Immaginiamo di compiere un viaggio nel tempo e nello spazio in
compagnia di un pellegrino dell’epoca medioevale.
Tra il 1151 e il 1154 un abate islandese, Nikulas di Munkathvera, del
monastero di Thingor, intraprese un lungo e faticoso pellegrinaggio:
partito dalla lontana Islanda in barca, approdato in Danimarca; seguì il
percorso europeo della Via Francigena, che lo condusse, valicate le Alpi
e traghettato il fiume Po, fino a Roma; poi da qui volle ripartire,
riprendendo la via del mare a Brindisi, alla volta di Gerusalemme per
visitare il Santo Sepolcro. “Nikulas, vir sapiens et celebre, memore et
multisciens, prudens et verax”, stese un diario del suo lungo viaggio,
giunto fino a noi nel testo originario in antico norvegese. Egli ha
annotato scrupolosamente le strade percorse, i tempi di percorrenza da
una tappa a quella successiva; preziose notizie sui luoghi visitati, sulle
chiese, sugli ospedali e perfino sulle popolazioni.
Il termine latino “peregrinus” significa
“straniero” ma nel tardo latino cristiano venne
ad indicare colui che si reca in pellegrinaggio a
uno dei tre principali luoghi santi dell’antichità:
Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostella.
In origine, i pellegrini viaggiavano a piedi, soli o
preferibilmente in compagnia, specie in vista di
percorsi molto lunghi e resi disagevoli dalle
precarie condizioni delle vie di comunicazione e
da pericoli di ogni genere in cui si poteva
imbattere, non ultimi gli agguati di briganti e
banditi, personaggi certamente non rari a quei
tempi.
I pellegrini si distinguevano per il loro caratteristico abbigliamento:
sarrocchino e bordone, mantella, borsa alla cintola, grande cappello a
larghe falde su cui venivano appuntate le conchiglie (per chi si era recato
a Santiago), la palmetta (per chi si era recato a Gerusalemme), le
placchette bronzee con l’immagine del volto di S. Pietro o di S. Paolo
(per chi si era recato a Roma).
Il lungo cammino era continuamente rallegrato da melodie e preghiere
che spezzavano in un festoso clima di giubilo, le lunghe pause di
contemplazione e di silenzio.
Tra le numerose strade per Roma dette “Vie Romee”, una delle più
antiche è senza dubbio la via Francigena, così chiamata perché
conduceva i pellegrini nel lungo percorso dalla britannica Canterbury
fino alla città dei Papi, attraverso la Francia.
Lungo questo cammino il pellegrino medioevale era pronto ad affrontare
qualsiasi insidia come ci raccontano i fregi della stupefacente cattedrale
di Fidenza, mirabile esempio di stile romanico padano.
Il cammino lungo la via era punteggiato da punti di cura e assistenza
chiamati “Hospitalia” e generalmente collocati a una giornata di
cammino gli uni dagli altri. I pellegrini indigenti avevano acqua e
giaciglio gratuiti mentre i benestanti dovevano lasciare un obolo o
addirittura promettere un lascito testamentario. Nel basso medioevo
nacquero osterie e locande che offrivano cibo e riparo per la notte.
All’ombra dei pini e cipressi secolari la sosta era rallegrata dall’ascolto
di qualche ballata o caccia o da qualche danza come il salterello, eseguiti
al liuto o alla viella ( fidula ), da trovatori o trovieri.
viella
liuto
Giunto finalmente a destinazione, il nostro Nikulas, dopo tre anni di
cammino (1151-1154) ha conosciuto tanta gente, ha visto molti luoghi
affascinanti ed è partito, se ricordate, cantando una semplice melodia
monodica ed ora scopre che la musica inizia ad arricchirsi di diverse
linee melodiche che vengono eseguite contemporaneamente. Ad ogni
nota “Punctum” della prima voce, se ne sovrapponeva una nuova:
“Punctum contra punctum” ossia è nato il contrappunto vale a dire la
tecnica di mettere insieme note diverse.
Avete ascoltato:
1)IL CANTO DEGLI UCCELLI - Clèment Janequin: chanson a
quattro voci. La composizione è strofica: ad ogni strofa la musica si
ripete uguale. Il tema cantato è quello dell’amore primaverile,
accompagnato dal frizzante richiamo degli uccelli. La scrittura
polifonica, come nella tradizione dell’epoca, è ricca e complessa. Tutte le
voci sono maschili, anche quelle acute,interpretate da falsettisti: un
sopranista e un contraltista.
2)IN TABERNA QUANDO SUMUS (Quando siamo all’osteria): è tra i
Carmina Burana forse il canto goliardico più noto, per il carattere allegro
e burlesco che lo contraddistingue. Il brano ascoltato è stato eseguito con
strumenti dell’epoca quali, tra i fiati: ciaramella e bombarda (ad ancia
doppia); tra le percussioni: i naccari, piccoli tamburi medioevali; tra i
cordofoni: viella (ad arco), liuto, salterio e ghironda (a corde pizzicate).
Nel salterio le corde sono tese su una cassa a forma di trapezio che
l’esecutore appoggia sulle gambe. Nella ghironda una ruota sfrega o
pizzica una o più corde, mentre alcuni tasti cambiano intonazione come
nel monocordo. Il clima è allegro e scherzoso, tipico delle taverne.
3)VESPRO DELLA BEATA VERGINE - Claudio Monteverdi:
dà
un’idea del carattere sontuoso e solare della musica veneziana
tardorinascimentale. La composizione è scritta per coro a sei voci e
strumenti: cornetti, violini da brazzo, viole da brazzo, tromboni,
contrabbasso da gamba e organo. La distinzione da brazzo e da gamba
indicava il modo con il quale gli strumenti venivano sostenuti: con il
braccio o con le gambe, appunto.
HANNO COLLABORATO:
guidati dalla Professoressa Silvana Radaelli:
Valerio, Wagner, Gianluca,
Denis (che ha disegnato il pellegrino),
Petro, Claudia, Jessica, Mohamed,
Alessia (che ha procurato le immagini), Greta,
Gaia, Davide, Susanna, Cristina,
Dalila, Lorenzo (che ha curato la parte multimediale),Espè,
Alessia, Luca, Lorenzo, Leda.
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