Nostra Signora di Lourdes – Nostra Signora del Pilar Saragozza Pellegrinando dal Piemontese Pirenaico al Cammino di Santiago A.D. 2014 Presentazione del diario Il racconto non si limita alla stretta descrizione del solo avvenuto nelle tappe del cammino percorso, pone l’attenzione del lettore anche sul prima e il dopo del peregrinare con zaino in spalla. Perché, dal momento in cui si lascia la quotidianità per raggiungere il luogo fisico del peregrinare, si è già pellegrini nella mente e nel cuore e, nel particolare viaggio, pellegrini di fede per i luoghi toccati. 15 luglio 2014 Prima dell’alba A bordo del bianco SUV i pellegrini Arcangelo (nome che è garanzia di sicura protezione) Clelio e Walter raggiungono (alle 3.45 a.m.) Montecosaro Scalo dove sono in attesa Francesco e Orlando. Nel buio della notte, la fioca luce del lampione cade debolmente su due zaini lasciati incustoditi; spontaneo è l’interrogativo: “dove diavolo saranno i due pellegrini? … Ma per ora non troppo!” Eccoli sbucare, tra bisbigli di soddisfazione, dal laboratorio del fornaio disquisendo sulle fumanti prelibatezze assaggiate; chiaramente, non da Francesco nasce il nostro stupore, ma dal compagno di “merenda” la cui ferrea disciplina mostra le prime crepe. In viaggio, nell’attesa del risveglio del sole, i passeggeri si tuffano in un “brain storming” tranne uno che se la dorme tranquillamente incurante di contribuire a sostenere Arcangelo impegnato nella guida, anche se, in verità, il “pilota” si eccita quando c’è da alzarsi nel pieno delle tenebre di pellegrino consumato, distribuendo consigli a chiunque si trovi nel suo raggio d’azione, in particolare al giovanotto, aprendo un fitto discorso sotto la sicura cappa della sua saggezza. per tuffarsi nella guida notturna. Dopo un tranquillo trasferimento, come da programma (cosa che sarà sempre rispettata), intorno alle nove del mattino raggiungiamo l’aeroporto di Bergamo (Orio al Serio). Sono trascorsi appena una manciata di minuti quando all’unanimità manifestiamo la necessità di mangiare qualcosa prima del volo e, così, in un baleno ci troviamo stretto in mano un panino da divorare come se fosse l’ultimo pasto da qui ... fino a solo qualche ora più tardi! Nella sala d’imbarco si materializzano i primi contatti con altri pellegrini (l’aspetto è inconfondibile), tra questi un ragazzo inesperto che si appresta ad affrontare l’intero percorso di Santiago di Compostela. Orlando sfoggia la sua esperienza Lourdes In ritardo di un’ora rispetto all’orario previsto, noi, quasi pellegrini, insieme agli altri passeggeri dell’aereo, in maggioranza italiani, guadagniamo l’uscita dell’aeroporto per prendere il pullman navetta con destinazione la stazione ferroviaria cittadina. Purtroppo nei pressi della pensilina non c’è nessuna traccia del suddetto mezzo di servizio, solo taxi collettivi diretti a Saint Jean Pied de Port. Nella concitazione della trattativa tra tassisti e pellegrini diretti a Saint Jean, cresce il disappunto del centinaio di persone (tra cui noi) in chimerica attesa. Nel disagio di questo frangente ci accorgiamo che il mondo è piccolo; vi sono alcuni nostri conterranei diretti a Lourdes dove devono incontrarsi in serata con un gruppo dell’Unitalsi in volo da Ancona. Gira la lancetta dell’orologio ma nessuna avvisaglia del sospirato pullman. Essendo noi presenti quasi tutti italiani non ci meravigliamo più di tanto del disservizio e inganniamo l’attesa scambiando informazioni con altri pellegrini sulle difficoltà del cammino. Orlando ha sempre vicino il già citato giovanotto che non è intenzionato ad allontanarsi dal “Santone”... pardon Santoni Orlando, ancora una volta ebbro nel dare suggerimenti a due ragazze, soprattutto ad una di esse (di Rimini) che è alla prima esperienza ed ha in progetto di raggiungere Santiago percorrendo il cammino del Nord lungo la costa atlantica spagnola. Nello scambio di notizie sulla odierna destinazione: chi proseguirà in treno da Lourdes, chi dormirà nell’ostello della città; facciamo presente che per la imminente notte abbiamo prenotato l’albergo e siccome siamo in cinque, una voce sentenzia: ”pellegrini a cinque stelle!”. In realtà le stelle dell’odierno rifugio (accogliente e confortevole) sono soltanto due ma, ben presto le uniche stelle che si offriranno alla nostra vista saranno solo quelle delle notti, se stellate. Grazie all’intervento deciso di una francese, addetta all’accoglienza di gruppi organizzati di pellegrini diretti al Santuario di Lourdes, arriva il pullman e così, sia con le buone sia con le cattive tutti a bordo. Scesi dall’automezzo, è il momento dei saluti. Il giovane vorrebbe venire con noi ma ha già prenotato un posto all’ostello e così lo rincuoriamo dicendogli che probabilmente ci incontreremo al Santuario. La ragazza diretta al cammino del Nord salutandoci non vede Orlando, impegnato a sua volta a stringere la mano a chiunque gli sia stato a distanza di un metro o poco più; le chiediamo un po’ di comprensione se è stato invadente, l’Orlando (non furioso) attacca discorso con chiunque si trovi a portata di voce e lei sorridendo dice: “è proprio vero, è riuscito a parlare anche con me!” Pellegrini a Lourdes Guidati da Orlando, profondo conoscitore della città per aver prestato servizio di assistenza volontaria nei raduni annuali (2012, 2013) dell’Unitalsi, iniziamo il peregrinare toccando i luoghi più significativi della vita di Bernadette fino a raggiungere la grotta della Nostra Signora di Lourdes, scavata nella roccia su cui poggia un angolo della Basilica eretta a sua Gloria. Questo cammino di fede è interrotto da una deviazione di stampo consumistico: “l’ufficio del turismo”, luogo di forte attrazione per Francesco nella spasmodica ricerca di poster d’appendere al ritorno nella personale, casalinga, galleria fotografica. All’estremità di un’ampia spianata si erge l’imponente basilica cinta in testa da una corona d’orata. Dal cancello d’ingresso, sul lato opposto, due file di alberi d’alto fusto delimitano lo spazio con al centro un prato per metà della sua lunghezza per poi lasciare tutta l’area libera per il raduno dei pellegrini ai piedi della grande facciata del luogo di culto. Le ore 18.00 sono rintoccate da pochi minuti; seguendo il suggerimento dell’albergatore ci portiamo sul piazzale antistante la grotta, dominata dalla statua della Madonna di Lourdes posta nella sua sommità, limitato nel lato opposto da un muro al di là del quale scorre il corposo fiume (Gave di Pau), di considerevole portata d’acqua, che nell’estate del 2013 tracimò ed invase (arrecando notevoli danni) la grotta e la parte bassa della città stessa, come documentato da grandi foto poste sul parapetto del ponte d’accesso alla spianata della basilica. Qui è radunata una nutrita folla per la recita del rosario in un’atmosfera bella per semplicità e profonda partecipazione dei fedeli. Intorno alle 21.00 siamo di nuovo nel piazzale del Santuario dove è già tutto pronto per la processione delle fiaccole, che partendo dal lato della grotta percorrerà l’anello della grande spianata per fermarsi ai piedi del Santuario, allineando al centro tutte le carrozzine degli infermi spinte da crocerossine, vestite di bianco candido, che si prodigano per svolgere al meglio il loro compito. Nell’attesa ci accodiamo ad altri ...Dopo il fallimento del mulino di Boly, casa natale dove aveva vissuto con una certa agiatezza fino al 1855, la famiglia Soubirous poco a poco cade in miseria: disoccupazione, precarietà, sfratto. Nessuno vuole più saperne di dei Soubirous. La loro ultima possibilità è il cachot, “tugurio infetto e tetro”. Questa unica stanza è denominata “cachot”, perché era stata un tempo prigione comunale. La famiglia Soubirous vi trova riparo dal 1857 alla fine del 1858. pellegrini per entrare fisicamente nella grotta e sfiorare con la mano la parete rocciosa testimone del Santo Evento. Rapidamente guadagniamo la terrazza del Santuario dalla quale osservare la fiaccolata in lenta processione accompagnata da canti e musica sacra. L’emozione del lento movimento di questo popolo sofferente ma nello stesso tempo sereno, diventa toccante quando il cammino è scandito dalle note delle cornamuse di due musici, della comunità scozzese, sul sagrato della Basilica. Bene, cosa chiedere ancora a questa giornata? Tutto l’accaduto sembra parte di un disegno e, parafrasando il nostro pellegrino Francesco, ciò “è un segno!”; Certamente, senza dubbio le parole incise all’interno della casa di Bernadette: “Bisogna amare senza misura” Lasciano sgomenti noi poveri peccatori. A quel tempo la famiglia è composta da sei persone: Francesco Soubirous, sua moglie Luisa e i loro quattro figli: Bernadette (14 anni), Toinette (11 anni), Gian Maria (7 anni) Giustino (3 anni). Il mobilio si riduce ad una tavola, qualche sedia, un baule per la biancheria, due letti. E’ dal cachot che l’11 Febbraio del 1858, Bernadette partì con sua sorella e un’amica per raccogliere la legna a Massabielle. Quel giorno vi fu la prima Apparizione. 16 luglio 2014 Mattino: Trasferimento a Mauleon-Licharre Con ogni mezzo possibile occorre raggiungere Mauleon dove iniziare a muovere i primi passi del cammino con meta finale Pamplona. Il programma già predisposto prevede di prendere alle 8.38 a.m. il treno con “destino” Pau e lì, a distanza di soli cinque minuti dall’arrivo, la coincidenza per Oloron Sainte Marie. In attesa del treno, inaspettato l’annuncio: “il treno per Oloron è in ritardo di 5 minuti”. Per la miseria, addio coincidenza! Per buona sorte dei pellegrini tutto si appiana e Oloron è raggiunta come preventivato. Qui dobbiamo aspettare due ore prima di servirci di un ulteriore pullman per arrivare a Mauleon intorno alle 13.05 e solo allora, liberi dal giogo dei mezzi di trasporto, il destino sarà nelle n o s t r e mani, è un modo di dire; sarà nelle nostre gambe e piedi. Intravista all’arrivo di Oloron l’indicazione dell’ufficio del turismo, che ormai attrae uno di noi pellegrini più di una bella torta al cioccolato, lo raggiungiamo per vedere se è possibile raggiungere Mauleon con un taxi guadagnando un’ora di prezioso tempo (fondamentale) per portare a termine la tappa odierna. Nella “oficina de turismo” inizia lo show linguistico del Pellegrino, azzardiamo poliglotta; mescola italiano, italiano volgare, francese, basco nel chiedere informazioni e quanto altro. Il bello è che viene compreso dall’addetta anche se spesso non è, viceversa, scontata la sua comprensione. Bando agli indugi ci accordiamo sulla necessità di usufruire di un taxi che in pochi minuti verrà a prelevarci. Alla guida c’è una donna simpatica nella sua voluminosa esuberanza e vedendo solo maschietti dice indicando la fede sul dito: “e le femmes?”. Il personaggio è proprio quello di cui ha bisogno Francesco per nutrire la sua capacità di espressione linguistica; per tutto il tempo del tragitto parlano continuamente; il capirsi è secondario, l’incomprensibile “camminè” alla fine è individuato dalla taxista nel più corretto “marcher”. L’unica informazione di un certo rilievo fornita dalla “taxi driver” è che l’ultimo orso dei Pirenei è stato ucciso l’anno scorso!! Piazza di Mauleon, l’orologio segna le 12.00, al costo di 58 euro abbiamo guadagnato quell’ora che risulterà decisiva per la nostra … salvezza. Il sole picchia violentemente, la temperatura dell’aria è sopra i 30°C, il dilemma è:”fermarsi o non fermarsi nella trattoria al di là della strada?”... La scelta è ovvia. In cammino Pomeriggio: 1a tappa Mauleon Licharre – St Just Ibarre 22km Incuranti del caldo, con baldanza affrontiamo i primi km. Al primo villaggio lungo il percorso, all’ombra di grandi querce, due pellegrini: una giovane donna e il figlio probabilmente ancora nei suoi teen. La lancetta dei minuti non ha ancora compiuto un giro e già Francesco sembra conoscerli da tempo; sono polacchi ma da qualche tempo vivono a Parigi. Una esclamazione di meraviglia di Francesco rompe il fruscio del vento che si infiltra tra i rami degli alberi: “sono di Czestochowa, questo è un segno!”. L’idioma che diffonde nello spazio circostante potrebbe definirsi Esperanto per un mix d’italiano (lingua madre), francese (siamo in terra di Francia), spagnolo (in onore del cammino di Santiago). Rivolgendosi alla pellegrina fa presente che noi veniamo da Loreto dove c’è il santuario della Madonna Nera come a Czestochowa… ma con suo disappunto la pellegrina non ne conosce l’esistenza e, in un buon inglese, apre la discussione sulla via da seguire dato che uno dei due percorsi alternativi per raggiungere la meta odierna, è chiuso al passaggio pedonale per motivi di sicurezza, causa una frana. Pur avendo la stessa meta odierna seguiamo due vie di attacco diverse. Con stupore, circa un’ora dopo ci accorgiamo che sono davanti a noi, come è possibile? Il ragazzo procede con un movimento della gamba destra che anziché longitudinalmente se ne va trasversalmente alla strada. Il caldo è sempre più opprimente, quando ormai siamo alle ultime gocce d’acqua con la testa in piena ebollizione come pentola a pressione, di nuovo, all’ombra di un albero addossato ad un muretto delimitatore del letto di un fiumiciattolo, incontriamo una fontana dove si stanno rifocillando i pellegrini madre e figlio. E’ l’ultima oasi della giornata, il più (per noi creduloni) è alle spalle. Da lì a poco occorre affrontare una dura salita di cui non se ne sentiva la necessità e alla mercé del cocente sole in assenza di un refolo ventoso “cola” il sudore come da grondaia rotta sotto il temporale. La stanchezza rende manifesto un certo vaneggiamento e così per accendere l’ottimismo in questa valle di sudore coniamo dei motti e tra questi, uno appropriato alla natura di qualche pellegrino recita: “mangia prima che ti venga fame”, intavolando un discorso per dimenticare il disagio. A due km dall’arrivo la strada è bloccata ai pedoni causa una ulteriore frana; un cartello indica di entrare nel bosco; superato un cancello ci troviamo in compagnia di mucche al pascolo. Non vi è traccia di sentiero, a naso ci avviciniamo ad un muretto sormontato da filo spinato, con circospezione lo superiamo, fatto un passo ci accorgiamo della presenza di un cancello per evitare il salto spinato. Percorriamo un sentiero scosceso e fangoso per riguadagnare la giusta via. Percorsi 22km, siamo a St Just Ibarre, quattro case ed una chiesa dove tutto sembra immobile. Al centro del villaggio il nostro Hostal Rural, albergo bar che si fregia di aver vinto nel 2013 il premio di miglior ritrovo di St Just; è certezza che la concorrenza non era molto agguerrita. Dove è l’ingresso? Giriamo intorno all’edificio ma tutto è spento, ogni porta è serrata. Oddio l’Hostal è chiuso! Da lì a qualche secondo una vecchia Jeep arranca verso di noi, la fermiamo per chiedere informazioni e ... questo sì che è un segno, l’uomo alla guida è il proprietario che se ne stava andando; non avendo noi telefonato in giornata aveva chiuso “l’albergo”. Contrariato ritorna sui suoi passi e schiava la porta d’ingresso del bar rifugio. Le sue lapidarie parole sono: “la cucina è chiusa, solo le camere sono disponibili”. Già a conoscenza sin dalla prenotazione telefonica, fatta da interposta persona, che l’albergatore era di poche parole (sebbene la realtà va ben oltre) non abbiamo la forza di demoralizzarci e chiediamo almeno un bicchiere di acqua “municipal”. La fresca acqua ristoratrice sfrena Francesco in un miscuglio di vocaboli di dubbia comprensione accompagnati da gesti molto più eloquenti rivolti al taciturno gestore tuttofare per mendicare qualcosa, di qualsiasi genere purché sia da mangiare. Il miracolo: in silenzio, questo uomo corpulento e dalla vita solitaria che si compiace nelle foto affisse alla parete del bar dove è immortalato in veste di cacciatore nell’Africa nera, allinea su un tavolaccio di legno delle posate e fa il gesto di prendere posto. In pochi minuti sul tavolo depone un vassoio con prosciutto tagliato a mano contornato da evidente quantità di grasso, pezzi di formaggio e sorprendentemente da lì a poco deposita una fiamminga con bocconcini cotti di non so cosa e di quale parte di animale, il tutto lo innaffiamo con una buona birra. Dimenticavo, usufruiamo anche di un buon trancio di torta per chiudere il pasto in bellezza. La suddetta cena, non da cinque stelle, è rallegrata dalla compagnia, non invitata, di decine e decine di mosche che svolazzano festose per poi buttarsi in picchiata su piatti e bicchieri e alzando gli occhi, in bella vista pendono dal soffitto sopra le nostre teste delle carte moschicida che sembrano cedere sotto il peso di tanta “selvaggina” catturata. Qui il detto: “ciò che non strozza ingrassa” tocca la sua sublimazione. Al termine della cena in questo luogo detto “bar” entra, sorridente, riposata ed in “vestito da sera” la pellegrina polacca in compagnia di altri pellegrini alloggiati in una vicina casa rurale venuti a prendere una birra, in questo “bar bistrot” perché il loro rifugio è una bettola rispetto a questo… paradiso! I veri pellegrini (tre) non vedono l’ora di ritirarsi, mentre (due, i più mondani) rimangono in conversazione con gli altri in questo luogo di sconforto. Diranno poi di aver conversato (!) ma in verità hanno ascoltato vita morte e miracoli di una pellegrina austriaca che si è incamminata da Salisburgo e pensa di arrivare a Santiago fra qualche mese. Dopo questa cena è obbligatorio sperare bene! Saliamo fiduciosi al piano alto della pensione dove una discreta camera, con assenza di mosche, ci accoglie benevolmente. A domani. 17 luglio 2014 2a tappa: St Just Ibarre – Saint Jean Pied de Port 23 km Modesta è la colazione nel sempre continuo svolazzar di mosche. Prima dell'odierno: “avanti, in marcia”, uno sguardo incuriosito cade sull'architrave della porta esterna del bar diviso in sette scomparti con scritto: “Lunedì caccia alla palomba, martedì caccia alla palomba e così mercoledì e giovedì; non abbiamo ben decifrato che cosa si fa dal venerdì alla domenica”. Splendente è il sole e nessuna nuvola macchia il cielo. La oleografia del luogo, come la precedente tappa, ricorda quella di un paesaggio di alta montagna, ma è il caldo sfiancante che non dà tregua a ricordare che la quota in cui ci muoviamo è intorno ai 200 metri. In breve tempo il cammino ci accoglie a braccia aperte inerpicandosi su una salita scoraggiante di qualche km senza offrire una briciola d'ombra e tanto meno dell'acqua salvifica. Siamo solo noi lungo questa strada assolata escludendo degli aquilotti che volano sopra le nostre teste. Stranamente nessun pellegrino in vista. Il passo procede spedito e cadenzato, a due km da St Jean le Vieux due pellegrine, di Parigi, attirano la curiosità soprattutto di uno di noi che ama ripetere che viene dalla città di Loreto, ma ancora una volta tale luogo lascia indifferenti le pellegrine, perché non sanno minimamente dove sia. Siamo alle porte di St Jean le Vieux, all'angolo del primo incrocio stradale il bar che si fregia del nome di “bar del pellegrino”. Sorpresa, ma non troppa, sono già pronti per riprendere la via la donna polacca e il figlio; dopo un caloroso saluto ci sediamo nel tavolo vicino al loro. Il caldo è sempre più insistente, dall'asfalto arroventato si abbatte su noi aria che non porta certo refrigerio, la temperatura sarà intorno ai 35°C. Durante la sosta beviamo a volontà limitando il pasto ad un piccolo gelato mentre, in pochi minuti, sopraggiungono altri pellegrini, in coppia o solitari, soprattutto donne e ragazze. Due di loro, passando di fianco al nostro tavolo stracolmo di una selva di bottiglie di varie taglie, con umorismo dicono: “Avete per caso bevuto?”. “Forza, ancora tre km e anche questa tappa è alle spalle”. Entriamo a St Jean Pied De Port dalla porta medioevale dedicata a San Giacomo, a qualche metro oltre l'ostello pubblico già stracolmo di pellegrini. Non a caso, di fronte all'ostello c'è una fontana d'acqua, cosa più amata e ricercata dal pellegrino. Praticamente la parte storica di questa cittadina di frontiera si sviluppa lungo l'unica strada che scende dalla porta San Giacomo a quella di Spagna e l'ultima costruzione a questa addossata è la Cattedrale del paese. Al di là della porta un ponte immette nella parte più moderna dove è ubicato il nostro albergo. Oggi siamo arrivati, come sempre dovrebbe essere, nel primo pomeriggio e ciò permette di godere con calma di una doccia fresca, fare il bucato, stendere la biancheria su qualunque appiglio utile presente sulle imposte della finestra esterna della camera. Previdenti, prima della cena un salto al minimarket per il rifornimento di acqua e viveri energetici necessari per affrontare la prossima tappa pirenaica, che al solo pensiero ci fa dire: “sarebbe bello attraversare i Pirenei in carrozza!”. Durante il riposo pomeridiano esercizi di defaticamento, stretching dei pellegrini non proprio giovani e pieni di acciacchi. Mi allontano lasciando Clelio e Orlando parlare tra loro; rientrando osservo che uno (?) con alle spalle l'altro pellegrino (?) parla con voce pacata intento a spiegare non so che cosa... al che intervengo: “ma con chi parli? Non vedi che sta dormendo?”. Segni evidenti di primi sbandamenti cognitivi. Tale ulteriore indizio lo si ha poco dopo nel ristorante distante qualche decina di metri dal nostro rifugio notturno. Leggendo il menù in lingua francese e basca, ci sforziamo di comprendere la lista del giorno sperando di scegliere la giusta pietanza. Tra le varie voci fa mostra le parole “pasta alla carbonara”. La gentile cameriera con sorriso aspetta pazientemente il nostro ordine quando… l'Arcangelo si abbandona in forbito italiano in una disquisizione tecnica rivolta “all'ancella” (conosce solo il francese, al più il basco) per sapere se l'uovo viene cotto insieme alla pasta o depositato successivamente, perché ordinerà la carbonara solo se fatta come da sua ricetta. La ragazza, in silenzio, lo ascolta con un sorriso ancora più disarmante facendo sì che il pellegrino, non avendo ricevuto soddisfazione, si orienti su un piatto indicato casualmente dal dito che cade sulla carta del menù. Il fascino di St Jean Pied de Port Si respira l'aria di un avamposto di frontiera dove pionieri, soldati e avventurieri si concentravano prima di gettarsi nel selvaggio West. Qui la direzione da prendere l'indomani alle prime luci dell'alba è verso Sud e l'eccitazione dei pellegrini di varie nazionalità, in maggioranza giovani, guidati dalle più svariate motivazioni, si tocca con mano. Pensieri e discorsi sono rivolti alla nuova alba, al cammino, che dai 170 metri di St Jean porta in 25 km a Roncisvalle, terra di Spagna, percorrendo una lunga salita di circa 20 km fino ai 1430 metri del passo pirenaico per poi raggiungere con ripida discesa di 5 km il traguardo di tappa. La bellezza del cammino sta nel fatto che questo variegato popolo di pellegrini di differenti nazionalità ed età è accomunato dalla condivisione dello stesso pensiero, raggiungere domani la meta prefissata, nella solidarietà dell'uno verso l'altro, ed è qui che le parole “nel cammino di Santiago non si è mai soli” sono vere più che mai. Riprendo l'ordine cronologico degli eventi; le ombre della sera si fanno largo, godiamo il fresco seduti su una scala di fianco alla fontana d'acqua nei pressi della Cattedrale dopo una giornata caldissima con temperature sui 40°C che rendono l'idea di essere più che hai piedi dei Pirenei alle porte del Sahara. Con sfondo il citato luogo di preghiera, una pellegrina non giovanissima è impegnata ad auto fotografarsi, riconoscendo che siamo italiani chiede aiuto per immortalarsi; prontamente il nostro fotografo ufficiale non si fa pregare nello scattare non una ma due foto con diversi sfondi. E' di Torino, lavora alla Caritas ed è intenzionata a raggiungere da sola Santiago nei prossimi due mesi. Da tempo abbiamo deciso che noi non dobbiamo più preoccuparci della nostra vera località di provenienza, perché sembra che nessuno conosca i nostri luoghi, quindi è perentorio rispondere “siamo di Roma” evitando di recitare un rosario di località. 18 luglio 2014 3a tappa: St Jean Pied de Port – Aurizberri 32 km “Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina” (A. Manzoni) Allo stesso modo si può dire che i pellegrini dormirono profondamente la notte prima della dura battaglia che li attendeva. Solo per uno è la notte dell’invidia verso chi riposa tranquillamente; duro è lo sforzo per sostituire tale peccato con la virtù della pazienza. Sveglia alle 6.00, al primo barlume di chiarore, uno sguardo alla strada dalla finestra della camera e già giovani pellegrini con temeraria fretta si dirigono verso la porta di Spagna. Per noi, con meno spavalderia, la foto di rito dalla porta aperta nel muro di cinta che si apre sulla strada che punta verso il gran premio della montagna; è il “Tourmalet” del pellegrino. Nel silenzio mattutino, rotto solo da flebili bisbigli, un popolo si mette in marcia. La pendenza della strada è sempre più ardita e per vari tratti sicuramente è al di sopra del 20/25 %. Due longilinei finlandesi stanno già involandosi, koreani in calzamaglia vanno su con leggerezza, un attempato tedesco si accoda a noi, due giovani ragazze (sui vent’anni) canadesi vestite di nero, una magrolina e l’altra ben piazzata, suscitano in noi un sentimento di sofferenza per i loro piedi che calzano ridicole scarpe da ballerina. Diversi pellegrini ci superano ed allora coniamo, per rincuorarci, il nostro motto di battaglia: “tanto vi riprendiamo!”; in effetti così si verificherà fino alla nostra meta di Pamplona; il passista alla lunga supera sempre il velocista. Una pesante cappa nebbiosa limita la visibilità a pochi metri impedendo di vedere l’inerpicarsi della strada fino all’ultimo rifugio utile prima di Roncisvalle, posto dopo circa otto km di puro sforzo, senza possibilità di rifiatare. La sudorazione è al di là dell’umano, più che di gocce di sudore è appropriato parlare di vene d’acqua che scorrono sulla “roccia”. Nonostante ciò bello è l’andare, soprattutto quando all’improvviso si materializza a pochi metri dagli occhi la sagoma del “buon” rifugio. Qui ci imbattiamo in un ragazzo italiano, dall’aspetto ascetico, di Ravenna, che studia a Padova, in cammino con due ragazze, una bergamasca e l’altra quasi romana, conosciute un giorno prima sul taxi collettivo nel tragitto Lourdes-St Jean Pied de Port. Sorprendentemente non dobbiamo dire che siamo di Roma perché lui è stato ospite a Rapagnano di un suo compagno di studi; per premio lo invitiamo a mettersi in posa con noi per una foto di gruppo. Mai rifugio fu così preso d’assalto. All’esterno una fontana che fa brillare gli occhi vicino ad un belvedere (non oggi) per gettare lo sguardo verso valle. Il chiuso del ristoro offre un riparo provvidenziale dalla nebbia che cade a gocce; si mangia, si beve qualcosa di caldo, ci si cambia maglietta e canotta, ora pesanti come mattoni, sostituendoli con indumenti asciutti, beneficiando così di un rinnovato vigore fisico. Come direbbe un nostro ex pellegrino e guida di escursioni montane (sin dai tempi sabaudi!!): “Avanti Savoia”. Prima della vetta ancora seicento metri di dislivello da mettere sotto i piedi. Da lì a poco si esce dal mare di nebbia e a 360° appaiono le cime della catena pirenaica, illuminata dal sole, sferzata da un robusto vento che tende a farci sbandare nonostante il peso dello zaino in spalla. Tutto intorno prati con al pascolo mucche, pecore, capre, cavalli sparsi qua e là in un via vai di pastori baschi che a bordo di auto si muovono da una zona all’altra in un dedalo di stradine che s’intrecciano, scendono, salgono sulle montagne. L’andatura del compagno pellegrino Francesco è ad elastico: si avvantaggia, si ferma, perde terreno, recupera. Ad ogni rinnovo di contatto con noi compagni di cammino porta informazioni sui pellegrini con i quali si è trovato spalla a spalla nel suo frenetico andare: tedeschi, olandesi, spagnoli, peruviani, della nuova Zelanda, in particolare un seminarista ungherese che per suo compiacimento gli ha descritto l’origine della Santa Casa di Loreto, ma soprattutto si sofferma con koreani di Seul che lo informano sulla presenza di una ampia comunità cristiana in Korea unitamente alla notorietà in patria del cammino di Santiago. Raggiunta la fontana d’acqua del passo pirenaico all’ingresso del territorio della Navarra, Francesco ci presenta questi suoi ormai amici koreani, in particolare l’ingegnere informatico che si è preso un anno sabbatico. La padronanza delle lingue di Francesco è ormai totale. Lo Spirito Santo scese sugli apostoli e così, nella loro successiva predicazione, tutti quelli che li ascoltavano, pur di idiomi diversi, comprendevano le parole nella propria lingua d’origine. Ebbene Francesco non ha bisogno di questo miracolo, parla contemporaneamente negli idiomi di chi ascolta, l’unico dubbio è sulla comprensione degli ascoltatori ed anche della sua su ciò che sta dicendo. Un viaggio indietro nel tempo per tornare al momento in cui, nel percorrere in quota un tratto scoperto spazzato dal vento, io e Orlando affianchiamo una ragazza, che a corti passi avanza tranquilla senza mostrare significativo affaticamento. Chiede l’ora e poi, passo dopo passo, parola dopo parola, scopriamo che abita in un bel paesino vicino Bergamo e studia Psicologia a Padova. Da sola ha intrapreso questo cammino da compiere fino in fondo disponendo di tutto il tempo necessario prima della ripresa dei suoi studi nel mese di settembre. Dopo circa un km si ferma, nonostante l’assenza di ripari dal vento, per mangiare qualcosa, anche se a vista non è in difetto di risorse fisiche. Scopriamo che è lei la ragazza conosciuta dal ravennate, frequentano lo stesso corso di laurea a Padova ma non si conoscevano fino a ieri. Ritornando alla cronologia temporale ecco il bello della casualità. Giunti all’inizio della ripida discesa che ha nel suo mirino Roncisvalle rincontriamo la ragazzotta che si unisce a noi per quest’ultimo tratto di cammino, è stato logico chiederle “come ti chiami?” Elide è il mio nome. Sono quasi le 15.00, siamo ai piedi della grande collegiata di Roncisvalle con l’ostello ubicato al suo interno, meta della maggioranza dei pellegrini di questa impegnativa tappa. Con dispiacere salutiamo Elide ed i Koreani dovendo noi percorrere altri sette km prima della sosta giornaliera. Con simpatia uno dei koreani mima il telefono con la mano e sorridendo esclama: “No Alpitur! No Alpitur!”. Francesco saluta in particolare il seminarista ungherese che lo ha ulteriormente gratificato dicendogli che parla bene l’inglese; ora è il tempo per il nostro pellegrino poliglotta di eseguire un reset linguistico per una totale apertura allo spagnolo. Ormai, al termine di questa faticosa e fascinosa tappa è più che banale fare una riflessione veritiera su questo popolo in cammino, unito dalla comune fatica, avente come scopo comune il raggiungimento della meta e rimanere sempre stupiti dalla presenza di molte ragazze che non mostrano nessuna titubanza nell’affrontare, spesso in solitaria, il duro viaggio. L’avvincente giornata è alle spalle, domani “è un’altra tappa!”. 19 luglio 2014 4a tappa: Aurizberri - Pamplona 44 km Siamo all’ultima tappa del nostro cammino, è lunga, non difficile, con salita principalmente nei primi tratti. La temperatura è ideale, procediamo di buon ritmo fino ad incrociare un ponte in pietra che immette nella zona centrale (!) del grazioso borgo di Zubiri dove è possibile trovare ristoro. All’inizio del ponte ci imbattiamo con Elide in compagnia del ragazzo ravennate e la ragazza di Pomezia. Scambiamo alcune parole, loro stanno per riprendere la via per raggiungere il villaggio di Larassoana, mentre noi dopo un benefico “rifocillo” continueremo fino a Pamplona; forse ci rivedremo l’indomani al loro passaggio per Pamplona mentre noi bighelloneremo da turisti. I km scorrono veloci, però non è opportuno abbassare la guardia perché la strada è ancora lunga. Nel primo pomeriggio ci sorpassa in piena corsa un giovane atleta con al fianco, in bicicletta, un compagno che lo sta riprendendo in audio e video mentre lui rilascia impressioni sul percorso; sono a loro volta seguiti a breve distanza, mostrando tutta la sua fatica, da una gracilina ragazza che con la sua bici è addetta al supporto logistico. Sono brasiliani, sponsorizzati da aziende il cui nome è scritto sul retro delle loro magliette e stanno facendo un servizio per il sito “correndonomundo.com.br” e come apprendiamo rincontrandoli circa un’ora dopo in un bar per un ristoro, questa è la loro prima esperienza in Europa. La segnaletica con conchiglia indica Pamplona a 8.3 km: siamo praticamente in dirittura d’arrivo. Poco oltre un altro cartello con indicazione pista ciclabile, a differenza del cammino dei pellegrini a piedi che punta verso la montagna, segnala Pamplona a 10km. Quale via seguire? La più corta sulla montagna o la più comoda ma più lunga in pianura? La discussione non sembra arrivare ad una soluzione quando vediamo il trio “correndonomundo. con.br” sfrecciare in direzione della ciclabile, ingolositi dall’agevole percorso optiamo per la loro scelta. E’ un errore e gli errori si pagano, non con una tassa, ma con supplemento di fatica. La ciclabile sembra non finire mai nonostante l’elevata cadenza che sfiora la corsa, non proprio a breve, ma da un cartello turistico scopriamo che siamo sul parco fluviale che segue il tortuoso scorrere del fiume, descrivendo continue U ed S. Finalmente dopo oltre 41 km entriamo in Pamplona dal lato della città dove troneggia Plaza de Toros. Ancora tre km lungo viali che costeggiano ampi parchi prima di arrivare intorno alle 20.00 all’albergo dove abbandoniamo le vesti di pellegrini. Gli zaini possono essere riposti e così anche i bastoncini di spinta e ciò è un bene poiché il tic tac di vecchia memoria è stato sostituito in questo pellegrinaggio per ogni secondo, ogni metro, per tutti i metri percorsi con lo zaino in spalla da un ... traa trii, traa trii … è la sferza del cilicio su noi pellegrini! 20 luglio 2014 Pamplona Era ora, come ai tempi passati, largo spazio alla colazione mattutina. Dopo il quarto piatto (cadauno) dei due pellegrini che sanno meglio apprezzare ciò che è offerto dal buffet assaggiando ogni cosa in mostra, raggiungiamo il centro storico per un meritato vagabondaggio. Da piazza Castillo ci portiamo lungo la via percorsa dai “Toros” nel giorno di San Firmino. Nell’attesa dell’uscita di Francesco dal ben noto (anche al lettore) ufficio, per la terza volta incontriamo Elide in solitaria che con panino in mano (o meglio ciò che ne resta) è alla ricerca di un market dove comprare viveri per la giornata per lei ed i suoi compagni di viaggio. Continuiamo a girovagare, raggiunta la piazza antistante la Cattedrale, che aprirà al pubblico alle ore 12.00 in concomitanza della celebrazione Eucaristica, seduti su una delle panchine incontriamo i compagni di cammino di Elide e salutandoli li sollecitiamo a mettersi lo zaino in spalla per raggiungerla poiché difficilmente tornerà indietro. Un venticello frizzantino rende piacevole questo andare a zonzo per il centro storico. Il suono delle campane annuncia l’inizio della celebrazione in Cattedrale e così ci rechiamo là con sollecitudine. La cerimonia è accompagnata dall’emozionante suono di un imponente organo alla cui tastiera e pedaliera un uomo in saio bianco dà sfoggio di tutta la sua maestria e sulle note dell’organo la voce di un cantore allo stesso tempo armonica e coinvolgente. Tutto si svolge nel silenzio dei presenti senza il trillio dei cellulari, bambini che corrono, fedeli che bisbigliano. Il celebrante viene Da Santiago di Compostela alla guida di un gruppo di suoi parrocchiani. Questo è il “segno” cercato da Francesco: “anni addietro nel nostro pellegrinaggio portoghese a Santiago, celebrò la messa il Vescovo di Pamplona alla guida di fedeli della Navarra, ora qui nel cuore della Navarra celebra la funzione religiosa un prelato di Santiago”. Cibati di un misero panino, via treno andiamo a Saragozza, città fondata da Cesare Augusto. L’addentrarsi nella terra spagnola è evidente, ormai lo spagnolo del nostro compagno pellegrino fluisce come fiume in piena. Saragozza Scesi dal treno, di corsa sull’autobus per raggiungere la fermata di viale Cesare Augusto a un centinaio di metri dal nostro Hotel. Francesco indica all’autista, sulla mappa, dove dobbiamo scendere e nella piena euforia di esprimersi in spagnolo, gli ricorda di allertarci con la seguente chiara espressione (mi scuso se l’ortografia non è corretta): “sesserecuerda” Ecco il nostro hotel, è un quattro stelle, ora sì che siamo pellegrini “quasi” a cinque stelle. Nel momento in cui stiamo per varcare la soglia d’ingresso, la nostra attenzione è attratta dal suono di tamburi che accompagnano una lentissima processione nella via laterale che costeggia l’Hotel: è la processione della consacrazione della Maddalena, Aragona 1750, e questa via è a Lei intitolata. Prima di continuare, mi concedo un passo indietro nel tempo per risaltare la dimestichezza linguistica del pellegrino più volte menzionato. Sull’autobus intavola un discorso con una giovane coppia impegnata a mantenere ferma la carrozzina del proprio figlioletto, alla fine il pellegrino con estrema naturalezza porge questa domanda: “comos se traduces destra in spagnolo?”. voi?” Chiaramente la ragazza non comprende un accidente e prontamente chiede se conosce l’inglese; al sì, la giovane snocciola un inglese fluente che mette per un attimo in difficoltà l’ormai pseudopellegrino; niente paura, le toglie la parola e nel suo personalissimo British racconta le recenti e passate imprese da pellegrino. Ritorno al momento cronologico sospeso. Alla ragazza della reception tra le varie informazioni, Si lascia al lettore indovinare se l’interrogativo è stato sciolto. Inoltre, alcuni minuti più tardi, nell’avvicinamento all’albergo con la mappa stradale in mano e lo sguardo vigile per individuare i vari incroci, una giovane coppia di olandesi affianca Francesco che interpreta ciò come se avessero bisogno di una informazione stradale e in italiano con inflessione spagnola dice: “io sono in cerca dell’Hotel, voi cercate l’ostello?”. Dalla risposta si comprende che il discorso fra i soggetti non produce nessun risultato utile al che si rivolge così alla ragazza: “voi volete aiutare noi? o noi dobbiamo aiutare aprendo la mappa della città appoggiandola sul banco chiediamo di indicarci dove trovare dei buoni ristoranti. La ragazza con penna in mano per fare un cerchio sulla cartina stradale, con serietà professionale, parte con “Domingo”, la voce è ancora sulla vocale finale che Francesco ha uno scatto improvviso e catapultando lo sguardo sulla mappa chiede “donde sta’ Domingo!”. E’ impossibile per la ragazza, i presenti nella hall e noi poveri pellegrini non scoppiare in una sincera risata generale. Voleva solo dire che oggi è domenica, i ristoranti sono chiusi, l’alternativa sono le “Tapas”. Depositati gli zaini, a piedi raggiungiamo la piazza dominata dal Santuario di Nostra Signora del Pilar lungo il lato maggiore di un quadrilatero con al fianco, sul lato minore, la cattedrale del Salvatore. Ammiriamo soprattutto la facciata del Santuario con grande cupola centrale, campanili ai quattro angoli e cupole più piccole a tegole colorate. All’interno, al centro dell’ampio spazio, un altare con la statua della Signora del Pilar. La statua è molto piccola rapportata alle dimensioni del luogo; gli ornamenti, i fregi, gli ori sono armonici e delicati dando un senso di leggerezza come se fosse sospesa nell’aria. Una semplice preghiera, una breve meditazione e riflessione è d’obbligo prima del congedo con il proposito di una ulteriore visita l’indomani mattino. Bene, è l’ora delle “Tapas”. In fin dei conti cosa esattamente sono non importa, l’interessante è che si mangi. Sotto il porticato all’angolo della piazza in prossimità della Cattedrale una insegna galeotta attira la nostra attenzione: Buffet&Tapas; sbirciamo dalla vetrina esterna per capire che cosa offre. Il locale è pieno di avventori che si muovono come foglie al vento. Entriamo e chiediamo come funziona, il signore alla cassa mostra una autorità padronale e spiega che occorre sedersi ad un tavolo, ordinare solamente le bevande e pagando all’uscita 15 euro a testa oltre al costo delle libagioni, si è liberi di mangiare tutto ciò che si vuole fino alla propria resa; ovvero “Tapas” vuol dire assaggi vari con quantità illimitata! Non ci facciamo pregare e in un batter d’occhio ci gettiamo nel mare di assaggi, nessuna formalità per capire che cosa prendiamo, nessun ordine nello svolgere il menù individuale: passiamo dal riso al gelato, dal dolce alla zuppa per ricominciare poi con qualche altra stranezza e così via. Il bello è che pur mangiando, mangiando e innaffiando il tutto con birra non avvertiamo quell’ovvio senso di sazietà e solo per stanchezza alziamo bandiera bianca. Poi nella più che fresca e ventosa notte ci spingiamo fino al ponte sul fiume Ebro per alcune foto rivolte all’affasciante spettacolo offerto dal Santuario artisticamente illuminato. 21 luglio 2014 Ultimo giorno Noi pellegrini ormai semplici turisti ritorniamo di primo mattino ad ammirare ancora una volta Nostra Signora del Pilar e, a seguire, la bella cattedrale del Salvatore ricca di cappelle laterali dedicate ai Santi della Chiesa. Dalla sera precedente, Arcangelo, si sta prodigando in una serie ininterrotta di scatti, fotografa ogni mattone, capitello, lampione, immagine che cade anche oltre il raggio visivo correndo di qua e là, scompare e ricompare alla nostra vista ma sempre con l’indice destro che si abbassa con frenesia; una schiera di giapponesi impallidirebbe alla sua vista. Le ultime briciole di tempo le impieghiamo per il luogo (deludente) simbolo dell’Aragona ‘Aljaferia’ dove si conservano i resti di quella che dovrebbe essere l’Alhambra Aragonese. Il pendolo dice stop, non rimane che guadagnare l’aeroporto. L’interrogativo Dalla lettura, è lecito manifestare il dubbio: “che tipo di pellegrinaggio è stato? Pellegrinaggio non è forse, comunemente parlando, raggiungere una meta di ben preciso significato seguendo un percorso delineato nel suo principio e fine?” In quanto descritto sembra esserci un po’ di confusione: si percorre la fine del cammino pirenaico, quindi l’inizio del cammino di Santiago, saltando da un Santuario all’altro... ebbene sì, abbiamo fatto solo movimento, senza un preciso ordine, sia a piedi che con diversi mezzi di trasporto, movimento che avviene nella: “natura che è forma, che è forma non soltanto fisica perché visibile anche con gli occhi dell’intelletto ...” e poiché tutto ciò che abbiamo fatto avviene nel: “tempo che è il numero del movimento secondo il prima e il poi perché esso in ultima analisi rende compatibili tutte le realtà naturali che sarebbero in contraddizione (bagnato o asciutto, inizio o fine); che possono diventare compatibili per uno stesso soggetto in tempi diversi. L’interessante che il movimento non sia astratto ma solo movimento di un soggetto suscettibile di moto (Aristotele)” Così è chiaro che per noi il tempo del cammino ha reso compatibile la fine di uno con l’inizio dell’altro nel nostro movimento nel “tempo”. Al lettore Al lettore che ha avuto la pazienza di arrivare alla fine della lettura del diario, chiedo comprensione se la descrizione è apparsa tediosa, banale, prolissa per un racconto che si è allargato oltre le tappe oggetto del pellegrinaggio vero e proprio. Ho preso la licenza di riportare con un pizzico di “humor” tutto ciò che è stato di contorno, poiché ogni momento ha in fondo una intensa autentica bellezza e gli episodi che pur esulano dal pellegrinaggio in senso stretto, sono frammenti di vissuto nel peregrinare della vita.