ispirare l’attività della Pubblica Amministrazione. In tale documento andranno individuati, con riferimento sia ai fornitori dei servizi pubblici che agli utenti, alcuni principi di ordine etico e culturale ai quali i singoli Stati possono ispirarsi nelle loro politiche per l’innovazione delle Pubbliche Amministrazioni: un vero e proprio “decalogo” le cui parole-chiave possono essere le seguenti: responsabilità sociale, educazione del cittadino, 68 uguaglianza delle libertà, partecipazione, sostenibilità, sussidiarietà, competitività sul piano internazionale, adeguamento delle prestazioni amministrative ed infine, ma non ultima nella lista, affidabilità, finalità fondamentale, risultato di un più equilibrato rapporto tra Stato e cittadino, basato sul dialogo e sull’instaurazione di un clima di rispetto e di fiducia reciproca, dove l’Amministrazione ha come scopo primario solo e sempre il bene comune. Limitandosi ad affermare e a ribadire la centralità di alcuni principi fondamentali ai quali dovrebbero ispirarsi i Governi, il documento sulla Human Governance ha una valenza essenzialmente politica che, per essere tradotta sul piano operativo, necessita di azioni, interventi e scelte concrete da parte dei singoli Stati. E non solo. Essa serve anche a rilanciare in ambito internazionale la centralità della cooperazione e del confronto nel campo della Funzione Pubblica, sottolineando l’importanza delle politiche di innovazione amministrativa per uno sviluppo economico e sociale sostenibile. ***** Se tale progetto è maturato ed ha preso forma è anche perché in Italia da tempo lavoriamo su tali tematiche, tanto è vero che alcuni dei principi che andranno indicati nella “Dichiarazione” della Human Governance, trovano concreta applicazione nella realtà del sistema amministrativo italiano. Alcune iniziative - realizzate dal Dipartimento della Funzione Pubblica - pongono - senza alcun dubbio – l’Italia all’avanguardia in questo settore. Le indagini di customer satisfaction, che - attraverso appositi questionari - hanno recentemente coinvolto oltre cento amministrazioni italiane - centrali e locali - col fine di rendere le amministrazioni pubbliche sempre più capaci di ascoltare e di comprendere a fondo i bisogni del cittadino e di conoscere il suo giudizio. Il “Kit del benessere organizzativo”, concepito quale una vera e propria “cassetta degli attrezzi” per le amministrazioni che desiderano avviare un’indagine sull’ambiente di lavoro nei propri uffici per la messa a punto di innovative politiche di gestione che pongano l’accento sul benessere dei lavoratori. Nella stessa direzione delle precedenti iniziative e con chiari intenti progressisti si muove anche il cosiddetto “bilancio sociale”, una nuova forma di rendicontazione per le Amministrazioni pubbliche, attraverso il quale comunicare e rendere trasparenti ed accessibili ai diversi portatori di interesse le scelte fatte, le risorse utilizzate, i risultati raggiunti e l’impatto prodotto sul territorio di riferimento. Infine, per completare il quadro, occorre ricordare la progressiva riduzione dei vincoli amministrativi eccessivi che da sempre gravano su cittadini e imprese. In tale ambito, alle politiche di mera semplificazione di singole procedure e all’introduzione dello sportello unico per le imprese si è affiancata una più organica politica di codificazione per blocchi di materie. Parallelamente, è stata avviata la realizzazione dell’Analisi di impatto della regolazione (AIR) per la produzione normativa e regolamentare futura, così da migliorarne la qualità e l’impatto sui destinatari ed attualmente é allo studio anche l’adozione di una norma “taglia-leggi” finalizzata a ridurre ulteriormente il numero di norme e procedure che gli utenti devono rispettare per interagire con la Pubblica Amministrazione Grande, infine, è l’attenzione dedicata in Italia al tema della comunicazione istituzionale quale strumento grazie al quale le pubbliche Amministrazioni incidono in misura rilevante sulla percezione, da parte dei cittadini, del livello dei servizi resi. Questa “lista” di iniziative, di programmi e provvedimenti consente di attribuire all’Italia - nel contesto dei Paesi europei e non – una posizione di primo piano e senza dubbio fortemente avanzata nel settore della P.A. e delle politiche ad essa correlate. E’ proprio da questa considerazione e da questa consapevolezza che nasce il proposito italiano di farsi – ove possibile portavoce di nuove proposte e nuove sfide sempre finalizzate al miglioramento della P.A. nel suo 69 insieme e suscettibili di avere un seguito e un approfondimento, non solo in Italia ma anche in altri Paesi. ***** La Human Governance è un disegno ambizioso, una vera e propria sfida. Per la sua attuazione il percorso da seguire non è né facile né comodo; ma vale la pena di intraprenderlo non fosse altro perché può contribuire fattivamente alla costruzione, giorno dopo giorno, di un elemento portante della storia di ciascun Paese, e cioè la costruzione di quella coscienza civile collettiva che, sola, è alla base di un ordine in cui ogni persona e ogni comunità umana possono vedere riconosciuta la propria dignità e favorito il proprio sviluppo. Dignità e sviluppo che sono – in ultima analisi – le condizioni indispensabili per il mantenimento della pace, della stabilità e di una convivenza civile armonica ed equilibrata. Un compito, questo, certamente difficile; anzi, il più difficile, al quale come uomo e come politico non intendo sottrarmi. 70 Principi per la Dichiarazione sulla Human Governance 1. Responsabilità sociale intesa quale attuazione di comportamenti socialmente responsabili da parte delle Pubbliche Amministrazioni, non lesivi dei diritti e delle opportunità di benessere degli utenti, cittadini e imprese. Occorre diffondere l’utilizzo, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, del bilancio sociale (accountability), strumento di dialogo e di confronto necessario per avviare la condivisione del processo della programmazione e della valutazione dei risultati, in grado di aiutare le Amministrazioni ad individuare le priorità di intervento 2. Educazione del cittadino intesa quale percorso di apprendimento da attuare nel sistema scolastico ed educativo, finalizzato alla formazione, alla informazione, alla promozione di una maggiore responsabilità, al coinvolgimento dei cittadini nella realizzazione degli obiettivi di Buona Governance, al rafforzamento del senso di appartenenza a una quadro istituzionale internazionale, nazionale e locale e al consolidamento in ciascuno della coscienza del sistema di diritti e doveri che questa appartenenza comporta. Occorre rafforzare e diffondere la comunicazione istituzionale delle Pubbliche Amministrazioni e realizzare adeguate campagne di sensibilizzazione nonché di orientare opportunamente i programmi formativi. 3. Uguaglianza delle libertà intesa quale necessità di garantire a tutti, senza alcuna discriminazione, uguali possibilità di crescita formativa e professionale, di aggregazione, di partecipazione democratica e di utilizzo del tempo libero, tenuto conto, in particolare, delle problematiche connesse alla presenza sempre più numerosa di immigrati nelle diverse aree del mondo e in vista della opportunità di favorire l’integrazione e rafforzare il dialogo interculturale. Occorre valutare la possibilità di promuovere adeguate politiche per la gestione di ogni diversità, stimolando il rapporto con la società civile, l’approccio interculturale, anche dotando le singole Amministrazioni di una figura professionale ad hoc. 4. Partecipazione intesa quale opportunità di dialogo tra Amministrazione e cittadino oltre che quale coinvolgimento dei privati (cittadini, imprese, società civile organizzata) nell’azione amministrativa, anche al fine di migliorare la qualità dei servizi forniti e di garantire il diritto dei cittadini all’informazione e all’accesso ai documenti che li concernano. Nel pieno rispetto dei diritti fondamentali stabiliti nella Carta delle Nazioni Unite dei Diritti dell’Uomo e in altri documenti adottati a livello regionale, si dovrebbero individuare adeguati strumenti di informazione, consultazione e partecipazione di cittadini, imprese e associazioni - ivi incluso l’utilizzo delle nuove tecnologie - per garantire l’accesso alla documentazione, il diritto ad una buona amministrazione e maggiore effettività al processo di partecipazione democratica. 71 5. Sostenibilità intesa quale complesso di interventi diretti al miglioramento del benessere dei cittadini nell’ambito delle proprie attività civili e professionali, nel rispetto dell’ambiente, del territorio e del patrimonio culturale. Dovrebbero essere promossi e realizzati progetti che favoriscano il perseguimento degli obiettivi di miglioramento della qualità delle prestazioni rese dalla Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento alla disponibilità dei servizi, all’accoglienza del pubblico, all’anticipazione dei bisogni, tenendo conto anche della “disabilità”, della parità tra i sessi, delle esigenze delle diverse fasce d’età e della diversa provenienza sociale, culturale, religiosa e linguistica; 6. Sussidiarietà intesa come modalità di relazione con gli utenti e di erogazione dei servizi il più possibile vicina ai cittadini e alle imprese, per la garanzia di una piena e soddisfacente Governance, in ogni caso assicurando la costante qualità dei servizi di interesse generale. Sarà favorita la modernizzazione di tutte le Amministrazioni, comprese quelle locali, e promosso il ricorso a più efficaci strategie di gestione dei servizi, outsourcing, partnership pubblico-privato nonché a efficaci tecniche di privatizzazione, nel rispetto delle differenti tradizioni e dei regolamenti locali. 7. Competitività sul piano internazionale intesa quale semplificazione e trasparenza del sistema normativo e miglioramento della qualità dell’azione amministrativa, per garantire condizioni ottimali di produttività e di concorrenza, nel rispetto della sostenibilità della crescita economica e sociale. Sarà intensificato il processo di semplificazione e di miglioramento della qualità della regolazione, con particolare attenzione all’impatto sui destinatari. 8. Adeguamento delle prestazioni amministrative inteso quale obiettivo cui, a breve termine, devono tendere i Governi, anche mediante il ricorso a standard minimi di qualità, così da assicurare ai cittadini e alle imprese la creazione di uno Spazio amministrativo dove i servizi siano erogati in maniera omogenea e con equivalenti livelli di efficienza e efficacia. Andrà favorito il costante scambio di informazioni e buone pratiche tra le Amministrazioni, anche mediante l’uso di indicatori di performances e la realizzazione di attività in comune che sostengano il processo di modernizzazione delle Amministrazioni a livello nazionale e internazionale 9. Affidabilità intesa quale risultato di un più equilibrato e paritario rapporto tra Stato e cittadino basato sul dialogo, sul consenso e sull’instaurazione di un clima di rispetto e di fiducia reciproca, nella consapevolezza che l’Amministrazione ha come scopo primario solo e sempre il bene comune. Si potrebbero favorire interventi volti ad assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, il rispetto degli standard di qualità promessi ed una corretta e completa informazione sui risultati raggiunti, sulla base di una relazione paritaria Amministrazione-cittadino regolata dai principi del diritto comune. La Human Governance, su proposta italiana, è stata inserita nella dichiarazione finale del VI Global Forum di Seoul; nella risoluzione finale adottata a Lussemburgo dai Ministri europei della Funzione Pubblica e nel Programma a Medio Termine 2005/2006 approvato dalla medesima assemblea. 72 PROTOCOLLO D’INTESA tra il Dipartimento della funzione pubblica e Confindustria Lazio Premesso che il programma di governo ha previsto una legislatura caratterizzata da profonde riforme istituzionali; che nel quadro di tali riforme assumono particolare importanza quelle dirette a rafforzare la competitività del sistema del Paese; che il perseguimento di tale obiettivo richiede che la pubblica amministrazione sia più efficiente, più snella, più veloce, più accessibile e trasparente al servizio dei cittadini e delle imprese, in modo da contribuire alla competitività dell’economia e al suo sviluppo; che il miglioramento della competitività del sistema del paese e, in particolare, delle imprese, assume particolare rilievo il ruolo della Pubblica amministrazione di supporto e promozione dell’innovazione e delle attività; che è in fase di predisposizione un disegno di legge con il quale si prevedono misure utili a migliorare la competitività delle imprese anche attraverso strumenti di semplificazione amministrativa, il Dipartimento della funzione pubblica e Confindustria Lazio, di seguito denominate Parti, convengono di promuovere e sviluppare un articolato piano di collaborazione e di stipulare il seguente Protocollo d’intesa per svolgere azioni comuni per l’efficienza e la qualità delle pubbliche amministrazioni al fine di supportare le linee attuative della riforma del Titolo V della Costituzione, come riprese anche nella L. 131/2003. Titolo I OGGETTO E ORGANI Articolo 1. Oggetto Con il presente Protocollo d’intesa le Parti si impegnano ad instaurare un rapporto di collaborazione sistematica e produttiva nell’intento di ridurre il costo e migliorare l’efficienza della Pubblica amministrazione nonché di incrementare la qualità dei servizi resi, coerentemente con i principi della sussidiarietà orizzontale e verticale. In particolare le Parti si impegnano a collaborare per l’individuazione e la diffusione di modelli di semplificazione amministrativa e normativa da applicare a settori d’interesse per le imprese, nonché all’elaborazione di modelli gestionali utili al miglioramento dei servizi resi dalla pubblica amministrazione, mettendo a disposizione della amministrazione centrale e periferica dello Stato, delle regioni, degli enti locali e delle altre amministrazioni pubbliche soluzioni innovative o già sperimentate positivamente presso le stesse Amministrazioni o nel sistema privato. Le Parti convengono inoltre sull’opportunità che, nel rispetto delle autonomie e delle specificità di ciascuno, siano adottati meccanismi idonei a valorizzare, nelle forme appropriate, i comportamenti individuali ed organizzativi coerenti con gli obiettivi del Protocollo. 73 Articolo 2. Organi di attuazione del protocollo L’attuazione del presente Protocollo sarà assicurata da un Comitato di indirizzo e controllo, con il supporto di una struttura di assistenza tecnica. Il Comitato è costituito in modo paritetico da rappresentanti del Dipartimento della funzione pubblica e della Confindustria Lazio, con il compito, tra l’altro, di individuare i settori per cui si ritiene opportuno un intervento di semplificazione dei modelli gestionali per la Pubblica amministrazione. Alle riunioni del Comitato potranno essere invitati rappresentanti di altre amministrazioni, statali, regionali e locali, al fine di acquisire elementi utili per la proficua prosecuzione dei lavori. Articolo 3. Azioni di monitoraggio Ai fini di una compiuta rilevazione dell’attuazione dei provvedimenti di interesse delle imprese, le Parti assicureranno, attraverso i rispettivi canali, la realizzazione di un’azione di monitoraggio per la rilevazione delle migliori pratiche, secondo la metodologia del benchmarking, nelle materie oggetto del presente Protocollo. Articolo 4. Risorse Le risorse necessarie alla gestione ed attuazione del presente Protocollo verranno definite dal Comitato di indirizzo e controllo con riferimento ad ogni specifica iniziativa e nel rispetto del principio della compartecipazione alle spese. Articolo 5. Durata Il presente Protocollo ha una durata di due anni decorrenti dalla data di insediamento del Comitato di indirizzo e controllo. I contenuti potranno essere periodicamente aggiornati alla luce dei risultati che emergeranno. Articolo 6. Prospettive di sviluppo del protocollo Il Dipartimento della funzione pubblica e Confindustria Lazio si impegnano a diffondere il presente Protocollo, ciascuno nell’ambito di rispettiva competenza, alle diverse amministrazioni ed alle organizzazioni federate. Le Parti auspicano che la cooperazione instaurata con il presente Protocollo possa estendersi ad altre aree di intervento anche con il coinvolgimento dei diversi livelli di governo e di altre amministrazioni interessate e con riguardo ai temi ed altri istituti di democrazia economica previsti nell’ambito delle autonomie territoriali. Le Parti auspicano in particolare che regioni ed autonomie locali, nel condividere spirito, finalità e ricadute operative del presente Protocollo, ne estendano l’applicazione ai rispettivi livelli, partecipando in tal modo al processo di modernizzazione dell’intera Pubblica amministrazione in un quadro di partnerariato tra sistema pubblico e sistema privato. Roma, 15 marzo 2005. Il ministro per la Funzione pubblica Il presidente di Confindustria Lazio 74 PROTOCOLLO D'INTESA tra il Dipartimento per la funzione pubblica e Poste Italiane S.p.a., in qualità di capogruppo del "Gruppo Poste Italiane" Premesso che A. Il Dipartimento per la funzione pubblica elabora politiche di innovazione volte a migliorare la qualità dei servizi e delle politiche pubbliche e ne verifica l'efficienza, l'efficacia e l'economicità, anche realizzando programmi di sostegno all'innovazione nelle amministrazioni pubbliche statali e territoriali, basati sullo sviluppo delle conoscenze e del capitale umano e sulla creazione di condizioni di contesto favorevoli ai processi di innovazione. B. Il Dipartimento per la funzione pubblica favorisce la diffusione tra le pubbliche amministrazioni di modelli manageriali di gestione dei servizi stessi, nonché la semplificazione dei rapporti tra amministrazioni ed utenti. C. Il Dipartimento per la funzione pubblica è impegnato nella promozione della formazione del personale, in relazione all'uso delle nuove tecnologie per favorire, tra l'altro, una più efficace gestione delle risorse umane. D. La posta elettronica certificata (PEC) è un innovativo sistema di diffusione della corrispondenza tra cittadini, imprese e amministrazioni, che permette di scambiare documenti e informazioni attraverso la posta elettronica ma con la garanzia di essere certificata sia in uscita sia in entrata garantendo riservatezza e validità nei confronti dei cittadini e imprese. E. In particolare, attraverso la posta elettronica certificata, è possibile: (i) inbound; i cittadini e le imprese trasmettono via PEC alle amministrazioni le richieste di servizio o di informazioni e/o ricevono dalle amministrazioni i documenti contenenti le informazioni o le certificazioni richieste; (ii) outbound: i cittadini e le imprese si "iscrivono" a un servizio reso dall'amministrazione e ricevono, quando previsto e necessario, le informazioni alla propria casella di PEC; (iii) lo sviluppo di ulteriori attività ad alto contenuto: (a) di tecnologia, rivolte ad un target quanto più possibile ampio, che comprende Pubblica amministrazione e chi si interfaccia con essa e fruisce dei suoi servizi (cittadini, imprese, istituzioni); (b) di formazione, rivolti ad un target più specifico che comprende i dirigenti e i funzionari della Pubblica amministrazione. F. Il Dipartimento per la funzione pubblica ritiene opportuno utilizzare la tecnologia PEC anche con l'obiettivo della realizzazione di un programma di e-Government che consenta lo sviluppo di un modello di società dell'informazione, per la Pubblica Amministrazione, accentuandone la capacità di conoscenza e migliorandone le condizioni. G. In considerazione di quanto precedentemente indicato si potrà consentire l'erogazione ai cittadini e alle imprese di servizi della Pubblica amministrazione con modalità facilmente fruibili, capaci di migliorare l'efficienza amministrativa e l'intera organizzazione dello Stato. H. Poste Italiane, ai sensi del d.lgs. 22 luglio 1999 n. 261 - Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio - è la società concessionaria del "servizio postale universale" e, nell'ambito di tale servizio pubblico generale, fornisce servizi dedicati di corrispondenza nell'ambito del servizio universale. Poste Italiane, altresì, fornisce altri servizi compresi nel contratto di programma con il Ministero delle comunicazioni di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, pubblicato sulla G.U. del 4.6.2004, nonché nelle successive deliberazioni del Ministero delle comunicazioni in qualità di Autorità di regolamentazione per il settore postale. 75 Poste Italiane, inoltre, ai sensi del citato decreto legislativo, può stipulare convenzioni a prestazioni corrispettive con le pubbliche amministrazioni. I. Il Gruppo Poste Italiane ha maturato una specifica esperienza nella progettazione e nella gestione di soluzioni integrate di elevata complessità, al fine di favorire l'accesso dei cittadini ai servizi e alle risorse pubbliche e di consentire la realizzazione di quegli obiettivi di efficienza che l'amministrazione si pone nell'erogazione dei servizi pubblici. Il Gruppo Poste Italiane sta già realizzando ed intende realizzare, con la posta elettronica certificata, ulteriori attività che evidenzino, in maniera sempre più marcata, il suo ruolo di partner della pubblica amministrazione nell'erogazione di servizi ai cittadini in maniera sempre più efficiente. L. Il Dipartimento per la funzione pubblica, in relazione a quanto evidenziato nelle precedenti premesse, intende avvalersi del Gruppo Poste Italiane, in conformità con la normativa di legge, nell'ottica dello sviluppo delle opportunità di accesso ai servizi pubblici. Considerato che esiste una forte convergenza delle politiche programmatiche dei firmatari del presente protocollo sui temi indicati nelle premesse, tutto ciò premesso II ministro per la Funzione pubblica e l'amministratore delegato e direttore generale di Poste Italiane, dandosi atto che le premesse fanno parte integrante del presente protocollo di intesa, manifestano quanto segue: Art. 1. Con il presente protocollo di intesa si intende avviare uno stabile e duraturo rapporto di collaborazione, finalizzato al perseguimento degli interessi pubblici indicati nelle premesse attraverso il gruppo Poste Italiane S.p.a. Nell'ottica sopraindicata sarà prioritariamente realizzato un apposito piano di azione volto allo sviluppo della posta elettronica certificata. Il piano di azione indicherà priorità, modalità, tempi e risorse che saranno impiegate per l'attuazione, fra l'altro, degli obiettivi di: − informazione in merito alle attività svolte dalla Pubblica amministrazione per i cittadini e le imprese; − formazione delle risorse della Pubblica amministrazione. Art. 2. Saranno valutate congiuntamente azioni di promozione e comunicazione del piano di azione di cui al precedente art. 1. Art. 3. II ministro per la Funzione pubblica e l'amministratore delegato e direttore generale di Poste Italiane, attraverso le rispettive strutture, provvederanno a fare in modo che sia integralmente attuato il presente protocollo ed in particolare che, di comune intesa: − sia definito, nei tempi necessari, il piano d'azione di cui al precedente art. 1; − siano promossi e coordinati gli interventi da attuare in esecuzione del presente protocollo e del piano di azione; − sia definita la composizione di eventuali gruppi di lavoro congiunti; 76 − − sia assicurato il coinvolgimento delle amministrazioni statali, regionali e locali interessate; sia effettuato il monitoraggio delle attività previste nell'ambito del piano di azione. Art. 4. Ai fini del presente protocollo e per assicurarne la piena e corretta attuazione viene istituito un Comitato di indirizzo e vigilanza (...), composto da n°... in rappresentanza rispettivamente del ministro per la Funzione pubblica e dell'amministratore delegato e direttore generale di Poste Italiane S.p.a. Art. 5. Saranno, altresì, promossi nell'ambito della posta elettronica certificata, ulteriori "progetti speciali", con la specificazione delle modalità, dei metodi e delle risorse necessario per gli stessi. Roma, 18 luglio 2005. L'amministratore delegato e direttore generale Poste italiane S.p.A. Il ministro per la Funzione pubblica Mario Baccini Massimo Sarmi 77 PROTOCOLLO D'INTESA il ministro per la Funzione pubblica ed il ministro dell’Economia e delle finanze − vista la legge 23 dicembre 1996, n. 662, concernente “Misure di razionalizzazione della funzione pubblica”, in particolare l’articolo 1, commi 56-65 e commi 123-131, inerenti il rapporto a tempo parziale e l’affidamento di incarichi; − vista la legge 27 dicembre 1997, n. 449, in particolare l’articolo 39 concernente disposizioni in materia di assunzioni e lavoro a tempo parziale; − visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, in particolare l’articolo 2 concernente il controllo di regolarità amministrativa e contabile interno alle amministrazioni pubbliche; − visto il decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, concernente l’ “Adeguamento dei compiti del corpo della Guardia di finanza”; − visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in particolare l’art. 60 concernente l’attività dell’ispettorato operante presso il Dipartimento della funzione pubblica, nonché l’art. 53, inerente la disciplina delle incompatibilità, del cumulo di impieghi e degli incarichi; − visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2002, concernente l’“Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri”, in particolare l’art. 21; − vista la circolare n. 192800 del 9 giugno 2004 del comando generale della Guardia di finanza – Ufficio ordinamento; − visto il decreto del ministro per la funzione pubblica 5 novembre 2004, di organizzazione e funzionamento del Dipartimento della funzione pubblica, in particolare l’art. 12 concernente l’articolazione e i compiti dell’Ispettorato per la funzione pubblica, a cui è demandata anche la verifica della corretta applicazione delle riforme amministrative, con riferimento alle semplificazioni delle procedure rivolte ai rapporti tra cittadini e imprese e le amministrazioni pubbliche; − vista la circolare n. 162141/317 del 19 maggio 2005 del comando generale della Guardia di finanza – Ufficio ordinamento; − considerato che, per la effettuazione delle verifiche ispettive relative alle norme richiamate, il corpo della Guardia di finanza ha costituito, nell’ambito del comando unità speciali, il Nucleo speciale funzione pubblica e privacy; − tenuto conto ed in linea di continuità con il protocollo d’intesa sottoscritto tra il ministro per la Funzione pubblica e il ministro delle Finanze il 23 febbraio 19999 ai fini di una collaborazione tra l’ispettorato per la funzione pubblica e la Guardia di finanza; − considerato l’eccellente livello di collaborazione conseguito tra il predetto ispettorato e la Guardia di finanza, come peraltro attestato dall’alto numero di riscontri ottenuto da quest’ultima a seguito delle indagini effettuate; − ritenuto che le attività svolte d’intesa debbano essere adeguate alle nuove disposizioni normative, nonché ai rinnovati compiti di polizia economica e finanziaria attribuiti al corpo della Guardia di finanza di cui al citato decreto legislativo n. 68 del 2001; sottoscrivono, di comune intesa, il seguente protocollo: Articolo 1. Definizioni Per ispettorato si intende l’ispettorato della Funzione pubblica incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, di seguito denominato “Ispettorato”. 78 Per Nucleo speciale si intende il Nucleo speciale funzione pubblica e privacy della Guardia di Finanza, incardinato presso il comando unità speciali della Guardia di Finanza, di seguito denominato “Nucleo Speciale”. Articolo 2. Rapporti di collaborazione L’Ispettorato e il corpo della Guardia di Finanza, in relazione ai compiti a ciascuno attribuiti, mantengono rapporti di reciproca collaborazione istituzionale in tutte le attività di competenza dell’Ispettorato stesso. In particolare l’attività della Guardia di Finanza è richiesta in materia di: − rapporto di lavoro e di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni individuate dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; − osservanza delle disposizioni vigenti sul controllo dei costi, dei rendimenti e dei risultati; − controlli di regolarità amministrativa e contabile nelle pubbliche amministrazioni. Articolo 3. Programmazione e verifica L’Ispettorato e il Nucleo Speciale svolgono d’intesa le attività di cui all’articolo 2 tenuto conto dei programmi previamente concordati e correlati alle risorse disponibili. L’Ispettorato e il Nucleo Speciale predispongono una relazione annuale sulle attività svolte. Articolo 4. Competenze Per le attività di cui all’articolo 2, l’Ispettorato provvede all’attivazione diretta del Nucleo Speciale, quale reparto della Guardia di Finanza preposto ad assicurare tutti gli adempimenti connessi all’attività collaborativa in favore dell’Ispettorato medesimo. Per lo svolgimento delle predette attività, il Nucleo Speciale può avvalersi, all’occorrenza, dei reparti del corpo della Guardia di Finanza dislocati sul territorio nazionale, i quali riferiscono per il tramite del Nucleo Speciale. Articolo 5. Funzioni di collegamento Per il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 2, le funzioni di collegamento tra il corpo della Guardia di Finanza e l’Ispettorato sono assicurate da un’aliquota di personale, messa a disposizione dal Nucleo Speciale, avente il precipuo compito di assicurare il coordinamento e la gestione del flusso delle informazioni e delle comunicazioni di comune interesse. Tale aliquota di personale, nel numero massimo di dieci unità (tra ispettori, sovrintendenti, appuntati e finanzieri), dipende funzionalmente dal direttore dell’Ispettorato e gerarchicamente dal Nucleo Speciale e si avvale dei locali e delle dotazioni strumentali messi a disposizione dell’Ispettorato medesimo. Il personale può collaborare anche alle verifiche esterne direttamente eseguite da parte dell’Ispettorato. Articolo 6. Segnalazioni Il Nucleo Speciale segnala all’Ispettorato ogni notizia relativa a presunte violazioni nelle materie di competenza dello stesso, acquisita dal Nucleo Speciale autonomamente o per il tramite degli altri reparti della Guardia di Finanza. 79 Articolo 7. Accesso ai dati Per le attività di cui all’articolo 2, l’Ispettorato consente all’aliquota di personale della Guardia di Finanza con funzioni di collegamento l’accesso ai dati in proprio possesso. Articolo 8. Esiti delle attività Il Nucleo Speciale riferisce all’Ispettorato gli esiti delle attività richieste, fermi restando gli obblighi di denuncia all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale, e alla procura della Corte dei conti, ai sensi degli artt. 1 e seguenti della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Articolo 9. Profili didattici e formativi L’Ispettorato e il Nucleo Speciale possono organizzare incontri e corsi di formazione o aggiornamento in favore del personale interessato alle specifiche attività oggetto del presente potocollo. Articolo 10. Disposizioni amministrative Nell’ambito delle risorse disponibili e previa autorizzazione del drettore dell’Ispettorato, le spese di viaggio e di soggiorno eventualmente sostenute dal personale della Guardia di Finanza per le finalità di cui all’articolo 2 sono a carico dell’Ispettorato e corrisposte in misura non inferiore al trattamento riconosciuto ai militari della Guardia di Finanza impegnati in missione fuori sede. Articolo 11. Responsabili dell’accordo Responsabili del puntuale adempimento delle disposizioni di cui al presente potocollo sono: per l’Ispettorato, il direttore dell’Ispettorato; per il Nucleo Speciale, il cmandante del Nucleo Speciale. Articolo 12. Modifiche e durata dell’accordo Il presente protocollo può essere integrato e modificato di comune accordo tra le parti. Il presente protocollo ha durata biennale e si intende tacitamente rinnovato, salvo formale disdetta da comunicarsi tre mesi prima della scadenza. Roma, 2 agosto 2005. Il ministro per la Funzione pubblica p. il ministro dell’Economia e delle finanze il comandante generale della Guardia di finanza 80 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO PER L'INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE Decreto 5 maggio 2005 Condizioni agevolate per l'acquisto di un personal computer per i dipendenti pubblici, ai sensi dell'articolo 1, comma 208, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. (GU n. 183 del 8-8-2005) Il ministro per l'Innovazione e le tecnologie visto l'art. 1, comma 208, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha previsto la possibilità per i dipendenti pubblici di acquistare un personal computer usufruendo di riduzione di costo; visto l'art. 4, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che ha previsto, per l'anno 2004, condizioni agevolate per l'acquisto di un personal computer portatile da parte dei docenti delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, anche non di ruolo con incarico annuale, nonché del personale docente presso le università statali; visto il proprio decreto del 3 giugno 2004, attuativo dell'art. 4 della legge n. 350 del 2003 recante «Riduzione di prezzo ai docenti nelle scuole pubbliche, per l'acquisto di un personal computer portatile»; considerato che l'art. 1, comma 208, della legge 2004, n. 311, ha previsto altresì che la riduzione di costo per i dipendenti pubblici venga ottenuta in esito ad una apposita selezione di produttori o distributori operanti nel settore informatico, esperita previa apposita indagine di mercato dalla Consip S.p.a.; ritenuta la necessità di fissare le modalità attuative per consentire l'accesso ai benefici previsti dal citato art. 1, comma 208, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; considerato che le modalità di cui al decreto del 3 giugno 2004 di attuazione del progetto PC ai docenti hanno prodotto esiti positivi; ritenuto pertanto di adottare le medesime modalità anche per l'attuazione del presente progetto; Decreta: Art. 1. Beneficiari, oggetto e validità temporale 1. I dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle autorità amministrative indipendenti, nonché quelli con contratto a termine di durata non inferiore a un anno (di seguito: «beneficiari»), possono acquistare un personal computer (di seguito: «PC»), usufruendo della riduzione di costo ottenuta in esito alla apposita selezione esperita ai sensi dell'art. 1, comma 208, della legge n. 311 del 2004. 2. I docenti delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, anche non di ruolo con incarico annuale, nonché il personale docente presso le università statali beneficiari delle agevolazioni, di cui al decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie 3 giugno 2004, prorogate ai sensi dell'art. 1, comma 206, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, possono usufruire delle condizioni agevolative previste dal presente decreto e per la durata da questo stabilita. 3. I beneficiari di cui al presente articolo possono aderire al progetto entro e non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Art. 2. Modalità di conseguimento dell'agevolazione 1. Il beneficiario, per acquistare il PC alle condizioni agevolate, deve: a) scegliere il PC tra quelli proposti dai fornitori, anche operanti on line, individuati all'esito delle relative procedure selettive; 81 b) rivolgersi ad un rivenditore accreditato ai sensi dell'art. 3; c) esibire al rivenditore la distinta delle competenze fisse (di seguito: «cedolino») o l'attestato relativo al possesso dei requisiti di cui all'art. 1, comma 1, del presente decreto, e un proprio valido documento di riconoscimento. 2. Il cedolino da esibire ai fini del riconoscimento dell'agevolazione deve essere riferito ad uno stipendio percepito nel corso dei tre mesi precedenti l'acquisto. 3. L'eventuale attestato, di cui al comma 1, lettera c), presentato in alternativa al cedolino, è rilasciato dall'amministrazione di appartenenza che utilizza a tal fine l'apposito formato scaricabile dal sito www.innovazione.gov.it. Esso è sottoscritto dal dirigente del servizio o dell'ufficio responsabile. 4. Per gli acquisti effettuati on line i beneficiari trasmettono al rivenditore il cedolino o l'eventuale attestato, sottoscritti e inviati per fax o via telematica unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore, ai sensi dell'art. 38, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 5. Esperita apposita indagine di mercato dalla CONSIP S.p.a., ai sensi dell'art. 1, comma 208, della legge 2004, n. 311, l'elenco dei PC offerti, individuati per marca e tipo, con i relativi prezzi e percentuali di sconto applicate, nonche' l'elenco dei rivenditori accreditati sono consultabili sui siti www.innovazione.gov.it e www.italia.gov.it Art. 3. Accreditamento del rivenditore e relativa pubblicizzazione 1. Possono aderire al presente progetto sia i rivenditori che operano mediante la normale distribuzione sia quelli che operano on line. L'accreditamento presso il dipartimento per l'innovazione e le tecnologie si ottiene compilando on line il foglio elettronico d'iscrizione disponibile sui siti www.italia.gov.it e www.innovazione.gov.it. 2. I rivenditori che hanno già aderito ai progetti di cui al decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 3 giugno 2004, relativo all'iniziativa PC ai docenti, e di cui al decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 1° luglio 2004, relativo all'iniziativa PC alle famiglie, ove intendano aderire anche al presente progetto, si accreditano con le modalità di cui al comma 1. 3. Al fine di ottenere l'accreditamento, i rivenditori forniscono gli estremi identificativi del proprio esercizio commerciale, il relativo indirizzo, il numero di partita I.V.A., gli estremi di iscrizione alla Camera di commercio, nonché accettano le condizioni che li riguardano riportate nel sito medesimo. 4. All'atto dell'accreditamento, i rivenditori si impegnano ad adempiere alla procedure prevista per l'ottenimento, da parte dei beneficiari, della riduzione del prezzo d'acquisto del PC prescelto. 5. Al fine di rendere noto l'avvenuto accreditamento, i rivenditori espongono il logo del presente progetto, reso disponibile dal dipartimento sui siti indicati al comma 1. Art. 4. Attività del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della CONSIP S.p.a. 1. All'esito della indagine di mercato effettuata dalla CONSIP S.p.a., ai sensi dell'art. 1, comma 208, della legge 2004, n. 311, il Dipartimento sottoscrive singole convenzioni con ciascun fornitore ammesso al progetto, nelle quali vengono fissati i limiti quantitativi della fornitura dei PC offerti, con indicazione delle relative condizioni di vendita, delle percentuali di sconto o dei prezzi praticabili. 2. L'attuazione del presente decreto non comporta oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. Il presente decreto è inviato agli organi di controllo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ed entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione. Roma, 5 maggio 2005. Il ministro: Stanca 82 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 18 maggio 2005. Autorizzazione alla Scuola superiore della pubblica amministrazione, ad indire un corso-concorso di formazione dirigenziale, ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni, e dell'articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica del 24 settembre 2004, n. 272. (GU n. 160 del 12-7-2005) Il Presidente del Consiglio dei ministri visto il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n.487, e successive modificazioni; visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ed in particolare l'art. 28, come modificato dall'art. 3, comma 5, della legge 15 luglio 2002, n. 145, e dall'art. 34, comma 25, della legge 27 dicembre 2002, n. 289; visto il decreto del Presidente della Repubblica n. 272 del 24 settembre 2004 recante il regolamento di disciplina in materia di accesso alla qualifica di dirigente ed in particolare l'art. 2, comma 2, concernente la determinazione dei posti da mettere a concorso per l'ammissione al corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale; tenuto conto che l'art. 7, comma 1, del sopracitato decreto del Presidente della Repubblica n. 272/2004 prevede che l'accesso alla qualifica di dirigente avviene per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione nella percentuale del trenta per cento dei posti disponibili nella dotazione organica di ciascuna amministrazione al 31 dicembre di ogni anno; vista la nota n. 6783/03/RUD/P del 28 agosto 2003 con la quale il Dipartimento della funzione pubblica ha chiesto a tutte le amministrazioni pubbliche di comunicare il numero dei posti di dirigente da riservare al predetto corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale; viste le note con le quali le amministrazioni hanno comunicato i posti da coprire mediante corsoconcorso; ritenuto di autorizzare un numero di posti strettamente necessari tenuto conto degli obblighi derivanti dall'attuazione della legge finanziaria n. 311/2004 in materia di organici e blocco delle assunzioni e compatibilmente con le risorse finanziarie destinate per l'avvio del suindicato corsoconcorso; visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 maggio 2005 concernente «Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di funzione pubblica al ministro senza portafoglio on. Mario Baccini», in corso di registrazione; su proposta del ministro per la Funzione pubblica; Decreta: la Scuola superiore della pubblica amministrazione è autorizzata, ad indire un corso-concorso di formazione dirigenziale, ai sensi degli articoli 28 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni, e art. 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica del 24 settembre 2004, n. 272, per un totale di centoventi posti nella qualifica di dirigente nei ruoli amministrativi così ripartiti: Ministero degli affari esteri: due posti; Ministero attività produttive: tre posti; Ministero della difesa: due posti; Ministero degli interni: sei posti; Ministero del lavoro e delle politiche sociali: cinque posti; Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi del tesoro: dodici posti; 83 Ministero delle politiche agricole e forestali: tre posti; Ministero della giustizia: tre posti; Ministero istruzione, università e ricerca: trenta posti; Ministero della salute: tre posti; Agenzia delle entrate: diciassette posti; Agenzia delle dogane: cinque posti; INPDAP: cinque posti; INPS: quindici posti; INAIL: sette posti; ENPALS: due posti. Il presente decreto è trasmesso, per gli adempimenti di competenza, all'ufficio di bilancio e ragioneria del segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri. Roma, 18 maggio 2005. p. Il Presidente: Baccini Registrato alla Corte dei conti il 22 giugno 2005. Ministeri istituzionali, Presidenza del Consiglio dei ministri, registro n. 9, foglio n. 79. 84 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO PER L'INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE Decreto 25 luglio 2005 (G.U. n. 199 del 27 agosto 2005) Estensione dei benefici del PC ai docenti, al personale dirigente e non docente, ai sensi dell'articolo 1, comma 207, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Il ministro per l'Innovazione e le tecnologie di concerto con il ministro dell'Economia e delle finanze e il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca visto l'art. 4, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 - legge finanziaria per il 2004, che ha previsto benefici, per l'anno 2004, per i docenti delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, anche non di ruolo con incarico annuale, nonché per il personale docente presso le università statali, per l'acquisto di un personal computer portatile; visto il proprio decreto del 3 giugno 2004 emanato di concerto con il ministro dell'Economia e delle finanze e con il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, concernente «Riduzione di prezzo ai docenti nelle scuole pubbliche, per l'acquisto di un personal computer portatile»; visto l'art. 1, comma 206, della legge 23 dicembre 2004, n. 311 - legge finanziaria per il 2005, che ha prorogato a tutto l'anno 2005 i benefici concessi dall'art. 4, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350; visto l'art. 1, comma 207, della legge 23 dicembre 2004, n. 311, che prevede che al personale dirigente e al personale non docente (amministrativo, tecnico e ausiliario, di seguito A.T.A.) delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado e delle università statali, nonché al personale dirigente, docente ed A.T.A. delle scuole paritarie di ogni ordine e grado, delle università non statali e delle università telematiche riconosciute ai sensi del decreto del ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca 17 aprile 2003, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 98 del 29 aprile 2003, siano estesi i benefici già previsti per i docenti di cui all'art. 4, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350; considerato che la stessa legge n. 350 del 2003 al medesimo articolo ha previsto che tale riduzione di costo venga realizzata attraverso un'apposita indagine di mercato esperita da CONSIP S.p.A.; considerato inoltre che la stessa legge 23 dicembre 2004, n. 311, all'art. 1, comma 207, prevede che le modalità attuative per l«'estensione del progetto PC ai docenti» (di seguito: Progetto) siano definite ai sensi dell'art. 4, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, con decreto di natura non regolamentare adottato dal Ministro per l'innovazione e le tecnologie di concerto con il ministro dell'Economia e delle finanze e con il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca; Decreta: Art. 1. Beneficiari, oggetto e validità temporale 1. Il personale dirigente e il personale A.T.A. delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado e delle università statali, nonché il personale dirigente, docente ed A.T.A. delle scuole paritarie di ogni ordine e grado, delle università non statali e delle università telematiche come individuate dall'art. 1, comma 207 della legge, può avvalersi nel corso del 2005 di una riduzione di prezzo per l'acquisto di 85 un personal computer portatile (di seguito: PC) nuovo di fabbrica, scelto tra quelli indicati nei listini appositamente riservati e pubblicati dalle ditte produttrici e distributrici (di seguito: fornitori) selezionate previa indagine di mercato affidata alla CONSIP. 2. I PC oggetto dell'offerta dei fornitori presentano caratteristiche tecniche e prestazionali definite e poste a base dell'indagine di mercato esperita dalla CONSIP, ai sensi dell'art. 5, commi 1, 2 e 3 del citato decreto del 3 giugno 2004. Art. 2. Modalità di conseguimento dell'agevolazione 1. Il personale dirigente, docente ed A.T.A. delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado e delle università statali, per avvalersi dell'agevolazione, compila l'apposito modulo reso disponibile dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca presso il proprio sito www.istruzione.it; il medesimo ministero, esperite le necessarie verifiche in ordine ai requisiti del richiedente, assegna un numero di identificazione personale (PIN) riservato che consente al beneficiario di accedere all'agevolazione al momento dell'acquisto. 2. Il personale dirigente, docente ed A.T.A. delle scuole paritarie di ogni ordine e grado, delle università non statali e delle università telematiche, di cui all'art. 1, inoltra, tramite uno specifico modulo reso disponibile sul sito www.istruzione.it del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, una richiesta di attribuzione di un numero di identificazione personale (PIN) riservato, che consente di accedere all'agevolazione al momento dell'acquisto. Le richieste del personale dirigente, docente ed A.T.A. delle scuole paritarie, che hanno ottenuto il decreto di parità e i cui dati sono inseriti nel database SIMPI del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e delle università non statali, sono convalidate dal responsabile legale dell'istituto paritario e/o dell'università nel quale presta servizio il richiedente, al fine di garantire l'autenticità dei dati. 3. Il richiedente, scelto il PC tra quelli inseriti nei listini riservati proposti dai fornitori ai sensi dell'art. 5, comma 5, del decreto 3 giugno 2004, individuato il rivenditore accreditato al progetto sulla base della procedura fissata dall'art. 3 del citato decreto, accordatosi sulle modalità della eventuale rateizzazione del prezzo, comunicati al rivenditore il PIN, le proprie generalità, attestate da un documento valido di riconoscimento, ed il proprio codice fiscale, procede all'acquisto ad un prezzo in nessun caso superiore a quello indicato sullo stesso listino rilasciato dal fornitore. Art. 3. Effettuazione della transazione e controlli 1. Il rivenditore effettua la transazione secondo le modalità di cui all'art. 4 del decreto 3 giugno 2004. 2. Il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, avvalendosi delle procedure di monitoraggio e verifica già predisposte per il progetto «PC ai giovani» esclude dal beneficio quanti abbiano già usufruito dell'agevolazione concessa dal presente progetto o di quella riconosciuta dal progetto «PC alle famiglie» di cui all'art. 4, comma 10, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. Art. 4. Attività del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e della CONSIP S.p.A. 1. Il progetto è attuato secondo le procedure già effettuate dalla CONSIP S.p.A., ai sensi dell'art. 5 del decreto 3 giugno 2004. 2. Il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie provvede al monitoraggio dell'andamento del progetto. 3. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede, con una campagna di comunicazione dedicata, a pubblicizzare il progetto, attraverso il sito www.istruzione.it. Le procedure attuative necessarie ad ottenere le condizioni vantaggiose per l'acquisto del personal computer portatile sono altresì rese note con una specifica circolare diretta a tutte le istituzioni scolastiche pubbliche ed a tutte le università statali, oltre che con una apposita comunicazione 86 diretta a tutto il personale della scuola che abbia un indirizzo di posta elettronica nel dominio istruzione.it 4. Sono messi a disposizione dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca appositi programmi software per i docenti che, dopo aver effettuato l'acquisto del PC secondo le modalità indicate nel presente decreto, ne facciano richiesta. I programmi software sono individuati e resi disponibili con modalità da pubblicarsi sul sito www.istruzione.it Il presente decreto è inviato alla Corte dei conti per la registrazione, pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, ed entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione. Roma, 25 luglio 2005. Il ministro per l'Innovazione e le tecnologie Stanca Il ministro dell'Economia e delle finanze Siniscalco Il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca Moratti 87 ESPERIENZE AMMINISTRATIVE SEMPLIFICAZIONE DEL LINGUAGGIO E HUMAN GOVERNANCE di Federico Basilica Il processo di riforma amministrativa è in corso ormai da anni. Esso ha investito questioni di ampia portata che hanno toccato i nodi delicati del rapporto tra lo Stato e le Autonomie locali. Ed è un tema che si è fatto ancora più vivo con la revisione del titolo V della Costituzione. In questo complessivo contesto riformatore, che vede tra i suoi passaggi cruciali il decentramento, non poteva non trovare spazio anche il problema di una significativa riforma del linguaggio amministrativo. Così è stato: la comunicazione delle istituzioni con i cittadini è da tempo un tema all’ordine del giorno. Numerosi sono stati gli sforzi al riguardo. Basterà ricordare le iniziative che dal Codice di stile alla Direttiva Frattini hanno caratterizzato l’iniziativa del Dipartimento della Funzione pubblica. Tuttavia, malgrado gli innegabili progressi fatti, non possiamo certo dire che il percorso di rinnovamento sia concluso. Ancora oggi molti documenti amministrativi continuano a essere pieni di frasi poco comprensibili e di tecnicismi iniziatici. I cittadini hanno dunque ragione a lamentare la perdurante oscurità del linguaggio burocratico. Il “burocratese”, cioè il ricorso dell’amministrazione a una terminologia oscura e inaccessibile, è una realtà con cui la società civile è effettivamente ancora costretta a misurarsi. Come rilevano anche gli operatori economici, l’uso di un linguaggio astruso è tra l’altro anche motivo di ritardi, di inefficienze e di costi che, a ben vedere, diminuiscono la competitività complessiva del sistema paese. Il problema dunque non solo esiste, ma è arduo e complesso. Proprio per questo, esso va affrontato evitando quello che, a mio parere, è stato forse un limite delle impostazioni precedenti: quello, appunto, di puntare troppo sugli aspetti minuti di semplificazione testuale, sottovalutando invece gli aspetti “culturali” della questione. Si tratta infatti di intervenire anche sul costume e sulle mentalità, sull’immagine che l’Amministrazione ha di sé, sul modo in cui opera per consolidata tradizione. Questo nodo intricato non può certo essere sciolto con la spada di Gordio; richiede tempi lunghi e interventi differenziati. Il problema ha infatti radici antiche. Non bisogna dimenticare che all’indomani dell’Unità lo Stato aveva funzioni essenzialmente d’ordine. I pubblici poteri non dialogavano con gli amministrati, ma esercitavano semplicemente il loro potere di imperium. Oggi naturalmente non è più così, anche se l’opinione pubblica è rimasta in qualche misura ancorata a quella immagine, sino a renderla addirittura caricaturale. Certo, resiste ancora qua e là l’idea di una specie di sacralità dell’Amministrazione. Una sacralità che comporta una consapevolezza elitaria del proprio ruolo, un suo linguaggio iniziatico, un atteggiamento distaccato e po’ altero verso gli utenti, considerati più dei sudditi che dei cittadini. L’amministrazione però sta cambiando ed è cambiata parecchio. Accanto a dirigenti e funzionari di vecchio stampo ve ne sono tanti altri, giovani e meno giovani, che hanno un atteggiamento di grande rispetto per i cittadini e che lavorano con impegno per dare risposte alle loro domande. La questione presenta, insomma, una specifica valenza culturale che investe abitudini consolidate e un vero e proprio costume duro a morire. Il “burocratese”, cioè, viene da molto lontano. A ben pensare, affonda le sue radici in una storia del nostro paese che è ben più lunga di quella della nostra unità nazionale. Proprio per questo ritengo che un’adesione non solo formale delle varie componenti politiche, sociali e intellettuali sia indispensabile per favorire quella complessiva “riforma culturale” senza la quale lo svecchiamento del linguaggio amministrativo rischia di restare l’esercizio elitario di pochi addetti ai lavori. Un ulteriore passo viene ora compiuto sulla strada del progressivo, ma ineludibile miglioramento del rapporto tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini: il ministro Baccini ha varato una nuova 91 Direttiva sulla semplificazione del linguaggio amministrativo. Non è stata, né poteva essere una decisione estemporanea. La richiedevano le inedite istanze di un mondo in continua evoluzione: la globalizzazione, l’integrazione europea, il federalismo con le nuove responsabilità assegnate a livello territoriale, l’attuazione del principio di sussidiarietà. Sono tutte sfide che una democrazia matura non può eludere. Ebbene, anche la trasparenza comunicativa è una delle chiavi per vincere queste ardue scommesse. Con la Direttiva non ci siamo limitati a riprendere e sviluppare le indicazioni già enunciate, ma abbiamo anche cercato di dare a essa un valore esemplare: appunto una sorta di modello di testo amministrativo che risponda in modo compiuto e sostanziale al fondamentale criterio della chiarezza. E difatti è stata scritta rispettando sino in fondo le regole che essa stessa prescrive. Questa nuova Direttiva si inquadra in un complessivo progetto della umanizzazione della Pubblica amministrazione che non si limita al solo contesto italiano. Stiamo difatti perseguendo un obiettivo, ambizioso: quello di ispirare a comuni principi l’azione amministrativa dei Paesi dell’Unione Europea. Sono i principi di fiducia, di trasparenza, di democrazia e di rispetto della persona umana e dei diritti del cittadino-utente. Non si tratta di dichiarazioni retoriche, né di aspirazioni da “anime belle”. Significa - molto concretamente - porre al centro dell’azione amministrativa l'individuo nella sua interezza. Significa contribuire a promuovere nell’Unione Europea, anche attraverso una Pubblica amministrazione finalmente moderna e dialogante, i valori indivisibili e fondamentali del pluralismo e della democrazia. La “Human Governance” intende cioè favorire un processo di rinnovamento culturale nei cittadini e nell'Amministrazione, composta anch'essa di individui-cittadini. Vogliamo cioè aprirla sempre di più alle esigenze di tutti e renderla così sempre più affidabile. L’Amministrazione non deve essere una entità astratta e lontana con cui non si può e non si sa dialogare. Deve essere invece un organismo vivente dal volto pienamente umano, un interlocutore che il cittadino possa avvertire come familiare e amichevole. A tal fine, la Carta della “Human Governance” tocca ambiti di particolare rilevanza: la trasparenza dell'azione amministrativa, l'accesso alla documentazione, il diritto a una corretta informazione, la comunicazione tra amministrazione e cittadino, gli interventi in materia di semplificazione e di riassetto normativo. Solo così potremo rafforzare in tutti i cittadini dell’Unione la consapevolezza di appartenere a uno spazio amministrativo che non è solo nazionale, ma anche europeo. All’interno di questo progetto, ben si colloca dunque l’impegno contro il “burocratese”. Come ho detto, il nodo ha una sua complessa valenza storica e culturale, che richiede un’azione di ampio respiro. Ma vorrei anche ricordare che da tempo ormai disponiamo di apprezzabili risultati della ricerca scientifica. Questa ci offre sulle questioni di merito importanti soluzioni. Sarebbe semplicistico da parte mia entrare nei particolari in questa sede. Ma rimango convinto che occorra operare in un duplice senso. Da un lato, bisogna intervenire con gli strumenti offerti dalla competenza tecnica per orientare nel senso della chiarezza il linguaggio della quotidiana pratica amministrativa. Dall’altro - ed è, lo ripeto, un impegno propriamente politico e culturale occorre accelerare lo sviluppo di una nuova mentalità, per consolidare i risultati sinora raggiunti e segnare una nuova tappa sulla via delle strategie del domani. La Direttiva che è stata appena emanata, vuole costituire un passo in questa duplice direzione. 92 LA SCUOLA SUPERIORE DI DIRITTO ED ECONOMIA DEL LAVORO: UN CENTRO SPECIALIZZATO PER LO STUDIO DEL MERCATO DEL LAVORO. UNA IPOTESI DI LAVORO ∗ di Lorenzo Ieva Sommario: 1. Premessa: le Scuole superiori di modello ministeriale, in generale; 2. Una Scuola di alta specializzazione in materia di diritto ed economia del lavoro e della previdenza sociale; 3. Lo sviluppo della ricerca scientifica nell’ambito delle questioni afferenti al “mercato del lavoro”; 4. Un’ipotesi di ordinamento per la S.S.D.E.L.; 5. Conclusioni: la S.S.D.E.L. come struttura per l’elaborazione delle strategie di politica del lavoro e per l’innovazione. Premessa: le Scuole superiori di modello ministeriale, in generale. 1 L’Amministrazione pubblica italiana ha vissuto, nell’ultimo decennio, un percorso riformatore 2 denso di novità improntate alla innovazione ed al miglioramento della efficacia ed efficienza delle 3 strutture burocratiche, sempre nell’ottica del primato del principio della legalità (art. 97 Cost.). La sfida all’ordine del giorno è quella dello sviluppo delle potenzialità e delle capacità professionali delle risorse umane, all’interno del nuovo quadro di riferimento rappresentato dal 4 pubblico impiego contrattualizzato. Infatti, la formazione del personale costituisce un obiettivo primario per qualsiasi struttura organizzata, sia privata che pubblica. Per altro verso, gli incessanti mutamenti tecnologici, l’evoluzione costante della normativa, gli sviluppi interpretativi della dottrina e della giurisprudenza, la particolare complessità delle competenze istituzionali costituiscono i fattori fondamentali hanno imposto la istituzione di Scuole Superiori a statuto speciale nell’alveo delle strutture ministeriali di diverse Amministrazioni statali. Possiamo, ad esempio, ricordare: 1) la S.S.P.A. – Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, nell’ambito della P.C.M. 5 Dipartimento della Funzione Pubblica (D.Lgs 30 luglio 1999 n. 287). ∗ Lorenzo Ieva, funzionario del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia. 1 Cfr. E. CASETTA – S. FOÀ, (voce) Pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., vol. I agg., Torino, 2000, p. 436 ss. Sul punto, vedi:la Direttiva del P.C.M. 28 ottobre 1999 (Gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni), in G.U. 11.12.1999 n. 290; la Direttiva del P.C.M. - Dip. Innovazione e Tecnologie del 9 dicembre 2002 (Trasparenza dell’azione amministrativa e gestione elettronica dei flussi documentali), in G. U. 5.3.2003 n. 53; la Direttiva del P.C.M. - Dip. Innovazione e Tecnologie del 20 dicembre 2002 (Linee guida in materia di digitalizzazione dell’Amministrazione), in G. U. 4.3.2003 n. 52. In particolare, cfr. il commento sulle direttive del 2002 citate di A. NATALINI, Le strategie per l’innovazione tecnologica delle amministrazioni pubbliche, in Giorn. dir. amm., n. 7, 2003, p. 669 ss. 3 In argomento, cfr.: L. CARLASSARE, (voce) Legalità (principio di), in Enc. giur., vol. XVIII, Roma, 1990; A. ROMANO, Amministrazione, principio di legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. amm., 1999, p. 111 ss; nonché S. LARICCIA, Diritto amministrativo, Padova, 2000, p. 377 ss; F. SATTA, (voce) Imparzialità della pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. XV, Roma, 1989; U. ALLEGRETTI, (voce) Imparzialità e buon andamento, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, p. 131 ss; G. ARENA, (voce) Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., vol. XXXI, Roma, 1995; P. CALANDRA, (voce) Efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. XII, Roma, 1989. 4 Sul pubblico impiego, vedi: M. S. GIANNINI, (voce) Impiego pubblico. a) Profili storici e teorici, in Enc. dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 293 ss; L. RAINALDI, (voce) Impiego pubblico, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, p. 144 ss; F. CARINCI, La riforma del pubblico impiego, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 189 ss; F. CARINGELLA – R. MARINO, Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1999; F. CARINCI – M. D’ANTONA (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Milano, II ed., 2000; M. CLARICH – D. IARIA, La riforma del pubblico impiego, Rimini, 2000; M. DELL’OLIO – B. SASSANI (a cura di), Amministrazione pubblica, lavoro, processo, Milano, 2000; C. VIDETTA, (voce) Impiego pubblico, in Dig. disc. pubbl., vol. I agg., Torino, 2000, p. 323 ss; P. VIRGA, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 2000; G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale.Il lavoro privato e pubblico, Milano, III ed., 2000; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2001, p. 929 ss; E. A. APICELLA, (voce) Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Enc. dir., vol. V agg., Milano, 2002, p. 602 ss, S. BATTINI, Il personale, in S. CASSESE (diretto da), Trattato di diritto amministrativo. Dir. amm. gen., tomo I, Milano, II ed., 2003, p. 373 ss. 5 Sulla S.S.P.A., dopo la riforma del 1999, cfr. A. MARI, La pseudo-riforma della Scuola superiore della pubblica amministrazione, in Giorn. dir. amm., n. 1, 2000, p. 42 ss. 2 93 2) la S.S.E.F. – Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze (art. 8 D.Lgs n. 287 del 1999 e D. M. del Ministero delle Finanze28 settembre 2000 n. 301, come mod. dai DD. MM.del 22 ottobre 2000 n. 359 e del 6 29 marzo 2002 n. 80). 3) la S.S.P.A.L. – Scuola Superiore per la Pubblica Amministrazione Locale, dipendente dall’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali, sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno (art. 17, commi 77, 78, 79 e 80 L. 15 maggio 1997 n. 127 e D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 396). Altre similari istituzioni sono presenti nell’apparato organizzativo del Ministero dell’Interno (S.S.A.I.), del Ministero della Difesa, etc. 7 Costituisce un dato acquisito che l’ottimale organizzazione dei Ministeri presuppone la creazione di strutture di eccellenza per la formazione e la ricerca nel settore amministrativo di propria competenza, al fine di consentire la elaborazione di conoscenze teoriche e di metodiche applicative essenziali per la formazione e l’aggiornamento del personale dipendente. Come è possibile osservare, tutti i Ministeri più importanti annoverano, al proprio interno, una Scuola Superiore deputata alla ricerca scientifica ed alla formazione del proprio personale, ma anche, previa stipulazione di convenzioni, del personale di altre Amministrazioni. Mentre, non esiste un analoga struttura nel “campo specialistico del lavoro e delle politiche sociali”, per cui appare necessario riflettere sulla opportunità di istituire una “Scuola Superiore” anche nella materia del Diritto e della Economia del Lavoro. Una Scuola di alta specializzazione in materia di diritto ed economia del lavoro e della previdenza sociale. In attuazione della c.d. legge Biagi, L. 14 febbraio 2003 n. 30, appare necessario potenziare la capacità formativa e di ricerca scientifica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il ruolo di organo di controllo svolto dal Ministero nel campo del lavoro e della previdenza connota peculiarmente l’attività dell’Amministrazione del Lavoro. 8 Un’azione ispettiva incisiva presuppone la formazione di ispettori specialisti nella materia che sono chiamati ad interpretare ed applicare. Solo così, d’altro canto, è possibile realizzare un’azione di vigilanza, ma anche di consulenza e di prevenzione verso le imprese autenticamente efficace. Difatti, la formazione costante assume un ruolo strategico nell’ambito di una azione amministrativa che intenda muoversi in un contesto innovativo al passo con i tempi. 6 Sulla S.S.E.F., cfr.: M. MASSA, Il nuovo riordino della scuola centrale tributaria, in Dir. pubbl., n. 1, 2003, p. 245 ss; S. DE LIDDO, Deroghe al principio costituzionale dell’accesso per concorso alla docenza universitaria: la “chiamata per chiara fama” e l’insegnamento presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, in Il lav. nelle pubbl. amm., n. 2, 2003, p. 409 ss. 7 Sull’organizzazione amministrativa, in generale, cfr.: G. ZANOBINI, (voce) Amministrazione pubblica; b) Nozione e caratteri generali, in Enc. dir., vol. II, 1958, p. 233 ss; M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966; G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968; M. NIGRO, (voce) Amministrazione pubblica (Organizzazione giuridica dell’) in Enc. giur., vol. II, 1988; M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, III ed., 1993, p. 175 ss; G. DI GASPARE, (voce) Organizzazione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. X, 1995, p. 513 ss; M. S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, II ed., 2000, p. 35 ss; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2001, p. 521 ss. Inoltre, per i profili di scienza dell’amministrazione, vedi: R. D’AMICO, Manuale di scienza dell’amministrazione, Roma, 1996 e G. AIROLDI – G. BRUNETTI – V. CODA, Economia aziendale, Bologna, 1994. Inoltre, cfr. M. WEBER, Economia e società (trad. it.), Milano, 1961. 8 Sull’ispezione amministrativa, in generale, vedi: M. BOMBARDELLI, Le ispezioni amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 1989, p. 1111 ss; G. LANDI, (voce) Ispezioni ed inchieste amministrative, in Enc. giur., vol. XVII, Roma, 1989; A. DEGLI ESPOSTI, (voce) Ispezioni e inchieste amministrative, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, p. 588 ss; V. TENORE, L’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, Milano, 1999; S. VALENTINI, Le ispezioni amministrative. Funzioni e caratteri, Milano, 1999. Specificamente sull’attività ispettiva del Ministero del Lavoro, cfr.: G. D’AURIA, (voce) Ispettorato. II) Ispettorato del lavoro, in Enc. giur., vol. XVII, Roma, 1989; S. MARGIOTTA, Le ispezioni amministrative, in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Milano, 2000, p. 1323 ss; S. MARGIOTTA, Ispezioni in materia di lavoro, Milano, 2001. 94 La professionalità dei dipendenti va apprezzata propriamente sulla base di due parametri essenziali: 1) le conoscenze teoriche; 2) le abilità pratiche. Se le seconde possono essere acquisite nel tempo, attraverso l’esperienza quotidiana, le prime possono essere introitate soltanto con la frequenza di specifici corsi iniziali e di successivi corsi di aggiornamento in grado di realizzare una “formazione continua”, in linea con la evoluzione del quadro giuridico di riferimento e con le nuove dinamiche sociali ed economiche. Per altro verso, la c.d. privatizzazione (o, rectius, contrattualizzazione) del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica Amministrazione ha un senso solo se accompagnata da misure in grado di valorizzare le “risorse umane”, nel senso dello sviluppo delle conoscenze e delle capacità professionali. De jure condendo, lo strumento fondamentale, per realizzare tutto ciò, è rappresentato dalla istituzione di un centro di formazione nell’ambito disciplinare del “diritto del lavoro e della sicurezza sociale” che costituisce uno dei settori normativi tra i più difficili da apprendere e da applicare per la vastità e per la disorganicità delle disposizioni normative e contrattuali collettive. In tale quadro, la formazione e l’aggiornamento dei dirigenti, dei funzionari e dei dipendenti del Ministero, a qualunque profilo professionale appartengano, assume un’importanza cruciale. In primis, esiste la necessità di assicurare al personale del Servizio Ispezione della Direzioni Provinciali del Lavoro un costante supporto per l’attività di accertamento degli illeciti amministrativi e/o degli illeciti penali, in materia lavoristica e previdenziale. L’ispezione del lavoro costituisce una 9 tra le attività amministrative più irte di difficoltà ed implica la maturazione di una conoscenza della vasta materia del lavoro e della previdenza sociale di tipo operativo funzionale all’espletamento di un servizio, che stando agli schemi della teoria del diritto, rientra, a seconda dei casi, nei concetti di 10 11 polizia amministrativa e/o di polizia giudiziaria. Pertanto, risulta di importanza primaria garantire l’assimilazione degli elementi culturali essenziali per un proficuo svolgimento dell’azione ispettiva. Inoltre, i funzionari dell’Ufficio Legale e Contenzioso delle Direzioni del Lavoro, che sono chiamati a rappresentare in giudizio l’Amministrazione, hanno la necessità di ricevere un’adeguata formazione di tipo forense. Invero, in questo caso, siamo in presenza di un’attività amministrativa e poi anche giudiziaria che presupporrebbe la creazione di un’area professionale, come pure previsto dall’art. 40 co. 2, ult. parte, D.Lgs n. 165/2001, in quanto la delicatezza della funzione svolta esige un’alta professionalità e specializzazione da parte del personale adibito, che si trova a dover difendere in giudizio la validità di provvedimenti sanzionatori di rilevanti importi economici. Pertanto, il potenziamento di un’attività ispettiva richiama di per sé quella accessoria della attività legale e 12 contenziosa. Il personale adibito alle “vertenze di lavoro” svolge pure un’attività di tipo legale che, per la sua incidenza positiva in termini di capacità di realizzare la conciliazione tra le parti, esige una solida conoscenza della materia. La proposizione di “convincenti soluzioni stragiudiziali” delle controversie di lavoro portate all’attenzione del Servizio delle politiche del lavoro può soltanto costituire il frutto di un possesso ferreo della legislazione di settore conseguibile mediante un’attività formativa 13 specifica. Più in generale, è possibile osservare che anche l’attività del personale amministrativo degli uffici del Ministero del Lavoro e delle Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro si scontra con una 9 Sulle diverse tipologie di “attività amministrativa”, amplius, vedi: M. S. GIANNINI, (voce) Attività amministrativa, in Enc. dir., vol. III, Milano, 1958, p. 988 ss; E. CASETTA, (voce) Attività amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. I, Torino, 1987, p. 521 ss; E. PICOZZA, (voce) Attività amministrativa e diritto comunitario, in Enc. giur., vol. III, Roma, 1997; F. G. SCOCA, (voce) Attività amministrativa, in Enc. dir., vol. VI agg., Milano, 2002, p. 75 ss. 10 Cfr. G. TUFARELLI, (voce) Polizia amministrativa, in Nss. Dig. it., vol. XIII, Torino, 1976, p. 185 ss; A. NOVA, (voce) Polizia amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino, 1996, p. 314 ss. 11 Cfr. S. GIAMBRUNO, (voce) Polizia giudiziaria, in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, p. 597 ss. 12 In materia, amplius, cfr. L. IEVA, L’attività ispettiva del Ministero del lavoro.L’Ufficio legale e contenzioso: profili de jure condendo, in Dir. & pratica del lavoro, n. 31, 2003, p. 2074 ss. 13 Sul punto, amplius, cfr. C. BELLAVEGLIA, Funzioni ispettiva e conciliativa: un’ipotesi di raccordo, in Dir. & pratica del lavoro, n. 12, 2003, p. 771 ss. 95 realtà, quella del mondo del lavoro, che esige una formazione solida che può essere fornita soltanto da un centro di formazione ben organizzato. La S.S.D.E.L. oltre ad effettuare attività formativa e di aggiornamento nei confronti dei dirigenti, funzionari ed impiegati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, potrebbe svolgere proficuamente attività formativa per i dipendenti del Ministero delle Attività Produttive, dell’I.N.P.S., dell’I.N.A.I.L., dell’I.N.P.D.A.P., e di altri enti previdenziali, nonché delle Regioni ed altri enti territoriali locali e delle diverse pubbliche amministrazioni richiedenti. Come è ben noto, l’attività ispettiva, nel campo del lavoro e della previdenza, è svolta anche dai Servizi Ispettivi degli Istituti previdenziali (INPS e INAIL), i quali, seppure si muovano essenzialmente in funzione del recupero della evasione contributiva, sovente tendono a sovrapporsi all’attività ispettiva degli ispettori del lavoro. Allo stato attuale, l’inesistenza di efficaci metodi di collegamento e di coordinamento tra gli stessi servizi ispettivi ha finito per generare contrasti, sovrapposizioni ed interpretazioni disomogenee della normativa. Sul punto, la Legge n. 30 del 2003, opportunamente e con lungimiranza, pone l’ulteriore obiettivo del coordinamento dei Servizi Ispettivi. Orbene, il primo passo da fare per concretizzare un reale coordinamento, che sia tale in termini operativi e non soltanto formale, è quello di fornire, al personale ispettivo dei diversi servizi, una base di conoscenze omogenee, seppure specializzate in ragione del peculiare campo di azione. E’ più che evidente che è necessario creare un humus culturale comune tra gli appartenenti al Servizio Ispezione del Ministero del Lavoro e quelli dell’INPS e dell’INAIL, poiché solo in tal modo è possibile realizzare un dialogo ed un’intesa fondata su una identica formazione e metodologia operativa. Siffatta formazione può essere assicurata dalla S.S.D.E.L., quale organismo di alta formazione e ricerca, istituita nell’ambito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il quale ultimo – è bene ricordarlo – possiede una funzione di vigilanza e, con i decreti delegati di cui alla L. n. 30 del 2003, anche una funzione di coordinamento nei confronti degli Istituti previdenziali. Dunque, il personale dei predetti enti pubblici istituzionali può ben essere inserito in corsi programmati di formazione presso la istituenda Scuola Superiore (con l’obbligo di partecipare al finanziamento degli stessi). Da non sottovalutare è, poi, l’attività formativa che la S.S.D.E.L. potrà essere chiamata a svolgere nei confronti delle Regioni, delle Province e dei Comuni, quali nuovi soggetti giuridici 14 operanti nel settore della tutela e della sicurezza del lavoro, ai sensi del novellato art. 117 Cost.. Più specificamente, le Regioni, fin dalla riforma sanitaria operata con la L. n. 833 del 1978, svolgono attività ispettiva e di controllo in materia di sicurezza del lavoro, attraverso appositi Servizi ispettivi facenti capo alle A.U.S.L.. Il D.Lgs n. 469 del 1997 ha conferito alle Regioni le funzioni in materia di collocamento, poi subdelegate alle Province;mentre, i comuni possono svolgere talune funzioni residuali in materia di politiche sociali (L. n. 328 del 2000). Da un siffatto quadro, emerge come il ruolo delle Regioni e degli enti locali, nel settore del lavoro e delle politiche sociali, si avvii ad essere sempre maggiore, in linea con una corretta attuazione del 15 principio di sussidiarietà, il quale postula l’affidamento di talune funzioni all’ente esponenziale della collettività più vicino al cittadino, in quanto meglio in grado di interpretarne i bisogni e le istanze sociali e, quindi, di dare risposte immediate e flessibili alle domande provenienti dalla collettività. 14 Sulla riforma del titolo V della Costituzione, vedi: F. CINTIOLI, Unità giuridica ed economica o interesse nazionale?, in Quad. cost., n. 1, 2002, p. 89 ss; D. SORACE, La disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Prime considerazioni, in Le Regioni, n. 4, 2002, p. 757 ss; C. BOTTARI (a cura di), La riforma del titolo V, parte II, della Costituzione (Quaderni della Spisa), Rimini, 2003. 15 Sul principio di sussidiarietà, cfr.: G. STROZZI, Il ruolo del principio di sussidiarietà nel sistema dell’Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 59 ss; M. P. CHITI, Principio di sussidiarietà, pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in Dir. pubbl., 1995, p. 505 ss; A. D’ATENA, Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quad. cost., n. 1, 2001, p. 13 ss; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2001, p. 731 ss; L. IEVA, Riflessioni sul principio di “Sussidiarietà” nell’ordinamento amministrativo italiano, in Rivista amm., n. 1 – 2, 2001, p. 81 ss. 96 Pur tuttavia, allo Stato rimane il compito fondamentale di esercitare le funzioni di maggiore complessità, di rilevanza nazionale e comunitaria, e quindi di controllare la buona amministrazione 16 degli enti territoriali minori e dei privati ammessi alla gestione di talune funzioni e servizi pubblici, nonché di determinare i livelli minimi sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. In una simile prospettiva, al fine di realizzare una tutela e sicurezza del lavoro conformi ai dettami comunitari ed internazionali, ed, inoltre, perequata su tutto il territorio del Paese, spicca la essenziale funzione di formazione e di coordinamento, che una futura Scuola Superiore può svolgere, prestando la propria consulenza ed attività formativa in favore dei funzionari e dipendenti degli enti pubblici territoriali in questione. Una ulteriore competenza della Scuola potrebbe essere, poi, quella della realizzazione di corsi ad hoc per la formazione e l’aggiornamento dei consulenti del lavoro e degli altri professionisti abilitati a prestare la propria opera professionale nel campo del lavoro. Il successo di una simile attività riposa tutto sulla capacità formativa dei docenti incaricati e sulla capacità di coinvolgimento del Ministero nei confronti del mondo professionale. Inoltre, una iniziativa di tale tipo consentirebbe di raggiungere positivi risultati anche con riferimento alle relazioni professionali tra ispettori e consulenti, le quali devono essere uniformate a condivisi canoni deontologici. Lo sviluppo della ricerca scientifica nell’ambito delle questioni afferenti al “mercato del lavoro”. L’apprestamento di idonee politiche economiche nel settore dell’economia, in generale, e nell’economia del lavoro, in particolare, esige la realizzazione di un centro di ricerca di eccellenza nel settore. Una struttura di tal fatta potrebbe essere rappresentata proprio dalla S.S.D.E.L., la quale, oltre a svolgere una preziosa attività formativa per il personale, come finora illustrato, può ben adempiere ad altri compiti quali la ricerca scientifica nelle materie di diretta pertinenza istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero delle Attività Produttive. La ricerca scientifica costituisce una risorsa preziosa per gli Stati democratici moderni:la vera fonte di ricchezza e la matrice del pensiero liberale alla base dei sistemi capitalistici avanzati. 17 Se la ricerca universitaria è libera e quella del C.N.R. finalizzata a progetti specifici, la ricerca delle Scuole Superiori di stampo ministeriale è eminentemente orientata a soddisfare i bisogni e le peculiarità del settore della pubblica Amministrazione. Le Università e gli enti facenti capo al C.N.R. svolgono un’attività di ricerca che possiede una propria vocazione e finalizzazione, che non è affatto rapportabile alle esigenze degli apparati ministeriali. Pertanto, anche il Ministero del Lavoro deve poter contare su una istituzione, la quale, dotata di una organizzazione autonoma e flessibile, sia in grado di assicurare quel contributo in termini di conoscenza scientifica che risulta indispensabile per poter elaborare complesse decisioni di politica economica e, quindi, poter attuare una coerente politica del diritto, che sia rispondente agli scopi prefissati. Lo sviluppo di ulteriori attività, oltre a quella formativa, costituisce un obiettivo che pare utile perseguire, poiché perfettamente integrabile con l’attività di formazione. La S.S.D.E.L. può divenire 16 Per la nozione di “funzione pubblica”, vedi: F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 118 ss; G. MIELE, (voce) Funzione pubblica, in Nss Dig. it., vol. VII, Torino,1961, p. 686 ss; G. MARONGIU, (voce) Funzione, II) funzione amministrativa, in Enc. giur., vol. XIV, Roma, 1989. Mentre, per la nozione di “servizio pubblico”, cfr.: U. POTOTSCHNIG, I servizi pubblici, Padova, 1964; P. CIRIELLO, (voce) Servizi pubblici, in Enc. giur., vol. XXVIII, Roma, 1992; L. IEVA, Tutela dell’utente e qualità del servizio pubblico. Dall’organizzazione alla “Carta dei servizi, Milano, Ipsoa, 2002. 17 Vedi, da ultimo, il D.Lgs4 giugno 2003 n. 127: “Riordino del Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.)”, in G. U. 6 giugno 2003 n. 129. 97 un vero e proprio centro di ricerca scientifica, in grado di operare ad alto livello e confrontarsi con la 18 ricerca universitaria e quella del C.N.R.. In una simile prospettiva evolutiva, l’obiettivo può ben diventare la realizzazione di una Scuola Superiore operante in funzione della specializzazione del personale della pubblica Amministrazione, dell’aggiornamento di professionisti e di consulenti e, quindi, della ricerca scientifica nelle discipline di interesse per l’Amministrazione del Lavoro, sia giuridiche (diritto del lavoro, diritto comparato del lavoro, diritto della previdenza e della sicurezza sociale, diritto comunitario del lavoro, diritto commerciale, diritto amministrativo, diritto pubblico dell’economia, diritto processuale civile ed amministrativo, diritto e procedura penale, diritto finanziario, etc.), che economiche (economia del lavoro, statistica economica, storia economica, economia politica, economia aziendale, economia pubblica, politica economica, analisi economica del diritto, scienza 19 delle finanze, etc.). Un’ipotesi di ordinamento per la S.S.D.E.L. L’istituzione della S.S.D.E.L. ha la necessità di trovare un riferimento espresso in una fonte di legge o in un decreto legislativo attuativo di una legge delega (es.: L. n. 30 del 2003 sulla riforma del mercato del lavoro e sul potenziamento del coordinamento dell’attività ispettiva, o anche L. n. 137 del 2002 sulla riforma dei Ministeri), che peraltro, per gli aspetti di dettaglio, dovrà comunque 20 fare rinvio ad un regolamento ministeriale. Non è utopico pensare che una Scuola Superiore, munita di una strumentazione sufficiente e fondata sulla collaborazione di professori universitari, magistrati, dirigenti e funzionari della p. a., possa costituire un “centro di alta formazione e specializzazione”, tale da guidare le Amministrazioni pubbliche coinvolte nel mercato del lavoro, ma anche i soggetti privati che potrebbero ben gradire e richiedere l’attività formativa della Scuola. Si tratta di fondare “una istituzione di alta cultura e formazione” annoverabile tra gli enti di primaria importanza che operano nel settore della formazione e della ricerca come le Università e gli altri centri di ricerca. Infatti, la S.S.D.E.L. andrà iscritta nell’Anagrafe Nazionale delle Ricerche di cui all’art. 63, co. 3, D. P. R. 11 luglio 1980 n. 382 (al pari della S.S.P.A., ex art. 1, co. 5, D.Lgs n. 287/1999 e della S.S.E.F., ex art. 1, co. 3, D. M. n. 301/2000). In quest’ottica la S.S.D.E.L. può essere configurata come amministrazione autonoma incardinata nel Ministero, che possiede autonomia scientifica, organizzativa, contabile e finanziaria. 18 La istituzione della S.S.D.E.L. consente di avere a disposizione una struttura capace anche di realizzare risultati economici. Si tratta di investire. A fronte di una spesa finanziaria congrua e graduale nel tempo e non di eccessivo importo è possibile organizzare una struttura capace di apportare anche un utile economico da impiegare, a sua volta, nella formazione e remunerazione del personale.In particolare, va osservato che i soggetti (pubblici o privati) esterni, che si vorranno avvalere dei servizi formativi offerti dalla Scuola, dovranno corrispondere un contributo finanziario in misura tale da coprire interamente le spese e garantire una entrata utile in bilancio. Un sistema così congegnato consentirebbe a siffatta Istituzione di auto-finanziarsi. 19 La S.S.D.E.L.può essere anche abilitata a gestire corsi masters e dottorati di ricerca (art. 4 L. n. 210 del 1998) anche in convenzione con altre Università ed il C.N.R. e diventa un polo di attrazione competitivo nella ricerca scientifica. Deve poter, altresì, conferire assegni di ricerca, ai sensi dell’art. 51, co. 6, L. 27 dicembre 1997 n. 449.Inoltre, la stessa può svolgere un’attività di consulenza nei confronti delle imprese richiedenti e fornire pareri alle autorità istituzionali istanti su questioni di massima importanza nelle materie oggetto di studio e di ricerca. 20 La copertura finanziaria per la realizzazione del “Progetto S.S.D.E.L.”, oltreché nelle risorse proprie (ove disponibili), può essere individuata nell’ambito degli stanziamenti di bilancio previsti per i progetti finalizzati curati dal Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie (vedi, ad es., l’art. 29, co. 7, della L. n. 448 del 2001: “Finanziaria 2002”; l’art. 27 della L. n. 3 del 2003: “Disposizioni ordinamentali P.A.”; l’art. 26 L. n. 289 del 2002: “Finanziaria 2003”), ovvero anche attingendo agli stanziamenti del Fondo Sociale Europeo, attraverso la prescritta procedura e interessando l’Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 7 del D. M. 2 ottobre 2000, come mod. dall’art. 3 del D.M. 25 luglio 2002), il quale cura i rapporti con la Commissione europea per quanto concerne i programmi di formazione dei pubblici dipendenti finanziabili con il F.S.E.. 98 Il regolamento di organizzazione ed il regolamento didattico costituiscono l’ordinamento interno 21 della Scuola e sono sottoposti ad approvazione con decreto del Ministro. La funzione docente potrebbe essere affidata a professori stabili, professori incaricati e 22 ricercatori specialisti. I docenti (stabili ed incaricati) potrebbero essere nominati nell’ambito dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, dei professori ordinari o associati dell’Università, dei dirigenti della pubblica amministrazione, nonché dei funzionari laureati della pubblica amministrazione con la ex VIII o IX qualifica funzionale muniti di titoli altamente qualificanti 23 (dottorato di ricerca e/o diploma di specializzazione, etc.). Mentre, i ricercatori specialisti potrebbero essere nominati nell’ambito dei funzionari laureati del Ministero con qualifica non inferiore alla VIII, a seguito di selezione interna per titoli, dotati di adeguata formazione scientifica documentata dal possesso di dottorati di ricerca, titoli post lauream, abilitazioni professionali od all’insegnamento e pubblicazioni scientifiche. In ogni caso, ai docenti ed ai ricercatori della Scuola andrebbe assicurato il trattamento giuridico ed economico dei corrispondenti profili professionali dell’ordinamento dei docenti universitari, nonché il mantenimento della retribuzione afferente al 24 profilo di appartenenza. Inoltre, pare utile prevedere che il Rettore possa conferire incarichi temporanei ad “esperti di riconosciuta fama nella materia” per lo svolgimento di seminari, incontri di studio, specifiche attività didattiche complementari, etc.. Conclusioni: la S.S.D.E.L. come struttura per l’elaborazione delle strategie di politica del lavoro e per l’innovazione. La S.S.D.E.L., alla conclusione del processo della sua istituzione, può divenire un vero e proprio centro di studio, di formazione e di ricerca, in grado di costituire un valido supporto per la impostazione delle politiche del lavoro e, più in generale, per la politica industriale e di sviluppo economico. La esatta analisi e comprensione dei fenomeni del mondo del lavoro consente di programmare e di realizzare piani di intervento mirati nel mercato del lavoro che permettano di allargare la base occupazionale. Inoltre, sarà possibile avviare uno studio sistematico della legislazione esistente, al fine di realizzare una vasta semplificazione e raccolta in codici o testi unici per materia. Una legislazione del lavoro sistematica costituisce un valido ausilio all’impresa che ama chiarezza e semplicità e non certo l’attuale oscurità e contraddittorietà dei testi normativi. Sul punto, la Scuola Superiore potrebbe costituire il laboratorio indispensabile per ottimizzare l’azione amministrativa e raggiungere così il risultato finale di disporre di un apparato burocratico 21 Gli organi fondamentali della Scuola potrebbero essere: 1) il Rettore, legale rappresentante e responsabile della gestione scientifica, nominato dal Ministro, sentito il Direttore Generale; 2) il Direttore amministrativo, responsabile della gestione amministrativa e finanziaria, nominato dal Ministro, sentito il Direttore Generale; 3) il Consiglio scientifico, presieduto dal Rettore, composto dai docenti stabili ed incaricati della Scuola; 4) il Consiglio di amministrazione, presieduto dal Direttore amministrativo e composto dal Rettore, da due membri eletti dal consiglio scientifico e da tre dirigenti (o funzionari) del Ministero nominati dal Ministro, su indicazione del Direttore Generale. Il Consiglio scientifico ha la competenza a deliberare in materia di attività didattica e scientifica della Scuola. Il Consiglio di amministrazione si occupa di qualsiasi questione tecnica ed amministrativa che non sia attribuita alla competenza esclusiva di altro organo. Docenti e ricercatori sono nominati dal Rettore, previa deliberazione conforme del consiglio scientifico. 22 I docenti stabili sono equiparati ai professori ordinari e svolgono attività di formazione e di ricerca in modo continuativo ed a tempo indeterminato presso la Scuola e sono posti in posizione di fuori ruolo nell’Amministrazione di appartenenza con riconoscimento dell’anzianità di servizio. I docenti incaricati sono equiparati ai professori associati confermati e svolgono attività di formazione e di ricerca per il periodo dell’incarico attribuito presso la Scuola e sono, di volta in volta, posti in posizione di aspettativa (o comando o distacco) per l’espletamento dell’incarico (a tempo determinato) e con riconoscimento dell’anzianità di servizio. I ricercatori specialisti sono equiparati ai ricercatori universitari confermati e svolgono attività di ricerca ed attività docente complementare a quella svolta dai docenti, e sono posti in posizione di aspettativa (o comando o distacco) per l’espletamento dell’incarico (a tempo determinato) e con riconoscimento dell’anzianità di servizio. 23 Sulla valorizzazione dei pubblici funzionari muniti di dottorato di ricerca, amplius, cfr. L. IEVA, Pubblico impiego e dottorato di ricerca: un binomio ancora da realizzare, in Il lav. nelle pubbliche amministrazioni, n. 5, 2001, III, p. 925 ss. 24 L’attribuzione degli incarichi di docente e di ricercatore deve essere considerata, ad ogni effetto giuridico per il prosieguo della carriera, come svolgimento di funzioni dirigenziali. 99 efficiente. Inoltre, sarà possibile realizzare una migliore interazione tra i diversi servizi ispettivi esistenti nella materia del lavoro e della previdenza sociale e della sicurezza (ispettori del lavoro, ispettori INPS, ispettori INAIL, ispettori A.U.S.L.), tale da porre i presupposti per un concreto coordinamento fondato su una preparazione culturale e giuridica comune seppure specialistica. Un’Amministrazione efficiente è quella che sappia dimostrarsi tale nell’azione operativa, ma anche quella che sappia apparire agli osservatori come una struttura ben organizzata e dotata di strutture di eccellenza. La S.S.D.E.L., tra gli scopi enunciati, ha anche quello di costituire la punta avanzata di una innovativa organizzazione del Ministero, il quale ultimo deve costituire un faro per gli enti pubblici e gli altri organismi abilitati, che operano nel “mercato del lavoro”. Pertanto, nell’ambito di un rifondato Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la Scuola Superiore del Diritto ed dell’Economia del Lavoro deve rappresentare un gioiello, che può porre il dicastero del lavoro al pari di altri, primi tra tutti, quello dell’Economia e delle Finanze, con il quale è necessario agire in tandem per poter impostare una dinamica e risoluta azione propulsiva nel mondo del lavoro. In chiusura, è possibile rimarcare il collegamento che la istituzione di una futura S.S.D.E.L. può 25 avere con la tematica più generale della innovazione nella P.A.. Orbene, la necessità di dare una svolta al sistema burocratico italiano costituisce un obiettivo perseguito da tempo, oramai da più di dieci anni (vedi: L. n. 241 del 1990). E’ però soltanto negli ultimissimi anni che si assiste ad una accelerazione sul ruolo di marcia. E’ parso opportuno istituire un Ministero per l’Innovazione nella P. A., che affianchi il Dipartimento della Funzione Pubblica proprio per meglio procedere su una strada irta di difficoltà. La S.S.D.E.L. rappresenta quella Istituzione di alta formazione e cultura che può costituire lo strumento leva per impostare una più radicale riforma del Ministero nella direzione del potenziamento delle competenze attuali e dell’acquisizione di nuove nell’ottica di un intervento pubblico nell’economia del lavoro di tipo regolatore funzionale al controllo ed all’incentivo della libera iniziativa dei privati, la quale deve, pur sempre, essere supportata da un’Amministrazione pubblica efficiente e dotata di personale altamente qualificato e specializzato. In conclusione, l’istituzione di una siffatta Scuola risulta alquanto auspicabile, utile per gli obiettivi di politica economica del lavoro che si vogliono perseguire, indispensabile per riuscire, con successo e riconoscimento pubblico, nell’azione di sostegno e di sviluppo dell’occupazione. 25 Sul punto, vedi:la Direttiva del P.C.M. 28 ottobre 1999 (Gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni), in G.U. 11.12.1999 n. 290; la Direttiva del P.C.M.-Dip. Innovazione e Tecnologie del 9 dicembre 2002 (Trasparenza dell’azione amministrativa e gestione elettronica dei flussi documentali), in G.U. 5.3.2003 n. 53; la Direttiva del P.C.M. - Dip. Innovazione e Tecnologie del 20 dicembre 2002 (Linee guida in materia di digitalizzazione dell’Amministrazione), in G.U. 4.3.2003 n. 52. In particolare, cfr. il commento sulle direttive del 2002 citate di A. NATALINI, Le strategie per l’innovazione tecnologica delle amministrazioni pubbliche, in Giorn. dir. amm., n. 7, 2003, p. 669 ss. 100 LA GESTIONE DEL PERSONALE DI UN UFFICIO DI DIRETTA COLLABORAZIONE DI UN VERTICE POLITICO ∗ di Cristiana Luciani Affrontare il tema della gestione del personale di un ufficio di diretta collaborazione di un Sottosegretario di Stato costituisce l’argomento di questo saggio. E, naturalmente, si tratta di porre in evidenza, sulla base dell’esperienza vissuta, i problemi che la figura professionale del Capo della Segreteria è tenuto ad affrontare nella quotidianità del lavoro di ogni giorno. Il Sottosegretario di Stato, all’atto della sua nomina e successivamente al giuramento davanti al Presidente del Consiglio dei Ministri, assume l’incarico di “collaboratore” del Ministro nello stesso dicastero in cui è stato nominato. Il Ministro, infatti, nell’adempiere le sue attività istituzionali si avvale del lavoro della collaborazione politica dei Sottosegretari, ai quali delega alcune materie rientranti nella competenza 1 di quel determinato Ministero. E sappiamo anche che la delega di una certa “area di potere” può essere piena, con conseguente potere di firma, o, semplicemente, istruttoria e preparatoria di atti che, invece, dovranno essere sottoposti alla firma del Ministro. 2 Come è ormai nella prassi, appena delegato, il Sottosegretario di Stato avvia il suo lavoro istituzionale costituendo una sua Segreteria particolare. La Segreteria particolare del Sottosegretario è composta, a termini della vigente legislazione in materia, da otto unità lavorative, oltre che dal Capo della Segreteria; di esse, tre possono essere estranee all’Amministrazione e, quindi, assunte con contratto a tempo determinato. Individuate queste unità, si procederà alla formalizzazione del decreto di Segreteria particolare. Alla domanda se tale numero di personale si possa considerare sufficiente ad assicurare una adeguata funzionalità al suo ufficio, la storia delle strutture istituzionali di cui trattiamo assicura una risposta negativa. Ed allora, nella normalità dei casi, oltre le otto unità di legge, il Sottosegretario può avvalersi del supporto di pubblici impiegati che vengono inseriti normalmente nel decreto costitutivo del Gabinetto del Ministro (art. 6, 1° c., d.lgs. n. 165/2001). Allo stato della legislazione, il Gabinetto di un Ministro, risulta costituito da tutto il personale delle Segreterie del Ministro, del/i Viceministro/i (là dove è previsto) e dei Sottosegretari, dal Capo di Gabinetto, da uno/due Vice Capo di Gabinetto e dalle rispettive segreterie, dal Capo dell’Ufficio Legislativo e dal relativo Ufficio legislativo, dall’Ufficio del personale di Gabinetto, dall’Ufficio del cerimoniale, dal Servizio per il controllo interno, dall’Ufficio stampa del Ministero (art. 14, d.lgs. n. 165/2001). In ogni caso, l’Ufficio a supporto del Sottosegretario di Stato verrà ad essere composto dal Capo della Segreteria, dal Segretario particolare e da sette unità lavorative che percepiranno, oltre allo 3 stipendio base tabellare, un’indennità forfettaria mensile per le ore di straordinario lavorate, mentre ∗ Cristiana Luciani svolge la funzione di Capo della Segreteria di un responsabile politico del Governo in carica. L’art. 95 Cost. così recita: «Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene la unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei Ministri. I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri.» 2 Il provvedimento di delega di poteri, emanato dal Ministro, viene normalmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. 3 Più correttamente viene retribuita la disponibilità concreta che ciascun collaboratore assicura, tenuto conto della anomalia negli orari di servizio che si riscontra lavorando a contatto con il decisore politico. 1 101 il personale di supporto della Segreteria (con qualifica A3, B1, B2 o B3) percepirà un’indennità di supporto per le ore straordinarie prestate. Come è noto, il Capo della Segreteria, equiparato ad un dirigente di livello non generale di 4 seconda fascia, organizza, in collaborazione con il Segretario particolare, che è persona di fiducia del Sottosegretario, la Segreteria, assegnando il lavoro in base alle professionalità a disposizione, affinché la delega politica avuta dal Ministro possa essere portata ad esecuzione. Il personale ausiliario svolge i normali compiti di centralino e di smistamento dei contatti telefonici in entrata ed in uscita e gestisce il protocollo, essendo di supporto operativo sia al Capo della Segreteria che al Segretario particolare. E’ quest’ultimo che gestisce i rapporti politici ed istituzionali del Sottosegretario, organizza 5 l’agenda ed il relativo cerimoniale, dando impulso, in quest’ultimo caso, all’addetto stampa, affinché ne diffonda e ne propagandi l’attività. Nel rispetto di quello che è il principio di base di una qualsiasi organizzazione orientata al perseguimento di obiettivi di legge, si verifica che ciascun membro della Segreteria si occupi di uno o più “campi di intervento” (delega del Sottosegretario), lavorando da ufficiale di collegamento tra l’autorità politica e quella amministrativa (Direzioni Generali competenti e, spesso, relativi collaboratori con qualifica dirigenziale di 2^ fascia, a norma dell’art. 15, del d.lgs. n. 165/2001). E’ cosa che rientra nella norma che, durante lo svolgimento del proprio lavoro, ogni collaboratore non potrà fare a meno di tenere aggiornato il responsabile della Segreteria della evoluzione e dell’istruttoria delle pratiche che gli sono state assegnate. Il responsabile della Segreteria seguirà, quindi, tutte le questioni, intervenendo di persona ed informando il vertice politico dei risultati raggiunti o degli eventuali problemi che si sono verificati nel corso dell’istruttoria. A questo punto dell’analisi delle attività svolte, è opportuno fornire al lettore alcuni chiarimenti e anche qualche puntualizzazione. E’ bene ricordare come l’indirizzo politico nello svolgimento di determinate attività si concretizzi, generalmente, coinvolgendo in una prima riunione iniziale, alla presenza del Sottosegretario, i Direttori Generali competenti, il Segretario particolare e/o il Capo della segreteria e l’addetto di segreteria che si occuperà quotidianamente della questione. In tale occasione, il Sottosegretario di Stato si impegna ad illustrare il proprio progetto, indicando le linee-guida da seguire ed il risultato da raggiungere, nel rispetto, naturalmente, delle indicazioni che sono contenute nella direttiva politica d’inizio anno elaborata dal Ministro (art. 14, 1° c., d.lgs. n. 165/2001). Partendo da qui, l’Amministrazione interessata procederà nel senso indicato lavorando in un continuo processo di osmosi con il responsabile della Segreteria del Sottosegretario, che a sua volta verrà informato sui relativi sviluppi nelle riunioni di staff. Proprio in virtù del rapporto biunivoco che c’e’ tra il processo decisionale dell’autorità politica e quello proprio dell’autorità amministrativa, quest’ultima, a sua volta, nell’esercizio delle proprie funzioni, può anche proporre progetti o illustrare iniziative diversi/migliorativi di quelli indicati dalla direttiva annuale, al fine di ottenerne l’approvazione politica (art. 15, d.lgs. n. 165/2001). Si tratta di un processo inverso a quello dell’impulso politico, ma risponde, comunque, al principio del rispetto della continuità e dell’iniziativa amministrativa. I risultati raggiunti, quindi, saranno il frutto dell’interazione del vertice politico (Ministro/Sottosegretario di Stato) con quello amministrativo, fermo restando il fatto che gli interlocutori, in ragione della complessità della delega, possono essere diversi. 4 In genere, la scelta ricade su un/una funzionario/a dell’amministrazione presso cui il politico ha ricevuto l’incarico governativo. 5 La figura dell’addetto stampa risulta essere incardinate negli uffici di supporto del ministro a termini della l. n. 150/2000. 102 Per quanto riguarda, invece, la gestione del personale della Segreteria, si può dire che essa spetta al Capo della Segreteria particolare; gestione che va curata in aderenza ai principi generali posti dall’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001. In alcuni casi, il Capo della Segreteria del Sottosegretario potrà ricevere l’autorizzazione del Capo di Gabinetto del Ministro per le missioni istituzionali dei membri della Segreteria particolare del Sottosegretario (compresi i due autisti a disposizione del Sottosegretario), oppure per permettere al Sottosegretario di utilizzare i voli di Stato della Repubblica Italiana, per le missioni 6 all’estero e, in genere, per l’uso del mezzo aereo. Il Capo della Segreteria, inoltre, è tenuto ad attribuire mensilmente ai componenti della Segreteria inseriti in decreto, le relative quote di indennità spettanti agli uffici di diretta collaborazione. Le indennità, infatti, sono articolate, generalmente, in quattro fasce che sono attribuite, nel rispetto del principio di equità, in base al merito acquisito ed al lavoro svolto da ciascun operatore. Dopo l’assegnazione dell’indennità, si deve procedere alla comunicazione del provvedimento in questione al Capo di Gabinetto, che avrà cura di incaricare gli uffici competenti dell’erogazione materiale delle stesse. In autonomia, invece, il Capo della Segreteria ha facoltà di autorizzare i servizi esterni (lavoro al di fuori dell’abituale luogo di lavoro), i permessi personali ed il piano ferie. Quest’ultimo viene autorizzato sulla base delle esigenze e delle richieste espresse dal personale, garantendo che l’ufficio ed il servizio siano aperti e funzionali per il Sottosegretario, tutti i giorni feriali dell’anno (art. 16, d.lgs. n. 165/2001). Nel caso in cui il Sottosegretario di Stato non fosse soddisfatto dell’operato di un membro della propria Segreteria, rientra nei suoi poteri decisori discrezionali di estrometterlo della stessa. Quando si tratti di un dipendente di ruolo della Pubblica Amministrazione, egli verrà riassegnato all’ufficio dal quale era stato distaccato; nel caso in cui si tratti di un dipendente estraneo alla Pubblica Amministrazione, con contratto a tempo determinato, si procederà alla risoluzione del contratto stesso. Qualora, infine, venisse a cessare l’incarico del Sottosegretario (per dimissioni del Sottosegretario stesso o per la cessazione del Governo in carica), i dipendenti estranei alla Pubblica Amministrazione con contratto a tempo determinato cessano il loro rapporto con la Pubblica Amministrazione, mentre i dipendenti di ruolo vengono riassegnati agli uffici di provenienza. Si tratta, comunque, di un atto gestionale che rientra nella competenza del Direttore 7 generale del personale del dicastero (art. 17, 1° c., lett. e), d.lgs. n. 165/2001). Una attività complessa, quindi, che viene misurata dal decisore politico ogni giorno, dato che, nella maggior parte dei casi, rientra nello stile del decisore politico richiedere il risultato ancor prima che la pratica sia avviata. 6 Si tratta di una specifica regolamentazione che è vigente per il ministero per I beni e le attività culturali. In altri casi, i contatti sono tenuti direttamente con il Capo del personale del dicastero da parte del Capo della Segreteria del Sottosegretario di Stato. 7 Sul punto. V. Francesco Grechi “Un nuovo rapporto tra il sistema delle burocrazie e il sistema dei decisori politici. Una esperienza di lavoro”, in Regioni e comunità locali, Roma , n. 1/2- 2005. 103 IL SISTEMA DI INFORMAZIONE SCHENGEN ∗ di Domenico Riccio 1. Premessa L’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 e la relativa convenzione d’applicazione del 19 giugno 1990 hanno istituito uno spazio di libera circolazione delle persone mediante la soppressione dei controlli alle frontiere interne degli Stati membri nonché l’instaurazione del principio di un controllo unico all’entrata nel territorio Schengen. Al fine di mantenere un livello di sicurezza soddisfacente è apparso necessario, tra altre misure (rafforzamento della cooperazione tra forze di polizia e giudiziaria, armonizzazione delle politiche in materia di visti e di asilo), creare il sistema di informazione Schengen (SIS). Il SIS è un archivio comune a tutti gli Stati membri dello spazio Schengen. Vi sono centralizzate due grandi categorie di informazioni concernenti rispettivamente le persone ricercate o poste sotto 1 sorveglianza e i veicoli o gli oggetti ricercati quali, ad esempio, documenti d’identità. All’esecuzione di una richiesta si applica il diritto nazionale dello Stato Schengen di esecuzione. Se questo non consente l’azione necessaria, lo Stato Schengen richiesto informa al riguardo, immediatamente, lo Stato Schengen d’inserimento che ha effettuato la segnalazione. In applicazione dei principi della protezione dei dati, particolari diritti sono riconosciuti dalla convenzione Schengen alle persone, siano essi o meno cittadini di uno Stato membro dello spazio Schengen. Si tratta essenzialmente del diritto di accesso alle informazioni ad esse attinenti, archiviate nel SIS, del diritto di rettifica quando i dati sono archiviati in base a un errore di diritto o materiale e, infine, del diritto di proporre un’azione dinanzi a giurisdizioni o istanze competenti al fine di ottenere la rettifica o la cancellazione dei dati errati, ovvero un indennizzo. 2. Il diritto di accesso Il diritto d’accesso è la facoltà, per chiunque lo richieda, di accedere ai dati che lo riguardano registrati in un archivio analogo a quello previsto dal diritto nazionale. Si tratta di un principio fondamentale di protezione dei dati, che permette agli interessati di esercitare un controllo sui dati di carattere personale detenuti da terzi. Tale diritto è espressamente previsto dalla convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 19 giugno 1990. Ai sensi dell’art. 109 di detta convenzione, chiunque ha il diritto di accedere ai dati che lo riguardano inseriti nel Sistema di Informazione Schengen (SIS). La facoltà è integrata da un diritto di rettifica – quando i dati contengono errori di fatto – e da un diritto di cancellazione – quando i dati sono inficiati da un errore di diritto – dei dati contenuti nella segnalazione inserita nel SIS (art. 110). L’accesso è rifiutato se può nuocere all’esecuzione dell’attività legale indicata nella segnalazione o ai fini della tutela dei diritti e della libertà altrui. È negato in ogni caso durante il periodo di segnalazione a fini di sorveglianza discreta (art. 109, par. 2, della Convenzione). Chiunque eserciti il proprio diritto d’accesso può rivolgersi all’autorità competente del Paese Schengen da lui scelto. Questa facoltà di scelta risulta dal fatto che ciascuna delle basi nazionali (N-SIS) è identica alla base centrale (C-SIS) installata a Strasburgo (cfr. art. 92, par. 2, della Convenzione). Il diritto d’accesso verte pertanto su dati identici, qualunque sia lo Stato presso il quale è proposta la domanda. ∗ Domenico Riccio è ricercatore presso l’Università degli studi del Molise 1 Possono essere, ad esempio, schedate nel sistema di informazione Schengen: le persone ricercate o sorvegliate dai servizi di polizia; le persone scomparse o che debbono essere poste sotto protezione, in particolare i minori; le persone non cittadine di uno Stato membro dello spazio Schengen alle quali è vietato entrare nel territorio Schengen. 104 Ciò nonostante, il diritto d’accesso si esercita in conformità del diritto nazionale dello Stato adito. Ora, le norme procedurali applicabili variano da un Paese all’altro, in quanto sono attualmente in vigore due regimi per il diritto d’accesso agli archivi di polizia e, pertanto, al SIS. Taluni Stati prevedono il diritto d’accesso diretto, altri il diritto d’accesso indiretto. Nel primo caso la persona sottopone la domanda di diritto d’accesso direttamente all’autorità competente per la gestione dei dati (servizi di polizia, gendarmeria, dogane, ecc.). Se il diritto nazionale lo prevede, al richiedente possono essere comunicate le informazioni che lo riguardano. Nel caso di diritto di accesso indiretto, la persona presenta domanda di diritto d’accesso all’autorità nazionale di protezione dei dati dello Stato presso cui ha proposto la domanda. La verifica delle informazioni inserite nel SIS è effettuata, alla stregua di quelle per gli archivi di polizia che interessano la sicurezza dello Stato, la difesa o la pubblica sicurezza, dall’autorità di protezione dei dati. Le modalità di comunicazione dei dati differiscono a seconda del Paese interessato (v. infra) e possono in taluni casi essere estremamente limitate. 3. Il principio della rettifica o della soppressione dei dati Ai sensi della convenzione Schengen, soltanto lo Stato che ha effettuato una segnalazione inserita nel SIS la può modificare o, eventualmente, cancellare (art. 106). Quando a un Paese che prevede il diritto di accesso diretto è presentata una domanda di diritto d’accesso per una segnalazione che non è stata effettuata dallo Stato in questione, esso deve fornire allo Stato che ha effettuato tale segnalazione l’occasione di prendere posizione quanto alla possibilità di comunicare i dati al richiedente. Quando si tratta di un Paese che prevede un diritto di accesso indiretto, occorre instaurare una cooperazione tra autorità nazionali di protezione dei dati, sulla base dell’art. 114, par. 2, della Convenzione Schengen (cfr. infra). 4. Situazioni particolari che richiedono una procedura specifica: il principio di cooperazione Quando una persona presenta domanda di diritto d’accesso ai dati che la riguardano all’autorità nazionale di protezione dei dati di uno degli Stati membri dello spazio Schengen e, all’atto del controllo dei dati, emerge che questi sono stati introdotti da un altro Stato Schengen, una stretta cooperazione è instaurata tra le autorità di controllo dei due Stati interessati, vale a dire quello in cui è stata introdotta la domanda di accesso e quello all’origine della segnalazione. In considerazione dell’elevato numero di domande di diritto d’accesso che coinvolgono più Stati e delle conseguenze che una segnalazione nel SIS può avere in materia di libertà individuali, in particolare la libertà di circolazione, occorre una cooperazione rapida ed efficace tra le autorità di controllo. All’uopo sono stati predisposti principi comuni nel rispetto delle legislazioni nazionali. Precisamente, l’autorità di controllo nazionale a cui è stata presentata una domanda di diritto d’accesso deve, quando i dati personali sono stati introdotti da un altro Stato, agire in stretta cooperazione con l’autorità di controllo nazionale di detto altro Stato. Una siffatta domanda di cooperazione non comporta in nessun caso la perdita di competenza dell’autorità adita in primo luogo. L’autorità di controllo adita in primo luogo fornisce all’autorità richiesta ogni elemento in suo possesso utile all’esercizio delle verifiche. L’autorità di controllo nazionale richiesta procede con diligenza alle verifiche richieste. In particolare, l’autorità di controllo verifica la fondatezza della segnalazione nel SIS, il che comporta talvolta la necessità di estendere le verifiche ai dati inseriti in archivi nazionali. 105 Al trattamento di tali domande deve essere data particolare priorità, al fine di non allungare eccessivamente i termini della risposta al richiedente. Se, ai sensi del diritto nazionale applicabile, il richiedente è in grado di esercitare il suo diritto d’accesso direttamente presso le autorità che gestiscono gli archivi nazionali, tale possibilità deve essergli comunicata quanto prima. Al termine delle verifiche, l’autorità di controllo richiesta trasmette all’autorità di controllo adita in primo luogo l’insieme delle informazioni raccolte nel corso delle sue indagini. Nel parere da essa formulato l’autorità di controllo nazionale informa l’autorità di controllo nazionale richiesta circa le implicazioni del suo diritto interno sul diritto di accesso e può stabilire quale sarebbe la decisione relativa alla domanda di accesso in base a detto diritto interno. Indica, nel caso di un’autorità di diritto d’accesso diretto, laddove l’autorità richiedente è di diritto d’accesso indiretto, se è d’accordo a trasmettere al richiedente le informazioni in questione. 5. L’inserimento di «alias» Accade di frequente che una persona la cui identità sia stata usurpata (ad esempio in seguito al furto e all’utilizzazione fraudolenta dei suoi documenti di identità da parte di terzi) sia segnalata nel SIS. Infatti la persona realmente ricercata è registrata sotto le diverse identità che è suscettibile di assumere. La segnalazione nel SIS di persone la cui identità è stata usurpata pone seri problemi di ordine giuridico e pratico. Il SIS contiene una segnalazione corredata di un’identità che non corrisponde né di diritto né de facto a una persona che risponde ai criteri previsti agli artt. da 95 a 100 della Convenzione Schengen. Tale segnalazione è in contrasto con i principi di pertinenza e di esattezza dei dati, essenziali in materia di protezione degli stessi. L’esperienza delle autorità di controllo nazionali dimostra inoltre che le persone la cui identità sia stata usurpata possono trovarsi in una situazione estremamente spiacevole e incontrare grandi difficoltà nel far valere i propri diritti. Di fronte a tale situazione, l’Autorità di controllo comune (ACC Schengen) ha formulato due pareri (parere 98/2 del 3 febbraio 1998 e parere complementare del 15 febbraio 2000) nei quali sottolinea l’importanza del rispetto dei principi di protezione dei dati sanciti dalla Convenzione, e auspica l’adozione di una soluzione tecnica nell’ambito del SIS I e del SIS II. Fatte salve le soluzioni tecniche previste a più lungo termine, ai fini del trattamento delle domande di diritto d’accesso presentate da persone vittime di un’usurpazione di identità si dovrebbero applicare una serie di cautele. In primo luogo, in considerazione dell’obbligo che hanno gli Stati partecipanti al SIS di garantire che i dati registrati siano esatti e aggiornati, il mantenimento della segnalazione di persone la cui identità sia stata usurpata può essere ammesso soltanto in misura assai ristretta, vale a dire unicamente nei casi la cui gravità, alle condizioni menzionate negli artt. da 95 a 100, giustifica il trattamento di tali dati. Occorre infatti ponderare i diritti della persona vittima dell’usurpazione di identità – in particolare il diritto di chiedere la cancellazione di una segnalazione che le arreca pregiudizio – e il rischio che comporterebbe la soppressione di detta segnalazione. Nell’esercizio del diritto di accesso ai dati della persona la cui identità sia stata usurpata, gli Stati che effettuano la segnalazione dovrebbero accogliere una domanda di cancellazione della segnalazione con la massima celerità nella maggior parte dei casi, in particolare qualora le segnalazioni siano state effettuate sulla base dell’art. 96 e non, ad esempio, dell’art. 95. Può infine capitare che una persona la cui identità è registrata nel SIS in quanto «identità accertata» sostenga che il suo nome è stato usurpato e utilizzato a fini fraudolenti. Questa delicata 106 situazione può prodursi quando l’autore di un reato sia stato fermato e si sia presentato sotto l’identità della vittima dell’usurpazione di identità. L’ACC Schengen ritiene che in simili casi la persona che asserisce di essere vittima di un’usurpazione di identità deve essere in grado di provare con qualsiasi mezzo di non essere l’autore dei fatti che le sono contestati nonché di far valere i propri diritti. 6. La segnalazione di uno straniero titolare di un titolo di soggiorno rilasciato da uno Stato membro L’art. 25, par. 2, della Convenzione Schengen prevede nel caso di segnalazione di uno straniero titolare di un titolo di soggiorno rilasciato da uno Stato membro che lo Stato che ha effettuato la segnalazione consulta quello che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono motivi sufficienti per ritirare il titolo stesso. Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la parte contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest’ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate. Può accadere che un cittadino straniero sia segnalato nel SIS da uno Stato membro dello spazio Schengen sulla base dell’art. 96 della Convenzione Schengen, mentre risiede regolarmente in un altro Stato membro. Detta situazione appare illogica, poiché una persona residente nel territorio di uno Stato membro dello spazio Schengen non può contemporaneamente essere registrata nel SIS in quanto persona «indesiderabile» nello spazio Schengen. Pertanto, è importante che ogni autorità di protezione dei dati, quando scopre che la persona che esercita il proprio diritto d’accesso al SIS si trova nella situazione sopra descritta, verifichi il rispetto della procedura prevista all’art. 25, par. 2, della Convenzione Schengen, che, nella maggior parte dei casi, porta alla cancellazione della segnalazione della persona in questione. Infatti, se il Paese che ha effettuato la segnalazione ritiene che non vi sia motivo di ritirare il titolo di soggiorno regolarmente rilasciato, la cancellazione della segnalazione dal SIS deve essere automatica. Su questo punto la convenzione non lascia alcun margine discrezionale allo Stato che ha effettuato la segnalazione. Per vero, lo studio effettuato in proposito dall’ACC ha rivelato che questa procedura non è sistematicamente attuata e che può risultare assai lunga per l’interessato. Pare inoltre che gli Stati membri ritengano di disporre della facoltà di valutare la necessità di cancellare una segnalazione sulla base dell’art. 25, par. 2, della Convenzione Schengen. Alla stregua di quanto esposto, appare evidente che le autorità di protezione dei dati dovrebbero verificare se la persona segnalata nel SIS sia in possesso di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da uno degli Stati membri dello spazio Schengen e, in questa ipotesi, rammentare alle autorità interessate il carattere automatico (salvo eccezioni) della cancellazione della segnalazione, e insistere affinché la cancellazione dei dati nel SIS intervenga celermente. 7. La situazione nei vari Paesi firmatari della Convenzione: l’Italia 2 Allo stato della normativa è previsto solo l’accesso indiretto attraverso una richiesta rivolta all’Autorità di controllo nazionale la quale risponde sulla base dei riscontri effettuati direttamente ovvero tramite il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. Non sono richieste particolari formalità per la presentazione della domanda (può essere inviata per posta o via fax) né sono previsti costi o diritti di segreteria. A differenza di quanto disposto dalla legge nazionale per il diritto di accesso a comuni basi di dati, per la sezione nazionale SIS non c’è una norma espressa che imponga di accertare l’identità del richiedente. Tuttavia, l’Autorità garante per il trattamento dei dati personali effettua in ogni caso una valutazione in proposito, anche quando agisce un legale o un rappresentante di fiducia. L’Autorità di controllo nazionale, una volta ricevuta una richiesta di accesso, di verifica, di rettifica o di cancellazione, svolge i necessari accertamenti e riscontri tramite la predetta struttura nazionale ovvero direttamente attraverso ispezioni o accessi. Nei casi più semplici il richiedente 2 Le principali disposizioni normative nazionali applicabili sono la l. 30 settembre 1993, n. 388, di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Schengen e della relativa Convenzione di applicazione (in particolare gli articoli 9, 10, 11 e 12); il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali. 107 riceve una risposta basata sui controlli effettuati dalla struttura nazionale. Tuttavia, se è necessario svolgere un’indagine completa, essa è effettuata con una procedura discreta e riservata alla quale, per legge, è preposto caso per caso un componente dell’Autorità. Nella procedura che prevede un’indagine completa, ove richiesto dalla specificità della verifica, il componente che tratta il caso può farsi assistere da personale specializzato dell’ufficio ovvero da altri organi dello Stato (appartenenti a forze di polizia) che sono tenuti al segreto d’ufficio. All’esito degli accertamenti, se il trattamento dei dati personali non risulta conforme alle disposizioni di legge o di regolamento, l’Autorità di controllo indica all’organo competente le necessarie modificazioni e integrazioni e ne verifica l’attuazione . Una volta completati gli accertamenti, in base alla normativa vigente, all’interessato è fornito in ogni caso un riscontro circa il relativo esito, comprensivo anche dell’indicazione del Paese che ha effettuato la segnalazione, salvo che ricorrano i casi nei quali tale comunicazione non è dovuta, vale a dire quando potrebbe ostacolare il perseguimento delle finalità della segnalazione o pregiudicare azioni o operazioni a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, ovvero fino a quando permane la segnalazione per sorveglianza discreta (prevista all’art. 99 della Convenzione per l’attuazione dell’Accordo di Schengen) ovvero ancora quando ricorre l’esigenza di salvaguardare i diritti altrui. La comunicazione contiene, altrimenti, i dati riferiti alla persona. 8. L’Austria In Austria, il diritto di accesso ai dati personali è in linea di massima un diritto di controllo diretto; in altri termini, le domande di informazione devono essere rivolte al responsabile del trattamento dei dati (Auftraggeber), che vi risponde personalmente. Tale regola è generalmente applicata in virtù della legge austriaca in materia di protezione dei dati ed è applicata anche e soprattutto alle informazioni relative alle segnalazioni di cui agli artt. 95-100 della Convenzione schedate nel SIS. Le domande di informazione devono essere presentate alle autorità di polizia (in quanto responsabili del trattamento dei dati) se l’interessato desidera sapere se tali autorità trattano dati che lo riguardano. Conformemente all’art. 26 della legge sulla protezione dei dati (DSG) del 2000, il responsabile del trattamento dei dati deve informare l’interessato allorquando l’interessato presenti una domanda scritta (la domanda può essere anche fatta oralmente con l’accordo del responsabile). L’interessato deve fornire la dovuta prova della sua identità. L’informazione deve contenere: i dati trattati; le informazioni disponibili sulla loro origine; i destinatari o gruppi di destinatari eventuali dei dati trasmessi; l’uso al quale sono destinati i dati; la base giuridica in una forma generalmente comprensibile e, su richiesta dell’interessato, il nome e l’indirizzo dei prestatori incaricati del trattamento dei dati che lo riguardano. L’informazione non deve essere comunicata quando la protezione dell’interessato lo richiede per motivi particolari oppure l’interesse legittimo predominante del responsabile del trattamento dei dati 3 o di un terzo vi si oppone ovvero, ancora, l’interesse pubblico predominante vi si oppone. Se la protezione dell’interesse pubblico impone il rifiuto di comunicare le informazioni al momento dell’esecuzione, è comunque opportuno fare presente, ogniqualvolta le informazioni non siano fornite (anche se effettivamente non viene utilizzato alcun dato) che non è possibile utilizzare alcun dato riguardante l’interessato la cui comunicazione sia obbligatoria. Il rifiuto è soggetto al controllo della Commissione per la protezione dei dati e può essere oggetto di una procedura di ricorso specifica. Si può rinunciare a comunicare l’informazione se l’interessato, il quale su specifica richiesta deve partecipare alla procedura, non partecipa alla procedura o se non versa l’importo stabilito. 3 Perché bisogna, ad esempio, tutelare le istituzioni costituzionali della Repubblica d’Austria o garantire la disponibilità operativa dell’esercito federale o tutelare gli interessi della difesa globale del Paese o difendere importanti interessi della Repubblica d’Austria o dell’Unione europea nei settori della politica estera, dell’economia o delle finanze o prevenire, impedire o perseguire reati 108 Il responsabile del trattamento dei dati deve comunicare le informazioni entro un termine di otto settimane o giustificare per iscritto un rifiuto totale o parziale. L’informazione è gratuita se riguarda un archivio attuale e se l’interessato non ha ancora presentato la stessa domanda nell’anno in corso. In tutti gli altri casi, può essere chiesto un importo forfettario. Se l’informazione ha dato luogo ad una rettifica, l’importo deve essere rimborsato. Se, allo scadere del termine di otto settimane, l’autorità di polizia non ha fornito una risposta, o se l’interessato è informato del fatto che non è stato trattato alcun dato la cui comunicazione sia obbligatoria, esso può rivolgersi alla Commissione per la protezione dei dati, conformemente all’art. 31, par. 1 e/o 4 della DSG del 2000. Se, nel quadro di una procedura di ricorso in virtù dell’art. 31, par. 4 della DSG del 2000, il responsabile del trattamento dei dati chiede la riservatezza per motivi di interesse pubblico predominante, la Commissione per la protezione dei dati deve verificare la necessità della riservatezza e notificare la diffusione dei dati allorché non sia giustificata rispetto all’interessato. L’autorità può contestare tale notifica dinanzi al tribunale amministrativo. In assenza di ricorso, essa deve rispondere alla notifica della Commissione per la protezione dei dati entro un termine di otto settimane; in caso contrario, la Commissione stessa può trasmettere i dati all’interessato. 9. Il Belgio 4 Nel Belgio chiunque gode del diritto di accesso indiretto ai dati di carattere personale che lo riguardano trattati dai servizi di polizia. Per esercitare tale diritto l’interessato presenta una domanda alla Commissione per la protezione della vita privata. La domanda, recante data e firma, è inoltrata a mezzo posta alla Commissione per la protezione della vita privata. Essa contiene cognome e nome, data di nascita e nazionalità dell’interessato, nonché una fotocopia del suo documento di identità. La domanda riporta inoltre, ove il richiedente disponga di tali informazioni, la designazione dell’autorità o del servizio competente e tutti gli elementi pertinenti relativi ai dati oggetto di contestazione, natura, circostanze, modo in cui si è venuti a conoscenza dei dati contestati e rettifiche eventualmente richieste. La procedura è gratuita. Ogniqualvolta riceve una domanda di accesso indiretto ai dati di carattere personale trattati da un servizio di polizia, la Commissione per la protezione della vita privata procede a controlli e verifiche presso il servizio in questione. Una volta eseguiti i controlli essa comunica all’interessato che sono state effettuate le verifiche necessarie. In caso di trattamento di dati gestiti da un servizio di polizia a fini di controlli d’identità e previo parere del servizio competente, la Commissione fornisce all’interessato qualsiasi altra informazione essa reputi opportuna. 10. La Danimarca 5 In Danimarca il diritto di accesso ai dati è diretto. Le domande di diritto di accesso devono essere indirizzate al Servizio di polizia, che è responsabile del trattamento. La domanda non prevede formalità particolari. Alle domande di diritto deve essere data una risposta tempestiva; qualora, in via eccezionale, i tempi di risposta superino le quattro settimane, il responsabile del trattamento è tenuto a notificarlo all’interessato. Nella notifica sono specificati il 4 V. l. 8 dicembre 1992 relativa alla protezione della vita privata per quanto concerne il trattamento di dati personali, modificata dalla legge dell’11 dicembre 1998 che recepisce la direttiva 95/46/CE del 24 ottobre 1995, e in particolare l’articolo 13; r.d. 13 febbraio 2001 recante esecuzione della legge dell’8 dicembre 1992 relativa alla protezione della vita privata per quanto concerne il trattamento dei dati personali, in particolare gli artt. da 36 a 46. 5 V. l. 31 maggio 2000, n. 429 sul trattamento dei dati personali. 109 motivo che non consente di prendere una decisione prima di quattro settimane e la data in cui si prevede verrà presa la decisione. In generale il diritto di accesso è accordato per iscritto ove l’interessato lo richieda. Se l’interessato si presenta di persona al responsabile del trattamento, occorre stabilire se egli desideri che i dati gli siano forniti per iscritto o verbalmente. Le domande di diritto di accesso sono gratuite. Si può presentare reclamo al Servizio di protezione dei dati contro una decisione del servizio di polizia in materia di accesso. Nel trattare il reclamo, il Servizio di protezione dei dati esamina il caso in sé, al fine di assicurarsi che non siano stati inseriti dati in modo contrario alle norme della CAS. Ai sensi dell’art. 31, par. 1, della legge sul trattamento dei dati personali, il responsabile del trattamento (in questo caso il Servizio di polizia) deve comunicare alla persona che abbia presentato una richiesta in tal senso se sta trattando o dati che la riguardano. In caso affermativo, le deve essere comunicato in forma intelligibile quali dati si stanno trattando, lo scopo di tale trattamento, la categoria dei destinatari dei dati ed ogni informazione disponibile in merito alla fonte di tali dati. Ai sensi del combinato disposto dell’art. 32, par. 1 e dell’art. 30, par. 2 della legge, ciò non si applica se sull’interesse della persona ad ottenere tali informazioni prevalgono interessi pubblici vitali, ivi compresi la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza, la prevenzione, la ricerca, l’accertamento e il perseguimento di infrazioni penali di infrazioni penali o di violazioni della deontologia delle professioni regolamentate. Ai sensi dell’art. 95 e degli artt. 98, 99 e 100 della CAS, lo scopo di inserire informazioni nel sistema di informazione Schengen è limitato all’arresto di persone ricercate; alla produzione di persone citate; alla notifica di una sentenza penale o di una richiesta di presentarsi; alla sorveglianza discreta o controlli specifici sulle persone e sui veicoli e al rinvenimento di oggetti ricercati a scopo di sequestro o di prova in un procedimento penale. In relazione a tali scopi, vi saranno situazioni in cui all’interessato non può essere avvisato se siano state inserite informazioni che lo riguardano ai sensi degli artt. 95, 98, 99 e 100 della Convenzione. Diversamente, l’interessato potrebbe essere in grado di assumere iniziative suscettibili di mettere in serio pericolo le misure da adottare a seguito della segnalazione (cfr. anche l’art. 109, par. 2 della CAS). 11. La Finlandia Per quel che riguarda la Finlandia, l’archivio di dati Schengen costituisce la sezione nazionale di 6 cui all’art. 92, par. 2, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen. L’archivio appartiene alla Direzione generale della polizia e alla sua gestione provvede il Servizio centrale di 7 polizia giudiziaria sotto la supervisione della Direzione generale della polizia. Le domande di verifica dei dati sono indirizzate direttamente all’autorità che gestisce questi dati, ossia la polizia. Le domande relative al diritto di verifica possono essere indirizzate alla Direzione generale della polizia, al Servizio centrale di polizia giudiziaria o al commissariato di polizia distrettuale. Le domande devono essere inoltrate dagli interessati stessi presso la polizia, corredate di un documento attestante la loro identità. 6 7 V. art. 3, lett. b), punto 1), della legge relativa ai registri di polizia relativi alle persone. Art. 5, l. cit. 110 L’esercizio del diritto di verifica è subordinato al versamento di una tassa soltanto se è trascorso 8 meno di un anno dall’ultima volta in cui l’interessato ha esercitato tale diritto. Il gestore dell’archivio, entro un termine ragionevole, deve dare la possibilità alle persone figuranti nell’archivio di consultare le informazioni ivi contenute e fornire tali informazioni nel caso in cui riceva una domanda scritta in tal senso (art. 28 della legge relativa ai dati di carattere personale). Le decisioni relative alla divulgazione delle informazioni sono prese dal Servizio centrale di polizia giudiziaria. Se il Servizio centrale di polizia giudiziaria, che gestisce l’archivio, rifiuta di concedere l’accesso ai dati contenuti nel SIS invocando l’art. 27 della legge relativa ai dati di carattere personale, esso deve rilasciare un opportuno attestato e suggerire alla persona figurante nell’archivio di rivolgersi all’autorità nazionale per la protezione dei dati personali. Tale persona può quindi sottoporre la questione a questa autorità. L’autorità nazionale per la protezione dei dati personali adotta decisioni vincolanti in materia di diritto di verifica dei dati. Queste decisioni sono impugnabili presso il tribunale amministrativo competente e successivamente dinanzi alla corte suprema amministrativa (art. 28 e 29 della legge relativa ai dati di carattere personale). 12. La Francia Il diritto di accesso in Francia è di tipo misto. Precisamente, è diretto allorché le persone registrate nel SIS sono persone ricercate nell’interesse della famiglia (art. 97 della Convenzione), minori che sono oggetto di un’opposizione all’uscita dal territorio (art. 97), minori fuggiaschi (art. 97), persone menzionate o identificabili in occasione della segnalazione di un veicolo rubato (art. 100). In tutti gli altri casi il diritto di accesso al SIS è indiretto. In conformità dell’art. 39 della l. del 6 gennaio 1978 relativa all’informatica, agli archivi e alle libertà, la commissione nazionale dell’informatica e delle libertà incarica uno dei propri membri, magistrato o ex magistrato, che fa parte o ha fatto parte del Consiglio di Stato, della Corte di cassazione o della Corte dei conti, di svolgere le indagini utili e avviare le necessarie modifiche. Se la domanda riguarda uno dei quattro casi per i quali il diritto di accesso è diretto essa deve essere inviata direttamente alla Direction générale de la police nationale – Ministère de l’intérieur. Negli altri casi la domanda di diritto d’accesso deve essere inviata alla Commission nationale de l’informatique et des libertés. L’esercizio del diritto di accesso è strettamente personale. La domanda deve essere presentata dall’interessato stesso (in nessun caso da un membro della sua famiglia) o dall’avvocato da lui incaricato. Non è richiesta alcuna formalità particolare. Tuttavia il richiedente deve indicare il proprio nome, cognome, data e luogo di nascita e allegare la fotocopia leggibile di un documento che ne attesti l’identità. Inoltre deve essere allegata alla domanda una copia di qualsiasi documento utile (notifica di un rifiuto di visto fondato su una segnalazione nel SIS, decisione del giudice favorevole al richiedente come l’abrogazione di un decreto di espulsione). La procedura di diritto di accesso è gratuita. Nell’ipotesi di un diritto di accesso indiretto (per esempio la persona è schedata in base all’art. 96 della Convenzione), la Commissione nazionale dell’informatica e delle libertà effettua le necessarie verifiche (verifica dell’esistenza della segnalazione e del Paese da cui proviene la segnalazione). 8 Cfr. art. 16 della legge sui registri di polizia. 111 Se la segnalazione è stata fatta dalle autorità francesi, il membro della commissione nazionale dell’informatica e delle libertà verifica la fondatezza della segnalazione (validità della misura di allontanamento dal territorio, ecc.) e chiede l’eventuale soppressione delle informazioni registrate. Se la segnalazione è stata effettuata dalle autorità di un altro Paese Schengen, la commissione suddetta adisce l’omologo straniero in conformità del principio di cooperazione tra autorità nazionali di protezione dei dati. In questa ipotesi le verifiche sono compiute dall’omologo della commissione nazionale dell’informatica e delle libertà, che la informa delle proprie ricerche e indagini. In questo modo la commissione è in grado di rispondere al richiedente. Nell’ipotesi in cui una persona incontri difficoltà nell’esercitare il proprio diritto di accesso diretto alle informazioni registrate nel SIS, la commissione nazionale dell’informatica e delle libertà può intervenire presso il Ministero degli interni francese. La persona schedata è informata dal Paese che ha operato la segnalazione nel SIS. Se si tratta di un Paese in cui il diritto d’accesso alle informazioni è diretto, essa è informata, previo accordo dell’autorità di controllo nazionale del Paese segnalante dei motivi della sua schedatura e eventualmente dei passi che può fare per ottenere la modifica, o la cancellazione delle informazioni. Se al termine delle verifiche la persona è stata cancellata dal SIS, essa ne è parimenti informata, purché il Paese da cui proviene la segnalazione sia d’accordo. Se la persona è schedata da un Paese in cui il diritto di accesso alle informazioni è indiretto, essa è informata, in conformità dell’art. 39, l. 6 gennaio 1978, del fatto che si è proceduto alle verifiche. Per le persone segnalate dalla Francia il principio non è univoco. Nel caso in cui la domanda di diritto di accesso indiretto faccia seguito a un rifiuto di visto, la commissione nazionale dell’informatica e delle libertà verifica se il richiedente è segnalato nel SIS in base all’art. 96 della Convenzione. Se la persona non è schedata nel SIS, la suddetta commissione chiede al Ministero degli Affari esteri precisazioni complementari per sapere se il rifiuto risulti dal fatto che la persona compare in uno schedario segnaletico del Ministero. In questo caso si effettuano le opportune verifiche. Se la persona è segnalata nel SIS dalla Francia, a causa di un decreto di espulsione o di un divieto di ingresso, la commissione nazionale dell’informatica e delle libertà ne informa il richiedente e gli indica le possibilità di ricorso (richiesta di abrogazione del decreto o richiesta di revoca del divieto di ingresso presso la giurisdizione che ha comminato la pena). Negli altri casi il richiedente è informato del fatto che sono state compiute le verifiche e, eventualmente, dei passi che può compiere presso il consolato, tenuto conto della sua situazione. 13. La Germania Il diritto di accesso in Germania è di natura diretta. Esso viene esercitato direttamente presso il servizio responsabile della raccolta dei dati. Se lo desidera, l’interessato può inoltre esercitare il suo diritto di accesso passando per l’autorità di protezione dei dati. Per quanto riguarda la forma della domanda e le informazioni e documenti da fornire, per evitare confusioni devono essere forniti almeno il cognome (eventualmente il cognome da nubile), il nome e la data di nascita. Per il resto, nessuna forma particolare è richiesta per la presentazione della domanda. La procedura è gratuita. L’autorità nazionale di protezione dei dati può venire incontro all’interessato nell’esercizio dei suoi diritti trasmettendo la domanda di accesso all’organismo responsabile della raccolta dei 112 documenti (ad es. il Bundeskriminalamt), ovvero controllando, su richiesta dell’interessato, il rispetto della legislazione in materia di protezione dei dati da parte del responsabile del trattamento dei dati. Se la domanda riguarda una segnalazione ai sensi dell’art. 96 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, le informazioni vengono solitamente comunicate. Se la domanda riguarda una segnalazione ai sensi dell’art. 95 o dell’art. 99 della CAS, la trasmissione delle informazioni può essere respinta in base all’art. 19, par. 4 della legge federale sulla protezione dei dati, qualora tale trasmissione sia tale da compromettere la buona esecuzione dei compiti di competenza dell’organismo incaricato della raccolta, o di mettere a repentaglio la sicurezza o l’ordine pubblico; lo stesso dicasi per i dati o la loro raccolta allorché devono essere tenuti segreti in virtù di una norma di diritto o per la loro stessa natura, in particolare a motivo dell’interesse maggiore giustificato da un terzo, per cui passa in secondo piano l’interesse che la trasmissione dei dati rappresenta per l’interessato. Se la segnalazione ai sensi dell’art. 95 della CAS è stata effettuata su iniziativa di un organismo straniero, è necessario eventualmente tenere conto della posizione assunta dall’organismo da cui proviene la segnalazione, conformemente a quanto è previsto all’art. 109, par. 1, terza frase della CAS. In genere, le informazioni sono trasmesse dall’ufficio SIRENE del Bundeskriminalamt. Se l’interessato si è rivolto all’autorità nazionale di protezione dei dati, le informazioni sono trasmesse dal responsabile federale della protezione dei dati. Le informazioni trasmesse comprendono la base giuridica della segnalazione, la data della medesima, l’organismo dal quale proviene e la durata prevista per la conservazione dei dati. 14. La Grecia L’art. 12, l. 2472/1997 prevede che il diritto di accesso sia esercitato direttamente (l’interessato presenta la propria domanda direttamente all’ufficio SIRENE). Tuttavia la pratica ha mostrato che la procedura di domanda diretta ha come solo effetto una perdita di tempo, poiché resta senza risposta. Pertanto, poiché, a parere dell’autorità, essa consente di dare immediata soddisfazione al cittadino, viene applicata la procedura di domanda indiretta, benché naturalmente la procedura diretta non sia esclusa. L’interessato presenta perciò in generale la domanda all’autorità per la protezione dei dati di carattere personale, che la trasmette poi all’ufficio SIRENE. La legge prevede che l’interessato presenti la domanda all’ufficio, tuttavia, in pratica l’interessato indirizza la propria domanda all’Autorità di protezione dei dati di carattere personale. L’interessato deve menzionare nella domanda il proprio nome e cognome, il nome del padre, la data di nascita completa e la nazionalità. Gli altri dati come il numero della carta di identità del passaporto, il nome della madre, l’indirizzo e il numero di telefono sono facoltativi. L’interessato fornisce una fotocopia del passaporto. L’interessato deve effettuare il pagamento di una tassa di accesso al responsabile del trattamento (ufficio SIRENE) per poter esercitare il diritto di accesso, a norma dell’art. 12, l. 2472/1997, e per poter esercitare il diritto di opposizione, a norma dell’art. 13, l. 2472/1997 e della decisione 436 adottata il 7 dicembre 1998 dall’autorità per la protezione dei dati di carattere personale. L’autorità nazionale di protezione dei dati di carattere personale trasmette all’ufficio SIRENE la domanda dell’interessato e gli comunica le informazioni che lo riguardano nella misura in cui sussistano le condizioni richieste al riguardo. L’autorità controlla inoltre la legittimità e la fondatezza della segnalazione del richiedente nel SIS. 113 Se si tratta di una segnalazione a norma dell’art. 96 della Convenzione di Schengen, al richiedente sono comunicate le informazioni che lo riguardano. Se la segnalazione è stata effettuata a norma degli artt. 95 e 99 della Convenzione di Schengen, è probabile che la comunicazione delle informazioni sia rifiutata. Inoltre questi dati non sono comunicati se sono trattati per ragioni di sicurezza nazionale o in vista della verifica di infrazioni particolarmente gravi, in conformità dell’art. 12, par. 5, l. 2472/1997. Nel caso di una segnalazione a norma dell’art. 95 della Convenzione di Schengen presentata per iniziativa di un organismo straniero, si tiene conto del parere di questo per comunicare i dati all’interessato. In pratica i dati sono comunicati all’interessato dall’autorità per la protezione dei dati di carattere personale. Le informazioni trasmesse all’interessato riguardano la base giuridica della segnalazione, la data della registrazione nel SIS, il servizio che l’ha effettuata e il periodo in cui deve essere conservata. Se è stato registrato nel SIS dalle autorità di polizia greche, l’interessato presenta direttamente al responsabile del trattamento la domanda per l’esercizio dei suoi diritti di accesso e di opposizione, previsti rispettivamente agli artt. 12 e 13, l. 2472/1997. 15. L’Islanda 9 Il diritto d’accesso all’informazione è diretto. La domanda deve essere inviata all’Ufficio SIRENE dell’Islanda, diretto dal Capo della polizia nazionale islandese (CPNI). Speciali moduli per la domanda possono essere compilati presso i Commissariati di polizia o la sede della direzione della polizia nazionale islandese. L’Ufficio SIRENE decide se le informazioni richieste possano essere comunicate. Il richiedente deve fornire la prova della propria identità, la domanda deve essere compilata in presenza di un funzionario di polizia. Il richiedente può chiedere l’accesso soltanto a informazioni che lo riguardano personalmente. Tuttavia un tutore legale può chiedere l’accesso a informazioni relative al suo assistito. L’esercizio del diritto di controllo è gratuito, ma nessuno può consultare il proprio dossier più di una volta all’anno, salvo che circostanze eccezionali giustifichino un accesso più frequente. In questo caso l’Ufficio SIRENE consulta l’autorità di protezione dei dati. Quando un richiedente ha ricevuto la risposta-tipo: «Non è registrata alcuna informazione che la riguardi/è vietata la comunicazione delle informazioni registrate», l’Ufficio SIRENE deve comunque avvertire il richiedente che egli ha la possibilità di interporre appello presso il Ministero della giustizia. Questo può chiedere all’autorità protezione dei dati un parere sulla decisione dell’Ufficio SIRENE. L’Ufficio SIRENE risponde senza indugio a tutte le domande, al più tardi entro un mese a decorrere dalla data di ricezione della domanda. Se un richiedente è schedato lo si informa dell’oggetto e dei motivi della schedatura. Quando l’oggetto della schedatura rende necessario mantenere il segreto o quando è in causa l’interesse di terzi o anche quando è in corso un’operazione di sorveglianza discreta, la persona schedata non ha il diritto di accedere ai dati che la riguardano. Riceve in questo caso la stessa risposta di un richiedente non schedato, ossia: «Non è registrata alcuna informazione che la riguardi/è vietata la comunicazione delle informazioni registrate». 9 I principali testi nazionali applicabili sono la legge n. 16/2001 relativa al sistema di informazione Schengen in Islanda e il regolamento n. 112/2001 riguardante il sistema di informazione Schengen in Islanda. 114 16. Il Lussemburgo 10 L’accesso è indiretto nel senso che il diritto di accesso può essere esercitato soltanto tramite l’autorità di controllo. Si tratta dell’autorità di controllo istituita dall’art. 12-1 (4) della legge modificata il 31 marzo 1979 che disciplina l’uso dei dati personali nel trattamento informatico. La legge del 1979 non impone alcuna formalità particolare per le domande. La procedura è gratuita. A norma dell’articolo 12-1 (5) della legge del 1979 l’autorità procede alle verifiche e indagini utili e fa apportare le rettifiche necessarie. L’autorità informa l’interessato che la banca non contiene dati contrari alla convenzione, alla legge e ai suoi regolamenti esecutivi né alle condizioni imposte dal Ministro. L’interessato non ottiene nessuna informazione sul contenuto dei dati che lo riguardano. 17. I Paesi Bassi La sezione nazionale del Sistema d’informazione Schengen è soggetta, per quanto attiene alle segnalazioni di cui all’art. 96 della Convenzione di applicazione di Schengen, alla legge sulla protezione dei dati di carattere personale (Wet bescherming persoonsgegevens). Alle altre segnalazioni si applica la legge sui registri di polizia (Wet politieregisters). A norma di queste due leggi le persone oggetto di una segnalazione hanno il diritto di prendere conoscenza della stessa. Le domande di accesso devono essere indirizzate al Korps Landelijke Politiediensten. Quando una persona presenta una domanda di accesso, la sezione nazionale di informazione criminale (Divisie Centrale Recherche Informatie) la consulta in merito alle modalità di trattamento della domanda. Il servizio in questione esamina se può dare seguito alla domanda ovvero se sussistono motivi giuridici ostativi alla stessa. L’accesso ad una segnalazione effettuata in base all’art. 96 può tradursi nella consegna all’interessato di una copia delle informazioni in essa contenute. Per quanto concerne le altre categorie di segnalazioni, il loro contenuto può essere comunicato alla persona interessata o questa ne prende effettivamente conoscenza, senza poterne però ottenere una copia. Dopo avere preso conoscenza della segnalazione, l’interessato può presentare una domanda di integrazione, rettifica o cancellazione degli archivi in essa contenuti. Se il trattamento della domanda dà luogo ad una controversia, la domanda di conciliazione può essere indirizzata al College Bescherming Persoonsgegevens. L’intervento della College Bescherming Persoonsgegevens (autorità olandese di protezione dei dati) è gratuito in caso di rifiuto della domanda. La College Bescherming Persoonsgegevens può essere invitata inoltre ad esaminare se i dati sono stati registrati nel Sistema d’informazione Schengen in conformità della convenzione di applicazione di Schengen e della legge. In alternativa, ovvero se fallisce la conciliazione da parte della CBP, può essere presentata una domanda presso il tribunale di primo grado dell’Aia affinché esamini il caso e deliberi come ritiene opportuno. 10 Cfr. l. 31 marzo 1979 che disciplina l’uso dei dati personali nel trattamento informatico e reg. granducale 9 agosto 1993 che autorizza la creazione e l’utilizzo di una banca dati personali che costituisce la sezione nazionale del sistema d’informazione Schengen (N.SIS) (il regolamento non disciplina il diritto di accesso). 115 18. La Norvegia 11 Il diritto di accesso è diretto. La domanda di diritto di accesso deve essere formulata per iscritto e firmata. La relativa risposta è trasmessa per iscritto in un termine ragionevole, che non può superare i trenta giorni dalla ricezione della domanda. L’autorità che gestisce gli archivi (SNIC) si pronuncia in prima istanza sulle domande. Se la domanda è stata presentata a tale autorità, essa viene trasmessa all’autorità che ha ordinato la registrazione dei dati corredata da una richiesta di parere. Se la domanda è stata presentata presso l’autorità che ha ordinato la registrazione dei dati, tale autorità la trasmette all’autorità che gestisce gli archivi, corredata da una richiesta di parere. Nel caso in cui il diritto di accesso non sia accordato in quanto non sono stati registrati dati relativi al richiedente o perché si applica la clausola di esclusione dell’atto che istituisce il SIS (punto 15), vengono addotte sempre ragioni di altro tipo, affinché da esse non traspaia che esistono registrazioni cui può essere rifiutato l’accesso. 19. Il Portogallo 12 In Portogallo, i cittadini fruiscono di un diritto di accesso indiretto ai dati del SIS. L’esercizio di tale diritto è garantito dalla Comissão Nacional de Protecção de Datos (Commissione nazionale per la protezione dei dati). Le domande devono essere presentate per iscritto e devono indicare l’identità della persona che desidera accedere ai dati che la riguardano. I richiedenti devono accludere alla domanda un documento attestante la loro identità (carta d’identità o passaporto). L’esercizio del diritto di accesso è gratuito. Ai fini della comunicazione delle informazioni si tiene conto dell’eventuale esistenza di informazioni che possano, in determinati casi, compromettere la prevenzione della criminalità o le indagini giudiziarie ovvero la sicurezza dello Stato. Alla comunicazione delle informazioni provvede la Comissão Nacional de Protecção de Datos. 20. La Spagna In Spagna 13 il diritto di accesso è diretto. La domanda deve essere indirizzata al responsabile dell’archivio secondo modalità che consentano di comprovare l’invio e la ricezione della stessa; la domanda deve recare: nome e cognome dell’interessato nonché copia del documento attestante la sua identità, come ad esempio la carta nazionale d’identità o il passaporto; la richiesta vera e propria; un recapito per la trasmissione delle comunicazioni, la data e la firma del richiedente; documenti a sostegno della domanda, ove opportuno. A tutt’oggi questa procedura è gratuita. Autorità nazionale di protezione dei dati è l’Agencia de Protección de Datos. 11 V. l. relativa al Sistema d’informazione Schengen (LOV 1999-7-16-66); regg. di applicazione l. 16 luglio 1999, n. 66 relativa al Sistema d’informazione Schengen (regolamenti SIS). 12 La legislazione applicabile è la l. n. 67/98, del 26 ottobre 1998. 13 V. l. cost. n. 15/1999, del 13 dicembre, relativa alla protezione dei dati di carattere personale; Regio decreto n. 428/1993, del 26 marzo, recante adozione dello statuto dell’Agencia de Protección de Datos; Regio decreto n. 1332/1994, del 20 giugno, che sviluppa alcuni principi della legge costituzionale; Istruzione 1/1998, del 19 gennaio, dell’Agencia de Protección de Datos relativa all’esercizio dei diritti di accesso, rettifica e cancellazione. 116 Le persone che ritengono che alcuni dei loro diritti siano stati lesi in occasione della presentazione di una domanda di diritto di accesso possono presentare un reclamo presso l’Agenzia. Una volta pervenuto il reclamo, copia dello stesso è trasmesso al responsabile dell’archivio affinché formuli le osservazioni che ritenga pertinenti. Infine, il direttore dell’Agenzia, una volta ricevute le osservazioni e dopo aver esaminato le relazioni, le prove ed altri mezzi istruttori quali, ove necessario, l’ispezione degli archivi nonché l’audizione della persona in causa e del responsabile dell’archivio, si pronuncia sul reclamo presentato e notifica la sua decisione agli interessati. Qualora le informazioni relative all’interessato figurino nell’archivio SIS e siano state inserite dalle autorità spagnole e nel caso in cui la decisione sia positiva, il responsabile dell’archivio trasmette all’interessato copia cartacea dei dati che lo riguardano contenuti nell’archivio. 21. La Svezia Il diritto di accesso ai dati 14 è diretto. Ogni domanda di accesso ai dati deve essere rivolta alla Direzione della polizia nazionale, l’autorità nazionale preposta alla protezione dei dati personali. La domanda deve essere indirizzata per iscritto alla Direzione della polizia nazionale e recare la firma del richiedente. Le informazioni devono essere trasmesse all’interessato nel corso del mese di inoltro della domanda. L’accesso alle informazioni può essere concesso gratuitamente un volta all’anno (anno civile). La trasmissione o la non trasmissione dei dati dipende dalle disposizioni della legge sulla riservatezza (1980:100), che può vietare la comunicazione di alcuni dati. Alla trasmissione dei dati, laddove sia ammessa, provvede la Direzione della polizia nazionale. 14 Legislazione applicabile: articoli 26 e 27 della legge sui dati di carattere personale (1998:204) e articolo 8 della legge relativa al Sistema d’informazione Schengen (2000:344). 117 RUBRICHE RISPOSTE A QUESITI Indice N. Ufficio Oggetto Pag. 211 UPPA Richiesta di parere sul comando di personale dipendente di una azienda speciale presso un ente pubblico non economico. 125 Proroga termini validità graduatorie di concorso per le assunzioni presso pubbliche amministrazioni. 127 Mobilità per gli enti locali in vigenza della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005). 128 Diritto alla conservazione del posto - mobilità volontaria - art.30 del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165. 130 Art. 34 bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - ricostituzione del rapporto di lavoro ex art. 26 del CCNL comparto regioni ed autonomie locali del 14.09.2000. 132 212 213 214 215 " " " " 216 " Anagrafe delle prestazioni e degli incarichi. 134 217 " Richiesta di parere in ordine alla possibilità si sostituire un dipendente dimissionario con un candidato utilmente collocato nella graduatoria. 135 123 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Servizio mobilità Parere n. 211/05 All'Unione nazionale incremento razze equine Direzione generale amministrativa Servizio affari generali Via Cristoforo Colombo 283/A 00147 ROMA Oggetto: richiesta di parere sul comando di personale dipendente di una azienda speciale presso un ente pubblico non economico. Sintesi: l'utilizzo di dipendenti di soggetti privati da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 per lo svolgimento di prestazioni lavorative è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge. Poiché le aziende speciali si configurano come enti pubblici economici, il cui personale è sottratto all'ambito di applicazione del d.lgs. n. 165/2001, non è conforme alla normativa vigente l'attivazione di un comando di un dipendente da un'azienda speciale verso un ente pubblico non economico. Si fa riferimento alla lettera del 15 marzo 2005, prot. n. 17879, con la quale codesto Ente chiede il parere del Dipartimento della funzione pubblica riguardo alla possibilità di attivare il comando di un dipendente appartenente ad una azienda speciale del comune di Roma per lo svolgimento di servizio temporaneo (comando) presso l'U.N.I.R.E.. A parere dello scrivente, in mancanza di diversa disposizione tale possibilità non é in linea con la normativa vigente, attesa la natura di ente pubblico economico delle aziende speciali, come riconosciuto dalla giurisprudenza. Infatti, l'istituto del comando, che trovava la sua disciplina nell'art. 56 del d.P.R. n. 3/1957 e che è stato ridisciplinato da alcuni contratti collettivi di comparto (comparti Presidenza del consiglio dei ministri, ministeri, aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, agenzie fiscali, i quali regolano "l'assegnazione temporanea"), è attivabile soltanto nei confronti del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche comprese nell'ambito di applicazione dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 e sempre che la contrattazione collettiva abbia proceduto a regolarlo. Al riguardo, non si ritiene condivisibile quanto prospettato dall'ARAN nel parere allegato alla citata nota, secondo cui, in virtù dell'equiparazione tra lavoratore pubblico e privato, sarebbe consentito effettuare assegnazioni in base agli articoli 2103 e 2104 c.c. non solo tra pubbliche amministrazioni, ma anche da aziende private. Infatti, le ipotesi di utilizzo di prestazioni lavorative di soggetti estranei alla pubblica amministrazione sono state espressamente previste e disciplinate dal legislatore. Basti pensare al conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni (art. 19 d.lgs. n. 154/2001), all'immissione negli uffici di diretta collaborazione degli organi politici (art. 14 d.lgs. n. 165/2001) e al ricorso all'affidamento di incarichi di collaborazione ad esperti di "provata esperienza" per esigenze cui non si può far fronte con personale in servizio (art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001). 125 Al contrario, ciò significa che non è presente nell'ambito dell'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni una regola di generale utilizzabilità di prestazioni lavorative di personale dipendente da soggetti privati o comunque estraneo all'amministrazione, in quanto, come noto, per principio generale le pubbliche amministrazioni si avvalgono di dipendenti reclutati mediante concorso. Ciò premesso, ove codesto ente volesse utilizzare personale non dipendente da una pubblica amministrazione di cui all''art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, dovrà valutare la ricorrenza in concreto dei presupposti di legge. In particolare, per l'affidamento di incarichi o di collaborazioni coordinate e continuative si dovrà tener conto dei limiti finanziari previsti dai commi 11 e 116 dell'art. 1, della l. 311/2004 (legge finanziaria 2005), che fissa la spesa relativa che le amministrazioni pubbliche possono sostenere. Si richiama peraltro la lettera 15 marzo 2005 del Dipartimento della funzione pubblica, adottata a seguito di richieste di chiarimenti provenienti dalle pubbliche amministrazioni, sul tema dell'affidamento di incarichi di studio, di ricerca e di consulenza, anche alla luce delle considerazioni formulate sull'argomento dalle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, adunanza del 15 febbraio 2005. Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 14 aprile 2005. 126 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Servizio programmazione, assunzioni e reclutamento Parere n. 212/05 Al Comune di Treviso Via Municipio, 16 31100 TREVISO Oggetto: proroga termini validità graduatorie di concorso per le assunzioni presso pubbliche amministrazioni. In riferimento alla nota n. 16092 dell'1 marzo u.s. con la quale codesto ente ha chiesto il parere di questo Ufficio in ordine alla proroga dei termini di validità delle graduatorie di concorso per le assunzioni presso pubbliche amministrazioni, si rappresenta quanto segue. Come è noto, l'art. 3, comma 61, della L. 350/2003 ha previsto un'ulteriore proroga di un anno dei termini di validità delle graduatorie per le Amministrazioni soggette alle limitazioni delle assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2004 e l'art.1, comma 100, della L. 311/2004 ha prorogato di un triennio i termini di validità delle graduatorie per le assunzioni di personale presso le amministrazioni pubbliche che per gli anni 2005, 2006 e 2007 che sono soggette a limitazioni delle assunzioni. In merito si ritiene che, poiché la norma di proroga triennale è entrata in vigore al 1° gennaio 2005, la stessa sia applicabile a tutte quelle graduatorie che fossero in vigore alla stessa data, indipendentemente se le stesse lo fossero perché in corso la vigenza ordinaria triennale o perché prorogate dal comma 61 della legge n. 350/2003. Perciò le graduatorie delle amministrazioni pubbliche soggette alle limitazioni delle assunzioni, che al 1° gennaio dell'anno in corso risultino ancora valide, anche in virtù delle proroghe previste dalle leggi finanziarie degli anni precedenti, possono considerarsi valide per tutto il triennio 2005/2007. Pertanto le tre graduatorie concorsuali, approvate rispettivamente l'1.10.2000, 1.10.2001 e l'1.10.2002, valide tre anni secondo quanto previsto dall'art. 91, comma 4, del d.lgs 267/2000, in virtù delle proroghe previste dalle leggi finanziarie per le amministrazioni che sono soggette a limitazioni delle assunzioni, manterranno la propria validità per tutto il triennio 2005/2007. Per quanto riguarda il quesito se la normativa che disciplina la proroga si riferisca anche alle assunzioni a tempo determinato si rappresenta quanto segue. Il suindicato comma 100 dell'art. 1 della legge finanziaria n. 311/2004 nel prevedere una proroga ai termini di validità delle graduatorie fa un generico riferimento a "graduatorie per le assunzioni di personale", non specificando se queste ultime vadano intese come assunzioni a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato. Deve, pertanto, ritenersi che, trattandosi comunque di graduatorie concorsuali alle quali si applica la disciplina generale, vadano ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 1, comma 100, anche quelle concernenti concorsi per le assunzioni a tempo determinato. Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 2 maggio 2005. 127 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Servizio mobilità Parere n. 213/05 Città di San Benedetto del Tronto Servizio gestione personale Viale De Gasperi, 124 63039 San Benedetto del Tronto (AP) e, p.c. Ministero dell'economia e delle finanze Dipartimento della ragioneria generale dello Stato – IGOP Via XX Settembre, 97 00187 Roma Ministero dell'interno Dipartimento per gli affari interni e territoriali Direzione centrale per le autonomie Palazzo del Viminale 00187 Roma Oggetto: mobilità per gli enti locali in vigenza della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005). Sintesi: in base all'art.1, commi 47 e 95, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), per gli enti locali é possibile effettuare procedure di mobilità, anche intercompartimentale, relative a personale proveniente da amministrazioni sottoposte a limitazione delle assunzioni, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e purché sia stato rispettato il patto di stabilità interno per l'anno precedente. Detta mobilità, può essere attuata anche nelle more dell'approvazione del dPCm di cui all'art. 1, comma 98, della medesima legge, ferma restando la necessità di valutare da parte dell'ente la sussistenza del posto vacante su cui operare la mobilità alla luce della normativa vigente in materia di rideterminazione delle dotazioni organiche, al fine di non eludere quanto previsto dal comma 93 del citato articolo e di evitare situazioni di soprannumero o di eccedenza. Si fa riferimento alla lettera dell'11 febbraio 2005, n. 7325, con la quale codesta amministrazione chiede il parere del Dipartimento della funzione pubblica in merito alla possibilità di dar corso a procedure di mobilità del personale, all'interno del comparto o tra comparti differenti, in attesa dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale saranno fissati criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005 2007 ai fini del concorso delle autonomie al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005). Al riguardo, si ritiene possibile effettuare procedure di mobilità, sia compartimentale che intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte a limitazioni delle assunzioni, ai sensi dell'art. 1, commi 47 e 95, ultimo periodo, della predetta legge anche prima dell'adozione del menzionato dPCm. Infatti, da un lato l'art. 1, comma 47, prevede che, in vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché sia stato rispettato il patto di stabilità interno per l'anno precedente. Dall'altro, l'art. 1, comma 95, nello 128 stabilire il divieto generale di assunzione, all'ultimo periodo prevede che è consentito, in ogni caso, il ricorso alle procedure di mobilità, anche intercompartimentale. Analogo avviso è stato espresso anche dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero dell'interno, nelle note, rispettivamente, del 17 marzo 2005, prot. n. 32008, e del 16 marzo 2005, prot. n. 15700/5B4-208). Si segnala che la predetta mobilità può essere attuata nei confronti dei dipendenti provenienti da qualsiasi altra amministrazione, tranne che dal comparto scuola (a meno che non si tratti di docenti inidonei alle funzioni di cui all'articolo 35, comma 5, terzo periodo, della legge n. 289 del 2002, che sono personale eccedentario), dalle università e dagli ordini e collegi professionali e relativi consigli e federazioni, poiché per questi dipendenti non sussistono specifici vincoli assunzionali. Le eventuali acquisizioni in mobilità di queste ultime categorie di personale debbono essere considerate, a fini economico-finanziari, come equivalenti a nuove assunzioni. In conclusione, la normativa vigente consente la mobilità nei predetti limiti e, per gli enti locali che vi erano soggetti, purché sia stato rispettato il patto di stabilità interno per l'anno precedente. Resta ferma la necessità di valutare da parte dell'ente la sussistenza del posto vacante su cui operare la mobilità alla luce delle disposizioni in materia di rideterminazione delle dotazioni organiche, al fine di non eludere quanto previsto dal comma 93 e di evitare situazioni di soprannumero o di eccedenza, salva la considerazione delle particolari categorie di personale di cui al comma 93 stesso (si rinvia in proposito alla lettera di questo ufficio indirizzata agli uffici territoriali del Governo in data 31 marzo 2005, prot. n. 12674). Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 2 maggio 2005. 129 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Servizio mobilità Parere n. 214/05 Comune di Rosora Ufficio del personale Via XX Settembre, 11 60030 Rosora (AN) p.c. Ministero dell'interno Dipartimento per gli affari interni e territoriali Direzione centrale per le autonomie Palazzo Viminale 00184 Roma Oggetto: diritto alla conservazione del posto - mobilità volontaria - art.30 del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165. Sintesi: nell'ambito della disciplina collettiva del personale dipendente dal comparto regioni - enti locali, non è previsto l'esperimento di un periodo di prova presso l'amministrazione di destinazione a seguito del passaggio diretto da un'amministrazione all'altra e pertanto non spetta al dipendente che transita in mobilità il diritto alla conservazione del posto presso l'ente di provenienza. Si fa riferimento alla lettera del 5 maggio 2005, protocollo n. 2815, con cui codesto Comune ha posto un quesito riguardante la sussistenza del diritto alla conservazione del posto presso l'ente di originaria appartenenza in capo ad un dipendente che viene trasferito mediante passaggio diretto in base all'art. 30 del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165. In proposito, si espongono le seguenti considerazioni. I contratti collettivi relativi al comparto regioni enti locali non prevedono per il dipendente trasferito con mobilità l'espletamento di un nuovo periodo di prova, né attribuiscono espressamente allo stesso un diritto alla conservazione del posto presso l'amministrazione cedente a seguito del passaggio. Il patto di prova e la conservazione del posto sono disciplinati dall'art.14 bis del CCNL 6 luglio 1995, come modificato dal CCNL del 14 settembre 2000. Il comma 1 della citata clausola prevede l'esperimento della prova per il "dipendente assunto in servizio a tempo indeterminato"; il comma 9 attribuisce al dipendente interessato il diritto alla conservazione del posto, senza retribuzione, presso l'amministrazione di appartenenza, stabilendo che in caso di recesso di una delle parti il medesimo rientra, a domanda, nella precedente categoria e profilo. A parere dello scrivente, l'esame testuale del menzionato articolo evidenzia che il periodo di prova è previsto soltanto nell'ipotesi di nuova assunzione a seguito di una procedura di reclutamento e non anche nel caso di passaggio per mobilità, che non realizza una nuova assunzione, ma si configura come cessione del contratto di lavoro da un'amministrazione all'altra con continuità del rapporto. 130 Il dipendente che transita in mobilità è stato già assunto a seguito dell'espletamento delle procedure di reclutamento previste per le pubbliche amministrazioni e, dopo la stipulazione del contratto di lavoro, ha esperito con esito favorevole la prova secondo la durata fissata dal contratto collettivo. Pertanto, di regola, una volta che tale condizione positiva si è realizzata, il dipendente è inserito stabilmente nell'organizzazione della pubblica amministrazione e non é necessario un ulteriore espletamento della prova a seguito di mobilità in altro ente, considerato anche che le pubbliche amministrazioni agiscono in base al principio di imparzialità e la scelta dei funzionari e collaboratori è caratterizzata dalle regole oggettive espresse nelle norme sulle procedure di reclutamento. Ciò premesso, si ritiene che la ratio delle clausole dei contratti collettivi che disciplinano il diritto alla conservazione del posto presso l'amministrazione di originaria appartenenza sia quella di evitare che, a seguito di un eventuale esito negativo della prova con recesso di una delle parti, il dipendente perda il posto di lavoro. Il menzionato diritto è pertanto collegato alla previsione del periodo di prova e alla sua durata. Tale conclusione è suffragata dall'espressa dizione della clausola contenuta nel comma 9 del citato art.14 bis, che appunto lega temporalmente il diritto alla conservazione del posto al periodo di prova. In conclusione, si è dell'avviso che nell'ambito della disciplina del personale inserito nel comparto regioni enti locali il dipendente che transita in mobilità non ha diritto alla conservazione del posto presso l'amministrazione di origine. Si segnala in materia anche un parere fornito dell'A.R.A.N. in risposta al quesito 123 nella raccolta sistematica elaborata dall'Agenzia stessa reperibile sul sito internet dell'Agenzia. Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 25 maggio 2005. 131 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio personale pubbliche amministrazioni Servizio mobilità Parere n. 215/05 Alla regione Liguria Direzione centrale risorse umane, finanziarie e strumentali Settore coordinamento e gestione risorse umane Via Fieschi 16100 Genova Oggetto: art. 34 bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - ricostituzione del rapporto di lavoro ex art. 26 del CCNL comparto regioni ed autonomie locali del 14.09.2000. Sintesi: nel caso in cui un'amministrazione intenda accogliere una domanda di ricostituzione del rapporto di lavoro presentata da un proprio ex dipendente, non è richiesto l'assolvimento dell'obbligo di comunicazione preventiva previsto dall'art.34 bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ferma restando la necessità di rispettare i vincoli derivanti dalla legge 30 dicembre 2004, n.311, e le clausole dei contratti collettivi di riferimento. Si fa riferimento alla lettera del 22 aprile 2004, prot. n. 53327/1512, con la quale codesta Amministrazione chiede il parere del Dipartimento della funzione pubblica in merito alla sussistenza dell'obbligo di comunicazione previsto dall'art.34 bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, al caso di ricostituzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 26 del CCNL comparto regioni ed autonomie locali del 14 settembre 2000. In merito, si espongono le seguenti considerazioni. L'art. 26, comma 1, del citato CCNL del 14 settembre 2000 prevede che il dipendente il cui rapporto di lavoro si sia interrotto per effetto di dimissioni può richiedere, entro 5 anni dalla data delle dimissioni stesse, la ricostituzione del rapporto di lavoro. L'accoglimento dell'istanza di riassunzione è subordinato alla vacanza del posto nella dotazione organica dell'amministrazione. Con la ricostituzione si instaura un nuovo rapporto di lavoro svincolato da quello precedente, fatto salvo il ricongiungimento dei due periodi di servizio ai fini pensionistici. In termini economico finanziari, la riammissione in servizio è sottoposta per le regioni e gli enti locali ai vincoli previsti dall'art. 1, comma 98, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, il quale, ai fini della partecipazione delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, fissa criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005 2007, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Per quanto concerne l'applicazione dell'art. 34 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 al caso prospettato, la norma prevede, prima di avviare le procedure di assunzione del personale, l'obbligo di comunicazione ai soggetti di cui l'art. 34, commi 2 e 3, dell'area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonché, se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneità. Benché la menzionata disposizione al comma 1 consideri esplicitamente le procedure di assunzione del personale, a parere dello scrivente, essa va riferita alle procedure di reclutamento, come si desume dal riferimento contenuto nel medesimo comma ai posti per i quali "si intende bandire concorso" ovvero alle nuove assunzioni connesse all'utilizzo di graduatorie di idonei o di 132 altre amministrazioni (in ricorrenza dei presupposti; cfr.: lettera circolare DFP dell'11 aprile 2005, pubblicata sul sito internet del Dipartimento della funzione pubblica, www.funzionepubblica.it). La ricostituzione del rapporto di lavoro non rappresenta l'inserimento di una nuova unità per effetto di una nuova procedura di reclutamento, quanto piuttosto l'inquadramento in ruolo di un soggetto che era già dipendente dell'amministrazione in connessione all'esercizio di una facoltà accordata dalla contrattazione collettiva e secondo le condizioni ivi stabilite. Conseguentemente, si ritiene che nell'ipotesi in questione non sussistano i presupposti per l'applicazione del citato art. 34 bis. Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 3 giugno 2005. 133 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio personale pubbliche amministrazioni Servizio per il trattamento del personale Parere n. 216/05 Al Comune di Romans d'Isonzo Via La Centa, 6 - 34075 (Gorizia) Al Servizio per l'informatizzazione e l'informazione statistica SEDE Oggetto: anagrafe delle prestazioni e degli incarichi. In riferimento al quesito posto con nota n. 6782 del 9 giugno 2005 si rappresenta quanto segue. L'articolo 53, commi 12 e 13, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 dispone, fra l'altro, che le amministrazioni che hanno autorizzato incarichi extraistituzionali a propri dipendenti provvedono a comunicarlo al Dipartimento della funzione pubblica. L'articolo 16 del d.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465, regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali a norma dell'articolo 17, comma 78, della legge n. 127 del 1997, prevede, al comma 2 , che "l'autorizzazione di cui all'articolo 1, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per lo svolgimento di incarichi o per l'esercizio delle attività è rilasciato dal sindaco ovvero dal presidente della provincia in cui il segretario presta servizio." Ciò considerato questo Ufficio conviene con quanto contenuto nella deliberazione del CdA nazionale dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'Albo dei segretari comunali e provinciali n. 200/2001. Le convenzioni per l'ufficio di segreteria previste dall'articolo 10 del citato d.P.R. n. 465 del 1997, cui si fa riferimento nel carteggio allegato alla nota cui si risponde, costituiscono fattispecie diversa dagli incarichi extraistituzionali in quanto attività rientranti nei compiti d'istituto e regolarmente remunerate secondo quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro. Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 28 giugno 2005. 134 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento della funzione pubblica Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Servizio programmazione, assunzioni e reclutamento Parere n. 217/05 Al Comune di Palermo Corso Vittorio Emanuele, 261 90133 Palermo Oggetto: richiesta di parere in ordine alla possibilità si sostituire un dipendente dimissionario con un candidato utilmente collocato nella graduatoria. In riferimento alla richiesta di parere, di cui alla nota n. 3960 del 8 aprile 2005, si rappresenta che il quadro normativo che delinea l'ordinamento è dato dal d.P.C.M del 27 luglio 2004 e dalla Legge 30 dicembre 2004, n. 311. Codesta amministrazione chiede se, dopo aver provveduto ad effettuare le assunzioni autorizzate con il d.P.C.M. 27 luglio 2004, a seguito delle dimissioni date da un dipendente in servizio, è possibile procedere alla sostituzione di un dipendente dimissionario con un altro candidato risultante idoneo dalla graduatoria. In proposito si espongono le seguenti considerazioni. Ai sensi dell'art 1, comma 95, della l. 30 dicembre 2004, n. 311, vige il divieto di assunzioni per il triennio 2005/2006/2007. Per le regioni e le autonomie locali si applicano le disposizioni di cui al comma 98 e 95. Il comma 95 stabilisce che sono fatte salve le assunzioni autorizzate nel 2004 con d.P.C.M. del 24 luglio del 2004 ma non effettuate nel medesimo anno. Ciò premesso si ritiene che codesta amministrazione, può procedere alla sostituzione del dipendente dimessosi dal servizio, coprendo la vacanza in organico, attingendo tale risorsa umana dalla graduatoria già esistente, a condizione che ciò avvenga nei limiti e nel rispetto del d.P.C.M. del 24 luglio del 2004. Nel caso in cui questa sostituzione dovesse avvenire oltre i limiti di assunzioni fissati dal d.P.C.M si applicano le disposizioni del comma 98, art 1 della legge 311 del 2004 e dei d.P.C.M attuativi, pertanto, in questo caso lo scorrimento della graduatoria potrà essere effettuato solo nell'ambito di nuovi contingenti che verranno definiti ai sensi del richiamato comma 98. Il direttore dell'ufficio Francesco Verbaro Roma, 22 luglio 2005. 135 CIRCOLARI Indice Pag. Lettera circolare dell'11 aprile 2005 Direttiva n. 2 del 1° agosto 2005 Legge 30 dicembre 2004, n. 311: note esplicative in materia di dotazioni organiche, mobilità ed assunzioni. 141 Tirocini formativi e di orientamento. 152 139 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l’analisi dei costi del lavoro pubblico Prot. DFP/14115/05/1.2.3.1 Lettera circolare Roma 11 aprile 2005 Alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Ufficio del segretario generale a tutti i ministeri - Gabinetto - Direzione generale affari generali e personale al Consiglio di Stato - Ufficio del segretario generale alla Corte dei conti - Ufficio del segretario generale all’Avvocatura generale dello Stato - Ufficio del segretario generale alle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (per il tramite dei ministeri interessati) al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro - Ufficio del segretario generale agli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 alle agenzie di cui al d.lgs. n. 300/1999 (per il tramite dei ministeri interessati) agli enti pubblici non economici (per il tramite dei ministeri vigilanti) agli enti di ricerca (per il tramite dei ministeri vigilanti) e p.c., alla Presidenza della Repubblica - Segretariato generale all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) 141 Oggetto: legge 30 dicembre 2004, n. 311: note esplicative in materia di dotazioni organiche, mobilità ed assunzioni. Premessa La legge 30 dicembre 2004, n.311 presenta diverse novità in materia di organici, mobilità e assunzioni per le pubbliche amministrazioni. In particolare la legge finanziaria per il 2005 dispone misure di contenimento della spesa per il triennio 2005-2007 intervenendo in modo significativo su tutte le fasi della gestione del personale. Pertanto appare utile fornire indicazioni corrette in materia al fine di orientare le amministrazioni in questo processo di rivisitazione degli organici e di riduzione dei costi in materia di personale. 1. Misure in materia di dotazioni organiche L’articolo 1, comma 93 contiene previsioni relative alla riduzione dei costi derivanti dalle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche, finalizzate a rendere gli organici coerenti con l’insieme delle altre misure contenute nella legge stessa ed in particolare con il contingentamento pluriennale delle assunzioni e la conseguente necessaria corrispondenza tra analisi dei fabbisogni, piano occupazionale e dimensioni organizzative delle amministrazioni stesse. In particolare, le politiche di finanza pubblica e di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni comportano l’esigenza di organizzare le attività con minori risorse umane anche in considerazione dei processi di decentramento e degli incrementi di produttività derivanti dai percorsi di riqualificazione. Sono direttamente destinatarie delle predette previsioni le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse quelle fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca e gli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. Le amministrazioni delle Autonomie regionali e locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale individuano l’ambito di applicazione delle riduzioni in materia attraverso i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui al successivo comma 98 della legge finanziaria. Dalla prevista riduzione delle dotazioni organiche sono esclusi taluni settori o categorie di personale espressamente individuati dal comma 94. La rideterminazione della dotazione organica deve essere operata sulla base dei principi e criteri contenuti nell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e nell’articolo 34 della legge n. 289 del 2002, tenendo conto in particolare del processo tecnologico che consente alle amministrazioni di adottare misure di razionalizzazione e riorganizzazione dei propri uffici, anche in attuazione di quanto previsto dal successivo comma 192 sulle procedure informatizzate, finalizzate ad una rapida e razionale riallocazione del personale ed alla ottimizzazione dei compiti direttamente connessi con le attività istituzionali e dei servizi da rendere all’utenza, con significativa riduzione del numero dei dipendenti attualmente applicati in compiti logistico-strumentali. In concreto le amministrazioni devono effettuare, in armonia con le finalità della norma, un reale sforzo per rendere le dotazioni organiche rispondenti alle effettive esigenze di servizio, anche mediante un’oculata redistribuzione del personale, tenendo conto delle fondamentali competenze e funzioni che individuano le missioni delle amministrazioni stesse nel contesto di una complessiva analisi dei compiti istituzionali operata sulla base degli indirizzi programmatici e degli obiettivi generali dell’azione amministrativa. Le modalità procedurali attuative continuano ad essere quelle proprie dei rispettivi ordinamenti, con l’introduzione, però, per il solo settore relativo alle amministrazioni dello Stato, anche ad 142 ordinamento autonomo, di una misura di semplificazione, consentendo la rideterminazione attraverso il più rapido e meno complesso utilizzo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, emanato su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro dell’economia e delle finanze. La riduzione minima richiesta deve essere non inferiore al 5% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico di ciascuna amministrazione. Occorre, pertanto, individuare preliminarmente la spesa riferita alla dotazione organica del personale, comprensiva anche dei dirigenti e suddivisa in aree e posizioni economiche. I costi da considerare sono quelli derivanti dalla retribuzione complessiva iniziale comprensiva degli oneri riflessi riferita alle singole posizioni, da moltiplicare per il relativo numero previsto nella dotazione organica di riferimento. La sommatoria di detti costi determinerà il quantitativo economico su cui operare la predetta percentuale minima del 5 %. Dopo aver individuato la nuova spesa massima sulla base della quale poter rideterminare la propria dotazione organica, le amministrazioni dovranno comunque provvedere sulla base della rilevazione dei propri effettivi fabbisogni come previsto, in particolare, dall’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001. Al riguardo si rinvia alla circolare n. 1 del 4 marzo 2004 del Ministro per la funzione pubblica sulla materia. Per le amministrazioni che non provvedano a porre in essere entro il 30 aprile 2005 le riduzioni come in precedenza indicate, le stesse vedono la loro dotazione organica determinata ex lege, non in via transitoria ma con effetti definitivi, in misura pari ai posti coperti dal personale di ruolo in servizio, riferito a ciascuna qualifica, alla data del 31 dicembre 2004, più le procedure di mobilità avviate dalle amministrazioni di destinazione alla stessa data, quelle speciali derivanti dai processi di trasformazione o soppressione di amministrazioni pubbliche ovvero concernenti personale in situazione di eccedenza effettuate entro il 30 aprile 2005 e le procedure concorsuali in atto alla data del 30 novembre 2004. Ulteriori indicazioni in materia di mobilità saranno fornite nel paragrafo successivo. Ulteriormente, sempre per le amministrazioni inadempienti alla data del 30 aprile 2005, è prevista come sanzione, l’applicazione dell’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001 che prevede il blocco delle assunzioni, anche con riguardo alle categorie protette. Una misura, cioè, che inasprisce il generale divieto ad assumere personale a tempo indeterminato che in via ordinaria esclude, appunto, le categorie protette, e che, rende inoperante la eventuale possibilità di utilizzare le priorità ad accedere al fondo per le assunzioni, di cui al combinato disposto dei successivi commi 96 e 97, della legge finanziaria. In considerazione delle finalità delle disposizioni della legge n. 311/2004 in materia di pubblico impiego, è prevista inoltre una ulteriore rideterminazione delle dotazioni organiche sempre in riduzione al termine del triennio 2005/2007 che tenga conto degli effetti derivanti dalle previsioni relative al blocco delle assunzioni. Quanto sopra a conferma dell’indirizzo teso a non produrre differenziali non più giustificati tra dotazioni organiche di diritto e contingenti di personale presente in servizio e necessario al reale fabbisogno. In considerazione dell’avvicinarsi della scadenza del 30 aprile 2005 e della rilevanza delle conseguenze che la mancata rideterminazione delle proprie dotazioni organiche attraverso la riduzione della relativa spesa del 5% comportano per le amministrazioni, si sollecitano le stesse a porre in essere prioritariamente le relative attività, anche in relazione al fatto che la possibilità di prendere in considerazione eventuali richieste di autorizzazioni a bandire o ad assumere è subordinata all’acquisizione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e finanze delle relative dotazioni organiche che, naturalmente, tengano conto delle predette previsioni contenute nel comma 93. 143 2. Mobilità La legge n. 311 del 2004 dedica particolare attenzione al tema della mobilità costituendo la principale modalità di reclutamento in uno scenario di contenimento delle assunzioni. L’attivazione di procedure di mobilità volontaria e d’ufficio (cioè relativa alla ricollocazione dei dipendenti in disponibilità iscritti nelle apposite liste) viene incontro ad alcune esigenze fondamentali: il soddisfacimento del fabbisogno professionale delle amministrazioni mediante acquisizione di adeguate risorse umane, una più razionale distribuzione del personale tra le amministrazioni o all’interno della stessa amministrazione, il contenimento dei costi per le spese di personale, evitando l’assunzione di nuove unità lì dove il fabbisogno può essere soddisfatto mediante l’attuazione della mobilità, il desiderio del dipendente di trovare una collocazione lavorativa più consona alle proprie necessità professionali o personali. Il principio del previo esperimento delle procedure di mobilità è stato più volte affermato dal legislatore. Si menziona, in proposito, l’articolo 39 della legge n. 449 del 1997, il quale prevede che, nell’ambito dell’istruttoria effettuata dal Dipartimento della funzione pubblica e dalla Ragioneria generale dello Stato per l’autorizzazione alle assunzioni, occorre verificare, oltre all’effettiva esigenza di reperimento di personale, l’impraticabilità di soluzioni alternative collegate a procedure di mobilità. L’articolo 34, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 stabilisce poi che, nella programmazione triennale del personale, le nuove assunzioni sono subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell’apposito elenco e, cioè, al personale eccedentario per il quale i tentativi di ricollocazione all’interno e all’esterno dell’amministrazione interessata non abbiano avuto esito. L’effettività del principio, con riferimento al personale in disponibilità, è stata successivamente assicurata mediante l’articolo 7 della legge n. 3 del 2003, che ha introdotto l’articolo 34 bis nell’ambito del decreto legislativo n. 165 del 2001. Infatti, tale disposizione stabilisce un obbligo di comunicazione preventiva per le amministrazioni che vogliono bandire concorsi, le quali debbono indicare la posizione professionale che intendono ricoprire, i titoli e le eventuali idoneità richiesti, nonché la sede da ricoprire. La comunicazione preventiva è volta a verificare se sussiste personale in disponibilità da ricollocare sui posti che l’amministrazione vorrebbe mettere a concorso, in modo da evitare l’immissione di nuove unità in presenza di personale eccedentario, che rischia la risoluzione del rapporto di lavoro. La ricollocazione in questo caso avviene mediante assegnazione da parte del Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, o delle strutture regionali o provinciali competenti, a seconda che il personale in disponibilità sia proveniente da amministrazioni dello Stato o da enti pubblici nazionali ovvero da altre amministrazioni. Recentemente, il decreto legge n. 7 del 2005, come modificato dalla legge di conversione 31 marzo 2005, n. 43, ha novellato l’articolo 34 bis citato, rendendo la disposizione più chiara ed esplicitando la possibilità per il Dipartimento della funzione pubblica di avviare ricognizioni presso pubbliche amministrazioni, ove ritenuto opportuno per una più rapida ricollocazione del personale in disponibilità. In quest’ultimo caso, l’acquisizione del dipendente avviene in modo concordato e l’assegnazione è disposta con decreto del Dipartimento, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Si coglie l’occasione per precisare che la comunicazione di cui all’articolo 34 bis citato non è necessaria ove l’amministrazione intenda ricoprire il posto vacante mediante attivazione di mobilità volontaria, in quanto tale procedura non determina l’immissione di nuove risorse nell’organizzazione amministrativa, ma solo lo spostamento di dipendenti da un’amministrazione all’altra. Si segnala, inoltre, che il medesimo decreto legge, in sede di conversione, è intervenuto anche sull’articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001. 144 In particolare, la nuova disposizione rafforza il principio del previo esperimento delle procedure di mobilità, specificando che le amministrazioni prima di procedere all’espletamento delle procedure concorsuali debbono attivare le procedure di mobilità volontaria, provvedendo in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti in posizione di comando o fuori ruolo in servizio presso la stessa. Come chiarito dalla norma, l’attuazione della mobilità presuppone un inquadramento su posto vacante di professionalità corrispondente per area e posizione economica. L’articolo 1, comma 96, della legge n. 311 del 2004 prevede espressamente che le autorizzazioni in deroga al divieto di assunzione di cui al comma 95 sono subordinate al previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità. Con questa norma, pertanto, la legge finanziaria ha chiaramente subordinato la possibilità di procedere ad assunzioni all’acquisizione preventiva del personale in mobilità corrispondente alla posizione da ricoprire, in un’ottica di razionalizzazione dell’organizzazione e di contenimento della spesa. Al riguardo, è chiaro che l’istruttoria finalizzata a verificare la possibilità di assunzione mediante mobilità deve essere svolta al momento della determinazione di acquisizione di nuove unità di personale e, più a monte, al momento della programmazione dei fabbisogni, ma la decisione si ripercuote poi sulle effettive nuove assunzioni. In sostanza, la valutazione circa l’acquisizione in mobilità da parte di ciascuna amministrazione deve essere compiuta precedentemente all’indizione del concorso o della procedura selettiva, sia mediante il ricorso alla mobilità volontaria sia mediante l’invio della comunicazione prescritta dall’articolo 34 bis del decreto legislativo n. 165 del 2001. Conseguentemente, in sede di esame delle richieste di autorizzazione a bandire nuovi concorsi il Dipartimento della funzione pubblica e il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato valuteranno, mediante la documentazione richiesta per l’istruttoria, se è stato operato il ricorso alle procedure di mobilità. In ordine all’attivazione della mobilità volontaria, al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione a bandire, l’amministrazione dovrà documentare la previa attivazione delle procedure di mobilità con riferimento alle professionalità considerate. Pertanto, il rilascio dell’autorizzazione sarà condizionato alla valutazione del serio e concreto tentativo di attivazione della mobilità. Per quanto concerne specificamente l’applicazione dell’articolo 34 bis, di regola la relativa comunicazione dovrà essere inoltrata al Dipartimento della funzione pubblica dopo il rilascio dell’autorizzazione a bandire mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto la verifica circa la sussistenza di personale da ricollocare va riferita al momento in cui si intende effettivamente attivare la procedura di reclutamento. Si richiama l’attenzione sulla sanzione di nullità delle assunzioni effettuate in violazione delle previsioni di cui al citato articolo 34 bis. Analogamente, anche la richiesta ad assumere dovrà essere accompagnata dalla documentazione inerente la mobilità, questa volta con riferimento non semplicemente all’attivazione, ma all’effettivo espletamento della stessa, con indicazione della provenienza e della posizione del personale assorbito, anche con riguardo a quelle categorie per le quali la legge prevede delle agevolazioni (ad esempio, in quanto provenienti da processi di trasformazione o privatizzazione di pubbliche amministrazioni). Si segnala al riguardo che, in mancanza di apposite clausole dei contratti collettivi o di una specifica autorizzazione che attribuisca la competenza alla disciplina in capo ad altri soggetti, la valutazione circa la corrispondenza professionale è rimessa all’apprezzamento discrezionale di ciascuna amministrazione. Oltre a subordinare le nuove assunzioni al previo esperimento delle procedure di mobilità, in concomitanza con l’introduzione del divieto di assunzione generalizzato, la legge finanziaria prevede un’agevolazione per l’attuazione delle relative procedure. 145 Al riguardo, rilevano il comma 47 e il comma 95, ultimo periodo, dell’articolo 1. In base al combinato disposto di queste disposizioni, la mobilità può essere attuata tra amministrazioni soggette al regime di limitazione delle assunzioni senza necessità di chiedere l’autorizzazione governativa ad assumere. Per quanto concerne la mobilità in entrata nelle amministrazioni dello Stato e negli enti pubblici non economici, stante la disposizione di cui al comma 101 dell’articolo 1, essa potrà essere attuata nei confronti dei dipendenti provenienti da qualsiasi altra amministrazione, tranne che dal comparto scuola (a meno che non si tratti di docenti inidonei alle funzioni di cui all’articolo 35, comma 5, terzo periodo, della legge n. 289 del 2002, che sono personale eccedentario), dalle università e dagli ordini e collegi professionali e relativi consigli e federazioni. Infatti, poiché per le assunzioni di questi dipendenti non sono previste limitazioni, le eventuali acquisizioni in mobilità sono soggette ad autorizzazione, analogamente a quanto accade per le nuove assunzioni. Infine, si richiama l’attenzione sulla mobilità relativa ad alcune categorie di personale, indicate nell’articolo 1, comma 93, della legge n. 311 del 2004. Si tratta, in particolare, della mobilità connessa ai processi di trasformazione delle pubbliche amministrazioni, ove la legge abbia riconosciuto un’opzione per la permanenza nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, come nel caso dell’Agenzia del demanio, ovvero relativa al personale eccedentario o in disponibilità, come i trasferimenti concernenti i docenti inidonei al servizio di cui al menzionato articolo 35 della legge n. 289 del 2002 e i segretari comunali e provinciali in disponibilità ex articoli 33 e 34 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Per quanto concerne i dipendenti optanti dell’Agenzia del demanio, in base alla legge finanziaria per l’anno 2005 e a quella relativa all’anno 2004, le acquisizioni in mobilità possono essere effettuate anche in soprannumero rispetto alla dotazione organica rideterminata a norma dell’articolo 1, comma 93, della predetta legge n. 311, salvo riassorbimento al verificarsi delle occorrenti vacanze di posti. Ove la prescritta rideterminazione non intervenisse nei termini di legge, con la conseguente determinazione ex lege al personale in servizio al 31 dicembre 2004, le eventuali acquisizioni in mobilità effettuate entro il 30 aprile 2005 verrebbero assimilate - quanto alla dotazione organica - al personale in servizio alla predetta data del 31 dicembre. Quest’ultimo criterio vale anche per le altre categorie di dipendenti sopra menzionate, per le quali vige la regola generale dell’assorbimento su posto vacante di organico di posizione corrispondente. Con l’occasione si richiama l’attenzione delle amministrazioni sulle ricognizioni che il Dipartimento della funzione pubblica sta effettuando. 3. Autorizzazione all’avvio delle procedure concorsuali. Una novità introdotta dalla legge n. 311 del 2004 riguarda la disposizione contenuta nel comma 104, dell’articolo 1, che, modificando il secondo periodo del comma 4, dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, subordina l’avvio delle procedure concorsuali, come disposto dall’articolo 39 della legge n. 449 del 1997, all’emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Le amministrazioni destinatarie di detta disposizione sono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità. Tale misura mira a contenere, conseguentemente alla riduzione degli organici, l’avvio delle procedure di reclutamento, subordinandolo al previo esperimento delle procedure di mobilità, nonché a tenere conto delle reali possibilità di assunzioni previste dalla citata legge n. 311 del 2004. Le amministrazioni interessate, ai fini della relativa autorizzazione, dovranno, pertanto fare apposita richiesta contestualmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica - U.P.P.A. - Servizio per la programmazione delle assunzioni e reclutamento – 146 Corso Vittorio Emanuele II, n. 116 – 00186 Roma ed al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – I.G.O.P. – Ufficio II, Via XX Settembre n. 97 00187 Roma. La richiesta dovrà essere corredata della seguente documentazione: − dotazioni organiche vigenti, come rideterminate ai sensi del comma 93, articolo 1 della legge n. 311 del 2004; − l’atto di programmazione triennale dei fabbisogni approvato ai sensi dell’articolo 39 della legge n. 449 del 1997, nonché la relazione concernente l’esistenza di effettive, motivate e indilazionabili esigenze di servizio, che rendano non più rinviabili le procedure concorsuali programmate; − scheda attestante lo svolgimento o l’avvio delle procedure di mobilità e contenente il numero delle unità di personale in ingresso con indicazione delle amministrazioni di provenienza. L’autorizzazione di cui al comma 1 sarà rilasciata con la condizione della verifica del rispetto delle previsioni di cui all’articolo 1, comma 93, della legge n. 311 del 2004, nonché dell’espletamento delle procedure di mobilità volontaria (anche con riferimento all’acquisizione di dipendenti provenienti dalla trasformazione di amministrazioni pubbliche e di dipendenti in situazione di eccedenza o disponibilità) a cui successivamente dovrà seguire la comunicazione di cui all’articolo 34 bis del decreto legislativo n. 165 del 2001. 4. Misure in materia di assunzioni. Il divieto riguarda tutte le assunzioni di personale a tempo indeterminato derivanti da procedure concorsuali pubbliche, ivi comprese quelle per la qualifica di dirigente, incluse le assunzioni relative ai vincitori di procedure selettive pubbliche, anche nel caso in cui le unità da assumere siano già dipendenti della medesima amministrazione che ha bandito il concorso ovvero di altre amministrazioni. Tale divieto non si applica alle università, agli ordini ed ai collegi professionali e relativi consigli e federazioni, nonché al comparto scuola, per il quale trovano applicazione le disposizioni di cui agli articoli 22 della legge n. 448 del 2001, e 35 della legge n. 289 del 2002. Alle università si applicano le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 105, della legge n. 311 del 2004. Per i conservatori e le accademie si continua ad applicare in materia di assunzioni la disciplina autorizzatoria di cui all’art. 39, comma 3 bis, della legge 27 dicembre 1997 n. 449 e successive modifiche. Cosi come previsto dall’art. 3, comma 58 della legge n. 350/2003, in quanto ad oggi non è stata data completa attuazione alla legge 21 dicembre 1999, n. 508 che prevede l’emanazione di appositi regolamenti. Sono altresì escluse dal divieto anche le assunzioni in favore delle amministrazioni autorizzate con il decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 ma non ancora effettuate alla data del 1° gennaio 2005, quelle connesse con la professionalizzazione delle Forze Armate, nonché quelle previste da norme speciali indicate espressamente al comma 95, dell’articolo 1, della legge n. 311 del 2004. E’, infine, confermata la possibilità per tutte le pubbliche amministrazioni di procedere, anche per il 2005, alle assunzioni relative alle categorie protette. Il comma 96 dell’articolo 1 della citata legge n. 311 del 2004 prevede, per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza ed urgenza, una specifica possibilità di deroga al divieto di assunzione a tempo indeterminato in favore delle amministrazioni elencate in premessa, nel senso che le amministrazioni sottoposte al blocco possono procedere, per l’anno 2005 e previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad avviare assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari a 40 milioni di euro per l’anno 2005 e a 120 milioni di euro a regime. 147 Si richiama l’attenzione sul rispetto dei predetti vincoli finanziari, che costituiscono il presupposto per l’emanazione del provvedimento autorizzatorio, con particolare riferimento ai tempi di assunzione per l’anno 2005. La possibilità di assunzione è subordinata all’obbligo che hanno le amministrazioni pubbliche di esperire, prima di avviare le procedure di reclutamento di personale, la mobilità al fine di favorire una più razionale ed efficace utilizzazione del personale in servizio. Le medesime amministrazioni interessate sono tenute a dimostrare l’esistenza di effettive, motivate ed indilazionabili esigenze di servizio, tra cui quelle volte ad assicurare la funzionalità e l’ottimizzazione delle risorse disponibili per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con i vincoli finanziari e di bilancio. Dette esigenze di servizio dovranno risultare anche dall’atto di programmazione triennale del fabbisogno di personale approvato dai vertici delle amministrazioni, ai sensi dell’articolo 39 della legge n. 449 del 1997. Nell’ambito della deroga al divieto di assunzione, l’articolo 3, comma 97, della citata legge n. 311 del 2004 prevede alcuni criteri di priorità e precedenza dettati da particolari esigenze funzionali ed organizzative, nonché dalla finalità di favorire l’immissione di specifiche professionalità e categorie di personale. Le priorità riguardano: − l’assunzione di personale del settore della ricerca, di personale che presti attualmente o abbia prestato servizio per almeno due anni in posizione di comando o distacco presso l’APAT ai sensi dell’articolo 2, comma 6 del decreto legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, di personale del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, di personale necessario per assicurare il rispetto degli impegni internazionali ed il controllo dei confini dello stato, di personale addetto alla difesa nazionale; − l’assunzione dei vincitori e degli idonei del concorso pubblico a 443 posti di ufficiale giudiziario C1, pubblicato nella G.U., 4^ serie speciale, n. 98 del 13 dicembre 2002, per la copertura delle vacanze organiche nei ruoli degli ufficiali giudiziari C1 e nei ruoli dei cancellieri C1 dell’amministrazione giudiziaria, l’assunzione dei candidati a magistrato del Consiglio di Stato risultati idonei del concorso a consigliere di Stato che abbiano conservato, senza soluzione di continuità, i requisiti per la nomina a tale qualifica fino alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 311/2004, nonché i vincitori dei concorsi banditi per le esigenze di personale civile degli arsenali della Marina militare ed espletati alla data del 30 settembre 2004; − l’assunzione di personale addetto ai compiti di sicurezza pubblica e di difesa nazionale (decreto legge 31 marzo 2005, n. 45). 5. Trattenimento in servizio. L’articolo 1 quater del decreto legge n. 136 del 2004, convertito con modifiche dalla legge n. 186 del 2004 attribuisce ai dipendenti della amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 la facoltà di richiedere il trattenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età. Il trattenimento in servizio in questione, peraltro, non forma oggetto di un diritto potestativo del dipendente (come nell’ipotesi del mantenimento in servizio fino al compimento delle sessantasettesimo anno di età, prevista dal primo comma dell’articolo 16 decreto legislativo n. 503 del 1992), ma è subordinato ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione. Tuttavia l’articolo 1, comma 99, della legge n. 311 del 2004 estende l’ambito applicativo del blocco delle assunzioni previsto dalle disposizioni di cui ai commi da 93 a 107 “… anche al trattenimento in servizio di cui all’articolo 1 quater del decreto legge 28 maggio 2004, n. 136…”. In sostanza, il legislatore ha inteso equiparare il trattenimento in servizio fino a 70 anni ad una nuova assunzione, assoggettandolo, dunque, alle medesime disposizioni previste dall’articolo 1, commi 93 e seguenti, della legge finanziaria. 148 Il medesimo comma 99 esclude espressamente il comparto scuola dai vincoli e limiti assunzionali di cui ai commi 95 e 97 della legge, per il quale settore si applica la specifica disciplina autorizzatoria delle assunzioni. Per i conservatori e le accademie si rinvia a quanto precisato al punto 4. Ciò posto, le amministrazioni di cui al comma 95 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004 che intendessero trattenere il personale ai sensi della suindicata normativa sono tenute a trasmettere apposita richiesta di autorizzazione allo scrivente Dipartimento ed al Ministero dell’economia e delle finanze, con allegata la documentazione di cui al successivo paragrafo tenendo conto eventualmente dei tempi delle procedure di autorizzazione. 6. Procedura per l’autorizzazione all’assunzione delle amministrazioni pubbliche in deroga al blocco. Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 95, della legge n. 311 del 2004, che intendano avviare, per il corrente anno, assunzioni a tempo indeterminato di unità di personale, in deroga al blocco delle assunzioni previsto dalla medesima normativa, sono tenute, ai fini della relativa autorizzazione, a fare apposita richiesta utilizzando l’allegato modello. In detto modello, per singola posizione economica, dovranno essere espressamente indicate: − le unità richieste, distinguendo se a tempo pieno o part-time; − il numero dei posti disponibili in organico per ciascuna posizione, che tenga conto delle disposizioni sulla rideterminazione delle dotazioni organiche, di cui al comma 93; − la retribuzione complessiva annua lorda da riconoscere al personale richiesto; − la provenienza del personale di cui si richiede l’assunzione (N.B.: nel caso di personale già dipendente della stessa amministrazione o ente, specificare la qualifica di provenienza e la retribuzione complessiva annua già percepita; qualora per una stessa qualifica si verificassero più casistiche, occorrerà utilizzare più righe nella tabella); − la data di approvazione della graduatoria di merito relativa al concorso interessato alla richiesta, specificando se si tratta di vincitori o di idonei. Dette richieste di autorizzazione dovranno essere corredate anche di: − dotazioni organiche vigenti, come rideterminate ai sensi del comma 93, dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004; − relazione concernente l’esistenza di effettive, motivate e indilazionabili esigenze di servizio, che rendano non più rinviabili le assunzioni programmate, nonché il tipo di priorità, tra quelle elencate nell’articolo 1, comma 97, della legge n. 311 del 2004, per le quali si chiede l’autorizzazione ad assumere in deroga al blocco delle assunzioni; − scheda attestante l’effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, contenente il numero delle unità di personale acquisite e le amministrazioni di provenienza; − relazione tecnico-finanziaria concernente i programmi di attuazione delle assunzioni richieste ed i costi complessivi per l’anno 2005 e quelli a regime. 7. Conclusioni Alla luce di quanto esposto, le amministrazioni che hanno già provveduto ad inviare la relativa documentazione sono invitate ad integrarla secondo quanto sopra richiesto. In ogni caso, tenuto conto della limitata disponibilità finanziaria del fondo, nonché delle situazioni prioritarie indicate dalla legge per talune amministrazioni o categorie di personale, si invitano le amministrazioni in indirizzo a circoscrivere le eventuali richieste di deroga a casi eccezionali ed urgenti. Si fa presente, infine, che le assunzioni che saranno autorizzate nell’anno 2005 dovranno essere effettuate nel corso del medesimo anno. Si invitano le amministrazioni, nel formulare tali richieste, a valutare attentamente le proprie esigenze organizzative e funzionali in quanto modifiche ai contingenti autorizzati potranno essere considerate solo in casi eccezionali ed in presenza di determinati presupposti obiettivi sopravvenuti 149 (come ad esempio, la riorganizzazione di uffici, l’attribuzione di nuovi compiti, l’emanazione di specifici provvedimenti legislativi o regolamentari che incidono sulla struttura dell’amministrazione). Si precisa inoltre che nel solo caso di richieste di assunzione di personale già dipendente della stessa amministrazione o ente il relativo onere verrà valutato in termine di differenziale di costo tra le qualifiche di provenienza e di destinazione. Le richieste di autorizzazione dovranno, infine, essere trasmesse entro e non oltre il 30 maggio 2005 contestualmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica - U.P.P.A. - Servizio per la programmazione delle assunzioni e reclutamento – Corso Vittorio Emanuele II, n. 116 – 00186 Roma e al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – I.G.O.P. – Ufficio II, Via XX Settembre, n. 97 00187 Roma. Il modello allegato alla presente lettera, che è possibile scaricare dal sito internet del Dipartimento della funzione pubblica: www.funzionepubblica.it, concernenti le richieste di autorizzazione, dovrà essere, altresì, inviato ai seguenti indirizzi di posta elettronica: − [email protected] − [email protected] Le richieste di assunzione saranno sottoposte, ai sensi dell’articolo 39, comma 3 ter della legge n. 449 del 1997, all’esame del Consiglio dei ministri, ai fini dell’adozione della delibera autorizzatoria, previa istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e delle finanze. . Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento della funzione pubblica Ministero dell’economia e delle finanze Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato Il direttore dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni f.to Francesco Verbaro L’ispettore generale capo dell’Ispettorato per gli ordinamenti del personale e l’analisi dei costi del lavoro pubblico f.to Giuseppe Lucibello 150 151 Part time Totale complessivo Tempo pieno Unità di personale richieste Qualifica/Categoria - Posizione Numero di posti previsti nella dotazione organica e attualmente non coperti nella qualifica di riferimento Ente/Amministrazione Qualifica precedente Provenienza (specificare se conosciuta) ASSUNZIONI RICHIESTE Data di approvazione graduatoria E-mail ___________________________________________ N. fax ___________________________________________ N. Telefono ___________________________________________ Nominativo ___________________________________________ FUNZIONARIO RESPONSABILE _____________________________________________ AMMINISTRAZIONE / ENTE _________________________________________________ Nel caso, specificare se le unità richieste sono relative a vincitori o idonei (V/I) Valutazione onere complessivo Totale complessivo Valutazione onere unitario PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni Direttiva n. 2/2005 Alla Presidenza del Consiglio dei ministri Segretariato generale Roma alle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo Loro sedi al Consiglio di Stato Ufficio del segretario generale Roma alla Corte dei conti Ufficio del segretario generale Roma all’Avvocatura generale dello Stato Ufficio del segretario generale Roma alle agenzie Loro sedi all’ARAN Roma alla Scuola superiore della pubblica amministrazione Roma agli enti pubblici non economici (tramite i ministeri vigilanti) Loro sedi agli enti pubblici (ex art. 70 del d.lgs n. 165/01) Loro sedi agli enti di ricerca (tramite il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca) Roma alle istituzioni universitarie (tramite il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca) Roma alla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e, p. c., alla Conferenza dei presidenti delle Regioni all’ANCI all’UPI 152 Oggetto: tirocini formativi e di orientamento. Premessa La pubblica amministrazione è costantemente impegnata in un processo di riforma delle proprie attività finalizzato alla creazione di un sistema in grado di rispondere ai bisogni della collettività e del sistema economico, per questo anche nel settore del lavoro pubblico si è evidenziata la necessità di acquisire nuove e sempre più aggiornate e qualificate professionalità. Proprio in un contesto normativo e finanziario di forte limitazione alle assunzioni assume grande rilevanza la qualità e la professionalità del capitale umano da reclutare. Di qui la scelta di promuovere politiche ed azioni dirette ad attrarre e formare i giovani migliori provenienti dal mondo universitario instaurando rapporti di collaborazione con il mondo della ricerca e della formazione universitaria. In questo contesto si colloca la presente direttiva, che intende chiarire le modalità di svolgimento dei tirocini formativi e di orientamento nelle pubbliche amministrazioni e favorirne la diffusione, coerentemente con gli intenti già espressi nel Protocollo d’intesa tra il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Conferenza dei Rettori delle Università italiane del 9 maggio 2002 e, più in generale, con lo spirito sotteso a tale documento, finalizzato a favorire una costante cooperazione ed interazione tra pubblica amministrazione e mondo della formazione e ricerca universitaria. Destinatari e promotori dei tirocini Questo Dipartimento ritiene, alla luce di quanto evidenziato in premessa, di prioritario interesse per le amministrazioni favorire l’utilizzo dei tirocini di studenti regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’Università, di giovani laureati che frequentano scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione, dottorati di ricerca, nonché di giovani che frequentano scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione post-secondari, anche non universitari,proprio al fine di assicurare loro l’acquisizione di competenze idonee, spendibili successivamente nel mercato del lavoro delle pubbliche amministrazioni. E’ il caso di sottolineare che, pur nella pluralità di possibili soggetti promotori dei tirocini, un ruolo preponderante, per quanto concerne lo svolgimento di tirocini formativi in ambito pubblico, è svolto dalle Università e dagli istituti universitari statali e non statali abilitati al rilascio dei titoli accademici, per l’interesse che i neolaureati più meritevoli suscitano nelle Amministrazioni, nonché dalle istituzioni pubbliche di alta cultura e formazione e dalle scuole di formazione delle pubbliche amministrazioni. Quadro normativo di riferimento Le disposizioni che disciplinano i tirocini formativi si rinvengono nell’art. 18 della legge 25 giugno1997, n. 196 e nel decreto ministeriale del 25 marzo 1998, n. 142, adottato Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero della pubblica istruzione e con il Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, che ne ha fissato criteri e modalità di svolgimento. Come peraltro precisato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2005 la disciplina dei tirocini appartiene alla competenza normativa delle Regioni. Pertanto la normativa nazionale troverà applicazione solo in assenza di una specifica disciplina a livello regionale. L’istituto del tirocinio formativo così delineato costituisce il punto di arrivo di un processo di avvicinamento fra mondo dell’istruzione e della formazione e mondo del lavoro che ha caratterizzato, nel settore privato, le politiche del lavoro degli anni più recenti ed è finalizzato ad aumentare le possibilità di concreto inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. I tirocini formativi o di orientamento promossi dagli Atenei in riferimento alla tipologia individuata dalla legge n. 196 del 1997 costituiscono lo strumento attraverso il quale accompagnare i giovani universitari verso scelte professionali utili per un consapevole ed effettivo inserimento nel mondo del lavoro. 153 Nell’ambito che qui interessa, cioè una formazione dei giovani universitari orientata all’acquisizione delle competenze gestionali, organizzative, progettuali e strategiche necessarie agli amministratori della pubblica amministrazione, acquista un ruolo preponderante il rapporto fra Atenei promotori dei tirocini formativi e pubbliche amministrazioni ospitanti, in quanto le prassi che si consolideranno in merito alle convenzioni stipulate fra tali soggetti per l’attivazione dei tirocini formativi contribuiranno a creare una tipologia di formazione universitaria utilmente spendibile nel mercato del lavoro della pubblica amministrazione, nonché un’attività di ricerca utile a sostenere i processi di innovazione della pubblica amministrazione. Oltre alle richiamate disposizioni occorre ricordare come il Ministero del lavoro si sia attivato per fornire ulteriori indicazioni con la circolare n. 92 del 15 luglio1998. Rispetto a tali disposizioni occorre, inoltre, operare alcune considerazioni specifiche per le pubbliche amministrazioni, che di seguito saranno evidenziate, al fine di garantire un corretto impiego di tale istituto. Ad esempio il citato D M n. 142 del 1998 estende le disposizioni relative ai tirocini formativi ai cittadini comunitari che effettuino esperienze professionali in Italia, anche nell’ambito di programmi comunitari, in quanto compatibili con la regolamentazione degli stessi. Le estende, inoltre, ai cittadini extracomunitari secondo principi di reciprocità, secondo “criteri e modalità da definire mediante decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica”, come previsto dall’articolo 8. Tuttavia occorre ricordare che in ambito pubblico deve tenersi conto delle disposizioni contenute nell’articolo 51 della Costituzione, nell’articolo 2 del DPR 10 gennaio 1957, n. 3 e dall’articolo 2, comma 1, del DPR n. 487 del 1984, le quali richiedono il requisito della cittadinanza italiana per l’accesso al lavoro pubblico. Deve inoltre tenersi conto dei limiti posti per i cittadini dei paesi membri dell’Unione europea, dall’articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dal DPCM 7 febbraio 1994, n. 174. Pertanto l’opportunità di far accedere giovani comunitari o extracomunitari deve essere valutata alla luce di tali disposizioni e delle finalità dei singoli tirocini. Natura del tirocinio Con la legge 25 giugno 1997, n. 196 è stata data una sistematica disciplina normativa all’istituto, introducendo il tirocinio formativo e di orientamento, quale periodo di formazione finalizzato a realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e ad agevolare le scelte professionali a favore dei soggetti che hanno già assolto l’obbligo scolastico. Il Tirocinio formativo e di orientamento consiste in un periodo di formazione professionale o anche di mero orientamento al lavoro che permette ai giovani di prendere contatto diretto con il mondo produttivo. Il datore di lavoro pubblico ospitante è obbligato essenzialmente a far svolgere, sulla base di un Progetto formativo e/o di orientamento, un’adeguata attività formativa al tirocinante, oppure una esperienza di lavoro ai fini di mero orientamento al mondo del lavoro. Il Tirocinio ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. d), della legge 196/97 non costituisce rapporto di lavoro poiché non ne riveste le caratteristiche, né lo potrebbe in ambito pubblico dove l’accesso al rapporto di lavoro è soggetto alla regola del concorso pubblico. La caratteristica peculiare dell’istituto è rappresentata dall’inserimento del giovane in un contesto preordinato alla sua formazione professionale, rispetto alla quale la sua prestazione, che di fatto consiste in una attività lavorativa, è ammessa in quanto indispensabile per la formazione stessa. Questa, non costituendo rapporto di lavoro subordinato, non consente la corresponsione di alcuna retribuzione. Né tanto meno le amministrazioni dovranno utilizzare i tirocinanti in sostituzione del personale di ruolo e per colmare le vacanze in organico. Pertanto oggetto del rapporto fra tirocinante e amministrazione ospitante sono l’esperienza formativa rientrante in un percorso di educazione e formazione che all’interno di quest’ultima viene 154 impartito e l’attività svolta dal tirocinante che è finalizzata all’apprendimento delle modalità operative con le quali si esercitano le funzioni attribuite dall’ordinamento alle pubbliche amministrazioni. Tali attività non possono essere considerate quali prestazioni corrispettive, tuttavia costituiscono un onere per entrambi i soggetti. Attivazione dei tirocini L’attivazione del tirocinio formativo avviene tramite la stipula di una convenzione fra il soggetto promotore e il datore di lavoro ospitante cui è allegato un progetto formativo e di orientamento. E’ il caso di sottolineare come la convenzione debba corrispondere a quelli che sono gli obiettivi formativi del corso di studi e del progetto formativo ed infatti è previsto che il tirocinante sottoscriva quest’ultimo quale accettazione. La convenzione, inoltre, è l’atto con il quale l’Ateneo promotore e l’Amministrazione ospitante si obbligano ad assicurare al tirocinante, che è terzo rispetto all’atto, la formazione corrispondente al progetto allegato. Si richiama l’attenzione sull’importanza di concordare attentamente il contenuto del progetto formativo e/o di orientamento. In tale sede devono essere puntualmente definiti gli obblighi che si costituiscono in capo alle parti e sarà escluso ogni possibile dubbio sulla natura non lavorativa del rapporto. Sarà, inoltre, certificata esattamente la formazione effettuata che, come previsto dall’art. 6 del decreto citato, può avere valore di credito formativo ed essere inserita, a seguito di idonea certificazione dei promotori, nei curricula degli interessati per favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro. Ciò premesso per ciascun tirocinante sarà allegato alla convenzione un progetto formativo e/o di orientamento nel quale saranno indicati, fra l’altro, con precisione gli obiettivi e le modalità di effettuazione del tirocinio; il tutor incaricato dall’Ateneo promotore ed il responsabile incaricato dall’amministrazione; la durata ed il periodo di svolgimento; la struttura amministrativa presso la quale si svolgerà il tirocinio. Sono allegati al decreto n. 142 del 1998 uno schema tipo sia del progetto che della convenzione, schemi che, pertanto, possono essere presi quale riferimento anche dalle pubbliche amministrazioni e rispetto ai quali inserire le specificità che rispondono alla tipicità della singola amministrazione, quale datore di lavoro pubblico. La durata dei tirocini deve essere diversificata a seconda del livello di istruzione del tirocinante e non può comunque superare i 12 mesi per gli studenti universitari, come previsto dall’art. 7 del decreto. Poiché si tratta di inserire i tirocinanti in organizzazioni produttive complesse è auspicabile che la durata dei tirocini sia concordata tenendone conto, in modo da garantire l’effetto formativo desiderato. In particolare, va ribadito come il tirocinio formativo nelle amministrazioni costituisca una qualificante opportunità non solo per i tirocinanti, ma anche per le amministrazioni, le quali potranno introdurre gli studenti nell’ambito di progetti e processi riguardanti le principali riforme in atto e le tematiche emergenti, quali ad esempio: il riordino dei Ministeri, anche alla luce del decentramento delle funzioni delle amministrazioni centrali, l'analisi di impatto della regolamentazione, i sistemi di controllo interni e di valutazione, la gestione delle risorse umane in termini manageriali, la comunicazione pubblica e le relazioni con i cittadini, la realizzazione di quanto previsto dai programmi per l'e-government e, in generale, l’aggiornamento dei profili professionali. Per questo le amministrazioni dovranno svolgere un ruolo attivo non di semplici “ospitanti” contribuendo ad individuare le materie, gli studi, le relazioni, le analisi utili alla propria organizzazione ad ai processi in corso. 155 6. Obblighi dei promotori, delle amministrazioni ospitanti e dei tirocinanti Gli obblighi posti a carico dei soggetti coinvolti nei tirocini, puntualmente indicati nel richiamato D M n. 142 del 1998, sono ricordati qui di seguito. 6.1 Promotori Anche se il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro i tirocinanti debbono essere assicurati contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e per la responsabilità civile verso terzi. Tale obbligo è posto a carico dell’ente promotore. È importante rilevare come l’assicurazione copra lo svolgimento di tutte le attività rientranti nel progetto formativo e di orientamento, anche al di fuori della sede dell’Amministrazione. Qualora il promotore sia una struttura competente in materia di collocamento, è il datore di lavoro che può assumere a proprio carico l’onere della copertura INAIL. Spetta agli enti promotori, inoltre, l’onere di trasmettere copia della convenzione e di ciascun progetto formativo alla Regione e alla competente struttura territoriale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali Gli Atenei promotori, al fine di favorire l’esperienza del tirocinante, individuano un tutor quale responsabile didattico-organizzativo delle attività, che è figura distinta dal responsabile nominato dall’Amministrazione ospitante ma che con tale figura opera in stretto coordinamento. Al tutor didattico-organizzativo è infatti affidato il compito di mantenere i contatti con questi e con il tirocinante per verificare l’andamento del tirocinio, eventualmente riorganizzandone il percorso qualora fosse necessario, in relazione agli obiettivi definiti nel progetto formativo, alla stesura del quale può collaborare in coordinamento con il responsabile aziendale. Inoltre supporterà il tirocinante nella stesura della relazione finale e comunicherà al responsabile dei tirocini della propria struttura ogni eventuale sospensione o variazione del progetto formativo. 6.2 Amministrazioni ospitanti Per quanto concerne le amministrazioni ospitanti queste debbono favorire l’esperienza del tirocinante, consentendogli l’approccio diretto all’organizzazione e ai processi lavorativi. Le medesime, durante lo svolgimento dello stage devono, inoltre, affiancare al tirocinante un responsabile della struttura che segua le attività di formazione e ne favorisca l’inserimento nei processi organizzativi al fine di favorire la conoscenza dell’organizzazione ed un apprendimento attivo fondato su esperienze qualificate. Il responsabile aziendale opera, come già ricordato, in stretta connessione con il tutor didatticoorganizzativo, eventualmente anche ai fini della stesura del progetto formativo. Cura l’inserimento del tirocinante nella struttura operativa presso la quale si svolge il tirocinio, assistendolo in tutte le fasi di svolgimento, redige la relazione finale sulla qualità della prestazione del tirocinante. In caso di infortunio dovrà informare tempestivamente l’ente promotore ai fini assicurativi. I costi dei tirocini, non costituendo tra l’altro rapporto di lavoro, non sono a carico delle amministrazioni ospitanti. Queste potranno, eventualmente, valutare l’opportunità di prevedere per i tirocinanti un rimborso spese, sotto forma di borsa di studio, sempre nell’ambito delle disponibilità di bilancio provvedendo, eventualmente, ad individuare requisiti e limiti per l’ammissione a tale beneficio. 6.3 Obblighi del tirocinante Durante lo svolgimento del tirocinio formativo e di orientamento il tirocinante è tenuto a svolgere le attività previste dal progetto formativo di orientamento, osservando gli orari concordati e rispettando l’ambiente di lavoro e le esigenze di coordinamento dell’attività di ricerca con l’attività dell’amministrazione. Dovrà altresì rispettare le norme in materia di igiene, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché mantenere la necessaria riservatezza per quanto attiene ai dati, 156 informazioni e conoscenze in merito ai procedimenti amministrativi e ai processi organizzativi in generale, acquisiti durante lo svolgimento del tirocinio. In considerazione dei costi anche indiretti sopportati dalle singole Amministrazioni per ciascun tirocinio, appare opportuno che sia acquisita agli atti un’idonea documentazione che illustri i risultati dell’esperienza del tirocinio, nonché degli elaborati delle ricerche condotte. In merito, quindi, le amministrazioni sono chiamate a svolgere un ruolo attivo comunicando i temi e gli argomenti di interesse istituzionale, contribuendo a definire il progetto formativo, nella esplicita consapevolezza comune circa le disposizioni costituzionali e i vincoli finanziari che regolano l’accesso nelle pubbliche amministrazioni. Il tirocinante dovrà, pertanto, fornire relazioni periodiche all’Ateneo promotore sull’attività in corso di svolgimento ed elaborare una relazione a conclusione del periodo formativo, da consegnare all’Amministrazione ospitante. E’ inoltre tenuto a segnalare al tutor didattico-organizzativo ogni eventuale sospensione od inconveniente imputabile a sé o all’amministrazione ospitante. 7. Diritti delle parti E’ il caso di sottolineare, ulteriormente, che la convenzione fra soggetto promotore e soggetto ospitante viene stipulata nell’esclusivo interesse del tirocinante che è soggetto terzo rispetto all’atto. Con tale atto i primi due si obbligano a garantire a quest’ultimo la formazione puntualmente individuata nel progetto di formazione allegato alla convenzione. Ciò comporta che le parti potranno recedere dalla convenzione solo per gravi motivi, quali un comportamento del tirocinante tale da far venir meno le finalità del progetto formativo, oppure nel caso in cui l’amministrazione non rispetti i contenuti del progetto formativo o non consenta l’effettivo svolgimento dell’esperienza formativa del tirocinante. Per quanto riguarda quest’ultimo si può ritenere che il medesimo possa invece interrompere il tirocinio in quanto il progetto è costituito nel suo interesse. Il tirocinio si considera sospeso, e non interrotto, nei periodi di svolgimento del servizio militare o civile, e nei periodi di astensione obbligatoria per maternità, secondo la previsione contenuta nell’articolo 7 del DM n. 142 del 1998. Le eventuali proroghe sono ammesse entro i limiti massimi indicati nel medesimo articolo. Rimborsi Con l’occasione si ricorda che l’art. 18, comma 1, lett. g, della L. 196/97 ha previsto la possibilità di ammettere al rimborso, totale o parziale, degli oneri finanziari, ivi comprese le spese sostenute per il vitto e l’alloggio dei giovani tirocinanti, connessi all’attuazione di progetti di tirocini formativi e di orientamento a favore di giovani del Mezzogiorno presso imprese di regioni del Centro e del Nord, da effettuarsi nei limiti delle risorse finanziarie preordinate allo scopo nell’ambito del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1 del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, come convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. L’articolo 26, comma 6, della legge n. 196 del 1997, relativo agli interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno, ha demandato ad un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale la fissazione delle modalità e dei criteri per il rimborso degli oneri sostenuti a titolo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro sostenuti dai datori di lavoro che abbiano attivato tirocini di orientamento o formativi ai sensi di disposizioni di legge vigenti. Anche tale rimborso grava sul Fondo per l’occupazione. Le amministrazioni verificheranno con le Regioni la possibilità di avvalersi delle disponibilità di tale Fondo. Per quanto concerne la possibilità che i datori di lavoro siano ammessi al rimborso totale o parziale degli oneri finanziari connessi all’attuazione dei progetti di tirocinio, si richiama quanto disposto nel 157 citato DM n. 142 del 1998 all’articolo 9 il quale lo prevede per quei progetti avviati a favore di giovani del mezzogiorno presso imprese di regioni del centro e del nord e comprensivi anche delle spese sostenute per il vitto e per l’alloggio e lo pone a carico del Fondo per l’occupazione, istituito dall’articolo 1 del decreto legge n. 148 del 1993. I rimborsi sono previsti prioritariamente per i progetti definiti all’interno di programmi quadro predisposti dalle regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Le modalità di rimborso sono indicati nel decreto direttoriale 22 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001. Finalità per le pubbliche amministrazioni E', infine, il caso, in questa sede, di evidenziare l’opportunità che si offre alla pubblica amministrazione di impegnarsi fattivamente nella formazione culturale e professionale dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro, sia nella previsione di un inserimento nel settore del lavoro pubblico che in quei settori del lavoro privato che con la pubblica amministrazione interagiscono. In particolare attraverso l’utilizzo dei tirocini formativi l’amministrazione concorre alla formazione del capitale umano cui attingere, contribuendo anche ad orientare i giovani universitari in quegli ambiti della pubblica amministrazione che offrono maggiori prospettive ed opportunità di impiego, a tal fine rafforzando la collaborazione con le istituzioni universitarie, pubbliche e private ed in generale con il mondo della formazione e della ricerca. Si ricorda quindi come tale opera di orientamento potrà consentire di sviluppare percorsi di istruzione e formazione orientati, in particolare, alle nuove necessità delle amministrazioni pubbliche, quali, ad esempio, l’innovazione tecnologica, l’attività decisionale, la valutazione dei risultati, la qualità dei processi, la semplificazione delle procedure, così come indicato dai programmi e dalle disposizioni vigenti. Roma, 1 agosto 2005. Il ministro per la Funzione pubblica Mario Baccini 158 GIURISPRUDENZA Indice Pag. Corte di giustizia europea Sezione II 12/05/2005 163 " 7/07/2005 168 Sentenza n. 1/2005 178 Sentenza n. " " Corte costituzionale " ". 159/2005 181 " " 172/2005 185 " " 190/2005 189 Ordinanza n. 216/2005 193 Sentenza n. 274/2005 197 " 322/2005 200 Sentenza n. 6635/2005 206 " 6745/2005 208 Sentenza n. 1745/2005 210 " Corte suprema di cassazione Sezioni unite civili " " Consiglio di Stato Sezione IV " " " 1770/2005 213 " " " 2112/2005 219 " " " 2872/2005 221 " " " 2998/2005 223 Ordinanza n. 201/2005 225 " 352/2005 232 Sentenza n. 1/2005 235 C.G.A. Sicilia Sezione giurisdizionale " " Corte dei conti Sezioni riunite Sezione giurisdizionale Abruzzo " " 393/2005 243 Sezione giurisdizionale Liguria " " 704/2005 248 Sezione giurisdizionale Sicilia " " 1258/05 254 161 TAR Abruzzo (PE) Sentenza n. Campania (NA, sez. IV) " (SA, sez. I) Lazio (RM, sez. II) 190/2005 260 " " 3780/2005 268 " " 760/2005 278 Sentenza n. 3047/2005 281 Sardegna (CA, sez. I) " " 1170/2005 283 Sicilia (PA, sez. I) " " 560/2005 286 Toscana (FI, sez. II) " " 2137/2005 288 162 CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA Sezione II Presidente e relatore: Timmermans Sentenza 12 maggio 2005 (causa C-278/03) (Esperienza professionale e cittadini comunitari) Ricorrente Commissione delle Comunità europee - Oggetto: «Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei lavoratori – Concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana – Omessa o insufficiente presa in considerazione dell’esperienza professionale acquisita in altri Stati membri – Articolo 39CE – Articolo 3 del regolamento (CEE) n.1612/68». 1. Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che la Repubblica italiana, non tenendo conto dell’esperienza professionale acquisita da cittadini comunitari nella funzione pubblica di un altro Stato membro ai fini della partecipazione dei detti cittadini a concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 39Ce e 3 del regolamento (Cee) del Consiglio 15 ottobre 1968, n.1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GUL257, pag. 2). Ambito normativo La normativa comunitaria 2. Ai sensi dell’articolo 39, n.1, CE, «la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata». Essa implica, in base al n. 2 dello stesso articolo, «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro». 3. L’articolo 3 del regolamento n. 1612/68 esplicita i principi stabiliti dall’articolo 39Ce per quanto riguarda, più in particolare, l’accesso all’impiego. Pertanto, ai sensi del n. 1 di questa disposizione, non sono applicabili, nell’ambito del detto regolamento, «le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro: – che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l’offerta di impiego, l’accesso all’impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri; – o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall’impiego offerto». La normativa nazionale 4. Nella sua versione applicabile ai fatti della presente causa, l’articolo 37 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Supplemento ordinario alla GURI n. 30 del 6 febbraio 1993; in prosieguo: il «decreto legislativo n.29/1993»), stabiliva: «1. I cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale. 2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1. 3 Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su 163 proposta dei ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina». La fase precontenziosa del procedimento ed il ricorso 5. Avendo avuto conoscenza dei problemi incontrati da diversi cittadini comunitari nell’ambito della loro partecipazione ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, problemi derivanti essenzialmente dalla mancata presa in considerazione, da parte delle autorità italiane, dell’esperienza professionale acquisita precedentemente da tali cittadini in altri Stati membri, la Commissione, in data 24 novembre 1999, ha inviato alla Repubblica italiana una lettera nella quale invitava quest’ultima a presentare le sue osservazioni relative a tale situazione e ad informarla sia sulle norme vigenti in materia sia sul modo in cui essa intendeva in concreto risolvere i detti problemi. 6. In un primo tempo, le autorità italiane hanno negato qualsiasi obbligo di prendere in considerazione l’esperienza acquisita dai cittadini comunitari al di fuori dell’Italia. Con lettera 28 marzo 2000 del Ministero della Pubblica istruzione, tali autorità hanno infatti sostenuto che, in considerazione delle regole e delle caratteristiche proprie di ciascun sistema scolastico nazionale, era obbligatorio che la detta esperienza fosse acquisita presso istituti rientranti nel sistema scolastico italiano. Una previa armonizzazione dei criteri applicabili in ciascuno Stato membro sarebbe quindi indispensabile affinché le attività di insegnamento prestate da cittadini comunitari in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana possano essere prese in considerazione ai fini della partecipazione di questi cittadini a concorsi per l’assunzione nel servizio pubblico italiano. 7. In seguito all’invio, in data 6 aprile 2001, di una lettera di diffida con cui si richiamava l’attenzione delle autorità italiane sugli obblighi derivanti dagli articoli 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68, come interpretati dalla Corte, in particolare nella sentenza 23 febbraio 1994, causa C-419/92, Scholz (Racc. pag. I-505), il governo italiano ha ammesso che la posizione adottata, nel caso di specie, dal Ministero della Pubblica istruzione appariva in contrasto con le disposizioni della normativa nazionale, le quali contemplerebbero, all’articolo 37 del decreto legislativo n. 29/1993, l’obbligo di prendere in considerazione le qualificazioni e l’esperienza acquisite nel servizio pubblico di altri Stati membri. Lo stesso governo ha aggiunto tuttavia che il riconoscimento dell’esperienza e dell’anzianità di servizio maturata dai cittadini comunitari al di fuori del territorio nazionale continuava a porre un certo numero di difficoltà a causa della mancata attuazione, da parte di tale Ministero, della procedura prevista dall’articolo 37, n. 3, del detto decreto legislativo. Secondo il governo italiano, la mancata trasmissione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dei documenti necessari per l’adozione del decreto che stabilisce l’equivalenza tra diplomi, titoli e qualificazioni acquisiti negli altri Stati membri costituisce, innegabilmente, una violazione degli obblighi incombenti al Ministero della Pubblica istruzione, ma tale violazione comporterebbe tuttavia unicamente una violazione del diritto interno, in quanto la normativa nazionale è di per sé compatibile con il diritto comunitario. 8. In tale contesto, ritenendo che l’inadempimento persistesse poiché non erano stati adottati tutti i provvedimenti al fine di rendere effettivo l’obbligo delle autorità italiane di prendere in considerazione l’esperienza e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nelle attività di insegnamento svolte al di fuori dell’Italia, la Commissione, in data 26 giugno 2002, ha emesso un parere motivato con cui invitava la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarvisi entro due mesi a decorrere dalla sua notifica. Non avendo ottenuto alcuna risposta a tale parere, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso. Sul ricorso Argomenti delle parti 9. Nel controricorso, il governo italiano contesta la fondatezza dell’inadempimento addebitato. Facendo riferimento, in particolare, all’articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 164 (Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 9 maggio 2001) – il quale corrisponde, in sostanza, all’articolo 37 del decreto legislativo n. 29/1993 – nonché al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 febbraio 1994, n. 174, relativo al «Regolamento recante le norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche» (GURI n. 61 del 15 marzo 1994), tale governo sostiene che sia la normativa sia la prassi delle autorità italiane sarebbero conformi ai requisiti comunitari. 10. Per quanto riguarda, più in particolare, il settore dell’insegnamento, lo stesso governo fa presente che l’assunzione degli insegnanti avviene, in Italia, in base a tre distinte modalità, ossia, per il 50% dei posti disponibili in ogni anno scolastico, mediante concorso per titoli ed esami, ai sensi dell’articolo 400 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.297, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (Supplemento ordinario alla GURI n. 115, del 19 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 297/1994»), e, per il residuo 50%, mediante graduatorie permanenti di cui all’articolo 401 del medesimo decreto legislativo; apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, contenenti i nomi degli insegnanti abilitati ad effettuare sostituzioni, vengono infine utilizzate per coprire i posti disponibili temporaneamente vacanti. 11. Secondo il governo italiano, non è stata operata alcuna discriminazione tra i cittadini italiani e quelli degli altri Stati membri per quanto riguarda la prima e la terza modalità di assunzione del personale docente poiché, nel primo caso, ossia quello del concorso per titoli ed esami, l’esperienza professionale non svolgerebbe alcun ruolo nell’ambito del procedimento di assunzione mentre, nel terzo caso, relativo alle ipotesi di sostituzione o di supplenza, il decreto ministeriale 25 maggio 2000, n.201, relativo al «Regolamento recante le norme sulle modalità di conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo ai sensi dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n.124» (GURI n.168 del 20 luglio 2000; in prosieguo: il «decreto n. 201/2000»), contemplerebbe esplicitamente l’attribuzione di un certo punteggio corrispondente alle attività di insegnamento svolte nelle scuole o negli istituti universitari degli altri Stati membri. Il governo italiano fa riferimento in particolare, a tal riguardo, all’allegato A di questo decreto il quale, al punto E, nota 9, equiparerebbe tali attività a servizi di terza fascia, che danno diritto, in Italia, all’attribuzione di un punteggio di 0,50 per ogni mese di insegnamento svolto in un altro Stato membro, fino ad un massimo di tre punti per anno. 12. Per quanto riguarda invece la seconda modalità di assunzione del personale docente in Italia, ossia l’assunzione operata mediante graduatorie permanenti, il governo italiano non nega che esiste una disparità di trattamento a seconda che le attività d’insegnamento di cui trattasi siano state svolte in Italia o in altri Stati membri. Secondo questo governo, una tale disparità è tuttavia giustificata in quanto l’insegnamento svolto all’estero avverrebbe sulla base di ordinamenti, programmi e contenuti diversi da quelli previsti in Italia e quindi sarebbe sprovvisto del requisito di «specificità» voluto dalla legge, il quale dà diritto, conformemente al decreto ministeriale 27 marzo 2000, n. 123, relativo al «Regolamento recante le norme sulle modalità di integrazione e aggiornamento delle graduatorie permanenti previste dagli articoli 1, 2, 6 e 11, comma 9, della legge 3 maggio 1999, n. 124» (GURI n. 113 del 17 maggio 2000; in prosieguo: il «decreto ministeriale n. 123/2000»), all’attribuzione di un punteggio supplementare nell’ambito del procedimento di assunzione. Giudizio della Corte 13. In via preliminare, occorre respingere subito l’argomento del governo italiano secondo cui nessuna violazione del diritto comunitario può essere addebitata alla Repubblica italiana in quanto la sua normativa è conforme a tale diritto e l’inadempimento deriva, nella fattispecie, da una semplice prassi adottata dalle autorità competenti o dal ritardo di queste ultime nell’adozione dei provvedimenti necessari per il riconoscimento dell’esperienza acquisita dai cittadini comunitari in attività di insegnamento esercitate al di fuori del territorio nazionale. Infatti, un inadempimento può derivare dall’esistenza di una prassi amministrativa che viola il diritto comunitario, anche se la normativa nazionale vigente è, di per sé, compatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenza 26 giugno 2001, causa C-212/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4923, punto 31). 165 14. Per quanto riguarda poi la materialità dell’infrazione addebitata, relativa alla violazione degli articoli 39 CE e 3 del regolamento n.1612/68, occorre ricordare che, secondo il primo di questi due articoli come interpretato dalla Corte, qualora un ente pubblico di uno Stato membro, assumendo personale per posti che non rientrano nella sfera di applicazione dell’articolo 39, n. 4, CE, stabilisca di tener conto delle attività lavorative anteriormente svolte dai candidati presso una pubblica amministrazione, tale ente non può, nei confronti dei cittadini comunitari, operare alcuna distinzione a seconda che tali attività siano state esercitate presso la pubblica amministrazione dello stesso Stato membro o presso quella di un altro Stato membro (v., in particolare, sentenza Scholz, cit., punto 12). 15. Per quanto riguarda l’articolo 3 del regolamento n.1612/68, occorre ricordare che esso esplicita i diritti enunciati all’articolo 39CE per quanto riguarda, in particolare, l’accesso all’impiego e deve pertanto essere interpretato allo stesso modo dell’articolo 39 CE. 16. Orbene, nel caso di specie, non si può negare che questi diritti vengono violati dalla Repubblica italiana per quanto riguarda l’accesso dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica di tale Stato membro. 17. Per quanto riguarda, infatti, l’assunzione di personale docente effettuata sulla base di graduatorie permanenti le quali, come è stato rilevato al punto 10 della presente sentenza, riguardano la metà dei posti disponibili per anno scolastico, il governo italiano, nel controricorso, ha riconosciuto che ai cittadini comunitari veniva applicato un trattamento diverso a seconda che l’esperienza professionale presa in considerazione ai fini dell’iscrizione in tali graduatorie fosse stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri, giustificando tale disparità con l’assenza di equivalenza tra i contenuti e i programmi dell’insegnamento italiano e quelli dell’insegnamento svolto al di fuori dell’Italia. 18. Orbene, dalla giurisprudenza menzionata al punto 14 della presente sentenza risulta che un rifiuto assoluto di prendere in considerazione l’esperienza acquisita grazie ad attività d’insegnamento svolte in altri Stati membri, il quale sarebbe basato sull’esistenza di differenze tra i programmi d’insegnamento di detti Stati non può essere giustificato. Infatti, non si può negare che un’esperienza d’insegnamento specifica quale quella richiesta dalla normativa italiana, in particolare nel settore dell’insegnamento artistico o nell’insegnamento prestato ai portatori di handicap, può essere acquisita anche in altri Stati membri. 19. Per quanto riguarda la terza modalità di assunzione, richiamata al punto 10 della presente sentenza, relativa all’assunzione operata sulla base di apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, nemmeno essa sembra garantire pienamente la parità di trattamento richiesta dagli articoli 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68. Infatti, dall’analisi delle disposizioni comunicate dal governo italiano nel corso del presente procedimento emerge un diverso grado di valutazione dell’esperienza professionale a seconda che questa sia stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri. 20. Come la Commissione ha rilevato nella replica, risulta infatti dal decreto ministeriale n. 201/2000, e più in particolare dal suo allegato A, punto E, nota 9, che i servizi forniti in scuole o istituti universitari degli altri Stati membri sono sempre valutati come servizi della terza fascia del detto punto E, relativa alle «altre attività di insegnamento», le quali danno diritto all’attribuzione di mezzo punto per mese di insegnamento prestato, con un massimo di tre punti per ciascun anno scolastico. La lettura dello stesso decreto rileva tuttavia anche che solo le attività d’insegnamento svolte in istituzioni convittuali o in scuole materne, elementari, secondarie o artistiche della Repubblica italiana – siano esse pubbliche o private, ma riconosciute o sovvenzionate dallo Stato italiano – vengono fatte rientrare nelle prime due fasce dello stesso punto E, che riguardano, rispettivamente, il servizio «specifico» o «non specifico» di insegnamento, che danno in particolare diritto, il primo, all’attribuzione di due punti per ogni mese di insegnamento fino ad un massimo di dodici punti per ciascun anno scolastico e, il secondo, ad un punto per ogni mese di insegnamento fino ad un massimo di sei punti per ciascun anno scolastico. 21. In tale contesto, si deve constatare che, anche se l’esperienza professionale acquisita da cittadini comunitari fuori del territorio nazionale viene presa in considerazione nell’ambito 166 dell’assunzione operata sulla base delle graduatorie per il conferimento di supplenze, essa non viene sempre valutata allo stesso modo di un’esperienza analoga acquisita nel territorio nazionale, senza che il governo italiano abbia fornito a tal riguardo la minima giustificazione. 22. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre quindi constatare che la Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione di cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli articoli 39 CE e 3, n. 1, del regolamento n. 1612/68. Sulle spese 23. Ai sensi dell’articolo 69, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, che è rimasta soccombente, quest’ultima dev’essere condannata alle spese. P.Q.M. la Corte (seconda sezione) dichiara e statuisce: 1) La repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli articoli 39 CE e 3, n. 1, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità. 2) La repubblica italiana è condannata alle spese. 167 CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA LUXEMBOURG Sentenza 7 luglio 2005, seconda sezione, (Inadempimento di uno Stato – Articoli 12 CE, 149 CE e 150 CE – Condizioni d’accesso agli studi universitari – Discriminazione), nella causa C-147/03, avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 31 marzo 2003, dalla Commissione delle comunità europee, ricorrente, rappresentata dai sigg. W. Bogensberger e D. Martin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, sostenuta dalla repubblica di Finlandia, interveniente, rappresentata dalle sig.re Guimaraes-Purokoski e T. Pynnä, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, A. contro la repubblica d’Austria, convenuta, rappresentata dai sigg. H. Dossi e E. Riedl, in qualità di agenti, nonché dai sigg. C. Ruhs e H. Kasparovsky, in qualita di consulenti, con domicilio eletto in Lussemburgo. LA CORTE (seconda sezione), composta dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, presidente della quinta sezione facente funzione di presidente della seconda sezione, sig. J. Makarczyk, giudice relatore, sigg. C. Gulmann, P. Kūris e J. Klučka, giudici, sig. F. G. Jacobs, avvocato generale, cancelliere, sig.ra M.F. Contet, amministratore principale, vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 25 novembre 2004, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 20 gennaio 2005, ha pronunciato la seguente SENTENZA Con il presente ricorso la Commissione delle comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la repubblica d’Austria, non avendo adottato i provvedimenti necessari a garantire che i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in altri Stati membri possano accedere agli studi superiori e universitari che essa organizza alle stesse condizioni dei titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in Austria, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 12 CE, 149 CE e 150 CE. 168 Contesto normativo La normativa comunitaria L’art. 3, n. 1, CE così dispone: «Ai fini enunciati all’articolo 2, l’azione della comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato: (…) q). un contributo ad un’istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri». Ai sensi dell’art. 12, primo comma, CE: «Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità». L’art. 149 CE prevede quanto segue: «1. La comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche. 2. L’azione della comunità è intesa: (...) a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio, (...) 3. La comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di istruzione, in particolare con il Consiglio d’Europa. (...)». Infine, a termini dell’art. 150 CE: «1. La comunità attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi per quanto riguarda il contenuto e l’organizzazione della formazione professionale. 2. L’azione della comunità è intesa: (...) a facilitare l’accesso alla formazione professionale ed a favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani (…)». La normativa nazionale L’art. 36 della legge sugli studi universitari (Universitäts-Studiengesetz, in prosieguo: l’«UniStG»), intitolato «diploma speciale di maturità per accedere agli studi universitari» (Besondere Universitätsreife), così dispone: «1). Oltre ad essere in possesso di un diploma generale di maturità, gli studenti devono dimostrare di soddisfare le specifiche condizioni che consentono l’accesso diretto al corso di studi universitari prescelto stabilite dallo Stato che ha rilasciato il diploma. 2). Laddove il diploma di maturità sia stato conseguito in Austria, si tratta del superamento degli esami supplementari il cui superamento è prescritto al fine di poter accedere allo specifico corso di studi universitari ai sensi della Universitätsberechtigungsverordnung (Regolamento di accesso allo studio universitario). 3). Laddove il corso di studi prescelto dallo studente in Austria non sia previsto nello Stato che ha rilasciato il diploma, questi dovrà soddisfare le condizioni d’ammissione previste in tale Stato per l’accesso ad un corso di studi il più possibile simile a quello prescelto in Austria. 4). Il ministro federale ha facoltà di emanare regolamenti atti a designare gruppi di persone i cui diplomi di maturità, per via dello stretto legame con l’Austria, o delle attività da questi svolte per la repubblica austriaca, saranno da considerarsi equiparati, sotto il profilo del possesso degli specifici requisiti per l’accesso all’istruzione universitaria, ai diplomi di maturità rilasciati in Austria. 169 5). In base al certificato prodotto a dimostrazione del possesso di un diploma di maturità generale, il rettore dell’università determina se lo studente soddisfi i requisiti specifici richiesti per l’accesso al corso di studi prescelto». Procedimento precontenzioso Il 9 novembre 1999 la Commissione ha indirizzato alla repubblica d’Austria una lettera di diffida nella quale sosteneva che l’art. 36 dell’UniStG è in contrasto con gli 12 CE, 149 CE e 150 CE e invitava pertanto la repubblica d’Austria a presentarle osservazioni entro il termine di due mesi. Con lettera 3 gennaio 2000, la repubblica d’Austria ha risposto alla diffida. Il 29 gennaio 2001, la Commissione ha notificato alle autorità austriache una diffida complementare, cui esse hanno risposto con lettera 3 aprile 2001. La Commissione, non reputandosi soddisfatta delle risposte presentate dalla repubblica d’Austria, il 17 gennaio 2002 ha inviato a quest’ultima un parere motivato, invitandola ad adottare, entro due mesi dalla notifica, i provvedimenti necessari a garantire che i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti negli altri Stati membri possano accedere agli studi superiori o universitari austriaci alle stesse condizioni dei titolari dei diplomi d’istruzione secondaria ottenuti in Austria. Poiché la risposta inviata dal governo austriaco il 22 marzo 2002 non è stata ritenuta soddisfacente dalla Commissione, quest’ultima ha proposto il presente ricorso. Con ordinanza del presidente della Corte 17 settembre 2003, la repubblica di Finlandia è stata ammessa ad intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione. Sulla domanda di riapertura della fase orale Con istanza 8 febbraio 2005, pervenuta alla cancelleria della Corte il 15 febbraio 2005, la repubblica d’Austria ha chiesto la riapertura della fase orale del procedimento. Essa fonda la propria domanda su informazioni di stampa successive all’udienza. Stando a tali informazioni, cinque Länder tedeschi intenderebbero introdurre, a partire dall’inverno 2005-2006, diritti di iscrizione pari a EUR 500. L’introduzione di tali diritti d’iscrizione comporterebbe un ostacolo all’effetto regolatore dell’accesso agli studi superiori austriaci. Peraltro, la riaperture della fase orale consentirebbe alla repubblica d’Austria di discutere le conclusioni dell’avvocato generale. In proposito, è sufficiente ricordare che lo Statuto della Corte e il suo regolamento di procedura non prevedono, per le parti, la possibilità di depositare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (v., in particolare, ordinanza 4 febbraio 2000, causa C-17/98, Emesa Sugar, Racc. pag. I-665, punto 2). Per quanto riguarda l’altro motivo dedotto dalla repubblica d’Austria ai fini della riapertura della fase orale, occorre ricordare che la Corte può, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, o anche su domanda delle parti, ordinare la riapertura della fase orale, ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento di procedura, se ritiene che siano necessari ulteriori chiarimenti o che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non è stato dibattuto tra le parti (v., in particolare, sentenze 13 novembre 2003, causa C-209/01, Schilling e Fleck-Schilling, Racc. pag. I-13389, punto 19, e 17 giugno 2004, causa C-30/02, Recheio – Cash & Carry, Racc. pag. I-6051, punto 12). Poiché la presente fattispecie non è riconducibile ad alcuna di queste due ipotesi, la Corte ritiene che non occorra disporre la riapertura della fase orale. 170 Sulla ricevibilità Argomenti delle parti La repubblica d’Austria conclude nel senso dell’irricevibilità del ricorso, affermando che la Commissione ha modificato l’oggetto del procedimento tra la fase precontenziosa e il presente ricorso. In tal senso, la Commissione avrebbe sostenuto, nel ricorso, che il procedimento non riguarda il riconoscimento accademico dei diplomi d’istruzione secondaria quale effettuato dalle autorità austriache, mentre, nel parere motivato, essa avrebbe indicato quale oggetto del procedimento «la questione della conformità al diritto comunitario della normativa austriaca che disciplina il riconoscimento accademico dei diplomi ottenuti in altri Stati membri e l’accesso dei loro titolari agli studi superiori». In subordine, la repubblica d’Austria conclude per l’irricevibilità del motivo attinente al potere regolamentare conferito alle autorità austriache dall’art. 36, n. 4, dell’UniStG, in quanto la Commissione svilupperebbe un argomento in proposito per la prima volta nell’atto introduttivo del ricorso. La Commissione risponde sostenendo che l’oggetto del procedimento avviato nei confronti della repubblica d’Austria è rimasto identico tra la fase precontenziosa e quella del presente ricorso. In particolare, sottolinea che, nella lettera di diffida complementare indirizzata alla repubblica d’Austria, essa aveva affermato che oggetto del procedimento era soltanto la compatibilità della normativa austriaca con il Trattato CE per quanto riguarda l’accesso agli studi superiori da parte dei titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti negli altri Stati membri, restando esclusa la questione del riconoscimento accademico dei diplomi. Per quanto riguarda l’art. 36, n. 4, dell’UniStG, la Commissione sottolinea che non intendeva sollevare una nuova censura. Essa si prefiggeva unicamente di attirare l’attenzione della Corte sul fatto che tale norma, che istituiva una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri, ha sostituito una disposizione simile che creava una discriminazione diretta fondata sulla cittadinanza. Ciò facendo, la Commissione non avrebbe sollevato una nuova contestazione, bensì soltanto illustrato il fatto che, sebbene essa accetti l’argomento della repubblica d’Austria secondo cui l’art. 36 dell’UniStG non creerebbe una discriminazione diretta, esso costituirebbe comunque una discriminazione dissimulata. Giudizio della Corte Come risulta da una giurisprudenza costante, il procedimento precontenzioso ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (v., in particolare, sentenze 10 maggio 2001, causa C-152/98, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3463, punto 23; 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, Raccc. pag. I-305, punto 10, e 27 novembre 2003, causa C-185/00, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I-14189, punto 79). Ne consegue che la lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro e, poi, il parere motivato della Commissione delimitano la materia del contendere, che quindi non può più venir ampliata. Di conseguenza, il parere motivato e il ricorso devono vertere sugli stessi addebiti (v., in particolare, sentenze 29 settembre 1998, causa C-191/95, Commissione/Germania, Racc. pag. I-5449, punto 55; 11 luglio 2002, causa C-139/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6407, punto 18, e Commissione/Finlandia, cit., punto 80). Tuttavia, ciò non significa che debba sussistere in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione degli addebiti nella lettera di diffida, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, purché l’oggetto della controversia, come definito nel parer motivato, non sia stato ampliato o modificato (v., in particolare, sentenze citate Commissione/Germania, punto 56; Commissione/Spagna, punto 19 e Commissione/Finlandia, punto 81). 171 Occorre rilevare che, nella fattispecie, la Commissione non ha modificato l’oggetto della lite tra la fase precontenziosa e quella contenziosa. Nel ricorso, infatti, la Commissione ha formulato addebiti e dedotto motivi identici a quelli menzionati nelle due lettere di diffida e nel parere motivato. Pertanto, la repubblica d’Austria era debitamente informata della natura della violazione di diritto comunitario invocata dalla Commissione, nonché, in particolare, della natura indirettamente discriminatoria della disposizione nazionale in questione, che riguardava dunque le condizioni d’accesso al sistema austriaco di accesso agli studi superiori e universitari per gli studenti titolari di diplomi d’istruzione secondaria di altri Stati membri. Quanto alla censura vertente sull’art. 36, n. 4, dell’UniStG, la Commissione ha chiaramente indicato di averlo menzionato soltanto per illustrare il fatto che tale paragrafo aveva sostituito una norma simile che era direttamente discriminatoria. Non si tratta, pertanto, di un nuovo addebito. Ne consegue che la Commissione non ha modificato né ampliato l’oggetto della lite nell’atto introduttivo e che il ricorso è ricevibile. Nel merito Sull’ambito di applicazione del diritto comunitario Argomenti delle parti La Commissione ritiene che la discriminazione contenuta nell’art. 36 dell’UniStG riguardi unicamente le condizioni d’accesso agli studi superiori o universitari austriaci, questione che, a suo parere, rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato. Anche la repubblica di Finlandia ritiene, come la Commissione, che il ricorso verta unicamente sulle condizioni di ammissione agli studi superiori austriaci dei titolari di diplomi ottenuti in un altro Stato membro, lasciando impregiudicata la questione del riconoscimento accademico dei diplomi. La repubblica d’Austria sostiene che l’art. 36 dell’UniStG disciplina il riconoscimento dei diplomi d’istruzione secondaria al fine dell’accesso alle università austriache. Orbene, essa afferma che il riconoscimento accademico dei diplomi al fine di iniziare o proseguire studi superiori, o qualunque altra formazione, non rientra nell’ambito di applicazione del Trattato. Giudizio della Corte Ai sensi dell’art. 12, primo comma, CE, nel campo di applicazione del Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Come la Corte ha già dichiarato al punto 25 della sentenza 13 febbraio 1985, causa 293/83, Gravier (Racc. pag. 593), le condizioni di accesso alla formazione professionale rientrano nell’ambito di applicazione del Trattato (v. altresì sentenza 1° luglio 2004, causa C-65/03, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-6427, punto 25). Risulta inoltre dalla giurisprudenza che tanto gli studi superiori quanto gli studi universitari costituiscono una formazione professionale (v. sentenze 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, punti 15-20, e 27 settembre 1988, causa 42/87, Commissione/Belgio, Racc. pag. 5445, punti 7 e 8). Nella fattispecie, l’art. 36 dell’UniStG stabilisce le condizioni d’accesso agli studi superiori o universitari in Austria. Esso dispone, in proposito, che i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in altri Stati membri, oltre a dover rispondere ai requisiti generali d’accesso agli studi superiori o universitari, devono provare che ricorrono le condizioni specifiche per l’accesso al corso di studi prescelto, fissate dallo Stato di rilascio ditali diplomi e che consentano l’ammissione diretta a tali studi. 172 Ciò premesso, la disposizione controversa va esaminata alla luce del Trattato e, in particolare, sotto il profilo del principio di non discriminazione in ragione della nazionalità sancito dall’art. 12 CE. Sul motivo vertente su una violazione del diritto comunitario Argomenti delle parti La Commissione sostiene che il diritto alla parità di trattamento sancito dall’art. 12 CE include necessariamente, salvo essere privato di qualunque effetto utile, il diritto, per i titolari di diplomi conseguiti in un altro Stato membro – una volta che il loro diploma sia stato giudicato equivalente – di non essere assoggettati a condizioni non imposte agli studenti che abbiano conseguito il loro diploma in Austria al fine di accedere ad uno stesso corso di studi superiori o universitari austriaco. Orbene, ai sensi dell’art. 36 dell’UniStG, l’accesso dei titolari di diplomi conseguiti in un altro Stato membro a determinati corsi di studi superiori o universitari austriaci sarebbe subordinato a una condizione cui non soggiacciono i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in Austria. La Commissione afferma che tale condizione costituisce una discriminazione indiretta in quanto, sebbene i cittadini austriaci che abbiano conseguito un diploma in un altro Stato membro siano anch’essi soggetti alla medesima condizione, essa inciderebbe più sui cittadini degli altri Stati membri che non sui cittadini austriaci. La repubblica di Finlandia ritiene, alla stregua della Commissione, che la condizione imposta dall’art. 36 dell’UniStG, la quale non riguarderebbe i titolari di diplomi austriaci d’istruzione secondaria, sia in contrasto con il diritto comunitario, in particolare con l’art. 12 CE. La repubblica d’Austria contesta l’analisi della Commissione secondo la quale l’accesso agli studi superiori sarebbe subordinato, in Austria, ad un procedimento in due fasi, costituito, in un primo tempo, dal riconoscimento, su base paritaria, dei diplomi d’istruzione secondaria e, in un secondo tempo, dalla verifica della sussistenza di altre condizioni. L’ammissione alle università austriache sarebbe, in realtà, subordinata alla prova della maturità generale nonché della maturità specifica per gli studi universitari, e non sarebbe imposta alcun’altra condizione oltre al riconoscimento accademico della qualifica che dà accesso agli studi universitari. Giudizio della Corte Secondo una costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conduca di fatto allo stesso risultato (v., in particolare, sentenze 12 febbraio 1974, causa 152/73, Sotgiu, Racc. pag. 153, punto 11; 1° luglio 2004, Commissione/Belgio, cit., punto 28, e 15 marzo 2005, causa C-209/03, Bidar, Racc. pag. I-0000, punto 51). Nella fattispecie, la normativa nazionale di cui trattasi dispone che gli studenti che abbiano conseguito il diploma d’istruzione secondaria in uno Stato membro diverso dalla repubblica d’Austria e che intendano intraprendere un determinato corso di studi superiori o universitari austriaco devono non soltanto produrre il detto diploma, ma altresì provare di possedere i requisiti d’accesso agli studi superiori o universitari nello Stato che ha rilasciato il loro diploma, quali , in particolare, il superamento di un esame di accesso o il conseguimento di un livello sufficiente per essere inclusi nel numerus clausus. Risulta così che l’art. 36 dell’UniStG introduce una disparità di trattamento non soltanto a svantaggio degli studenti che abbiano conseguito un diploma d’istruzione secondaria in uno Stato membro diverso dalla repubblica d’Austria, ma anche tra questi stessi studenti, a seconda dello Stato membro in cui hanno ottenuto il diploma d’istruzione secondaria. 173 Orbene, le facilitazioni concesse dal Trattato in materia di libera circolazione non dispiegano pienamente i propri effetti se una persona si trova penalizzata per il semplice fatto di esercitarle. Tale considerazione è particolarmente importante nel settore dell’istruzione, tenuto conto degli obiettivi perseguiti dall’art. 3, n. 1, lett. q), CE e dall’art. 149, n. 2, secondo trattino, CE, quelli cioè di favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti (v. sentenza 11 luglio 2002, causa C-224/98, D’Hoop, Racc. pag. I-6191, punti 30-32). La giurisprudenza ha peraltro dichiarato che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, che consente a chi tra essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico (sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I-6193, punto 31, e sentenza D’Hoop, cit., punto 28). Si deve pertanto constatare che la normativa di cui trattasi sfavorisce i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in uno Stato membro diverso dalla repubblica d’Austria, in quanto essi non possono accedere agli studi superiori austriaci alle stesse condizioni vigenti per i titolari dell’equivalente diploma austriaco. In tal senso, l’art. 36 dell’UniStG, sebbene applicabile indistintamente a tutti gli studenti, è tale da pregiudicare maggiormente i cittadini di altri Stati membri rispetto ai cittadini austriaci, cosicché la differenza di trattamento istituita da tale norma determina una discriminazione indiretta. Di conseguenza, la disparità di trattamento in parola può essere giustificata solo se basata su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito dal diritto nazionale (sentenze 24 novembre 1998, causa C-274/96, Bickel e Franz, Racc. pag. I-7637, punto 27, e D’Hoop, cit., punto 36). Sulla giustificazione di una discriminazione Argomenti delle parti Sulla giustificazione vertente sulla salvaguardia dell’omogeneità del sistema austriaco degli studi superiori o universitari La repubblica d’Austria afferma che la giustificazione di un trattamento diverso rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 12 CE non si limita ai motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di salute pubblica e che, secondo una giurisprudenza costante, vi sarebbe, nelle ipotesi di discriminazione indiretta, la possibilità di giustificare discriminazioni fondate sulla cittadinanza. In proposito la repubblica d’Austria si richiama alla salvaguardia dell’omogeneità del sistema di formazione austriaco. Fondandosi, per analogia, sulla giurisprudenza della Corte, essa afferma che, se non fossero presi in considerazione i diritti conferiti nel Paese d’origine, essa potrebbe aspettarsi che numerosi titolari di diplomi conseguiti negli Stati membri tentino di proseguire una formazione universitaria o studi superiori in Austria e che tale situazione genererebbe problemi di ordine strutturale, di personale e finanziari (v. sentenze 28 aprile 1998, causa C-158/96, Kohll, Racc. pag. I-1931, punto 41, e 12 luglio 2001, causa C-368/98, Vanbraekel e a., Racc. pag. I-5363, punto 47). A parere della Commissione, risulta dalla giurisprudenza della Corte, e in particolare dalle sentenze 15 ottobre 1969, causa 15/69, Ugliola (Racc. pag. 363) e 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson e Gustavsson (Racc. pag. I-3955), che una misura discriminatoria può giustificarsi unicamente sulla scorta dei motivi derogatori espressamente citati dal Trattato, vale a dire l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica. Orbene, nessun motivo di questo tipo sarebbe stato invocato dalla repubblica d’Austria. Inoltre, ammettere che la normativa austriaca possa essere giustificata da motivi diversi da quelli espressamente previsti dal Trattato equivarrebbe, secondo la Commissione, a destituire di ogni senso la nozione di discriminazione indiretta, quale emerge dalla citata sentenza Sotgiu, vale a dire una discriminazione che, ancorché fondata su un criterio apparentemente neutro, sfoci di fatto nel medesimo risultato di una discriminazione fondata sulla cittadinanza. 174 La Commissione osserva peraltro che, in ogni caso, l’art. 36 dell’UniStG viola il principio di proporzionalità. Sulla giustificazione vertente sulla prevenzione di un abuso del diritto comunitario La repubblica d’Austria rammenta che la Corte, nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors (Racc. pag. 399), e 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha (Racc. pag. I-3551), ha riconosciuto l’interesse legittimo che uno Stato può avere ad impedire che taluni suoi cittadini, avvalendosi delle facilitazioni create ai sensi del Trattato, si sottraggano abusivamente al vigore della propria normativa nazionale in materia di formazione professionale e che il diritto comunitario non consente di eludere la legislazione nazionale in materia di formazione professionale. La Commissione replica ricordando che la Corte, con sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829), ha dichiarato che l’esistenza di un comportamento abusivo o fraudolento dovrebbe essere oggetto di un esame individuale, caso per caso, e fondarsi su elementi obiettivi, e che il semplice fatto di esercitare il proprio diritto alla libera circolazione non può essere considerato costitutivo di un abuso (sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. pag. I-1459). Sulla giustificazione vertente sulle convenzioni internazionali La repubblica d’Austria afferma che l’art. 36 dell’UniStG è conforme alle convenzioni concluse nell’ambito del Consiglio d’Europa, nella fattispecie quelle dell’11 dicembre 1953, relativa all’equivalenza dei diplomi che danno accesso all’istruzione universitaria (Série des traités européens n. 15, in prosieguo la: «convenzione del 1953»), e quella dell’11 aprile 1997, sul riconoscimento delle qualifiche relative agli studi superiori nella regione europea (Série des traités européens n. 165; in prosieguo: la «convenzione del 1997»). La Commissione ricorda che, ai sensi dell’art. 307 CE, le disposizioni del Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente alla data di adesione di uno Stato membro, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra. Tuttavia, nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili con il Trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati dovrebbero ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Essa rammenta altresì la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale, se è vero che l’art. 307 CE consente agli Stati membri di rispettare obblighi derivanti da convenzioni internazionali anteriori al Trattato nei confronti di Paesi terzi, esso non li autorizza tuttavia a far valere diritti derivanti da tali convenzioni nei rapporti intracomunitari (sentenza 2 luglio 1996, causa C-473/93, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-3207, punto 40). Di conseguenza, secondo la Commissione, la repubblica d’Austria non può appellarsi alla convenzione del 1953. Quanto alla convenzione del 1997, neanch’essa potrebbe essere invocata, essendo stata conclusa dopo l’adesione della repubblica d’Austria. Giudizio della Corte Sulla giustificazione vertente sulla salvaguardia dell’omogeneità del sistema austriaco di studi superiori o universitari. Occorre ricordare, come rilevato al punto 47 della presente sentenza, che l’art. 36 dell’UniStG crea una discriminazione indiretta, in quanto può pregiudicare gli studenti di altri Stati membri in misura maggiore rispetto agli studenti austriaci. Risulta inoltre dal dibattimento dinanzi alla Corte che la normativa austriaca è intesa a restringere l’accesso alle università nazionali dei titolari di diplomi conseguiti in altri Stati membri. 175 Orbene, come rileva l’avvocato generale al paragrafo 52 delle conclusioni, un numero eccessivo di domande d’accesso a determinate formazioni può trovare una soluzione nell’adozione di provvedimenti non discriminatori specifici, quali la previsione di un esame di ammissione o i requisito di un punteggio minimo, risultando così salvaguardato l’art. 12 CE. Occorre inoltre rilevare che i rischi paventati dalla repubblica d’Austria non sono specifici del suo sistema di studi superiori o universitari, ma sono stati, e sono tuttora, sopportati anche da altri Stati membri. Tra questi Stati vi è il Regno del Belgio, che aveva istituito restrizioni simili, giudicate incompatibili con i dettami del diritto comunitario (v. sentenza 1° luglio 2004, Commissione/Belgio, cit.). Si deve aggiungere che spetta alle autorità nazionali che intendono avvalersi di una deroga al principio fondamentale di libera circolazione delle persone provare, in ciascun caso, che le loro normative sono necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito. Le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere corredate da un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura restrittiva adottata da tale Stato, nonché dagli elementi che consentono di suffragare il suo argomento (v., in tal senso, sentenze 13 novembre 2003, causa C-42/02, Lindman, Racc. pag. I-13519, punto 25, e 18 marzo 2004, causa C-8/02, Leichtle, Racc. pag. I-2641, punto 45). Nella fattispecie, la repubblica d’Austria si è limitata a sostenere in udienza che, nella facoltà di medicina, il numero di iscrizioni potrebbe giungere al quintuplo del numero di posti disponibili, il che minaccerebbe l’equilibrio finanziario del sistema di studi superiori austriaco e, di conseguenza, la sua stessa esistenza. Si deve sottolineare che alla Corte non è stata prodotta alcuna stima relativa ad altre facoltà e che la repubblica d’Austria ha riconosciuto di non disporre di altri dati in proposito. Peraltro, le autorità austriache hanno ammesso il carattere essenzialmente preventivo della disposizione nazionale di cui trattasi. Occorre pertanto constatare che la repubblica d’Austria non ha dimostrato che, in assenza dell’art. 36 dell’UniStG, l’esistenza del sistema d’istruzione austriaco in generale, e la salvaguardia dell’omogeneità degli studi superiori in particolare, sarebbero messe a repentaglio. Di conseguenza, la legislazione di cui trattasi non è compatibile con gli obiettivi del Trattato. Sulla giustificazione vertente sulla prevenzione di un abuso del diritto comunitario Il governo austriaco ha dedotto, in secondo luogo, una giustificazione vertente sulla necessità per gli Stati membri di prevenire un abuso del diritto comunitario, sottolineando l’interesse legittimo che uno Stato membro può avere ad impedire che, avvalendosi delle facilitazioni create in forza del Trattato, taluni dei suoi cittadini si sottraggano abusivamente al vigore della propria legislazione nazionale in materia di formazione professionale. Secondo la giurisprudenza, la sussistenza di un comportamento abusivo o fraudolento dev’essere oggetto di un esame individuale, caso per caso, e fondarsi su elementi obiettivi (v. sentenze Centros, cit., punti 24 e 25, nonché X e Y, punti 42 e 43). Giova altresì ricordare che l’art. 149, n. 2, secondo trattino, CE dispone espressamente che l’azione della comunità è intesa a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio. Inoltre, ai sensi dell’art. 150, n. 2, terzo trattino, CE, l’azione della comunità è intesa a facilitare l’accesso alla formazione professionale ed a favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani. Nella fattispecie, è sufficiente rilevare che la possibilità, per uno studente dell’Unione europea che abbia conseguito un diploma d’istruzione secondaria in uno Stato membro diverso dalla repubblica d’Austria, di accedere agli studi superiori o universitari austriaci alle stesse condizioni dei titolari di 176 diplomi conseguiti in Austria costituisce l’essenza stessa del principio della libera circolazione degli studenti garantito dal Trattato, e non può pertanto configurare di per sé un abuso di tale diritto. Sulla giustificazione vertente sulle convenzioni internazionali La repubblica d’Austria afferma, in terzo luogo, che l’art. 36 dell’UniStG è conforme alle convenzioni del 1953 e del 1997. Va rilevato in proposito che, ai sensi dell’art. 307 CE, le disposizioni del Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra. Tuttavia, e nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili col Trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati devono ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Per giurisprudenza costante, sebbene l’art. 307 CE consenta agli Stati membri di rispettare obblighi derivanti da convenzioni internazionali anteriori al Trattato nei confronti di Paesi terzi, esso non li autorizza tuttavia a far valere diritti derivanti da tali convenzioni nei rapporti intracomunitari (v., in particolare, sentenze Commissione/Lussemburgo, cit., punto 40, nonché sentenza 1° febbraio 2005, causa C-203/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I-0000, punti 57-59). Di conseguenza, la repubblica d’Austria non può addurre a giustificazione né la convenzione del 1953 né, a fortiori, quella del 1997, successiva all’adesione della repubblica d’Austria all’Unione. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare che la repubblica d’Austria, non avendo adottato i provvedimenti necessari per garantire che i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti negli altri Stati membri possano accedere agli studi superiori e universitari che essa organizza alle stesse condizioni dei titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in Austria, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 12 CE, 149 CE e 150 CE. Sulle spese Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la repubblica d’Austria, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese. Per questi motivi, la Corte (seconda sezione) dichiara e statuisce: la repubblica d’Austria, non avendo adottato i provvedimenti necessari per garantire che i titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti negli altri Stati membri possano accedere agli studi superiori ed universitari che essa organizza alle stesse condizioni dei titolari di diplomi d’istruzione secondaria conseguiti in Austria, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 12 CE, 149 CE e 150 CE. La repubblica d’Austria è condannata alle spese. 177 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Valerio ONIDA, presidente e Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la Ordinanza n. 1 del 2005 (Indennizzabilità infortunio in itinere) nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), aggiunto dall'art. 12 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza del 29 aprile 2003 dal Tribunale di Trento nel procedimento civile vertente tra M.P.L. ed altri contro l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), iscritta al n. 673 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2003. Visto l'atto di costituzione dell'INAIL; udito nell'udienza pubblica del 30 novembre 2004 il giudice relatore Franco Bile; udito l'avvocato Luigi La Peccerella per l'INAIL. Ritenuto - che il Tribunale di Trento – adito dai superstiti di un assicurato deceduto nel percorso dal luogo di lavoro a casa, interrotto solo per una breve sosta – ha dichiarato, con ordinanza del 29 aprile 2003, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), aggiunto dall'art. 12 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui esclude dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gli infortuni in itinere in ogni caso di interruzione non necessitata del normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro e non solo quando l'interruzione determini l'insorgenza di una situazione di rischio diversa da quella occasionata dallo svolgimento delle mansioni lavorative, così da comportare il venir meno dell'«occasione di lavoro» prevista dall'art. 2, primo comma, del citato d.P.R. n. 1124 del 1965; - che, secondo il giudice rimettente, la disposizione censurata violerebbe l'art. 3, primo comma, della Costituzione (in ragione dell'ingiustificato trattamento differenziato tra lavoratori infortunati in tali circostanze rispetto agli altri assicurati rimasti vittime di infortuni parimenti accaduti in occasione di lavoro), l'art. 38, secondo comma, Cost. (per la mancata previsione, in favore di lavoratori infortunati pur sempre in presenza di un'occasione di lavoro, di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita) e l'art. 76 Cost. (non avendo il legislatore delegato rispettato il principio ed il criterio direttivo 178 fissato dall'art. 55, comma 1, lettera u), della legge 17 maggio 1999, n. 144, recante la delega al Governo per il riordino, tra l'altro, della normativa che disciplina l'INAIL, secondo cui la specifica disposizione per la tutela dell'infortunio in itinere doveva essere formulata recependo «i principi giurisprudenziali consolidati in materia»); - che – osserva il giudice rimettente – la giurisprudenza aveva escluso l'indennizzabilità dell'infortunio solamente quando l'interruzione elettiva del percorso casa-lavoro (e viceversa) avesse avuto caratteri tali da determinare una situazione di rischio diversa da quella occasionata dallo svolgimento delle mansioni lavorative, mentre al contrario l'art. 2, terzo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 escluderebbe dalla tutela assicurativa gli infortuni in itinere in ogni caso di interruzione non necessitata del normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; - che, nella specie, la questione è rilevante atteso che l'assicurato si era fermato per non più di cinque minuti presso un esercizio di ristoro situato sul tragitto lavoro-casa senza deviazione alcuna e, ripreso il percorso verso la propria abitazione con la propria autovettura, era uscito di strada, rimanendo vittima di un incidente mortale; - che si è costituito l'INAIL chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o la manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità. Considerato - che il terzo comma dell'art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, quale introdotto dall'art. 12 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, in forza della delega di cui all'art. 55, comma 1, lettera u), della legge 17 maggio 1999, n. 144, nel definire i presupposti della fattispecie dell'infortunio in itinere, che costituisce «un prolungamento dell'assicurazione cui il lavoratore sia soggetto in ragione della natura o delle modalità delle mansioni dedotte nel contratto» (sentenza n. 429 del 1990), esclude dalla tutela assicurativa, quale eccezionale ipotesi di deroga al canone generale dell'indennizzabilità, il caso di interruzioni o deviazioni a condizione che esse non siano affatto dipendenti dal lavoro o che, comunque, non siano necessitate; - che, prima ancora di verificare la sussistenza di questa condizione negativa perché l'infortunio non sia indennizzabile, occorre che la soluzione di continuità nel tragitto compiuto dal lavoratore dalla propria abitazione al luogo di lavoro, e viceversa, abbia la connotazione e la consistenza di una vera e propria “interruzione”, per definire la quale occorre tener conto della giurisprudenza ordinaria, tanto più che il legislatore delegato (art. 55, comma 1, lettera u), della legge n. 144 del 1999, cit.) ha posto, come specifico criterio direttivo per disciplinare l'infortunio in itinere, proprio il recepimento dei princìpi giurisprudenziali consolidati in materia; - che l'esigenza del rispetto di tale criterio di delega (art. 76 della Costituzione) richiede di interpretare la disposizione censurata, posta dal legislatore delegato, in modo che sia in armonia con la giurisprudenza in materia, secondo la quale una breve sosta, che non alteri le condizioni di rischio per l'assicurato, non integra l'ipotesi dell'“interruzione”; - che questo orientamento giurisprudenziale, ben presente al giudice rimettente, vale ad indirizzare verso l'interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, come anche la difesa dell'Istituto non manca di rilevare, e non già, come ritiene il medesimo giudice, ad evidenziare un asserito, ma insussistente, scostamento dal criterio direttivo da parte della stessa disposizione ove letta – contraddittoriamente – in termini estensivi della fattispecie esclusa dall'indennizzabilità; - che l'interpretazione stretta dell'ipotesi dell'“interruzione” è suggerita anche dalla tendenziale generalità della regola dell'indennizzabilità dell'infortunio in occasione di lavoro, onde la prevista deroga ad essa non può che essere intesa restrittivamente; - che infatti questa Corte (sentenza n. 171 del 2002) ha in particolare affermato che «presupposto esclusivo per la configurabilità dell'obbligo assicurativo è l'esposizione al rischio», evidenziando «la tendenziale estensione della garanzia a tutti i soggetti che, per ragioni di lavoro intese in senso ampio, siano esposti ad un rischio obiettivamente riferibile alle lavorazioni protette»; - che quindi il giudice rimettente – affermando invece un'assoluta equiparazione tra breve sosta e interruzione – muove da un erroneo presupposto interpretativo; - che pertanto la questione è manifestamente infondata. 179 P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), aggiunto dall'art. 12 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 38, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Tribunale di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2005. 180 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Fernanda CONTRI, presidente, e Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la Sentenza n.159 del 2005 (Concorsi interni) nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della regione Calabria 5 dicembre 2003, n. 28 (Inquadramento degli ispettori fitosanitari), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 6 febbraio 2004, depositato in cancelleria il 12 successivo ed iscritto al n. 18 del registro ricorsi 2004. Visto l’atto di costituzione della regione Calabria; udito nell’udienza pubblica del 25 gennaio 2005 il giudice relatore Paolo Maddalena; uditi l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Benito Spanti per la regione Calabria. Ritenuto in fatto. 1. Con ricorso notificato in data 6 febbraio 2004 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento all’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della regione Calabria 5 dicembre 2003, n. 28 (Inquadramento degli ispettori fitosanitari). L’art. 1 della citata legge regionale prevede che il personale dipendente dall’assessorato all’agricoltura della regione Calabria, il quale alla data di entrata in vigore della legge svolga le mansioni di ispettore fitosanitario o ne abbia acquisito la qualifica con la partecipazione a corsi di formazione professionale espletati dalla stessa regione e svolga talune attività tecnico-ispettive specificamente elencate ovvero sia componente "essenziale ed indispensabile" di talune commissioni regionali, "può accedere, previo superamento di un concorso per esami e titoli, alla qualifica di funzionario – Categoria D3". Il medesimo articolo prevede, inoltre, al comma 2, secondo periodo, che "gli idonei al concorso, per titoli ed esami, presteranno servizio presso il Dipartimento Agricoltura, Caccia e Pesca". Il ricorrente sostiene che il predetto meccanismo concorsuale, nel consentire l’accesso alla qualifica superiore di "funzionario D3" a tutti gli idonei, e nell’essere ristretto al solo personale interno, violerebbe il principio costituzionale del pubblico concorso (art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione), come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte. In particolare la difesa erariale richiama le sentenze n. 218 del 2002, n. 373 del 2002 e n. 274 del 2003, nelle quali si è affermato che "l’accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a funzioni più elevate non sfugge, di norma, alla regola del pubblico concorso, cui è possibile apportare deroghe solo se particolari situazioni ne dimostrino la ragionevolezza" e che non sono ragionevoli "norme che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori (senza 181 concorso o comunque senza adeguate selezioni o verifiche attitudinali) o concorsi interni per la copertura della totalità dei posti vacanti". Il ricorrente chiede, pertanto, la declaratoria di incostituzionalità della legge regionale impugnata. 2. Si è costituita in giudizio la regione Calabria prospettando, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso e, nel merito, l’infondatezza dello stesso. Quanto all’eccezione di inammissibilità la resistente ritiene che il ricorso sia oltremodo generico. Nel merito la regione richiama la sentenza n. 34 del 2004 di questa Corte, rilevando come essa riconosca la derogabilità della regola del pubblico concorso "nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione, ed il cui vaglio di costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore". Nel caso di specie, secondo la resistente, la legge impugnata intenderebbe consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’amministrazione. E questa scelta sarebbe ragionevole, in quanto si tratterebbe, in particolare per le attività tecnico-ispettive, di funzioni che richiedono una esperienza professionale maturata in relazione alle specificità colturali e vegetali del territorio calabrese. L’interesse a consolidare queste peculiari esperienze professionali legittimerebbe, pertanto, secondo la regione Calabria, una procedura concorsuale, come quella in questione, integralmente riservata al personale interno e specificamente qualificato. In prossimità dell’udienza pubblica la regione Calabria ha depositato ulteriore memoria nella quale sviluppa le difese già svolte. La regione riconosce che l’impugnata legge regionale n. 28 del 2003 deroga al principio del pubblico concorso, dato che prevede una integrale riserva per il personale già svolgente funzioni di ispettore fitosanitario, inquadrato nella categoria C4, per l’accesso alla superiore categoria D3 (funzionario), ma sostiene che la norma sarebbe ragionevole, in quanto la progressione verticale dei dipendenti svolgenti compiti di ispettore fitosanitario non costituirebbe un avanzamento automatico, essendo subordinato ad un accertamento meritocratico, ed in quanto la scelta di ricorrere ad una procedura di selezione solo interna si giustificherebbe nell’ottica di perseguire il riconoscimento della professionalità e della qualità delle prestazioni lavorative individuali del personale interessato ed al fine di valorizzarne le capacità professionali promuovendone lo sviluppo in linea con le esigenze di efficienza degli enti. In tal senso la regione Calabria richiama il disposto degli articoli 35 e 52, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) ed il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto Regioni ed autonomie locali, stipulato in data 1° aprile 1999, i quali, secondo la resistente, delineerebbero un quadro complessivo all’interno del quale lo sviluppo della carriera professionale, per effetto di un accrescimento della professionalità in occasione e nel corso dello svolgimento del rapporto, costituirebbe la regola e, pertanto, legittimerebbe la procedura concorsuale prevista dalla legge impugnata. La resistente sottolinea, poi, che diverse Regioni (e tra esse l’Emilia-Romagna) hanno riconosciuto ai propri dipendenti incaricati di svolgere le importanti funzioni di ispettore fitosanitario l’inquadramento alla categoria D, senza peraltro nemmeno ricorrere a procedure concorsuali, e chiarisce, in punto di fatto, che il costo del reinquadramento del personale già in servizio determina una spesa di euro 143.620, nettamente inferiore al costo da sostenere nell’ipotesi di copertura dei medesimi posti attraverso pubblico concorso e instaurazione di nuovi rapporti di lavoro. Considerato in diritto. 1. La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione, ha ad oggetto la legge della regione Calabria 5 dicembre 2003, n. 28 (Inquadramento degli ispettori fitosanitari). Il ricorrente censura la citata legge regionale, in quanto prevede l’accesso alla qualifica "funzionario D3" mediante un concorso riservato al solo personale interno ed in quanto prevede che tutti gli idonei presteranno servizio presso il dipartimento agricoltura, caccia e pesca. Il ricorrente, in particolare, prospetta la sostanziale deroga al principio del pubblico concorso attuata dal legislatore regionale limitando l’accesso alla procedura concorsuale ai soli dipendenti dell’assessorato all’agricoltura della regione Calabria che già svolgano le mansioni di ispettori fitosanitari o ne abbiano acquisito la qualifica con la partecipazione a corsi di formazione 182 professionale espletati dalla stessa regione e svolgano talune attività tecnico-ispettive specificamente elencate ovvero siano componenti "essenziali ed indispensabili" di talune commissioni regionali. La difesa erariale prospetta, poi, la violazione dell’art. 97 della Costituzione anche sotto un diverso profilo, in quanto sostiene che il meccanismo concorsuale prescelto, nel prevedere l’accesso alla qualifica superiore di tutto il personale ritenuto idoneo, realizzerebbe un illegittimo scivolamento automatico verso una posizione superiore. 2. La regione Calabria eccepisce l’inammissibilità del ricorso, prospettandone la assoluta genericità. 3. L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla regione non è fondata, in quanto il ricorso, sebbene succintamente argomentato, è chiaro e determinato e non lascia dubbi sull’oggetto della contestazione. 4. Nel merito la questione è fondata. 4.1. Come le stesse parti hanno ricordato nei propri atti, questa Corte ha riconosciuto nel concorso pubblico (art. 97, terzo comma, della Costituzione) la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione (sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990 e n. 81 del 1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi a tale regola solo "in presenza di peculiari situazioni giustificatrici", nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) ed il cui vaglio di costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore. La Corte ha, al riguardo, sottolineato che la regola del pubblico concorso può dirsi pienamente rispettata solo qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi (sentenza n. 194 del 2002). E, in particolare, ha riconosciuto che l’accesso al concorso può essere condizionato al possesso di requisiti fissati in base alla legge, anche allo scopo di consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’amministrazione. Tuttavia ciò può accadere "fino al limite oltre il quale possa dirsi che l’assunzione nella amministrazione pubblica, attraverso norme di privilegio, escluda, o irragionevolmente riduca, la possibilità di accesso per tutti gli altri aspiranti con violazione del carattere pubblico del concorso, secondo quanto prescritto in via normale, a tutela anche dell’interesse pubblico, dall’art. 97, terzo comma, della Costituzione" (sentenza n. 141 del 1999). Inoltre questa Corte ha chiarito (sentenze n. 218 del 2002, n. 373 del 2002 e n. 274 del 2003) che pure l’accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a funzioni più elevate non sfugge, di norma, alla regola del pubblico concorso e che non sono pertanto ragionevoli norme che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori (senza concorso o comunque senza adeguate selezioni o verifiche attitudinali) o concorsi interni per la copertura della totalità dei posti vacanti. 4.2. Alla luce di questo costante orientamento deve essere valutata la legge della regione Calabria n. 28 del 2003. Il legislatore regionale ha previsto (art. 1, comma 1) un concorso integralmente riservato per l’accesso alla qualifica di funzionario D3 ed ha stabilito (art. 1, comma 2) che tutti gli idonei presteranno servizio presso il dipartimento agricoltura, caccia e pesca. Questa disposizione è viziata da evidente irragionevolezza per quanto riguarda la limitazione, al solo personale interno, della partecipazione al concorso. Secondo la difesa regionale, questa limitazione dell’accesso al concorso si giustificherebbe, in quanto le attività tecnico-ispettive indicate nei numeri 4), 6), 7) e 8) della lettera a) del comma 1 dell’articolo 1 (e pertanto il controllo sistematico e periodico sulle colture agrarie e forestali, il controllo fitosanitario, la vigilanza e le analisi di laboratorio sui vegetali e sui prodotti vegetali e l’attuazione dei regolamenti comunitari relativi alla riduzione dell’impiego dei fitofarmaci) costituiscono funzioni che richiedono una esperienza professionale maturata in relazione alle specificità colturali e vegetali del territorio calabrese. Questa argomentazione non è tuttavia condivisibile, in quanto presuppone una specificità, in senso assoluto, delle colture e della vegetazione calabrese nel panorama fitosanitario nazionale e comunitario, la quale, in tutta evidenza, non sussiste affatto. D’altra parte si deve rilevare che sono legittimati al concorso anche soggetti che svolgono funzioni tecniche o amministrative (art. 1, comma 1, lettera a, numeri 1, 2, 3 e 5, e lettera b), per le quali è del tutto inconferente il riferimento a questa presunta specificità assoluta delle colture e della vegetazione. 183 Nemmeno è condivisibile l’ulteriore argomentazione prospettata dalla regione Calabria, secondo cui la normativa legale e contrattuale relativa al personale in questione delineerebbe un quadro complessivo all’interno del quale la progressione verticale costituirebbe la regola di sviluppo della carriera. Non si può infatti negare che nella fattispecie il passaggio da un’area ad un’altra comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro con relativa progressione in carriera ed è quindi soggetto al principio del pubblico concorso (cfr. sentenza n. 320 del 1997). Di conseguenza deve sussistere un ragionevole punto di equilibrio fra quest’ultimo principio e l’interesse a consolidare pregresse esperienze lavorative (cfr. sentenze n. 205 e n. 34 del 2004). Alla luce di quanto sopra esposto deve, pertanto, ritenersi che la riserva concorsuale integrale a favore del personale indicato dall’art. 1, comma 1, lettere a) e b), della legge della regione Calabria n. 28 del 2003 è irragionevole e rende, complessivamente, la scelta legislativa regionale lesiva del parametro di cui all’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della regione Calabria 5 dicembre 2003, n. 28 (Inquadramento degli ispettori fitosanitari). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2005. 184 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Fernanda CONTRI, presidente, e Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la Sentenza n. 172 del 2005 (Rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare) nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4 (Norme per la trasparenza dell’attività amministrativa regionale), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 aprile 2004, depositato in cancelleria il 6 maggio 2004 ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2004. Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto; udito nell’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2005 il giudice relatore Guido Neppi Modona; uditi l’avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Romano Morra e Andrea Manzi per la Regione Veneto. Ritenuto in fatto. Con ricorso notificato il 30 aprile e depositato il 6 maggio 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base della deliberazione adottata il 29 aprile 2004, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale in via principale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4 (Norme per la trasparenza dell’attività amministrativa regionale), che prevede che il dipendente regionale condannato con sentenza di primo grado per reati contro la pubblica amministrazione sia immediatamente trasferito ad altra sede o assegnato ad altro incarico. Ad avviso del ricorrente, la norma invaderebbe l’ambito della legislazione esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile e penale, come stabilito dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La legge statale 27 marzo 2001, n. 97, che tra l’altro nell’art. 3 prevede, in caso di rinvio a giudizio per taluni reati contro la pubblica amministrazione (tra cui peculato, concussione, corruzione), il trasferimento del dipendente ad altro ufficio, avrebbe inoltre già dettato una compiuta disciplina in tema di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici. L’art. 3 della legge regionale denunciata, quand’anche lo si volesse ritenere applicabile – come suggerito dalla stessa Regione Veneto ai soli reati contro la pubblica amministrazione diversi da quelli elencati nella legge n. 97 del 2001, finirebbe perciò con l’introdurre ulteriori effetti sanzionatori conseguenti a fatti reato, interferendo con attribuzioni esclusive dello Stato. Con atto in data 19 maggio 2004 si è costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo il rigetto del ricorso. La Regione osserva che la disciplina dell’art. 3 della legge regionale «non intacca l’ambito di competenza statale», ma si limita a prevedere a carico del dipendente regionale 185 condannato in primo grado un «provvedimento di mobilità» a tutela dell’assetto organizzativo dell’apparato regionale, finalizzato ad assicurare i principî di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione. La norma impugnata sarebbe quindi di esclusiva competenza regionale, riguardando la disciplina dell’ordinamento degli uffici. Non sarebbe inoltre dato ravvisare alcuna sovrapposizione con la legge n. 97 del 2001, in quanto i provvedimenti cautelari ivi previsti a carico del dipendente (trasferimento a seguito del rinvio a giudizio e sospensione dal servizio a seguito di condanna anche non definitiva) trovano applicazione per i delitti espressamente elencati dalla legge, mentre per tutti gli altri reati contro la pubblica amministrazione si procederà, in presenza di una condanna di primo grado, al trasferimento di sede o all’attribuzione ad altro incarico secondo quanto disposto dall’art. 3 della legge regionale. In ogni caso – precisa la difesa della Regione - i provvedimenti di cui alla normativa regionale non rappresenterebbero un «effetto sanzionatorio conseguente a fatti reato», integrando semplici «provvedimenti di mobilità», correlati al pregiudizio derivante dalla permanenza del dipendente condannato con sentenza di primo grado nella medesima sede o con il medesimo incarico. In una successiva memoria depositata il 9 novembre 2004 l’Avvocatura insiste sulla inammissibile sovrapposizione della normativa regionale alla disciplina statale in tema di conseguenze del procedimento penale sul rapporto di pubblico impiego e ribadisce che i provvedimenti previsti dalla legge impugnata, presupponendo non la sola pendenza del procedimento, ma la emissione di una sentenza di condanna, anche se non definitiva, produrrebbero effetti non meramente cautelari, bensì sanzionatori, caratterizzati dalla irreversibilità. Il trasferimento di sede e l’attribuzione di altro incarico non avrebbero infatti effetti provvisori, posto che non ne è prevista la cessazione con il venir meno della condanna, ma si atteggerebbero a vere e proprie sanzioni adottate in via anticipata rispetto alla condanna definitiva. La disciplina impugnata sarebbe di conseguenza riferibile alla materia degli effetti del processo penale (in particolare, della sentenza di condanna in primo grado) sul rapporto di impiego e atterrebbe al diritto penale, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato anche sotto il profilo della tutela dell’ordine pubblico. Dal suo canto la Regione Veneto, con memoria depositata il 26 gennaio 2005, ribadisce che l’esigenza sottesa al trasferimento d’ufficio è quella di «tutelare interessi amministrativi» che afferiscono direttamente al rapporto di servizio del dipendente e al pregiudizio derivante all’amministrazione dalla permanenza dell’impiegato condannato nell’ufficio. Qualsiasi richiamo alla materia penale ovvero a quella dell’ordine pubblico - quest’ultima tardivamente menzionata nella memoria dell’Avvocatura – sarebbe perciò del tutto inconferente. Infine, infondata sarebbe anche l’argomentazione dell’Avvocatura circa l’irreversibilità degli effetti del trasferimento, posto che, da un lato, lo stesso art. 3 della legge regionale fa «salvo quanto previsto dalle norme vigenti», così assicurando la piena applicazione della disciplina statale e, conseguentemente, la provvisorietà degli effetti del provvedimento cautelare; dall’altro, l’art. 3, comma 1, della legge n. 97 del 2001, nel fare «salva l’applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti», riconosce la possibile coesistenza di ulteriori e specifiche disposizioni a tutela degli interessi pubblici fondamentali propri di ciascun ordinamento. Nell’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2005 i difensori delle parti hanno ribadito le argomentazioni e le conclusioni sostenute in precedenza. Considerato in diritto. 1. Oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata in via principale dal Presidente del Consiglio dei ministri è l’art. 3 della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4 (Norme per la trasparenza dell’attività amministrativa regionale). La disposizione censurata stabilisce che, fatto salvo quanto previsto dalle norme vigenti, «l’amministrazione regionale procede immediatamente al 186 trasferimento di sede o all’attribuzione ad altro incarico del dipendente condannato, per i reati contro la pubblica amministrazione, con sentenza di primo grado». Secondo il Governo, la norma regionale invade l’ambito della legislazione esclusiva dello Stato in tema di ordinamento civile e penale, riconosciuta dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, sovrapponendosi alla legge statale 27 marzo 2001, n. 97, relativa ai rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, che in relazione ad alcuni gravi reati contro la pubblica amministrazione contempla nell’art. 3, comma 1, il trasferimento ad altro ufficio in caso di rinvio a giudizio e nell’art. 4 la sospensione dal servizio in caso di condanna anche non definitiva. La Regione Veneto sostiene invece che la disposizione impugnata si limita a prevedere un provvedimento di mobilità nell’ambito della disciplina che regola l’assetto organizzativo degli uffici regionali, al fine di tutelare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, rientrante nella sfera della competenza residuale delle regioni. 2. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri non è fondata. 3. Va preliminarmente rilevato che l’art. 3 della legge regionale n. 4 del 2004 si apre con l’espressa clausola di salvezza di quanto previsto dalle norme vigenti; la disciplina censurata non si sovrappone pertanto alle disposizioni della legge statale, ma deve ritenersi operante, come sostenuto dalla Regione Veneto, solo in relazione ai reati contro la pubblica amministrazione diversi da quelli previsti dalla legge statale n. 97 del 2001. 4. Secondo il ricorrente la legge regionale censurata, nel prevedere a seguito di sentenza di condanna di primo grado il trasferimento ad altra sede del dipendente pubblico o l’attribuzione ad altro incarico, introduce «ulteriori effetti sanzionatori conseguenti a fatti reato», legati «non alla sola pendenza del procedimento penale ma alla emissione di sentenze di condanna di primo grado». Tale disciplina determinerebbe «effetti non meramente cautelari ma sanzionatori, attesa la loro irreversibilità», e inciderebbe su una materia che, oggettivamente, «è quella degli effetti del processo penale (e, anzi, della sentenza penale di condanna di primo grado) nel rapporto di impiego» e, quindi, attiene al «diritto penale». Sulla base di queste argomentazioni, e tenuto conto che il ricorso non contiene alcuna motivazione a supporto del generico richiamo anche all’ordinamento civile, non vi è quindi dubbio che la censura mossa dal Governo alla norma regionale si riferisce esclusivamente all’invasione della competenza statale in materia di ordinamento penale. Riguardo a tale sfera di competenza, questa Corte ha peraltro già avuto occasione di affermare (v., da ultimo, sentenza n. 185 del 2004) che la materia penale deve essere «intesa come l’insieme dei beni e valori ai quali viene accordata la tutela più intensa» e che essa «nasce nel momento in cui il legislatore nazionale pone norme incriminatrici», mediante la configurazione delle fattispecie, l’individuazione dell’apparato sanzionatorio e la determinazione delle specifiche sanzioni. Coerentemente a questa impostazione, in tema di sospensione cautelare obbligatoria dal servizio prevista dall’art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, nei confronti di pubblici dipendenti che abbiano riportato condanna, anche non definitiva, per delitti di criminalità organizzata o per determinati delitti contro la pubblica amministrazione, la Corte ha rilevato che tale misura non ha natura sanzionatoria, bensì meramente cautelare, essendo «collegata alla pendenza di un’accusa penale nei confronti di un funzionario pubblico», che di per sé espone l’amministrazione «ad un pregiudizio direttamente derivante dalla permanenza dell’impiegato nell’ufficio» e «risponde a esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta servizio» (sentenza n. 206 del 1999). Deve pertanto escludersi che la meno incisiva misura del provvisorio trasferimento di sede o dell’assegnazione ad altro incarico, prevista dalla disposizione censurata, costituisca effetto penale della sentenza di condanna per determinati fatti reato, e sia perciò inscrivibile nella materia dell’ordinamento penale. 5. Le finalità che la norma intende perseguire, significativamente inserita in una legge intitolata «Norme per la trasparenza dell’attività amministrativa regionale», sono ravvisabili nell’esigenza di tutelare l’immagine, la credibilità e, appunto, la trasparenza dell’amministrazione regionale; interessi che, anche prima dell’eventuale pronuncia di una sentenza definitiva di condanna, possono risultare pregiudicati dalla permanenza nell’ufficio del dipendente che abbia commesso nell’esercizio delle sue funzioni un reato contro la pubblica amministrazione. 187 Alla luce del principio di buon andamento dei pubblici uffici e del dovere dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di «adempierle con disciplina ed onore» (artt. 97 e 54, secondo comma, Cost.), la disposizione in esame offre dunque alla amministrazione regionale uno strumento volto a realizzare l’interesse pubblico di garantire la credibilità e la fiducia di cui l’amministrazione deve godere presso i cittadini (v. sentenze n. 206 del 1999 e n. 145 del 2002); interesse leso dal discredito che la condanna, anche solo di primo grado, può recare all’immagine del corretto funzionamento dei pubblici uffici, e certo prevalente su quello individuale del dipendente alla permanenza nella medesima sede o nel medesimo ufficio. La misura risulta pertanto ispirata non già da ragioni punitive o disciplinari, quanto da esigenze, lato sensu cautelari, in funzione dell’organizzazione interna degli uffici (v. ancora sentenza n. 206 del 1999: p. 9 del considerato, ove il trasferimento dell’impiegato ad altra sede, ufficio o mansione, in contrapposizione con la misura cautelare della sospensione dal servizio, viene significativamente definito «misura organizzativa»), atteso che le esigenze di trasparenza e di credibilità della pubblica amministrazione sono direttamente correlate al principio costituzionale di buon andamento degli uffici. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2004, n. 4 (Norme per la trasparenza dell’attività amministrativa regionale), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 2005. 188 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Fernanda CONTRI, presidente, e Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la Sentenza n.190 del 2005 (Concorso pubblico) nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2 e 3 della legge della Regione Marche 24 febbraio 2004, n. 4 (Disposizioni eccezionali e straordinarie in attuazione del piano sanitario regionale 2003/2006 relative al personale delle strutture sanitarie private titolari di accordi contrattuali con il servizio sanitario regionale), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 3 maggio 2004, depositato in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2004. Visto l'atto di costituzione della Regione Marche; udito nell'udienza pubblica del 22 febbraio 2005 il giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi l'avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche. Ritenuto in fatto. 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 3 maggio 2004, depositato il successivo giorno 10, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 (quest'ultimo «in quanto ai primi due collegato») della legge della Regione Marche 24 febbraio 2004, n. 4 (Disposizioni eccezionali e straordinarie in attuazione del piano sanitario regionale 2003/2006 relative al personale delle strutture sanitarie private titolari di accordi contrattuali con il servizio sanitario regionale), in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. L'art. 1 della suddetta legge, riferisce la difesa erariale, prevede l'inserimento nei ruoli regionali del Servizio sanitario nazionale (S.s.n.) del personale, già assunto con contratto a tempo indeterminato da unità operative o strutture sanitarie private, che risulti in esubero a seguito dei processi di riconversione o disattivazione o soppressione delle predette unità e strutture, determinati dall'attuazione del piano sanitario regionale 2003/2006 (comma 1); tale inserimento riguarda esclusivamente il personale delle strutture che abbiano stipulato accordi contrattuali con il Servizio sanitario regionale ai sensi dell'art. 23 della legge della Regione Marche 16 marzo 2000, n. 20, recante “Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private” (comma 2). Le modalità di assunzione del personale in esubero, prosegue l'Avvocatura, sono indicate nell'art. 2, commi 2, 3 e 4, e consistono in «selezioni per i titoli di servizio, professionali e culturali ed esame orale», determinando «la copertura dei posti vacanti in organico», nonché comportando, «in caso di carenza d'organico», che si provveda alla «rideterminazione del fabbisogno». L'art. 3 – cui rinvia l'art. 2, comma 3, per la rideterminazione del fabbisogno di organico finalizzato all'inserimento in questione – prevede che tale «rideterminazione d'organico sia fatta in ambito territoriale zonale 189 dalle aziende del servizio sanitario regionale ed in ambito regionale dalla Regione, d'intesa con le aziende del S.s.r., “tenuto conto della consistenza degli esuberi accertati”». In conclusione, la legge regionale impugnata – sottolinea la difesa erariale – prevede che con procedura riservata (e non quindi con concorso pubblico) «siano fatte assunzioni in pubblico impiego, coprendo con tale sistema i posti in organico e predisponendo anche un aumento dell'organico in caso di sua insufficienza per l'inserimento del personale in esubero che abbia superato la procedura selettiva riservata»; da qui il contrasto delle norme censurate con «gli articoli 3, 51 e 97, primo e terzo comma, della Costituzione, secondo la interpretazione più volte offertane dalla Corte costituzionale nonché da ultimo nelle sentenze n. 274 del 2003, n. 373 e n. 194 del 2002». 2. Si è costituita la Regione Marche chiedendo che il ricorso venga dichiarato non fondato per il seguente ordine di motivi. Innanzitutto, la materia dello stato giuridico ed economico del personale delle Regioni e degli enti regionali apparterrebbe alla potestà legislativa residuale delle Regioni stesse (art. 117, quarto comma, Cost.). Inoltre, la legge censurata detterebbe norme «nell'ambito della tutela della salute» rientrante tra le materie di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.). In questa prospettiva le norme regionali impugnate costituirebbero «legittima attuazione dell'esercizio dell'autonomia legislativa della Regione che, in materia di organizzazione del servizio sanitario a livello regionale, ha sicuramente il potere di organizzare l'erogazione dei servizi in maniera efficace, consentendo – anche attraverso l'utilizzazione di professionalità già acquisite in ruoli sostanzialmente analoghi – la migliore continuità e funzionalità delle attività sanitarie». Secondo la difesa regionale, inoltre, la legge in esame non violerebbe neanche il principio costituzionale del concorso quale metodo di accesso ai pubblici uffici. Viene richiamata, a tal proposito, la sentenza n. 274 del 2003 di questa Corte, nella quale si rinviene l'affermazione secondo cui sarebbe possibile apportare deroghe al metodo del pubblico concorso «qualora ricorrano particolari situazioni che le rendano non irragionevoli», quali, nel caso di specie, l'assunzione di lavoratori socialmente utili che «avevano, nella precarietà, acquisito l'esperienza necessaria a far ritenere la stabilizzazione della loro posizione funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione)». La difesa della Regione sostiene che anche la finalità perseguita dalla legge regionale impugnata, volta «alla non dispersione delle specifiche professionalità acquisite» all'interno delle strutture sanitarie private, rende ragionevole, e quindi conforme alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione imposte dall'art. 97 della Costituzione, le modalità di accesso ai ruoli regionali previste dalla legge stessa. Ad ulteriore conferma della legittimità delle norme censurate la resistente pone in evidenza il loro carattere dichiaratamente «eccezionale» e «straordinario» (art. 1, comma 1), come dimostrerebbe la stessa previsione contenuta nell'art. 5, secondo cui la legge regionale è destinata ad applicarsi «sino al termine di efficacia del piano», il che renderebbe ragionevole la scelta del legislatore regionale «anche tenendo conto del fondamentale interesse della Regione alla corretta erogazione del servizio sanitario». A ciò si aggiunge che l'inserimento del personale in esubero nei ruoli regionali non avverrebbe in maniera automatica, ma sarebbe subordinato al conseguimento di una specifica idoneità derivante, secondo quanto statuito dall'art. 2, comma 2, da apposite «selezioni per i titoli di servizio, professionali e culturali ed esame orale, svolte dalle aziende del S.s.r. mediante commissioni esaminatrici appositamente nominate». Anche sotto questo profilo, pertanto, secondo la Regione, la legge impugnata sarebbe conforme «ai principi di razionalità normativa e di buon andamento dell'amministrazione stabiliti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione». Per quanto attiene alla assunta violazione dell'art. 51 della Costituzione, a sostegno dell'inconferenza del parametro invocato, viene richiamata la sentenza n. 34 del 2004 di questa Corte che ha affermato che tale norma, «nel porre il principio che “tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici (…) in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, attua il fondamentale principio dell'art. 3 della Costituzione, ma non detta le regole di accesso al pubblico impiego». 3. In data 16 novembre 2004 l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con la quale ha dedotto che la utilizzazione di procedure riservate a determinate categorie, e non aperte a tutti i possibili interessati aventi titolo, contrasta sia con l'art. 3 che con l'art. 51 della Costituzione, che del principio di uguaglianza rappresenterebbe specifica e concreta applicazione nella materia 190 dell'accesso al pubblico impiego, riconoscendo la possibilità di accesso a tutti i cittadini aventi i requisiti voluti dalla legge. Secondo la difesa erariale, le norme impugnate contrastano anche con l'art. 97 della Costituzione, in quanto prevedono procedure selettive non fondate sul confronto competitivo, ma su valutazioni di titoli di servizio, professionali e culturali ed un esame orale. In relazione alle difese svolte dalla Regione Marche, l'Avvocatura generale dello Stato replica osservando, innanzitutto, che la legge regionale in esame «non ha ad oggetto la disciplina sullo stato giuridico ed economico del personale della Regione, dal momento che le disposizioni denunziate non riguardano il modo di essere o di svilupparsi di un rapporto di impiego già sorto, ma proprio e soltanto il modo di accedere al rapporto e quindi un momento antecedente alla formazione del rapporto». In secondo luogo, il contenuto delle disposizioni censurate non può in alcun modo essere ricondotto alla “tutela della salute” che si realizza «attraverso la determinazione di standard di previsione e terapie, la diffusione di adeguate informazioni sanitarie, la realizzazione di strutture sanitarie, ma certo non attraverso la collocazione di personale già dipendente da strutture sanitarie private nei ruoli regionali». In terzo luogo, la difesa erariale osserva come la procedura disciplinata dalla legge impugnata non risponda al modello del concorso pubblico di cui all'art. 97 Cost. sia perché riservata ad una determinata categoria di soggetti e non aperta a tutti gli interessati in possesso dei requisiti di legge, sia perché strutturata non sul confronto competitivo, ma su una «selezione affidata a valutazione di titoli e solo in via aggiuntiva ad esame orale». Infine, si contesta anche l'addotta esistenza delle ragioni eccezionali che dovrebbero giustificare, nella prospettiva della Regione Marche, l'uso di uno strumento diverso dal concorso pubblico e che sarebbero rappresentate dalla necessità di non disperdere le esperienze svolte in strutture sanitarie private riconvertite o disattivate. Ciò in quanto «l'eccezionalità che consente l'uso di strumenti di accesso diversi dal concorso pubblico deve concretarsi in una esigenza della amministrazione e non in una esigenza o una opportunità per il personale del cui accesso al pubblico impiego si tratta». Né vale, secondo la difesa erariale, il richiamo alla sentenza n. 274 del 2003 di questa Corte, in quanto in quel caso si trattava di valutare la legittimità costituzionale di una legge regionale che consentiva l'inquadramento nei ruoli regionali di personale precario (lavoratori c.d. socialmente utili) già da tempo alle dipendenze della Regione. Nel caso in esame, invece, sottolinea l'Avvocatura, si tratta di personale di provenienza privata, «il cui inserimento nei ruoli regionali non rappresenta un naturale sbocco delle attività svolte, ma un radicale mutamento di tipo di rapporto (dal privato al pubblico) ed una definitiva occupazione senza concorso di ruoli pubblici». 4. Nell'imminenza dell'udienza la Regione Marche ha depositato una memoria con la quale ha ribadito di essere titolare di potestà legislativa residuale in materia di stato giuridico ed economico del personale delle Regioni e degli enti regionali; che la legge regionale impugnata interviene nella materia concorrente della tutela della salute; che, infine, non sarebbe stato violato il principio dell'accesso al pubblico impiego mediante concorso per le ragioni già illustrate nell'atto di costituzione in giudizio. Considerato in diritto. 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato in via principale gli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Marche 24 febbraio 2004, n. 4 (Disposizioni eccezionali e straordinarie in attuazione del piano sanitario regionale 2003/2006 relative al personale delle strutture sanitarie private titolari di accordi contrattuali con il Servizio sanitario regionale), in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. L'art. 1 della predetta legge disciplina l'inserimento nei ruoli regionali del servizio sanitario nazionale (S.s.n.) del personale, già assunto con contratto a tempo indeterminato da unità operative o strutture sanitarie private, che risulti in esubero a seguito dei processi di riconversione o disattivazione o soppressione delle predette unità e strutture, determinati dall'attuazione del piano sanitario regionale 2003/2006; tale inserimento riguarda il personale delle strutture che abbiano stipulato accordi contrattuali ai sensi dell'art. 23 della legge della Regione Marche 16 marzo 2000, n. 20 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private). L'art. 2 prevede, tra l'altro, che l'assunzione del predetto personale avvenga attraverso «selezioni per i titoli di servizio, professionali e culturali ed esame orale, svolte dalle aziende del S.s.r. mediante commissioni esaminatrici appositamente nominate». 191 L'art. 3, infine, detta criteri per la determinazione del fabbisogno d'organico finalizzato all'inserimento del personale risultato idoneo. Secondo il ricorrente le riportate disposizioni – prevedendo che con procedura riservata (e non quindi con concorso pubblico) «siano fatte assunzioni in pubblico impiego, coprendo con tale sistema i posti in organico e predisponendo anche un aumento dell'organico in caso di sua insufficienza per l'inserimento del personale in esubero che abbia superato la procedura selettiva riservata» – si porrebbero in contrasto con gli indicati parametri costituzionali. 2. La questione è fondata. 2.1. In via preliminare, risulta inconferente il rilievo difensivo della Regione Marche secondo cui la “materia” incisa dalle disposizioni censurate rientrerebbe nell'ambito della propria potestà legislativa. Il ricorrente, infatti, non deduce ragioni di incompetenza legislativa, in quanto indica parametri costituzionali (artt. 3, 51 e 97) che non attengono a profili di riparto delle competenze e, nondimeno, sono evocabili dallo Stato nella impugnazione in via principale di una legge regionale (sentenze n. 162 del 2004 e n. 274 del 2003). 2.2. Ai fini della risoluzione della questione di legittimità costituzionale proposta dallo Stato appare, inoltre, necessario premettere che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che il concorso rappresenta la forma generale ed ordinaria di reclutamento di personale nel pubblico impiego, in quanto meccanismo idoneo a garantire il canone dell'efficienza dell'azione amministrativa (tra le altre, sentenze n. 205 e n. 34 del 2004; n. 1 del 1999). Questa Corte ha, inoltre, ritenuto che una deroga a siffatto principio sia possibile soltanto in presenza di peculiari situazioni giustificatrici individuate dal legislatore nell'esercizio di una discrezionalità non irragionevole, che trovi il proprio limite specifico nella necessità di meglio garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (sentenza n. 194 del 2002). 2.3. Nella specie, a prescindere dalle finalità indicate dal legislatore regionale, non può ritenersi utilizzabile la valorizzazione delle «specifiche professionalità acquisite» dal personale in discorso, al fine di legittimare la deroga al principio del concorso pubblico; e ciò non solo perché si è in presenza di una generica indicazione di ragioni giustificative, ma anche per il fatto che non si tratta di «consentire il consolidamento di pregresse esperienze maturate nella stessa amministrazione» (cfr. sentenza n. 205 del 2004). Le disposizioni censurate, infatti, hanno stabilito l'inserimento nei ruoli regionali di personale assunto con contratto a tempo indeterminato da strutture sanitarie private, ancorché firmatarie di accordi contrattuali ex art. 23 della legge della Regione Marche n. 20 del 2000, e dunque di personale non reclutato a suo tempo dalla pubblica amministrazione mediante pubblico concorso (sentenza n. 205 del 2004). In definitiva, dunque, le norme impugnate – prevedendo selezioni caratterizzate da una arbitraria e irragionevole forma di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi – si pongono in contrasto con i parametri costituzionali evocati. 3. La dichiarazione di illegittimità costituzionale degli impugnati artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Marche n. 4 del 2004 rende, ovviamente, sostanzialmente inapplicabili gli artt. 4 e 5 della stessa legge. Tali norme – prevedendo rispettivamente le modalità di copertura delle spese derivanti dal provvedimento legislativo in questione, nonché il termine entro il quale hanno vigore le disposizioni della legge regionale – non presentano, infatti, alcuna autonomia applicativa. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Marche 24 febbraio 2004, n. 4 (Disposizioni eccezionali e straordinarie in attuazione del piano sanitario regionale 2003/2006 relative al personale delle strutture sanitarie titolari di accordi contrattuali con il servizio sanitario regionale). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2005. 192 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Piero Alberto CAPOTOSTI, presidente e Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la seguente Ordinanza n. 216 del 2005 (Concorso pubblico) nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, promosso con ordinanza del 16 settembre 2003 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da M.A.A. ed altri contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 1041 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2003. Visti l’atto di costituzione di M.A.A. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2005 il giudice relatore Paolo Maddalena; uditi l’avvocato Arturo Merlo per M.A.A. e l’avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto che, con ordinanza del 16 settembre 2003, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17; che l’art. 4, comma 14-bis, estende i benefici giuridici ed economici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 1° giugno 1972, n. 319 (Riordinamento delle ex carriere speciali), al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche e amministrative) che abbia sostenuto concorsi di accesso alle carriere con almeno tre prove scritte nelle materie professionali e di istituto ed abbia svolto mansioni analoghe a quelle degli impiegati delle ex carriere speciali; che il remittente lamenta la violazione degli indicati parametri costituzionali, in quanto la norma censurata, nell’estendere i suddetti benefici giuridici ed economici al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche ed amministrative) solo in presenza delle ricordate condizioni di accesso, non ha incluso tra le categorie beneficiarie il restante personale della carriera di concetto (capi tecnici e geometri); che, in punto di fatto, il Tribunale amministrativo espone di dovere decidere il ricorso proposto da alcuni impiegati dell’Ufficio tecnico erariale (UTE) di Messina, inquadrati nella settima qualifica funzionale, con il profilo professionale di "capi tecnici", avverso la nota prot. n. 1827 del 19 febbraio 1992 del Ministero delle finanze-Divisione personale I, sezione I, con la quale il Ministero ha comunicato al dirigente dell’UTE che la diversità di trattamento, soprattutto economica, venutasi a creare a seguito dell’applicazione della normativa introdotta con l’art. 4, comma 14-bis, del decreto- 193 legge n. 853 del 1984, convertito, con modificazioni, nella legge n. 17 del 1985, tra il personale in possesso dei requisiti richiesti dalla suddetta legge, inquadrato, ai sensi del d.P.R. n. 319 del 1972, nella ottava qualifica funzionale, e coloro che, come i ricorrenti, sono stati esclusi e sono rimasti nella settima qualifica, è di esclusiva pertinenza del legislatore, senza che l’amministrazione possa assumere alcuna determinazione discrezionale al riguardo; che, in punto di rilevanza, il remittente richiama, anzitutto, la giurisprudenza di questa Corte, per la quale la dedotta incostituzionalità di una norma di legge può costituire l’unico motivo su cui può validamente fondarsi la proposizione di un ricorso giurisdizionale; che il Tribunale amministrativo sostiene, poi, che dall’accoglimento della questione proposta ed, in particolare, dall’estensione dei benefici giuridici ed economici previsti dal d.P.R. n. 319 del 1972 a tutto il personale della carriera di concetto delle soppresse carriere ordinarie, discenderebbe l’accoglimento del ricorso avanti a sé proposto; che il giudice a quo ritiene che la questione non sia manifestamente infondata, in quanto la norma impugnata determinerebbe una posizione giuridico-economica deteriore per i "capi tecnici" e i geometri, rispetto a quella di altri colleghi che occupano lo stesso posto in organico ed esercitano le medesime funzioni; che questo irragionevole diverso trattamento di situazioni identiche discenderebbe, secondo il remittente, da una circostanza affatto casuale, in quanto il numero delle prove scritte del concorso di accesso è stato fissato in modo diverso secondo i vari periodi storici, "mentre l’idoneità conseguita tende sempre ad accertare una professionalità" di analoga valenza; che sul piano giuridico-economico il trattamento deteriore dei ricorrenti nel giudizio a quo, continua il remittente, consisterebbe nella impossibilità per gli stessi di esercitare il diritto, previsto dal d.P.R. n. 319 del 1972, di opzione a transitare nella carriera amministrativa e, conseguentemente, di conseguire la ottava qualifica funzionale (non prevista in quella tecnica) e gli ulteriori benefici economici collegati allo sviluppo nella nuova carriera; che la circostanza che a qualifiche e mansioni identiche venga riservato un trattamento economico e giuridico differente violerebbe gli articoli 3, 36 e 51 della Costituzione e, più complessivamente, il generale principio di ragionevolezza; che la norma censurata, nel determinare il ricordato diverso trattamento di situazioni identiche, violerebbe anche, sempre secondo il remittente, l’art. 97 della Costituzione ed, in particolare, i criteri di logica e di coerenza "nell’organizzazione amministrativa"; che il remittente sostiene, al riguardo, che "i presupposti di buon andamento della P.A. si identifichino non soltanto con la emanazione di adeguati strumenti legislativi e regolamentari, e con la scrupolosa osservanza degli stessi, ma anche con l’attribuzione al personale della legittima posizione giuridico-retributiva, atteso che, come è naturale, la violazione, al riguardo, dei necessari canoni di giustizia distributiva si traduce, in capo ai dipendenti interessati, in uno stato di insufficiente serenità, che non può non ripercuotersi sul lavoro dei relativi Uffici, creando un clima di tensione e di incertezza"; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio, chiedendo che sia dichiarata l’infondatezza della questione proposta; che la difesa erariale sostiene che la norma censurata sia ragionevole, in quanto la diversità di prova di accesso giustificherebbe il differente trattamento giuridico ed economico tra i ricorrenti, che non hanno sostenuto le tre prove concorsuali previste dall’art. 4, comma 14-bis, del decreto-legge n. 853 del 1984, convertito, con modificazioni, nella legge n. 17 del 1985, e gli altri dipendenti, che tali tre prove hanno invece sostenuto e superato; che sono intervenuti anche i ricorrenti nel giudizio a quo, i quali hanno sviluppato argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle dell’ordinanza di remissione ed hanno chiesto l’accoglimento della questione; che con successiva memoria il Presidente del Consiglio dei ministri ha sviluppato le argomentazioni dell’atto di intervento; che l’Avvocatura rileva che il remittente ha richiesto un intervento manipolativo-estensivo della norma censurata e sostiene l’inammissibilità di una tale pronuncia, in ragione della natura eccezionale e del carattere di beneficio della norma in questione; che l’art. 4, comma 14-bis, del decreto-legge n. 853 del 1984, in effetti, estende la disciplina contenuta nel d.P.R. n. 319 del 1972 (e, pertanto, la assimilabilità alle carriere direttive delle carriere speciali di concetto) al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie dell’amministrazione finanziaria, in possesso di certi requisiti; 194 che, secondo l’Avvocatura, la norma censurata avrebbe natura eccezionale, in quanto solo per le ex carriere speciali (che non conoscevano al loro interno, per i gradi inferiori, distinzioni tra carriere direttive e carriere di concetto) sussisterebbero ragioni per la assimilazione tra carriere di concetto e carriere direttiva, mentre, in ogni altra ipotesi, e pertanto anche in relazione ai dipendenti delle ex carriere ordinarie della amministrazione finanziaria, tale assimilazione si risolverebbe in un mero beneficio; che a sostegno di tale interpretazione la difesa erariale richiama le sentenze n. 190 del 1992 e n. 479 del 1993 di questa Corte, le quali hanno escluso la possibile estensione, mediante sentenza additivo-manipolativa, della disciplina in questione a personale diverso da quello espressamente previsto dal decreto-legge n. 853 del 1984; che la difesa erariale ribadisce, per il resto, la ragionevolezza della norma, che fonda il differente trattamento economico e giuridico sul maggiore rigore del concorso di accesso con tre prove scritte. Considerato che viene nuovamente all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17; che il suddetto art. 4, comma 14-bis, estende i benefici normativi ed economici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 1° giugno 1972, n. 319 (Riordinamento delle ex carriere speciali), al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche e amministrative) che abbia sostenuto concorsi di accesso alle carriere con almeno tre prove scritte nelle materie professionali e di istituto ed abbia svolto mansioni analoghe a quelle degli impiegati delle ex carriere speciali; che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, lamenta la violazione degli articoli 3, 36, 51 e 97 della Costituzione, in quanto la norma censurata, nell’estendere i suddetti benefici giuridici ed economici al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche ed amministrative) solo in presenza delle ricordate condizioni di accesso, non ha incluso tra le categorie beneficiarie l’intero personale della carriera di concetto (capi tecnici e geometri); che, in particolare, il remittente lamenta la violazione degli articoli 3, 36 e 51 della Costituzione, in quanto ad identiche qualifiche e mansioni nell’ambito della stessa pubblica amministrazione verrebbe riservato un trattamento economico e giuridico differente secondo il numero delle prove concorsuali sostenute al momento dell’accesso, e dell’art. 97 della Costituzione, in quanto nell’attribuire a personale di identica qualifica e mansione una posizione giuridica retributiva differente si determinerebbe una situazione illogica ed incoerente, che si tradurrebbe in uno stato di insufficiente serenità dei dipendenti interessati e creerebbe un clima di tensione ed incertezza; che, come questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 190 del 1992 e n. 479 del 1993 ed ordinanze n. 316 del 1991 e n. 484 del 1994), "la norma censurata ha un carattere del tutto derogatorio rispetto al sistema, né è in alcun modo riconducibile alla disciplina delle ex carriere speciali e della loro soppressione, fondandosi piuttosto su un apprezzamento discrezionale del legislatore, che ha inteso estendere ad alcune categorie di pubblici dipendenti i ricordati benefici sulla base di due presupposti, costituiti dall'articolazione del concorso di accesso su tre prove scritte e dall'analogia o identità delle mansioni svolte rispetto a quelle degli appartenenti alle carriere speciali"; che trattandosi di eccezioni fondate su uno specifico e circoscritto apprezzamento del legislatore, non può la Corte (cfr. sentenza n. 190 del 1992) estendere tale disciplina oltre i casi espressamente considerati, compiendo valutazioni di fatto e scelte ordinamentali che il legislatore, nell'uso dei poteri che gli competono, non ha inteso fare; che, d’altra parte, la censurata limitazione dell’estensione del beneficio al solo personale che abbia avuto accesso all’impiego pubblico mediante il superamento di tre prove concorsuali, contrariamente a quanto assume il remittente, non è affatto irragionevole, poiché il maggiore numero di prove sostenute è di per sé un elemento non incongruo per differenziare i dipendenti nell’ambito della stessa categoria; che si deve, peraltro, sottolineare che le prove di concorso per i profili professionali in questione sono state tre fino all’entrata in vigore dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1970, n. 1077 (Riordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato); che, anteriormente, l’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) disponeva, infatti, che per l’accesso alle carriere di concetto "le prove scritte devono essere almeno due", mentre l’art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1959, n. 1340 (Norme per i concorsi di ammissione e di promozione nelle carriere dell’Amministrazione finanziaria) faceva 195 riferimento al quadro B/1 annesso al decreto stesso, il quale prevedeva per i profili in questione tre prove scritte; che, successivamente, il ricordato art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1077 del 1970 ha previsto "due prove scritte ed un colloquio", per cui solo a decorrere dall’entrata in vigore di questa disposizione si sono avuti concorsi con due prove scritte; che il riferimento alle tre prove scritte si risolve in un riferimento temporale e di conseguenza può essere richiamato il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale "lo stesso fluire del tempo costituisce un elemento diversificatore delle situazioni giuridiche" (cfr. ordinanze n. 121 del 2003 e n. 108 del 2002); che, pertanto, la questione posta dal remittente in riferimento agli articoli 3, 36 e 51 della Costituzione è manifestamente infondata; che è, d’altro canto, inconferente il richiamo dell’articolo 97 della Costituzione, atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ordinanze n. 263 del 2002 e n. 205 del 1998), il principio del buon andamento non è invocabile al fine di conseguire miglioramenti economici da parte del personale dipendente della pubblica amministrazione. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, 51 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2005. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2005. 196 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Piero Alberto CAPOTOSTI, presidente e Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la Sentenza n. 274 del 2005 (Processo tributario – Cessata materia del contendere - Pagamento delle spese da parte dell'amministrazione virtualmente soccombente) nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza del 14 ottobre 2003 dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli sul ricorso proposto da Costruzioni Cerimele S.p.a. in liquidazione contro l’Ufficio delle entrate di Napoli 1, iscritta al n. 1021 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2005. Udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il giudice relatore Annibale Marini. Ritenuto in fatto. 1. Con ordinanza del 9 dicembre 1997 la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), «nella parte in cui preclude ai giudici, nella declaratoria di estinzione della controversia per cessazione della materia del contendere, di condannare l’amministrazione virtualmente soccombente al pagamento delle spese». Con successiva ordinanza del 14 ottobre 2003 il medesimo giudice ha rinnovato l’ordine di trasmissione degli atti a questa Corte, rimasto precedentemente ineseguito. 1.1. Il giudizio a quo ha ad oggetto l’impugnativa di una cartella di pagamento emessa nell’anno 1996 dal I Ufficio IVA di Napoli nei confronti di una società in liquidazione, per l’importo di £. 1.401.962.497. In punto di fatto, il giudice adito ha accertato che, successivamente all’instaurazione del giudizio, l’ufficio impositore aveva disposto lo sgravio, in sede di autotutela, dell’intera somma iscritta a ruolo. Cessata di conseguenza la materia del contendere, rileva il rimettente che andrebbe dichiarata l’estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 46, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, con conseguente applicabilità della disposizione di cui al comma 3 dello stesso articolo, secondo cui «le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge». Si tratta – continua il rimettente – di una disposizione che preclude l’applicabilità, nel processo tributario, della disciplina propria del processo civile, secondo la quale il regolamento delle spese, 197 nel caso di cessazione della materia del contendere, consegue invece alla valutazione della soccombenza virtuale rimessa al giudice della causa. 1.2. Ad avviso del medesimo rimettente, la norma in questione si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali sotto un duplice profilo. In primo luogo – tenuto conto che, per la particolare natura del processo tributario, solo il contribuente può assumere la veste di ricorrente e d’altro canto la cessazione della materia del contendere consegue, normalmente, ad atti compiuti dall’amministrazione convenuta in via di autotutela – sarebbe leso il principio di uguaglianza di trattamento tra le parti del processo, esonerandosi irragionevolmente l’amministrazione dall’onere del pagamento delle spese anticipate dalla controparte. In secondo luogo, considerata l’esistenza dell’obbligo di difesa tecnica per le cause di valore superiore a £. 5.000.000, la norma di cui si tratta costituirebbe un indubbio ostacolo all’esercizio, da parte del contribuente, del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 della Costituzione. Considerato in diritto. 1. La Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), secondo cui, in caso di estinzione del giudizio per definizione delle pendenze tributarie o per qualsiasi altra ipotesi di cessazione della materia del contendere, le spese restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge. La norma impugnata violerebbe il principio di eguaglianza, favorendo ingiustamente l’amministrazione finanziaria nei confronti della controparte, e si porrebbe altresì in contrasto con il diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, operando in funzione obiettivamente dissuasiva rispetto all’esercizio, da parte del contribuente, del diritto alla tutela giurisdizionale. 2. L’art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992 è stato più volte oggetto di scrutinio di legittimità costituzionale, in riferimento a diversi parametri ed anche all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell’asserita violazione del principio di eguaglianza rispetto al tertium comparationis rappresentato dalla disciplina del processo civile. Le relative questioni sono state dichiarate non fondate (sentenza n. 53 del 1998), manifestamente infondate (ordinanze n. 465 del 2000, n. 265 e n. 77 del 1999, n. 368 del 1998) o manifestamente inammissibili (ordinanza n. 68 del 2005). La questione di legittimità costituzionale della stessa norma deve essere ora esaminata sotto il diverso aspetto, anch’esso evocato dal rimettente, della irragionevolezza della norma censurata. Il rimettente, infatti, nel rilevare che la norma avvantaggia in maniera ingiustificata la parte che determina con un proprio comportamento volontario la cessazione della materia del contendere (il che, egli afferma, «può avvenire – e avviene con maggior frequenza – per effetto di ravvedimento dell’Amministrazione finanziaria nel corso della controversia attraverso l’istituto dell’autotutela») denuncia solo apparentemente una violazione del principio di eguaglianza tra le parti del processo – proprio in quanto, come egli stesso implicitamente riconosce, della norma può giovarsi talvolta anche il contribuente – ma in realtà pone in dubbio la ragionevolezza stessa del regolamento delle spese dettato, in riferimento a tale ipotesi astratta, dalla norma impugnata. 2.1. La questione, prospettata in tali termini, è fondata. Occorre muovere dalla premessa che il processo tributario è in linea generale ispirato – non diversamente da quello civile o amministrativo – al principio di responsabilità per le spese del giudizio, come dimostrano l’art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, salvo il potere di compensazione della commissione tributaria (a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile), e l’art. 44 del medesimo decreto legislativo, secondo cui, in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante quel principio, si traduce, dunque, in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’amministrazione, o l’acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo 198 tributario, dell’assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio. L’intrinseca irragionevolezza della norma, in quanto riferita all’ipotesi di ritiro dell’atto impugnato, che ricorre nel giudizio a quo, emerge del resto con particolare evidenza anche nel confronto con la disciplina prevista per l’ipotesi di annullamento o riforma dell’atto, in via di autotutela, nel corso del processo amministrativo, avente analoga natura impugnatoria. L’art. 23, settimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), dispone infatti, in tal caso, che «il tribunale amministrativo regionale dà atto della cessata materia del contendere e provvede sulle spese», anche, ovviamente, dichiarandone la compensazione qualora ne ricorrano i presupposti. 3. L’art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992 risulta in definitiva lesivo, sotto l’aspetto considerato, del principio di ragionevolezza, riconducibile all’art. 3 della Costituzione, e ne va di conseguenza dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui si riferisce alle ipotesi – cui esclusivamente ha riguardo l’ordinanza di rimessione – di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge, dovendo, pertanto, in tali ipotesi la commissione tributaria pronunciarsi sulle spese ai sensi dell’art. 15, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992. Resta assorbita ogni altra e diversa censura avanzata dal rimettente. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2005. Depositata in cancelleria il 12 luglio 2005. 199 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano la Corte costituzionale composta dai signori: Piero Alberto CAPOTOSTI, presidente e Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, giudici, ha pronunciato la Sentenza n. 322 del 2005 (Assenza dal servizio per ragioni di salute) nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso con ordinanza del 9 luglio 2004 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Be.Ca. ed altri e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, iscritta al n. 894 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2004. Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell’8 giugno 2005 il giudice relatore Alfonso Quaranta. Ritenuto in fatto. 1. Nel corso di un giudizio, promosso nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca da alcuni insegnanti dichiarati permanentemente inidonei allo svolgimento della funzione di docente per motivi di salute e utilizzati in altri compiti, volto all’accertamento del diritto, in ragione di quanto previsto dai contratti collettivi di settore, alla conservazione del rapporto di impiego, il tribunale di Roma, con ordinanza del 9 luglio 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), per violazione degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione. 1.1. La norma sospettata di illegittimità costituzionale dispone che «il personale docente dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, dalla commissione medica operante presso le aziende sanitarie locali, qualora chieda di essere collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti, è sottoposto ad accertamento medico da effettuare dalla commissione di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 157, come modificato dall’articolo 5 del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278, competente in relazione alla sede di servizio. Tale commissione è competente altresì ad effettuare le periodiche visite di controllo disposte dall’autorità scolastica. Il personale docente collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti per inidoneità permanente ai compiti di istituto può chiedere di transitare nei ruoli dell’amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico. Il predetto personale, qualora non transiti in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri compiti. Decorso tale termine, si procede alla risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle 200 disposizioni vigenti. Per il personale già collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti, il termine di cinque anni decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge». Il giudice a quo premette che l’accertamento della inidoneità permanente risale, per tutti i ricorrenti, a data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 289 del 2002 e che l’utilizzazione del personale docente, inidoneo allo svolgimento delle proprie funzioni, è disciplinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del comparto scuola, sottoscritto il 4 agosto 1995, dal contratto collettivo decentrato nazionale (CCDN), stipulato il 1° febbraio 1996 e modificato dal successivo CCDN del 24 ottobre 1997, nonché dal contratto collettivo decentrato provinciale (CCDP), sottoscritto il 18 marzo 1999; disciplina che riguarda, altresì, anche il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (personale ATA), nonché i dirigenti. La norma censurata, ad avviso del rimettente, introduce una causa di "licenziamento in futuro", peraltro diversa dalla generale previsione di legge del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, per la sola categoria docente cui appartengono i ricorrenti. Tale norma, quindi, comporterebbe un danno economico legato alla perdita della progressione economica di carriera, con conseguenze sul trattamento pensionistico e sulla indennità di liquidazione e discriminerebbe il personale docente inidoneo rispetto al personale scolastico dirigente ed amministrativo, analogamente inidoneo, per il quale non è previsto alcun transito ad altra amministrazione, né la risoluzione del rapporto di lavoro. Vi sarebbe, altresì, una disparità di trattamento nei confronti del personale docente per mancata applicazione delle tutele di cui agli artt. 33 e 34 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), relativi alla gestione delle eccedenze di personale e alla mobilità collettiva. La norma violerebbe, inoltre, il principio di tutela delle posizioni lavorative dei portatori di handicap, di cui all’art. 39 del d.lgs. n. 165 del 2001, in base al quale le pubbliche amministrazioni ne devono promuovere l’assunzione e non il licenziamento. La disposizione censurata contrasterebbe, quindi, con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, in quanto verrebbe ad introdurre una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le altre due categorie di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti e personale ATA). 2. È intervenuto in giudizio, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha dedotto preliminarmente la inammissibilità della questione, attesa la carenza di adeguata motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della stessa. 2.1. Secondo la difesa erariale, l’ordinanza di rimessione risulterebbe, infatti, priva di argomentazione circa gli effetti della invocata pronuncia di incostituzionalità rispetto all’esito del giudizio a quo, del quale non viene neanche indicato chiaramente il contenuto della domanda e, in particolare, il tipo di pronuncia richiesto. Ciò anche in ragione della circostanza che manca qualsiasi provvedimento che incida sul rapporto di lavoro dei ricorrenti. Deduce la difesa dello Stato, quindi, come lo scopo del giudizio a quo appaia proprio il conseguimento della declaratoria di illegittimità costituzionale, circostanza che, per l’appunto, renderebbe inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio principale, la questione stessa. Il giudice a quo si sarebbe poi limitato solo ad affermare apoditticamente la sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza, mediante il semplice rinvio alle argomentazioni prospettate dalla difesa dei ricorrenti. Dovrebbe, pertanto, trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la questione di legittimità costituzionale è manifestamente inammissibile nei casi in cui il giudice a quo si limiti a rinviare per relationem al contenuto di un atto della parte privata senza esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a dubitare della legittimità costituzionale della norma censurata e senza descrivere la fattispecie sottoposta alla Corte. 2.2. Nel merito, l’Avvocatura chiede che la questione sia dichiarata non fondata. Essa deduce, al riguardo, come non sembri sufficiente, per ritenere che la norma denunciata abbia violato il parametro costituzionale della parità di trattamento sancito dall’art. 3 della Costituzione, il confronto con la distinta disciplina prevista dalla contrattazione collettiva per tutte le categorie del personale scolastico (personale docente, personale amministrativo, tecnico e ausiliario e dirigenti, vale a dire presidi e direttori didattici); disciplina che, a seguito dell’entrata in vigore della norma in esame, continuerebbe ad applicarsi al personale diverso da quello docente. Secondo la difesa erariale, infatti, l’appartenenza di tutte le categorie di personale sopra indicato all’amministrazione scolastica non è sufficiente a superare le profonde differenze esistenti nei profili professionali del personale docente, da una parte, e di quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, nonché di quello dirigente, dall’altra. In realtà, mentre è possibile ipotizzare che il soggetto dichiarato inidoneo all’insegnamento, ma idoneo ad altri compiti, possa essere utilmente impiegato in altri settori della 201 stessa amministrazione o di altra amministrazione statale o ente pubblico, di converso non è facilmente ipotizzabile una soluzione simile anche per il personale scolastico dirigente o amministrativo dichiarato inidoneo, per motivi di salute, a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza. L’Avvocatura ricorda, altresì, come il comma 6 dell’art. 35 della legge n. 289 del 2002 stabilisca che «per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza non si procede al collocamento fuori ruolo. I collocamenti fuori ruolo eventualmente già disposti per detto personale cessano il 31 agosto 2003». Infine, la difesa dello Stato deduce come non si possa sostenere che la norma censurata leda il principio della tutela del lavoro ed il diritto alla retribuzione dei lavoratori, riconosciuti rispettivamente dagli artt. 35 e 36 della Costituzione, in quanto la risoluzione del rapporto di lavoro viene individuata, come estrema ratio, nell’ipotesi in cui il docente dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, non intenda chiedere, nel termine massimo di cinque anni, di transitare nei ruoli dell’amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico. In questo caso la risoluzione del rapporto di lavoro discende direttamente dalla mancata volontà del dipendente di trovare, comunque, nel settore pubblico ed in tempi sicuramente ragionevoli, una nuova ed idonea collocazione lavorativa confacente al proprio stato di salute. 2.3. Con successiva memoria, l’Avvocatura ha insistito nelle richieste già formulate ribadendo le difese svolte. Considerato in diritto. 1. Il tribunale di Roma, adìto con ricorso da alcuni insegnanti, dichiarati permanentemente inidonei allo svolgimento della funzione di docente per motivi di salute e utilizzati in altri compiti, per l’accertamento del diritto degli stessi alla conservazione del rapporto di lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), per violazione degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione. 1.1. La norma in questione dispone che il personale docente, dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, collocato fuori ruolo o utilizzato diversamente, può chiedere di transitare nei ruoli dell’amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico; qualora non transiti in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri compiti e, decorso tale termine, si procede alla risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni vigenti. L’ultimo inciso dell’art. 35, comma 5, contiene una disposizione transitoria, in ragione della quale, per il personale già collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti (è questa la condizione in cui si trovano i ricorrenti nel giudizio a quo), il termine di cinque anni decorre dalla data di entrata in vigore della legge medesima. Ad avviso del rimettente, la norma in esame contraddice quanto previsto dalla normativa contrattuale di settore, arreca un danno economico ai ricorrenti e viola il principio della tutela delle posizioni lavorative dei portatori di handicap (art. 39 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che reca «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»). La disposizione censurata sarebbe, quindi, lesiva degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, in quanto introdurrebbe una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le altre due categorie di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario – personale ATA). Si realizzerebbe, in particolare, una disparità di trattamento nei confronti del personale docente per la mancata applicazione, nei confronti dello stesso, delle tutele previste dagli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001. Il tribunale ha osservato, in ordine alla rilevanza della questione, che la risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi della disposizione impugnata, in ragione delle condizioni oggettive e soggettive in cui si trovano i ricorrenti, potrebbe avvenire «in qualsiasi momento e comunque entro gennaio 2008». 2. Ciò precisato, occorre darsi carico, preliminarmente, della eccezione di inammissibilità della questione, per carenza di motivazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato. 202 L’eccezione non è fondata. 2.1. Il giudice rimettente ha esplicitato, con motivazione non implausibile (cfr. sentenze n. 147 del 2005 e n. 339 del 2004), le ragioni della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, chiarendo, in particolare, come il giudizio a quo sostanzialmente abbia ad oggetto una domanda di accertamento del diritto alla conservazione del rapporto di impiego, diritto di cui i ricorrenti prospettano la lesione per effetto dell’applicazione della norma sospettata di illegittimità costituzionale. 3. La questione, però, deve essere dichiarata inammissibile per la parte che riguarda l’indicazione, quali parametri che si assumono violati, degli artt. 35 e 36 della Costituzione, in quanto viene enunciata dal rimettente senza alcuna motivazione specifica (ex multis, ordinanze n. 149 del 2005, n. 318 e n. 156 del 2004). 4. Con riferimento, dunque, al solo parametro dell’art. 3 della Costituzione, ai fini dell’esame nel merito della questione sollevata dal giudice a quo, è opportuno procedere ad una ricognizione della disciplina che regola la fattispecie, con la precisazione che restano estranee allo scrutinio di costituzionalità tutte le questioni relative alla disciplina della materia contenuta in atti di contrattazione collettiva per le varie categorie di personale della scuola, quale che sia la funzione svolta o il profilo professionale di appartenenza. 4.1. La norma sospettata di illegittimità costituzionale si inserisce nell’ambito della disciplina della dispensa dal servizio per assoluta e permanente inidoneità fisica o incapacità o persistente insufficiente rendimento del personale docente e dei dirigenti, di cui all’art. 512 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado). Analoga disposizione, di carattere generale per tutto il personale del pubblico impiego, è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale all’art. 71 stabilisce che, scaduto il periodo massimo di aspettativa per infermità previsto dall’art. 68 o dall’art. 70 dello stesso decreto, l’impiegato che risulti non idoneo per infermità a riprendere servizio è dispensato ove non sia possibile utilizzarlo, su domanda, in altri compiti attinenti alla sua qualifica. Per il comparto della scuola (docenti, dirigenti e impiegati), per effetto degli artt. 514 e 579 del d.lgs. n. 297 del 1994, il personale dichiarato inidoneo all’espletamento della propria funzione per motivi di salute può, a domanda, essere utilizzato in altri compiti. Va, inoltre, ricordato che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, richiamati dal giudice a quo come parametri interposti, hanno disciplinato, rispettivamente, le "eccedenze di personale" e la "mobilità collettiva" (art. 33), da un lato, e la "gestione del personale in disponibilità" (art. 34), dall’altro. Dette norme, in connessione anche con il successivo art. 34-bis, dispongono, tra l’altro, che: a) la riduzione del personale eccedente può avvenire secondo una procedura, che coinvolga le organizzazioni sindacali, rigidamente disciplinata; procedura che si conclude – ove il personale in esubero non possa essere impiegato diversamente nell’ambito della medesima amministrazione ovvero ricollocato presso altre amministrazioni – con il collocamento in disponibilità per la durata massima di ventiquattro mesi; b) il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi (art. 34, comma 1) tenuti dal Dipartimento della funzione pubblica per i dipendenti lato sensu statali (comma 2) e dalle strutture regionali e provinciali, di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 (Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59) per gli altri dipendenti pubblici; entrambe le suindicate strutture hanno il compito di provvedere alla riqualificazione professionale dello stesso personale ed alla ricollocazione degli interessati presso altre amministrazioni, collaborando e coordinandosi tra loro; c) decorso infruttuosamente il periodo di ventiquattro mesi, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto. 4.2. Quanto alla giurisprudenza di questa Corte, va ricordato che con sentenza n. 3 del 1994, nel pronunciare l’illegittimità costituzionale dell’art. 132, primo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957 (nella parte in cui non prevedeva la riammissione in servizio per chi fosse stato dispensato per motivi di salute), la Corte ha affermato che «la dispensa per motivi di salute si fonda su una situazione (lo stato di infermità) la quale (…) è ovviamente indipendente dalla volontà dell’interessato – per cui certamente esula dal provvedimento una valutazione negativa del comportamento dell’impiegato (e 203 comunque qualsiasi profilo sanzionatorio)». Va ricordato, altresì, come la Corte, con la sentenza n. 212 del 1983, nell’esaminare gli effetti dell’assenza dal servizio per infermità del docente non di ruolo, ha affermato che «in tutto l’ambito della pubblica amministrazione non è mai riconosciuto all’impiegato il diritto ad un’assenza illimitata dal servizio a causa d’infermità; è sempre stabilito, invece, un periodo più o meno lungo, decorso il quale, ove l’impiegato non sia in grado di riprendere servizio, si fa luogo alla cessazione del rapporto d’impiego, applicando, secondo i casi, gli istituti all’uopo preordinati (collocamento a riposo per motivi di salute, dispensa dal servizio per inabilità fisica, licenziamento, ecc.)». Va ricordato, infine che, con sentenza n. 388 del 2004, questa Corte ha avuto modo di affermare che «l’art. 34 del d.lgs. n. 165 del 2001 enuncia esplicitamente il principio per cui il personale in esubero presso pubbliche amministrazioni, sia statali che locali, deve poter essere ricollocato durante il periodo di mobilità presso altre amministrazioni sia per evitare la cessazione definitiva del rapporto di lavoro sia anche per realizzare, in termini globali, un contenimento della spesa per il personale». 4.3. Dall’esame delle richiamate disposizioni normative, dunque, e dalla giurisprudenza di questa Corte emerge con chiarezza che sussiste un principio generale, nell’ordinamento del pubblico impiego, in forza del quale il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima di essere dispensato, deve essere posto nelle condizioni di continuare a prestare servizio nell’assolvimento di compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneità fisica. Soltanto nel caso in cui non sia possibile tale utilizzazione, o per ragioni di carattere oggettivo o per scelta dell’interessato, ne è disposto il collocamento a riposo d’autorità. 5. Tanto rilevato, deve essere esaminata la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata per asserita violazione dell’art. 3 della Costituzione in ragione della ingiustificata disparità di trattamento che sussisterebbe tra il personale docente, da un lato, e il personale dirigente e amministrativo, tecnico ed ausiliario, dall’altro. Secondo, infatti, la prospettazione formulata dall’ordinanza di rimessione, tale disparità di trattamento deriverebbe sia dalla impossibilità di applicare al personale docente le disposizioni degli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, sia dalla sussistenza – in ordine al medesimo personale – di una disciplina differenziata, in senso sfavorevole, rispetto a quanto previsto per i dirigenti e per il personale ATA. 5.1. La questione non è fondata. 5.2. Quanto al primo profilo, si può osservare che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001 attengono ad istituti diversi, strutturalmente e funzionalmente, rispetto a quello interessato dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale. 5.3. In merito poi alla denunciata disparità di trattamento del personale docente rispetto al personale dirigente e al personale ATA, in ragione della previsione solo per i primi della risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 35, comma 5, della legge n. 289 del 2002, va osservato che le indicate tipologie di personale versano in una situazione di stato giuridico che non ne consente l’assimilazione in una unica categoria, con la conseguenza che non è irragionevole la previsione di una diversa disciplina in materia. Il Titolo I della Parte III del d.lgs. n. 297 del 1994 (artt. da 395 a 541), la cui rubrica reca "Personale docente, educativo, direttivo e ispettivo", agli artt. 395 e 396 definisce in maniera specifica la funzione docente (intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità), rispetto alla funzione direttiva (prevedendosi per questa che «il personale direttivo assolve alla funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di istituto; a tal fine presiede alla gestione unitaria di dette istituzioni, assicura l’esecuzione delle deliberazioni degli organi collegiali ed esercita le specifiche funzioni di ordine amministrativo, escluse le competenze di carattere contabile, di ragioneria e di economato, che non implichino assunzione di responsabilità proprie delle funzioni di ordine amministrativo»). L’art. 25 del d.lgs. n. 165 del 2001, al comma 1, prevede, poi, che nell’ambito dell’amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia a norma dell’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, agli effetti dell’articolo 21, per i risultati conseguiti, che 204 sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale. Quanto alla disciplina del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (personale ATA), essa è contenuta nel Titolo II della Parte III (artt. da 542 a 580) del d.lgs. n. 297 del 1994. In particolare, per il personale in questione l’art. 579, comma 1, prevede che «gli impiegati appartenenti al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, se riconosciuti permanentemente non idonei agli specifici compiti del ruolo di appartenenza, possono essere trasferiti, a domanda, con decreto del provveditore agli studi, su parere favorevole del consiglio di amministrazione provinciale, sempre che vi sia disponibilità di posti, in altro profilo professionale della medesima qualifica funzionale per i cui compiti sia loro riconosciuta la necessaria idoneità». Alla luce delle citate disposizioni è palese che il giudice a quo muove dall’erroneo convincimento che le tre categorie di personale, che operano nel mondo della scuola (personale docente, dirigente e ATA), siano riconducibili ad una medesima disciplina di stato giuridico, con la conseguenza che sarebbe ingiustificata una diversa regolamentazione in ordine alle modalità e alla durata del trattenimento in servizio in caso di riconosciuta inabilità allo svolgimento delle rispettive funzioni di istituto per motivi di salute. Il presupposto di tale convincimento non corrisponde al dato normativo, il quale si caratterizza per discipline di stato giuridico distinte per le tre categorie. Si tratta, infatti, di categorie che presentano sostanziali diversità di funzioni, che giustificano la differenziata valutazione operata dal legislatore – con scelta discrezionale non irragionevole – in ordine al collocamento fuori ruolo e all’assegnazione a compiti diversi da quelli inerenti alla qualifica di appartenenza originaria. Non può, quindi, essere affermata l’esistenza di quella identità di situazioni giuridiche, rispetto alle quali la disciplina impugnata sia idonea a determinare una disparità di trattamento rilevante agli effetti dell’art. 3 della Costituzione. Inoltre, in un complessivo quadro di misure volte alla razionalizzazione delle risorse finanziarie per la scuola e nell’ambito di una politica generale di contenimento della spesa, trovano giustificazione norme dirette alla più proficua utilizzazione del personale che, pur non idoneo per ragioni di salute all’espletamento della funzione docente, può essere ancora proficuamente utilizzato in altre funzioni, previo il transito presso altre strutture organizzative pubbliche. Né è senza significato che il comma 6 dello stesso art. 35 oggetto di censura stabilisca che «per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza non si procede al collocamento fuori ruolo» e che «i collocamenti fuori ruolo eventualmente già disposti per detto personale cessano il 31 agosto 2003». Alla luce, pertanto, delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente in riferimento all’art. 3 della Costituzione. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE - dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento agli articoli 35 e 36 della Costituzione, dal tribunale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe; - dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della predetta legge n. 289 del 2002, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal tribunale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2005. Depositata in cancelleria il 26 luglio 2005. 205 CORTE DI CASSAZIONE Sezioni unite civili Sentenza 30 marzo 2005 n. 6635 (Giurisdizione e rapporto di impiego dei professori) Presidente: Prestipino – Relatore: Roselli G.D'A. c. C.B. e Ministero dell'università. Svolgimento del processo Con ricorso del 21 dicembre 2000 al Tribunale amministrativo regionale del Lazio P.C. e C.B., professori universitari, chiedevano l'annullamento del decreto del 25 ottobre precedente, con cui il Ministero dell'università aveva nominato G.D'A. rettore dell'Università dì Roma "La Sapienza". Questo decreto era, secondo i ricorrenti, illegittimo perché emesso sulla base di norme dello statuto universitario formulato in violazione dell'art. 97, commi 1 e 2, d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, che attribuiva il diritto dì elettorato attivo per la carica dì rettore ai soli professori ordinari, straordinari ed associati. Le dette norme statutarie ed in particolare l'art. 10, comma 3, estendevano il corpo elettorale ad alcuni studenti e personale tecnico-amministrativo, in tal modo limitando lo status di elettori, del quale erano titolari gli stessi ricorrenti, il cui voto singolo veniva attenuato nel suo valore, ossia nella sua attitudine a concorrere alla costituzione della carica di rettore. Il D'A., costituitosi, chiedeva con ricorso a queste sezioni unite il regolamento preventivo di giurisdizione, mentre il C. controricorreva. Il Pubblico ministero chiedeva dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo. MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo il ricorrente afferma il difetto assoluto di giurisdizione per improponibilità della domanda, non fondata su alcuna posizione giuridica soggettiva. Infatti le norme invocate a sostegno del ricorso al TAR non cancellano in alcun modo, secondo l'attuale ricorso ex art. 41 c.p.c., il diritto di voto di ciascuno degli elettori, peraltro regolarmente esercitato, ma si limitano ad ampliare il corpo elettorale. Il fatto che tale estensione possa indirettamente ridurre il peso del voto di alcuni di loro costituisce un pregiudizio capace di incidere, ad avviso del ricorrente, su un mero interesse di fatto, ma non anche su un interesse giuridico. Ciò basterebbe ad escludere la giurisdizione amministrativa e più in generale qualsiasi tutela giurisdizionale. Il motivo non è fondato. Da lungo tempo queste sezioni unite affermano potersi ravvisare un difetto assoluto di giurisdizione solo quando manchi nell'ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio, sì che non possa individuarsi alcun giudice titolare del potere di decidere. Attiene, per contro, al merito della controversia ogni questione attinente all'idoneità di una norma di diritto a tutelare il concreto interesse affermato dalla parte in giudizio (da ult. Cass. sez. un. 8 luglio 2003 n. 10734, in termini). Nel caso di specie attraverso il ricorso al TAR la parte ha invocato norme del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, che a suo avviso forniscono concreta tutela ai professori universitari titolari del diritto di eleggere il rettore senza che l'effettivo contenuto dello stesso diritto venga illegittimamente diminuito, mentre attiene al merito della controversia l'accertamento della sussistenza della lesione lamentata. 206 Col secondo motivo il ricorrente sostiene l'appartenenza della lite alla giurisdizione ordinaria sia per trattarsi di diritto soggettivo non affievolito da alcun provvedimento amministrativo, sia in forza della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, attuata con il d.lgs. n. 165 del 2001. Neppure questo motivo è fondato. Il decreto legislativo n. 165 del 2001, nel dettare norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, attribuisce al giudice ordinario, in funzione dì giudice del lavoro, le relative controversie (art. 63, comma 1) ma lascia al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, quelle relative ai rapporti di lavoro di cui all'art. 3 (art. 63. comma 4). tra le quali quelle concernenti il rapporto d'impiego dei professori e ricercatori universitari (art. 3, comma 2). Nel caso di specie la controversia ha per oggetto lo status del professore universitario ricorrente in quanto dipendente da una pubblica amministrazione, né dagli atti di causa risultano parti diverse da professori o ricercatori, oltreché dalla pubblica amministrazione datrice di lavoro (la giurisdizione amministrativa in materia è stata affermata, seppure in fattispecie parzialmente diversa, da Cass. 17 aprile 2003 n. 6220, riferita anch'essa all'art. 63 d.lgs. n. 165 del 2001). Dichiarata la giurisdizione amministrativa, le spese processuali gravano sul ricorrente. P.Q.M. La Corte dichiara la giurisdizione dell'autorità giudiziaria amministrativa e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali complessivamente in euro duemilacento di cui euro duemila per onorario, oltre a spese generali ed accessori di legge. Depositata in cancelleria il 30 marzo 2005. 207 CORTE DI CASSAZIONE Sezioni unite civili Sentenza 31 marzo 2005 n. 6745 (Concorrenza di giurisdizioni) Presidente: Carbone – Relatore: Ciuffi DIRITTO Ha osservato in diritto quanto segue. "La Corte costituzionale, con la sentenza 28 luglio 2004 n. 281, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34 comma 1 e 2 del decreto legislativo n. 80 del 1998 nella parte in cui, eccedendo dai limiti della delega, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la materia dell'edilizia e dell'urbanistica, e non si è limitato ad estendere la giurisdizione amministrativa - nei limiti in cui essa, in base alla disciplina previgente, già conosceva di quella materia, sia a titolo di legittimità che in via esclusiva - alle controversie concernenti i diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno. Conseguentemente, secondo la Corte, l'art. 35 va interpretato nel senso che il potere di riconoscere i diritti patrimoniali consequenziali, ivi incluso il risarcimento del danno, è limitato alle sole ipotesi in cui il giudice amministrativo fosse già munito di giurisdizione, tanto di legittimità quanto esclusiva. Ancor più esplicitamente nella precedente pronuncia n. 204 del 6 luglio 2004, la Corte aveva affermato che la dichiarazione di incostituzionalità non investiva in alcun modo l'art. 7 della legge n. 205 del 2000 nella parte in cui sostituiva l'art. 35 del d.lg. n. 80 del 1998: il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce, infatti, sotto alcun profilo, una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. Secondo la Corte, l'attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato, ma anche, e soprattutto, affonda le sue radici nella previsione dell'art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi "olim" di giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l'eventuale risarcimento del danno, costituisce null'altro che l'attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost. Ciò premesso, va rilevato che, nel sistema normativo previgente alla riforma del 1998-2000, era stata costantemente riconosciuta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per l'intera area delle concessioni edilizie (v. Cass. 2003 n. 5903; 2001 n. 15641; 1998 n. 11934); ivi comprese, ovviamente, quelle in materia di sanatorie. Come incidentalmente affermato nella sentenza delle sezioni unite n. 500/1999 (ed in altre pronunce successive, quali ordinanza 2001 n. 15641; sentenza 2003 n. 157), per i giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998 non si poneva il problema di una giurisdizione esclusiva estesa ai diritti patrimoniali consequenziali, in ragione del limite posto dall'art. 7 della legge n. 1034 del 1971. Nella stessa sentenza, peraltro, si rilevava, per completezza di esame, che in relazione alle controversie instaurate a partire dal 1° luglio 1998, la realizzata concentrazione dinanzi al giudice amministrativo della giurisdizione piena (di annullamento e di risarcimento), nella materia attribuita alla giurisdizione esclusiva di detto giudice, risolveva in radice il problema. 208 La conferma di ciò si ha nel fatto che nei lavori parlamentari che preludevano alla legge 205/2000 si affermava che, con la novella integrale degli artt. 33, 34 e 35 del d.lgs. 80/1998, si tendeva, tra l'altro, "a superare alcuni problemi posti dalla sentenza n. 500/1999". Tutto ciò premesso, trattasi di stabilire se, alla luce della predetta normativa, e della lettura datane dalla Corte costituzionale, il privato possa richiedere al giudice amministrativo anche il risarcimento del danno, o debba necessariamente farlo, risultandogli preclusa la facoltà dì chiedere autonomamente il risarcimento del danno dinanzi al giudice ordinario. Orbene, l'ampiezza della formulazione della norma di cui all'art. 35 cit., l'esiguità della riserva di giurisdizione ordinaria fatta salva nella seconda parte della disposizione; la chiara volontà del legislatore desumibile dai lavori preparatori; il carattere categorico delle affermazioni contenute nelle decisioni della Corte costituzionale, ove chiaramente si privilegia l'esigenza, in attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost., di concentrare dinanzi ad un medesimo giudice la tutela piena ed effettiva delle situazioni giuridiche soggettive; sono tutti argomenti che inducono a ritenere maggiormente fondata la seconda ipotesi, Interpretazioni approdanti al risultato della concorrenza delle giurisdizioni nell'area del risarcimento del danno da esercizio dei poteri amministrativi rischierebbero, come è stato autorevolmente osservato - di rompere l'equilibrio costituzionale delineato nelle decisioni della Corte, introducendo poi inevitabili incertezze, non essendo la formazione del "diritto vivente" in materia affidato all'elaborazione di un unico giudice. Inoltre, tali interpretazioni contrasterebbero con il principio generale che esclude il condizionamento della giurisdizione rispetto a ragioni di connessione, precludendo l'ordinamento che la scelta del giudice possa dipendere dalla strategia processuale della parte che agisce in giudizio; ancor più perché si rimetterebbe alla volontà delle parti il realizzare o meno quella concentrazione dì tutela giudiziaria, la cui ratio è alla base della soluzione legislativa, avallata dal giudice delle leggi, che ha attribuito alla giurisdizione amministrativa anche le controversie risarcitorie". Questa Corte condivide le osservazioni del Pubblico ministero, e le fa proprie. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara la giurisdizione esclusiva dell'autorità giudiziaria amministrativa e condanna F.R. a rifondere al Comune dì Macchiagodena le spese di lite, che liquida in 1,600,00 euro (di cui 1.500,00 per onorari), oltre accessori di legge. Roma, 3 marzo 2005. Depositata in cancelleria il 31 marzo 2005. 209 CONSIGLIO DI STATO Sezione IV Sentenza 13 aprile 2005 n. 1745 (Accesso e segreto d’ufficio) Presidente: Riccio – Estensore: Cacace Ministero di grazia e giustizia (Avv.ra Stato) c. G. (avv. Manzo) - Conferma T.A.R. Lazio - Roma, sez. I, sentenza n. 1338 del 1998. FATTO Con l'impugnata decisione, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, I sezione, ha accolto il ricorso proposto dall'odierno appellato, iscritto nell'albo delle persone idonee all'ufficio di presidente di seggio elettorale tenuto presso la cancelleria della Corte di appello di Roma, statuendo il diritto di accesso dello stesso all'albo medesimo, nonché ai provvedimenti di nomina dei presidenti di seggio in alcune consultazioni elettorali degli anni 1995, 1996 e 1997. Ricorre in appello il Ministero di grazia e giustizia, chiedendo la riforma della sentenza. Resiste l'appellato con analitica memoria, che, premessa eccezione di inammissibilità dell'appello, conclude per la sua manifesta infondatezza. Con ordinanza n. 1202/98, pronunciata nella Camera di consiglio del 28 luglio 1998, è stata accolta la domanda di sospensione della esecuzione della sentenza appellata. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla Camera di consiglio dell'8 febbraio 2005. DIRITTO 1. II Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, I sezione, ha accolto il ricorso proposto dall'odierno appellato, iscritto nell'albo delle persone idonee all'ufficio di presidente di seggio elettorale tenuto presso la cancelleria della Corte di appello di Roma, statuendo il diritto di accesso dello stesso all'albo medesimo, nonché ai provvedimenti di nomina dei presidenti di seggio in alcune consultazioni elettorali degli anni 1995, 1996 e 1997. Il giudice di primo grado ha ritenuto, in particolare, "sufficiente a qualificare il richiedente come soggetto dotato di una specifica legittimazione" l'esigenza "di individuare possibili elementi di prova da esibire nel corso di un procedimento penale tuttora pendente" (pag. 4 sent.). L'amministrazione appellante deduce, da un lato, che la enunciata esigenza sarebbe "venuta senz'altro meno" (essendo "intervenuta l'ordinanza di archiviazione del G.I.P. presso il Tribunale di Roma ... relativamente al procedimento penale pendente nei confronti del dirigente di Cancelleria della Corte d'appello di Roma dr. G.C., a seguito di denuncia del Sig. G.": pag. 9 app.); dall'altro, che, una volta riconosciuto che il sig. G. non aveva formulato la domanda di accesso per verificare una presunta lesione dell'interesse alla nomina per le operazioni elettorali, sia da escludersi "che la P.A. possa essere utilizzata come una sorta di banca dati a disposizione degli utenti, da parte di terzi per la tutela di situazioni non correlate con un rapporto diretto con l'amministrazione" (pag. 10 app.). "In definitiva", si conclude, la domanda di accesso di cui si tratta "risulta priva di fondamento sia qualora la si consideri formulata con riferimento alla mancata nomina dell'interessato alle operazioni elettorali, sia qualora sia ricollegata (come, invero, semplicisticamente e riduttivamente ritenuto dal TAR) a procurarsi elementi di prova per il processo penale pendente" (pag. 12 app.). 210 2. Resiste l'appellato, eccependo anzitutto il difetto di legittimazione processuale in capo al ministro, in rappresentanza del quale l'Avvocatura dello Stato ha proposto appello; infatti, egli afferma, "ai sensi dell'art. 16, lett. f), d.lgs. 3.2.1993, n. 29, la legittimazione a promuovere e a resistere alle liti, con il relativo potere di conciliare e transigere, nell'esercizio dei poteri di gestione amministrativa, spetta in via esclusiva al dirigente generale e non al ministro" (pag. 2 mem. del 31 luglio 1998). Nel merito, egli contesta la fondatezza dell'avversario appello, sottolineando, in particolare, come non valga ad escludere la sussistenza del suo interesse ad accedere, ai sensi della legge n. 241/90, all'albo de quo, "la circostanza che il G.I.P. presso il Tribunale di Roma ... abbia ritenuto allo stato degli atti - di disporre l'archiviazione del procedimento penale a carico di C.G., in quanto trattasi di un provvedimento adottato rebus sic stantibus, ben potendo le indagini essere riaperte in ogni momento sulla base di nuovi elementi di prova che, per l'appunto, il sig. G. ha interesse a rappresentare al giudice penale nell'ottica di una più ampia denunciata fattispecie di abuso d'ufficio" (pag. 3 mem. cit.). 3. Può prescindersi dall'esame della proposta eccezione di inammissibilità del gravame, in quanto lo stesso si rivela comunque infondato nel merito. 4. Va premesso, invero, che la legge 7 agosto 1990, n. 241, all'art. 22, primo comma, dopo aver enunciato le finalità della nuova disciplina (assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e favorirne lo svolgimento imparziale), sancisce il riconoscimento di un generale diritto di accesso ai documenti amministrativi «secondo le modalità della presente legge», a tutti coloro che abbiano un «interesse a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti ». Nonostante la sua ampiezza, la norma contiene una precisa indicazione di principio, che circoscrive tale diritto a quei soggetti che, nel richiedere di accedere ai documenti, abbiano un interesse strumentale rispetto alla protezione di posizioni giuridicamente rilevanti (di diritto soggettivo, di interesse legittimo, d'interesse collettivo o diffuso). Tale diritto è preordinato alla circolazione delle informazioni tra le pubbliche amministrazioni e, soprattutto, tra amministrazione e cittadino (Consiglio Stato, ad. gen., 11 maggio 1992, n. 75). Ne risulta un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell'azione amministrativa con i principii di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione da parte dell'amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi, che implica, da un lato, l'eccezionalità della segretazione di tali atti in relazione esclusivamente alla qualità di questi ultimi (piuttosto che al soggetto che li detiene), dall'altro, la necessità della verifica, in capo al richiedente l'accesso ai documenti, della titolarità di un interesse giuridico differenziato da quello indistinto degli appartenenti alla comunità. 4.1. Quanto al primo aspetto (quello della qualità e del grado di protezione delle informazioni richieste), l'art. 24 della legge n. 241/1990 prevede distinte ipotesi di esclusione del diritto di accesso e le individua espressamente, nel suo primo comma: a) nei "... documenti coperti da segreto di Stato, ai sensi dell'art. 12 della legge 24/10/1977 n. 801 ..." e nei casi "... di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento" (nelle ipotesi di cui al primo comma, l'esclusione ivi prevista, siccome precisamente individuata dallo stesso legislatore, è direttamente operante allorquando si tratti o di atti coperti da "segreto di Stato" ex lege n. 801/1977, ovvero di atti o categorie di essi, per i quali altre specifiche disposizioni legislative individuino una necessità di apposizione del segreto di ufficio o di divieto di divulgazione); b) nel comma secondo, laddove elenca le specifiche categorie di interessi pubblici, cui riconnette una esigenza di salvaguardia dall'accesso ai relativi atti, da soddisfarsi in una successiva sede regolamentare (nelle ipotesi di cui al secondo comma l'esclusione non è, dunque, operante direttamente, in quanto il divieto è efficace soltanto dopo che le amministrazioni competenti abbiano individuato e tipizzato, in apposito atto regolamentare ed esclusivamente in relazione agli interessi pubblici espressamente indicati dal legislatore, i casi specifici di esclusione del diritto di accesso); c) ancora, nel quinto comma, laddove il legislatore fa salve le esigenze specifiche e le disposizioni particolari in materia di dati acquisiti dal Centro di Elaborazione Dati del Ministero dell'Interno per le esigenze di sicurezza pubblica (così facendo salve, in genere, le specifiche esigenze connesse alla sicurezza interna dello Stato). Ciò posto e venendo al caso di specie, rileva il Collegio che né l'Albo delle persone idonee all'ufficio di presidente di seggio elettorale (di cui all'art. 1 della legge 21 marzo 1990, n. 53), né gli atti di gestione dell'albo stesso (iscrizioni e cancellazioni, che costituiscono espressione 211 indubbia di potestà amministrativa, cui è correlata una situazione soggettiva, in capo agli elettori interessati, giuridicamente rilevante e dunque certamente tutelabile), né i provvedimenti di nomina dei presidenti di seggio (emanati, ex artt. 35 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e 20 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, dal Presidente della Corte d'appello e che, riguardati sotto il decisivo profilo della loro natura e del contenuto che li caratterizza, non possono non essere considerati atti amministrativi) rientrano in alcuno dei casi (in via legislativa o regolamentare determinati), in cui il segreto d'ufficio possa essere legittimamente opposto. 4.2. Quanto al secondo degli aspetti che condizionano la azionabilità del diritto di accesso (e cioè quello della sussistenza di un interesse personale e differenziato alla visione degli atti di cui si tratta in capo al soggetto richiedente), va ricordato che i canoni di cui alla legge n. 241 del 1990 si intendono soddisfatti allorché tale soggetto abbia, al riguardo, un diritto soggettivo od un interesse legittimo, o vanti, comunque, un interesse differenziato e qualificato all'estensione, finalizzato alla tutela di situazioni giuridiche soggettive anche soltanto future (Cons. St., V, 7 settembre 2004, n. 5873). Orbene, un tale interesse è sicuramente ravvisabile ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di dimostrati interessi giuridici del richiedente, fatti valere in giudizio. E' quanto si verifica, appunto, nel caso all'esame, nel quale l'odierno appellato ha fatto valere, in relazione al richiesto accesso ai cennati documenti, non solo e non tanto la sua qualità di cittadino iscritto all'Albo predetto, quanto quella di parte offesa in un procedimento penale involgente possibili ipotesi di abuso d'ufficio anche nella gestione di tale Albo, al fine della individuazione di potenziali elementi di prova, da esibire in esso. Peraltro, non può negarsi, da un lato, che gli atti amministrativi, cui l'appellato pretende di avere accesso, a lui comunque si riferiscono (direttamente od indirettamente), dall'altro che la conoscenza di tali documenti si rivela, anche solo potenzialmente, utile alla tutela della sua posizione soggettiva giuridicamente rilevante di persona offesa dal reato, che riceve, nel vigente sistema processuale, larghissima considerazione, risultando, dalla congerie di diritti e facoltà ch'essa può esercitare in ogni stato e grado del procedimento penale, un ruolo non secondario di collaborazione con la pubblica accusa. Né l'esigenza di meglio tutelare i propri diritti defensionali nel procedimento instaurato dinanzi al G.I.P. del Tribunale di Roma può dirsi in qualche modo venuta meno sol perché, nelle more del presente giudizio, il procedimento stesso risulta archiviato, giacché la pretesa (e contestata) esigenza di conoscenza degli atti amministrativi di cui si discute può pur sempre correttamente rivelarsi funzionale alla facoltà dell'interessato di fornire al pubblico ministero ulteriori e concreti elementi di prova, tali da indurlo a ravvisare l'esigenza di nuove investigazioni, con conseguente richiesta al giudice di decreto di riapertura delle indagini (ex art. 414 c.p.p.). 5. In forza delle sopra esposte considerazioni, il ricorso, in definitiva, deve essere respinto. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge. Condanna il Ministero della giustizia alla rifusione delle spese del grado in favore dell'appellato, liquidandole in Euro 5.000,00, oltre I.V.A. e C.P.A. Cessano gli effetti dell'ordinanza n. 1202/98, pronunciata nella Camera di consiglio del 28 luglio 1998, di accoglimento della domanda di sospensione della esecuzione della sentenza appellata. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, addì 8 febbraio 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, riunito in Camera di consiglio. Depositata in segreteria il 13 aprile 2005. 212 CONSIGLIO DI STATO Sezione IV Presidente: Varrone – Estensore: Maruotti Sentenza 13 aprile 2005 n. 1770 (Giurisdizione e affidamento da parte della RAI dei servizi di vigilanza) Mondialpol S.p.A. (avv. Presutti) c. RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A. (avv. Morbidelli), Istituto di Vigilanza Sipro Sicurezza professionale s.r.l. (avv. Paletti) ed Istituto di vigilanza Città di Roma s.r.l. (avv. Racco) - Annulla T.A.R. Lazio, sez. III ter, 9 giugno 2004, n. 5460. FATTO 1. Con la nota n. 1410 del 19 febbraio 2004, il Direttore della divisione produzione TV della s.p.a. RAI ha invitato alcune imprese "a partecipare ad un incontro propedeutico ad una "raccolta di offerte" per i servizi di vigilanza presso i nostri cespiti aziendali", distinti in due lotti. Alle medesime imprese, il Direttore ha trasmesso anche la nota n. 1411 di pari data (con l’allegato capitolato tecnico), con cui sono state determinate le "condizioni d’offerta" e le relative modalità. Al termine della procedura, la s.p.a. RAI ha assegnato il lotto n. 1 alla s.r.l. Istituto di Vigilanza Città di Roma e il lotto n. 2 alla s.r.l. Istituto di Vigilanza Sipro. 2. Col ricorso di primo grado n. 3389 del 2004 (proposto al TAR per il Lazio), la s.p.a. Mondialpol Roma – che ha presentato distinte offerte per i due lotti – ha impugnato tutti gli atti della procedura, comprese le note nn. 1410 e 1411 del 19 febbraio 2004, ed ha chiesto il risarcimento dei danni. Con la sentenza n. 5460 del 2004 il TAR: - ha affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, in ragione della applicabilità dell’art. 7 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158; - ha dichiarato inammissibili il primo, il terzo e il sesto motivo del ricorso ed ha respinto il secondo ed il quarto motivo; - ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio. 3. Con l’appello n. 5685 del 2004, la s.p.a. Mondialpol Roma ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, siano accolte le domande formulate in primo grado. La s.p.a. RAI, con un controricorso contenente un appello incidentale, ha impugnato la sentenza del TAR nella parte in cui ha affermato la sussistenza della giurisdizione esclusiva ed ha chiesto altresì che il ricorso di primo grado sia dichiarato inammissibile. Si sono altresì costituite in giudizio la s.r.l. Istituto di Vigilanza Città di Roma e la s.r.l. Istituto di Vigilanza Sipro, che hanno chiesto la reiezione del gravame. Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato memorie difensive, con cui hanno approfondito le questioni controverse ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni. 4. All’udienza del 15 febbraio 2005 la causa è stata trattenuta per la decisione ed è stato conseguentemente depositato il dispositivo della decisione. DIRITTO 1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità degli atti con cui la s.p.a. RAI ha assegnato alle società appellate i servizi di vigilanza armata presso i suoi "cespiti aziendali" (distinti in due lotti, per il valore complessivo di circa 7 milioni di euro, più altri 7 in caso si rinnovo), al termine della procedura avviata con le note nn. 1410 e 1411 del 19 febbraio 2004 del Direttore della divisione produzione TV. La s.p.a. Mondialpol Roma: - è stata invitata a partecipare alla procedura, con le medesime note di data 19 febbraio 2004; 213 - ha presentato distinte offerte per entrambi i lotti; - ha impugnato innanzi al TAR per il Lazio tutti gli atti della procedura, chiedendone l’annullamento oltre il risarcimento del danno. Con la sentenza impugnata, il TAR ha affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ha dichiarato inammissibili il primo, il terzo e il sesto motivo del ricorso, ha respinto il secondo ed il quarto ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio. La sentenza del TAR è stata impugnata: - in via principale, dalla s.p.a. Mondialpol Roma, che ha chiesto l’accoglimento delle censure formulate in primo grado ed ha riproposto la domanda di risarcimento del danno; - in via incidentale, dalla s.p.a. RAI, che ha chiesto che sia dichiarato inammissibile il ricorso in primo grado per difetto di interesse, nonché che sia dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa. 2. Per il suo carattere preliminare, va dapprima esaminato l’appello incidentale, per la parte in cui ha chiesto che sia dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa. 2.1. Va premesso che la sentenza ha ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa, sulla base delle seguenti considerazioni: - l’art. 8 § 1. della direttiva europea n. 38 del 1993, poi percepita col decreto legislativo n. 158 del 1995, non assoggetta alle regole sull’evidenza pubblica le attività di televisione e di radiodiffusione (pur rientrando nel settore delle telecomunicazioni). 3. Va dunque verificato se nella controversia trova applicazione l’art. 6, comma 1, della legge 21 luglio 2000, n. 205, per il quale "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavoro, servizi e forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale". Come ha rilevato questo Consiglio (ad. plen., 23 luglio 2004, n. 9), con tale disposizione, il legislatore: - ha individuato una ipotesi di giurisdizione esclusiva per le liti concorrenti le procedure caratterizzate dalla doverosa indizione di una gara, in applicazione della normativa comunitaria; - ha previsto una regola processuale strettamente conseguente alla sussistenza dell’obbligo di indizione di una gara in base a regole pubblicistiche (ed a poteri di natura amministrativa), poco importando – in coerenza col diritto comunitario – la natura giuridica del soggetto tenuto a seguire il procedimento. 4. Ritiene la Sezione che la s.p.a. RAI era effettivamente tenuta a indire la gara per l’affidamento del servizio di vigilanza armata e di sicurezza, per un importo senz’altro superiore alla soglia comunitaria. Risulta al riguardo decisivo considerare che la s.p.a. RAI: a) va qualificata come impresa pubblica, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 158 del 1995; b) mentre non è tenuta ad applicare le disposizioni del decreto legislativo n. 158 del 1995 per gli appalti "esclusi" e "nel settore delle telecomunicazioni" (come indicati nell’art. 8), quale impresa pubblica è invece tenuta ad applicare l’art. 7, comma 3, per il quale, "per gli appalti di servizi di cui all’allegato XVI-B" (tra cui rientrano al n. 23 i servizi "di sicurezza eccettuati i servizi con furgoni blindati"), "si applicano solo gli articoli 19 e 28"; c) deve dunque indire la gara, per tali servizi, inserendo le specifiche "prescrizioni tecniche" – disciplinate dall’art. 19 – "nei documenti generali o nel capitolato di ciascun appalto" (di cui al comma 1), da porre a base dei bandi. 5. Quanto alla applicabilità dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 158 del 1995, in questa sede è sufficiente rilevare che: - il TAR, con una specifica statuizione rimasta incontestata, ha rilevato l’applicabilità del medesimo art. 2, poiché la s.p.a. RAI è "posseduta dallo Stato-persona, il quale procede altresì, sia pure in virtù di procedure di garanzia strettamente correlate alle funzioni di pubblico servizio, alla nomina del consiglio di amministrazione e degli organi di vigilanza e, soprattutto, all’indirizzo ed al controllo delle sue attività"; 214 - risultano peraltro specifiche tali circostanze, poiché le azioni della s.p.a. RAI possono appartenere solo allo Stato, agli enti pubblici o alle società a totale partecipazione pubblica (ai sensi dell’art. 1 della legge n. 206 del 1993), i componenti del consiglio di amministrazione sono designati da organi dello Stato (art. 2 della legge n. 206 del 1993) e sussistono poteri di controllo e di vigilanza del Ministero delle comunicazioni e della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. 6. Quanto alla applicabilità degli articoli 7, comma 3, 19 e 28 del decreto legislativo n. 158 del 1995, ad avviso della Sezione e decisivo considerare che i "soggetti aggiudicatori" possono non applicare le disposizioni del medesimo decreto legislativo solo quando si tratti di uno degli "appalti esclusi" dall’art. 8 (tra i quali la lettera c) del comma 1 annovera i "servizi di telecomunicazione"), mentre per gli altri appalti, non compresi nella tassativa elencazione del comma 1, resta ferma l’applicabilità delle altre disposizioni del decreto legislativo (e in particolare quelle sull’obbligo di indizione della gara, di cui agli artt. 11 ss.). In altri termini, in coerenza col diritto comunitario, il decreto legislativo: - esonera l’impresa pubblica alla indizione della gara quando si tratti di selezionare il contraente che svolga un servizio di telecomunicazione; - impone la gara, quando l’impresa pubblica – che svolge quale attività unica o prevalente il servizio di telecomunicazione – intenda concludere un contratto per selezionare il contraente che svolga un servizio diverso da quello di telecomunicazione e indicato nell’allegato XVI-B. 7. Quanto infine, alla conseguente applicabilità degli articoli 19 e 28 (richiamati dall’art. 7, comma 3, del decreto legislativo n. 158 del 1995), emerge in essi – per gli appalti indicati nell’allegato XVI-B – hanno ribadito l’obbligo di indizione della gara; - l’art. 19 (che ha attribuito rilievo alle specifiche prescrizioni tecniche dell’appalto) al comma 7 si riferisce ai "bandi pubblicati ai sensi dell’art. 11"; - l’art. 28 ha disposto che "i soggetti aggiudicatori che hanno assegnato un appalto … comunicano alla Commissione CE … i risultati della procedura di aggiudicazione". Pertanto, qualora sia superata la soglia comunitaria, solo mediante l’indizione della prescritta gara l’impresa pubblica può aggiudicare i servizi indicati nell’Allegato XVI-B, tra cui quello di vigilanza, anche quando la sua unica o prevalente attività sia quella inerente alle telecomunicazioni. 8. Quanto precede comporta che: - la s.p.a. RAI – valutato l’importo dei contratti – era tenuta a bandire la gara per la scelta del contraente nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo n. 158 del 1995, in quanto "impresa pubblica"; - è applicabile l’art. 6, comma 1, della legge n. 205 del 2005, con la conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa esclusiva; - va respinto l’appello incidentale sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa (sicché diventano irrilevanti le ulteriori questioni, trattate dalle parti, sulla correttezza della statuizione con cui il TAR ha altresì qualificato la s.p.a. RAI come organizzazione di diritto pubblico). 9. Si deve pertanto passare all’esame delle eccezioni di inammissibilità del ricorso originario, formulate con l’appello incidentale dalla s.p.a. RAI. 10. Sotto un primo profilo, la s.p.a. RAI ha dedotto che: - l’appellante s.p.a. Mondialpol Roma "è divenuta titolare dei servizi di vigilanza degli immobili RAI di cui al presente ricorso, con contratti stipulati il 1° ottobre 2000, proprio in base ad un procedimento negoziale a trattativa privata (conseguente all’autonomia negoziale della RAI s.p.a.), senza nemmeno alcun confronto concorrenziale tra più offerenti, mentre oggi essa lamenta la violazione delle regole di evidenza pubblica comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi, che allora sarebbero state violate per prime proprio al momento dell’aggiudicazione dell’appalto di servizi alla Mondialpol; - poiché l’appellante non si è collocata in posizione utile nelle graduatorie redatte per i due lotti, il suo interesse strumentale dovrebbe essere considerato "illegittimo" (perché volto ad ottenere la sostanziale prorogatio del rapporto e la conservazione di una "posizione di vantaggio ottenuta contra ius"): - sarebbe pertanto proponibile l’exceptio doli generalis, che anche nel diritto pubblico renderebbe non meritevole di tutela una situazione originata contra legem. 215 11. Ritiene la Sezione che l’eccezione di inammissibilità così formulata vada respinta. Nel presente giudizio, sono irrilevanti le pregresse modalità con cui la s.p.a. Mondialpol Roma ha ottenuto l’assegnazione dalla s.p.a. RAI dei medesimi servizi per i suoi cespiti immobiliari, a decorrere dal 2000. Infatti, sia col ricorso di primo grado che con l’atto di appello, essa: - non ha fatto valere una sua particolare posizione di preferenza, fondata sui precedenti contratti (il che altrimenti avrebbe fatto sorgere questioni sulla rilevabilità della nullità per violazione di norme imperative); - ha agito a tutela del suo interesse legittimo (volto alla indizione di una gara nel rispetto della normativa vigente), quale società che svolge servizi di vigilanza e di sicurezza e allo stesso modo di quanto avrebbe potuto fare una qualsiasi altra società operante nel settore, con avente precedenti rapporti con la s.p.a. RAI. Non trovano pertanto eccezione le norme costituzionali sulla tutelabilità in giudizio dell’interesse legittimo. 12. Sotto un secondo profilo, l’appellante incidentale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per acquiescenza, poiché la s.p.a. Mondialpol Roma ha partecipato senza riserve alla procedura comparativa, censurando la lettera di invito e gli atti allegati, ma non anche le modalità di svolgimento della comparazione da parte della commissione esaminatrice. Tale eccezione va esaminata congiuntamente alla statuizione con cui il TAR ha dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso originario. Ad avviso del TAR, la s.p.a. Mondialpol Roma non avrebbe potuto lamentare la mancata pubblicazione delle note del 19 febbraio 2004, poiché "ha avuto piena e specifica contezza dell’avviso di gara, sì da parteciparvi e da proporre offerta", ricevendo altresì "un congruo numero di informazioni", tale da consentirle di comprendere "l’oggetto del servizio e gli adempimenti del caso, oltre che di formulare offerta". 13. Ritiene la Sezione che – per le ragioni che seguono – il ricorso di primo grado nel suo complesso vada considerato ammissibile (sicché va respinta la seconda eccezione formulata con l’appello incidentale e va invece accolta la censura dell’appellante sulla statuizione di inammissibilità del suo primo motivo originario). 13.1. Va premesso che al termine della procedura attivata con gli atti nn. 1410 e 1411 del 19 febbraio 2004, la s.p.a. RAI ha concluso i contratti con le società appellate nel corso del mese di aprile 2004. Il ricorso di primo grado risulta dunque tempestivo, perché notificato in data 5 aprile 2004. 13.2. Ciò posto, rileva la Sezione che: - non può essere ravvisata alcuna acquiescenza nella determinazione dell’appellante di partecipare "senza riserve" alla procedura, i cui atti ha poi impugnato in sede giurisdizionale; - sussiste il suo interesse a dedurre la violazione delle regole di pubblicità e ad ottenere la rinnovazione della gara, anche se le sono state trasmesse le note in data 19 febbraio 2004. Bisogna al riguardo tenere conto dei principi formulati in materia dalla giurisprudenza (che la Sezione condivide e fa propri), per i quali: - l’impresa del settore può senz’altro impugnare gli atti in base ai quali l’amministrazione conclude un contratto in assenza del procedimento specificamente prescritto dalla legge, non rilevando la formale qualità di offerente (Corte Giust. C.E., Sez. I, 11 gennaio 2005, n. 2603; Cons, Stato, Sez. V, 19 marzo 1999, n. 292; Sez. V, 14 novembre 1996, n. 1374; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 454: - la proposizione della domanda di partecipazione alla gara non risulta un comportamento compatibile con la volontà di impugnare il bando (Sez. V, 10 febbraio 2000, n. 734). Pertanto, non si può ammettere che una impresa – informata di una selezione comunque indetta e pur partecipandovi – perda la possibilità di ottenere la tutela giurisdizionale, quando faccia valere il proprio interesse alla indizione della gara in conformità della normativa, il cui rispetto avrebbe potuto comportare l’aggiudicazione in suo favore (anche, come nella specie, nell’ambito di una associazione temporanea di imprese, preclusa dalle lettere di invito). 14. Si può pertanto passare all’esame dell’appello principale. Per il loro carattere preliminare e assorbente, vanno esaminati il primo ed il terzo motivo del ricorso originario (che risultano strettamente connessi, in quanto proposti al dichiarato scopo di ottenere la rinnovazione della gara, nel rispetto della normativa di settore). 216 15. Con l’originario primo motivo (riproposto a p. 5 del gravame), la s.p.a. Mondialpol Roma ha lamentato che gli atti nn. 1410 e 1411 del 19 febbraio 2004 si sono posti in violazione dell’art. 11 del decreto legislativo n. 158 del 1995 e con le regole di pubblicità e trasparenza: secondo l’assunto, la s.p.a. RAI avrebbe dovuto far pubblicare il bando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica e su quella della Comunità. Inoltre, con l’originario terzo motivo (riproposto a p. 6 del gravame), la società ha lamentato che l’ultima pagina dello "schema di contratto" (allegato 2 alle note del 19 febbraio 2004), per la parte in cui ha disposto che "sono escluse le associazioni temporanee d’impresa", si è posta in violazione dell’art. 23 del decreto legislativo n. 158 del 1995. 16. Ritiene la Sezione che tali censure – da trattare congiuntamente per la connessione dei loro aspetti procedimentali e sostanziali – siano fondate e vadano accolte. 16.1. Va premesso che, con la sentenza impugnata, il TAR: - ha dichiarato inammissibile il primo motivo (con una statuizione riformata al precedente punto 13.2); - ha respinto in terzo motivo, rilevando che la s.p.a. Mondialpol Roma non potrebbe dolersi del divieto di associazioni temporanee di imprese, in quanto ha partecipato alla gara quale impresa singola. 16.2. Ciò premesso, quanto ai principi di pubblicità e di trasparenza, la Sezione richiama le ragioni già esposte nei precedenti punti 4-8, per le quali la s.p.a. RAI – quale impresa pubblica – avrebbe dovuto scegliere, nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo n. 158 del 1995 e, dunque, in particolare dell’art. 11. Esso ha prescritto le "modalità di indizione delle gare", tra cui rientrano quelle riguardanti la trasmissione "all’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee" (comma 2) e quelle riguardanti le ulteriori pubblicazioni (di cui al comma 3). Quanto al contestato divieto di presentazione delle offerte da parte di imprese raggruppate, a sua volta esso si è posto in contrasto con i principi fondanti il diritto comunitario e con l’art. 23 del decreto legislativo n. 158 del 1995 (sulle "riunioni di imprese", per il quale "le associazioni degli imprenditori, fornitori o prestatori di servizio, possono fare offerte o negoziare con i soggetti di cui all’art. 2"). Contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza gravata, sul piano sostanziale la s.p.a. RAI, non attuando le modalità di indizione prescritte dall’art. 11 e vietando le associazioni temporanee di imprese, ha alterato il principio della concorrenza libera ed ha limitato le possibilità di partecipazione delle imprese interessate, nell’ambito della Unione europea, anche con riferimento alla posizione dell’appellante. Infatti, la mancata pubblicazione del bando e il divieto di proporre offerte nell’ambito di associazioni temporanee d’imprese – considerati unitariamente – non solo hanno precluso ad altre imprese di venire a conoscenza della gara, ma hanno anche inciso negativamente sulle stesse facoltà dell’appellante, che – non potendosi avvalere dell’associazione temporanea di imprese – non ha potuto formulare un’offerta coerente con la normativa di settore. 17. L’annullamento degli atti di attivazione della procedura comporta l’annullamento per l’illegittimità derivata, degli atti ulteriori del procedimento, nonché la caducazione degli effetti dei contratti conclusi dalla s.p.a. RAI con le società appellate, controinteressate in primo grado (Sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465; Sez. VI, 19 novembre 2003, n. 7470; Sez. VI, 14 marzo 2003, n. 1518; Sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218; Sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244; Sez. V, 25 maggio 1998, n. 677; Sez. V, 30 marzo 1993, n. 435). Va invece respinta la domanda di risarcimento del danno, riformulata in questa sede dall’appellante, poiché: - già in primo grado essa è stata proposta solo subordinatamente al mancato accoglimento della domanda di annullamento; - l’interesse strumentale dell’appellante – volto alla rinnovazione della gara – è integralmente soddisfatto con le precedenti statuizioni di annullamento; - le spese di partecipazione sono state sostenute per ottenere ugualmente le aggiudicazioni, malgrado le presentazioni dell’offerta neppure risultasse essenziale per la proposizione del ricorso di primo grado. 217 18. Per le ragioni che precedono: - l’appello incidentale va respinto; - con reiezione della domanda risarcitoria, va accolto l’appello principale, sicché, in riforma della gravata sentenza e in accoglimento del ricorso di primo grado, vanno annullate le note nn. 1410 e 1411 del 19 febbraio 2004, con i conseguenti atti della gara. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta): - respinge l’appello incidentale; - accoglie l’appello principale e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado. Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 15 febbraio 2005, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada. Depositata in segreteria il 13 aprile 2005. 218 CONSIGLIO DI STATO Sezione IV Presidente: Salvatore – Estensore: Anastasi Sentenza 3 maggio 2005 n. 2112 (Sanzione disciplinare) Ministero dell’Interno (Avv.ra Stato) c. B. (n.c.) - Annulla T.A.R. Lazio - Roma, sez. I ter, 10 maggio 2004, n. 4079. FATTO E DIRITTO 1. Con decreto in data 7 agosto 2000 il capo della polizia di Stato ha irrogato all’ispettore B. la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, per essersi lo stesso ripetutamente rifiutato di sottoporsi ad accertamenti sanitari presso la competente Commissione medico ospedaliera. Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha accolto il ricorso proposto dall’interessato avverso la sanzione espulsiva. A sostegno del decisum il giudice di primo grado - dopo aver rilevato che l’ispettore, allorché ha posto in essere il suo comportamento ostruzionistico, ora affetto da sindrome ansiosa depressiva per cui poteva ipotizzarsi che lo stesso non fosse consapevole della gravità della sua condotta - ha osservato che nel caso di specie, l’amministrazione prima di ricorrere allo strumento disciplinare avrebbe dovuto esplorare la possibilità di dispensare il dipendente per inidoneità fisica o per scarso rendimento. La sentenza è impugnata dall’amministrazione che ne chiede l’integrale riforma, deducendo un unico e articolato motivo d’appello. All’udienza del 1° febbraio 2005 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 2. L’appello è fondato e va pertanto accolto. Sostiene in generale l’appellante che il Tribunale ha posto a base della sentenza di annullamento valutazioni sul merito della vicenda all’esame, così entrando in ambiti riservati alla discrezionalità amministrativa. In tal senso, in primo luogo l’amministrazione contesta la rilevanza e la fondatezza del giudizio formulato del tribunale in ordine allo stato di incapacità naturale per sindrome ansioso-depressiva in cui si sarebbe (probabilmente) trovato a versare l’ispettore B. nel momento in cui ha posto in essere il comportamento ostruzionistico poi sanzionato in sede disciplinare. Sotto un diverso profilo l’amministrazione deduce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto nella fattispecie attivabili, in luogo del procedimento disciplinare, le procedure per la dispensa dal servizio a causa di inabilità o per persistente insufficiente rendimento. Le doglianze, che vanno unitariamente esaminate, sono fondate. Al riguardo si rileva innanzi tutto che nel corso del procedimento disciplinare l’interessato non ha mai allegato la propria incapacità di intendere o volere e si è invece limitato a contestare la censurabilità del comportamento da lui tenuto. A giudizio del Collegio, in un contesto normativo in cui l’azione o omissione rilevante disciplinarmente è quella posta in essere con coscienza e volontà, sarebbe stato in ogni caso onere della parte addurre almeno ex post e cioè nel corso del procedimento disciplinare la pregressa sussistenza di uno stato di disagio psichico tale da impedirle la percezione della gravità del comportamento addebitato. In disparte tale profilo, appare comunque decisivo rilevare che nemmeno nel ricorso di primo grado l’interessato perviene ad adombrare con un minimo grado di attendibilità di aver versato, all’epoca dei fatti, in una situazione patologica suscettibile di determinare quello stato di irresponsabilità che dunque erroneamente il Tribunale ha dato per probabilisticamente acclarato, pur in contrasto con le risultanze istruttorie ed in assenza di concludenti indizi probatori. Per quanto riguarda la mancata dispensa per inidoneità, è poi sufficiente osservare che l’interessato fu dichiarato idoneo dalla Commissione di seconda istanza e che lo stesso non aveva 219 mai ultimato il periodo massimo di aspettativa per infermità previsto dagli articoli 68 e 70 del D.p.r. 737/81: non sussistevano quindi i presupposti per intraprendere il relativo procedimento. Infine, quanto al mancato utilizzo dello strumento della dispensa per insufficiente rendimento, deve rilevarsi che esso ha natura diversa dal procedimento disciplinare, in quanto rivolto ad estromettere dal servizio il personale che si sia dimostrato per un certo periodo di tempo del tutto inidoneo a svolgere i propri compiti in una valutazione globale del relativo comportamento, a prescindere da fatti specifici, tra i due procedimenti esistono indubbiamente punti di interferenza, in quanto se da un lato lo scarso rendimento non necessariamente si accompagna a mancanze disciplinari, dall’altro queste possono essere prese in considerazione al fine di valutare l’insufficiente rendimento complessivo del dipendente stesso. Sul piano teorico, è ben vero dunque che l’ennesima mancanza posta in essere da un soggetto già sanzionato per ventisette volte con misure disciplinari (di cui due gravi) avrebbe potuto costituire anche elemento valutabile nel più ampio contesto dello scarso rendimento. Ciò posto, è però da osservare che il giudizio in ordine alla rilevanza di fatti specifici addebitati al pubblico dipendente sotto l’aspetto immediatamente disciplinare e riservato all’amministrazione, alla quale dunque spetta in definitiva di valutare nel merito se sussistono i presupposti legati per l’attivazione - con le piene garanzie del contraddittorio - del procedimento finalizzato all’irrogazione di misure sanzionatorie disciplinari. In questo contesto di riferimento, al giudice della legittimità spetta per converso di sindacare la scelta disciplinare dell’Amministrazione ove questa risulti viziata sotto profili di eccesso di potere che nel caso in esame, avuto riguardo alle risultanze dell’inchiesta disciplinare ed alla gravità (riconosciuta anche dal Tribunale) del comportamento ingiustificatamente ostruzionistico reiteratamente posto in essere dal dipendente, si rivelano però insussistenti. Sulla base delle considerazioni che precedono e nell’impossibilità di esaminare i profili di censura assorbiti in primo grado a causa della mancata costituzione dell’appellato il ricorso dell’Amministrazione va quindi accolta. Ricorrono motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando, - accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, - respinge il ricorso di primo grado. Le spese del giudizio sono interamente compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso alla Camera di Consiglio del 1° febbraio 2005. Depositata in segreteria in data 3 maggio 2005. 220 CONSIGLIO DI STATO Sezione IV Presidente: Venturini – Estensore: Leoni Sentenza 7 giugno 2005 n. 2872 (Impresa pubblica) A. (avv.ti Pesole e Russo) c. Ministero dell’economia e delle finanze (Avv.ra Stato) e S. (n.c.) Conferma T.A.R. Campania – Napoli, sez. IV, 21 dicembre 2004, n. 19591. FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso notificato il 9 marzo 2005, i ricorrenti indicati in epigrafe (dipendenti del Ministero dell’economia e delle finanze – Agenzia del territorio – Ufficio provinciale di Napoli, inseriti nell’area C1) hanno proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Campania – Napoli – Quarta sezione, n. 19591 del 21 dicembre 2004, che aveva dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione, l’impugnativa proposta dai medesimi avverso la loro mancata inclusione negli elenchi degli ammessi al "percorso formativo" per l’accesso alla posizione C3. 2. I ricorrenti riprendono, in sostanza, le argomentazioni esposte dal giudice del lavoro di Napoli il quale, con decisione del 21 gennaio 2005, aveva a sua volta dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in ordine all’anzidetta vicenda, richiamando talune pronunce della Corte di cassazione a sezioni unite civili (e in particolare la sentenza n. 15403 del 15 ottobre 2003), secondo cui ogni qual volta il passaggio ad un livello superiore determini, in virtù delle disposizioni normative o contrattuali collettive, l'assunzione di nuovi compiti, l'adempimento di mansioni superiori e l'investitura di responsabilità più elevate, viene a realizzarsi un mutamento sostanziale del rapporto di lavoro, anche contrassegnato dalla sottoscrizione di un nuovo contratto individuale, e certamente non una mera progressione economica, qualsiasi sia la denominazione della posizione funzionale attribuita alla contrattazione collettiva, con conseguente attribuzione della potestà cognitiva in materia al giudice amministrativo. Il predetto giudice del lavoro non aveva condiviso, invece, le successive pronunce della stessa Corte di cassazione (e in particolare l’ordinanza n. 10183 del 26 maggio 2004), che hanno ritenuto appartenenti alla cognizione del giudice ordinario le controversie attinenti a concorsi per soli interni, con passaggio da una qualifica ad un'altra, nell'ambito della medesima area funzionale. Il menzionato giudice del lavoro aveva segnalato, in proposito, le differenze esistenti tra i vari contratti collettivi e la irrazionalità del sistema che, nel caso di contemporanee procedure riguardanti sia passaggi da un'area ad un'altra, sia passaggi all'interno della stessa area, consentirebbe la devoluzione della giurisdizione in proposito a due diversi organi giudicanti. 3. L'appello è infondato. 3.1. Il Collegio ritiene che siano pienamente condivisibili i principi di recente formulati dal giudice della giurisdizione in ordine alle modalità di corretta interpretazione ed applicazione dell'art. 63, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (cfr. Cass. civ. ss.uu. 26 febbraio 2004, n. 3948). Coerentemente, infatti, con la prospettiva imposta dall'articolo 97 della Carta costituzionale, che richiede un selettivo accertamento delle attitudini per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e, quindi, l'espletamento di un pubblico concorso, si è rilevato che il modulo pubblicistico deve essere applicato non solo alle procedure concorsuali finalizzate alla costituzione, per la prima volta, del rapporto del lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l'accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore, atteso che il termine "assunzione", deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire. 3.2. In base alla vigente normativa contrattuale per il comparto dei ministeri, peraltro, il personale viene suddiviso in tre diverse aree, A, B e C, ed è espressamente stabilito che il passaggio dei dipendenti da una posizione all'altra, all'interno di una medesima area, avvenga mediante percorsi 221 di "riqualificazione e di aggiornamento professionale" strumentali alla progressione verso la posizione superiore (v. artt. 13, 14 e 15 del contratto collettivo sottoscritto il 16 febbraio 1999 e non modificato, per questa parte, dai successivi). 3.3. In tale prospettiva si configurano le seguenti ipotesi: a) giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi per soli esterni; b) giurisdizione del giudice amministrativo su controversie relative a concorsi misti; c) giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni comportanti passaggio da un'area ad un'altra (salva la verifica di legittimità delle norme che escludono l'apertura all'esterno); d) residuale giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie attinenti a concorsi per soli interni, secondo procedure di diritto privato, comportanti il passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito della medesima area. 3.4. Nel caso in esame, quindi, ricorrendo l'ipotesi sopra indicata sub d), così come nella fattispecie specificamente considerata anche dalla suddetta sentenza della Corte di cassazione, non può che concludersi per la devoluzione della controversia di cui si tratta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. 3.5. Né alcun rilievo in senso contrario può assumere l'osservazione contenuta nella succitata decisione del giudice del lavoro di Napoli, relativa alla possibile coesistenza della giurisdizione di due diversi organi giudiziari, in caso di procedure parallele finalizzate, da un lato, al passaggio da un'area ad un'altra e, dall'altro lato, al passaggio ad una superiore posizione di lavoro nell'ambito della medesima area contrattuale, trattandosi di inconvenienti inevitabilmente derivanti dalla complessità del sistema delineato dal sistema normativo vigente nel settore. 4. L'appello deve essere, pertanto, respinto, apparendo corrette le statuizioni del giudice di primo grado in proposito. 5. Sussistono, tuttavia, equi motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese dei due gradi di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe: - respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata; - dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 aprile 2005. 222 CONSIGLIO DI STATO Sezione IV Presidente: Salvatore – Estensore: Saltelli Sentenza 7 giugno 2005 n. 2998 (Giurisdizione e concorsi interni) N.S. (avv.ti Carcione e Gagliardi) c. Ministero dell’economia e delle finanze (avv. Stato Tortora) e R. ed altro (n.c.) - Annulla T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 10 ottobre 2003, n. 8227. FATTO Con la sentenza n. 8227 del 10 ottobre 2003 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto dal dott. N.S. per ottenere l’annullamento della graduatoria definitiva del concorso per titoli di servizio, professionali e di cultura, integrato da colloquio, per il conferimento di 163 posti di dirigente nel ruolo del Ministero delle finanze, bandito con decreto direttoriale del 2 luglio 1997, nonché di tutti gli atti presupposti e consequenziali, con particolare riferimento al bando di concorso, limitatamente all’articolo 3, nonché al verbale della commissione esaminatrice n. 2 del 23 giugno 1998, recante la specificazione dei titoli posseduti dai candidati. Ad avviso del Tribunale, infatti, la controversia non riguardava una procedura concorsuale di assunzione, bensì un concorso riservato al personale già interno, così che lo svolgimento della procedura selettiva costituiva attività di gestione del rapporto di lavoro e rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 29 del 1993, trasfuse poi nel T.U. n. 165 del 2001. Avverso tale statuizione ha proposto appello l’interessato con atto notificato il 24 novembre 2004, sostenendo, innanzitutto, che nel caso di specie sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo, erroneamente negata dai primi giudici, trattandosi di una vera e propria procedura concorsuale (così come peraltro precisato dalla Suprema Corte di cassazione, a sezioni unite, con la sentenza n. 15403 del 15 ottobre 2003) e riproponendo, poi, tutte le censure sollevate in prime cure e non esaminate dal Tribunale. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze. DIRITTO 1. La sezione è dell’avviso che nel caso di specie sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, erroneamente negata dalla sentenza di primo grado. 1.1. L’articolo 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel prevedere la devoluzione al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione dei cosiddetti settori non contrattualizzati e nell’includere in tali controversie quelle concernenti l’assunzione al lavoro, ha confermato la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. La Corte di cassazione, dopo aver inizialmente ritenuto riservate al giudice amministrativo solo le controversie concernenti l’assunzione "in senso stretto", relative, cioè, alla sola costituzione di nuovi rapporti di lavoro, con esclusione quindi dei concorsi interni (Cass. ss.uu. 10 dicembre 2001, n. 15602; 27 febbraio 2002, n. 2954; 12 marzo 2003, n. 3568), ha successivamente assunto un più 223 articolato orientamento che, traendo argomento dall’indiscutibile applicabilità dell’articolo 97 della Costituzione anche alle progressioni dei dipendenti verso posizioni di lavoro più elevate (Corte costituzionale 30 ottobre 1997, n. 320; 30 aprile 1999, n. 151; 17 luglio 2000, n. 296), ha riconosciuto sussistere la giurisdizione amministrativa anche in relazione alle procedure selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o ad un’area superiore (Cass. ss.uu. 15 ottobre 2003, n. 15403). Tale indirizzo ha trovato definitiva conferma nella recente ordinanza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 10183 del 26 maggio 2004 (pronunciata su di un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione in relazione ad un processo pendente innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, concernente proprio la legittimità del concorso a 163 posti di dirigente del Ministero delle finanze, bandito con decreto ministeriale 2 luglio 1997), secondo cui, tra l’altro, sussiste la giurisdizione amministrativa anche "quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un’area all’altra, spettando, poi, al giudice di merito la verifica di legittimità delle norme che escludono l’apertura all’esterno". 1.2. I delineati principi sono pienamente applicabili al caso di specie in cui, come risulta dalla documentazione in atti, la controversia concerne una procedura concorsuale per il passaggio dall’area direttiva a quella dirigenziale con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo (C.d.S., sez. IV, 3 novembre 2004, n. 7107; sez. VI, 7 ottobre 2004, n. 6510). 2. Pertanto l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, la impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio dell’affare al primo giudice, in quanto l’erronea declinatoria di difetto di giurisdizione da parte del tribunale amministrativo regionale concretizza un difetto di procedura che importa l’annullamento della sentenza con rinvio della controversia in primo grado (C.d.S., A.P., 8 novembre 1996, n. 23; C.d.S., sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3404; sez. VI, 17 aprile 2003, n. 8143; sez. V, 9 marzo 1995, n. 322; 29 novembre 1994, n. 1426; 10 dicembre 2003, n. 8143). Il giudice del rinvio, cui spetta di verificare anche l’integrità del contraddittorio, provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal dott. N.S. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8227 del 10 ottobre 2003, lo accoglie e dichiara che la controversia de qua appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo; per l’effetto, annulla la sentenza impugnata, rinviando l’affare al giudice di primo grado, che provvederà anche sulle spese della presente fase del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 aprile 2005. Depositata in segreteria il 7 giugno 2005. 224 CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA Palermo, sezione giurisdizionale Ordinanza 11 aprile 2005 n. 201 (Atti e comportamenti della P.A.) Presidente: Virgilio – Estensore: Corsaro Comune di Milo (avv. Bisicchia) c. P. (avv. Gambino) - Rimette alla adunanza plenaria del Consiglio di Stato la decisione dell’appello avverso T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, sentenza. 30 maggio 2003, n. 175). FATTO Con ricorso presentato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania, portante il n. 6251/2000 il signor A.P. chiedeva dichiararsi l’obbligo del Comune di Milo a risarcire i danni subiti in conseguenza della illegittima espropriazione di aree ai sensi degli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 80 del 31.3.1998, nonché la relativa condanna. Ed infatti, con deliberazione della G.M. del Comune di Milo del 7.5.1986, veniva approvato il progetto avente ad oggetto i lavori di trasformazione della via rurale di uso pubblico "Campanaro" nel Comune di Milo. Detto provvedimento, nel dichiarare l’urgenza e l’indifferibilità della opera pubblica, prevedeva che i lavori dovevano avere inizio entro tre anni dalla data di adozione ed essere ultimati entro un anno dalla data del verbale di consegna e le espropriazioni dovevano essere iniziate entro tre anni ed essere ultimate entro cinque anni dal loro inizio. In esecuzione della suddetta deliberazione, il sindaco del Comune di Milo, con provvedimento n. 14 dell’8.10.1987, ordinava l’occupazione d’urgenza degli immobili oggetto dell’intervento per la durata di anni cinque dall’immissione in possesso. In data 23.11.1987 il Comune di Milo procedeva all’immissione in possesso, occupando, come risulta dal verbale di pari data, la particella 66 di mq. 552 del foglio 12 del N.C.T. di Milo, di proprietà esclusiva del signor A.P.. Successivamente l’occupazione de qua diveniva illegittima per la mancata emanazione del decreto di espropriazione, che doveva avvenire nel termine del 23.11.1994, come prorogato dalla legge n. 158/91. Sul terreno occupato di proprietà del P. (e su terreni di altri soggetti) il Comune di Milo ha effettivamente realizzato la strada di cui al progetto di pubblica utilità, ma senza perfezionare la procedura espropriativa (in particolare senza emettere il decreto di esproprio). Pertanto il signor P., essendo divenuta irreversibile la trasformazione del fondo, assumeva di avere diritto, oltre alle indennità per occupazione legittima (con riferimento alle quali dovrà pronunciarsi il giudice ordinario) al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittimità dell’occupazione e conseguente irreversibile trasformazione del fondo, quantificato in Lit. 46.900.000, ai sensi dell’art. 5 bis, n. 7 bis, della legge n. 333/92, così come novellata dalla legge 23.12.1996, n. 662, rivalutate al giorno dell’emittenda sentenza e con gli interessi legali sulle somme rivalutate dal giorno dell’occupazione fino all’effettivo soddisfo. Al riguardo, sosteneva il P., che, attesa la particolare appetibilità commerciale del fondo de quo, classificato per mq. 292 in zona "B" dello strumento urbanistico e per 260 mq. in vigneto e rocandete, comunque, nell’intero in zona vocata all’edificazione, il valore dello stesso non sarebbe stato inferiore, alle date sopra indicate, a Lit. 150.000 al metro quadro. 225 Il signor P. chiedeva pertanto di ritenere e dichiarare che il Comune di Milo fosse tenuto a risarcire, ai sensi degli artt. 34 e 35 del .d.lgs. 80/98, i danni subiti e subendi per i fatti di cui sopra; e per l’effetto condannare il Comune di Milo a risarcire, per effetto dei danni subiti e subendi a seguito dell’occupazione illegittima e della realizzazione dell’opera pubblica, nelle misure chieste e cioè in Lit. 46.900.000, oltre agli interessi compensativi e di mora, con rivalutazione monetaria e gli interessi, dalla maturazione del diritto al soddisfo; in subordine stabilire come quantificazione dei danni la corresponsione di una somma con i criteri di cui sopra, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, con gli interessi compensativi e di mora di cui sopra. Si costituiva in giudizio in Comune di Milo, che insisteva per la reiezione del gravame. Con ordinanza n. 201/2001 l’adito TAR disponeva consulenza tecnica d’ufficio per accertare quanto lamentato dal P.. Dalla disposta CTU emergeva che: - le aree occupate sono state irreversibilmente trasformate; - l’estensione complessiva delle aree occupate è superiore a quella prevista nel progetto originario; - le aree occupate presentano caratteristiche non omogenee, essendo parte ricadente in zona "B" (edificabili) e parte in zona "F" (agricole). - il danno da occupazione illegittima veniva quantificato in €. 10.411,54), da maggiorarsi degli interessi maturati, per complessivi € 28.933,98. Con sentenza n. 175/2003, la sez. I dell’adito TAR Catania, accertata l’illegittima occupazione da parte del Comune per la mancata emanazione del decreto di espropriazione, accoglieva il ricorso e condannava il Comune di Milo al risarcimento in favore del P., dei danni conseguenti alla perdita del diritto di proprietà delle aree irreversibilmente trasformate con i lavori di "Trasformazione in rotabile della via rurale di uso pubblico Campanaro nel Comune di Milo", che liquidava in € 10.411,54, somma da maggiorare degli interessi legali maturati nel periodo in cui si è protratta l’occupazione illegittima e sino al 28.04.2001, ammontante a complessivi € 28.933,98, e condannava altresì il Comune a corrispondere gli interessi legali ulteriori sino al soddisfo. Condannava altresì il Comune di Milo al pagamento in favore del P., di spese ed onorari del giudizio, che liquidava in complessivi €. 2.000,00, oltre al rimborso delle spese di consulenza tecnica per l’importo di € 1.847,00. Appellava la citata decisione la parte soccombente, deducendo: violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. 165 del 30.3.2001 in relazione all’art. 88 del d.lgs. 18.8.2000. Resisteva all’appello il signor A.P. che concludeva per il suo rigetto. DIRITTO 1) Osserva il Collegio che il primo problema che porrebbe la controversia in esame, attiene alla questione di giurisdizione. Il problema si pone allorché in una lite pendente la giurisdizione passi ad un giudice diverso da quello che era stato originariamente investito della controversia o per una legge processuale sopravvenuta, o per una decisione della Corte Costituzionale che abbia dichiarato costituzionalmente illegittima una norma di legge, modificando così i criteri astratti di attribuzione della giurisdizione. La necessità di rendere insensibile il processo ai fatti avvenuti dopo l’incardinazione, nota già ai giuristi dell’epoca romana (a loro si deve la massima tradizionale "per citationem perpetuatur jurisdictio"), fu poi codificata nell’art. 5 c.p.c.. L’art. 5 c.p.c. ha risolto il problema del momento al quale riferirsi per accertare i criteri di giurisdizione, determinandoli "con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della domanda, e non riconoscendo rilevanza rispetto ad essa, ai successivi mutamenti dello stato medesimo", consacrando quindi il principio della perpetuatio jurisdictionis. Si riteneva che la regola dell'art. 5 c.p.c. risolvesse la situazione di conflitto che si determinava allorché il mutamento della situazione di diritto o di fatto, individuasse la giurisdizione in capo ad un giudice diverso da quello che legittimamente era stato investito della controversia, affermandosi che la corretta scelta dell'attore conservasse la sua validità ed il giudice adito continuasse ad essere 226 competente, nonostante i mutamenti successivi incidenti sui criteri astratti determinativi della giurisdizione. La nuova formulazione dell’art. 5 c.p.c. è diretta a favorire la perpetuatio jurisdictionis e trova applicazione nel caso di sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito e quindi le modifiche normative processuali non determinano la sopravvenuta carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito (Cass. s.u. 20 novembre 2003, n. 17635; Cass. s.u.12 marzo 2003, n. 3599). Tale principio dell’economia dei giudizi, che tende a perpetuare e non ad escludere la giurisdizione, trova anche conferma nell’art. 37 c.p.c., laddove, il difetto di giurisdizione rilevabile d’ufficio resta precluso dal giudicato sulla giurisdizione stessa, che può formarsi non solo nell’ipotesi di giudicato esplicito, ma anche implicito (C.d.S., sez. VI, 1 dicembre 2003, n. 7862). L’autorità di giudicato di una sentenza pronunciata in tema di giurisdizione opera anche con riferimento ai mutamenti normativi sopravvenuti, ed esplica i suoi effetti sul rapporto giuridico dedotto in giudizio con riferimento a tutte le controversie, destinate ad insorgere tra le medesime parti, essendo irrilevante la sopravvenienza di nuove norme che implichino un nuovo e diverso criterio di giurisdizione (Cass., s.u., 27 novembre 2002, n. 1210). Si può quindi affermare che il momento determinativo della giurisdizione va fissato non soltanto allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda (come sancito dall'art. 5 c.p.c., nella formulazione precedente alla novella del 1990), ma anche con riferimento alla legge vigente in quel momento, senza che possano successivamente rilevare i mutamenti tanto dello stato di fatto quanto delle norme eventualmente sopravvenute (Cass. sez. IV, 27 novembre 2000). Si ritiene che "il principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, atteso che la norma dichiarata costituzionalmente illegittima - a differenza di quella abrogata - non può essere assunta, data l'efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte costituzionale, a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità, salvo il limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione, intendendosi per tali quelli accertati con sentenza passata in giudicato o per altro verso già consolidati" (Cass. sez. un., 6 maggio 2002, n. 6487). Le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno natura di accertamento ad effetti costitutivi e tali effetti sono stabiliti dall’art. 136 cost. e dalla costante interpretazione dell’art. 30 l. 11 marzo 1953 n. 87 adottata dalla giurisprudenza di legittimità, comportano infatti l'eliminazione sin dall'origine della norma, e ne impediscono l'applicazione a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (Cass. 9 gennaio 2004, n. 113; C.d.S., sez. IV, 21 luglio 2000, n. 4035; Cass. 25 marzo 1996 n. 2629; Cass. 1° febbraio 1996 n. 891). La giurisprudenza ha esteso il principio dell'efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento della Corte cost., anche nel caso delle sentenze non meramente ablative ma "additive", quelle cioè che dichiarano la illegittimità di una disposizione nella parte in cui non preveda una determinata statuizione (Cass. 14 marzo 2002, n. 3745). Si afferma che non hanno rilevanza i successivi "mutamenti della legge" nell'ipotesi in cui, ridetermina i criteri di attribuzione della giurisdizione, mentre tale effetto non si verifica ove la legge venga dichiarata costituzionalmente illegittima. Infatti, la giurisdizione costituisce il presupposto per lo svolgimento, di un processo, dinanzi ad un determinato ufficio giudiziario, e che la "ratio" del principio della perpetuatio jurisdictionis si giustifica nell’esigenza di economia processuale a tutela di chi agisce per far valere un diritto in giudizio. L’accertamento del vizio di incostituzionalità, incidendo sul presupposto stesso del valido svolgimento del processo, determina, secondo i principi che disciplinano gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale (artt. 136 comma 1 Cost. e 30 comma 3 l. n. 87 del 1953), l’eliminazione, con efficacia "ex tunc", della norma dichiarata incostituzionale, e l'invalidità degli atti compiuti nel processo davanti al giudice ormai privo di giurisdizione, salve sempre le situazioni esaurite (giudicato e decandenze). La nuova formulazione dell'art. 5 c.p.c., che riconosce rilevanza decisiva, oltre che al fatto, anche al il diritto, garantisce al cittadino la continuazione del processo, prescindendo da ogni mutamento di fatto e di diritto, quale espressione della perpetuatio iurisdictionis, e si sviluppa, al di là della giurisprudenza consolidata delle sezioni unite in tema di perpetuatio iurisdictionis, un indirizzo interpretativo evolutivo, che da rilevanza alla competenza sopravvenuta, ispirata all'economia processuale, frutto di una lettura funzionale dell'art. 5 c.p.c.. 227 In tale prospettiva, in relazione agli spostamenti della giurisdizione dal giudice ordinario al giudice amministrativo, sia la Cassazione - che ha ritenuto "ininfluente la nuova disciplina sulla competenza giurisdizionale in ordine alle controversie in materia di pubblici servizi dettata sia dall'art. 33 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, in quanto dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 292 del 2000, sia dall'art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205 - che ha sostituito il testo originario dell'art. 33 citato - in quanto entrato in vigore (il 10 agosto 2000) successivamente alla proposizione della domanda, e quindi non rilevante, ex art. 5 c.p.c., rispetto alla giurisdizione come originariamente determinata" (Cass. s.u. 21 marzo 2001, n. 127) - che il Consiglio di Stato – che si è ritenuto competente a conoscere di una controversia qualora lo stesso, inizialmente incompetente, sia divenuto competente per una sopravvenuta modifica legislativa (C.d.S., sez. IV, 28 settembre 2000, n. 4829) - hanno privilegiato una lettura funzionale dell’art. 5 c.p.c.. Si ritiene che l'abrogazione, attenga ad un fenomeno di successione di leggi nel tempo, e sia quindi regolata dal principio tempus regit actum, mentre la dichiarazione di illegittimità costituzionale comporta che il giudice non può più applicare la norma ai giudizi in corso, con il limite dei rapporti consolidati. L’applicazione del principio di efficacia ex tunc della pronuncia di illegittimità costituzionale, a differenza dell’abrogazione, comporta la nullità di tutto ciò che era avvenuto prima, e quindi la carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito, che non può essere superata dal principio generale di conservazione della giurisdizione. La dichiarazione di illegittimità costituzionale pare non assimilabile al sopravvenuto mutamento della norma regolatrice della giurisdizione e non costituisce una ipotesi di successione di leggi nel tempo, tale da dare luogo all’applicazione dell'art. 5 c.p.c.. Il principio sancito dall'art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, atteso che la norma dichiarata costituzionalmente illegittima - a differenza di quella abrogata - non può essere assunta, data l'efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte costituzionale, a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità, salvo il limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione, intendendosi per tali quelli accertati con sentenza passata in giudicato o per altro verso già consolidati (Cass., s.u. 6 maggio 2002, n. 6487). Secondo la giurisprudenza, la nuova formulazione dell'art. 5 c.p.c. - che afferma il principio che la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, senza che abbiano rilevanza i successivi mutamenti di essa - non impedisce che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, produca i propri effetti nei processi in corso. Tale affermazione sembra insuperabile dato il tenore dell’art. 136 cost., e dell’art. 30 della L. 11 marzo 1953, n. 87. Anche se il richiamo a queste norme, difficilmente spiega il principio della retroattività sugli effetti sulla legislazione anteriore all’entrata in vigore della Costituzione (Cass. 19 febbraio 2004, n. 3331) ed in tale ipotesi, si era affermato che si era in presenza di una retroattività limitata. Ma il principio della retroattività incontra ben altri limiti, che potrebbero far dubitare della sua assolutezza, costituiti: a) dai rapporti esauriti (Cass. 9 gennaio 2004, n. 1135 – "le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con l'unico limite costituito dalle situazioni consolidate per essersi il rapporto già esaurito; nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da detta norma sono "sub iudice", il rapporto processuale non può considerarsi esaurito, sicché nel momento in cui viene in discussione la ritualità dell'atto la valutazione della sua conformità alla disposizione va valutata avendo riguardo alla sua modificazione conseguita alla sentenza di illegittimità costituzionale, indipendentemente dal tempo in cui l'atto è stato compiuto. Pertanto, qualora nel giudizio di opposizione a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada sia stata contestata la regolarità della notificazione del processo verbale di contestazione della violazione, effettuata a mezzo posta, il giudice deve verificare se la notificazione sia stata effettuata in conformità dell'art. 8, commi 2 e 3, l. 890/82, nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale 346/98 nonché del combinato disposto degli art. 149 c.p.c., e 4, comma 3, l. 890/82, nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale 477/02"); b) da quelli coperti da giudicato (C.d.S., sez. V, 18 marzo 2004, n. 1424, - "il principio affermato dall'art. 37 c.p.c., in base al quale il difetto di giurisdizione è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, va coordinato con il sistema delle impugnazioni, operando esso ogniqualvolta non 228 esista una precedente statuizione espressa, mentre, se questa sia stata emessa, i giudici delle successive fasi possono conoscere della questione soltanto se essa sia stata impugnata, essendo tenuti, in caso contrario, ad applicare l'art. 329 comma 2 c.p.c."; nonché Cass. s.u., 1 ottobre 2002, n. 14080 - "Il giudicato sulla giurisdizione può formarsi, oltre che a seguito della statuizione emessa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione o di ricorso ordinario per motivi attinente alla giurisdizione, solo per effetto di declaratoria espressa sulla giurisdizione data dal giudice di merito e non investita da specifica impugnazione, ovvero a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza di merito che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del giudice adito; in mancanza di ciò, resta sempre prospettabile, e rilevabile d'ufficio, ai sensi dell'art. 37 c.p.c., la questione di giurisdizione). Si potrebbe quindi affermare che ove la sentenza dichiarativa di incostituzionalità intervenga dopo l’esaurimento della fase svolta dinanzi al giudice originariamente adito, non si produca l’inefficacia della fase processuale, tranne che la relativa questione sia stata sollevata prima della conclusione di detta fase, ovvero sia stata dedotta come motivo di impugnazione della sentenza (Cass. s.u., 26 giugno 2003, n. 10163). Nella controversia in esame, si potrebbe quindi ritenere che si sia comunque verificato il limite dell’esaurimento in modo definitivo ed irrovocabile per avvenuta formazione del giudicato, non avendo le parti sollevato la relativa eccezione né prima, né dopo la pronuncia della Corte Costituzionale (Cass. 5 aprile 2001, n. 5039) e non sarebbe più possibile che possa essere rilevata d’ufficio una questione dipendente da una decisione della Corte Costituzionale sopravvenuta nelle more del giudizio, che attenga a profili non sottoposti all’esame del giudice (Cass. 11 dicembre 2000, n. 15596; Cass. 19 maggio 2000, n. 6541). Le esigenze di economia processuale, espressione del principio della perpetuatio jurisdictionis, dovrebbero trovare una soluzione in sintonia col principio della ragionevole durata del processo, posto dall’art. 111 cost., operando quindi come diritto vivente il principio di continuazione del giudizio per ragioni di economia e di accelerazioni processuali dinanzi il giudice adito, ai sensi dell’art. 5 c.p.c.. Ed infatti, il difetto di giurisdizione potrebbe essere rilevato, nel giudizio di appello, soltanto se su tale questione non si sia formato un giudicato implicito od esplicito. Nella specie avendo il giudice in primo grado deciso nel merito, nulla osservando sulla propria giurisdizione, e non essendovi appello sul punto, non potrebbe essere sollevata d’ufficio la questione relativa al difetto di giurisdizione (C.d.S., sez. IV, 18 maggio 2004, n. 3186). Nella fattispecie in esame, non sembrerebbe che sulla questione si sia formato il giudicato implicito, e che non sia stato proposto appello sul punto. 2) La controversia ha per oggetto la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti per la perdita del diritto di proprietà delle aree irreversibilmente trasformate dalle opere realizzate. Il Comune di Milo ordinava l’occupazione d’urgenza degli immobili per la durata di cinque anni e procedeva all’immissione. L’occupazione diveniva illegittima per la mancata emanazione del decreto di espropriazione nei termini previsti. Sembrerebbe che nella fattispecie (ipotesi di occupazione legittima non perfezionata) si prescinda dall’esistenza di un provvedimento della pubblica amministrazione e il giudizio, quindi, sul risarcimento del danno, conseguente ad un comportamento della stessa amministrazione, non implichi alcuna indagine sul potere, e sarebbe quindi di esclusiva competenza del giudice ordinario e non del giudice amministrativo. Ove invece si addivenisse, ritenendo che comunque il giudice, nell’ambito del rapporto processuale, attui il controllo giurisdizionale del potere, e quindi possa decidere la questione in funzione del rapporto in contestazione così come devoluto nel rapporto processuale, l’accertamento sull’autorità, anche nell’ipotesi di carenza del potere stesso, non potrebbe che essere demandato al giudice amministrativo, essendosi determinato comunque l’affievolimento del diritto soggettivo in interesse legittimo, una volta emanato l’atto, quale manifestazione del potere. Diversamente opinando, lasciando il privato arbitro di non reagire contro un atto illegittimo, per ottenere il risarcimento del danno come rimedio alternativo, l’agire dell’amministrazione resterebbe al di fuori del giudice della legittimità della stessa. Ha affermato la Corte Costituzionale, con la decisione 204 del 2004, che è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 103 cost., l'art. 34 comma 1 d.lg. n. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7 lett. b) l. n. 205 del 2000, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto "gli atti, i provvedimenti e i 229 comportamenti" anziché "gli atti e i provvedimenti" delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia. Nel determinare quali siano le particolari materie che, ai sensi dell'art. 103 cost., possono essere devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il legislatore non gode di discrezionalità illimitata, ma è tenuto a rispettare il principio secondo cui le materie di giurisdizione esclusiva debbono essere sempre individuate in base: a) al fatto che in esse la p.a. agisca attraverso l'esercizio di poteri autoritativi; b) al fatto che esse coinvolgano comunque (anche) interessi legittimi. Come sopra già detto, una volta emanato l’atto, e quindi manifestatosi il potere, si è determinato l’affievolimento del diritto soggettivo in interesse legittimo e quindi la competenza spetta al giudice amministrativo al quale spetta accertare anche la contestazione sulla carenza anche sopravvenuta del potere. Il collegamento tra interesse legittimo ed esercizio del potere appare di tutta evidenza ove è pure innegabile che in conseguenza d’esercizio del potere il soggetto resta garantito nei limiti della legittimità del potere esercitato. Ed infatti è da ritenere che nell’interesse legittimo è difficilmente riscontrabile la pienezza del diritto soggettivo, non pare configurabile una signoria dell’esercizio del potere da parte del titolare di interesse legittimo. Preliminare appare la ricostruzione della definizione del concetto di atto e di comportamento. I concetti giuridici hanno una loro valenza in quanto costituiscono lo schema del giudicare. Non si deve trattare di mere formule empiriche ma devono essere tratti dal sistema. Pare opportuno ricordare che il termine atto nella sua etimologia significhi concretizzazione della potenza del soggetto intesa come volontà indirizzata mentre il comportamento altro non è che la manifestazione esterna della volontà indirizzata. Il comportamento è un modo di atteggiarsi del soggetto nella relazione con le persone o con l’ambiente e normalmente traduce e esteriorizza le decisioni già prese o in atto o future. Appare quindi essere una definizione più di natura sociologica che giuridica. La p.a. nel suo agire pone in essere degli atti che possono tradursi in comportamenti, posti in essere in esecuzione di atti amministrativi, che ancorché viziati sono manifestazione dell'attività denunciata, restando comunque effetto dell'azione amministrativa, perché esteriorizzazione di una manifestazione volitiva. I meri atti materiali della p.a., in quanto in alcun modo ricollegabili, neppure implicitamente, all'esercizio di un potere amministrativo, possono essere definiti di mero comportamento, in quanto espressione della mancanza di una determinazione (Cass. s.u., 3 ottobre 2002, n. 14218). Nel giudizio gli atti della pubblica amministrazione non vengono in rilievo come meri comportamenti, ma come atti giuridici idonei a modificare la realtà giuridica ed a produrre i conseguenti effetti giuridici e, pertanto, l'accertamento, anche incidentale, del giudice ricade sulla legittimità-illegittimità di un atto giuridico che ha comportato una lesione patrimoniale per il soggetto. Appare quindi esplicitazione di tale principio l’affermazione giurisprudenziale che l'azione possessoria contro la p.a. è esperibile sia se questa agisca "iure privatorum", sia se ponga in essere un'attività "sine titulo", cioè in assenza di qualsiasi potere giuridico ad essa conferito dalla legge, in quanto in tali casi si ha un comportamento meramente materiale e non opera, perciò, il divieto di condanna ad un "facere" previsto dall'art. 4 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. (Cass. s.u., 22 dicembre 1999, n. 924). In conseguenza, si potrebbe ritenere condivisibile l’affer-mazione che risponde ad una interpretazione del sistema più conforme ai principi costituzionali ritenere impugnabile il comportamento omissivo tenuto dalla p.a.; ciò risulta infatti desumibile dall'art. 24, comma 1, cost. secondo cui "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi", e comma 2, per il quale "la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento"; e, ancora, dall'art. 103, comma 1, cost.; e, infine, dall'art. 113, comma 1, cost. secondo cui "contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa". Nella fattispecie in esame va evidenziato che ai fini della determinazione della giurisdizione non è rilevante il fatto formale che l’occupazione sia stata preceduta o meno da un atto o da un comportamento, ma che sia diretta alla realizzazione dell’opera pubblica, che costituisce sicuramente esplicazione del potere della p.a., mentre i comportamenti sono meri atti materiali e non sono in alcun modo ricollegabili neppure implicitamente, all’esercizio o al non esercizio di un potere amministrativo. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine all'azione possessoria promossa dal privato al fine di rimuovere gli effetti di atti materiali della p.a., in quanto questi ultimi non sono in alcun 230 modo ricollegabili, neppure implicitamente, all'esercizio di un potere amministrativo (Cass. s.u., 11 febbraio 2003, n. 2062). L'istituto dell'occupazione appropriativa non va confuso con la generica ed indeterminata apprensione "sine titulo" da parte di un ente pubblico per qualsivoglia ragione e fine, di un bene immobile del privato (Cass. s.u., 14 aprile 2003, n. 5902). Non c’è dubbio che l’attività dell’amministrazione, in quanto produttiva di effetti illegittimi, resta soggetta al controllo giudiziario. Parrebbe quindi che la tutela risarcitoria, in quanto riferita ad atti della p.a., rientra nell’ottica della tutela degli interessi legittimi ed è prevista dall’art. 24 della Costituzione ed in virtù degli artt. 103 e 113 della Costituzione, attribuita al giudice amministrativo. Sembrerebbe quindi opportuno che dopo le pronunce del giudice delle leggi, gli anzidetti interrogativi vengano nuovamente sottoposti, attesa la loro rilevanza, alle decisioni dell’Adunanza Plenaria sia sotto il profilo più generale, sia con riferimento alla più ristretta problematica delle occupazioni illegittime. In tale situazione, il Collegio ritiene opportuno, ex art. 10 quarto comma del D.P.R. 373/2003, rimettere la soluzione della intera controversia alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. P.Q.M. il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale non definitivamente pronunciando sull’appello indicato in epigrafe, ne rimette l’esame all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 2 febbraio 2005. Depositata in segreteria il 11 aprile 2005. 231 CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA Palermo, sezione giurisdizionale Ordinanza 31 maggio 2005 n. 352 (Pubblico impiego e mansioni superiori) Presidente: Barbagallo – Estensore: Salvia A.CO.S.ET. Azienda Consortile Servizi Etnei (ex C.A.E.) (avv. Faro) c. Clt. (avv. Buscemi) - Rimette all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato la decisione dell’appello avverso la sentenza del T.A.R. per la Sicilia, Catania, sez. III, 2 aprile 2001, n. 767 FATTO Il sig. Crm. Clt., dipendente del C.A.E. (oggi A.CO.S.ET.) di Catania (8^ q.f.), in seguito alla vacanza del posto di "Dirigente capo servizio coordinatore" (1^ q. f.), veniva incaricato con o.s. 19.3.1988, n. 2006, ad assumere le anzidette funzioni apicali. Con successiva delibera n. 58/89 il consorzio deliberava di corrispondere al Clt. le dovute differenze retributive, ma limitatamente a un anno: il periodo massimo stabilito dall’art. 72 del d.P.R. 13.5.1987 per le funzioni vicarie. Le differenze retributive da corrispondere pertanto al sig. Clt. avrebbero dovuto coprire il (solo) periodo 20.3.1988/ 19.3.1989. Ma "inavvertitamente" (così ammette testualmente il consorzio) le anzidette maggiorazioni economiche vennero di fatto erogate "sino al maggio 1991". Infine, con delibera n. 550 del 16.11.1991, il sig. Clt. venne riconfermato nell’incarico, col relativo trattamento economico, sino all’espletamento del concorso per la copertura del posto vacante. A questo punto nasce il contenzioso, alimentato per la verità dalla posizione negativa assunta dall’organo di controllo (il CORECO) in ordine alla reiterazione degli anzidetti incarichi. Sta di fatto che dopo il maggio del 1991 l’amministrazione, non solo non corrisponderà più maggiorazioni retributive, ma pretenderà anche la restituzione delle somme "inavvertitamente" erogate per il periodo 19.3.1989 - maggio 1991. Contro la mancata corresponsione, da parte del consorzio, delle anzidette differenze retributive e i relativi accessori il signor Clt. ha proposto due distinti ricorsi (uno contro il silenzio-rifiuto; il secondo contro il provvedimento esplicito di diniego). Il giudice di primo grado - disposta la riunione dei ricorsi - ha accolto i ricorsi del sig. Clt., condannando l’amministrazione a corrispondere allo stesso le somme dovute per differenze retributive, relativamente ai periodi di effettivo svolgimento delle mansioni superiori e relativi accessori. Gli argomenti addotti dal TAR, a sostegno della pronuncia, si possono così riassumere: a) è pacifico inter partes l’espletamento di mansioni superiori; b) la prestazione è esecutiva di disposizioni emanate dall’amministrazione e, comunque, è stata riconosciuta utile dalla stessa; c) è rinvenibile nell’art. 56 del regolamento organico del personale dipendente la norma che consente l’attribuzione di mansioni superiori, in presenza di situazioni di necessità; d) sussiste infine il requisito della vacanza e disponibilità del posto in organico. La sentenza è stata impugnata innanzi a questo Consiglio dalla A.CO.S.ET.. L’appellante, ribadendo sostanzialmente gli argomenti addotti in primo grado, chiede, previa sospensione, l’annullamento della sentenza, in quanto, a suo avviso, viziata sotto due fondamentali profili: A) per aver dato valore allo svolgimento delle mansioni superiori, in contrasto con la giurisprudenza consolidata che ritiene la irrilevanza (nel pubblico impiego) di dette mansioni (1° motivo app.); B) per aver violato l’art. 72 del d.P.R. n. 268/1987, che impone il limite massimo di un anno per il conferimento di mansioni superiori (2° motivo app.). Questo Consiglio con ordinanza cautelare n. 800/01 del 13.9.2001 ha accolto la domanda di sospensione della sentenza. 232 DIRITTO 1. Passando adesso al merito, appare opportuno posporre la trattazione del primo motivo di ricorso, iniziando dal secondo: e cioè dalla lamentata "Violazione dell’art. 72 DPR. n. 268/1987". Ricorda, al riguardo, l’appellante che - pur consentendo il predetto articolo 72 (in caso di vacanza del posto di vertice della struttura), l’affidamento delle relative funzioni a un dipendente di qualifica immediatamente inferiore - esso tuttavia circoscrive tale possibilità al periodo massimo di "un anno". Ora, poiché, nella specie, tale limite è stato ampiamente superato, nessun diritto il Clt. potrebbe vantare per le mansioni svolte oltre l’anno prescritto. Tale censura non sembra però fondata, alla luce della giurisprudenza formatasi in ipotesi analoghe. In tema ad es. di personale sanitario, la giurisprudenza ha chiarito che il superamento del limite temporale previsto dall’art. 29 del DPR n. 761/1979 non può incidere sfavorevolmente nella sfera giuridica dell’impiegato, ma se mai su quella di chi ha violato il divieto (Cons. St., IV, 18.10.2002, n. 2378). Si tratterebbe in sostanza di "norme di azione", dalle quali non può farsi dipendere la perdita di un diritto altrui. Il giudice di primo grado, non sembra pertanto essersi discostato dagli anzidetti principi giurisprudenziali, oggi largamente condivisi. 2. Maggiore attenzione merita il primo motivo di ricorso, articolato nel seguente modo. In primo luogo l’appellante - richiamando alcune massime giurisprudenziali - sostiene che nel pubblico impiego l’espletamento delle mansioni superiori è irrilevante sia a fini di carriera che economici. Da ciò deriverebbe l’ infondatezza della pretesa del Clt. e la richiesta di annullamento della sentenza di primo grado. L’argomento di per sé non è decisivo, perché se è vero che il legislatore - nel momento in cui dispose la privatizzazione del pubblico impiego - aveva enunciato nell’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 quel principio (in deroga alla disciplina privatistica), è anche vero che nel tempo la portata del medesimo - sotto la spinta soprattutto della giurisprudenza costituzionale - si è andata progressivamente stemperando. La prima breccia al riguardo è stata aperta dal d.lgs. n. 80/1998 (art. 25) che ha reintrodotto in sostanza la rilevanza delle mansioni superiori sia agli effetti economici che di carriera, rinviandone però l’operatività all’entrata in vigore della nuova disciplina dettata dai contratti collettivi. Poco dopo, il d.lgs. n. 387/1998 (art. 15) - rimanipolando la precedente disciplina - ha fatto cadere il "rinvio" del predetto art. 25, limitatamente alle "differenze retributive". In dipendenza di ciò, la già richiamata sentenza di codesta adunanza plenaria n. 11 del 2000 statuisce appunto che "a decorrere dall’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998" va riconosciuto con carattere di generalità il diritto alle "differenze retributive" a favore del dipendente pubblico che abbia svolto le funzioni relative alla qualifica immediatamente superiore. Alla luce delle predette considerazioni, appare evidente che l’affermazione principale dell’appellante secondo cui nel pubblico impiego l’espletamento delle mansioni superiori è irrilevante, pecca quanto meno di eccesso. Ma, sostiene sempre l’appellante, che, anche a voler riconoscere in linea di principio la rilevanza agli effetti retributivi delle mansioni superiori, nel caso specifico esse non potrebbero essere egualmente riconosciute, poiché il predetto art. 15 d.lgs. n. 387/1987 (che dovrebbe costituire la base della pretesa del Clt.), non esplicherebbe effetti per il passato, ma solo per il futuro. Quest’ultimo rilievo merita di essere attentamente vagliato, poiché proprio su questo punto (il valore da attribuire a quest’ultimo articolo), si è creato negli ultimi anni una difformità di orientamento tra la giurisprudenza amministrativa e quella della Corte di Cassazione. Il punto di discrimine tra le due posizioni sembra consistere in ciò: che mentre il giudice amministrativo considera l’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 come una comune disposizione legislativa (frutto in sostanza di una libera scelta politica) e come tale avente efficacia per il futuro (ad. plen. n. 11/2000); la Cassazione invece - ripercorrendo la vicenda della giurisprudenza costituzionale in materia - sembra configurare la novella dell’art. 15 come una sorta di intervento "correttivo" per adeguare il sistema ai principi costituzionali e attenuare le più stridenti differenze con il regime del lavoro privato. Le conseguenze sul piano pratico sono notevoli. Ed infatti, mentre per la giurisprudenza amministrativa l’art. 15 varrebbe solo per il futuro (rappresentando in sostanza una sorta di spartiacque tra un regime assolutamente preclusivo al riconoscimento delle mansioni superiori e uno moderatamente più aperto), viceversa per la Cassazione, la ratio "adeguatrice" ai principi costituzionali del predetto articolo giustificherebbe il carattere retroattivo del medesimo (Cass. sez. lav. 8 gennaio 2004, n. 91). 233 A giudizio di questo collegio, una volta parificato (sia pure con qualche deroga e con non poche forzature alla "natura delle cose"), il lavoro pubblico a quello privato, sembra difficile spiegare le ragioni di un diverso trattamento - basato unicamente sul fattore "tempo" - da applicare ad una medesima categoria di impiegati pubblici. P.Q.M. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sull’appello indicato in epigrafe, ne rimette l’esame all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Così deciso in Palermo, il 24 febbraio 2005. Depositata in segreteria il 31 maggio 2005. 234 CORTE DEI CONTI La Corte dei conti a sezioni riunite in sede giurisdizionale composta dai seguenti magistrati: dott. Antonino COCO, presidente; dott. Nicola MASTROPASQUA, consigliere relatore; dott. Camillo LONGONI, dott. Davide MORGANTE, dott. Bruno DI FORTUNATO, dott. Tommaso MIELE, dott. Angela SILVERI, consiglieri, ha pronunciato la Sentenza n.1 del 2005 (Danno erariale e pluralità di soggetti) nel giudizio su questione di massima proposta dal Procuratore generale con atto in data 31 luglio 2003 ed iscritto al n. 173/SR/QM del registro di segreteria; visti gli atti di causa; uditi nell’udienza pubblica del 9 marzo 2005, con l’assistenza del segretario sig. Pietro Montibello, il relatore cons. Nicola Mastropasqua ed il Pubblico ministero nella persona del vice Procuratore generale dott. Giovanni Saviano. Ritenuto in FATTO Con atto depositato nella segreteria delle sezioni riunite il 31 luglio 2003 ed iscritto al n 173/SR/QM del registro di segreteria il Procuratore generale ha chiesto la soluzione della seguente questione di massima: “se il termine di 120 giorni per emettere l’atto di citazione previsto dall’art. 5 della L. 14 gennaio 1994, n. 19 (novellato dalla legge n. 639/96) in generale e, soprattutto, in ipotesi di responsabilità solidale di componenti di un organo collegiale, debba ritenersi disposto, o meno, quale procedimento unitario che imponga quale dato di decorrenza l’ultima delle modificazioni dell’invito a dedurre ai presunti responsabili del danno erariale”. La questione è stata proposta nella pendenza del giudizio d’appello instaurato dal medesimo Procuratore generale avverso la sentenza della sezione giurisdizionale Regione Lombardia n. 1971/01/R del 21 dicembre 2001 e nei confronti di G.D.M., rappresentato e difeso dagli avv.ti Federico Cipolla e Guido Romanelli, di F.T., anch’egli rappresentato e difeso dagli avv.ti Federico Cipolla e Guido Romanelli, e di F.S., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Paccione. Il giudizio così introdotto è stato già discusso in due udienze, concluse con ordinanze. Con la prima (n. 1/03/Ord. del 17/12/2003) è stata disposta la rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo della questione di massima nei confronti di F.T. e F.S., adempimento effettuato dal Procuratore generale. Con la seconda (1/04/Ord. del 12 luglio 2004) è stato sospeso il giudizio e sono stati rimessi gli atti alla prima sezione centrale d’appello presso la quale pendeva il gravame proposto dal Procuratore generale, perché si pronunciasse in ordine alla eccezione di inammissibilità dell’appello principale 235 per intempestività del gravame, pronuncia ritenuta pregiudiziale in termini di rilevanza in questa sede. La prima sezione giurisdizionale centrale d’appello, con sentenza n. 412/2004/A del 31/12/2004, ha dichiarato ammissibile l’appello principale proposto dal Procuratore generale nei confronti di tutti gli appellati. Con atto depositato in data 12 gennaio 2005 il Procuratore generale ha riassunto il giudizio. Nell’originario ricorso la parte pubblica ricorda che il giudice di primo grado ha dichiarato improcedibile la domanda nei confronti dei soggetti appellati per inosservanza del termine di 120 giorni previsto dall’art. 5, co. 1 della L. n. 19/94. La pronuncia è conforme alla sentenza delle ss.rr. n. 13/2003/QM del 18/06/2003, secondo la quale “nel caso di pluralità di inviti a dedurre, il termine, di cui all’art. 5, co. 1 del L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, e successive modificazioni, di 120 giorni per l’emissione dell’atto di citazione decorre autonomamente per ciascun indagato dalla data in cui l’invito è stato notificato allo stesso, senza alcun collegamento temporale con la notifica di analogo atto ad altri soggetti presuntivamente coinvolti nella stessa vicenda dannosa”. La sentenza afferma che l’art. 5 cit., concernente il termine di 120 giorni per emettere l’atto di citazione, non distingue tra le ipotesi di un solo invitato ovvero di più invitati (presunti responsabili) per una medesima vicenda dannosa. Secondo la parte pubblica, la pronuncia delle sezioni riunite non appare del tutto esaustiva perché non ha considerato le esigenze processuali, sia dei presunti responsabili che dell’attore, nel rilievo che appaiono risolti solo mediante generici obiter dicta i problemi connessi con le obbligazioni soggettivamente complesse derivanti da responsabilità collegiali e in solido (come nella controversia a quo). Detta considerazione ha indotto il Procuratore generale a sottoporre la questione alle sezioni riunite per una rimeditazione in materia, considerando soprattutto la peculiarità della fattispecie in cui si sia prospettato, secondo elementi obiettivi, il dolo dei componenti di un’organo collegiale. In particolare sostiene che non è condivisibile la soluzione data in generale al problema dalle ss.rr., allorquando, ad es., tutti gli invitati chiedono, proprio nell’ultimo giorno utile loro assegnato per fornire deduzioni e documenti, l’audizione, che può essere eseguita soltanto previa convocazione con congruo preavviso. In questo caso, come in altri analoghi che si presentano nella realtà fattuale, il procedimento non può considerarsi esaurito con la scadenza del termine assegnato per il deposito delle deduzioni, come potrebbe sembrare ad una disattenta lettura della norma, perché sovente è destinato a proseguire ben oltre di esso, non per scelta funzionale all’attività del Procuratore reg.le, ma per soddisfare necessità ed esigenze oggettive del convenibile, che non possono essere eluse (ad es., suo stato di malattia), per adempiere all’obbligo delle richieste di audizione. Queste, infatti, potrebbero essere numerose ad essere prodotte per la gran parte nell’ultimo giorno assegnato per il deposito delle deduzioni e le stesse audizioni potrebbero occupare molto o tutto il periodo dei 120 giorni riservato per la stesura e l’emissione della citazione. Sarebbe così sottratto all’Ufficio del P.M., interamente o parzialmente, il tempo indispensabile per ponderare le determinazioni da assumere e per la redazione della citazione. Il rimedio della proroga del termine è ammissibile, poi, se il ritardo sia da riferire ad una scelta operativa del P.M. contabile, quale l’esecuzione di ulteriori indagini, ma non quando egli sia obbligato da legittime circostanze a concedere dilazioni al deposito di documenti o all’audizione, o infine, ad eseguire le audizioni chieste in limine, tutte necessarie per la conclusione del procedimento istruttorio di natura unitario. 236 Pertanto è da ritenere che la ratio della citata norma è nel senso che l’emissione della citazione non venga ritardata oltre i 120 giorni successivi all’intero procedimento, ai fini della determinazione del dies a quo del decorso del termine. Peraltro, nella soluzione della questione va considerato che vige per il procedimento giuscontabile, il principio generale desumibile dall’art, 7 del R.D. 13.8.1933, n. 1038, che al 3 comma dispone: “quando nello stesso procedimento siano più i convenuti, vale per tutti il termine maggiore”. Di certo, non può negarsi che in ipotesi di due o più soggetti invitati presunti responsabili in relazione ad un medesimo fatto ossia ad una stessa vicenda causativa di danno erariale si sia in presenza di uno stesso procedimento giuscontabile e che debba valere il riferito principio di cui all’art. 7 del R.D. 1038/1933, dettato dalla logica processuale sia del principio del simultaneus processus che dell’opportunità. Allorquando venga dedotta nella formulazione dell’invito una pluralità di obbligazioni soggettivamente complesse, o connesse per la loro struttura solidale, occorre che anche nella fase pre-citazione possano essere considerate unitariamente le posizioni giuridiche che riguardano i singoli invitati al fine di una visione unica e completa della causa illecita e dell’evento dannoso: ciò dovrebbe indurre a seguire un procedimento istruttorio unitario per la formulazione dell’invito nei confronti dei presunti corresponsabili (eadem causa obbligandi) e compartecipi nell’evento-danno e, quindi, obbligati per la medesima prestazione (eadem res debita). Esprime, pertanto, l’avviso che quando il preteso danno erariale discende dall’adozione di provvedimenti da parte di un’organo collegiale, emerge un’esigenza processuale che impone unitario ed unico atto introduttivo del giudizio. Il ricorrente sottolinea, poi, tutti gli elementi che depongono per la necessità di un simultaneus processus a garanzia dell’interesse degli stessi convenibili, che hanno il diritto a vedersi contestare esclusivamente il proprio apporto nella produzione nel danno in parola. D’altro canto il ricorrente, all’addotta aleatorietà del termine potenzialmente insita nel procedimento c.d. unitario, oppone che far coincidere la data di decorrenza del termine dei 120 gg. per convenire in giudizio i presunti responsabili con la scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte dell’ultimo soggetto cui è stato notificato l’invito significa riferirsi ad una circostanza oggettiva, constatabile da parte di tutti i presunti responsabili, nonché dal collegio giudicante, essendo certo il suo avverarsi. Del resto, l’aspettativa del convenibile tutelata dalla norma in esame non è quella di essere convenuto in giudizio in un termine inderogabilmente prefissato, ma piuttosto, in ipotesi di pluralità di presunti corresponsabili solidali, in un termine che sia obiettivamente ragionevole e verificabile, non soggetto ad arbitrii del P.M., bensì subordinato ad oggettive esigenze istruttorie e di garanzia, per tutte le parti in giudizio ai sensi degli artt. 24 e 111 Costituzione. Di conseguenza ad avviso del ricorrente, è indispensabile ritenere rilevante, ai fini della soluzione della questione in esame nella ipotesi di responsabilità plurisoggettiva, l’ultima notifica dell’invito, esito di un procedimento unitario. Il Procuratore generale ha depositato ulteriori memorie, da ultimo in data 3 marzo 2005, nelle quali ha illustrato le proprie tesi ed in particolare ha sottolineato la permanenza di contrasti giurisprudenziali sulla questione pur dopo la sentenza di queste sezioni riunite n. 13/2003/QM, depositando anche decisioni conformi alla propria tesi. Gli avvocati Guido Romanelli e Federico Cipolla hanno presentato varie memorie, e da ultimo in data 25 febbraio 2005, nelle quali contestano le tesi della parte pubblica, in particolare in ordine alla esistenza di contrasto giurisprudenziale, e chiedono la conferma della tesi sostenuta nella sentenza n. 13/2003/QM pienamente condivisibile. Nell’odierna udienza di discussione il Pubblico ministero ha illustrato l’atto scritto. 237 Considerato in DIRITTO 1. L’ammissibilità della questione di massima proposta dal Procuratore generale è attestata dalla permanenza di contrasti giurisprudenziali sul punto pur dopo la sentenza di queste sezioni riunite n. 13/2003/QM del 18 giugno 2003, come è dimostrato dalla recentissima sentenza della II sezione giurisdizionale centrale d’appello depositata dal ricorrente (cfr. sez.II n. 287/2004/R del 2 settembre 2004). L’esame del quesito proposto richiede, proprio a ragione del permanere dei contrasti giurisprudenziali, un approfondimento sistematico dell’istituto dell’invito a dedurre. 2. Il Procuratore regionale deve invitare, ai sensi dell’art. 5 1° comma della L. n. 19/1994 e successive modificazioni, il presunto responsabile del danno a depositare, entro un termine prefissato, le proprie deduzioni ed eventuali documenti nonché a chiedere, ove lo ritenga, di essere sentito personalmente. Questa fase procedimentale preprocessuale si inserisce in un momento ben preciso. Secondo il testo normativo l’invito deve essere formulato dal Procuratore regionale prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, e cioè ad istruttoria conclusa quanto la parte pubblica abbia maturato l’opinione che il soggetto invitato sia responsabile del danno. In fase istruttoria, infatti, il Procuratore regionale dispone di ampi poteri quali enunciati dal comma quarto dell’art. 2 e dal comma sesto dell’art. 5 della legge n. 19/1994, esercitati senza la presenza degli indagati. Dalle norme citate si deduce (e la giurisprudenza è pacifica sul punto) che l’invito a dedurre è un istituto a garanzia del presunto responsabile, il quale può introdurre anteriormente all’inizio del giudizio elementi, fatti e documenti idonei ad indurre il Procuratore regionale a non emettere l’atto di citazione, a dimensionare diversamente la responsabilità, a chiamare in giudizio altri corresponsabili. L’invito a dedurre, in quanto obbliga il soggetto titolare dell’azione risarcitoria a svolgere attività a favore del supposto debitore anteriormente all’inizio del giudizio ed incidente sull’esercizio dell’azione, è istituto del tutto singolare. Invero, anche a voler instaurare un parallelismo con il processo penale, la presenza in questo dell’indagato in fase istruttoria è finalizzata alla formazione della prova in contraddittorio mentre i termini di durata delle indagini sono intesi a limitare l’attività istruttoria del Pubblico ministero. D’altro canto un istituto quale l’invito a dedurre si appaleserebbe di difficile compatibilità con un ordinario giudizio civile, in quanto limiterebbe il diritto di azione, in contrasto con l’art. 24 Cost. Altre considerazioni sono invece a farsi per quanto riguarda il giudizio di responsabilità amministrativo contabile. In questo la natura patrimoniale della responsabilità (da ultimo riconfermata da Corte cost. n. 354 del 28 ottobre - 15 novembre 2004) assume connotazioni particolari. Invero, l’azione di responsabilità non è intesa al mero ripristino dell’equilibrio patrimoniale tra il soggetto pubblico leso dal danno e autore dell’illecito che lo ha causato, ma tutela soprattutto l’esigenza che i mezzi finanziari pubblici ed il patrimonio pubblico siano utilizzati per il raggiungimento dei fini pubblici di cui è attributario il soggetto pubblico. Questo aspetto finalistico si salda con un altro principio costituzionale sotteso all’attività della P.A. e dei soggetti che la fanno agire, e cioè della responsabilità personale dei pubblici amministratori e dipendenti per fatti, atti, attività in contrasto con i fondamentali canoni di legalità, imparzialità, buon andamento dell’azione amministrativa. L’inserimento in Costituzione dell’art 28 ha inteso, attraverso la previsione di una generalizzata responsabilità personale, “sanzionare” i comportamenti personali devianti dai fondamentali principi di azione amministrativa. Le forme della tutela sono differenziate in relazione ai diritti ed interessi lesi ed al tipo di giudizio nel quale vengono fatti valere, ma resta fermo il principio costituzionale della responsabilità personale con il quale contrasterebbe qualsiasi norma di legge ordinaria intesa ad irrazionalmente limitare la responsabilità. 3. La tutela accordata ai soggetti pubblici per i danni arrecati dai soggetti legati con essi da rapporto di servizio si conforma nei tratti essenziali agli istituti civilistici, ma con significative differenze coerenti ai sottolineati aspetti finalistici. 238 Fondamentale in questo senso è l’attribuzione in via esclusiva dell’azione di responsabilità al Procuratore regionale/generale della Corte dei conti, quale soggetto rappresentativo degli interessi dello stato-comunità, alla soddisfazione dei cui bisogni è destinato il patrimonio pubblico ed è indirizzata l’attività amministrativa, sottraendo così alla valutazione discrezionale degli amministratori degli enti pubblici la tutela dei diritti di cui si tratta. La funzione istituzionale obbliga il Procuratore regionale/generale ad agire secondo principi di imparzialità e di necessaria tutela degli interessi pubblici, espressi dalla obbligatorietà ed irrinunciabilità dell’azione, attraverso la quale trova tutela sia l’interesse pubblico all’utilizzazione finalizzata del patrimonio pubblico sia l’aspetto “sanzionatorio” dei comportamenti illeciti dei pubblici amministratori e dipendenti. E’ coerente con questa impostazione pubblicistica l’esigenza, che per la parte pubblica diventa dovere di comportamento, di convenire in giudizio tutti i soggetti che hanno arrecato danno all’ente pubblico con dolo o colpo grave sia a fini ripristinatori del patrimonio pubblico sia a fini “sanzionatori” dei comportamenti devianti, rilevando sotto ambedue i profili che nel giudizio stiano tutti i soggetti responsabili e solo essi (o più precisamente quelli che la parte pubblica ritiene responsabili). In quest’ottica pubblicistica appare di rilievo l’istituto dell’invito a dedurre, inteso come possibilità di difesa del convenibile e come strumento offerto per un più corretto e mirato esercizio dell’azione di responsabilità. Sotto il profilo funzionale la partecipazione del convenibile alla fase antecedente l’esercizio dell’azione consente a questi una più compiuta difesa in relazione alla natura personale e parziaria dell’azione risarcitoria (art. 1 comma I quater L. 20/1994). E’, invero, interesse del convenibile che nel giudizio vengano valutate tutte le singole responsabilità, e quindi anche quelle non individuate dal Procuratore regionale, per dimensionare la propria eventuale condanna. In via di principio, infatti, l’individuazione nel processo e da parte del giudice della dimensione della responsabilità di ciascun condannato in relazione ad altre accertate responsabilità in un contesto di obbligazione parziaria, implica la necessità che all’unico giudizio partecipino tutti i soggetti ritenuti responsabili. Gli esposti aspetti funzionali dell’azione di responsabilità sono alla base delle considerazioni del Procuratore generale intese a far prevalere anche in tema di termini per l’esercizio dell’azione a seguito di invito a dedurre le esigenze del “simultaneus processus”. 4. Gli aspetti funzionali non esauriscono però l’ambito e gli effetti dell’invito a dedurre, dovendosi riguardare l’istituto anche sotto il profilo strutturale. Sotto questo aspetto l’invito a dedurre è un atto procedimentale preprocessuale formalizzato e connotato sulle categorie processuali. Invero ai sensi dell’art. 5, comma primo, della L. 19/94 e successive modificazioni l’invito a dedurre deve essere comunicato all’interessato mediante notifica, deve contenere un termine per il deposito di deduzioni e documenti e per la richiesta di essere sentito personalmente non inferiore a trenta giorni, da detto termine decorre un altro termine (prorogabile mediante procedimento giurisdizionale camerale) per la chiusura delle indagini del Procuratore regionale. La validità e l’efficacia degli atti processuali debbono essere accertate e valutate per ogni singolo atto, secondo le disposizioni che le regolano. Pertanto, per ogni singolo invito a dedurre, la sua emissione, la sua notifica, la concessione di un termine dilatorio, l’osservanza dell’obbligo di sentire personalmente l’interessato attestano la piena validità dell’atto, che solo così acquista piena efficacia. Per altro l’invito a dedurre (ed il rispetto delle regole) è presupposto necessario o condizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità con conseguenti pronunce (di inammissibilità o di improcedibilità a seconda delle opzioni prescelte sulle quali non è qui a soffermarsi) del giudice adito ove comunque il giudizio venga introdotto. Il termine di centoventi giorni previsto dall’art.5, c. 1° della legge 19/94 attiene, pertanto, all’esercizio dell’azione di responsabilità od all’archiviazione degli atti dopo che sia stato emesso un valido invito a dedurre. In questo contesto si deve allora ritenere che l’’art. 5, comma primo, della L. n. 19/94 abbia inteso stabilire l’obbligo del Procuratore regionale di definire la propria attività istruttoria con un atto formale (sia pure a sola valenza interna per quanto riguarda l’archiviazione) da emettere entro termini prefissati, stante l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativocontabile. In sostanza il Procuratore regionale ha l’obbligo di concludere le proprie indagini, almeno allo stato degli atti, accertando se esistono o meno i presupposti per l’esercizio (obbligatorio) dell’azione di responsabilità, rendendone ostensive le ragioni in caso negativo sia pure attraverso un atto interno. 239 5. Resta a questo punto da stabilire la natura dei termini fissati dalla citata norma. Va in proposito rilevato che la norma non prevede alcuna decadenza del potere del Procuratore regionale di emettere l’atto di citazione in giudizio per il mancato rispetto del termine. Anzi l’imposizione di un obbligo di alternativamente emettere l’atto di citazione o disporre l’archiviazione ha fatto affermare a consolidata giurisprudenza delle sezioni di appello che detto potere permane pur dopo la scadenza del termine, non potendosi logicamente e sistematicamente ammettere che l’attività istruttoria del Procuratore regionale non abbia alcun esito né positivo né negativo. D’altro canto l’archiviazione del Procuratore generale è, allo stato della legislazione, mero atto interno, non sottoposto a valutazione del giudice e non doverosamente esternabile all’esterno, esprimendo così una mera valutazione di inesistenza allo stato degli atti delle condizioni per l’esercizio dell’azione di responsabilità. Quanto agli effetti del mancato rispetto del termine, questi secondo le opzioni dottrinali e giurisprudenziali, possono essere esterni all’atto fuori termine oppure investirlo. Secondo quest’ultima opzione gli effetti della mancata osservanza del termine ordinatorio vanno individuati di volta in volta in relazione alla natura dell’atto rispetto al quale il termine è stabilito ovvero al mancato rispetto del termine fissato dal giudice nel provvedimento di proroga ovvero mediante il collegamento a termini fissati per altri atti connessi (cfr. Cass. n. 3340 del 18 aprile 1997, n. 808 del 29 gennaio 1999). In questa prospettiva al mancato rispetto dei termini di cui all’art. 5, primo comma, del D.L. n. 453/93 potrebbero in tesi collegarsi due tipi alternativi di conseguenze: − la inutilizzabilità della fase preprocessuale dell’invito a dedurre con il conseguente obbligo del Procuratore regionale di emettere un nuovo invito a dedurre, con pronuncia di inammissibilità o improcedibilità dell’atto di citazione (sostanziale parificazione all’emissione dell’atto di citazione in mancanza dell’invito a dedurre); − la nullità dell’atto di citazione, con parificazione al mancato rispetto di altri termini processuali. In ogni caso la pronuncia del giudice dovrà essere di natura meramente processuale con esclusione di effetti diretti sul diritto sostanziale, e dovrà riguardare ogni singolo invito a dedurre (cfr. sugli effetti del mancato rispetto dei termini nell’invito a dedurre sez. I n. 181/2002/A del 6 giugno 2002). 6. A questo punto, dopo aver affermato che gli aspetti strutturali e le connesse garanzie individuali prevalgono sugli aspetti funzionali messi in luce dal ricorrente Procuratore generale, va accertato se nella legislazione positiva si rinvengono disposizioni che, sulla base di determinati presupposti, consentono di coniugare gli aspetti funzionali e gli aspetti strutturali dell’invito a dedurre nei limiti dei principi innanzi indicati. Il ricorrente Procuratore generale, al fine di stabilire che il termine di centoventi giorni di cui al primo comma dell’art. 5 della L. n. 19/1994 decorre in ipotesi di pluralità di convenibili dalla data dell’ultima notifica dell’invito a dedurre, ha invocato l’art. 7, terzo comma, del regolamento di procedura n. 1038/1933. Il cit. art. 7 del R.D. n. 1038/1933, dopo aver fissato al primo comma il termine per comparire nei giudizi innanzi alla Corte dei conti, stabilisce al terzo comma che “quando nello stesso procedimento siano più i convenuti, vale per tutti il termine maggiore”. La norma è funzionale all’esigenza, presente anche nel previgente ordinamento, del “simultaneus processus” nella ipotesi di più convenuti. Questa esigenza è ancora più incisiva dopo la riforma del 1994 che, avendo stabilito la parziarietà dell’unitaria obbligazione risarcitoria e rimesso alla valutazione del giudice la individuazione della parte che ciascuno ha preso nella causazione del danno, impone l’esame unitario e comparato nel medesimo procedimento delle posizioni, tra loro strettamente collegate, di tutti i convenuti chiamati a rispondere del medesimo fatto dannoso. In detto quadro ordinamentale, al fine di stabilire se la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 7 del regolamento di procedura n. 1038/1933 sia applicabile anche al recente istituto dell’invito a dedurre, vanno richiamate le considerazioni in ordine alla connotazione procedimentale dell’atto per gran parte sottoposto alle stesse regole del processo. Va posto in evidenza ancora che la legge di riforma n. 19/94, disciplinando l’attività preprocessuale di indagine del Procuratore regionale, ha inserito nella fase terminale, quando l’organo pubblico ha già individuato uno o più presunti responsabili di un danno pubblico, l’invito a dedurre quale difesa avanzata dalle ragioni del presunto responsabile anche in vista di un più approfondito esercizio dell’azione (cfr. ss.rr. n. 27/99/QM del 27 dicembre 1999). 240 A ciò consegue che, nella ipotesi nella quale il Procuratore regionale prima di emettere l’invito a dedurre abbia individuato una pluralità di presunti corresponsabili del danno pubblico, l’invito a dedurre debba essere emesso contestualmente nei confronti di tutti i presunti corresponsabili e formulato in modo tale da far emergere le assunte corresponsabilità. Solo in tal modo infatti sarà possibile ai soggetti convenibili esercitare pienamente la loro difesa avanzata. D’altro canto la contestualità dell’invito a dedurre è funzionale anche all’esercizio in un unico processo delle azioni di responsabilità nei confronti di tutti i soggetti ritenuti corresponsabili. In quest’ambito di contestualità dei più inviti a dedurre, nel quale una pluralità di date di decorrenza del termine dei centoventi giorni è mera conseguenza dell’attività di notifica, può soccorrere la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 7 del regolamento di procedura n. 1038/1933. Si tratta invero di una norma processuale pienamente compatibile con la natura dell’invito a dedurre sotto ambedue i profili strutturale e funzionale. Negli esposti limiti può pertanto affermarsi che il dies a quo del termine di centoventi giorni stabilito dal primo comma dell’art. 5 della legge n. 19/94 decorre dalla data dell’ultima notifica del (contestuale) invito a dedurre. In tutte le altre ipotesi, e soprattutto quando dall’esercizio delle facoltà concesse ai soggetti invitati nasce l’esigenza di ulteriori indagini soggettive od oggettive da parte del Procuratore regionale, soccorre l’istituto della proroga del termine delle indagini autorizzata dalla competente sezione giurisdizionale. In tal modo, a garanzia delle esigenze di ragionevole durata dell’istruttoria e di completezza dell’istruttoria stessa, la durata del potere di (ulteriore) indagine del Procuratore regionale è sottoposto alla valutazione del giudice terzo. D’altro canto, va notato, il termine di centoventi giorni di cui si discute viene ex lege prorogato sulla base di una mera attività del Procuratore regionale. E’ sufficiente, infatti, che questi chieda, anche per motivi infondati, la proroga del termine per poter disporre comunque di un ulteriore periodo di quarantacinque giorni, decorrenti dal provvedimento negativo del giudice, per emettere l’atto di citazione. Pertanto, anche assumendo il termine di centoventi giorni quale garanzia del convenuto di conoscere in tempi certi se sarà o meno citato in giudizio, in ogni caso egli è assoggettato all’ulteriore termine certo nell’an ma incerto nel quando derivante dalla mera richiesta di proroga da parte del Procuratore regionale. Incentivare non utilmente l’istituto della proroga comporterebbe l’appesantimento ed il prolungamento della necessaria fase procedimentale preprocessuale, con effetti sulla durata complessiva del giudizio contrastanti con i principi dell’art. 111 Cost. novellato. Le esigenze prospettate dal Procuratore generale nell’atto introduttivo del presente giudizio trovano comunque tutela nella ricostruzione complessiva dell’invito a dedurre innanzi delineata, senza che questo incida in negativo sulle garanzie di tutela accordata alla parte pubblica, come a qualsiasi soggetto dell’ordinamento, dall’art. 24 Cost. 7. La soluzione del proposto quesito è idonea a corrispondere anche alle esigenze prospettate dal ricorrente Procuratore generale nella ipotesi di responsabilità dei componenti di un organo collegiale (ipotesi nella quale è più evidente la necessità dell’unicità del processo ma anche della contestualità dell’invito a dedurre). Per quanto riguarda la ipotesi della responsabilità solidale, va esclusa la possibilità di pronuncia da parte di queste sezioni riunite nei limiti in cui il quesito proposto attenga alla esistenza o meno di litisconsorzio necessario in detta ipotesi. Conclusivamente va, pertanto, affermato che il termine di cui all’art. 5, primo comma, della legge n. 19/1994 decorre, nella ipotesi che l’invito a dedurre sia emanato nei confronti di una pluralità di soggetti ritenuti corresponsabili del danno erariale e così individuati nell’atto contestualmente ad essi inviato, dalla data dell’ultima notifica dell’invito a dedurre. In tutti gli altri casi, e quindi anche nella ipotesi che altri eventuali corresponsabili vengano successivamente individuati, il dies a quo del termine di centoventi giorni di cui all’art. 5, primo comma, L. n. 19/1994 decorre dalla data di notifica di ciascun invito a dedurre, soccorrendo alle ulteriori esigenze istruttorie l’istituto della proroga. Non è pronuncia per le spese, stante la natura del giudizio. P.Q.M. Le Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale definitivamente pronunciando sulla questione di massima proposta dal Procuratore Generale con atto depositato in data 31 luglio 2003 241 affermano che nella ipotesi in cui una pluralità di soggetti siano i presunti responsabili del danno erariale e nei loro confronti venga emesso un contestuale invito a dedurre, il termine di centoventi giorni di cui all’art. 5, primo comma, del D.L. n. 453/1993 convertito nella legge n. 19/1994 e successive modificazioni decorre dalla data dell’ultima notifica dell’invito a dedurre. In tutte le altre ipotesi, detto termine decorre autonomamente per ciascun indagato dalla data di notifica dell’invito nei suoi confronti. Dispone che la segreteria provveda alla restituzione degli atti alla prima sezione giurisdizionale centrale di appello presso la quale pendono i giudizi di merito nonché alle notifiche di rito. Non è luogo a pronuncia per le spese. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 9 marzo 2005. Depositata in segreteria il 25 marzo 2005. 242 CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regione Abruzzo Sentenza 29 aprile 2005 n. 393 (Responsabilità amministrativo contabile) Presidente, Minerva; estensore, Pozzato; P.M. Perin Procura regionale c. R.B. (avv.ti Rossi e Camerini). SENTENZA nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 423/E.L. del registro di Segreteria, promosso dal Procuratore regionale della Corte dei conti per l'Abruzzo nei confronti del signor B.R.; visto l’atto introduttivo della causa; visti tutti gli atti e documenti di causa; uditi, alla pubblica udienza del giorno 23.3.2005, il giudice relatore dott. Marcovalerio Pozzato, l'avv. Francesco Camerini per il convenuto, che ha insistito per il rigetto della domanda attorea, il Pubblico ministero, S.P.G. Massimo Perin, che ha insistito per l’accoglimento della dedotta pretesa. FATTO L’atto di citazione della Procura della Corte dei conti per la Regione Abruzzo (notificato al convenuto il 3.1.2005) riferisce che il Comune di Colonnella ha sopportato un esborso monetario, pari a euro 14.643,35, essendo stata effettuata, nell’anno 1988, una fornitura di cornici d’argento (in dispregio alle norme di contabilità pubblica), cui ha fatto seguito la soccombenza in giudizio, in relazione alle pretese della ditta (F.V.) che aveva eseguito la predetta fornitura. In esito alla lite giudiziaria il predetto Ente locale si è trovato altresì a versare all’avv. Luciano Scaramazza (del Foro di Teramo) la somma di euro 3.030,38. Rileva la predetta citazione che il sig. R.B., in qualità di Sindaco di Colonnella, aveva acquisito dalla ditta F.V. una fornitura di cornici d’argento, che erano state successivamente consegnate ai consiglieri comunali. L’Amministrazione comunale succeduta a quella del B., tuttavia, non riconosceva (delibera 238 del 30.12.1988) la sussistenza del debito conseguente a detta fornitura, non essendo stata espletata alcuna gara, in totale dispregio della normativa contabile; si opinava, in sostanza, che la fornitura in questione dovesse essere riferita personalmente al sig. B., senza alcuna imputazione all’Ente locale. In tale contesto la ditta creditrice, non avendo ricevuto alcun pagamento a saldo della propria fornitura, regolarmente effettuata (fattura del 13.6.1988), adiva le vie legali per ottenere il pagamento di quanto dovuto; il Tribunale di Teramo, con sentenza n. 1523 dell’8.11.2002, condannava il Comune di Colonnella per indebito arricchimento nei confronti della ditta opposta, con aggravio delle spese legali. Secondo la Procura regionale della Corte dei conti per l'Abruzzo gli importi pagati dal Comune di Colonnella a titolo di risarcimento danni, spese legali e di giustizia costituiscono danno erariale, del quale deve essere chiamato a rispondere il Sindaco di Colonnella (responsabile personalmente dell’ordine della fornitura in questione) sig. R.B.. A seguito della notifica (8.10.2004) dell’invito di cui all’art. 5, comma 1 del D.L. 15 novembre 1993 n. 453, convertito, con modificazioni, nella L. 14 gennaio 1994, n. 19, il sig. B. ha affermato (con nota di controdeduzioni prodotta, con l’assistenza dell’avv. R. Perilli, l’8.11.2004) che nessun comportamento dannoso poteva a lui essere imputato. 243 La procedente Procura, ritenendo sussistente la responsabilità amministrativo-contabile del convenuto in relazione a tali fatti, ha chiamato il Sig. B. in giudizio, con citazione notificata il 3.1.2005. La predetta citazione ha quindi individuato il danno erariale da porre a carico del convenuto nella somma di euro 17.673,73, corrispondente all’importo che ha aggravato il bilancio dell’ente locale per spese di nessuna utilità che, con una gestione più accorta, potevano essere evitate. In data 3.3.2005 gli avvocati Adriano Rossi, Vincenzo e Francesco Camerini si sono costituiti in giudizio per il sig. B.; il collegio difensivo ha prodotto memoria difensiva chiedendo il rigetto della pretesa attorea. In particolare, viene in primo luogo eccepita la mancanza (anche indiziaria) della prova che l’incolpato abbia in alcun modo effettuato l’ordinazione delle forniture al Comune. In via gradata viene rilevato che, qualora si ammettesse che il convenuto aveva disposto le forniture in questione (a titolo ovviamente personale), male fece il Comune a pagare e a prestare acquiescenza alla sentenza di condanna; in tale prospettazione, viene fra l’altro sottolineato che il mancato riconoscimento della utilitas (da parte dell’Ente locale) avrebbe dovuto indurre il Tribunale a respingere la domanda del F. (con riferimento all’actio de in rem verso, ex art. 2041 c.c.). Anche volendo seguire il criticato indirizzo seguito dal giudice di Teramo, proprio il riconoscimento (per facta concludentia) dell’utilitas escluderebbe che al B. possano fare carico le somme pagate dal Comune a titolo di rivalutazione, interessi e spese legali, nonché le spese del difensore dell’ente; in tale prospettiva, l’arricchimento del Comune non potrebbe essere trasferito al B., che dalla fornitura non ha ritratto alcun utile personale. Da ultimo, pur dovendosi escludere che al convenuto possa essere ascritto un comportamento gravemente colposo, viene comunque eccepita la prescrizione del diritto al risarcimento invocato dalla precedente Procura, poiché, in base all’art. 93 del D.lgs. 267/2000, l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e del personale degli enti locali si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto. All’odierna udienza l'avvocato Camerini si è riportato ai propri atti conclusionali, insistendo per il rigetto della pretesa attorea; ha ulteriormente evidenziato che da nessuna fonte risulterebbe l’ascrivibilità (al suo assistito) dell’ordine delle forniture. Sempre nel merito, viene ribadita l’erroneità della sentenza con cui il giudice civile ha condannato l’Amministrazione per l’indebito arricchimento e il contegno processuale serbato in tale occasione dall’ente, che significativamente omise di chiamare in garanzia il B. (sebbene fosse stato costantemente affermato che le forniture fossero una sua iniziativa personale). Da ultimo, in via estremamente gradata, il predetto difensore ha ribadito l’eccezione di quinquennale prescrizione, che dovrebbe essere fatta decorrere dal 1988, anno in cui il fatto (in ipotesi dannoso) fu commesso. Il Procuratore regionale ha controdedotto alle conclusioni di parte convenuta riportandosi all'atto introduttivo del presente giudizio, chiedendo l'integrale accoglimento della pretesa ivi formulata, non opponendosi alla eventuale applicazione del potere riduttivo dell’addebito da parte della Sezione. CONSIDERATO IN DIRITTO Vanno in primo luogo disattese le eccezioni che parte convenuta ha sollevato in materia di prescrizione: si deve infatti rilevare che, nella fattispecie in esame, avente ad oggetto un danno erariale c.d. indiretto, la prescrizione non può che decorrere dal momento dell'effettiva erogazione costituente danno erariale. Secondo parte convenuta sarebbe, infatti, intervenuta prescrizione, atteso che l’acquisizione degli oggetti (causativa del danno) è avvenuta nel maggio-giugno 1988, mentre l'atto di citazione è stato 244 notificato il 3.1.2005; si eccepisce, in sostanza, che la prescrizione opera per il tempo di cinque anni all'indietro rispetto al "fatto", consistente nella consegna delle forniture. Sul punto, rileva il Collegio che vero è che l'azione contabile deve ora esercitarsi in cinque anni dal verificarsi del "fatto dannoso" (art. 1, c. 2, L. 14.1.1994, n. 20). Il nuovo termine prescrizionale da un lato è teso a delimitare il periodo di incertezza in cui sono tenuti gli amministratori ed i dipendenti, dall'altro è coerente con la funzione della responsabilità amministrativa non solo repressiva, ma soprattutto preventiva di comportamenti dannosi analoghi a quelli oggetto di giudizio, funzione che può esplicarsi utilmente solo se una definitiva pronuncia giunga in tempi ragionevoli. Tale disposizione va posta in correlazione con il principio generale dettato dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; così non ragionando, in sicuro dispregio dei principi fondamentali del nostro ordinamento, a fronte all’accertato contegno antidoveroso del soggetto responsabile e alle conseguenze dannose a distanza sopraggiunte, ci si troverebbe innanzi a significative lesioni di interessi pubblici senza che ci sia la corrispondente tutela giurisdizionale. Muovendosi in tale ordine di idee, la Cassazione (cfr. SSUU, n. 875/1990) ha perspicuamente chiarito che "la prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a decorrere dal momento in cui il danno stesso si è verificato e non da quello eventualmente diverso in cui è stato posto in essere l’atto illecito". In coerenza a tali principi, la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sul termine iniziale della prescrizione, è assolutamente consolidata nell'interpretare l'espressione "fatto dannoso" (sostanzialmente sovrapponibile all’espressione "fatto" utilizzata dal legislatore nell’art. 93 del D.lgs 267/2000) nella concreta erogazione di somme da parte della pubblica amministrazione e non nel fatto che tale erogazione ha reso inevitabile; vale la pena di osservare, in proposito, che tale termine ("fatto") è costituito dall’elemento complesso condotta-evento e che la fattispecie dannosa si completa con l’attualizzarsi di quest’ultimo. Il Collegio afferma quindi, sulla scorta della propria giurisprudenza, (integrata con SS.RR. n. 7/QM in data 24.5.2000) che, in ipotesi di danno c.d. "indiretto", il termine prescrizionale decorre dal momento nel quale comincia a realizzarsi il danno ed il diritto può essere fatto valere. Occorre, nel caso di specie, fare riferimento alla data del 4.6.2004, con cui la Giunta Comunale deliberò di dare corso ai pagamenti (cfr., sul punto, anche Sez. III centr. app., n. 391/A in data 10.9.2003) in favore della ditta creditrice; rispetto a tale termine l'azione, introdotta con atto di citazione del 3.1.2005, risulta assolutamente tempestiva. L'atto di citazione risulta quindi tempestivo e l'eccezione va respinta. Nel merito, osserva il Collegio che la fattispecie in esame concerne il danno erariale scaturito da spese legali e interessi conseguenti a procedimento giudiziario promosso dalla ditta F.V., che effettuò forniture di cornici d’argento, consegnate agli uffici del Comune di Colonnella, senza ricevere alcun corrispettivo da quest'ultimo. Alla traditio degli oggetti al Comune non seguì, infatti, il versamento di alcuna somma di denaro e la ditta fornitrice, pertanto, si vide costretta a adire le vie legali per vedersi riconosciuto quanto di spettanza (da cui le spese erogate dall'ente locale per le forniture, le spese legali e gli interessi). La Procura Regionale per l'Abruzzo ha ritenuto sussistenti in capo al convenuto sig. B. elementi di responsabilità amministrativo-contabile in relazione a comportamenti contrari ai propri doveri di ufficio e gravemente colposi, consistenti nell'avere provocato spese (con la probabile finalità di ingraziarsi la gratitudine dei consiglieri comunali) senza osservare le procedure di legge. Il danno erariale in evidenza nella presente fattispecie, in ipotesi ascrivibile al convenuto, risulterebbe dal complesso degli esborsi effettuati, non sussistendo alcuna utilità della spesa per l'ente locale, consistenti nel valore delle merci, negli accessori del credito, nelle spese legali e negli interessi che il Comune non avrebbe dovuto sopportare. 245 Di contro, parte convenuta oppone la mancanza (anche indiziaria) della prova che all’incolpato sia ascrivibile l’ordinazione delle forniture effettuate. A parte ciò, nella denegata ipotesi che si riconosca che il convenuto abbia effettivamente ordinato gli oggetti in questione, male fece il Comune a pagare e a prestare acquiescenza alla sentenza di condanna, posto che, in tal caso, che il mancato riconoscimento della utilitas (da parte dell’Ente locale) avrebbe dovuto indurre il Tribunale a respingere l’actio de in rem verso - ex art. 2041 c.c.della ditta F.. Comunque, il riconoscimento ex se (per facta concludentia) dell’utilitas escluderebbe che al B. possano fare carico le somme pagate dal Comune a titolo di rivalutazione, interessi e spese legali, nonché le spese del difensore dell’ente; in tale prospettiva, l’arricchimento del Comune non potrebbe essere poi addebitato al B., che dalla fornitura non ha ritratto alcun utile personale (se non nella cornice commemorativa -della sua medesima Amministrazione - a lui rimasta). All'odierna udienza il rappresentante del Pubblico Ministero si è riportato all'atto introduttivo del presente giudizio, chiedendo l'accoglimento della pretesa ivi dedotta; per converso l'avv. Camerini ha chiesto l'assoluzione del convenuto da ogni addebito. Il convenuto deve essere condannato. Contrariamente a quanto affermato da parte convenuta, che ha eccepito la mancanza (anche indiziaria) della prova che l’incolpato abbia in alcun modo effettuato l’ordinazione delle forniture al Comune, va integralmente ascritta al consapevole contegno del B. la responsabilità per l’acquisizione delle cornici d’argento di cui è questione. La imputabilità del contegno scaturisce da più ordini di indizi (circa l’ordinazione diretta) e di motivi. In primo luogo, risulta da una duplice serie di indizi concordanti l’attribuibilità della fornitura al B. (nella sua veste di Sindaco): 1. risulta agli atti lettera, in data 6.3.1989, in cui l’avv. Angelo Lancione significa al B. che "come a Sua conoscenza, il sig. F. ebbe a riceversi dalla Sua persona, all’epoca in qualità di Sindaco di Colonnella, un ordine di consegna di nn. 28 cornici con targa, che venivano successivamente rimesse al Comune di Colonnella"; 2. la natura della fornitura, concernente cornici d’argento commemorative (in particolare, del periodo in cui il B. rimase alla guida del Comune di Colonnella). Tuttavia, a tacer di ciò, la responsabilità di tale acquisto dovrebbe essere comunque attribuita al B.. Se fosse vero, come parte convenuta ha affermato, che il Comune mai ordinò tali cornici, i competenti uffici dell’Ente (in mancanza di documentazione a supporto del regolare acquisto) avrebbero dovuto rifiutarsi di ricevere tali merci; comunque, anche in un momento successivo, il Sindaco (che, nella sua qualità di vertice dell’apparato comunale, non poteva non conoscere la palese illegittimità dell’acquisizione, in palese dispregio della normativa) avrebbe dovuto ordinare la restituzione di tali oggetti (anziché, nella migliore delle ipotesi, rimanere inerte di fronte alla distribuzione - anche a se stesso- di tali oggetti). Non vi è chi non veda, infatti, che il comportamento compiuto e concludente degli uffici comunali cui il B. era sovraordinato, nel concretizzare la sostanziale accettazione della fornitura, ha determinato l’acquisizione degli oggetti (con un vantaggio - in senso meramente economico e con esclusiva valenza civilistica - dell’Ente locale e un corrispondente svantaggio della ditta fornitrice). A parte l’evidente consapevole dispregio della normativa contabile rilevabile a carico del sig. B., che ha illegittimamente determinato l’acquisizione di oggetti (comportanti spese assolutamente non utili e non conferenti con le finalità istituzionali dell’Ente locale - dovendosi all’uopo parlare di una mancanza di utilitas in senso pubblicistico -), con la verosimile finalità personale di intrattenere buoni rapporti con i consiglieri comunali, va infatti sottolineato che il convenuto pose in essere comportamenti ulteriori, indirizzati a consentire l’acquisizione e la immotivata distribuzione delle cornici commemorative ai soggetti beneficiari (per di più interni all’Amministrazione comunale, senza che possa essere valorizzata alcuna forma - comunque illegittima- di spesa di rappresentanza). 246 L’esame degli atti evidenzia, infatti, che il contegno del convenuto ha rivestito incidenza causale determinante, affinché l’Ente locale acquisisse gli oggetti consegnati, con esiti perniciosi per le finanze comunali. La colpevole condotta tenuta dal Sindaco sig. B. non può che essere ricondotta alla consapevole trascuratezza dei propri doveri, con correlativo sacrificio dell’interesse pubblico alla sana gestione economica cui il soggetto medesimo era preposto. Questo giudicante è altresì indotto a precisare, con riferimento alle controdeduzioni di parte convenuta, che l’acquisizione delle cornici determinò un vantaggio (in senso meramente economico) per il Comune (che si spogliò, successivamente, di tali oggetti), ma una assoluta irrilevanza per i fini pubblici perseguiti dall’Ente, sicché l’esborso seguito appare manifestamente ingiustificato; per servirsi della terminologia del Collegio difensivo, alla sussistenza di una utilitas in senso civilistico corrisponde una assoluta insussistenza di una utilitas in senso pubblicistico. Da ciò consegue l’opinabilità delle scelte - peraltro rientranti nella sfera della discrezionalità -, operate dall’Amministrazione in occasione della condanna in sede civile, posto che non vi è dubbio sull’arricchimento dell’Ente locale e della riconducibilità di questo al B.. Conclusivamente, il convenuto deve essere chiamato a rispondere, per grave contegno colposo, della fornitura delle cornici e dell’esborso seguito a questa, per effetto della soccombenza in sede civile. Tenuto conto, tuttavia, dell'unicità del soggetto chiamato in giudizio dalla Procura procedente, e del danno erariale - consistente secondo la Procura procedente negli importi erogati dal Comune di Colonnella a titolo di sorte capitale, interessi, spese legali e di giustizia - al Sindaco addebitabile in virtù di comportamenti gravemente colpevoli, tenuto conto dell’abnormità dei tempi processuali (dal 1989 al 2002) del processo civile e dell’alea a questo riconnettibile, ritiene il Collegio che al signor B. vada addossata parte del danno erariale prodottosi, valutabile in euro 6.000,00 (seimila/00) più interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino alla data dell'effettivo soddisfo. P.Q.M. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, CONDANNA al pagamento in favore del Comune di Colonnella il signor B. R. per euro 6.000,00 (seimila/00); condanna altresì lo stesso al pagamento delle spese di giustizia, che sino alla pubblicazione della sentenza si liquidano in € 164,63. omissis 247 CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regione Liguria Sentenza 19 maggio 2005 n. 704 (Allontanamento del dipendente dal posto di lavoro e danno da disservizio) Presidente, D’Antino; relatore, Riolo Procura regionale sezione giurisdizionale per la regione Liguria c. S.R. e P.C. FATTO In data 18/7/2000 il presidente della giunta regionale denunciava al nucleo dei Carabinieri presso la direzione provinciale del lavoro di Genova, il mancato rispetto da parte di personale dipendente della regione Liguria degli obblighi relativi alle timbrature d’ingresso e uscita dal luogo di lavoro. Le indagini degli ufficiali di P.G. dell’Arma dei Carabinieri si concludevano con la denuncia a carico di P.C., dipendente di categoria C, pos. economica C4, e S.R., dipendente di categoria D, pos. economica D4, entrambi assegnati al Settore politiche di sviluppo del commercio, fiere e mercati. In particolare, in sede di indagini emergeva che i predetti dipendenti, nel periodo compreso tra il 27/11/2000 e il 30/1/2001, si allontanavano reiteratamente dal posto di lavoro senza registrare l’uscita mediante azionamento del dispositivo installato in corrispondenza delle uscite, ovvero timbravano presso terminale diverso (sede di Via Fieschi, 15) da quello posizionato nella propria sede di servizio (Via D’Annunzio, 113) le uscite e le entrate. Il nucleo operativo dei Carabinieri effettuava anche dei pedinamenti nei confronti del P.C. e del S.R., registrando nel dettaglio gli spostamenti avvenuti durante le uscite non timbrate. Nei confronti dei predetti, si apriva un procedimento penale (n. 4122/01 RPGM) in ordine al reato di cui agli artt. 81 e 640, commi 1 e 2 c.p., poiché, "nella loro qualità di impiegati dipendenti dell’amministrazione regionale della Liguria, Dipartimento sviluppo economico – Politiche di sviluppo del commercio fiere e mercati (sede Via D’Annunzio n. 113), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con gli artifizi e i raggiri consistenti nell’allontanarsi dal posto di lavoro, senza registrare l’uscita mediante azionamento del dispositivo installato in corrispondenza delle uscite e senza avere chiesto ed ottenuto la relativa autorizzazione dal dirigente preposto, procuravano a sé medesimi l’ingiusto profitto consistente nella percezione della retribuzione in relazione a prestazione lavorative non effettuate, con corrispondente danno dell’Amministrazione di appartenenza; con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di un ente pubblico, in particolare nel periodo dal 27 novembre 2000 al 30 gennaio 2001, i predetti su allontanavano a più riprese dal proprio ufficio, anche più volte nel corso della stessa giornata, come dettagliatamente descritto nei verbali redatti dai Carabinieri di Genova". Le indagini preliminari si concludevano con decreto di archiviazione nei confronti del S.R. e con decreto di citazione a giudizio nei confronti del P.C.. Per i fatti in questione, la Procura regionale presso questa sezione, in seguito alla denuncia del dirigente del Settore gestione e amministrazione risorse umane (prot. n. 34518/4234 in data 4/3/2003), emetteva formale invito a dedurre, in relazione al quale gli interessati non presentavano deduzioni scritte né chiedevano di essere sentiti personalmente. Con atto depositato il 26/5/2004, la Procura regionale ha citato il signor S.R. e il signor P.C. davanti a questa Corte per sentirli condannare al risarcimento del danno derivante dalla mancata prestazione lavorativa dovuta alle reiterate assenze, arbitrarie e ingiustificate, dall’ufficio. 248 Nella determinazione del danno la Procura ha considerato l’importo delle retribuzioni economiche, indebitamente percepite relativamente ai periodi di assenza effettivamente accertati. Per tale determinazione il P.M. ha recepito la quantificazione già effettuata dall’amministrazione danneggiata nell’atto di denuncia. In particolare, il totale delle ore di assenza è stato calcolato approssimativamente in ragione delle circostanza che spesso le mancate timbrature in entrata e in uscita non sono tra loro correlabili (poiché la Polizia giudiziaria si è avvalsa della collaborazione di una guardia giurata all’entrata dell’edificio, che svolgeva un orario di servizio non sempre coincidente con quello dei dipendenti). Sono state considerate le sole timbrature di uscita non autorizzate che corrispondono al successivo rientro non timbrato, al fine di ottenere un riferimento certo nel minimo. Rifacendosi a tale modalità di calcolo, le ore complessive di assenza sono state quantificate, per P.C. in n. 48,5, e per S.R. in n. 46,1. Considerando la retribuzione oraria di riferimento per le qualifiche rivestite dai dipendenti nel periodo oggetto dei fatti (rispettivamente euro 9,46 ed euro 10,90), l’importo delle retribuzioni indebitamente percepite è stato indicativamente quantificato come minimo in euro 459,00 per il sig. P.C. e in euro 502,00 per il sig. S.R.. Oltre al predetto danno materiale, la Procura ha chiesto il risarcimento del danno da disservizio e del danno all’immagine quantificati in via equitativa in un importo pari al danno materiale. Di conseguenza, il signor P.C. è stato chiamato a rispondere al risarcimento di euro 918, 00, e il signor S.R. al risarcimento di euro 1004, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali. In data 7/6/2004 la Procura ha prodotto la documentazione fatta pervenire dalla regione Liguria dopo il deposito dell’atto di citazione. Da tale documentazione emergono i seguenti elementi. La regione Liguria ha sottoscritto in data 24/3/2004 con il dipendente P.C. un accordo transattivo, in base al quale il dipendente medesimo si è obbligato a rifondere l’amministrazione del danno derivante dagli addebiti penali contestatigli, quantificato dalle parti in euro 3.057,00. A fronte di tale impegno l’amministrazione regionale ha revocato la costituzione di parte civile nel processo penale a carico del dipendente medesimo. Le modalità di pagamento convenute hanno previsto una rateizzazione della somma in dodici rate mensili scadenti l’ultima in data 24/3/2005. Il tribunale di Genova, con sentenza n. D 1178 del 15/4/2004, ha assolto per insussistenza del fatto il signor P.C. dall’imputazione del reato di cui agli artt. 81 e 640, commi 1° e 2°, c.p.. Il P.C. in data 28/4/2004 ha effettuato a favore della regione Liguria un versamento di euro 459,00. In ordine alla posizione del sig. S.R., il requirente ha ritenuto di non poter condividere la motivazione adottata dal G.I.P. del tribunale di Genova nel decreto di archiviazione in punto di sussistenza del danno e di quantificazione dello stesso. In sede penale, in particolare, è stata esclusa la configurabilità del reato di cui all’art. 640 c.p. perché il dipendente avrebbe posto in essere una condotta omissiva e perché difetterebbe il requisito dell’ingiustizia del danno, avendo il S.R. un credito per lavoro straordinario non retribuito. Per il giudice delle indagini preliminari detto credito "..esclude la sussistenza dell’elemento soggettivo, inteso come consapevolezza d’arrecare un danno ingiusto, elemento soggettivo che viene ulteriormente escluso in ragione della prassi, per lunghi anni vigente, secondo la quale venivano tollerate brevi assenze". Il P.M. contabile ha ritenuto che il riposo compensativo non usufruito dal S.R. (derivante dal diritto al recupero di n. 53 ore e 36 minuti, maturato nel 2000, di n. 11 ore e 25 minuti, maturato nel gennaio 2002, e di n. 18 ore e 56 minuti, maturato nel mese di febbraio 2002) non possa compensarsi con il minor orario svolto a causa delle assenze non autorizzate e non "timbrate". In data 23/12/2004 l’avvocato Micaela Rossi ha depositato memoria di costituzione in giudizio per il signor P.C.. Il difensore, richiamando la sentenza del tribunale di Genova di assoluzione del P.C., passata in giudicato il 1° giugno 2004, ha addotto il difetto assoluto di presupposto legittimante l’azione di responsabilità contabile. La sentenza, ad avviso della difesa, ha effetti di giudicato nel giudizio 249 contabile con conseguente esclusione della responsabilità amministrativo-contabile del convenuto per gli stessi fatti. In particolare, il difensore ha addotto la mancanza dell’elemento del danno erariale, in considerazione del fatto che in sede penale è stato accertato che il signor P.C. non si è mai allontanato dal posto di lavoro per motivi che non fossero attinenti al proprio servizio, consistenti nell’organizzare esposizioni ed eventi, che lo impegnavano all’esterno del proprio ufficio. L’omessa timbratura si spiegherebbe in ragione della prassi consolidata fra i dipendenti regionali, mai contestata dai superiori, di omettere la timbratura in casi di uscita per doveri inerenti l’ufficio. In ogni caso, il comportamento del convenuto, mancando il nocumento all’erario, sarebbe suscettibile di rilevanza soltanto in sede disciplinare. Non ci sarebbe responsabilità per danno all’immagine perché l’eco di una vicenda in sede di stampa locale non è direttamente proporzionale alla veridicità dei fatti enunciati. La difesa ha chiesto l’assoluzione del P.C. e il rimborso delle spese legali. Il S.R. non si è costituito in giudizio ed è cessato dal servizio per dimissioni a decorrere dal 16/5/2001. All’odierna udienza il difensore del P.C., avv. Micaela Rossi, ha insistito per l’assoluzione del convenuto, richiamando il giudicato penale che ha dichiarato la non sussistenza del fatto. Il P.M. ha chiesto la dichiarazione di parziale cessazione della materia del contendere nei confronti di P.C., limitatamente all’importo di euro 459,00, risarcito dal convenuto a fronte dell’impegno assunto con l’atto di transazione sottoscritto con la regione Liguria. Ha insistito per la condanna al danno all’immagine e alla rivalutazione monetaria e interessi legali sull’importo già pagato. Per il S.R. ha confermato la domanda di condanna. Considerato in DIRITTO I signori P.C. e S.R., dipendenti della regione Liguria, sono stati convenuti in giudizio per il danno derivante dalle assenze arbitrarie e ingiustificate dall’ufficio, pari all’importo delle retribuzioni indebitamente percepite relativamente ai periodi di assenza effettivamente accertati. I predetti dipendenti, nel periodo considerato, si sono allontanati dal posto di lavoro senza registrare l’uscita mediante azionamento del dispositivo installato in corrispondenza delle uscite. In particolare, il signor P.C. è stato chiamato a rispondere del danno di euro 918, 00 (459,00 per il danno relativo alle retribuzioni indebitamente percepite e di euro 459,00 per il danno da disservizio e il danno all’immagine), e il signor S.R. è stato chiamato a rispondere del danno di euro 1004,00 (502,00 per il danno relativo alle retribuzioni indebitamente percepite e 502,00 per il danno da disservizio e il danno all’immagine), oltre rivalutazione monetaria e interessi. In data 24/3/2004 il P.C. ha stipulato un accordo transattivo con la regione, con il quale si è obbligato a rifondere l’amministrazione, a mezzo di versamenti rateali, del danno derivante dagli addebiti penali contestatigli, quantificato dalle parti in euro 3.057,00. A fronte di tale impegno il P.C. in data 28/4/2004 ha già iniziato i pagamenti, effettuando a favore della regione Liguria un versamento di euro 459, 00, d’importo pari al danno patrimoniale per il quale è stato citato davanti a questo giudice. Il P.M., in considerazione di tali fatti, ha chiesto in udienza che venga dichiarata la parziale cessazione della materia del contendere, limitatamente alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale, mentre ha insistito nella domanda di danno all’immagine e nella domanda di rivalutazione monetaria e di interessi legali sull’importo già pagato. 250 La difesa, da parte sua, ha chiesto l’assoluzione per effetto del giudicato formatosi in sede penale. Premesso ciò, si osserva che il convenuto è stato chiamato a rispondere davanti a questo giudice degli stessi fatti contestati in sede penale, in riferimento ai quali è stata stipulata la predetta transazione e per i quali il tribunale di Genova ha emesso, nelle more del presente giudizio, sentenza di assoluzione dall’imputazione del reato di cui agli artt. 81 e 640, commi 1° e 2°, c.p., per insussistenza del fatto. Orbene, il collegio, secondo l’indirizzo già espresso da questa sezione (sentenza n. 856 del 15/10/2003), ritiene di dovere escludere l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione nel giudizio contabile. Tale orientamento, peraltro seguito da giurisprudenza di questa Corte - per l’indicazione della quale si rinvia alla predetta sentenza -, muove dalla considerazione che il nuovo codice di procedura penale del 1988, con l’espunzione dall’ordinamento del rapporto di pregiudizialità necessaria del processo penale rispetto agli altri, è ispirato ai principi di autonomia delle giurisdizioni (civile, amministrativo – contabile e penale) e di separatezza dei relativi giudizi. In particolare, la sezione, con la richiamata pronuncia, ha escluso l’opponibilità della sentenza assolutoria nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile anche nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia costituita parte civile nel processo penale. Nel merito, diversamente da quanto ritenuto dal P.M. in udienza, il collegio reputa sussistenti i presupposti per dichiarare la totale cessazione della materia del contendere. Con il suindicato atto di transazione, infatti, a fronte dell’impegno della regione Liguria di revocare la costituzione di parte civile nel suddetto procedimento penale, il sig. P.C. si è impegnato a versare ratealmente la somma complessiva di € 3.057,00, importo, questo, ampiamente superiore e completamente satisfattivo di tutti i danni per i quali la Procura ha chiesto la condanna del P.C.. Le considerazioni difensive secondo le quali la sentenza penale farebbe venir meno anche i presupposti dell’accordo transattivo, appaiono giuridicamente infondate, atteso che l’atto di transazione è stato stipulato anteriormente alla definizione del giudizio penale e che la regione Liguria, all’udienza del 25/3/2004, in adempimento all’impegno assunto, ha revocato la costituzione di parte civile nello stesso giudizio. L’obbligo del P.C. al versamento della somma di € 3.057,00 non risulta sottoposto ad alcuna condizione. La transazione, inoltre, presuppone l’esistenza di un conflitto di pretese, a nulla rilevando il grado di soggettiva incertezza delle parti circa l’esito della lite o l’oggettivo fondamento delle pretese in conflitto, tanto è vero che la legge esclude l’annullamento della transazione per errore di diritto, nonché l’impugnazione per causa di lesione (artt. 1969 c.c., 1970 c.c.). In siffatto contesto la posizione della regione Liguria risulta pienamente garantita con conseguente venir meno dell’elemento oggettivo del danno nella fattispecie di responsabilità amministrativo contabile, oggetto del presente giudizio. Quanto alla posizione del S.R., il Collegio ritiene di dovere accogliere la domanda del P.M. nei termini che seguono. Il dipendente si è allontanato reiteratamente dalla sede di lavoro senza autorizzazione, omettendo di timbrare il cartellino magnetico. Nei suoi confronti sono state rilevate uscite mattutine della durata di 55 minuti, 40 m., 38 m., 59 m. 60 m. 95 m., 100 m., ecc. Nella fascia oraria della pausa pranzo sono state accertate uscite della durata di 239 m. 251 m., 240 m., 165 m. ecc. I pedinamenti effettuati dai Carabinieri hanno rilevato che il S.R. il 16/1/2001 è uscito alle 10 ed è rientrato alle 10.50, trascorrendo il predetto tempo nelle vie del centro, soffermandosi "a guardare le vetrine dei negozi che si trovavano lungo il tragitto". Il Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Regioni – Autonomie locali 6.7.1995, all’art. 17, comma 1, stabilisce che "L’orario di lavoro è di 36 ore settimanali (…)"; l’art. 23, comma 3, lett. e) dispone che il dipendente deve in particolare rispettare l’orario di lavoro, adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze e non assentarsi dal luogo di lavoro senza l’autorizzazione del dirigente del servizio. 251 Le disposizioni interne concernenti il rapporto di lavoro presso la regione Liguria dispongono che "Ogni dipendente, ai fini della rilevazione delle presenze, deve utilizzare il tesserino individuale ed i terminali collocati nei luoghi di accesso ai singoli uffici (…)(l’art.3, comma 2). Secondo l’art. 4, comma 2, "Non è consentito timbrare in terminali collocati in sedi diverse da quella presso cui si presta servizio salvo che il dipendente sia in servizio esterno presso tali sedi"; il comma 3, dello stesso articolo vieta di ":a) entrare o uscire dalla sede ove si presta servizio senza aver inserito la propria tessera nel terminale orologio (…). L’art. 4, comma 4, precisa che " Il personale, quando esce dall’ufficio è tenuto: - ad essere preventivamente autorizzato dal responsabile della struttura di appartenenza; - a timbrare mediante l’inserimento del relativo giustificativo con le modalità indicate dalla competente struttura del personale". L’avvenuta violazione dei doveri di servizio da parte del convenuto ha determinato un danno alla regione Liguria, nella misura di euro 502,00, corrispondente alla retribuzione percepita per le ore di lavoro non prestato. Quanto al riposo compensativo non usufruito dal S.R., correttamente il P.M. contabile ha ritenuto non configurabile alcuna forma di compensazione con il minor orario svolto a causa delle assenze non autorizzate e non timbrate. In base all’art. 15, comma 7, della legge della regione Liguria 9 novembre 1987 n. 32, le prestazioni di lavoro straordinario eccedenti i limiti prescritti dalla legge possono dar luogo, a domanda, a riposo compensativo, compatibilmente con le esigenze di servizio, da usufruire nel mese successivo. Il C.C.N.L. 14/9/2000 omparto Regioni – Autonomie locali art. 38, comma 7, prevede che le prestazioni di lavoro straordinario debitamente autorizzate possono da luogo, su richiesta del dipendente, a riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze di servizio. In base al punto 7 del contratto collettivo integrativo decentrato 16/11/2000, "la fruizione dei permessi compensativi per le ore di straordinario autorizzate deve avvenire improrogabilmente entro il 31 marzo 2001". La fruizione di detti permessi, secondo il suddetto punto 7, presuppone una richiesta preventiva al dirigente, il quale valuta la compatibilità della stessa con le esigenze tecniche ed organizzative del servizio. La natura del riposo compensativo e le specifiche modalità alle quali è subordinata la possibilità di fruire dello stesso escludono che si possa giuridicamente configurare una compensazione con le ore di servizio non prestato per assenze arbitrarie e ingiustificate. Il diritto al recupero per ore di straordinario non retribuito, maturato dal S.R., non assume rilevanza neanche al fine di escludere l’elemento soggettivo richiesto per il perfezionamento della fattispecie di responsabilità contabile. Non è, infatti, ipotizzabile che la mancata timbratura del cartellino prima delle uscite non autorizzate e non concordate, fosse preordinata dal S.R. alla compensazione in argomento, in quanto l’irritualità dell’uscita, rendendo in ogni caso non quantificabile il tempo trascorso dal dipendente lontano dal posto di lavoro, avrebbe comunque determinato l’impraticabilità dell’auspicabile compensazione, circostanza questa che comporta l’esclusione di ogni giustificazione per il comportamento tenuto dal dipendente. Va pertanto affermata la responsabilità del convenuto a titolo di dolo. Oltre al danno patrimoniale di cui sopra deve ritenersi sussistente il danno all’immagine e il danno da disservizio creato dal comportamento del dipendente. La notizia dell’illecito ha avuto un’ampia diffusione nel pubblico, essendo stata riportata dalla stampa per circa 10 giorni (ne hanno parlato il Giornale, il Secolo XIX, il Corriere Mercantile, il Lavoro). La divulgazione dei fatti in argomento, riguardanti il fenomeno dell’assenteismo nel pubblico impiego, generando nei cittadini un inevitabile senso di sfiducia sulla efficienza e serietà dell’Ufficio di riferimento, ha determinato una lesione del prestigio dell’amministrazione. 252 I fatti in questione, inoltre, sono tali da ingenerare nell’opinione pubblica la convinzione che i comportamenti illeciti posti in essere dai predetti soggetti costituiscano un connotato usuale dell’ente di appartenenza. Tale voce di danno va quantificata, in via equitativa, in € 150,00. Per le considerazioni svolte il signor S.R. è condannato al pagamento di euro 502,00 per danno patrimoniale, e di euro 150,00, per danno all’immagine e da disservizio. I suddetti importi devono ritenersi, in via equitativa, comprensivi di rivalutazione monetaria. A decorrere dal deposito della presente sentenza sono dovuti gli interessi legali. Le spese di giudizio gravano sui convenuti in parti uguali. P.Q.M. la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Liguria, definitivamente pronunciando, DICHIARA la cessazione della materia del contendere nei confronti di P.C.., CONDANNA S.R. al pagamento di euro 502,00 per danno patrimoniale, e di euro 150,00, per danno all’immagine. A decorrere dal deposito della presente sentenza sono dovuti gli interessi legali. Le spese di giudizio quantificate in euro 268,42 (duecentosessantotto/42) gravano in parti uguali su i due convenuti. Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 14 gennaio 2005. Depositata in segreteria il 19 maggio 2005. 253 CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regione Sicilia Sentenza 25 maggio 2005 n. 1258 (Responsabilità amministrativa e danno erariale indiretto) Presidente e relatore, S.G. Cultrera. Procura regionale c. Lnd. Al. e altri (avv. Scuderi) - P.M. A. L. Carra. SENTENZA nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 37295 del registro di segreteria, promosso dal procuratore regionale nei confronti di: Lnd. Al., L.Ro. Lnr., Rs. An., Rsn. Slt. e Cc. Gis., tutti rappresentati e difesi dall'avv. Andrea Scuderi, elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Pietro Allotta in Palermo via Domenico Trentacoste 89. Uditi alla pubblica udienza del 3 maggio 2005 il relatore, consigliere dott. Salvatore G. Cultrera, il pubblico ministero, nella persona del vice procuratore generale dott.ssa Anna Luisa Carra; visto l'atto di citazione depositato il 5 gennaio 2005; vista la memoria depositata il 29 aprile 2005, redatta dall'avv. Andrea Scuderi nell'interesse dei convenuti; esaminati gli altri atti e documenti della causa. FATTO Il pubblico ministero ha chiamato in giudizio il signor Lnd. Al., nella qualità all'epoca dei fatti di sindaco di Zafferana Etnea, e i sigg. L.Ro. Lnr., Rs. An., Rsn. Slt. e Cc. Gis., nella qualità di assessori, tutti, sindaco ed assessori, componenti della giunta comunale, a risarcire in favore del Comune di Zafferana Etnea il danno patrimoniale diretto di € 47.638,18 di cui € 15.638,18 a carico di Lnd. Al. ed € 32.000,00 suddiviso in quattro quote uguali di € 8.000,00, a carico rispettivamente di L.ro. Lnr., Rs. An., Rsn. Slt. e Cc. Gis., oltre, per ciascuno dei convenuti, rivalutazione monetaria ed interessi. La chiamata in giudizio deriva, secondo la prospettazione del pubblico ministero contabile, dall'aggravio di spese sopportato dal Comune di Zafferana Etnea in conseguenza del pagamento di un debito fuori bilancio, riconosciuto con delibera consiliare n. 61 del 30 settembre 2003, ai sensi dell'art. 194, comma 1, lett. e) del d.lgs. 267/2000, per la maggior somma di € 71.276,18, compresi accessori (spese di giudizio e di composizione della lite), dovuta a titolo di corrispettivo ai liberi professionisti ingg. S. Anz. e A. Mmc.. Il pagamento è avvenuto in esecuzione di atto di transazione stipulato per chiudere il contenzioso avente ad oggetto, per l'appunto, il mancato pagamento degli onorari di progettazione ai predetti professionisti. Questi erano stati incaricati con delibera di giunta n. 494 del 7 dicembre 1988, alla cui adozione avevano partecipato tutti i convenuti, per la redazione del progetto relativo alla razionalizzazione del sistema di illuminazione pubblica comunale. Gli elaborati tecnici erano stati consegnati al Comune nel 1989 in conformità alle clausole del disciplinare regolarmente sottoscritto dall'assessore comunale al ramo. Lo schema di disciplinare era stato allegato, quale parte integrante, alla delibera 494/88 nel cui dispositivo all'art. 3 era stabilito che alla spesa occorrente per il pagamento delle competenze tecniche di progettazione si sarebbe fatto fronte con le somme all'uopo previste nel progetto. Assume il PM che la modalità di copertura delle spese tecniche di progettazione così formulata faceva intendere chiaramente, non avendo il Comune ancora ottenuto alcun finanziamento dell'opera, che il conferimento dell'incarico ai professionisti era stato disposto con atto deliberativo sostanzialmente carente, in violazione dell'art. 189, comma 1, del d.lgs. 29 ottobre 1955 n. 6 (ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana) ratificato con 254 legge reg. n. 16 del 1963, della necessaria indicazione dei fondi di bilancio occorrenti per il pagamento degli onorari di progettazione come previsto nel disciplinare di incarico. L'ufficio attore ha rilevato, poi, in conformità alle risultanze degli atti acquisiti, che i lavori di cui si tratta non erano stati inseriti nel piano triennale delle opere pubbliche come previsto obbligatoriamente dalla l.r. 21/1985. L'inserimento nel piano triennale sarebbe avvenuto in data 6 maggio 1989, cioè in epoca successiva all'adozione della delibera 494, in quanto il relativo adempimento era stato richiesto dalla Commissione provinciale di controllo che aveva subordinato l'apposizione del visto di legittimità sulla delibera di conferimento dell'incarico all'inserimento dell'opera nel piano triennale. Con delibera di giunta n. 873 del 9 dicembre 1989 il progetto esecutivo veniva approvato a tutti gli effetti per la sua realizzazione. L'amministrazione comunale rilevava, comunque, che il progetto approvato non avrebbe potuto essere posto in esecuzione perché non era stato chiesto preventivamente dal Comune il visto sugli elaborati tecnici di competenza della Soprintendenza dei beni ambientali e paesistici. La carenza di detto adempimento comportò in effetti la sospensione dell'inserimento dei lavori di razionalizzazione del sistema di illuminazione pubblica comunale nel piano triennale delle opere pubbliche di cui alla l.r. 21/1985. Frattanto i professionisti redattori del progetto, avendo già diffidato con lettera del 25 marzo 1999 il Comune di Zafferana Etnea al pagamento degli onorari e competenze di progettazione, notificavano atto di citazione in giudizio chiedendo la condanna del Comune al pagamento della somma di £ 128.328.583 come da schema di parcella allegato. Con sentenza non definitiva, n. 25713 depositata il 28 gennaio 2002, del tribunale di Catania, sezione staccata di Mascalucia, veniva riconosciuto il diritto dei professionisti ad avere corrisposto il compenso professionale per la redazione del progetto mentre; con separata ordinanza, veniva disposta la prosecuzione della causa per l'accertamento mediante CTU del quantum del compenso spettante. Nella consulenza tecnica depositata in giudizio il compenso professionale venne determinato in £ 129.462.902, pari ad € 66.864, 59 oltre spese ed accessori. Con scrittura privata del 17 novembre 1973 tra il Comune di Zafferana Etnea ed i professionisti venne stipulato atto di transazione della lite impegnandosi il Comune, da un lato, a versare la somma di € 66.276,18 per competenze dovute più € 5.000,00 per spese legali relative al giudizio, e i professionisti, dall'altro, a rinunciare al pagamento di tutte le spese e di ogni altro onere accessorio. Il PM ha rilevato una condotta incauta ed illegittima dei convenuti, nella loro rispettiva qualità, per avere consentito l'affidamento dell'incarico di progettazione adottando la delibera 494 del 1989 priva di indicazione di concreti e specifici mezzi di copertura delle spese per la retribuzione dei professionisti. Questa iniziale carenza di copertura sarebbe alla base della soccombenza del Comune in giudizio e, quindi, della stipulazione dell'atto transattivo per il pagamento del compenso rivelatosi una spese inutile (danno erariale) non essendo stato il progetto posto in esecuzione per mancanza di finanziamento. Sotto tale aspetto è stata attribuita ai convenuti nell'atto di citazione una serie di omissioni, tra cui, il non avere promosso richieste di finanziamento od assunto un qualsiasi altro atto di impulso per pervenire all'appalto e all'esecuzione dei lavori previsti nel progetto approvato. Per quanto riguarda il profilo soggettivo il pubblico ministero ha ritenuto gravemente colposo il comportamento dei convenuti in relazione alla pluralità e macroscopicità delle negligenze ed omissioni gestionali avanti riferite. In particolare per il sindaco Al. Lnd., oltre alla responsabilità ad esso attribuita come componente della giunta, le gravi omissioni e carenze rilevate sarebbero connesse, secondo la legislazione dell'epoca, al mancato esercizio dei suoi poteri di impulso e controllo delle attribuzioni gestorie della giunta e dei singoli assessori. In ordine alla ripartizione del quantum del danno subito dal Comune, sono state defalcate nell'atto di citazione le quote di danno causalmente imputabili al segretario comunale dell'epoca, signor Anl. Frt., ed all'assessore Af. Co., componente della giunta che adottò la delibera 494, entrambi deceduti. All'uopo ha precisato il PM che, trattandosi di fattispecie di responsabilità amministrativa non caratterizzata da dolo e non risultando un illecito arricchimento degli eredi, le quote di danno imputabili ai predetti soggetti deceduti non sarebbero recuperabili. I convenuti si sono costituiti in giudizio con la difesa dell'avv. Andrea Scuderi, che ha depositato comparsa di costituzione in data 29 aprile 2005. 255 Preliminarmente viene eccepita la prescrizione dell'azione del pubblico ministero contabile. In estrema sintesi, tenuto conto che nella specie si tratterebbe di ipotesi di responsabilità specifica a carico di amministratori di enti locali ex art. 252 e segg. del T.U. 383 del 1934, il difensore sostiene che il dies a quo della prescrizione dovrebbe essere individuato nel momento in cui è stato posto in essere il presunto comportamento illecito dei convenuti estrinsecatosi con l'adozione della delibera di giunta n. 494 in data 8 settembre 1988, che dispose il conferimento dell'incarico di progettazione a professionisti esterni ed approvò il relativo disciplinare senza la prescritta copertura di spesa. Anche se il termine iniziale della prescrizione si volesse far coincidere con la data di adozione della successiva delibera di giunta n. 873 del 9 dicembre 1989, di approvazione del progetto dell'opera, la prescrizione si sarebbe comunque verificata considerato che l'atto di citazione è stato depositato il 5 gennaio 2005 allorché il termine ad quem di prescrizione era abbondantemente scaduto. Per quanto riguarda il merito il difensore ritiene infondata l'azione promossa dal pubblico ministero. Nel preambolo della stessa delibera 494 del 1988 la copertura finanziaria dell'opera sarebbe stata indicata "nei fondi per investimento 1989" per cui il comportamento dei convenuti sarebbe da considerare legittimo, diligente e coerente. Tale modalità di copertura non sarebbe da ritenere ipotetica in quanto gli stessi amministratori convenuti avrebbero previsto nella gestione dei fondi per investimenti del bilancio 1989, come da deliberazione n. 55 del maggio 1989 approvata dal consiglio comunale, la destinazione di una parte di tali fondi a "spese per l'illuminazione". In ogni caso l'evento causativo del danno sarebbe da individuare non nella delibera di giunta n. 494 del 1988 bensì nella delibera del consiglio comunale n. 61 del 2003 che ha riconosciuto il debito fuori bilancio in favore dei progettisti ed ha autorizzato la stipula della transazione per la definizione della controversia, promossa dai professionisti, in presenza di un incarico espletato sulla base di un contratto da considerare radicalmente nullo. L'effettiva impossibilità di realizzare l'opera in base al progetto presentato dai professionisti ingg. S. Anz. e A. Mmc. ed approvato con la citata delibera di giunta n. 873 del 9 dicembre 1989 non sarebbe imputabile ai convenuti che cessarono dall'incarico nel 1990 ma sarebbe da ascrivere agli amministratori insediatisi successivamente i quali avrebbero accantonato il progetto dei lavori di razionalizzazione del sistema di illuminazione pubblica comunale che sono stati eliminati dal programma triennale delle opere pubbliche facendo venire in tal modo meno l'imprescindibile presupposto per la sua realizzazione. Nessuna responsabilità potrebbe essere attribuita ai convenuti per la successiva mancata concessione del mutuo per l'esecuzione dei lavori che sarebbe da ascrivere al sopravvenire di fatti imprevedibili. In subordine la difesa ha chiesto che sia fatta applicazione del potere riduttivo al fine di coniugare le esigenze risarcitorie con una ponderata valutazione di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi che caratterizzano la presente fattispecie. DIRITTO In via preliminare il collegio ritiene di dovere esaminare l'eccezione, sollevata dalla difesa dei convenuti, di intervenuta prescrizione. L'eccezione non è fondata. Nella fattispecie di danno in discussione, che rientra nella previsione dell'art. 244 lett. a) d.lgs. 29 ottobre 1955 n. 6 (ordinamento amministrativo degli enti locali nella regione siciliana), all'epoca vigente, si configurano i presupposti della tipica ipotesi di responsabilità amministrativa per danno erariale cosiddetto indiretto caratterizzata, come è noto, dal fatto che il danno non è causato direttamente dall'amministratore o dal dipendente all'ente pubblico ma deriva dal risarcimento ottenuto, di norma in esecuzione di sentenza o di transazione, da un terzo danneggiato da attività imputabili alla stessa amministrazione. Nel caso di danno indiretto, secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, consolidatosi in materia (v. Corte dei conti, sezioni riunite n. 3/QM del 15 gennaio 2003 ; di questa stessa sezione giurisdizionale v. sentenza n. 1355/04 del 20 maggio 2004 ), da cui il collegio non ha motivo di discostarsi, il debito nei confronti del terzo danneggiato diviene certo, liquido ed esigibile nel momento in cui passa in giudicato la sentenza di condanna dell'amministrazione al pagamento di una somma di denaro o sia divenuta esecutiva la transazione della lite tra amministrazione e terzo danneggiato. Seguendo il predetto indirizzo giurisprudenziale la prescrizione nel presente caso non si è maturata in quanto il dies a quo di decorrenza del prescritto termine è da individuarsi nella data di adozione della deliberazione del consiglio 256 comunale n. 61 del 30 settembre 2003 con cui è stata approvata la transazione della lite pendente ed è stata autorizzata la relativa sottoscrizione da cui è derivato l'obbligo del comune del pagamento della somma di 71.276,18, compresi accessori (spese di giudizio e di composizione della lite) dovuta a titolo di corrispettivo ai liberi professionisti suindicati (v. ex plurimis Corte dei conti, sez. I 15 nov. 1991 n. 333, sez. Puglia n. 11 del 22 ott. 1992) Passando al merito appare incontestabile la sussistenza del danno patrimoniale diretto costituito dall'esborso sostenuto dal Comune di Zafferana Etnea per il pagamento, in esecuzione della transazione cui si è ampiamente riferito nella narrativa del fatto, del compenso ed oneri accessori ai professionisti incaricati per la redazione del progetto relativo ai lavori di razionalizzazione del sistema di illuminazione pubblica comunale, rivelatosi una spesa inutile (danno erariale) non essendo stato il progetto mai realizzato per mancanza di finanziamento. In sostanza il Comune di Zafferana Etnea si è trovato a sostenere un spesa con la quale non è stata raggiunta alcuna finalità istituzionale. Ciò è avvenuto in conseguenza del fatto che il conferimento dell'incarico ai professionisti è avvenuto in assenza di copertura di spesa. Non risulta che i convenuti, finché sono stati in carica, abbiano avviata e, quindi, positivamente perfezionata la necessaria procedura di finanziamento dell'opera a cui il progetto si riferiva. Con riferimento al momento in cui venne conferito l'incarico appare abbastanza chiara a quella data la mancanza di qualsiasi finanziamento dell'opera pubblica. Ebbene nella delibera 494/1988 - con cui venne approvato anche il disciplinare regolante i rapporti tra amministrazione comunale e professionisti da cui nascevano reciproci obblighi, tra cui quello, a carico del Comune, del pagamento del compenso - non venne assunto alcun impegno dei mezzi finanziari occorrenti per il pagamento del compenso di progettazione che avrebbe dovuto essere esplicitato attraverso la contestuale imputazione della spesa sull'apposito capitolo del bilancio comunale al fine della costituzione del formale impegno contabile. Ciò risultava obbligatoriamente prescritto dall'art. 189 dell'ordinamento degli enti locali della regione siciliana approvato con il citato d.lgs. 29 ottobre 1955 n. 6, nonché dagli artt. 20 e 21 d.P.R. 421/1979, che disciplinavano la materia all'epoca in cui venne adottata la predetta delibera 494. La mancata assunzione dell'impegno della spesa nelle forme suindicate - che in ultima analisi ha significato carenza di certezza giuridica che l'amministrazione comunale potesse adempiere all'obbligazione contratta - ha, difatti, comportato che gli organi comunali, si siano trovati nella impossibilità di provvedere alla controprestazione del pagamento compenso pattuito allorché è avvenuto l'adempimento dell'obbligazione da parte dei professionisti. Questi sono stati, infatti, costretti ad adire le vie giudiziarie ottenendo, come già riferito nella narrativa, sentenza non definitiva a loro favorevole, n. 25713 depositata il 28 gennaio 2002, del tribunale di Catania, sezione staccata di Mascalucia, con cui veniva riconosciuto il loro diritto nei confronti del Comune ad avere corrisposto il compenso professionale per la redazione del progetto. La quantificazione del compenso è stata operata con l'atto di transazione tra le parti stipulato con scrittura privata del 17 novembre 1973. La carenza di finanziamento dell'opera mette, altresì, in risalto il nesso causale tra l'omissione dell'assunzione dell'impegno di spesa nella delibera 494/88 e il danno subito dal Comune e, quindi, la sua riferibilità agli odierni convenuti che adottarono la deliberazione in argomento. In tale ottica non era, infatti, consentito dalla normativa in materia aggirare l'obbligo costituito dall'assunzione contestuale dell'impegno facendo riserva di provvedere al finanziamento delle spese tecniche di progettazione con previsioni ipotetiche, come quella contenuta nella stessa delibera in cui si stabiliva che alle competenze tecniche di progettazione si sarebbe fatto fronte con le somme all'uopo previste nel progetto che doveva essere redatto, il che non significava nulla di concreto agli effetti del finanziamento dell'opera. Si ignorava allora la fonte certa di finanziamento a cui attingere per l'esecuzione dell'opera né vi era certezza che il finanziamento avrebbe potuto essere concesso, il che faceva venir meno la certezza giuridica dell'adempimento delle obbligazioni contratte dall'amministrazione, che poteva essere assicurata solo dall'assunzione dell'impegno contabile che avrebbe comportato finché fosse stato mantenuto l'indisponibilità per altri fini delle somme all'uopo accantonate. Nessuna valenza agli effetti ora detti può essere attribuita all'indicazione generica contenuta nel preambolo della stessa delibera 494 al finanziamento dell'opera "con i fondi per investimenti per il 1989 o in alternativa con altri fondi che il Comune avrebbe recepito a tal'uopo". Tale indicazione 257 conferma in toto che non vi era certezza di finanziamento dell'opera in questione. Né tanto meno la certezza di finanziamento potrebbe evincersi, come in contrario sostenuto nella memoria difensiva, dalla previsione, rimasta sempre tale perché mai eseguita, per "spese per l'illuminazione pubblica" contenuta nella deliberazione consiliare n. 55 del maggio 1989 relativa alla gestione dei fondi per investimenti del bilancio 1989, anch'essa risultata generica e nient'affatto riferibile in concreto ai lavori per i quali era stato conferito l'incarico di progettazione. Il PM ha rilevato nell'atto di citazione che il progetto consegnato dai professionisti, seppure approvato con delibera n. 873 del 9 dicembre 1989, non avrebbe potuto essere posto in esecuzione perché non era stato chiesto preventivamente dal Comune il visto sugli elaborati tecnici di competenza della Soprintendenza dei beni ambientali e paesistici. La carenza di detto adempimento aveva comportato in effetti la sospensione dell'inserimento dei lavori di razionalizzazione del sistema di illuminazione pubblica comunale nel piano triennale delle opere pubbliche. In tale contesto nell'atto di citazione è stata attribuita ai convenuti una serie di omissioni di palmare evidenza. Infatti non risulta che, sia prima che dopo l'approvazione del progetto, sia stata responsabilmente presa dal sindaco dell'epoca, finché è rimasto in carica - il commissario regionale, che subentrò alla giunta guidata dal convenuto Lnd., si è insediato nel gennaio 1991 - l'iniziativa di inoltrare richieste di finanziamento agli organi statali o regionali competenti in base a legge ad erogare fondi o contributi per il tipo di lavori previsti nel progetto approvato con la delibera di giunta n. 873 del 1989 (ciò riguarda in misura preponderante il comportamento tenuto nella fattispecie dall'ex sindaco convenuto cui facevano capo particolari poteri come organo di impulso dell'azione del Comune). Nemmeno tutti gli altri convenuti, nella qualità, si preoccuparono di assumere un qualsiasi altro atto deliberativo che assicurasse il finanziamento dell'opera anche mediante la concessione di un mutuo per pervenire all'appalto e all'esecuzione dei lavori. Il che mostra ancor di più, ove ve ne fosse ancora bisogno, che la situazione determinata dai convenuti sia stata causa unica e decisiva dell'accantonamento del progetto che rimase inutilizzato proprio per la carenza iniziale del finanziamento dell'opera. In definitiva il Comune di Zafferana Etnea ebbe a sopportare una spesa, quella del pagamento del compenso ed oneri accessori ai progettisti, che non portò ad alcun risultato. Non ha pregio l'argomentazione difensiva secondo cui il pagamento del compenso sarebbe avvenuto in presenza un incarico espletato sulla base di un contratto da considerare radicalmente nullo per violazione delle norme di legge, che richiedevano inderogabilmente l'indicazione della copertura di spesa e l'assunzione dell'impegno contabile sull'apposito capitolo di bilancio, per cui la responsabilità dovrebbe ricadere su coloro che autorizzarono il pagamento del compenso e non sui convenuti. In disparte la constatazione che tale assunto mette in evidenza la consapevolezza, anche da parte del difensore dei convenuti, che le citate delibere n. 494 del 1988 e n. 873 del 1989 siano state assunte in violazione dell'art. 189 dell'ordinamento degli enti locali della regione siciliana allora vigente nonché degli artt. 20 e 21 d.P.R. 421/1979, non pare plausibile sostenere che l'illegittimità di cui si tratta influisca sulla validità del consenso manifestato dal Comune. Orbene, approvando con delibera di giunta il disciplinare di incarico l'amministrazione comunale si è obbligata secondo le regole del diritto civile a corrispondere il corrispettivo ai professionisti, allorché il progetto fosse stato consegnato ed approvato. Sotto il profilo soggettivo della responsabilità ritiene il collegio che il comportamento dei convenuti, valutato nel contesto della legislazione contabile degli enti locali siciliani vigente all'epoca dei fatti, che è precedente alla legge 142/1990 sulla riforma degli enti locali recepita con la legge regionale n. 48 del dicembre 1991, non possa sottrarsi, per quanto già esposto, ad una qualificazione di colpa grave. Disattendendo i basilari principi che presiedono alla gestione della spesa pubblica, agevolmente enucleabili dall'ordinamento contabile degli enti locali, gli amministratori convenuti hanno omesso, rivelando un comportamento gravemente colposo, di procedere all'assunzione nella delibera di giunta 494 dello specifico impegno di spesa conseguente al conferimento della redazione del progetto ai liberi professionisti, che è avvenuto in assenza di qualsiasi copertura di spesa senza che fosse stata mai avviata e, quindi, positivamente perfezionata la prescritta procedura di finanziamento dell'opera a cui il progetto si riferiva. Il comportamento tenuto dai 258 convenuti denota assenza di avvedutezza e, soprattutto, un "modus operandi" chiaramente lontano da una corretta gestione amministrativo-contabile della cosa pubblica, che può essere ricondotto, per certi aspetti, al noto e tanto abusato sistema della spesa facile che negli anni '80 e nei primi anni '90 produsse enormi debiti fuori bilancio degli enti locali. Ad essi va imputato, pertanto, il danno individuato nell'atto di citazione. Per quanto riguarda la relativa quantificazione, devono essere detratte, per la ragioni espresse nello stesso atto di citazione, le quote causalmente riferibili al segretario comunale dell'epoca, signor Anl. Frt., ed all'assessore Af. Co., componente della giunta che adottò la delibera 494, entrambi deceduti. Ritiene, tuttavia, il collegio che il danno determinato dal PM debba essere ridimensionato in relazione ai vantaggi che appare possibile siano stati conseguiti dal Comune connessi alla condotta dei convenuti (v. art. 1-bis l. n. 20/1994 nel testo novellato dalla l. n .639/1996). Non si può, invero, escludere che il Comune abbia comunque acquisito il progetto di un' opera pubblica di interesse comunale che, seppure non utilizzato, potrebbe costituire eventualmente una base di studio per future progettazioni (v. in materia Corte dei conti, sez. II centrale n. 216 del 1997). Ciò stante all'ex sindaco Lnd., tenuto conto sia della responsabilità derivatagli come componente della giunta, che di quella connessa alle sue attribuzioni di organo di impulso dell'azione amministrativa del Comune come previsto dalla legislazione contabile vigente all'epoca dei fatti, cui sono imputabili specifiche omissioni come avanti riferito, si addebita la somma di € 7.819,09. Agli altri quattro convenuti, ex componenti della giunta che adottarono la delibera 494/1988, si addebita la somma € 16.000,00 suddivisa in quattro quote uguali di € 4.000,00 per ciascuno di essi. Le spese di giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione siciliana condanna i convenuti in epigrafe indicati, al pagamento, in favore del Comune di Zafferana Etnea, della somma di € 23.819. omissis 259 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE ABRUZZO Sezione staccata di Pescara Sentenza 2 maggio 2005 n. 190 (commissione di concorso e dimissioni di un componente) Presidente: Catoni – Estensore: Eliantonio Sm. (avv.ti Scoca e Police) c. Università degli studii "G. D’Annunzio" di Chieti (Avv.ra Stato) e Pe.Laz. (avv.ti Capanna e Cerceo) - Accoglie FATTO Il rettore dell’Università degli studii "G. D’Annunzio" di Chieti con decreto 27 dicembre 2001, n. 211, ha bandito una procedura concorsuale per la copertura di un posto di ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare L-LIN/21 "Slavistica" – Profilo 1 – della Facoltà di lingue e letterature straniere. La commissione giudicatrice è stata composta dal prof. Ped.Mat., in veste di presidente (designato dal Consiglio di facoltà che aveva chiesto il bando), e dai membri eletti prof. An.Ma.Ra. e Al.Par.. Tale valutazione comparativa, cui hanno partecipato la ricorrente e la dr.ssa Pe.Laz., si è però svolta nelle sole fasi della valutazione dei titoli e delle prove scritte ed orali, in quanto, in sede di redazione dei giudizi complessivi e finali, il presidente della commissione si è dimesso a causa di divergenze insorte con gli altri componenti la commissione in ordine alla valutazione delle due candidate. Tali dimissioni sono state accolte dall’Università e con decreto rettorale 28 maggio 2003, n. 525, previa nuova designazione da parte del Consiglio di facoltà nella seduta del 9 aprile 2003, il presidente dimissionario è stato sostituito con il prof. Mr.En.; con decreto rettorale 13 novembre 2003, n. 29, è stata successivamente respinta l’istanza di ricusazione avanzata dall’attuale di ricorrente nei confronti della nomina del prof. Mr.En.. Il concorso è stato, pertanto, portato a compimento e la commissione giudicatrice nella seduta del 12 dicembre 2003 ha indicato quale vincitrice la dr.ssa Pe.Laz.; il rettore con decreto 30 dicembre 2003, n. 342, ha, infine, approvato gli atti della procedura di valutazione comparativa in questione. Con il ricorso in esame l’interessata è insorta dinanzi questo tribunale avverso tale atto, nonché avverso tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali della commissione giudicatrice ed il predetto decreto rettorale 13 novembre 2003, n. 29, con il quale era stata respinta l’istanza di ricusazione. Ha dedotto a tal fine le seguenti censure: 1) violazione del D.M. 4 ottobre 2000. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento, per illogicità, per irragione-volezza, per ingiustizia manifesta e per disparità di trattamento. Gli atti della valutazione comparativa in questione sono caratterizzati da un abnorme errore di valutazione basato sulla scorretta delimitazione delle materie oggetto delle prove concorsuali (slavistica); la vincitrice del concorso, infatti, ha mostrato di conosce-re solo la lingua e la letteratura serba (e non quella croata) e di avere una conoscenza molto scarsa della lingua russa, per cui l’esito della selezione comparativa è stato determinato da un "evidente favoritismo perpetrato da due dei tre membri della commissione" e poi "confermato" dal nuovo membro nominato in sostituzione del prof. Mat.; 2) violazione degli artt. 51 e 52 del c.p.c. e dei principi generali in materia di astensione e di ricusazione dei componenti delle commissioni giudicatrici. Eccesso di potere per disparità di trattamento e per violazione del precetto costituzionale di imparzialità e del buon andamento. Il Consiglio della Facoltà di lingue e letterature straniere nella seduta del 9 aprile 2003 ha designato il prof. Mr.En. in sostituzione del presidente della commissione dimissionario, ma a tale 260 deliberazione ha partecipato la prof.ssa Lt., moglie del prof. Ra. (cioè di uno dei membri della commissione). Inoltre, tale nomina è stata proposta dalla prof.ssa Zlb., allieva dello stesso prof. Ra.. L’istanza di ricusazione di tale nomina è stata, pertanto, illegittimamente respinta dal rettore; 3) violazione degli artt. 3 e 4 del D.P.R. 23 marzo 2000, n. 117, e dei principi generali in materia di organi collegiali perfetti. Eccesso di potere per illogicità, per irragionevolezza e per ingiustizia grave e manifesta La nuova commissione, una volta insediata, ha concluso i lavori svolgendo due sole sedute e limitandosi a redigere i giudizi finali dopo aver visionato i giudizi precedentemente espressi; non ha, però, considerato il fatto che il prof. Mat., al momento delle dimissioni, aveva invalidato i verbali delle prove cui aveva assistito. In definitiva, l’esito dell’intera procedura è stata rimessa alla valutazione dei due membri eletti, in quanto il terzo membro è intervenuto solo nella fase conclusiva del concorso e non ha potuto avere una reale conoscenza della preparazione delle candidate. Tali doglianze la parte ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria depositata il 7 aprile 2005. L’Università degli studii "G. D’Annunzio" di Chieti si è costituita in giudizio e con memoria depositata il 9 marzo 2005 ha confutato il fondamento delle censure dedotte. Si è anche costituita in giudizio la controinteressata Pe.Laz., che con memorie depositate l’11 febbraio 2004 ed il 7 aprile 2005 ha anch’essa difeso la legittimità degli atti impugnati. Alla pubblica udienza del 21 aprile 2005 la causa è stata introitata a decisione. DIRITTO 1. Costituiscono oggetto del ricorso in esame tutti gli atti della procedura di valutazione comparativa svolta dall’Università degli studii "G. D’Annunzio" di Chieti per la copertura di un posto di ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare L-LIN/21 "Slavistica" – Profilo 1 – della Facoltà di lingue e letterature straniere. Sono stati impugnati, in particolare, il decreto rettorale 30 dicembre 2003, n. 342, di approvazione degli atti della procedura di valutazione comparativa in questione, nonché tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui i verbali della commissione giudicatrice ed il decreto rettorale 13 novembre 2003, n. 29, con il quale è stata respinta l’istanza di ricusazione del prof. Mr.En., nominato in sostituzione del dimissionario prof. Ped.Mat.. 2. In via pregiudiziale il Collegio ritiene di dover esaminare il secondo motivo di gravame, con il quale la ricorrente ha contestato la corretta ricostituzione della commissione giudicatrice, impugnando il predetto decreto rettorale con il quale era stata respinta l’istanza di ricusazione della nomina del prof. Mr.En., in sostituzione del presidente dimissionario. Con tale doglianza, in particolare, l’istante - nel dedurre le censure di violazione degli artt. 51 e 52 del c.p.c. e dei principi generali in materia di astensione e di ricusazione dei componenti delle commissioni giudicatrici e di eccesso di potere per disparità di trattamento e per violazione del precetto costituzionale di imparzialità e del buon andamento - si è lamentata nella sostanza del fatto che alla deliberazione del 9 aprile 2003 del Consiglio della Facoltà di lingue e letterature straniere, con cui era stato designato il prof. Mr.En. in sostituzione del membro designato dimissionario, aveva partecipato la prof.ssa Lt., moglie del prof. Ra. (cioè di uno dei membri della commissione); inoltre, tale nomina era stata proposta dalla prof.ssa Zlb., allieva dello stesso prof. Ra.. Tale censura, così come proposta, è priva di pregio. Deve al riguardo ricordarsi che – come è noto – la procedura di costituzione delle commissioni giudicatrice nei concorsi universitari è analiticamente disciplinata dagli artt. 3 e 4 del D.P.R. 23 marzo 2000, n. 117. In base al n. 3 di tale art. 3, in particolare, è previsto che uno dei membri di tale commissione venga designato dal Consiglio della facoltà che ha chiesto il bando e che solo dopo tale scelta si svolgano le elezioni dei restanti due componenti; il n. 13 di tale articolo dispone, poi, che nel caso di rinuncia o di dimissione di uno dei membri eletti, "subentrano i professori e ricercatori che abbiano riportato il maggior numero dei voti", mentre "la sostituzione dei componenti designati avviene con le modalità di cui al comma 3". In relazione a quanto disciplinato da tale norma sembra evidente al Collegio da un lato che le dimissioni di uno dei membri della commissione non determinano certamente l’integrale rinnovazione della procedura concorsuale, ma solo la sostituzione dei componenti dimissionari, e 261 dall’altro che tale sostituzione avviene in modo diverso per il membro designato, rispetto ai membri eletti: mentre, infatti, la sostituzione del componente designato dalla facoltà "avviene con le modalità di cui al comma 3", cioè con una nuova scelta da parte del Consiglio della facoltà che ha chiesto il bando, per la sostituzione dei membri eletti, subentrano i professori e ricercatori che hanno riportato il maggior numero dei voti. In definitiva, cioè, mentre per la sostituzione dei membri eletti non si procede a nuove elezioni, per la sostituzione del membro designato si procede alla sua scelta con un nuovo atto deliberativo del Consiglio. Ciò posto, deve rilevarsi che nel caso di specie, essendosi dimesso il membro designato dalla facoltà, si è proceduto con deliberazione del 9 aprile 2003 del Consiglio della Facoltà di lingue e letterature straniere a designare il prof. Mr.En. in sostituzione del presidente della commissione dimissionario. Con la doglianza ora all’esame la ricorrente nella sostanza si è, però, lamentata delle seguenti circostanze: a) che a tale deliberazione aveva partecipato la prof.ssa Lt., moglie del prof. Ra. (cioè di uno degli altri due membri della commissione); b) che tale nomina era stata proposta dalla prof.ssa Zlb., allieva dello stesso prof. Ra.. Da un’attenta lettura del predetto atto deliberativo si rileva, però, che in punto di fatto non sussiste la prima delle predette circostanze. Infatti, al punto 10 della deliberazione in parola, dopo la verbalizzazione della decisione relativa alla designazione, presa all’unanimità, a componente della commissione in parola del prof. En., disposta "su indicazione della prof. Zlb.", è riportata la seguente indicazione: "rientra la prof. Lt.". Da tale indicazione, ad avviso della sezione, emerge chiaramente il fatto che tale docente non era stata presente alla discussione ed alla votazione di tale punto dell’ordine del giorno; per cui sembra evidente che la stessa non aveva in alcun modo partecipato alla nomina in questione. Quanto, poi, alla circostanza sopra ricordata alla lettera b), cioè al fatto che tale nomina era stata proposta dalla prof.ssa Zlb., allieva dello stesso prof. Ra., deve osservarsi che, come è noto, dell’obbligo di astensione in occasione dei concorsi universitari, ha già ripetutamente avuto modo di pronunciarsi la giurisprudenza amministrativa, che ha in merito costantemente chiarito come neanche un consolidato rapporto di collaborazione tra un commissario e un candidato che non abbia però carattere economico o patrimoniale, ma si esaurisca nella sfera accademica e scientifica, dà luogo ad obbligo di astensione in capo al commissario stesso (Cons. St., VI, 17 luglio 2001, n. 3957). In particolare, è stato chiarito che non comporta l’obbligo di astensione di un componente della commissione giudicatrice di un concorso a posti di professore universitario la circostanza che il commissario ed uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere e ciò in quanto si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica, rispondendo alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere, in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non impossibile, la formazione di commissioni esaminatrici in cui tali collaboratori non siano presenti (Cons. St., VI, 15 marzo 2004, n. 1325). Per cui, è stato anche precisato, la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, cui siano estranei interessi patrimoniali, non appare elemento tale da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità, tenuto conto della composizione collegiale della commissione e delle equipollenti esperienze e competenze dei membri, che introducono un controllo intrinseco, idoneo a pervenire - pur nella possibile inclinazione di qualche componente ad apprezzare maggiormente l’operato di chi sia stato proprio allievo - alla scelta dei più meritevoli (così, Cons. St. VI, 24 ottobre 2002, n. 5879). In definitiva, nei procedimenti concorsuali universitari neanche un consolidato rapporto di collaborazione tra un commissario ed un candidato comporta l’obbligo di astensione, ai sensi dell’art. 51 c.p.c.; ed a maggior ragione deve ritenersi che non possa sussistere un obbligo di astensione relativamente alla partecipazione all’atto deliberativo di nomina di uno dei membri della commissione. Negli organi collegiali, infatti, il componente del collegio ha l’obbligo di astenersi solo nelle ipotesi in cui, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale ed, in tal senso, il concetto di "interesse" del componente l’organo collegiale alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione di una delibera (Cons. St. IV, 4 novembre 2003, n. 7050). Nella specie sembra però evidente che lo speciale rapporto di allieva/maestro esistente tra prof.ssa Zlb. ed il prof. Ra., non comportava l’obbligo di astensione, in quanto la prof.ssa Zlb. non ricavava 262 dalla nomina in questione alcuna utilità diretta; né può seriamente sostenersi che l’appartenenza alla stessa scuola imponga l’obbligo di astenersi dal partecipare agli atti deliberativi di un Consiglio di facoltà. 3. Così risolta la questione dedotta con il secondo motivo di gravame e seguendo un più corretto ordine logico, appare opportuno esaminare il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente nella sostanza ha contestato in toto l’attività posta in essere dalla nuova commissione. Secondo l’istante la nuova commissione, dopo aver visionato, una volta insediata, i giudizi precedentemente espressi, illegittimamente si sarebbe limitata a redigere i giudizi finali senza, però, considerare il fatto che il prof. Mat., al momento delle dimissioni, aveva invalidato tutti i verbali delle prove cui aveva assistito. Sostiene, inoltre, la ricorrente che il prof. En., nominato in sostituzione del presidente della commissione dimissionario, non avendo assistito alle prove concorsuali, non avrebbe potuto formulare il giudizio finale. Anche tale censura, così come dedotta, non appare fondata. Deve al riguardo innanzi tutto premettersi che il principio della immutabilità della commissione giudicatrice, collegata a quello della par condicio di tutti i concorrenti (che hanno interesse a vedersi esaminare tutti, in modo uniforme, dagli stessi commissari di esame), non può assumere un valore assoluto e/o inderogabile, poiché, nelle ipotesi di necessità, eventuali sostituzioni s’impongono come dovute (anche perchè nemo cogi potest), onde consentire al procedimento concorsuale di giungere alla sua conclusione, al pari di ogni attività amministrativa, che si è prefissa un esito finale. Deve, inoltre, evidenziarsi che – come già sopra ricordato – la sostituzione dei componenti delle selezioni comparative in parola è espressamente prevista dalla normativa vigente (artt. 3 e 4 del D.P.R. 23 marzo 2000, n. 117). Sembra, pertanto, evidente che tali sostituzioni nel corso del procedimento dei componenti delle commissioni giudicatrici di pubblici concorsi – come questa stessa sezione ha già precisato con sentenza 15 gennaio 1998, n. 156 – per essere legittime debbono soltanto assicurare le fondamentali garanzie di coerenza e di uniformità di giudizio; in particolare, i nuovi esaminatori, integrandosi nella esistente commissione e dovendo continuare quanto già intrapreso (factum infectum fieri nequit), debbono prendere cognizione dell’attività svolta e, nel proseguire l’attività di valutazione, debbono attenersi ai criteri già stabiliti in precedenza ed alle valutazioni risultanti dai precedenti verbali. Ciò posto, deve osservarsi che nel caso di specie e con riferimento a quanto sopra esposto la sostituzione del componente la commissione giudicatrice in questione è ampiamente giustificata, poiché erano state accettate le dimissioni rassegnate da un suo componente (Cons. St, V, 4 aprile 2002, n. 1859); inoltre, tale sostituzione, dichiaratamente applicativa delle predette disposizioni regolamentari, non risulta sia stata disposta secondo criteri e procedure viziati dal punto di vista della legittimità. Da un’attenta lettura dei atti si rileva, inoltre, che il nuovo commissario, subentrato al dimissionario nella fase conclusiva del procedimento (cioè nella fase di redazione dei giudizi complessivi e finali) ha attentamente visionato i giudizi precedentemente espressi, prendendone atto. Lo svolgimento di tale attività è stata, invero, analiticamente descritta nel verbale dell’11 dicembre 2003, ove è testualmente precisato quanto segue: "il presidente prende attenta e approfondita visione di tutta la documentazione preesistente; in particolare prende in esame i criteri di valutazione adottati dalla commissione nella prima seduta, i titoli e le pubblicazioni delle candidate, gli elaborati delle prove scritte e orali, i giudizi individuali e collegiali già formulati sulle prove scritte e orali e i verbali relativi a tutte le operazioni già espletate". La commissione ha poi proseguito l’attività di valutazione mancante, cioè a redigere i giudizi complessivi e finali e ad indicare il vincitore della valutazione comparativa. Secondo la ricorrente la nuova commissione, al contrario, avrebbe dovuto iniziare dal principio il procedimento (cioè procedere sia ad una nuova valutazione dei titoli e sia a svolgere nuove prove scritte ed orali) in quanto il prof. Mat., al momento delle dimissioni, aveva invalidato tutti i verbali delle prove cui aveva assistito. Inoltre, secondo la ricorrente, il prof. En., non avendo assistito alle prove concorsuali, non avrebbe potuto in ogni caso formulare il giudizio finale. Tali censure, come già detto, non sono fondate. Quanto alla prima, deve osservarsi che dalla lettura del verbale del 23 ottobre 2002 si rileva che in sede di redazione del giudizio finale il prof. Mat., nel rassegnare le dimissioni, aveva dichiarato e verbalizzato quanto segue: "la mia soprastante dichiarazione rende inutili le mie precedenti firme, apposte durante i lavori della commissione". 263 Purtuttavia, tale dichiarazione non appare idonea, ad avviso del Collegio, ad inficiare tutti gli atti precedentemente svolti dalla commissione giudicatrice; infatti, i precedenti verbali risultano regolarmente sottoscritti dal prof. Mat., per cui correttamente la nuova commissione ha ripreso il procedimento dal punto in cui questo si era interrotto. Né il dimissionario aveva in alcun modo evidenziato la presenza di vizi di legittimità in ordine alle precedenti fasi concorsuali, in quanto si era semplicemente limitato a dichiarare che tale dimissioni rendevano "inutili" le precedenti firme apposte. Trattasi, in realtà, come sembra evidente, di una personale valutazione delle conseguenze derivanti dalle dimissioni presentate, che ovviamente non potevano in alcun modo incidere sul successivo operato della commissione, così come ricostituita. Correttamente, pertanto, la nuova commissione non ha iniziato ex novo il procedimento e, dopo aver preso cognizione dell’attività fino a quel momento svolta, ha concluso il procedimento svolgendo la fase mancante, cioè ha redatto i giudizi complessivi dei due candidati e la relazione finale. Né sembra che il tempo impiegato per svolgere tale fase conclusiva (il giorno 11 dicembre 2003 dalle ore 15,30 alle ore 18,30 ed il giorno 12 dicembre 2003 dalle ore 9 alle ore 18,30) sia stato particolarmente ridotto. Quanto, infine, al fatto che il nuovo commissario, non avendo assistito alle prove concorsuali, non avrebbe mai potuto formulare il giudizio finale, deve osservarsi che, come sopra esposto, la valutazione dei titoli e delle prove concorsuale era stata ampiamente verbalizzata dalla commissione; questa, infatti, dopo che i singoli commissari avevano formulati i propri giudizi individuali, aveva formulato dei giudizi collegiali sia sui titoli presentati, che sulla prova scritta e sulla prova orale. Per cui, dovendo concludere i lavori, la commissione, così come integrata con il nuovo membro, doveva prendere cognizione dell’attività fino a quel momento svolta e, nel proseguire l’attività di valutazione, doveva attenersi ai criteri già stabiliti in precedenza ed alle valutazioni risultanti dai precedenti verbali. Per cui, in definitiva, il nuovo membro della commissione, dopo aver preso conoscenza (come in effetti ha fatto) della valutazione dei titoli e delle prove, ben avrebbe potuto partecipare alla redazione dei giudizi complessivi dei due candidati e della relazione finale. 4. Una volta giunti a tale conclusione, rimane da esaminare il primo motivo di gravame, con il quale sono state dedotte le censure di violazione del D.M. 4 ottobre 2000 e di eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento, per illogicità, per irragionevolezza, per ingiustizia manifesta e per disparità di trattamento. Con tali doglianze, in particolare, la ricorrente ha osservato che gli atti della valutazione comparativa in questione erano caratterizzati da un abnorme errore di valutazione basato sulla scorretta delimitazione delle materie oggetto delle prove concorsuali (slavistica), in quanto la vincitrice del concorso aveva dimostrato di conoscere solo la lingua e la letteratura serba (e non quella croata) e di avere una conoscenza molto scarsa della lingua russa, come, peraltro, aveva ampiamente evidenziato il prof. Ped.Mat. nelle sue valutazioni; né la commissione aveva adeguatamente preso in esame tali valutazioni negative formulate nei confronti della candidata poi risultata vincitrice. Per cui, in definitiva, l’esito della selezione comparativa sarebbe stato determinato da un "evidente favoritismo perpetrato da due dei tre membri della commissione" e poi "confermato" dal nuovo membro nominato in sostituzione del prof. Mat.. Tale doglianza, ad avviso del Collegio, appare solo parzialmente fondata. Deve al riguardo premettersi che, come è noto, in sede di giudizio di legittimità le valutazioni effettuate da parte delle commissioni di concorso, costituendo espressione di discrezionalità tecnica, sono sindacabili solo in caso di ricorrenza di indici sintomatici devianti, quali la macroscopica illogicità, incoerenza, e irragionevolezza, la manifesta irrazionalità, il travisamento dei fatti o la palese disparità di trattamento (così, da ultimo, Cons. St., VI, 11 novembre 2004, n. 7280, e IV, 14 maggio 2004, n. 3038). Tale sindacato ha, poi, un ambito ancora più limitato nei concorsi universitari, in quanto la peculiare materia del giudizio rimessa alla commissione esaminatrice non consente che si applichi la maggior parte delle prescrizioni formali consuete nei concorsi per l’assunzione ai pubblici impieghi, quali ad esempio la predeterminazione dei criteri di massima, la suddivisione dei titoli in categorie e l’attribuzione di coefficienti numerici a ciascuno di essi, dovendosi riconoscere a tali commissioni poteri discrezionali particolarmente ampi (Cons. St., VI, 17 novembre 2004, n. 7526). In relazione a tali concorsi si è, ad esempio, ripetutamente affermato in giurisprudenza che non sono sindacabili le valutazioni espresse in ordine alla pertinenza dei titoli presentati rispetto alla disciplina oggetto del concorso (Cons. St., VI, 5 ottobre 2004, n. 6461), sempre però in assenza di indici sintomatici di sviamento (Cons. St., VI, 12 maggio 2004, n. 2991). 264 E la specificità dei concorsi in questione si è individuata, tra l’altro, anche nella circostanza che i singoli componenti la commissione formulano dei giudizi individuali sui vari candidati, che rappresentano però solo un punto di partenza della discussione, cioè un momento destinato ad essere assorbito e superato dalla decisione collegiale (Cons. St., VI, 12 maggio 2004, n. 2991). In altri termini, in sede di valutazione dei candidati i giudizi individuali costituiscono soltanto una fase propedeutica alla formazione del giudizio conclusivo devoluto alla commissione stessa nella sua intera composizione; ed in tale giudizio complessivo gli apprezzamenti dei singoli commissari sono destinati ad essere assorbiti in una valutazione collegiale che costituisce il risultato di una comparazione e di una composizione degli stessi giudizi individuali. Pertanto, si è affermato, eventuali deficienze delle valutazioni individuali sono suscettibili di inficiare il giudizio collegiale nei soli casi in cui risulti che su tale ultimo abbiano influito negativamente le omissioni cui siano incorsi i singoli commissari, le quali non abbiano trovato adeguata compensazione o appropriato correzione in sede di formulazione del definitivo giudizio espresso in sede collegiale (Cons. St., VI, 5 ottobre 2004, n. 6484). Ulteriore specificità si rinviene, infine, nel fatto che alla formulazione del giudizio finale segue, per concludere, una votazione sulla individuazione del vincitore, per cui, si è, per altro verso, ulteriormente chiarito, è possibile una non perfetta coincidenza tra i giudizi complessivi ed il risultato di tale votazione, atteso che proprio la volontà del legislatore di dare risalto all’esito dell’opinione della maggioranza nel momento conclusivo del procedimento consente, in occasione della scelta finale, l’emersione di valutazioni individuali, anche di carattere comparativo, non necessariamente riproducenti quelle formatesi per effetto del contemperamento collegiale dei differenti giudizi di ciascun membro (Cons. St., VI, 17 novembre 2004, n. 7526). In ogni caso, però, l’unanimità del giudizio finale è stato ritenuto argomento inidoneo a sostenere la validità della valutazione. Se è pur vero, infatti, che le valutazioni collegiali sono destinate ad assorbire, in linea di principio e come sopra chiarito, quelle individuali dei singoli commissari, nel caso in cui la valutazione negativa di un commissario, su una pluralità di elementi di giudizio, sia puntuale e circostanziata ed investa pesantemente la stessa preparazione del candidato, la giurisprudenza ha precisato che occorre che alla valutazione favorevole si pervenga attraverso un "motivato superamento dell'apprezzamento negativo individualmente espresso", in assenza del quale la stessa unanimità immotivata costituisce espressione di contraddittorietà della valutazione e sintomo dell’eccesso di potere che invalida la procedura (così Cons. St., VI, 14 gennaio 2003, n. 116). In estrema sintesi, la giurisprudenza, pur riconoscendo che i giudizi individuali sui vari candidati rappresentano solo un punto di partenza della discussione, cioè un momento destinato ad essere assorbito e superato sia dal giudizio complessivo, che dalla decisione collegiale di individuazione del vincitore, ha precisato che nell’ipotesi in cui la valutazione negativa di un commissario, su una pluralità di elementi di giudizio, sia puntuale e circostanziata ed investa pesantemente la stessa preparazione del candidato, occorre che alla valutazione favorevole si pervenga attraverso un motivato superamento di tale apprezzamento negativo. 5. Fatta tale doverosa premessa sui limiti del sindacato di questo giudice sulla procedura di valutazione comparativa in questione e sulla specifica motivazione che deve supportare la scelta del vincitore, può utilmente passarsi all’esame delle predette doglianze dedotte, con le quali la ricorrente si è nella sostanza lamentata del fatto che la commissione non aveva adeguatamente preso in esame le valutazioni negative formulate nei confronti della candidata poi risultata vincitrice dal prof. Mat.. Ai fini del decidere deve partirsi dal rilievo che la procedura di valutazione comparativa in parola era relativa alla copertura di un posto di ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare LLIN/21 "Slavistica" – Profilo 1 – della Facoltà di lingue e letterature straniere. Come è noto, in base al D.M. 4 ottobre 2000 tale settore scientifico disciplinare di Slavistica comprende "gli studi sulle opere letterarie in lingua russa, bulgara, ceca, slovacca, macedone, polacca, serbo-croata, slovena, ucraina e sui relativi autori, condotti con le metodologie della ricerca filologica, paleografica, linguistica e critico-letteraria, con particolare riguardo alla comprensione critica, attraverso l'analisi dei testi originali, delle dimensioni tematiche, figurative e formali, nonché quelli necessari ad acquisire una solida competenza ed un'analisi metalinguistica delle lingue stesse nelle loro dimensioni sincroniche e diacroniche, nelle loro strutture fonetiche, morfologiche, sintattiche, lessicali, testuali e pragmatiche, come pure nei diversi livelli e registri di comunicazione orale e scritta. Include inoltre gli studi relativi alle problematiche della didattica e quelli finalizzati alla pratica e alla riflessione sull'attività traduttiva, scritta e orale, nelle sue molteplici articolazioni, non 265 letteraria, generica e specialistica e nelle applicazioni multimediali e quelli sulla traduzione e l'interpretariato dall'italiano al russo, al serbo-croato, allo sloveno e da queste lingue all'italiano (di cui all'art. 1 della L. n. 478/1984)". Nel caso di specie, l’Università degli studii di Chieti aveva, in realtà, indetto contestualmente due selezioni comparative per il raggruppamento disciplinare di slavistica; quella ora all’esame, distinta con l’indicazione "profilo 1", richiedeva la specifica conoscenza, oltre che della lingua russa (comune anche all’altro profilo), anche della lingua "serbo-croata". Ed in relazione a tale specifica conoscenza della lingua in parola, nelle sue distinte articolazioni del serbo e del croato, si sono incentrate le ragioni delle divergenti valutazioni espresse nei confronti della dr. Laz., poi risultata vincitrice, dai componenti la commissione di concorso. In particolare, nei suoi giudizi individuali il prof. Mat. ha in più occasioni sottolineato il fatto che tale candidata aveva concentrato i suoi lavori "sui temi della letteratura serba e sui rapporti letterari italoserbi"; ugualmente nella prova scritta era rimasta "nella cornice della letteratura serba, senza riferimenti alle altre letterature della stessa lingua che erano coinvolte negli stessi processi". Tale circostanza è stata, peraltro, ripresa nel giudizio collegiale sui titoli, nel quale la commissione ha sottolineato il fatto che i titoli riguardavano solo tematiche serbe; mentre i restanti giudizi collegiali sulle prove scritte ed orali si limitano semplicemente ad evidenziare ed a confermare le "divergenti valutazioni dei membri della commissione". Nella stesura della prima relazione finale del 23 ottobre 2002, poi conclusasi con le dimissioni del prof. Mat., è stato chiaramente puntualizzato che tali valutazioni divergenti si incentravano nella sostanza sul seguente punto fondamentale: che i lavori dei partecipanti al concorso "per serbocroato dovrebbero vertere non su una sola componente, ma su diverse letterature dell’area linguistica serba, croata e bosniaca". Inoltre, nel giudizio individuale sulla prova orale il prof. Mat. ha anche messo in evidenza che "la candidata ha cominciato ad imparare il russo solo quest’anno e ne possiede una conoscenza molto scarsa"; ed anche il prof. Ra., nel suo giudizio individuale su tale prova, ha rilevato "qualche incertezza nella prova pratica di russo". In punto di fatto deve, infine, ricordarsi che nel giudizio finale redatto dalla nuova commissione giudicatrice di tali rilievi non vi è più alcuna traccia. Infatti, il giudizio complessivo della dr. Laz. è così formulato: "le pubblicazioni rilevano attitudine alla ricerca, conoscenza aggiornata delle fonti e uso appropriato della medesima, dando prova di una maturazione scientifica in promettente crescita. Nelle prove scritte la candidata ha confermato apprezzabile competenza nelle tematiche proposte, sapendo cogliere e interpretare l’intreccio dei rapporti fra tradizioni letterarie diverse. Nella prova orale la candidata ha dato risposte complessivamente esaurienti ai quesiti proposti". Nessun accenno è, però, in merito contenuto alle predette divergenze valutative evidenziate sia nei giudizi individuali del prof. Mat., che nei predetti giudizi collegiali. Ciò posto, il Collegio ritiene nella sostanza fondata la doglianza dedotta nella parte in cui l’istante si è lamentata del fatto che la commissione non aveva adeguatamente preso in esame le valutazioni negative formulate dal prof. Mat. nei confronti della candidata poi risultata vincitrice. Si è, invero, sopra già ricordato che la giurisprudenza, pur riconoscendo che i giudizi individuali sui vari candidati rappresentano un momento destinato ad essere assorbito e superato sia dal giudizio complessivo, che dalla decisione collegiale di individuazione del vincitore, ha costantemente precisato che nell’ipotesi in cui la valutazione negativa di un commissario sia puntuale e circostanziata, occorre che alla valutazione favorevole si pervenga attraverso un motivato superamento di tale apprezzamento negativo (Cons. St., VI, 14 gennaio 2003, n. 116) e che, in definitiva, eventuali deficienze delle valutazioni individuali debbano trovare adeguata compensazione o appropriato correzione in sede di formulazione del definitivo giudizio espresso in sede collegiale (Cons. St., VI, 5 ottobre 2004, n. 6484). E nella specie, come sopra si è ricordato, un commissario, poi dimessosi, aveva espresso specifiche riserve sulla preparazione della candidata in questione, ma del superamento di tali riserve non vi è traccia nell’operato della nuova commissione, che – pur avendo preso conoscenza dei precedenti giudizi (anche collegiali) – nel giudizio complessivo nulla precisa in ordine alla predetta valutazione negativa puntuale e circostanziata del commissario in parola. Di qui l’illegittimità da ragione lamentata con il gravame. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato. 266 Sussistono, per concludere, giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, accoglie il ricorso specificato in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’impugnato decreto del rettore dell’Università degli studii "G. D’Annunzio" di Chieti 30 dicembre 2003, n. 342. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del 21 aprile 2005. Pubblicata mediante deposito il 02.05.2005. 267 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE CAMPANIA Napoli, sezione IV Sentenza 12 aprile 2005 n. 3780 (Annullamento e risarcimento) Presidente: D’Alessio – Estensore: Polidori C. (avv.ti Iossa e Mele) c. Comune di Napoli (avv.ti Tarallo e Pulcini) - Annulla l'atto impugnato, ma respinge la domanda di risarcimento del danno. FATTO 1. Con l’ordinanza n. 1549 del 23 novembre 1998 il sindaco del Comune di Napoli ha ordinato, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985, all’Unità operativa antiabusivismo di procedere ad horas alla demolizione opere abusive (consistenti nella realizzazione di un corpo di fabbrica costituito da piano terra e primo piano per una superficie di circa 170 mq) realizzate dalla ricorrente su un fondo di sua proprietà sito in Napoli alla via Camillo Guerra n. 26/b e ricompreso in zona sottoposta a vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939. Tale provvedimento è stato notificato alla ricorrente in data 1° dicembre 1998 ed è stato eseguito il giorno successivo mediante il materiale abbattimento delle predette opere. Con atto ritualmente notificato in data 28 gennaio 1999 e depositato in data 11 febbraio 1999 la ricorrente - dopo aver evidenziato il presente ricorso tende alla declaratoria dell’illegittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione e alla conseguente condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni cagionati con l’esecuzione di tale provvedimento - deduce i seguenti motivi: a) violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 7 della legge n. 47/1985; errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere. La presente censura è incentrata sulla violazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985, disposizione espressamente richiamata nel provvedimento impugnato. La ricorrente sostiene che il fondo di sua proprietà non è sottoposto ad alcun vincolo di inedificabilità assoluta e che al momento dell’adozione del provvedimento impugnato il manufatto in questione risultava quasi del tutto ultimato - dovendosi ritenere, in applicazione del criterio sancito dall’art. 31 della legge n. 47/1985, che l’opera sia ultimata quando è stato eseguito il rustico ed è stata ultimata la copertura - sicché non sussistevano i presupposti necessari per il ricorso alla procedura sanzionatoria prevista dell’art. 4 della legge n. 47/1985. In altri termini, secondo la ricorrente, una corretta valutazione della situazione di fatto avrebbe determinato il ricorso alla procedura sanzionatoria di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985 e, quindi, ella avrebbe potuto richiedere la sanatoria dell’abuso, mentre l’amministrazione avrebbe dovuto ponderare l’opportunità di procedere alla demolizione; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985 e degli articoli 7 e 15 della legge n. 1497/1939; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; omessa valutazione della sanabilità dell’opera; omessa istruttoria e omessa valutazione dell’applicabilità dell’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996. La ricorrente dopo aver ribadito l’inesistenza di vincoli di inedificabilità assoluta sul fondo di sua proprietà, si duole del fatto che l’amministrazione non abbia tenuto conto del fatto che, secondo la prevalente giurisprudenza, il nulla osta ambientale può essere rilasciato anche ex post. Pertanto l’amministrazione ha illegittimamente omesso di attivare il procedimento finalizzato al rilascio del nulla osta paesistico e, quindi, di valutare la compatibilità dell’opera con il vincolo relativo esistente sul fondo; c) violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985; eccesso di potere per carenza di istruttoria; violazione del giusto procedimento. Secondo la ricorrente l’amministrazione ha violato anche dell’art. 4, comma 3, della legge n. 47/1985, perché la demolizione non è stata preceduta dall’ordine di sospensione dei lavori, né dal preventivo accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione. d) violazione degli articoli 36 e 51 della legge n. 142/1990, come modificati dalla legge n. 127/1997 e dalla legge n. 191/1998; eccesso di potere; incompetenza. La ricorrente deduce l’incompetenza del sindaco a disporre la demolizione, evidenziando che l’avversata ordinanza è stata adottata dopo 268 l’entrata in vigore della legge n. 191/1998, che ha inequivocabilmente attribuito ai dirigenti la competenza ad adottare i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia; e) violazione degli articoli 4, 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990 e degli articoli 24 e 97 Cost; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; sviamento. La presente censura è incentrata sull’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento concluso con l’adozione del provvedimento impugnato; f) violazione della legge n. 47/1985; eccesso di potere,: omessa istruttoria. Il provvedimento impugnato risulterebbe viziato anche perché l’amministrazione non ha tenuto conto del fatto che l’immobile in questione era sottoposto a sequestro probatorio e, quindi, la ricorrente non avrebbe comunque potuto ottemperare all’ordine di demolizione; g) violazione e falsa applicazione della legge n. 47/1985 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990; violazione dei principi generali regolanti la procedura sanzionatoria eccesso di potere; difetto di motivazione; erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Infine, l’impugnata ordinanza sarebbe illegittima perché la possibilità di ordinare l’immediata demolizione dell’immobile abusivo è meramente residuale e l’amministrazione ha omesso ogni valutazione sulla gravità dell’abuso e sulla sanabilità dell’opera, da un lato, e sulle possibilità di utilizzo della stessa a fini pubblici, dall’altro. 2. Con la successiva disposizione dirigenziale n. 53 del 29 gennaio 2001, notificata in data 23 febbraio 2001, è stato richiesto alla ricorrente il pagamento della somma di lire 33.955.960 a titolo di spese sostenute per l’esecuzione della demolizione in danno del manufatto abusivo in questione. Avverso questo provvedimento la ricorrente, con atto ritualmente notificato in data 10 aprile 2001 e depositato in data 20 aprile 2001, ha dedotto i seguenti motivi aggiunti: a) violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 7 della legge n. 47/1985; eccesso di potere per sviamento, simulazione del procedimento, illogicità manifesta ed irrealizzabilità delle statuizioni. La ricorrente rileva che nella motivazione della disposizione dirigenziale n. 53/2001 si afferma che ella non avrebbe ottemperato all’ordine di demolizione impartito con l’ordinanza sindacale n. 1549/1998, senza considerare che tale provvedimento in realtà era diretto all’Unità operativa antiabusivismo del Comune di Napoli, alla quale era stato affidato anche il compito di provvedere alla contestuale notifica della predetta ordinanza. Ne consegue che, non essendo stato assegnato alla ricorrente alcun termine per adempiere alla demolizione, la disposizione dirigenziale n. 53/2001 è illegittima perché si fonda sull’erroneo presupposto che la ricorrente - pur avendo ricevuto l’assegnazione di un termine per procedere spontaneamente alla demolizione e pur essendo stata avvertita che decorso tale termine la demolizione sarebbe stata eseguita in danno - sia rimasta inerte; b) violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 27 della legge n. 47/1985; violazione del giusto procedimento. La presente censura non riguarda la disposizione dirigenziale n. 53/2001, ma concerne la procedura sanzionatoria seguita dall’amministrazione. Infatti la ricorrente si duole che tale procedura si sia risolta nell’adozione di un solo atto e, quindi, la demolizione non sia stata preceduta da un’apposita ingiunzione a lei diretta, né dal preventivo accertamento della sua inottemperanza a tale ingiunzione; c) violazione dell’art. 27 della legge n. 47/1985 e degli articoli 32 e 35 della legge n. 142/1990; violazione dei principi generali in materia di appalto di opere pubbliche e dei principi generali regolanti l’attività amministrativa; eccesso di potere per sviamento e incongruità; difetto di motivazione e di istruttoria. La ricorrente sostiene innanzi tutto che la scelta della ditta esecutrice dei lavori di demolizione è stata effettuata elidendo la procedura di gara prevista in materia di appalti pubblici. Inoltre la somma richiesta risulterebbe sproporzionata rispetto ai lavori effettuati. Infine, nel provvedimento impugnato non vi è nessun riferimento al criterio di scelta della ditta cui sono stati affidati i lavori di demolizione, né ai lavori effettuati, né alla corrispondenza tra i prezzi richiesti per tali lavori ed il tariffario per le opere pubbliche, né alle modalità di valutazione - a corpo o a misura - dei lavori stessi; d) illegittimità derivata. Da ultimo, la disposizione dirigenziale n. 53/2001 risulterebbe illegittima perché si fonda sull’ordinanza sindacale n. 1549/1998, che risulta a sua volta viziata sotto i diversi profili evidenziati nel ricorso introduttivo del giudizio. 3. Con la cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 del 22 gennaio 2003, è stato infine intimato alla ricorrente di provvedere al pagamento della somma di euro 17.539, 89. Anche quest’ultimo provvedimento è stato impugnato con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato in data 26 febbraio 2003 e depositato in data 5 marzo 2003, nel quale la ricorrente deduce l’illegittimità derivata della pretesa dell’amministrazione in quanto la stessa si fonda sull’ordinanza 269 sindacale n. 1549/1998 e sulla disposizione dirigenziale n. 53/2001, che risultano a loro volta viziate sotto i diversi profili evidenziati nel ricorso introduttivo e nel primo ricorso per motivi aggiunti. 4. L’amministrazione resistente si è costituita in giudizio con atto depositato in data 6 febbraio 2004 ed ha depositato una memoria difensiva in data 1° ottobre 2004. In esecuzione dell’ordinanza istruttoria n. 333/2004, il Dipartimento autonomo pianificazione urbanistica del Comune di Napoli, con nota in data 31 maggio 2004, ha chiarito che il fondo su cui è stata realizzata l’opera oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione ricade nel perimetro della variante di salvaguardia al vigente PRG (approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale Campania n. 9297 del 29 giugno 1998), in base alla quale è assoggettato al regime della zona B (risanamento conservativo), e che secondo l’art. 17, comma 4, delle norme di attuazione della predetta variante la zona B "è assoggettata a vincolo di conservazione che si attua mediante interventi volti a preservare il patrimonio edilizio e urbanistico del centro storico, nonché il relativo tessuto viario". Inoltre, nella predetta nota è stato chiarito che il fondo de quo rientra nel perimetro delle zone vincolate dal decreto ministeriale del 22 giugno 1967, emesso ai sensi legge n. 1497/1939. Tali affermazioni sono state contestate dalla ricorrente nella memoria depositata in data 3 dicembre 2004, ove viene evidenziato che - secondo quanto risulta dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal comune di Napoli in data 7 ottobre 1998 - il fondo in questione non ricade in zona B della variante di salvaguardia, ma in zona nEa (area agricola), nella quale è consentita la realizzazione di nuovi edifici, e che all’epoca della realizzazione dell’abuso il predetto fondo non era sottoposto ad alcun vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto il decreto ministeriale del 22 giugno 1967 impone soltanto l’obbligo di richiedere l’autorizzazione paesaggistica prima della realizzazione dell’intervento edilizio. Alla pubblica udienza del 23 marzo 2005 la causa è stata assunta in decisione dal collegio. DIRITTO 1. La controversia sottoposta all’esame del collegio verte principalmente sulla legittimità dell’ordinanza n. 1549 del 23 novembre 1998, con la quale il sindaco del Comune di Napoli ha ordinato, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985, all’Unità operativa antiabusivismo di procedere ad horas alla demolizione del manufatto abusivo realizzato dalla ricorrente su un fondo di sua proprietà sito in una zona sottoposta a vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939. Tale ordinanza è stata eseguita d’ufficio il giorno successivo a quello in cui è stata notificata alla ricorrente e, quindi, l’azione di annullamento proposta con il ricorso principale in realtà è strumentale rispetto alla domanda di risarcimento dei danni cagionati dall’esecuzione del provvedimento impugnato, in ossequio al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo presuppone il preventivo annullamento dell’atto amministrativo fonte di danno (ex multis, Cons Stato, sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5196; sez. V, 22 giugno 2004, n. 4359). La natura strumentale dell’azione di annullamento in esame risulta foriera di importanti conseguenze. Infatti è noto che laddove venga dedotta l’incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento impugnato, tale censura deve essere esaminata per prima, in quanto il suo eventuale accoglimento comporta, ai sensi dell’art. 26, comma 2, della legge n. 1034/1971, la rimessione dell’affare all’autorità attualmente competente, con l’assorbimento delle ulteriori censure fatte valere nel ricorso, il cui esame è precluso al giudice al fine di non precostituire un vincolo anomalo sui futuri provvedimenti della competente autorità, che non è neppure parte necessaria del giudizio (ex multis, T.A.R. Sardegna, 23 marzo 2004, n. 393; T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° giugno 2001, n. 398). Orbene, a giudizio del collegio, tale regola non può trovare applicazione nel caso in cui l’azione di annullamento sia meramente strumentale ad una domanda di risarcimento danni per lesione di un interesse legittimo, come quella in esame. Infatti, avendo l’amministrazione già provveduto alla demolizione dell’immobile abusivo, il presente ricorso non mira ad ottenere una pronuncia giurisdizionale che vincoli la futura azione amministrativa, ma solo ad ottenere la condanna del Comune di Napoli al ristoro dei danni cagionati dall’esecuzione di un provvedimento ritenuto illegittimo. Ne consegue che, pur essendo stata dedotta anche l’incompetenza del sindaco di Napoli ad adottare l’impugnata ordinanza di demolizione, si ritiene comunque necessario procedere 270 all’esame di tutte le censure proposte con il ricorso principale, per le ragioni che saranno illustrate in sede di esame della domanda di risarcimento danni. 2. I primi due motivi di ricorso sono incentrati sulla violazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985. Infatti la ricorrente sostiene che il fondo di sua proprietà non è sottoposto ad alcun vincolo di inedificabilità assoluta e che al momento dell’adozione del provvedimento impugnato il manufatto de quo risultava quasi del tutto ultimato, sicché non sussistevano i presupposti necessari per il ricorso alla procedura sanzionatoria prevista dell’art. 4 della legge n. 47/1985. Ne discende, secondo la ricorrente, che l’amministrazione avrebbe dovuto seguire la diversa procedura di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985 e, quindi, ella avrebbe potuto chiedere la sanatoria dell’abuso ed il rilascio del nulla osta ambientale ex post, mentre l’amministrazione avrebbe dovuto valutare la prevalenza dell’interesse pubblico all’abbattimento delle opere e la compatibilità delle stesse con il vincolo relativo esistente sul fondo, prima di procedere alla demolizione. La tesi prospettata dalla ricorrente si traduce in una censura sulla scelta del procedimento adottato, in quanto presuppone che, in presenza di un’opera che risulti, da un lato, quasi del tutto ultimata e, dall’altro, realizzata su un’area sottoposta a vincolo relativo e, come tale, suscettibile di sanatoria sia dal punto di vista urbanistico sia dal punto di vista ambientale, l’amministrazione debba seguire il procedimento ordinario di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, che prevede la previa notifica di una ingiunzione a demolire al responsabile dell’abuso. Tale procedimento, secondo la ricorrente, implicherebbe altresì la esperimento, da parte dell’amministrazione competente, di una previa verifica d’ufficio in ordine alla sanabilità dell’opera. 2.1. Tali affermazioni non sono condivisibili. L’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 dispone che "il sindaco, quando accerti l’inizio di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla L. 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui alle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni ed integrazioni, il sindaco provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa". Da tale disposizione si evince che lo specifico presupposto che differenzia il procedimento sanzionatorio ivi previsto, rispetto a quello di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, va rinvenuto nella localizzazione delle opere abusive su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità, ovvero destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica. Il diverso schema procedurale dipende dalla particolare gravità dell’illecito consistente nella realizzazione abusiva di interventi su aree meritevoli di una particolare tutela e protezione e, quindi, la scelta del legislatore si spiega agevolmente considerando la necessità di predisporre un meccanismo sanzionatorio idoneo a reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall’abusivo intervento edilizio. Ne consegue che in tal caso l’ordine di demolizione deve seguire automaticamente all’accertamento dell’illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali, al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di situazioni soggettive che potrebbero impedire l’applicazione della sanzione ripristinatoria. 2.2. Una corretta interpretazione di tale disposizione induce quindi a ritenere innanzi tutto che l’inizio dell’esecuzione dell’opera abusiva costituisca la condizione minima per l’adozione del provvedimento di demolizione, sicché né la lettera, né lo scopo della norma possono far ritenere preclusa l’adozione di tale provvedimento nel caso in cui l’opera sia quasi ultimata. In altri termini, ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione è necessario e sufficiente che l’opera sia stata eseguita senza titolo e su una delle aree individuate dall’art. 4, qualunque sia lo stato della costruzione (Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2002, n. 125) Ne consegue che le affermazioni della ricorrente sulla stato di ultimazione del manufatto de quo sono irrilevanti in punto di diritto, fermo restando che risultano comunque smentite anche in fatto dalla nota della polizia municipale del Comune di Napoli in data 19 novembre 1998, dalla quale si evince che "all’atto del sopralluogo i lavori erano in atto e gli operai alla vista degli intervenuti si davano alla fuga" e che il primo piano dell’immobile presentava "armatura in carpenteria in legno e ferro. Centralmente al corpo di fabbrica vi sono rampanti scala che adducono al lastrico di risulta: 271 quest’ultimo per circa il 70% è munito di massetto di pendenza e orlato di tegole. Tutto il manufatto descritto si presenta al vento e al grezzo". 2.3. Inoltre, il collegio rileva che, accedendo all’interpretazione della ricorrente sulla inapplicabilità dell’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 in caso di vincoli di inedificabilità relativi, si finirebbe con l’attribuire a tale disposizione un ambito di applicazione diverso e più ristretto rispetto a quello dalla stessa delineato. Una siffatta interpretazione additiva non trova alcun riscontro nella norma ed è contraria alla sua ratio perché comporterebbe un ingiustificato restringimento dei poteri di vigilanza attribuiti al Comune, essendo evidente che il legislatore, laddove si tratti di aree meritevoli di una particolare e rafforzata tutela, ha inteso attribuire all’amministrazione il potere-dovere di ripristinare senza indugio la legalità violata, senza distinguere in relazione alla natura assoluta o relativa del vincolo (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 17 maggio 2004, n. 8774). In tal senso si è chiaramente espresso anche il Consiglio di Stato (sez. V, sentenza n. 125/2002 cit.), che ha negato la possibilità di escludere l’operatività dell’art. 4, comma 2, legge n. 47/1985 in presenza di limitazioni che comportino un parziale impedimento all’attività edificatoria (discendenti, nella fattispecie, dallo strumento urbanistico adottato anche in funzione di tutela ambientale). Infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada, la formula di legge "va interpretata nel senso che sia in vigore un divieto di edificare, secondo un’accezione che può desumersi anche da altre disposizioni della legge. È da richiamare qui, in particolare, l’art. 33 della legge stessa, nel quale le opere non suscettibili di sanatoria sono definite con riferimento a quelle che siano in contrasto con una serie, appunto, di vincoli, fra i quali sono elencati non solo quelli imposti, da leggi o da strumenti urbanistici, per la tutela di interessi paesistici, ambientali, e di altro tipo, ma è anche enunciato, alla lett. d), "ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree". Non vi sono, perciò, neppure elementi, desumibili dal sistema della legge, che possano indurre a circoscrivere in misura restrittiva l’analoga formula utilizzata nell’art. 4, comma 2". Stante quanto precede e considerato che la ricorrente comunque non contesta che il fondo di sua proprietà sia sottoposto ad un vincolo di inedificabilità relativa, risulta evidente che nella fattispecie in esame sussistevano i presupposti per il ricorso alla procedura di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 e, quindi, ella non può dolersi del fatto che non abbia potuto richiedere la sanatoria dell’abuso ed il rilascio del nulla osta ambientale ex post, né del fatto che l’amministrazione non abbia valutato la prevalenza dell’interesse pubblico all’abbattimento del manufatto e la compatibilità dello stesso con il vincolo relativo esistente sul fondo, prima di procedere alla demolizione. Infatti, come già evidenziato, la procedura sanzionatoria in esame è caratterizzata da un meccanismo automatico ed immediato che mira ad assicurare una pronta e tempestiva reazione rispetto alla lesione di beni urbanistici di primario rilievo, conferendo al competente organo comunale un potere-dovere del tutto vincolato, nell’esercizio del quale non è possibile individuare margini di discrezionalità che consentano di comparare il sacrificio imposto al privato con l’interesse pubblico all’eliminazione delle opere abusive, in quanto la prevalenza di quest’ultimo, ove sussistano vincoli comportanti la inedificabilità dell’area, è riconosciuta in via generale dallo stesso legislatore (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, n. 8774/2004 cit.). 3. Quanto alle altre censure relative alla procedura conclusa con l’adozione della avversata ordinanza di demolizione, il collegio ritiene innanzi tutto di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questa sezione (ex multis, sentenza 1° febbraio 2005, n. 623), che in tema di demolizione non reputa necessaria la preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento, stante il suo carattere di atto dovuto e vincolato. Né risulta condivisibile l’ulteriore censura incentrata sulla mancata previa notifica di un’ordinanza di sospensione dei lavori. Infatti nel sistema delineato dalla legge n. 47/1985 l’esigenza di un immediato intervento repressivo, che è alla base della procedura sanzionatoria di cui all’art. 4, comma 2, consente di prescindere dalla preventiva notifica di un ordine di sospensione dei lavori, che risulta espressamente prevista dal successivo comma 4 soltanto per la diversa e meno grave ipotesi di inosservanza di norme e prescrizioni imposte dagli strumenti urbanistici o previste dal titolo abilitativo (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, n. 8774/2004 cit.). Quanto poi al fatto che l’immobile in questione fosse sottoposto a sequestro probatorio, è sufficiente evidenziare che, secondo una consolidata giurisprudenza, anche di questa sezione (ex multis, sentenza 4 febbraio 2003, n. 614) tale circostanza non osta all’adozione dell’ordine di demolizione dal momento che è possibile motivatamente domandare all’autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile proprio al fine di ottemperare al predetto ordine. Infine si deve rilevare che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente nell’ultimo motivo di ricorso, nel caso di opere abusive realizzate su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità ovvero 272 destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica, l’immediata demolizione dell’immobile non costituisce affatto un’ipotesi residuale, ma rappresenta il meccanismo sanzionatorio tipizzato dal legislatore al fine di reintegrare con immediatezza il bene protetto pregiudicato dall’intervento edilizio abusivo. Pertanto, come già evidenziato in precedenza, non residua alcun margine di valutazione riguardo alla gravità dell’abuso, alla sanabilità dell’opera, ovvero all’eventualità che la stessa, invece di essere demolita, venga destinata a fini pubblici. Stante quanto precede tutte le censure incentrate sull’illegittimità del procedimento seguito ai fini dell’adozione dell’avversata ordinanza di demolizione risultano infondate. 4. A diverse conclusioni si deve, invece, pervenire con riferimento alla dedotta incompetenza del sindaco di Napoli a disporre la demolizione. Infatti il provvedimento impugnato è stato adottato dall’assessore delegato dal sindaco di Napoli in data 23 novembre 1998, senza considerare che a tale data la competenza in materia di provvedimenti sanzionatori degli abusi edilizi doveva ritenersi direttamente attribuita ai dirigenti dell’amministrazione comunale per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 191/1998 all’art. 51 della legge n. 142/1990. 4.1. Al riguardo occorre puntualizzare che secondo l’art. 51, comma 3, della legge n. 142/1990, nella sua formulazione originaria, "spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell’ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti". Tale elencazione è stata poi ampliata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997 e dall’art. 2, comma 12, della legge n. 191/1998 che, nel modificare la seconda parte del citato art. 51, comma 3, hanno inserito, rispettivamente, "i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie" (lett. f) e "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale" (lett. f bis). Inoltre, si deve rammentare che l’art. 6, comma 3, della legge n. 127/1997 ha introdotto nell’art. 51 della legge n. 142/1990 il comma 3 bis, secondo il quale "nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3 sono svolte dai responsabili degli uffici o dei servizi", e che anche tale disposizione è stata successivamente modificata dall’art. 2, comma 13, della legge n. 191/98, secondo il quale "nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera c ), dell’art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione". Infine rileva l’art. 45 del d.lgs. n. 80/1998, secondo il quale a decorrere dalla entrata in vigore dello stesso decreto, ossia dal 23 aprile 1998, le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 29/1993, "si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti". 4.2. Tale complesso normativo in tema di attribuzione delle competenze ai dirigenti, ha suscitato contrasti interpretativi circa la natura immediatamente precettiva (Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2001, n. 5833; 21 novembre 2003, n. 7632) o meramente programmatica delle relative disposizioni (Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2003, n. 3717; 27 settembre 2004, n. 6297). In particolare la giurisprudenza che sostiene la natura programmatica dell’art. 51 comma 3, cit. (nonostante le modifiche apportate dalla legge n. 127/1997 e dalla legge n. 191/98), puntualmente richiamata dal Comune di Napoli nella memoria depositata in data 1° ottobre 2004, fa leva sul rinvio alle "modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente". Pertanto l’attribuzione delle competenze ai dirigenti non sarebbe automatica, ma subordinata alla previa approvazione delle modifiche statutarie e regolamentari volte a determinare le modalità per l'espletamento delle funzioni demandate ai dirigenti e, quindi, non potrebbe trovare accoglimento il motivo di ricorso asserente la violazione della suddetta normativa, ove in esso non sia fatto alcun riferimento a puntuali precetti dell’indispensabile normativa regolamentare di attuazione. 4.3. Tuttavia questi contrasti debbono allo stato ritenersi superati alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, sentenze 4 maggio 2004, n. 2694, e 8 marzo 2005, n. 273 952), secondo la quale non può essere messa in dubbio la competenza dei dirigenti rispetto agli atti di gestione e ai provvedimenti degli enti locali, per lo meno a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 127/1997 e dalla legge n. 191/1998 all’art. 51 della legge n. 142/1990. L’attribuzione diretta ai dirigenti degli enti locali dei compiti di gestione, anche in mancanza di specifiche norme statutarie o regolamentari, risulta poi confermata dall’art. 53, comma 23, della legge 23 dicembre 2000 n. 388, come modificato dall’art. 29 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, che ha consentito unicamente agli enti locali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti di adottare, al fine di operare un contenimento della spesa (da documentare ogni anno), disposizioni regolamentari organizzative per attribuire ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi nonché il potere di adottare anche atti di natura tecnica gestionale. Stante quanto precede, pur mancando nel ricorso specifiche deduzioni circa la normativa ordinamentale del Comune di Napoli, deve ritenersi fondata la censura in esame, perché l’impugnata ordinanza di demolizione è successiva alla entrata in vigore della legge n. 191/1998, sicché i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, ratione temporis, non rientravano più nelle competenze del sindaco e degli organi da lui delegati. 5. L’accoglimento della censura relativa all’incompetenza dell’autorità che ha adottato l’impugnata ordinanza di demolizione induce il collegio ad interrogarsi sulla sorte di tale provvedimento alla luce della nuova disciplina della patologia del provvedimento amministrativo introdotta dalla recente legge n. 15/2005, che risulta immediatamente applicabile alle controversie pendenti (T.A.R. Sardegna, sez. II, 25 marzo 2005, n. 483). Infatti, mentre il primo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 ribadisce che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, il comma successivo afferma che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", fermo restando che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Orbene, secondo il collegio, da una lettura combinata del primo e del secondo comma dell’art. 21 octies si desume che quando viene accertata l’incompetenza relativa dell’organo adottante (da non confondere con l’incompetenza assoluta, disciplinata dall’art. 21 septies, comma 1, della legge n. 241/1990), il provvedimento deve essere necessariamente annullato, non potendo trovare applicazione la disposizione che ne preclude l’annullamento laddove sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Infatti tale disposizione si riferisce soltanto ai casi in cui il provvedimento sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma. Né sembra possibile includere le norme sulla competenza tra le norme sul procedimento amministrativo o tra le norme sulla forma degli atti. Infatti dal primo comma dell’art. 21 octies si desume che il legislatore ha inteso confermare la tripartizione dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione di norme sul procedimento o sulla forma rientra nell’ambito più generale della violazione di legge. Inoltre devono ritenersi norme sul procedimento tutte quelle relative al modus operandi dell’amministrazione ed alla partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento finale, delle altre Amministrazioni interessate e dei soggetti indicati dall’art. 9 della legge n. 241/1990, mentre devono ritenersi norme sulla forma quelle relative ai requisiti formali degli atti endoprocedimentali e del provvedimento finale. Ciò posto, si osserva che la scelta legislativa di escludere l’applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, prima parte, nel caso in cui il provvedimento vincolato sia stato adottato da un’autorità incompetente se, da un lato, appare coerente con quella dell’art. 26, comma 2, della legge n. 1034/1971, perché l’accoglimento del ricorso per motivi di incompetenza determina l’immediata rimessione dell’affare all’autorità competente e, quindi, non vi è spazio per valutare se il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, dall’altro può destare perplessità nei casi come quello in esame, in cui l’azione di annullamento è strumentale ad una domanda di risarcimento danni. 5.1. Infatti, dall’esame delle censure proposte con il presente ricorso è emerso che l’amministrazione ha agito nell’esercizio di un potere vincolato, perché l’ordine di demolizione qualora si tratti di opere realizzate nelle zone indicate dall’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 deve seguire automaticamente all’accertamento dell’illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali. Inoltre risulta 274 palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso se fosse stato adottato dal competente dirigente del Comune di Napoli, perché dall’esame dei primi due motivi di ricorso è emerso che nella fattispecie in esame sussistevano tutti i presupposti per il ricorso alla procedura sanzionatoria di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985, trattandosi di un manufatto eseguito senza i prescritti titoli abilitativi su un’area sottoposta ad un vincolo di inedificabilità. Ciononostante, non potendosi fare applicazione del secondo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, l’avversata ordinanza di demolizione deve essere inevitabilmente annullata e, quindi, si deve procedere all’esame della domanda di risarcimento dei danni cagionati dall’esecuzione di tale provvedimento. 6. È noto che la lesione dell’interesse legittimo di per sé non è sufficiente per affermare la risarcibilità del danno derivante dall’esecuzione del provvedimento impugnato. In particolare, secondo le sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 22 luglio 1999, n. 500), "la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra infatti nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo". È altresì noto che, nonostante tali affermazioni di carattere generale, sia stata comunque teorizzata dalla giurisprudenza una significativa distinzione tra interessi legittimi oppositivi e pretesivi. In particolare, secondo le sezioni unite (sentenza n. 500/1999 cit.) "per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all’illegittimo esercizio del potere. ... Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà invece vagliarsi la consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta". 6.1. Tuttavia, come evidenziato dal Consiglio Stato (sez. VI, sentenza 12 marzo 2004, n. 1261) tale impostazione è "idonea, nella sua perentorietà, ad innescare un sistema di protezione degli interessi oppositivi ingiustificatamente eccessivo. Ed invero, se il provvedimento compressivo è viziato per ragioni attinenti alla sola forma oppure al solo procedimento, ma risulta ineccepibile sul piano sostanziale, la Pubblica amministrazione potrebbe adottare un provvedimento di identico contenuto sfavorevole per il privato. In questa situazione è difficile giustificare un diritto a risarcimento, salvo a sganciare la responsabilità dell’amministrazione dal paradigma aquiliano, con conseguente differente valutazione dei presupposti fondanti il diritto al ristoro e distinta quantificazione dei pregiudizi riparabili. Si pensi al caso di una concessione edilizia che sia ritirata con provvedimento di annullamento sostanzialmente giusto, in quanto per esempio inteso a riparare alla violazione della disciplina pubblicistica sui limiti di edificabilità previsti dal piano regolatore generale o dal regolamento edilizio, ma tuttavia affetto da vizio procedimentale, quale in ipotesi la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento. In ipotesi siffatte, ad onta della illegittimità del provvedimento di ritiro, l’amministrazione, senza nuovamente incorrere nel rilevato vizio formale, potrà successivamente reiterare l’annullamento del titolo abilitativo. In una prospettiva meno formalistica, quindi, il privato non potrebbe sostenere la lesività sostanziale del primo provvedimento di annullamento, inficiato da illegittimità solo formale attesa la non spettanza ab initio del bene della vita sottrattogli". 275 6.2. Il collegio condivide integralmente quest’ultima impostazione. Infatti escludere la necessità del giudizio sulla spettanza del bene giuridico in caso di richiesta di risarcimento di danni derivante dalla lesione di interessi legittimi oppositivi significherebbe creare una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al caso in cui la richiesta di danni derivi dalla lesione di interessi pretesivi. Inoltre, non si comprende per quale ragione, mentre l’art. 21 octies della legge n. 241/1990 ha generalizzato il giudizio sul raggiungimento dello scopo della norma violata senza distinguere tra interessi pretesivi e interessi oppositivi, si dovrebbe continuare ad affermare che ai fini dell’azione risarcitoria il giudizio sulla spettanza del bene della vita deve riguardare soltanto gli interessi pretesivi. Sembra quindi corretto affermare che, come per gli interessi legittimi pretensivi, anche rispetto agli interessi legittimi oppositivi il pregiudizio dell’interesse individuale conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo non comporta automaticamente un danno ingiusto. Infatti, il danno può definirsi ingiusto solo in quanto l’interesse al bene risulti in concreto meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico (in tal senso T.A.R. Lazio, sez. I, 17 maggio 2004, n. 4551) e, quindi, la relativa pretesa - orientata ora alla conservazione, ora all’acquisizione del bene - risulti fondata all’esito dell’esame di tutte le censure dedotte con il ricorso, fermo restando che tale giudizio sulla spettanza del bene non può basarsi soltanto sulla rilevata incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento avversato, la quale di per sé non consente di accertare se l’interesse del ricorrente risulti in concreto meritevole di tutela. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si può comprendere perchè, pur essendo stata dedotta anche l’incompetenza del sindaco di Napoli, il collegio abbia ritenuto necessario esaminare tutte le censure dedotte con il ricorso principale e, soprattutto, risulta evidente l’infondatezza della domanda di risarcimento dei danni proposta con tale ricorso. Infatti si è già rilevato che il contenuto dispositivo dell’avversata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se fosse stato adottata dal competente dirigente del Comune di Napoli. Inoltre, benché dall’annullamento dell’avversata ordinanza sindacale di demolizione discenda l’impossibilità di convalidare (rectius, secondo la dottrina, di ratificare) tale provvedimento - avendo il legislatore ribadito, con il secondo comma dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, che la possibilità di convalida riguarda il provvedimento annullabile e non quello annullato - si deve comunque evidenziare che il competente dirigente del Comune di Napoli ben potrebbe adottare, all’esito del presente giudizio, un nuovo provvedimento con il quale viene disposta, ora per allora, la demolizione dell’immobile abusivo realizzato dalla ricorrente. Infatti, al di fuori dei casi nei quali sussiste un obbligo di irretroattività assoluta derivante dall’esistenza di un giudicato di annullamento, l’amministrazione conserva sempre il potere di decidere ora per allora, cioè con la stessa decorrenza attribuita all’atto annullato (Consiglio Stato, sez. V, 17 marzo 2003, n. 1356; T.A.R. Lazio, sez. III, 24 giugno 2004, n. 6174). Ne consegue che nel caso in esame il giudizio sulla spettanza del bene giuridico ha esito negativo e, quindi, la domanda risarcitoria proposta con il ricorso principale deve essere respinta perché non possono essere considerati ingiusti i danni derivanti dalla demolizione dell’immobile de quo. 7. Fermo restando quanto precede, si deve altresì evidenziare che la domanda di risarcimento in questione risulta infondata anche per la mancanza del requisito della colpa dell’amministrazione. Al riguardo si deve ribadire che il risarcimento del danno non consegue automaticamente all’annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge. Pertanto oltre alla lesione della situazione soggettiva tutelata è indispensabile che sia accertata anche la colpa dell’amministrazione. Peraltro, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465), più che intendere la colpa come profilo soggettivo di responsabilità configurabile quando l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità - è indispensabile accedere a una nozione di colpa di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento e, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento. Pertanto se la violazione è l’effetto di un errore scusabile dell’autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa, mentre se la violazione appare grave e manifesta, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa dovrà ritenersi sussistente (Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169). 276 Nel caso in esame non è dato ravvisare una violazione grave e manifesta da parte dell’amministrazione perché, come si è già evidenziato, le disposizioni relative al passaggio di competenze dagli organi di governo ai dirigenti degli enti locali hanno suscitato in fase applicativa dubbi interpretativi, che hanno determinato anche la formazione di contrastanti orientamenti giurisprudenziali, sicché sussistono i presupposti per ritenere che l’accertata incompetenza del sindaco di Napoli sia frutto di un errore scusabile. 8. Quanto ai ricorsi per motivi aggiunti proposti avverso la disposizione dirigenziale n. 53 del 29 gennaio 2001 e la cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 del 22 gennaio 2003, con le quali è stato richiesto alla ricorrente il rimborso delle spese sostenute per l’abbattimento del manufatto abusivo de quo, si deve evidenziare che dall’annullamento dell’avversata ordinanza di demolizione discende inevitabilmente l’accoglimento delle censure con le quali è stata dedotta l’illegittimità derivata delle predette richieste di pagamento e l’assorbimento delle restanti censure. Ne consegue che anche la disposizione dirigenziale del 29 gennaio 2001 e la cartella di pagamento del 22 gennaio 2003 devono essere annullate perché illegittime, ferma restando la possibilità che il competente dirigente del Comune di Napoli adotti un nuovo provvedimento con il quale viene disposta, ora per allora, la demolizione dell’immobile realizzato dalla ricorrente e, quindi, provveda nuovamente a richiedere il rimborso delle spese sostenute per l’abbattimento di tale immobile. 9. Considerato il parziale accoglimento dei ricorsi in esame, sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione IV, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati: − accoglie il ricorso n. 1240/1999 nei termini di cui in motivazione e respinge la richiesta di risarcimento danni. Per l’effetto, annulla l’ordinanza di demolizione n. 1549 in data 23 novembre 1998; − accoglie il primo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla la disposizione dirigenziale n. 53 in data 29 gennaio 2001; − accoglie il secondo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla la cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 in data 22 gennaio 2003. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 23 marzo 2005. Depositata in data 12 aprile 2005. 277 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE CAMPANIA Salerno, sezione I Sentenza 4 maggio 2005 n. 760 (Modificabilità della motivazione) Presidente: Fedullo – Estensore: Sabbato Società Cygnus s.r.l. (avv. Guerriero) c. Comune di Montoro superiore (n.c.) e impresa Fuego Pub s.a.s. (n.c.) - Respinge FATTO Con ricorso notificato in data 15 novembre 2004 e depositato il successivo 20 novembre, la società Cygnus S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., impugnava l’atto di cui in epigrafe, invocandone l’annullamento. Premetteva che: - con bando di gara reso pubblico in data 11/8/2003, l’amministrazione comunale di Montoro superiore indiceva gara per l’affidamento, mediante il sistema della licitazione privata, del servizio di fornitura per la refezione delle mense scolastiche per l’anno 2003/2004; - la società ricorrente presentava domanda di partecipazione alla gara, allegando la richiesta documentazione, ma, con la delibera in epigrafe n. 162/2003, veniva esclusa dalla selezione in quanto non inclusa nell’elenco trasmesso dalla Camera di commercio di Avellino delle ditte iscritte all’Albo delle imprese artigiane per il settore di attività di gestione mensa e ristorazione collettiva; - con la stessa delibera l’amministrazione decideva di annullare il procedimento attivato e di affidare il servizio a trattativa privata senza bando, delibera della quale la società ricorrente invocava invano l’annullamento in sede di autotutela, mentre, con successiva delibera n. 186 del 7/10/2003, si decideva di indire trattativa privata senza preliminare pubblicazione di bando tra quindici operatori scelti tra coloro che risultavano iscritti alla C.C.I.A.A. di Avellino. Orbene, poiché ancora una volta la ricorrente non figurava tra le ditte ammesse si impugnavano le citate delibere per i seguenti motivi: 1) violazione di legge sub specie di violazione degli artt. 41 e 42 Cost. – eccesso di potere per erroneità e/o travisamento dei presupposti – violazione del principio dell’evidenza pubblica nelle procedure concorsuali, avendo l’amministrazione indebitamente escluso la ditta ricorrente dal novero delle partecipanti alla gara pur essendo in possesso dei requisiti richiesti, oltre che nemmeno consentito il contraddittorio e violato le regole sull’evidenza pubblica nel scegliere ala fine in maniera del tutto libera l’affidatario del servizio; 2) violazione di legge sub specie di violazione dell’art. 16 D.lgs. 17.3.1995 n. 157 art. 16 – eccesso di potere per violazione del principio della par condicio tra i concorrenti – violazione dei principi comunitari in materia del favor concorrenziale e del giusto procedimento, in quanto l’amministrazione, peraltro silente sull’istanza di riesame, non ha richiesto i dovuti chiarimenti alla società ricorrente sul possesso o meno dei requisiti di partecipazione; 3) violazione di legge sub specie di violazione dell’art. 6 L.241/90 – eccesso di potere per violazione del principio di continuità e completezza della procedura concorsuale, in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto consentire alla ricorrente l’integrazione della documentazione presentata a corredo dell’istanza di partecipazione. Si concludeva, invocando, previa sospensione dell’efficacia, l’annullamento delle delibere di cui in epigrafe, oltre che la condanna al risarcimento del danno. In data 18 dicembre 2003 la Cygnus S.r.l. depositava motivi aggiunti avverso il provvedimento di aggiudicazione a favore della società "Fuego Pub" come affidataria del servizio di refezione scolastica, nonché il provvedimento del 18 novembre 2003 denominato "Memoria difensiva del 278 Comune di Montoro superiore in persona del sindaco p.t." depositata agli atti del giudizio in data 24 novembre 2003. Alla camera di consiglio del 18 dicembre 2003 l’istanza di sospensiva era respinta. All’udienza del 27 gennaio 2005 il ricorso era ritenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Parte ricorrente lamenta l’indebita mancata ammissione alla selezione per l’affidamento del servizio di fornitura per refezione delle mense scolastiche indetto dal Comune di Montoro superiore, ritenendo di possedere, contrariamente a quanto opinato dall’amministrazione, i titoli di partecipazione richiesti. 2.1. Non inficia, innanzitutto, la legittimità dell’operato dell’amministrazione il denunciato difetto motivazionale, atteso che, al di là da meri rilievi formali, la vicenda in esame impone che si dirima la questione sostanziale posta in evidenza, consistente nello stabilire se i titoli posseduti dal ricorrente siano sufficienti ai fini della sospirata ammissione secondo la lex specialis del concorso. Per giunta, ogni patologica ricaduta dei vizi attinenti alla forma degli atti amministrativi o a violazioni procedimentali, è ormai da escludersi alla luce del recente intervento normativo di cui alla legge n.15 dell’11 febbraio 2005, che ha introdotto l’art. 21 octies, L. n. 7 agosto 1990, n. 241, il cui comma 2 prevede che "non è annullabile (ovverosia illegittimo, ndr) il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Tale innovativa formula della legge deve, tra l’altro, indurre al definitivo ribaltamento del tradizionale principio del cd. divieto di motivazione postuma, ed essa è senz’altro applicabile al caso di specie, essendo norma che non attiene alla disciplina relativa all’assolvimento delle competenze proprie dell’amministrazione, in ordine alla struttura, ai requisiti ed al ruolo funzionale degli atti, bensì, riducendo il novero dei vizi patologici a quelli di natura sostanziale, limita la potestà caducatoria del giudice amministrativo. Il principio "tempus regit actum" viene così in considerazione, ma quale criterio di ricognizione non della disciplina sostanziale, bensì di quella processuale astrattamente applicabile, racchiusa dal confine cronologico segnato dalla data in cui la decisione giudiziale è adottata. Giova peraltro rammentare che il su richiamato principio era stato già scalfito da un recente orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questa sezione (n. 1722 dell’8 luglio 2004). Si è infatti già osservato che una volta ammesso, in termini generali con la l. 21 luglio 2000 n. 205, che anche dall’esercizio dell’attività provvedimentale della p.a. possono scaturire illeciti risarcibili ai sensi dell’art. 2043 c.c., si impone un ripensamento dell’assunto della immodificabilità della motivazione, comprensivo, più in generale, del divieto di interventi di sanatoria in pendenza di giudizio, al fine di consentire all’amministrazione di esercitare un ampio jus poenitendi in autotutela, in applicazione del principio della parità tra le parti del processo. Peraltro la citata L. n. 205 (modificando l'art. 21 L. 6 dicembre 1971 n. 1034), con la previsione dei "motivi aggiunti", comporta che l’adozione di un ulteriore provvedimento inteso ad emendare un vizio dell’atto, oggetto del gravame, non pone più fine automaticamente al relativo giudizio (oggi strutturato come giudizio sul rapporto), ma abilita l’interessato ad integrare la sua originaria impugnativa. In conclusione, consegue piena cittadinanza nel presente giudizio la motivazione postuma contenuta nella nota del 16.12.2003, con la quale l’amministrazione intimata precisa le ragioni che hanno indotto alla sfavorevole determinazione di cui all’atto impugnato, connesse al fatto che "l’amministrazione, per il generale principio dell’autotutela, non poteva invitare a gara una società che è rappresentata dalla stessa persona fisica – T.M., nata a Milano il 6/6/1971 – che nell’anno 2001, rappresentava la società il Cigno, coinvolta in un procedimento penale nel quale il Comune è stato individuato come persona offesa". La diretta verifica, di spettanza a questo giudice, circa il possesso dei requisiti di ammissione alla procedura concorsuale, stante l’assenza di profili di discrezionalità in capo all’amministrazione ed in sintonia con l’ormai generalizzata affermazione del giudizio amministrativo incentrato sul rapporto e non sull’atto, deve essere bilanciata secondo il complessivo tenore dell’atto, del quale le 279 argomentazioni giustificative di cui alla nota citata costituiscono, per le ragioni anzidette, parte integrante. Ebbene, dalla documentazione allegata alla su citata nota, effettivamente risulta che l’Ufficio GIP presso il tribunale di Napoli ha disposto il rinvio a giudizio delle persone indicate nel relativo decreto per i fatti ivi descritti e sostanzialmente consistenti nel "guidare" l’esito della gara per licitazione privata indetta dal Comune intimato per l’affidamento del medesimo servizio di refezione scolastica per l’anno 2001/2002 a favore della ditta "Il Cigno". Parimenti risulta che tale ditta, oltre ad una denominazione perspicuamente assonante a quella della ricorrente, ha il medesimo legale rappresentante, oltre che sede ed oggetto sociale, differenziandosi solo per la diversa data di inizio dell’attività sociale, rispettivamente 22/09/2000 e 18/10/2002. Ne consegue che la società ricorrente andava esclusa dalla selezione in ragione di quanto previsto dalla delibera n. 186 del 7/10/2003, laddove, nell’indire trattativa privata per l’affidamento del servizio in oggetto, si stabiliva l’esclusione di "quelle ditte che siano state rinviate a giudizio o nei confronti penda procedimento giudiziario per fatti e circostanze connessi all’attività di Refezione scolastica e/o ristorazione collettiva". In tale situazione versava appunto la società ricorrente, stante l’adozione in data 29/10/2003 del predetto decreto di rinvio a giudizio. 3. I motivi aggiunti sono invece da dichiarare preliminarmente inammissibili, atteso che in atti vi è prova della notifica (avvenuta in data 15/12/2003) solo nei riguardi dell’amministrazione comunale e non anche della società controinteressata, non essendo depositato l’avviso di ricevimento della raccomandata alla stessa indirizzata in data 16.12.2003, che ne avrebbe attestato la sua effettiva ricezione (C. Stato, V, n. 6531 del 12 ottobre 2004). I motivi aggiunti vanno quindi tacciati d’inammissibilità per difetto di instaurazione del contraddittorio, essendo pure da escludere ogni possibile sanatoria per conseguimento dello scopo (ex art.156, comma 3, c.p.c.), non essendosi la società controinteressata costituita in giudizio (ex multis, C. Stato, IV, n. 257 del 23 gennaio 2003). In conclusione, il ricorso è infondato e pertanto va respinto, mentre i motivi aggiunti sono inammissibili per incompletezza del contraddittorio. 4. Nulla sulle spese di giudizio, stante la mancata costituzione dell’amministrazione intimata e della controinteressata. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione I, di Salerno, respinge il ricorso n. 3232/03, proposto da società Cygnus S.r.l., come da motivazione, mentre dichiara inammissibili i motivi aggiunti per incompletezza del contraddittorio. Nulla spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Salerno, nella Camera di Consiglio del 24 marzo 2005. Depositata in segreteria in data 4 maggio 2005. 280 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE LAZIO Roma, sezione II Sentenza 22 aprile 2005 n. 3047 (Diritto di accesso e atti contenenti opinioni) Presidente: La Medica – Estensore: Capuzzi Radiotelevisione italiana s.p.a. (avv.ti Lucani e Roberti) c. Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Avv.ra Stato) RTI, Reti Televisive Italiane s.p.a. (avv.ti Bonomo e Medugno) e Publitalia 80 s.p.a. (avv.ti Frignani e Medugno) - Accoglie FATTO Con la nota impugnata l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha negato alla società RAI l’accesso alla relazione del commissario Vi.Mo., espressamente richiamata nella deliberazione n.297/04/CONS, nell’assunto che si sarebbe trattato di una "relazione orale svolta in occasione della riunione del Consiglio del 15 settembre 2004, per sua natura non accessibile, posto che, ai sensi dell’art.4, comma 1, del regolamento concernente l’accesso ai documenti, i processi verbali delle sedute dell’organo collegiale sono sottratti all’accesso per le parti in cui sono riportate le opinioni singolarmente espresse dai partecipanti alle riunioni." Deduce la ricorrente profili vari di violazione di legge ed eccesso di potere, in particolare dell’art. 4 del Reg. concernente l’accesso ai documenti adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Si è costituita l’Autorità contestando dettagliatamente le tesi difensive sostenute nel ricorso. Si sono costituite ad adiuvandum RTI s.p.a. e Publitalia 80 s.p.a. insistendo per l’accoglimento del ricorso. Sono state depositate ulteriori memorie difensive. Dopo l’ampia discussione alla camera di consiglio del 23 marzo 2005 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è meritevole di accoglimento. 2. Con la nota impugnata l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha negato alla società RAI l’accesso alla relazione del commissario Vi.Mo., espressamente richiamata nella deliberazione n.297/04/CONS, nell’assunto che si sarebbe trattato di una "relazione orale svolta in occasione della riunione del Consiglio del 15 settembre 2004, per sua natura non accessibile, posto che, ai sensi dell’art.4, comma 1, del regolamento concernente l’accesso ai documenti, i processi verbali delle sedute dell’organo collegiale sono sottratti all’accesso per le parti in cui sono riportate le opinioni singolarmente espresse dai partecipanti alle riunioni." Viene dunque in rilievo, nella presente vicenda contenziosa, l’ art.4, comma 1, lettera f) del regolamento che dispone che sono sottratti all’accesso "i verbali delle riunioni del Consiglio e delle commissioni nei casi in cui riguardino l’adozione di atti sottratti all’accesso e nelle parti in cui riportino opinioni singolarmente espresse da partecipanti alle riunioni." L’Autorità ha ritenuto che la relazione presentata dal commissario relatore dovesse considerarsi alla stregua di una semplice "..opinione singolarmente espressa da un partecipante". Tale motivazione posta alla base del diniego di accesso è illegittima 281 Ed invero la relazione de qua è stata resa in esito ad una attività espressamente demandata al commissario relatore con delibera dell’AGCOM e rientra dunque nel procedimento istruttorio che ha portato alla irrogazione di una sanzione nei confronti di RAI s.p.a. per violazione del formale richiamo di cui alla delibera n.226/03/CONS; d’altro canto, costituisce altresì esplicazione di una delle funzioni istituzionali della carica ricoperta dal predetto commissario essendo in facoltà del Consiglio, quando la natura del procedimento lo richieda, designare uno o più commissari con il compito di seguire l’istruttoria per riferirne al Consiglio (art.32, comma 3, del reg. concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità). Deve peraltro ritenersi che la limitazione di cui all’articolo 4, comma 1, lettera f del regolamento AGCOM in materia di accesso, può essere applicata alle sole dichiarazioni di carattere personale rese al di fuori di una funzione istituzionale del soggetto che ne è autore . Che quella del commissario relatore non rivesta i caratteri di una semplice opinione espressa a titolo personale, è comprovato dallo stesso tenore della deliberazione di chiusura della fase istruttoria nella quale si dà atto che è stata udita "la relazione del commissario ing. Vi.Mo., relatore ai sensi dell’articolo 32, comma 3 del reg. concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità". Quand’anche in ipotesi potesse ravvisarsi la esistenza di ragioni di riservatezza, che peraltro non vengano esplicitate nel provvedimento, tali ipotetiche ragioni sarebbero comunque recessive a fronte del diritto della società ricorrente così come configurato dagli artt. 3 e 25 della legge n. 241/1990. E’ il caso di ricordare che la normativa sull’accesso non ha garantito alcuna limitazione nei confronti di atti che hanno una diretta attinenza a provvedimenti amministrativi pubblici e che come tali, in quanto formati o comunque detenuti dall’amministrazione nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali, non possono in alcun modo essere sottratti all’accesso (Cons. Stato, sez. IV, 30 dic. 2003 n.9158). In conclusione, il diniego espresso alla istanza di accesso deve essere annullato e l’amministrazione deve consentire alla società ricorrente la visione della documentazione di cui è causa ed il rilascio di copia della stessa. Spese ed onorari del giudizio possono essere compensati. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 522/2005 proposto da soc. RAI contro Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati ed ordina all’amministrazione di consentire l’accesso alla documentazione di cui è causa ed il rilascio di copia della stessa. Compensa spese ed onorari. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 23.3.2005 Depositata in data 22 aprile 2005. 282 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE SARDEGNA Cagliari, sezione I Sentenza 25 maggio 2005 n. 1170 (Annullabilità del provvedimento illegittimo) Presidente: Turco – Estensore: Maggio Gi.Og. (avv.ti Orrù, Lepori e Pintus) c. Ministero della difesa e Comando generale dell’Arma dei Carabinieri (Avv.ra Stato). (omissis) per l’annullamento della nota in data 21/5/1997 con cui il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha respinto l’istanza di riammissione in servizio presentata dal ricorrente. (omissis) FATTO In data 27/2/1993, il sig. Gi.Og., in servizio effettivo presso l’Arma dei Carabinieri, veniva riformato ai sensi dell’art. 38 dell’E.I.I.. Sottoposto a visita di revisione in data 28/11/1996 è stato dichiarato idoneo al servizio, con profilo "AV-PS 2 (due)". In considerazione della recuperata idoneità lavorativa, il sig. Og. ha chiesto di essere riammesso in servizio, ma il Comando generale dell’Arma, con nota 21/5/1997, gli ha comunicato che la domanda non poteva "essere accolta perché attualmente non sono previste riammissioni in servizio". Ritenendo il mancato accoglimento dell’istanza illegittimo, il sig. Og. l’ha impugnato chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: 1) l’amministrazione avrebbe dovuto valutare il curriculum del ricorrente e verificare la correttezza della diagnosi a suo tempo formulata, cosa che, invece, non ha fatto. Doveva, peraltro, motivare le ragioni che l’hanno indotta a discostarsi dal parere medico espresso nella vista di revisione che ha riconosciuto il sig. Og. idoneo al servizio; 2) l’amministrazione è stata intrinsecamente contraddittoria perché, dopo aver affermato che non erano previste riassunzioni in servizio, nello stesso atto, ha invitato il ricorrente a partecipare al nuovo, imminente, concorso per allievo carabiniere. Il provvedimento si pone, inoltre, in contraddizione con tutto il comportamento in precedenza tenuto dall’Arma; 3) il ricorrente, incoraggiato dall’intimata amministrazione, ha confidato sulla possibilità di essere riassunto in servizio, per cui il provvedimento impugnato viola i principi generali in materia di affidamento. Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata depositando memoria con cui si è opposta all’accoglimento del ricorso. Alla pubblica udienza del 4/5/2005 la causa, su richiesta delle parti, è stata posta in decisione. DIRITTO Il primo ed il terzo motivo di gravame, entrambi infondati, possono essere trattati in unico contesto. 283 In sede di esame della domanda di riammissione in servizio del pubblico dipendente, l’amministrazione è chiamata a valutare la sussistenza dei requisiti soggettivi dell’interessato - ivi inclusi quelli relativi alla sua idoneità fisica attuale a ricoprire il posto – nonché l’opportunità di ricostituire il rapporto di lavoro interrotto in relazione alle proprie esigenze organizzative e di servizio. Contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, l’amministrazione non era, quindi, tenuta a ripronunciarsi sulle ragioni sanitarie che a suo tempo determinarono il provvedimento di riforma (nella specie ormai divenuto inoppugnabile), quasi si trattasse di un procedimento di riesame. Né può rimproverarsi all’autorità decidente di essersi discostata dal parere reso dall’apposita commissione medica sull’idoneità al servizio del ricorrente a seguito della vista di revisione. Infatti, da un lato la detta autorità non si è affatto pronunciata sul giudizio di idoneità espresso dall’organo medico, dall’altro, come più sopra rilevato, quello concernente l’idoneità, anche fisica, del richiedente non è l’unico (né il più pregnante) elemento da valutare nel decidere se accogliere o respingere la domanda di riammissione in servizio. Alla luce di quanto sopra esposto i profili di difetto di motivazione dedotti non colgono nel segno. Peraltro, occorre considerare che il motivo sarebbe ugualmente inidoneo a provocare l’annullamento dell’atto, anche laddove potesse ritenersi che il ricorrente abbia inteso prospettare, in via generale ed onnicomprensiva, il difetto di motivazione del provvedimento impugnato. Infatti, è vero che il provvedimento è del tutto privo di motivazione, ma il Collegio ritiene nella fattispecie applicabile la norma di cui all’art. 21 octies, 2° comma, della L. 7/8/1990 n. 241, come modificata dalla L. 11/2/2005 n. 15. In base alla richiamata disposizione "Non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato …". Ad avviso del Collegio la norma può operare non soltanto nelle ipotesi in cui il provvedimento sia totalmente vincolato, ma, in particolari casi, anche in quelle in cui quest’ultimo presenti, congiuntamente ad ambiti vincolati, margini di discrezionalità. Più specificamente deve ritenersi che la disposizione normativa in questione possa trovare applicazione laddove la soddisfazione della pretesa del privato dipenda dal possesso di requisiti di cui il giudice può ictu oculi verificare la presenza e l’amministrazione si sia espressa negativamente senza motivare o enunciando esclusivamente ragioni attinenti a profili diversi da quelli che avrebbero potuto giustificare il diniego. In tali ipotesi, così come in quelle di atti totalmente vincolati, il giudice è chiamato, dalla nuova disposizione normativa, a compiere un mero riscontro circa la ricorrenza delle condizioni di legge richieste per l’accoglimento della pretesa, che in via fisiologica dovrebbe essere effettuato dall’amministrazione nella fase procedimentale di sua competenza. Vero è che così ragionando il giudice non si limita più a giudicare – secondo la tradizionale visione del processo amministrativo impugnatorio - della legittimità della determinazione amministrativa in relazione ai motivi di censura dedotti, ma tale è per l’appunto l’effetto dell’innovazione legislativa, che in funzione dei principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti, preservano il provvedimento dall’annullamento, quando quest’ultimo è, comunque, idoneo al raggiungimento del suo scopo istituzionale. Orbene, nel caso di specie, il ricorrente, con giudizio medico incontestato, è stato riconosciuto idoneo con profilo sanitario "AV-PS 2 (due)", ma come emerge dalla nota del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri 20/12/1990 prot. n. 662/116-21-1948, depositata in giudizio, per l’arruolamento nell’Arma dei Carabinieri è richiesto il profilo psichico "AV–PS 1". 284 Nella fattispecie, pertanto, è del tutto evidente che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere di segno diverso, nemmeno in considerazione di asseriti affidamenti derivanti da comportamenti dell’amministrazione, i quali giammai potrebbero consentire di superare la carenza di un requisito essenziale per l’arruolamento. Tenuto conto che in ordine alla acclarata mancanza della prescritta idoneità fisica all’impiego il ricorrente non muove censure e che tale mancanza è, di per sé sola, ragione sufficiente a giustificare il diniego di riammissione in servizio, può prescindersi dall’esame dell’ulteriore doglianza prospettata. Il ricorso va, in conclusione, respinto. Sussistono validi motivi per disporre l’integrale compensazione di spese ed onorari di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo per la Sardegna, sezione prima: rigetta il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari, in Camera di Consiglio, il 4/5/2005. Depositata in segreteria oggi: 25/05/2005. 285 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE SICILIA Palermo, sezione I Sentenza 18 aprile 2005 n. 560 (Erronea indizione della procedura concorsuale) Presidente:Giallombardo – Estensore: Maisano Catania Multiservizi s.p.a. (avv. Bonura) c. Consiglio nazionale delle ricerche, Area della ricerca di Palermo (Avv.ra Stato) - Accoglie la domanda di risarcimento del danno FATTO Con ricorso notificato il 10.11.2003, e depositato il successivo 18.11, la società ricorrente ha impugnato la delibera del presidente del comitato dell’Area di ricerca di Palermo, prot. 126/2003/SB/ap/AdR, 1 luglio 2003, ed il conseguente decreto, prot. 139/2003/SB/ap/AdR, 7 agosto 2003, nonché chiesto il risarcimento del danno conseguente agli atti ed al comportamento dell’amministrazione intimata. In tale gravame vengono articolate le censure di: 1) eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto; carenza di potere; difetto di motivazione; illogicità e contraddittorietà; sviamento di potere; violazione del principio dell’affidamento; violazione del principio di conservazione degli atti; violazione dei principi di imparzialità e buon andamento. 2) violazione del giusto procedimento; violazione della par condicio e delle norme sulla trasparenza sotto altro profilo; violazione degli artt. 1 e 3 del contratto d’appalto. Si è costituita l’Avvocatura dello Stato. Alla pubblica udienza di discussione i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive tesi difensive ed il ricorso è stato posto in decisione. DIRITTO In relazione al presente ricorso devono essere separatamente esaminate la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati e la richiesta di risarcimento danni per responsabilità pre-contrattuale, articolata in via subordinata da parte ricorrente. La domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati è priva di fondamento. Dalla documentazione in atti, e dalla stessa ricostruzione operata da parte ricorrente, emerge che l’amministrazione ha erroneamente indetto la gara per cui è causa, in assenza della necessaria copertura finanziaria per potere poi onorare l’impegno contrattuale che ne sarebbe sorto. In tale situazione l’amministrazione intimata non avrebbe certo potuto stipulare il relativo contratto, in assenza della necessaria copertura finanziaria, e l’unico strumento a sua disposizione per rimediare all’erronea indizione della gara non poteva che essere l’annullamento di tale illegittimo atto, a prescindere dal rilievo che può assumere, ad altri fini, il complessivo comportamento del C.N.R.. Risultano pertanto privi di alcun fondamento le censure articolate in ricorso avverso l’impugnato provvedimento di annullamento, che risulta ampiamente giustificato dalla necessità di rimuovere la precedente illegittima determinazione di indire la gara, che avrebbe portato alla stipula di un contratto in assenza della necessaria copertura finanziaria. 286 Per quanto riguarda la domanda subordinata di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, appare necessario in primo luogo precisare che il Collegio ritiene che tale domanda rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, anche a seguito della sentenza della corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004. Come ha già avuto modo di precisare questa sezione con la sentenza n. 2144/04, le richieste di risarcimento danni in conseguenza di procedimenti di gara rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi degli artt. 6 e 35 della legge n. 205/2000, che non hanno subito alcuna modifica in conseguenza della sentenza della C. Costituzionale n. 204/2004. Sembra peraltro utile precisare che nel caso in esame il danno patito da parte ricorrente non consegue a comportamenti materiali dell’amministrazione intimata, ma all’adozione di atti illegittimi (poi legittimamente annullati) nell’ambito del procedimento di gara. Ciò chiarito, la domanda di risarcimento danni per responsabilità pre-contrattuale, azionata da parte ricorrente in via subordinata, è fondata. E’ infatti indiscutibile che il comportamento tenuto dall’amministrazione intimata, che ha indetto una gara di appalto senza la necessaria copertura finanziaria, non possa non essere considerato colpevolmente superficiale e pertanto idoneo a configurare un illecito civile, a fronte del danno ingiusto causato in coloro che hanno incolpevolmente fatto affidamento nella gara indetta. In particolare la responsabilità dell’amministrazione ha natura pre –contrattuale ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. e, pertanto, la società ricorrente ha diritto al risarcimento del così detto interesse negativo, e cioè al risarcimento dei danni che non avrebbe patito ove non avesse partecipato alla gara illegittimamente indetta (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 15.11.2004 n. 7449). Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento del danno a cui ha diritto la ricorrente deve essere precisato che, sulla base di quanto indicato in ricorso, non può essere riconosciuta alcuna somma a titolo di lucro cessante, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente la generica affermazione che l’aggiudicazione alla gara per cui è causa ha indotto la ricorrente a non partecipare ad altre gare che si sarebbe plausibilmente aggiudicata. Per quanto riguarda il danno emergente subito in conseguenza del comportamento dell’amministrazione, poiché parte ricorrente non ha fornito piena prova in ordine alla sua quantificazione, il Collegio ritiene di potersi avvalere del meccanismo di cui all’art. 35 co.2°, d.lgs. n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 L. n. 205/2000. La società ricorrente dovrà fornire piena prova delle spese sostenute in dipendenza della partecipazione alla gara per cui è causa, all’amministrazione intimata, che provvederà quindi al conseguente risarcimento di tali danni ingiustamente subiti. Il ricorso deve pertanto essere accolto in parte, con riferimento alla domanda di risarcimento danni proposta in via subordinata. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione prima, accoglie il ricorso in epigrafe indicato limitatamente alla richiesta di risarcimento, nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’amministrazione. Così deciso in Palermo, in Camera di Consiglio, addì 08 marzo 2005 Depositata in segreteria il 18/04/2005. 287 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONE TOSCANA Firenze, sezione II Sentenza 12 maggio 2005 n. 2137 (Integrazione della documentazione a fini di concorso) Presidente: Petruzzelli – Estensore: Pupilella Brl. (avv. Salimbeni) c. Comune di Firenze (avv.ti Peruzzi e Cappelletti) e Zcc. (avv. Traina) Accoglie FATTO Con ricorso regolarmente notificato e depositato, l’arch. Brl., dipendente del comune di Firenze con la VII qualifica funzionale, ha partecipato ad un concorso per quattro posti per la qualifica di funzionario tecnico edile poi divenuti cinque a seguito di vacanze nella pianta organica verificatesi nelle more dell’espletamento del concorso. a Il ricorrente risulta collocato nella graduatoria finale di merito nella 13 posizione, Ritenendo errata l’attribuzione del punteggio assegnatogli dalla commissione impugna la graduatoria e gli atti di concorso lesivi della propria posizione giuridica sulla base di due distinti motivi di censura che lamentano la violazione della legge 241/90 ed in particolare dell’art. 18 e l’eccesso di potere, sotto diversi profili nel quale sarebbe incorsa la commissione di concorso per non aver riconosciuto al ricorrente il punteggio allo stesso spettante in base al servizio prestato presso il comune ed autonomamente valutabile dall’amministrazione perché relativo ad atti nella sua disponibilità. Si costituivano in giudizio sia il comune che la controinteressata Zcc., quinta classificata che chiedevano la reiezione del ricorso. In sede di discussione della causa veniva eccepito dalla difesa della controinteressata che il contraddittorio non risultava correttamente instaurato poiché il ricorrente avrebbe evocato in giudizio soltanto la quinta classificata e non tutti gli altri concorrenti idonei collocati in una posizione migliore rispetto alla sua. Veniva poi affermava la sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione del ricorso poiché il ricorrente, per scorrimento della graduatoria, è stato successivamente assunto nella qualifica VIII in data 14/7/1997. All’udienza dell’8 febbraio 2005 dopo una breve discussione, la causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare il Collegio deve darsi carico delle due eccezioni avanzate dall’amministrazione resistente e dalla controinteressata, che vanno entrambe rigettate. Quanto alla necessità di estendere il contraddittorio a tutti i candidati graduati dalla sesta alla tredicesima posizione occupata dal ricorrente nella graduatoria di merito, la censura non può essere accolta perché il ricorrente, già dipendente del comune di Firenze ha diritto alla riserva dei posti, come espressamente indicato dall’articolo nove del bando di concorso. 288 Nel caso di specie infatti il Brl. risulta il primo dei dipendenti utilmente collocati in graduatoria dopo i quattro vincitori del concorso. Ne deriva che non era necessario estendere la notifica ai soggetti che, pur precedendo il ricorrente, risultavano concorrenti esterni e, come tali, non potevano beneficiare della riserva del 35% dei posti messi a concorso, stabilita nel bando. Ugualmente infondata è la censura di sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso per essere stato il Brl. assunto dal comune nella qualifica qui in discussione (VIII) a far tempo dal 14/7/1997. La circostanza, infatti, pacifica in causa, non fa venir meno l’interesse al ricorso poiché, se lo stesso venisse accolto, il ricorrente vedrebbe la sua assunzione retrodatata al 30/1/1996, al posto della controinteressata Zcc., con tutte le conseguenze economiche e giuridiche di anzianità ad essa correlate. Ciò premesso il ricorso è fondato con riferimento alla mancata valutazione d’ufficio, da parte del comune del titolo relativo all’anzianità di servizio che avrebbe consentito al Brl. di collocarsi al quinto posto in graduatoria ed essere quindi assunto immediatamente nell’VIII qualifica funzionale con il profilo di funzionario edile. Infatti, ai sensi dell'art. 18, L. 7 agosto 1990, n. 241, applicabile anche alle procedure concorsuali, le singole amministrazioni non possono richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati e qualità personali che risultino attestati in documenti in loro possesso o che esse stesse siano tenute a certificare; pertanto, illegittima l'esclusione da un concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di un posto di dirigente amministrativo motivata in ragione della mancata dimostrazione del possesso del requisito della previa esperienza alle dipendenze della p.a., richiesto nel bando, qualora la documentazione relativa risulti già depositata presso la stessa amministrazione. I principi introdotti dalla legge n. 241/90, infatti, (contraddittorio, leale collaborazione etc.) impongono una interpretazione dei bandi di concorso coerente con le norme contenute nell'art. 18 commi 2 e 3, L. 7 agosto 1990, n. 241, per cui una volta che l'interessato autocertifica il possesso del requisito che gli dava diritto alla riserva del posto (dipendente di ruolo del comune), incombeva, alla stessa amministrazione di acquisire lo stato matricolare del dipendente. Ci risultava uno dei doveri del responsabile dell’istruttoria, tenuto ad integrare le domande attraverso la documentazione in possesso dell’amministrazione, e comunque chiedendo al ricorrente di provvedere alla integrazione della domanda difettosa. Nella specie, l’acquisizione dello stato matricolare del ricorrente appariva operazione di estrema facilità poiché il concorrente che avesse voluto beneficiare della riserva doveva indicare il proprio numero di matricola ed il profilo professionale di appartenenza. Del resto per rendersi conto della illegittimità dell’atto è sufficiente verificare il verbale n. 2 del 5/5/1995. Nello stesso la commissione, resasi conto di non aver tenuto conto dell’art. 18 della L. n. 241/90 così si esprime: "Considerato che le norme generali prevalgono sulle disposizioni contenute nel bando di concorso, la commissione ritiene di acquisire direttamente le certificazioni del servizio prestato dai concorrenti dipendenti…." Ma illogicamente proprio secondo i principi che si afferma di voler seguire, anche contro o comunque ad integrazione del bando di concorso si afferma che il principio verrà seguito solo nei confronti di coloro che abbiano richiesto la valutazione dell'anzianità di servizio e non nei confronti di tutti i dipendenti. La disparità di trattamento e la violazione della par condicio non potrebbero essere più evidenti. 289 Nella specie infatti si sarebbe dovuto chiedere al Brl. di integrare la domanda con la (sola) richiesta di una verifica d'ufficio della sua anzianità già in possesso del comune, e comunque atto del quale, come visto, non occorreva neppure la presentazione. Il ricorso va, conclusivamente, accolto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, con le conseguenti statuizioni relative alla modifica della graduatoria del concorso. Condanna il comune di Firenze al pagamento integrale delle spese di lite, quantificate nella misura complessiva di €.2.000,00 (duemila/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Firenze, l'8 febbraio 2005. Depositata in segreteria il 12 maggio 2005. 290 NORMATIVA Indice Pag. Legge 31 marzo 2005, n. 43 Legge 18 aprile 2005, n. 62 Legge 14 maggio 2005, n. 80 Legge 31 maggio 2005, n. 88 Legge 31 maggio 2005, n. 89 Legge 17 agosto 2005, n. 168 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, recante disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione. Sanatoria degli effetti dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280. 295 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004. 316 Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. 347 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 44, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali. 357 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 45, recante disposizioni urgenti per la funzionalità dell'amministrazione della Pubblica sicurezza, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. 363 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione. Disposizioni in materia di organico del personale della carriera diplomatica, delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2000/53/CE in materia di veicoli fuori uso e proroghe di termini per l'esercizio di deleghe legislative. 374 293 Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 Codice dell'amministrazione digitale. 376 Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 10 giugno 2005 Costituzione del Comitato di garanti in via transitoria, ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell'articolo 5bis del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito nella legge 31 marzo 2005, n. 43. 405 294 Legge 31 marzo 2005, n. 43 (G.U. n. 75 del 1° aprile 2005) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, recante disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione. Sanatoria degli effetti dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280. Art. 1. 1. Il decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, recante disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge. 2. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi, i diritti maturati ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280. 3. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Testo del decreto-legge coordinato con la legge di conversione∗ (G.U. n. 75 del 1° aprile 2005) Art. 1. Disposizioni per l'università 1. Per l'anno 2005, i programmi di cui all'articolo 1, comma 105 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sono formulati dalle università ed inviati per la valutazione di compatibilità finanziaria al Ministero per l'istruzione, l'università e la ricerca entro il 31 marzo 2005. 2. Dopo il primo anno di effettivo servizio e fino al giudizio di conferma, il trattamento economico dei ricercatori universitari é pari al 70 per cento di quello previsto per il professore universitario di seconda fascia a tempo pieno di pari anzianità. 2-bis. In attesa del riordino delle procedure di reclutamento dei professori universitari, per le procedure di valutazione comparativa relative alla copertura di posti di professore ordinario e associato, di cui alla legge 3 luglio 1998, n. 210, bandite successivamente alla data del 15 maggio 2005, la proposta della commissione giudicatrice é limitata ad un solo idoneo per ogni posto bandito, individuato nel candidato giudicato più meritevole. Art. 1-bis. Contributi per le università e gli istituti superiori non statali 1. L'autorizzazione di spesa per la concessione dei contributi in favore delle università e degli istituti superiori non statali di cui all'articolo 5 della legge 29 luglio 1991, n. 243, come determinata dalla Tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311, é incrementata di euro 8.709.610 per l'anno 2005, di euro 8.646.470 per l'anno 2006 e di euro 8.675.520 per l'anno 2007. 2. All'onere derivante dall'attuazione del comma 1, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come determinata dalla tabella C della citata legge n. 311 del 2004. Art. 1-ter. Programmazione e valutazione delle università 1. A decorrere dall'anno 2006 le università, anche al fine di perseguire obiettivi di efficacia e qualità dei servizi offerti, entro il 30 giugno di ogni anno, adottano programmi triennali coerenti con le linee generali di indirizzo definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentiti la Conferenza dei rettori delle università italiane, il Consiglio universitario nazionale e il Consiglio nazionale degli studenti universitari, tenuto altresì conto delle risorse acquisibili autonomamente. I predetti programmi delle università individuano in particolare: a) i corsi di studio da istituire e attivare nel rispetto dei requisiti minimi essenziali in termini di risorse strutturali ed umane, nonché quelli da sopprimere; b) il programma di sviluppo della ricerca scientifica; c) le azioni per il sostegno ed il potenziamento dei servizi e degli interventi a favore degli studenti; d) i programmi di internazionalizzazione; e) il fabbisogno di personale docente e non docente a tempo sia determinato che indeterminato, ivi compreso il ricorso alla mobilità. 2. I programmi delle università di cui al comma 1, fatta salva l'autonoma determinazione degli atenei per quanto riguarda il fabbisogno di personale in ordine ai settori scientifico-disciplinari, sono valutati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e periodicamente monitorati sulla base di parametri e criteri individuati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avvalendosi del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane. Sui risultati della valutazione il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca riferisce al termine di ciascun triennio, con apposita relazione, al Parlamento. Dei programmi delle università si tiene conto nella ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università. ∗ Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi. 296 3. Sono abrogate le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25, ad eccezione dell'articolo 2, commi 5, lettere a), b), c), e d), 6 e 7, nonché dell'articolo 3 e dell'articolo 4. Art. 1-quater. Contributi in favore delle accademie di belle arti non statali 1. Al fine di favorire l'adeguamento ai nuovi ordinamenti didattici definiti in base alla legge 21 dicembre 1999, n. 508, senza pregiudicare la qualità dei corsi e l'apprendimento degli studenti, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca é autorizzato ad erogare alle Accademie di belle arti non statali, finanziate in misura prevalente dagli enti locali, la somma di euro 1.500.000 per l'anno 2007. All'onere derivante dall'attuazione del presente comma si provvede mediante utilizzo della proiezione per l'anno 2007 dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 1-quinquies. Istituto musicale di Ceglie Messapico 1. A decorrere dall'anno accademico 2005-2006 l'Istituto musicale di Ceglie Messapico viene accorpato al Conservatorio statale di musica di Lecce in qualità di sezione staccata. Con apposita convenzione da stipulare tra il Ministero dell'istruzione, l'università e la ricerca ed il comune di Ceglie Messapico saranno stabilite modalità e termini del passaggio anche con riferimento allo stabile e all'attuale personale. 2. Per l'attuazione del comma 1 é autorizzata la spesa di 141.000 euro annui a decorrere dall'anno 2005. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 1-sexies. Incarichi di presidenza 1. A decorrere dall'anno scolastico 2006-2007 non sono più conferiti nuovi incarichi di presidenza, fatta salva la conferma degli incarichi già conferiti. I posti vacanti di dirigente scolastico sono conferiti con incarico di reggenza. I posti vacanti all'inizio del predetto anno scolastico, ferma restando la disciplina autorizzatoria in vigore in materia di programmazione del fabbisogno di personale di cui all'articolo 39 della legge 23 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, nonché i vincoli di assunzione del personale delle Pubbliche amministrazioni previsti dalla normativa vigente, sono riservati in via prioritaria ad un apposito corso-concorso per coloro che abbiano maturato, entro l'anno scolastico 2005-2006, almeno un anno di incarico di presidenza. Art. 1-septies. Organi di ordini professionali 1. Nel procedere al riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi degli ordini professionali, come previsto dall'articolo 4, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, al fine di uniformare e semplificare le procedure, va assicurata la rappresentanza unitaria degli iscritti agli albi professionali nei consigli nazionali e territoriali con un numero di componenti dei consigli territoriali da sette a quindici in ragione del numero degli iscritti, un numero di quindici componenti per i consigli nazionali, e con una durata di quattro anni per i consigli territoriali e di cinque per i consigli nazionali. La durata é estesa a tutte le professioni regolate dal regolamento di cui al decreto del Presidente della 297 Repubblica 5 giugno 2001, n. 328. Per l'ordine degli psicologi si provvede con distinto regolamento, da emanare ai sensi dell'articolo 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, come modificato dall'articolo 6, comma 4, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per la definizione del numero dei componenti e del sistema di composizione dei Consigli nazionali e territoriali. Art. 1-octies. Concorso riservato per dirigente scolastico 1. Gli aspiranti, incaricati di presidenza da almeno un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ma privi del requisito prescritto del triennio di incarico, ammessi con riserva e che abbiano superato il colloquio di ammissione, frequentato il corso di formazione e superato l'esame finale di cui al decreto direttoriale del 17 dicembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4ª serie speciale - n. 100 del 20 dicembre 2002, sono inseriti a domanda nelle graduatorie, con il punteggio conseguito nel predetto esame finale, in coda alle graduatorie stesse. 2. I posti messi a concorso nelle singole regioni e non coperti per assenza di idonei nelle stesse regioni, compresi gli idonei di cui al comma 1, sono ripartiti, con decreto del competente direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tra le regioni nel cui ambito sono risultati idonei nelle graduatorie. Art. 1-novies. Valutazione dei titoli per graduatorie permanenti 1. Nella Tabella allegata al decreto-legge 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni, dalla legge 4 giugno 2004, n. 143, il punto C.11) é sostituito dai seguenti: "C.11 Per ogni diploma di specializzazione o master universitario di durata almeno annuale con esame finale, coerente con gli insegnamenti cui si riferisce la graduatoria, sono attribuiti punti 3; C.11)-bis. Per ogni corso di perfezionamento universitario, di durata almeno annuale con esame finale, coerente con gli insegnamenti cui si riferisce la graduatoria, sono attribuiti punti 2; C.11-ter. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui ai precedenti punti C.11) e C.11-bis, ai fini della valutazioni del punteggio per l'inserimento nelle graduatorie permanenti, é possibile valutare ogni anno uno solo dei titoli precedentemente indicati. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 decorrono dall'anno scolastico 2005/2006". Art. 2. Disposizioni per la ricerca 1. Il Ministero dell'economia e delle finanze é autorizzato a concedere la garanzia per il rimborso del capitale e degli interessi maturati su una o più linee di credito attivate, nel limite di 60 milioni di euro, dalla Società Sincrotrone di Trieste S.p.a. con la Banca europea degli investimenti per la realizzazione del progetto di laser a elettroni liberi. Agli eventuali oneri si provvede ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della legge 5 agosto 1978, n. 468, con imputazione nella apposita unità previsionale 3.2.4.2., iscritta nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005 e corrispondenti unità previsionali per gli esercizi successivi. 2. Per assicurare lo sviluppo della competitività internazionale della infrastruttura complessiva, il contributo ordinario per il funzionamento viene integrato con un importo annuo pari a 14 milioni di euro a decorrere dall'anno 2005, a valere sul fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca finanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204, come rideterminato dalla tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con erogazione diretta alla Società Sincrotrone di Trieste S.p.a. 3. Il comma 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 381, é sostituito dal seguente: "4. Il Consiglio direttivo dell'Istituto é composto dal Presidente e da quattro componenti di alta qualificazione tecnico-scientifica nello specifico settore di attività, di cui due scelti dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, uno designato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e uno designato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano". 298 3-bis. All'articolo 3, comma 2, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo le parole: "(INFN)" sono inserite le seguenti: "il Consorzio per l'Area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste nonché l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. 3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3-bis trovano applicazione con riferimento all'anno 2004. Art. 2-bis. Interventi per la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, nonché per lo sviluppo economico e sociale del territorio 1. E' autorizzata la spesa di euro 65.000.000 per l'anno 2004, di euro 10.230.000 per l'anno 2005, di euro 23.755.000 per l'anno 2006 e di euro 2.600.000 per l'anno 2007 per la concessione di ulteriori contributi statali al finanziamento degli interventi di cui all'articolo 1, comma 28, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. All'erogazione degli ulteriori contributi disposti dal presente comma, si provvede ai sensi del comma 29 dell'articolo 1 della medesima legge n. 311 del 2004. 2. All'onere derivante dell'attuazione del comma 1, pari a euro 65.000.000 per l'anno 2004, a euro 10.230.000 per l'anno 2005, a euro 23.755.000 per l'anno 2006 e a euro 2.600.000 per l'anno 2007, si provvede: per l'anno 2004, quanto a 45 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 54 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni, e, quanto a 20 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 55 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni; per gli anni 2005, 2006 e 2007, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a euro 3.230.000 per il 2005 e a euro 2.600.000 per ciascuno degli anni 2006 e 2007, l'accantonamento relativo al medesimo Ministero, e quanto a euro 7.000.000 per il 2005 e a euro 21.155.000 per il 2006 l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 3. Interventi per i beni e le attività culturali 1. Per l'utilizzazione delle risorse da assegnare alla Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS S.p.a., ai sensi del comma 4 dell'articolo 60 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, per l'anno 2005, continuano ad applicarsi, fino alla data di entrata in vigore del regolamento ivi previsto, le disposizioni di cui all'articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2004, n. 128. 2. Fermo restando quanto disposto dalle norme richiamate nel comma 1, per gli esercizi finanziari 2005 e 2006, un ulteriore due per cento, a valere sugli stanziamenti previsti per le finalità di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, é destinato a progetti di intervento rivolti ad agevolare o promuovere la conservazione o fruizione dei beni culturali e a favore delle attività culturali e dello spettacolo. 2-bis. All'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) al primo periodo, le parole: "dal Capo del Dipartimento per lo spettacolo e lo sport o" e "appositamente delegato" sono soppresse; b) é aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il trattamento economico spettante ai componenti delle sottocommissioni é stabilito annualmente con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, a valere sulla quota del settore cinema del Fondo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163.". 3. All'articolo 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 3, é inserito il seguente: "3-bis. Alle risorse finanziarie del Fondo di cui al comma 1 non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 72 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni."; b) al comma 6, secondo periodo, dopo le parole: "al comma 2" sono inserite le seguenti: ", previo versamento all'entrata del bilancio dello Stato"; 299 c) al comma 7, é aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Le risorse del medesimo Fondo sono versate su apposita contabilità speciale, intestata all'organismo affidatario del servizio, per il funzionamento della quale si applicano le modalità previste dall'articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367.". 3-bis. Alle attività dello spettacolo é esteso, in via di opzione, il regime previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2002, n. 69, in attesa che il sistema possa raggiungere la completa funzionalità sotto l'aspetto tecnico e commerciale e, comunque, per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il Ministero dell'economia e delle finanze vigilerà sull'attuazione delle relative disposizioni di legge, sentite la SIAE e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale. 3-ter. All'articolo 171, primo comma, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, dopo la lettera a) é inserita la seguente: "a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta, o parte di essa;". 3-quater. All'articolo 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, dopo il primo comma, é aggiunto il seguente: "Chiunque commette la violazione di cui al primo comma, lettera a-bis), é ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima dell'emissione del decreto penale di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo della pena stabilita dal primo comma per il reato commesso, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato". 3-quinquies. All'articolo 171-ter, comma 1, alinea, e comma 2, lettera a-bis), della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, le parole: "per trarne profitto" sono sostituite dalle seguenti: "a fini di lucro"". 3-sexies. All'articolo 1 del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2004, n. 128, il comma 1 é abrogato. Al fine di utilizzare la rete quale strumento per la diffusione della cultura e per la creazione di valore nel rispetto del diritto d'autore, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con i Ministri per i beni e le attività culturali e delle comunicazioni, promuove, nel rispetto delle normative internazionalmente riconosciute, forme di collaborazione tra i rappresentanti delle categorie operanti nel settore, anche con riferimento alle modalità tecniche per l'informazione degli utenti circa il regime di fruibilità delle opere stesse. Nell'ambito delle forme di collaborazione di cui al presente comma, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con i Ministri per i beni e le attività culturali e delle comunicazioni, promuove anche la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determinati settori, ne verifica la conformità alle leggi e ai regolamenti anche attraverso l'esame di osservazioni di soggetti interessati e contribuisce a garantirne la diffusione e il rispetto. I codici sono trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri unitamente ad ogni informazione utile alla loro applicazione. I Codici sono resi accessibili per via telematica sui siti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, dei Ministeri delle comunicazioni e per i beni e le attività culturali, nonché su quelli dei soggetti sottoscrittori. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare maggiori oneri per la finanza pubblica. 3-septies. All'articolo 39 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68, al comma 1, le lettere d) e h-bis) sono abrogate. Art. 3-bis. Ulteriori interventi per i beni e le attività culturali 1. All'articolo 27 della legge 14 agosto 1967, n. 800, il primo comma é sostituito dal seguente: "Le manifestazioni liriche da attuare con il concorso finanziario dello Stato sono promosse da regioni, enti locali, enti provinciali per il turismo, istituzioni musicali ed enti con personalità giuridica pubblica o privata, non aventi scopo di lucro ovvero che reimpiegano gli eventuali utili derivanti dalle manifestazioni sovvenzionate nell'organizzazione di attività analoghe". 2. All'articolo 11, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo 21 dicembre 1998, n. 492, la parola: "sette" é sostituita dalla seguente: "dieci", e dopo le parole: "presso il Gabinetto del Ministero per i beni e le attività culturali" sono inserite le seguenti: "e le direzioni generali competenti". 3. Al comma 61 dell'articolo 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650, sono apportate le seguenti modificazioni: 300 a) nel primo periodo, le parole: "Capo del Dipartimento dello spettacolo" sono sostituite dalle seguenti: "direttore generale competente"; b) il quinto periodo é sostituito dal seguente: "Il direttore generale competente può delegare, di volta in volta, un dirigente della medesima Direzione generale a presiedere le singole sedute delle commissioni". 4. Al comma 68 dell'articolo 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650, il secondo periodo é sostituito dal seguente: "Del comitato fanno parte il Capo del dipartimento per lo spettacolo e lo sport ed i direttori generali competenti". 5. All'articolo 19 del decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 1, le parole: "il Ministro per i beni e le attività culturali" sono sostituite dalla seguente: "si". 6. L'intervento previsto al n. 50 della Tabella A allegata alla legge 16 ottobre 2003, n. 291, é così finalizzato: a) quanto a euro 500.000, corrispondenti all'annualità 2003, al restauro della Rocca di Montevarmine; b) quanto a euro 500.000, corrispondenti all'annualità 2004, al restauro del borgo medioevale del comune di Carassai. 7. L'intervento previsto al n. 94 della Tabella A allegata alla legge 16 ottobre 2003, n. 291, é così ripartito: a) quanto a 250.000 euro, corrispondenti all'annualità 2003, i fondi sono assegnati al Ministero per i beni e le attività culturali per l'intervento di realizzazione della Cappella delle Ginestre nel comune di Piana degli Albanesi; b) quanto a 500.000 euro, corrispondenti alla somma delle annualità 2004 e 2005, i fondi sono assegnati al comune di Piana degli Albanesi per l'esecuzione di interventi di restauro del complesso Manzone e Vicari. 8. Al decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 6, comma 3, terzo periodo, le parole: ", possono essere individuati ed organizzati quelli di cui all'articolo 8" sono soppresse; b) all'articolo 8, comma 1, le parole: "Con i provvedimenti di cui all'articolo 11, comma 1," sono sostituite dalle seguenti: "Con decreti ministeriali, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400,". 9. Al fine di consentire la piena attivazione delle competenze del Nucleo per la valutazione e la verifica degli investimenti del Ministero per i beni e le attività culturali di cui all'articolo 5, comma 5, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2004, n. 173, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, della legge 17 dicembre 1986, n. 878, nei limiti delle risorse di cui all'articolo 145, comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e comunque senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. 10. All'articolo 2, comma 1, della legge 11 novembre 2003, n. 310 sono apportate le seguenti modifiche: a) la lettera a) é sostituita dalla seguente: a) il comma 5 é sostituito dal seguente: "5. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali sono individuati i soggetti ammessi a fruire, nei limiti dello stanziamento di cui al successivo comma 5-bis del contributo per le spese inerenti ai servizi di prevenzione e vigilanza antincendi prestati dal personale del Corpo Nazionale di Vigili del Fuoco in occasione di pubblici spettacoli, nonché le modalità applicative del beneficio, salvo quanto previsto dall'articolo 16, comma 2, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2004, n. 173"; b) alla lettera b) del comma 5-bis, le parole da: "il predetto importo" sino alla fine del comma sono soppresse. Art. 3-ter. Disposizioni in materia di fondazioni lirico-sinfoniche 1. Le fondazioni lirico-sinfoniche operano nel rispetto dei criteri di gestione di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e successive modificazioni, coordinano periodicamente le proprie attività allo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse e di raggiungere più larghe fasce di pubblico. 301 2. Il Ministro per i beni e le attività culturali, con proprio decreto non avente natura regolamentare, da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, disciplina il pieno ed efficace coordinamento delle attività delle fondazioni lirico-sinfoniche al fine di assicurare economie di gestione ed in particolare il contenimento o la riduzione delle spese di allestimento, dei costi delle scritture artistico-professionali, anche mediante lo scambio di materiali scenici, corpi artistici e spettacoli e dei costi per le collaborazioni a qualsiasi titolo. 3. Il Contratto collettivo nazionale di lavoro delle fondazioni lirico-sinfoniche assicura l'ottimale utilizzazione del personale dipendente in ragione delle professionalità e delle esigenze produttive delle fondazioni, con particolare riferimento al personale dipendente che svolge le attività di cui all'articolo 23 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e successive modificazioni o che svolge attività di lavoro autonomo o professionale. 4. I contratti integrativi aziendali delle fondazioni lirico-sinfoniche sono sottoscritti esclusivamente nelle materie e nei limiti stabiliti dal contratto collettivo nazionale di lavoro, non possono disciplinare istituti non esplicitamente loro demandati dal medesimo contratto collettivo e non possono derogare a quanto previsto in materia di vincoli di bilancio. 5. Ai fini della stipulazione dei contratti integrativi aziendali non possono essere utilizzate da ciascuna fondazione risorse finanziarie superiori al venti per cento delle risorse finanziarie occorrenti per il contratto collettivo nazionale di lavoro, fermo restando il reperimento delle risorse occorrenti nel rispetto del principio di pareggio del bilancio. I contratti integrativi aziendali in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto possono essere rinnovati solo successivamente alla stipulazione del nuovo Contratto collettivo nazionale di lavoro. A decorrere dall'entrata in vigore del nuovo contratto collettivo nazionale, le clausole e gli istituti dei contratti integrativi aziendali stipulati in contrasto con i principi di cui al comma 4 e con il medesimo contratto collettivo nazionale non possono essere applicati e vengono ricontrattati tra le parti. Sono comunque nulli e non possono essere applicati preaccordi od intese, stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2004 non formalmente qualificabili come contratti integrativi aziendali. I preaccordi o le intese stipulati anteriormente alla data dal 1° gennaio 2004 sono validi esclusivamente fino all'entrata in vigore del nuovo contratto collettivo nazionale del lavoro. 6. Per l'anno 2005, alle fondazioni lirico-sinfoniche é fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine, il personale a tempo determinato non può superare il quindici per cento dell'organico funzionale approvato. Hanno comunque facoltà di assumere personale a tempo indeterminato, nei limiti delle rispettive piante organiche e senza nuovi oneri o maggiori oneri per la finanza pubblica, le fondazioni con bilancio verificato dell'anno precedente almeno in pareggio. 7. Al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) all'articolo 10, comma 3, secondo periodo, la parola: "pubblici" é sostituita dalla seguente: "statali"; b) all'articolo 13, comma 1, lettera d), le parole da "o musicale" sino alla fine della lettera sono sostituite dalle seguenti: ", i cui requisiti professionali sono individuati dallo statuto"; c) all'articolo 13, comma 2, dopo la parola "collaboratori" sono inserite le seguenti: ", tra cui il direttore musicale, ferme restando le competenze del direttore artistico, "; c-bis) all'articolo 14, comma 1, secondo periodo, le parole: "e gli altri scelti" sono sostituite dalle seguenti: ", un membro effettivo designato dall'autorità di governo competente in materia di spettacolo, e l'altro scelto"; d) all'articolo 21, a decorrere dal 1° gennaio 2006 il comma 1 é sostituito dal seguente: "1. Il Ministro per i beni e le attività culturali, anche su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze: a) può disporre lo scioglimento del Consiglio di amministrazione della fondazione quando risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della fondazione o venga presentato il bilancio preventivo in perdita; b) dispone in ogni caso lo scioglimento del Consiglio di amministrazione della fondazione quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudono con una perdita del periodo complessivamente superiore al trenta per cento del patrimonio, ovvero sono previste perdite del patrimonio di analoga gravità.". 8. Il comma 3-sexies dell'articolo 2 del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2004, n. 128, é abrogato. 302 Art. 4. Attività per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale 1. Per la prosecuzione delle attività relative a modelli di gestione, esposizione e fruizione per la valorizzazione del sistema museale archivistico e bibliografico nazionale, nonché per l'incremento e la valorizzazione del patrimonio culturale e per le misure di prevenzione incendi, installazione di sistemi antifurto e di ogni altra misura di prevenzione nei locali adibiti a sedi di musei, gallerie, biblioteche e archivi dello Stato, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, é autorizzata la spesa pari a 12 milioni di euro per l'anno 2005. 2. Fino al completamento delle procedure di evidenza pubblica laddove necessarie per l'affidamento delle attività di cui al comma 1, con salvaguardia degli aspetti occupazionali, e comunque non oltre il 31 dicembre 2005, sono prorogate, nel rispetto del limite massimo di spesa di cui al comma 1, le convenzioni stipulate dal Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell'articolo 20 della legge 24 giugno 1997, n. 196, dell'articolo 10 del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e dell'art. 1 del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608. 3. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a 12 milioni di euro per l'anno 2005, si provvede, quanto a 5 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, come da ultimo rideterminata dalla Tabella D della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Al residuo onere di 7 milioni di euro si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 9-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni, così come determinata dalla Tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Art. 5. Interventi per la mobilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni 1. Il comma 7 dell'articolo 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, é sostituito dal seguente: "7. Sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, possono disporre, per singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione e con il consenso dell'interessato, l'assegnazione temporanea di personale presso altre pubbliche amministrazioni o imprese private. I protocolli disciplinano le funzioni, le modalità di inserimento, l'onere per la corresponsione del trattamento economico da porre a carico delle imprese destinatarie. Nel caso di assegnazione temporanea presso imprese private i predetti protocolli possono prevedere l'eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, con oneri a carico delle imprese medesime.". 1-bis. All'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, dopo le parole: "decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250", sono inserite le seguenti: ", decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39,". 1-ter. I contratti collettivi di lavoro relativi al personale del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione non possono, in alcun caso, determinare la stabilizzazione di rapporti di lavoro a termine e di personale in posizione di comando, distacco o collocamento fuori ruolo. 1-quater. Al fine di agevolare la mobilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per consentire un più efficace e razionale utilizzo delle risorse umane esistenti, all'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo il comma 2, sono aggiunti i seguenti: "2-bis. Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento é disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza. 2-ter. L'immissione in ruolo di cui al comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli affari esteri, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio, 303 posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili. 2-quater. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, per fronteggiare le situazioni di emergenza in atto, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti può procedere alla riserva di posti da destinare al personale assunto con ordinanza per le esigenze della Protezione civile e del servizio civile, nell'ambito delle procedure concorsuali di cui all'articolo 3, comma 59, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e all'articolo 1, comma 95, della legge 30 dicembre 2004, n. 311". 1-quinquies. Il comma 1 dell'articolo 34 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, é sostituito dal seguente: "1. Il personale in disponibilità é iscritto in appositi elenchi secondo l'ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro". 1-sexies. Il comma 2 dell'articolo 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, é sostituito dal seguente: "2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all'articolo 34, comma 3, provvedono, entro quindici giorni dalla comunicazione, ad assegnare secondo l'anzianità di iscrizione nel relativo elenco il personale collocato in disponibilità ai sensi degli articoli 33 e 34. Le predette strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli appositi elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica le informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro quindici giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvede ad assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso il personale inserito nell'elenco previsto dall'articolo 34, comma 2. A seguito dell'assegnazione, l'amministrazione destinataria iscrive il dipendente in disponibilità nel proprio ruolo e il rapporto di lavoro prosegue con l'amministrazione che ha comunicato l'intenzione di bandire il concorso". 1-septies. All'articolo 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel comma 4, le parole: "decorsi due mesi dalla comunicazione di cui al comma 1" sono sostituite dalle seguenti: "decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica direttamente per le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici non economici nazionali, comprese le università, e per conoscenza per le altre amministrazioni". 1-octies. All'articolo 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo il comma 5 é aggiunto il seguente: "5-bis. Ove se ne ravvisi l'esigenza per una più tempestiva ricollocazione del personale in disponibilità iscritto nell'elenco di cui all'articolo 34, comma 2, il Dipartimento della funzione pubblica effettua ricognizioni presso le amministrazioni pubbliche per verificare l'interesse all'acquisizione in mobilità dei medesimi dipendenti. Si applica l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1995, n. 273". 1-novies. L'articolo 1, comma 93, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, si interpreta nel senso che il personale dipendente dell'Agenzia del demanio che ha esercitato l'opzione ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 3 luglio 2003, n. 173, nonché dell'articolo 30, comma 2-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, può essere destinato a pubbliche amministrazioni con modalità e criteri definiti con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa consultazione delle confederazioni sindacali rappresentative". Art. 5-bis. Norma transitoria relativa al Comitato di garanti di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 1. Al fine di garantire il funzionamento del Comitato di garanti, previsto dall'articolo 22 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sino alla proclamazione del dirigente di prima fascia eletto secondo le modalità stabilite dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 marzo 2004, n. 114, il Comitato di garanti é composto da un dirigente della prima fascia, estratto a sorte dall'elenco dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, di cui all'articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. 304 Art. 5-ter. Modalità di espletamento di procedure concorsuali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri 1. La procedura di reclutamento dei dirigenti tramite corso-concorso selettivo di formazione espletato dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, prevista dal secondo periodo del comma 5 dell'articolo 9-bis del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, é disciplinata dal bando di concorso indetto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che può stabilire, in considerazione delle specificità del ruolo del personale dirigenziale della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonché delle funzioni e dei compiti ad essa attribuiti, il possesso di diversi o ulteriori requisiti culturali o professionali rispetto a quelli previsti dall'articolo 28, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi compreso il possesso di abilitazioni professionali o pregresse esperienze di studio o di lavoro, nonché particolari modalità relative allo svolgimento e alla durata, comunque non superiore a nove mesi, del corso-concorso, il quale si articola in un periodo di formazione presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione ed in un periodo di tirocinio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Art. 5-quater. Modifica alla legge 6 luglio 2002, n. 137 1. All'articolo 11, comma 3, terzo periodo, della legge 6 luglio 2002, n. 137, le parole: "sono collocati obbligatoriamente" sono sostituite dalle seguenti: "possono essere collocati". Art. 5-quinquies. Composizione della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive 1. All'articolo 3 della legge 14 dicembre 2000, n. 376, sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 3, la lettera a) é sostituita dalla seguente: "a) due rappresentanti del Ministero della salute, individuati nella persona del direttore generale della ricerca scientifica e tecnologica e del direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco, il primo con funzione di presidente"; b) al comma 5, dopo le parole: "non rinnovabile" sono inserite le seguenti: "ad eccezione dei componenti previsti dal comma 3, lettere a) e b), del presente articolo". Art. 5-sexies. Entrata in vigore del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, per le case da gioco soggette a controllo pubblico 1. L'entrata in vigore del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, per le case da gioco soggette a controllo pubblico é prorogata al 15 gennaio 2008. Fino a tale data le case da gioco a controllo pubblico rispetteranno il disposto dell'articolo 3, paragrafo 6, della direttiva 91/308/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1991, e successive modificazioni". Art. 6. Commissari straordinari per le opere strategiche 1. All'articolo 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 é sostituito dal seguente: "1. Con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono individuate le opere ed i lavori, ai quali lo Stato contribuisce, anche indirettamente o con apporto di capitale, in tutto o in parte ovvero cofinanziati con risorse dell'Unione europea, di rilevante interesse nazionale per le implicazioni occupazionali ed i connessi riflessi sociali, già appaltati o affidati a general contractor in concessione o comunque ricompresi in una convenzione quadro oggetto di precedente gara e la cui esecuzione, pur potendo iniziare o proseguire, non sia iniziata o, se iniziata, risulti anche in parte temporaneamente comunque sospesa. Con i medesimi decreti del Presidente del Consiglio dei 305 Ministri, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sono nominati uno o più commissari straordinari"; b) il comma 4 é sostituito dal seguente: "4. Decorso infruttuosamente il termine di cui al comma 2, il commissario straordinario di cui al comma 1 provvede in sostituzione degli organi ordinari o straordinari, avvalendosi delle relative strutture. In caso di competenza regionale, provinciale o comunale, i provvedimenti necessari ad assicurare la tempestiva esecuzione sono comunicati dal commissario straordinario al presidente della regione o della provincia, al sindaco della città metropolitana o del comune, nel cui ambito territoriale é prevista, od in corso, anche se in parte temporaneamente sospesa, la realizzazione delle opere e dei lavori, i quali, entro quindici giorni dalla ricezione, possono disporne la sospensione, anche provvedendo diversamente; trascorso tale termine e in assenza di sospensione, i provvedimenti del commissario sono esecutivi"; c) il comma 4-quater é sostituito dal seguente: "4-quater. Il commissario straordinario, al fine di consentire il pronto avvio o la pronta ripresa dell'esecuzione dell'opera commissariata, può essere abilitato ad assumere direttamente determinate funzioni di stazione appaltante, previste dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, laddove ravvisi specifici impedimenti all'avvio o alla ripresa dei lavori. Nei casi di risoluzione del contratto d'appalto pronunciata dal commissario straordinario, l'appaltatore deve provvedere al ripiegamento dei cantieri che fossero già allestiti ed allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine a tal fine assegnato dallo stesso commissario straordinario; in caso di mancato rispetto del termine assegnato, il commissario straordinario provvede d'ufficio addebitando all'appaltatore i relativi oneri e spese. Ai fini di cui al secondo periodo non sono opponibili eccezioni od azioni cautelari, anche possessorie, o di urgenza o comunque denominate che impediscano o ritardino lo sgombero e ripiegamento anzidetti". 2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Art. 6-bis. Disposizioni concernenti Trenitalia S.p.a. 1. Nelle more della stipula del contratto di servizio pubblico 2002-2003 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Trenitalia S.p.a., l'ammontare delle somme da corrispondere per l'anno 2003 in relazione agli obblighi di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, previsti dalla vigente normativa comunitaria, é accertato, in via definitiva e senza dare luogo a conguagli, in misura pari a quella complessivamente prevista per lo stesso anno e per lo stesso contratto dal bilancio di previsione dello Stato. Il Ministero dell'economia e delle finanze é autorizzato a corrispondere alla società Trenitalia S.p.a., alle singole scadenze, le somme spettanti. Art. 6-ter. Disposizioni a favore dell'Autorità portuale di Genova 1. Al fine di far fronte agli oneri derivanti dall'applicazione dell'articolo 53 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, é autorizzato un limite di impegno di tredici anni di 2.940.000 euro per l'anno 2005 quale concorso dello Stato a favore dell'Autorità portuale di Genova. 2. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo determinato in 2.940.000 euro a decorrere dall'esercizio finanziario 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa disposta dall'articolo 36, comma 2, della legge 10 agosto 2002, n. 166, utilizzando: a) quanto a 1.020.000 euro il limite di impegno per l'anno 2003; b) quanto a 1.920.000 euro il limite di impegno per l'anno 2004. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 6-quater. Disposizioni in materia di diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili 1. All'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, che istituisce l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili, sono apportate le seguenti modificazioni: 306 a) alla lettera a), le parole: "20 per cento" sono sostituite dalle seguenti: "40 per cento"; b) alla lettera b), le parole: "80 per cento" sono sostituite dalle seguenti: "60 per cento". 2. L'addizionale comunale sui diritti di imbarco é altresì incrementata di un euro a passeggero. L'incremento dell'addizionale di cui al presente comma é destinato ad alimentare il Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo, costituito ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n 291. 3. Le maggiori entrate derivanti dall'incremento dell'addizionale, disposto dal comma 2, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini del loro trasferimento al Fondo speciale di cui al medesimo comma 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 6-quinquies. Norme in materia di servizio civile nazionale 1. Alla legge 6 marzo 2001, n. 64, sono apportate le seguenti modifiche: a) dopo l'articolo 3, é inserito il seguente: "Art. 3-bis (Sanzioni amministrative). - 1. Gli enti di cui all'articolo 3 sono tenuti a cooperare per l'efficiente gestione del servizio civile e la corretta realizzazione dei progetti. 2. Agli enti che violino il dovere di cui al comma 1, in particolare non osservando le procedure e le norme previste per la selezione dei volontari, ovvero violando quelle per le modalità di impiego dei volontari, o non realizzando in tutto o in parte i progetti ovvero ledendo la dignità del volontario si applicano una o più delle seguenti sanzioni amministrative: a) diffida per iscritto, consistente in un formale invito a uniformarsi; b) revoca del provvedimento di approvazione del progetto, con diffida a proseguirne le attività; c) interdizione temporanea a presentare altri progetti di servizio civile della durata di un anno; d) cancellazione dall'albo degli enti di servizio civile. 3. Le sanzioni di cui al comma 2 sono applicate, previa contestazione degli addebiti e fissazione di un termine per controdedurre non inferiore a trenta giorni e non superiore a quarantacinque, dall'Ufficio nazionale per il servizio civile o dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle rispettive competenze, in ordine proporzionale e crescente, secondo la gravità del fatto, la sua reiterazione, il grado di volontarietà o di colpa, gli effetti prodottisi. La sanzione della cancellazione dall'albo degli enti di servizio civile é disposta solo in caso di particolare gravità delle condotte contestate ed impedisce la reiscrizione dell'ente nell'albo per cinque anni"; b) il comma 3 dell'articolo 11 é abrogato. 2. Al decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77, sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 4 dell'articolo 3, le parole: "compreso tra un minimo di trenta ed un massimo di trentasei ore" sono sostituite dalle seguenti: "di trenta ore, ovvero di un monte ore annuo minimo corrispondente a millequattrocento ore. I criteri per l'articolazione dell'orario di svolgimento del servizio sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri"; b) il comma 6 dell'articolo 3 é abrogato; c) al comma 5 dell'articolo 6, le parole: "31 ottobre" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre"; d) l'articolo 8 é sostituito dal seguente: "Art. 8 (Rapporto di servizio civile). - 1. I giovani selezionati dagli enti e dalle organizzazioni per la realizzazione dei progetti approvati sono avviati al servizio civile sulla base del contratto di servizio civile sottoscritto dall'Ufficio nazionale per il servizio civile e successivamante inviato al volontario per la sottoscrizione. 2. Il contratto, recante la data di inizio del servizio attestata dal responsabile dell'ente, prevede il trattamento economico e giuridico, in conformità all'articolo 9, comma 2, nonché le norme di comportamento alle quali deve attenersi il volontario e le relative sanzioni"; e) il comma 2 dell'articolo 9 é sostituito dal seguente: "2. Agli ammessi a prestare attività in un progetto di servizio civile compete un assegno per il servizio civile, non superiore al trattamento economico previsto per il personale militare volontario in ferma annuale, nonché le eventuali indennità da corrispondere in caso di servizio civile all'estero. In ogni caso non sono dovuti i benefici volti a compensare la condizione militare. La misura del compenso dovuto ai volontari del servizio civile nazionale é determinata con 307 decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri tenendo conto delle disponibilità finanziarie del Fondo nazionale per il servizio civile"; f) il comma 8 dell'articolo 9 é sostituito dal seguente: "8. Al termine del periodo di servizio civile, compiuto senza demerito, l'Ufficio nazionale per il servizio civile o le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano, per quanto di rispettiva competenza, rilasciano ai volontari un apposito attestato da cui risulta l'effettuazione del servizio civile. I titolari di tale attestato sono equiparati al personale militare volontario in ferma annuale"; g) l'articolo 10 sostituito dal seguente: "Art. 10 (Doveri e incompatibilita). - 1. I soggetti impiegati in progetti di servizio civile sono tenuti ad assolvere con diligenza le mansioni affidate, secondo quanto previsto dal contratto di cui all'articolo 8, e non possono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, se incompatibile con il corretto espletamento del servizio. 2. I soggetti che hanno prestato il servizio civile nazionale non possono presentare ulteriore domanda"; h) al comma 1 dell'articolo 11 le parole: "non inferiore ad un mese" sono sostituite dalle seguenti: "non inferiore a 80 ore". Art. 7. Disposizioni in materia di imposte di bollo e tasse di concessione e altre disposizioni in materia di finanza locale 1. Al fine di assicurare la massima semplificazione, anche alleviando l'onere dei contribuenti che assolvono i loro obblighi tributari, riferiti ad alcune delle fattispecie ricomprese nell'articolo 1, comma 300, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, mediante la materiale applicazione di marche, nella citata legge n. 311 del 2004 sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 1, comma 300: 1) dopo le parole: "concessione governativa," sono inserite le seguenti: "esclusi quelli di cui alla lettera b) dell'articolo 17, nonché alle lettere a) e b) dell'articolo 21, della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, e successive modificazioni,"; 2) le parole: "con decreto non avente natura regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 gennaio 2005," sono soppresse; 3) le parole: "in misura tale da assicurare" sono sostituite dalle seguenti: "secondo quanto stabilito negli allegati da 2-bis a 2-sexies alla presente legge. Ferma l'esclusione di cui al precedente periodo e nel rispetto delle condizioni in esso stabilite, gli importi in misura fissa della imposta di bollo e della tassa di concessione governativa, diversi da quelli contenuti nei predetti allegati, sono aggiornati con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze i cui effetti decorrono dal 1° giugno 2005. Le disposizioni degli stessi allegati hanno effetto dal 1° febbraio 2005 e, in particolare, hanno effetto per gli atti giudiziari pubblicati o emanati, per gli atti pubblici formati, per le donazioni fatte e per le scritture private autenticate a partire da tale data, per le scritture private non autenticate e per le denunce presentate per la registrazione dalla medesima data, nonché per le formalità di trascrizione, di iscrizione, di rinnovazione eseguite e per le domande di annotazione presentate a decorrere dalla stessa data. Le disposizioni di cui al presente comma assicurano, complessivamente,"; b) dopo l'allegato 2, sono inseriti gli allegati da 2-bis a 2-sexies allegati al presente decreto. 2. Dal 1° giugno 2005 la tassa di concessione governativa e l'imposta di bollo, nei casi in cui ne é previsto il pagamento mediante marche, sono pagate con le modalità telematiche di cui all'articolo 3, primo comma, numero 3-bis), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, e successive modificazioni, definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate ai sensi dell'articolo 4, quarto comma, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, e successive modificazioni. 2-bis. I concessionari del servizio nazionale della riscossione di cui al decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, sono tenuti a dichiarare l'importo delle somme riscosse a titolo di imposta comunale sugli immobili che, a decorrere dall'anno 1993, non é stato possibile attribuire ai comuni. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con l'Associazione nazionale dei comuni italiani, sono stabiliti i termini e le modalità di presentazione delle dichiarazioni, nonché il sistema di versamento e di impiego delle somme in questione che saranno destinate in via prioritaria ad attività di formazione nel campo della gestione del tributo ed alle politiche di informazione al contribuente. 308 2-ter. All'articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, le parole da: "Al fine di" fino a: "suddette anagrafi" sono sostituite dalle seguenti: "Allo scopo di consentire la prosecuzione dei servizi finalizzati a fornire adeguati strumenti conoscitivi per una efficace azione accertativa dei comuni, nonché per agevolare i processi telematici di integrazione nella pubblica amministrazione ed assicurare il miglioramento dell'attività di informazione ai contribuenti, l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) organizza le relative attività strumentali. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze vengono disciplinate le modalità per l'effettuazione dei suddetti servizi". Art. 7-bis. Assistenza sanitaria per i cittadini di Campione d'Italia 1. I maggiori costi dell'assistenza sanitaria ai cittadini di Campione d'Italia, rispetto alla disponibilità del Servizio sanitario regionale, calcolati sulla base della quota capitaria, gravano sul bilancio comunale. A tal fine, al comune di Campione d'Italia viene assegnata annualmente a decorrere dall'anno 2005 la somma di due milioni di euro. 2. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a due milioni di euro a decorrere dal 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Art. 7-ter. Fondo per il personale delle Ferrovie dello Stato 1. É istituito, a decorrere dall'anno 2005, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della funzione pubblica, il Fondo per il personale delle Ferrovie dello Stato, la cui dotazione, per ciascuno degli anni del triennio 2005-2007, é pari a 8 milioni di euro. 2. All'onere di cui al comma 1 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo utilizzando: a) quanto a 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. b) per ciascuno degli anni 2006 e 2007, quanto a 4 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e quanto a 4 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 7-quater. Controversie relative alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto I 1. I decreti di ingiunzione di cui all'articolo 641 del codice di procedura civile e le sentenze divenuti esecutivi dopo la data di entrata in vigore del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453, sono inefficaci nei confronti dell'azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, qualora gli stessi siano relativi a crediti vantati nei confronti della soppressa omonima azienda universitaria per obbligazioni contrattuali anteriori alla data di istituzione della predetta azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, secondo quanto disposto dall'articolo 2, comma 1, del citato decreto-legge n. 341 del 1999, come interpretato dall'articolo 8sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186. 2. I pignoramenti eventualmente intrapresi in forza dei titoli di cui al comma 1 perdono efficacia e i giudizi di ottemperanza in base al medesimo titolo pendenti sono dichiarati estinti anche d'ufficio. 3. Nelle azioni esecutive iniziate sui medesimi titoli di cui al comma 1, alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto I subentra il commissario di cui al comma 3 dell'articolo 2 del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453. 309 4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Art. 7-quinquies. Tenuta delle liste elettorali 1. All'articolo 32 del testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, sono apportate le seguenti modifiche: a) il quinto comma é sostituito dal seguente: "Le deliberazioni relative alle cancellazioni di cui ai numeri 2) e 3) devono essere notificate agli interessati entro dieci giorni"; b) al sesto comma, le parole: "Le deliberazioni della commissione elettorale comunale relative alle variazioni di cui al n. 5)" sono sostituite dalle seguenti: "Le deliberazioni relative alle variazioni di cui ai numeri 4) e 5)". Art. 7-sexies. Aggiornamento degli schedari consolari 1. É autorizzata, per l'anno 2005, la spesa di euro 2.800.000 per l'aggiornamento degli schedari consolari al fine di pervenire all'unificazione dei dati dell'anagrafe degli italiani residenti all'estero e degli schedari consolari, ai sensi dell'articolo 5, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104. 2. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a euro 2.800.000 per l'anno 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 7-septies. Interventi urgenti per i Giochi olimpici invernali "Torino 2006" 1. É assegnato un contributo di 80 milioni di euro per l'anno 2005 ad una società a capitale interamente pubblico controllata da Sviluppo Italia S.p.a., al cui capitale sociale possono partecipare la regione Piemonte, la provincia di Torino ed il comune di Torino, direttamente o tramite società di cui detengono la totalità del capitale sociale. 2. La società di cui al comma 1 assume e coordina le iniziative finalizzate ad un più efficace inserimento nel contesto territoriale dei compiti e delle attività svolte dal Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di cui all'articolo 1-bis della legge 9 ottobre 2000, n. 285, in adempimento degli impegni contrattuali assunti nei confronti del Comitato internazionale olimpico con il contratto sottoscritto a Seul in data 19 giugno 1999. 3. Per le iniziative di cui al comma 2, la società di cui al comma 1 si avvale in via prioritaria degli enti pubblici di cui al comma 1 nonché degli enti e società strumentali della regione Piemonte, della provincia di Torino e del comune di Torino. Limitatamente alla realizzazione delle infrastrutture temporanee e degli allestimenti degli impianti e delle infrastrutture di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 9 ottobre 2000, n. 285, e successive modificazioni, funzionali allo svolgimento dei Giochi olimpici, la società di cui al comma 1 può altresì avvalersi, previa deliberazione del Comitato di regia di cui all'articolo 1, comma 1-bis, della medesima legge n. 285 del 2000, e successive modificazioni, dell'Agenzia per lo svolgimento dei Giochi olimpici di cui all'articolo 2 della medesima legge. Sono a carico della società di cui al comma 1 tutti gli oneri economici, compresi quelli relativi alle spese aggiuntive di funzionamento dei soggetti operanti ed al contenzioso, inerenti agli interventi per i quali venga esercitata la facoltà di avvalimento nonché alle occupazioni temporanee di cui al comma 4. La società di cui al comma 1, limitatamente alla realizzazione di interventi temporanei correlati a quelli di cui all'articolo 3 della citata legge n. 285 del 2000, e successive modificazioni, può avvalersi della citata Agenzia per lo svolgimento dei Giochi olimpici. 4. All'articolo 3, comma 2-ter, della legge 9 ottobre 2000, n. 285, e successive modificazioni, é aggiunto, in fine, il seguente periodo: "L'Agenzia esercita tale facoltà anche nel caso in cui 310 l'occupazione sia necessaria per la realizzazione, anche da parte del Comitato organizzatore dei Giochi olimpici ovvero di enti pubblici e loro società strumentali, delle infrastrutture temporanee e degli allestimenti degli impianti e delle infrastrutture di cui all'articolo 1 funzionali allo svolgimento dei Giochi olimpici". 5. All'articolo 3 della legge 9 ottobre 2000, n. 285, e successive modificazioni, il comma 2-quater é sostituito dal seguente: "2-quater. La facoltà di cui al comma 2-ter può essere esercitata, mediante ordinanza che determina altresì in via provvisoria le indennità di occupazione, a seguito dell'approvazione da parte dell'Agenzia del progetto definitivo o della variante avente per oggetto l'opera cui l'occupazione é preordinata. Le indennità definitive di occupazione spettanti ai proprietari sono determinate ai sensi dell'articolo 50 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e successive modificazioni. Al proprietario del fondo secondo le risultanze catastali é notificato almeno dieci giorni prima un avviso contenente l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora in cui é prevista l'esecuzione dell'ordinanza che impone l'occupazione temporanea; entro lo stesso termine é pubblicato, per almeno dieci giorni, il suddetto avviso nell'albo del comune o dei comuni in cui é sito il fondo. In caso di irreperibilità del proprietario del fondo la pubblicazione ha valore di avvenuta notifica". 6. Nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, relativi agli interventi di cui alla legge 9 ottobre 2000, n. 285, e successive modificazioni, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria si applicano i termini minimi previsti dalla normativa comunitaria e, per gli appalti di importo inferiore a tale soglia, tutti i termini sono ridotti fino ad un terzo. Per gli appalti pubblici di lavori di qualunque importo, l'affidamento a trattativa privata é consentito anche nei casi previsti dall'articolo 7 della direttiva n. 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993. Le varianti possono essere approvate anche in deroga ai limiti previsti dall'articolo 25 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, ed in assenza delle autorizzazioni e dei pareri obbligatori non vincolanti richiesti dalla stessa legge. 7. Restano fermi la natura privata, i compiti e le modalità di funzionamento del Comitato organizzatore dei Giochi olimpici. A tali fini il Comitato organizzatore dei Giochi olimpici assume le necessarie iniziative per coordinare il proprio operato con quello della società di cui al comma 1. 8. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a 80 milioni di euro per l'anno 2005, si provvede mediante utilizzo di quota parte delle risorse disponibili sul Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui al comma 5 dell'articolo 10 del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. Art. 7-octies. Canone per l'installazione di mezzi pubblicitari 1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e con effetto per l'esercizio 2005, i comuni con proprie deliberazioni rideterminano, ove occorra, la misura del canone per l'installazione di mezzi pubblicitari secondo le disposizioni di cui all'articolo 62 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, secondo la base di calcolo e le modalità stabilite dalla lettera d) del comma 2 dell'articolo 62 medesimo. A decorrere dall'esercizio di bilancio 2006 la determinazione terrà conto della rivalutazione annuale sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevato dall'ISTAT. 2. Le disposizioni di cui al comma 470 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, si intendono applicabili anche all'imposta sugli intrattenimenti e all'imposta sulla pubblicità. Art. 7-novies. Attività di formazione ai dipendenti della pubblica amministrazione 1. All'articolo 53, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo la lettera f) é aggiunta la seguente: "f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione". 311 Art. 7-decies. Monopoli di Stato 1. All'articolo 1, comma 97, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, alla lettera f), dopo le parole: "Ministero dell'economia e delle finanze" la parola: "e" é soppressa, e dopo le parole: "agenzie fiscali" sono inserite le seguenti: ", ivi inclusa l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato,". Art. 7-undecies. Reddito minimo di inserimento 1. All'articolo 80, comma 1, alinea, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni, le parole: "31 dicembre 2004" sono sostituite dalle seguenti: "30 aprile 2006". 2. Le somme non spese da parte dei comuni entro il 30 aprile 2006 devono essere versate dai medesimi all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Art. 7-duodecies. Proroghe di trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria 1. All'articolo 3, comma 137, quarto periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, le parole: "30 aprile 2005" sono sostituite dalle parole: "31 dicembre 2005". Art. 7-terdecies. Italia Lavoro Spa 1. Fatte salve le previsioni di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, ed all'articolo 30 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'esercizio delle proprie funzioni in materia di politiche del lavoro, dell'occupazione, della tutela dei lavoratori, e delle competenze in materia di politiche sociali e previdenziali, si avvale di Italia Lavoro Spa, previa stipula di apposita convenzione. 2. Per la promozione e la gestione di attività riconducibili agli ambiti di cui al comma 1, le altre amministrazioni centrali dello Stato possono avvalersi di Italia Lavoro Spa d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel rispetto della convenzione di cui al comma 1. 3. Per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali assegna a Italia Lavoro Spa 10 milioni di euro quale contributo agli oneri di funzionamento ed ai costi generali di struttura. A tale onere si provvede a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Art. 7-quaterdecies. Norma di interpretazione autentica 1. L'articolo 1, comma 19, della legge 23 agosto 2004, n. 243, si interpreta nel senso che l'attività di monitoraggio effettuata dall'INPS, volta a verificare il raggiungimento del numero massimo di 10.000 lavoratori aventi diritto a fruire dei benefici di cui al comma 18 del predetto articolo, é riferita al momento di cessazione del rapporto di lavoro secondo le fattispecie indicate rispettivamente alle lettere a) e b) del comma 18 suddetto. Art. 7-quinquiesdecies. Modifiche alla disciplina del collegio dei sindaci dell'ENPALS 1. Il collegio dei sindaci dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS) é composto da cinque membri di qualifica non inferiore a dirigente, di cui tre in rappresentanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e due in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze. Uno dei rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali svolge le funzioni di presidente. Per ciascuno dei componenti é nominato un membro supplente. 312 Art. 7-sexiesdecies Norme per accelerare l'erogazione dei contributi nelle aree depresse. 1. Fermo restando il tetto dei pagamenti di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, al fine di garantire il massimo utilizzo delle risorse comunitarie che assistono i contributi concessi a valere sui bandi di cui all'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 20 ottobre 1995, n. 527, e successive modificazioni - limitatamente ai bandi ottavo, le cui graduatorie sono state approvate con decreto ministeriale in data 9 aprile 2001, pubblicato nel supplemento ordinario n. 129 alla Gazzetta Ufficiale n. 121 del 26 maggio 2001, undicesimo, le cui graduatorie sono state approvate con decreto ministeriale in data 12 febbraio 2002, pubblicato nel supplemento ordinario n. 47 alla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2002, e quattordicesimo, le cui graduatorie sono state approvate con decreto ministeriale in data 27 maggio 2003, pubblicato nel supplemento ordinario n. 105 alla Gazzetta Ufficiale n. 157 del 9 luglio 2003 - alle imprese i cui programmi possiedono i requisiti di ammissibilità al cofinanziamento dell'Unione europea e che ne abbiano fatto richiesta entro il 10 dicembre 2004, fatti salvi i vigenti criteri e modalità di calcolo, nonché le modalità e le procedure di erogazione dei predetti contributi, può essere effettuata l'erogazione parziale delle quote di contributo delle quali sono maturate le disponibilità, in proporzione alla parte di investimenti effettivamente realizzati. L'erogazione parziale dell'ultima quota di contributo é decurtata di una somma pari al dieci per cento del contributo concesso. 2. Per i programmi di cui al comma 1, per i quali l'impresa abbia ultimato gli investimenti, l'erogazione dell'ultima quota del contributo avviene indipendentemente dalla presentazione della documentazione finale di spesa, fermo restando l'obbligo di presentare detta documentazione nei tempi prescritti dall'articolo 9, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 20 ottobre 1995, n. 527, e successive modificazioni. Per i programmi di investimento di cui al medesimo articolo 9, comma 6, il periodo di nove mesi di cui all'articolo 10, comma 6, dello stesso decreto é ridotto a sei mesi. Art. 7-septiesdecies. Modifica al decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 1. All'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, é aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Ferma restando l'invarianza della spesa complessiva come rideterminata dal primo periodo del presente comma gravante sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per i centri di responsabilità amministrativa afferenti ai Ministri senza portafoglio il limite di spesa stabilito dal presente comma può essere superato in casi eccezionali previa adozione di un motivato provvedimento da parte del Ministro competente". Art. 7-duodevicies. Termini per lo smaltimento delle scorte dei preparati pericolosi 1. Il termine di dodici mesi, previsto dal comma 3 dell'articolo 20 del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, per lo smaltimento delle scorte dei preparati pericolosi già immessi sul mercato, purché conformi alla previgente normativa, é prorogato di diciotto mesi. 2. Il termine di sei mesi, previsto dal comma 3 dell'articolo 20 del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, per lo smaltimento delle scorte dei preparati pericolosi presenti nel magazzino del produttore, purché conformi alla previgente normativa, é differito di dodici mesi. Art. 7-undevicies. Disposizioni in materia di tessera sanitaria 1. All'articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, al comma 7, é aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il Ministero dell'economia e delle finanze può prevedere periodi transitori, durante i quali, in caso di riscontro della mancata corrispondenza del codice fiscale del titolare della tessera sanitaria con quello dell'assistito riportato sulla ricetta, tale difformità non costituisce impedimento per l'erogazione della 313 prestazione e l'utilizzazione della relativa ricetta medica ma costituisce anomalia da segnalare tra i dati di cui al comma 8". Art. 7-vicies. Celebrazioni per il sessantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di liberazione 1. Le associazioni combattentistiche e partigiane erette in enti morali, costituitesi in confederazione nel 1979, preparano ed organizzano, d'intesa con il Ministero della difesa, nel triennio 2005-2007, manifestazioni celebrative ed iniziative storico-culturali, sul piano nazionale ed internazionale, per il sessantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di liberazione. 2. Per l'attuazione del comma 1 é autorizzata la spesa di euro 3.100.000 per l'anno 2005. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 7-vicies semel. Prevenzione contro la encefalopatia spongiforme bovina 1. All'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 novembre 2000, n. 335, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 3, e successive modificazioni, la parola: "ventiquattro" é sostituita dalla seguente: "trenta". Art. 7-vicies bis. Disposizioni in materia di acque potabili 1. Alle acque potabili trattate, ottenute mediante apparecchiature con sistema a raggi ultravioletti, purché specificatamente approvate dal Ministero della salute in conformità al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 21 dicembre 1990, n. 443, si applicano gli stessi parametri chimici e batteriologici previsti per le acque minerali, limitatamente ai criteri di valutazione della carica microbica totale ed al Ph, qualora venga addizionato CO2. Art. 7-vicies ter. Rilascio documentazione in formato elettronico 1. A decorrere dal 1° gennaio 2006: a) il visto su supporto cartaceo é sostituito, all'atto della richiesta, dal visto elettronico, di cui al regolamento (CE) n. 334/2002 del Consiglio, del 18 febbraio 2002; b) il permesso di soggiorno su supporto cartaceo é sostituito, all'atto della richiesta del primo rilascio o del rinnovo dello stesso, dal permesso di soggiorno elettronico, di cui al regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002; c) il passaporto su supporto cartaceo é sostituito dal passaporto elettronico di cui al regolamento (CE) n. 2252/2004 del Consiglio, del 13 dicembre 2004. 2. Dalla stessa data di cui al comma 1, la carta d'identità su supporto cartaceo é sostituita, all'atto della richiesta del primo rilascio o del rinnovo del documento, dalla carta d'identità elettronica, classificata carta valori, prevista dall'articolo 36 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. A tal fine i comuni che non vi abbiano ancora ottemperato provvedono entro il 31 ottobre 2005 alla predisposizione dei necessari collegamenti all'Indice nazionale delle anagrafi (INA) presso il Centro nazionale per i servizi demografici (CNSD) ed alla redazione del piano di sicurezza per la gestione delle postazioni di emissione secondo le regole tecniche fornite dal Ministero dell'interno. Art. 7-vicies quater. Disposizioni in materia di carte valori 1. All'atto del rilascio delle carte valori di cui all'articolo 7-vicies-ter da parte delle competenti amministrazioni pubbliche, i soggetti richiedenti sono tenuti a corrispondere un importo pari almeno 314 alle spese necessarie per la loro produzione e spedizione, nonché per la manutenzione necessaria all'espletamento dei servizi ad esse connessi. L'importo e le modalità di riscossione sono determinati annualmente con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, da adottare, in sede di prima attuazione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 2. Le somme percepite dalle amministrazioni pubbliche in applicazione del comma 1 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato e riassegnate con decreti del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno, anche in aggiunta alle somme già stanziate, nell'ambito dell'unità previsionale di base 3.1.5.17 - servizi del Poligrafico dello Stato - dello stato di previsione del medesimo Ministero. 3. Al fine di contenere i prezzi di cessione delle carte valori ed i costi di attivazione, di produzione, emissione e manutenzione dei centri gestione delle stesse é in facoltà dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Spa di stipulare accordi o indire gare con pubbliche amministrazioni ed anche con soggetti privati, anche allo scopo di estendere l'operatività delle carte valori alla fruizione di servizi, ivi compresi quelli di natura privatistica. Gli accordi sono soggetti a ratifica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'interno. 4. L'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Spa può continuare ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi del titolo I del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e con applicazione dell'articolo 417-bis, commi primo e secondo, del codice di procedura civile. 5. É abrogato il regio decreto 7 marzo 1926, n. 401. 6. Dall'attuazione dell'articolo 7-vicies ter e del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Art. 7-vicies quinquies. Disposizioni in materia di collocamento fuori ruolo di dipendenti pubblici 1. Le disposizioni del comma 5-bis dell'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, si applicano anche in caso di elezione o nomina a giudice costituzionale e a presidente o componente delle autorità amministrative indipendenti. Art. 8. Copertura finanziaria 1. All'onere derivante dall'applicazione dell'articolo 1, comma 2, pari ad euro 29.248.636 per l'anno 2005, euro 44.366.700 per l'anno 2006, euro 45.436.965 per l'anno 2007, euro 28.333.439 per l'anno 2008 ed euro 18.783.436 a decorrere dall'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come determinata dalla Tabella C della legge 30 dicembre 2004, n. 311. 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 9. Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge. 315 Legge 18 aprile 2005, n. 62 (G.U. n. 96 del 27 aprile 2005, s.o. n. 76) Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004. La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA promulga la seguente legge: CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI SUI PROCEDIMENTI PER L'ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI COMUNITARI Art. 1. (Delega al Governo per l'attuazione di direttive comunitarie) 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B. 2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva. 3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni. 4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive 2003/10/CE, 2003/20/CE, 2003/35/CE, 2003/42/CE, 2003/59/CE, 2003/85/CE, 2003/87/CE, 2003/99/CE, 2003/122/Euratom, 2004/8/CE, 2004/12/CE, 2004/17/CE, 2004/18/CE, 2004/22/CE, 2004/25/CE, 2004/35/CE, 2004/38/CE, 2004/39/CE, 2004/67/CE e 2004/101/CE sono corredati della relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari che devono essere espressi entro venti giorni. 5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1. 6. In relazione a quanto disposto dall'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano entrano in vigore, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, alla data di scadenza del 316 termine stabilito per l'attuazione della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. A tale fine i decreti legislativi recano l'esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute. 7. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome. 8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per il parere definitivo che deve essere espresso entro venti giorni. Art. 2. (Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa) 1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali: a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative; b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa; c) salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 103.291 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 103 euro e non superiore a 103.291 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. In ogni caso sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi; d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro; 317 e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata; f) i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega; g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili. h) i decreti legislativi assicurano che sia garantita una effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell'Unione europea, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri ed evitando l'insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani nel momento in cui gli stessi sono tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per l'esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri. Art. 3. (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie) 1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi della legge 22 febbraio 1994, n. 146, della legge 24 aprile 1998, n. 128, e della presente legge, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative. 2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informeranno ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c). 3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 8 dell'articolo 1. Art. 4. (Oneri relativi a prestazioni e controlli) 1. Gli oneri per prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici nell'attuazione delle normative comunitarie sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio. Le suddette tariffe sono predeterminate e pubbliche. 2. Le entrate derivanti dalle tariffe di cui al comma 1, qualora riferite all'attuazione delle direttive di cui agli allegati A e B della presente legge, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469. 318 Art. 5. (Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie) 1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa. 2. I testi unici di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Fermo restando quanto disposto al comma 5, le disposizioni contenute nei testi unici non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare. 3. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui al comma 3 dell'articolo 1, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno, un testo unico in materia di disposizioni finalizzate a prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, inteso a riordinare la legislazione vigente in materia e ad apportarvi le modifiche necessarie in conformità dei seguenti princìpi: a) garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa; b) garantire l'economicità, l'efficienza e l'efficacia del procedimento ove siano previste sanzioni amministrative per la violazione della normativa antiriciclaggio. 4. Dall'attuazione del comma 3 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 5. Per le disposizioni adottate ai sensi del presente articolo si applica quanto previsto al comma 6 dell'articolo 1. 6. Il presente articolo non si applica alla materia della sicurezza e igiene del lavoro. CAPO II DISPOSIZIONI PARTICOLARI DI ADEMPIMENTO, CRITERI SPECIFICI DI DELEGA LEGISLATIVA Art. 6. (Abrogazione della legge 11 gennaio 2001, n. 7, sul settore fieristico) 1. La legge 11 gennaio 2001, n. 7, sul settore fieristico, è abrogata, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 15 gennaio 2002 nella causa C439/99. Art. 7. (Modifica dell'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 30 maggio 1995, n. 342, in materia di ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale) 1. In esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 febbraio 2003 nella causa C131/01, l'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 30 maggio 1995, n. 342, recante l'ordinamento della professione di consulente in proprietà industriale e la formazione del relativo Albo, è sostituito dal seguente: Art. 2. - (Requisiti per l'iscrizione all'Albo). - 1. Può essere iscritta all'Albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati qualsiasi persona fisica che: a) abbia il godimento dei diritti civili nel proprio ordinamento nazionale e sia persona di buona condotta civile e morale; b) sia cittadino italiano ovvero cittadino degli Stati membri dell'Unione europea ovvero cittadino di Stati esteri nei cui confronti vige un regime di reciprocità; 319 c) abbia la residenza ovvero un domicilio professionale in Italia salvo che si tratti di cittadino di Stati che consentano ai cittadini italiani l'iscrizione a corrispondenti albi senza tale requisito; d) abbia superato l'esame di abilitazione di cui all'articolo 6 o abbia superato la prova attitudinale prevista per i consulenti in proprietà industriale all'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115. 2. Sono altresì ammessi all'attività di rappresentanza professionale di fronte all'Ufficio italiano brevetti e marchi, con carattere di temporaneità, previa dichiarazione all'Ufficio italiano brevetti e marchi e al Consiglio dell'Ordine, i cittadini di Stati membri dell'Unione europea in possesso delle qualifiche professionali richieste dallo Stato membro nel quale essi esercitano stabilmente e legalmente la professione corrispondente a quella di consulente in proprietà industriale. 3. La prestazione di servizi di cui al comma 2 comporta l'iscrizione temporanea e automatica all'Albo dei consulenti in proprietà industriale al fine di assicurare l'applicazione delle disposizioni relative al godimento dei diritti e all'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento professionale, in quanto compatibili. 4. Per l'iscrizione temporanea non si applicano i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1. Gli iscritti a titolo temporaneo non partecipano all'assemblea degli iscritti all'Albo e non possono essere eletti quali componenti del Consiglio dell'Ordine. L'iscrizione decade con il decorso del periodo per il quale l'iscrizione è stata effettuata. 5. La prestazione di servizi di cui al comma 2 è effettuata utilizzando, in lingua originale, o il titolo professionale, se esistente, o il titolo di formazione prevista dallo Stato membro di cui allo stesso comma. 6. L'iscrizione è effettuata dal Consiglio dell'Ordine su presentazione di un'istanza accompagnata dai documenti comprovanti il possesso dei requisiti di cui al comma 1 ovvero includente le autocertificazioni previste per legge. L'avvenuta iscrizione è prontamente comunicata dal Consiglio dell'Ordine all'Ufficio italiano brevetti e marchi". Art. 8. (Modifiche all'articolo 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 538, in materia di distribuzione all'ingrosso dei medicinali per uso umano) 1. All'articolo 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 538, dopo il comma 4 sono aggiunti i seguenti: 4-bis. L'autorità competente che ha concesso l'autorizzazione di cui al comma 1, qualora modifichi, sospenda o revochi la stessa, in quanto sono venuti meno i requisiti sulla cui base detta autorizzazione è stata concessa, informa immediatamente il Ministero della salute inviando copia del provvedimento di sospensione o revoca. 4-ter . Il Ministero della salute, acquisita copia dei provvedimento di sospensione o revoca di cui al comma 4-bis, adottati dalle regioni e dalle province autonome o dalle autorità da loro delegate, ne informa la Commissione europea e gli altri Stati membri. 4-quater. Su richiesta della Commissione europea o di uno Stato membro, il Ministero della salute fornisce qualunque informazione utile relativa all'autorizzazione di cui al presente articolo". Art. 9. (Recepimento della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato - abusi di mercato - e delle direttive della Commissione di attuazione 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE) 1. Al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 4: 1) il comma 4 è sostituito dal seguente: 320 4. Le informazioni ricevute dalla Banca d'Italia e dalla CONSOB ai sensi dei commi 1, 2 e 3 non possono essere trasmesse a terzi né ad altre autorità italiane, ivi incluso il Ministro dell'economia e delle finanze, senza il consenso dell'autorità che le ha fornite"; 2) al comma 5-bis, le parole "equivalenti a quelle vigenti in Italia" sono soppresse; 3) al comma 7, sono aggiunti i seguenti periodi: "Le autorità competenti di Stati comunitari o extracomunitari possono chiedere alla Banca d'Italia e alla CONSOB di effettuare per loro conto, secondo le norme previste nel presente decreto, un'indagine sul territorio dello Stato. Le predette autorità possono chiedere che venga consentito ad alcuni membri del loro personale di accompagnare il personale della Banca d'Italia e della CONSOB durante l'espletamento dell'indagine"; b) all'articolo 64, comma 1, dopo la lettera b) è inserita la seguente: b-bis) adotta le disposizioni e gli atti necessari a prevenire e identificare abusi di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato;"; c) all'articolo 97, comma 1, la lettera a) è sostituita dalla seguente: a) l'articolo 114, commi 5 e 6, dalla data di pubblicazione del prospetto fino alla conclusione della sollecitazione;"; d) all'articolo 103, comma 2, la lettera a) è sostituita dalla seguente: a) l'articolo 114, commi 5 e 6, dalla data della pubblicazione del documento d'offerta e fino alla chiusura della stessa;"; e) l'articolo 114 è sostituito dal seguente: Art. 114. - (Comunicazioni al pubblico) - 1. Fermi gli obblighi di pubblicità previsti da specifiche disposizioni di legge, gli emittenti quotati e i soggetti che li controllano comunicano al pubblico, senza indugio, le informazioni privilegiate di cui all'articolo 181 che riguardano direttamente detti emittenti e le società controllate. La CONSOB stabilisce con regolamento le modalità e i termini di comunicazione delle informazioni, detta disposizioni per coordinare le funzioni attribuite alla società di gestione del mercato con le proprie e può individuare compiti da affidarle per il corretto svolgimento delle funzioni previste dall'articolo 64, comma 1, lettera b). 2. Gli emittenti quotati impartiscono le disposizioni occorrenti affinché le società controllate forniscano tutte le notizie necessarie per adempiere gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge. Le società controllate trasmettono tempestivamente le notizie richieste. 3. I soggetti indicati nel comma 1 possono, sotto la propria responsabilità, ritardare la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla CONSOB con regolamento, sempre che ciò non possa indurre in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali e che gli stessi soggetti siano in grado di garantirne la riservatezza. La CONSOB, con regolamento, può stabilire che l'emittente informi senza indugio la stessa autorità della decisione di ritardare la divulgazione al pubblico di informazioni privilegiate e può individuare le misure necessarie a garantire che il pubblico sia correttamente informato. 4. Qualora i soggetti indicati al comma 1, o una persona che agisca in loro nome o per loro conto, comunichino nel normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio le informazioni indicate al comma 1 ad un terzo che non sia soggetto ad un obbligo di riservatezza legale, regolamentare, statutario o contrattuale, gli stessi soggetti indicati al comma 1 ne danno integrale comunicazione al pubblico, simultaneamente nel caso di divulgazione intenzionale e senza indugio in caso di divulgazione non intenzionale. 5. La CONSOB può, anche in via generale, richiedere ai soggetti indicati nel comma 1 che siano resi pubblici, con le modalità da essa stabilite, notizie e documenti necessari per l'informazione del pubblico. In caso di inottemperanza la CONSOB provvede direttamente a spese degli interessati. 6. Qualora i soggetti indicati nel comma 1 oppongano, con reclamo motivato, che dalla comunicazione al pubblico delle informazioni, richiesta ai sensi del comma 5, possa derivare loro grave danno, gli obblighi di comunicazione sono sospesi. La CONSOB, entro sette giorni, può escludere anche parzialmente o temporaneamente la comunicazione delle informazioni, sempre che ciò non possa indurre in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali. Trascorso tale termine, il reclamo si intende accolto. 7. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione in un emittente quotato e i dirigenti che abbiano regolare accesso a informazioni privilegiate indicate al comma 1 e detengano il potere di adottare decisioni di gestione che possono incidere sull'evoluzione e sulle prospettive future dell'emittente quotato, chiunque detenga azioni in misura almeno pari al 10 per cento del capitale sociale, nonché ogni altro soggetto che controlla l'emittente quotato, devono comunicare alla CONSOB e al pubblico le operazioni, aventi ad oggetto azioni emesse 321 dall'emittente o altri strumenti finanziari ad esse collegati, da loro effettuate, anche per interposta persona. Tale comunicazione deve essere effettuata anche dal coniuge non separato legalmente, dai figli, anche del coniuge, a carico, nonché dai genitori, i parenti e gli affini conviventi dei soggetti sopra indicati, nonché negli altri casi individuati dalla CONSOB con regolamento, in attuazione della direttiva 2004/72/CE della Commissione, del 29 aprile 2004. La CONSOB individua con lo stesso regolamento le operazioni, le modalità e i termini delle comunicazioni, le modalità e i termini di diffusione al pubblico delle informazioni, nonché i casi in cui detti obblighi si applicano anche con riferimento alle società in rapporto di controllo con l'emittente nonché ad ogni altro ente nel quale i soggetti sopra indicati svolgono le funzioni previste dal primo periodo del presente comma. 8. I soggetti che producono o diffondono ricerche o valutazioni, comprese le società di rating, riguardanti strumenti finanziari indicati all'articolo 180, comma 1, lettera a), o gli emittenti di tali strumenti, nonché i soggetti che producono o diffondono altre informazioni che raccomandano o propongono strategie di investimento destinate ai canali di divulgazione o al pubblico, devono presentare l'informazione in modo corretto e comunicare l'esistenza di ogni loro interesse o conflitto di interessi riguardo agli strumenti finanziari cui l'informazione si riferisce. 9. La CONSOB stabilisce con regolamento: a) disposizioni di attuazione del comma 8; b) le modalità di pubblicazione delle ricerche e delle informazioni indicate al comma 8 prodotte o diffuse da emittenti quotati o da soggetti abilitati, nonché da soggetti in rapporto di controllo con essi. 10. Fatto salvo il disposto del comma 8, le disposizioni emanate ai sensi del comma 9, lettera a), non si applicano ai giornalisti soggetti a norme di autoregolamentazione equivalenti purché la loro applicazione consenta di conseguire gli stessi effetti. La CONSOB valuta, preventivamente e in via generale, la sussistenza di dette condizioni. 11. Le istituzioni che diffondono al pubblico dati o statistiche idonei ad influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari indicati all'articolo 180, comma 1, lettera a), devono divulgare tali informazioni in modo corretto e trasparente. 12. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai soggetti italiani ed esteri che emettono strumenti finanziari per i quali sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni nei mercati regolamentati italiani"; f) all'articolo 115, comma 1, è aggiunta la seguente lettera: c-bis) esercitare gli ulteriori poteri previsti dall'articolo 187-octies"; g) dopo l'articolo 115, è inserito il seguente: Art. 115-bis. - (Registri delle persone che hanno accesso ad informazioni privilegiate) - 1. Gli emittenti quotati e i soggetti in rapporto di controllo con essi, o le persone che agiscono in loro nome o per loro conto, devono istituire, e mantenere regolarmente aggiornato, un registro delle persone che, in ragione dell'attività lavorativa o professionale ovvero in ragione delle funzioni svolte, hanno accesso alle informazioni indicate all'articolo 114, comma 1. La CONSOB determina con regolamento le modalità di istituzione, tenuta e aggiornamento dei registri"; h) all'articolo 116, comma 1, dopo le parole: "Gli articoli 114" sono inserite le seguenti: ", ad eccezione del comma 7,"; i) all'articolo 132, il comma 1 è sostituito dal seguente: 1. Gli acquisti di azioni proprie, operati ai sensi degli articoli 2357 e 2357-bis, primo comma, numero 1), del codice civile, da società con azioni quotate, devono essere effettuati in modo da assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti, secondo modalità stabilite dalla CONSOB con proprio regolamento"; l) nella parte V, titolo I, capo I, dopo l'articolo 170, è inserito il seguente: Art. 170-bis. - (Ostacolo alle funzioni di vigilanza della CONSOB) - 1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2638 del codice civile, chiunque ostacola le funzioni di vigilanza attribuite alla CONSOB è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro diecimila ad euro duecentomila"; m) all'articolo 190, comma 1, dopo le parole: "50, comma 1; 65" sono inserite le seguenti: "; 187nonies"; n) all'articolo 193: 1) al comma 1, dopo le parole: "tenuti a effettuare le comunicazioni previste dagli articoli 113, 114 e 115" sono inserite le seguenti: "o soggetti agli obblighi di cui all'articolo 115-bis" e le parole: "da lire dieci milioni a lire duecento milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro cinquemila ad euro cinquecentomila"; 322 2) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: 1-bis. Alla stessa sanzione di cui al comma 1 soggiacciono coloro i quali esercitano funzioni di amministrazione, di direzione e di controllo presso le società e gli enti che svolgono le attività indicate all'articolo 114, commi 8 e 11, nonché i loro dipendenti, e i soggetti indicati nell'articolo 114, comma 7, in caso di inosservanza delle disposizioni ivi previste nonché di quelle di attuazione emanate dalla CONSOB. 1-ter . La stessa sanzione di cui al comma 1 è applicabile in caso di inosservanza delle disposizioni previste dall'articolo 114, commi 8 e 11, nonché di quelle di attuazione emanate dalla CONSOB, nei confronti della persona fisica che svolge le attività indicate nel comma 1bis e, quando non ricorra la causa di esenzione prevista dall'articolo 114, comma 10, nei confronti della persona fisica che svolge l'attività di giornalista"; 3) al comma 2, le parole: "da lire dieci milioni a lire duecento milioni" sono sostituite dalle seguenti: "da euro cinquemila ad euro cinquecentomila"; 4) dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: 3-bis. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo non si applica l'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689". 2. Al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche recanti nuove disposizioni in materia di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato: a) nella parte V, titolo I, la partizione "Capo IV - Abusi di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari" comprendente gli articoli da 180 a 187-bis è sostituita dal seguente titolo: "TITOLO I-BIS ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE E MANIPOLAZIONE DEL MERCATO CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI Art. 180. - (Definizioni) - 1. Ai fini del presente titolo si intendono per: a) ''strumenti finanziari'': gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, nonché qualsiasi altro strumento ammesso o per il quale è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato di un Paese dell'Unione europea; b) ''derivati su merci'': gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 3, relativi a merci, ammessi alle negoziazioni o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, nonché qualsiasi altro strumento derivato relativo a merci ammesso o per il quale è stata presentata una richiest