82
Capitolo 6. Il modello B & S: le basi
“Every financial axiom I’ve ever seen is demonstrably wrong.”
(P. Wilmott, [53], p. 1)
Capitolo 7
Il modello B & S:
complementi
7.1
Introduzione
Questo capitolo mescola problemi di taglio teorico e di taglio pratico sul modello b&s. Apro coi primi occupandomi del cosiddetto principio di linearità
delle valutazioni. Passo poi ai secondi parlando di stima della volatilità, di
alcuni parametri, detti i greci, usati per controllare il valore di un portafoglio,
nonché della relazione di parità put-call e delle tecniche di copertura. Chiudo
infine con qualche stringata riflessione teorica sollevata da alcune critiche alle
ipotesi del modello.
7.2
Principio di linearità delle valutazioni
Parlando del modello di b&s standard ho visto che è possibile replicare una call
europea mediante un paf che contiene varie attività finanziarie in proporzioni
opportune. Senza rendermene conto, per trovare un portafoglio del genere ho
sfruttato il seguente
Teorema 7.2.1 (Proprietà di linearità delle valutazioni) . Siano Φ1 e
Φ2 le funzioni di contratto per i derivati semplici X1 = Φ1 (ST ) e X2 = Φ2 (ST )
e siano α1 e α2 numeri reali. Infine il mercato sia arb.free. Allora vale la
seguente relazione di valutazione:
F (t, α1 Φ1 + α2 Φ2 ) = α1 F (t, Φ1 ) + α2 F (t, Φ2 ) .
Dimostrazione. Mi basta usare la formula di valutazione arb.free (6.4.5)
e la linearità di E [ · ].
Nel séguito utilizzerò a man bassa questa proprietà di linearità, almeno
finché potrò. La stessa viene spesso usata anche per valutare un T -derivato
83
84
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
complesso, che viene decomposto in una opportuna combinazione lineare di
attività semplici, che di solito comprendono: azioni, bond e opzioni europee
call o put con vari prezzi di esercizio e/o scadenze.
7.3
Volatilità
L’utilizzo pratico della formula di b&s (6.5.4) richiede da un lato l’osservazione
di St , r (dati che leggo sul mercato), (T − t) e K (li leggo nel contratto), e dall’altro la stima della volatilità σ dei rendimenti dell’azione sottostante, 1 . Semplificando, per quest’ultima ci sono 4 approcci: quelli della volatilità storica,
della volatilità implicita, della superficie di volatilità, della volatilità stocastica,
che ora riassumo. Tornerò poi nel par. 7.7.6 sull’argomento.
7.3.1
Volatilità storica
Il 1◦ approccio stima σ sulla base della variabilità delle quotazioni in un recente
passato. Per esempio, se la mia opzione scade tra 3 mesi, userò i dati storici del
prezzo dell’azione sottostante nell’ultimo trimestre. Apro allora una parentesi.
Riscrivo la solita eds che regge St nella forma
dSt
= α dt + σ dWt , ovvero : d ln St = α dt + σ dWt ,
St
anzi, nella corrispondente equazione alle differenze
∆ (ln St ) = α (∆t) + σ (∆Wt ) ,
cioè
ln (St+∆t /St ) = α (∆t) + σ (Wt+∆t − Wt ) .
Ora calcolo media e varianza di ln (St+∆t /St ) ricordando che α e σ sono
costanti e che (Wt+∆t − Wt ) ha media nulla e varianza ∆t:
E [ln (St+∆t /St )] = α (∆t) ,
var [ln (St+∆t /St )] = σ 2 (∆t) ,
dunque
E [ln (St+∆t /St )]
,
α=
∆t
σ=
r
var [ln (St+∆t /St )]
.
∆t
Io voglio fare i miei conti sulla quotazione S (t) alla chiusura di ciascuno
degli ultimi n giorni lavorativi dell’ultimo trimestre nei quali l’azione è stata
1
Si tratta dello scarto quadratico medio non delle quotazioni dell’azione, ma di quella
dei rispettivi rendimenti. Accontentandomi di valutazioni a spanne, valori plausibili su base
annua di σ per titoli azionari stanno tra 0.05 e 0.50 (di solito è σ ≥ 0.2).
7.3. Volatilità
85
quotata, sul totale degli N giorni lavorativi dell’intero anno. Di solito si prende
1
n = 63 e N = 252. Prendo allora ∆t = 1 giorno, cioè 252
di anno. Passo a
calcolare gli n tassi di rendimento giornalieri
α1 = ln
S (t1 )
S (t2 )
S (t63 )
, α2 = ln
, . . . , α63 = ln
,
S (t0 )
S (t1 )
S (t62 )
dei quali calcolo media m e varianza v2 (giornaliere):
2
1 P63
1 P63
v2 = var [αi ] = 63
m = E [αi ] = 63
i=1 αi ,
i=1 [αi − m] ,
dalle quali mi escono α e σ:
P
m
α=
= 4 63
i=1 αi , σ =
1/252
s
q
P63
v2
2
=2
i=1 [αi − m] ,
1/252
stavolta calcolati su base annua, come sempre intenderò salvo avviso contrario.
Alcuni modificano questo metodo classico usando pesi che smorzano l’effetto di rendimenti anomali (cioè troppo lontani da m) o troppo lontani dalla data
della stima. I metodi di perequazione (smoothing) sono vari. Uno speciale, che
era usato dalla J.P. Morgan [41], sceglie i pesi in modo da rendere minima la
somma dei quadrati degli scarti tra la volatilità storica e quella implicita che
ora vedo.
7.3.2
Volatilità implicita
La volatilità storica riassume il comportamento passato della volatilità. Tuttavia essa di fatto non è per nulla costante, ma varia, e di parecchio, nel tempo.
Qui salta fuori un problema di fondo. Al contrario di molti sistemi fisici chiusi
nei quali le condizioni iniziali governano il futuro, nei mercati questo dipende
pesantemente da eventi futuri che oggi sfuggono al mio controllo e da informazioni che oggi non conosco e non posso prevedere, sicché mi devo accontentare,
almeno quando ci riesco, di capire ciò che la gente immagina possa succedere.
A tale proposito, alcuni, dopo aver sottolineato che “la storia non si ripete
mai”, affermano che è più serio trovare un modo per stimare σ che sia d’accordo con le aspettative di mercato sulla volatilità, cioè la cosiddetta volatilità
implicita. Con riferimento ad una call europea, si tratta di:
• rilevare tutti i dati (T − t), r, St e K, nonché il prezzo di call europee
diverse per il prezzo di esercizio K e/o la diversa durata (T − t), però
per il resto eguali a quella che voglio valutare;
• supporre che il prezzo dell’opzione sia sempre determinato con la formula
di b&s (6.5.4);
86
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
• trovare la volatilità implicita, cioè l’unico σ che risolve quest’equazione 2 .
Il successo della formula di b&s è testimoniato dal fatto che spesso alcune
azioni sono proprio quotate in termini della rispettiva volatilità implicita. In
teoria (cioè se ho una fiducia cieca nel modello di b&s e nel mercato) la soluzione σ non dovrebbe variare coi diversi valori di K. In pratica si osserva
invece il fenomeno detto volatility smile (il sorriso mi ricorda quello del gatto
di Cheshire in “Alice nel Paese delle Meraviglie”), nel quale σ è descritto, al
variare di K, da una curva a U che ha un minimo per le opzioni at the money
(cioè con St = K), mentre si alza man mano che mi sposto verso le opzioni
sempre più out the money (St < K) o in the money (St > K). In qualche rara
occasione la curva diventa invece a U rovesciato (cioè _ anziché ^, e allora
si parla non di smile ma di frown: faccia di disapprovazione, smorfia), oppure
crescente o decrescente, o anche irregolare. Infine, quasi sempre la volatilità
implicita calcolata sui prezzi effettivi delle call è un po’ diversa da quella che
esce dai prezzi delle put. In tutti questi casi emergono imperfezioni del modello
di b&s, cioè sospetti sulla sua capacità di descrivere perfettamente l’effettivo
comportamento del mercato. O meglio: il modello magari funziona, ma non
è più vero che σ è indipendente dal resto, in particolare da K, o dal rapporto
St /K.
7.3.3
Superfici di volatilità
Posso supporre che la volatilità σ varii nel tempo durante la vita dell’opzione,
però ancora in modo deterministico. In questo caso, se indico con σ z il valore
1 RT
(σ z )2 dz e nella
di σ all’istante z ∈ [t, T ], mi calcolo la media (σ̄)2 =
T −t t
formula di b&s (6.5.4) al posto di σ scrivo σ̄ e con questa semplice variante
tutto resta in piedi. Se σ z è definita soltanto per alcuni z ∈ [t, T ], è comune
ridefinire σ̄ immaginando che σ z sia lineare a tratti sugli altri valori. Naturalmente, essendo ignota la legge che governa σ z , devo arrangiarmi cercando di
estrarla dalle informazioni che ho, battendo la seguente strada, che è un po’ più
raffinata di quella della volatilità implicita. Considero le quotazioni di tutte
le call e le put europee, di varie scadenze T e con diversi valori del prezzo di
esercizio K, che oggi vengono trattate sul mercato. Da ognuna delle quotazioni estraggo la rispettiva volatilità implicita σ, che dunque varia con la coppia
(T, K), diciamo σ (T, K). Questa funzione misura la volatilità per una specifica
coppia (T, K), e gli addetti ai lavori la battezzano forward volatility (termine
un po’ ambiguo). Della funzione σ (T, K) conosco solo alcuni punti, quelli che
corrispondono ai soli contratti che oggi sono conclusi. Il problema che a questo
2
La stretta monotonia del valore F della call e della put europea rispetto a σ (nel par.
7.4.1 vedrò infatti che è ∂F/∂σ > 0) garantisce che questa radice è unica. La posso calcolare
anche per via breve usando i programmi freeware indicati nella nota di pag. 113.
7.3. Volatilità
87
punto mi si presenta è un problema di interpolazione, che dunque va risolto
con tutti i trucchi e le ingenuità (palesi o nascoste) tipici di ogni problema del
genere. Ad esempio, se la griglia dei valori disponibili di (T, K) presenta pochi
buchi, posso costruire la cosiddetta superficie delle volatilità locali interpolando linearmente tra i valori noti di σ (T, K). In caso contrario sono costretto ad
assumere una qualche ipotesi sul tipo di funzione che può descrivere σ (T, K)
ed ecco che il problema iniziale, cacciato dalla porta (conoscere la legge che
governa σ), rientra dalla finestra. Sia come sia, la superficie delle volatilità è
un prodotto con scadenza molto più breve di quella del latte fresco. La colpa
non sta nei difetti del metodo che posso usare per costruirla, bensì nel fatto
che il punto di vista del mercato sulla volatilità futura può benissimo cambiare
anche nel giro di un quarto d’ora.
7.3.4
Volatilità stocastica
Ovviamente, visto che l’appetito vien mangiando, sono stati messi a punto
modelli di volatilità stocastica, nel senso che il comportamento di questa viene
descritto da una eds (modelli a due fattori ), coi suoi bravi termini di deriva e
di diffusione. Prendendo a prestito termini della teoria dei tassi di interesse, nei
modelli con volatilità variabile la curva di σ al variare di t viene battezzata da
quelli del mestiere volatility term structure: struttura a termine della volatilità.
In una delle versioni più semplici ma già decenti, questo approccio associa
all’eds che regge St un’altra eds che regge σ t , per esempio
(
dSt = αSt dt + σ t St dWt ,
h
i
h
i
(7.3.1)
d (σ t )2 = η (σ 0 )2 − (σ t )2 dt + θ (σ t )2 dWt∗ ,
∗
con W
h t e Wt p.s. idi Wiener, η, θ e σ 0 parametri > 0. Il termine di deriva η (σ 0 )2 − (σ t )2 dt segnala che la volatilità effettiva σ t può anche scostarsi
dalla volatilità di lungo periodo (o volatilità media) σ 0 , ma viene richiama3
ta
´ valore grazie al parametro di aggiustamento η, . L’addendo
³ verso questo
2
∗
θ (σ t ) dWt indica invece movimenti imprevedibili nella volatilità, stocasticamente indipendenti dal livello di St . Questo θ è, ridicolo a dirsi, la volatilità
della volatilità. L’unica cosa che posso dire per chiudere il discorso è che la
volatilità resta, comunque e purtroppo, una variabile non osservabile o quasi,
per giunta parecchio capricciosa (sinonimo di volatile), dunque sommamente
instabile. Debbo anche osservare che, se la volatilità è stocastica, costruire un
3
Questo effetto di richiamo è tipico delle cosiddette eds del tipo mean reverting (ovvero dei
processi di Ornstein-Uhlenbeck ). Una caratteristica importante di queste eds è la positività
di ogni traiettoria che parte da un valore iniziale S0 > 0. Sono anche imparentate coi
modelli econometrici del tipo garch(1, 1), cioè riconducibili all’equazione alle differenze finite
(σt+1 )2 = ω + a (σt )2 + b (r̃t )2 , con r̃t v.a. che definisce il tasso di rendimento, al netto del
drift r, del sottostante, nella forma St+1 /St − (1 + r) = σt r̃t .
88
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
portafoglio di perfetta copertura diventa una grana: una miscela di derivato
e di attività sottostante non basta più, occorre miscelare (ma la cosa è molto
più semplice da dirsi che da farsi) diversi derivati.
7.4
7.4.1
I greci
Cosa sono
Considero il valore V = V (t, St ) a t di un portafoglio che contiene un (unico)
sottostante, il cui prezzo a t indico con S = St , oltre ad 1 o più derivati su
quel sottostante. Ha forte interesse pratico misurare la sensitività di V rispetto
sia a cambiamenti di prezzo nel sottostante (per misurare la mia esposizione
al rischio rispetto a variazioni in S), sia a mutamenti in t e nei parametri del
modello (per capire cosa succede se ne ho specificato male i parametri). A
questo scopo vengono introdotti i seguenti oggetti, detti i greci (qualcuno dice:
le greche) perché battezzati tutti (salvo l’ultimo, che si chiama anche k, κ o z)
con lettere dell’alfabeto greco:
N =
delta
∂V
,
∂S
∂V
,
Θ =
theta
∂t
Γ
gamma
=
∂2V
,
∂S 2
ρ =
ro
∂V
,
∂r
(7.4.1)
∂V
V =
.
vega
∂σ
Definiti questi simboli 4 , posso divertirmi a riscrivere l’edp (6.2.6) del modello di b&s, cioè
Ft + rS (FS ) + 12 σ 2 S 2 (FSS )
|{z}
|{z}
| {z }
Θ (theta)
N (delta)
− rF = 0,
Γ (gamma)
nella forma stenografica
Θ + rSN + 12 σ 2 S 2 Γ − rF = 0.
Un portafoglio insensibile a piccole variazioni in S (dico piccole perché,
attenzione!, si tratta di un discorso soltanto locale!) è detto N-neutrale (leggi:
delta-neutrale). Con N ( · ) e ϕ ( · ) funzioni di distribuzione e di densità della
gaussiana standardizzata, nel caso di una call europea ottengo (basta derivare
4
Come fanno tutti, ho usato un po’ dovunque il simbolo ∆ per indicare incrementi, ad
esempio ∆t o ∆St . Nel par. 6.1 ho poi introdotto con la (6.1.2) il simbolo N, che qui ritrovo
come stenografia di ∂V /∂S (o di ∂F/∂S, se il portafoglio contiene soltanto una call europea
che vale F ). Lo so che N è un simbolo semplicemente orrendo (di solito si scrive ∆ per ∂V /∂St
e si tira via), ma ci tenevo ad evitare confusioni e non sapevo come regolarmi diversamente.
7.4. I greci
89
i 2 membri della formula di b&s (6.5.4), ma è noiosissimo):
µ
¶


σ2
St
+
r
+
ln
(T
−
t)


K
2
,
√
N = N (d1 ) 

con d1 =
σ T −t
³
´
2
con ϕ (z) = √12π e−z /2 ,
³
´
√
ρ = K (T − t) e−r(T −t) N (d2 )
con d2 = d1 − T − t ,
Γ=
ϕ (d1 )
√
St σ T − t
−σSt ϕ (d1 )
√
− rKe−r(T −t) N (d2 ) ,
2 T −t
√
V = St T − t ϕ (d1 ) .
Θ=
Nel caso dell’esercizio (6.5.5) ho
N ' 0.226385,
ρ ' 5.49982,
Γ ' 0.060191,
Θ ' −3.889531,
V ' 15.047798.
Per una put europea Γ e V sono gli stessi della call e gli altri greci sono
N = N (d1 ) − 1,
ρ = −K (T − t) e−r(T −t) N (−d2 ) ,
Θ=
7.4.2
−σSt ϕ (−d1 )
√
+ rKe−r(T −t) N (−d2 ) .
2 T −t
Delta- e gamma-hedging
Ho il portafoglio P, che a t vale V = V (t, S), e voglio immunizzare il suo
valore contro piccole variazioni nel prezzo S = St del sottostante, nell’ovvia
ipotesi che il suo delta, che chiamo NP = ∂V
∂S , non sia nullo e, beninteso, senza
liquidare tutto per investire il ricavato in bond privi di rischio. Un’idea seria è
di aggiungere al mio portafoglio P un nuovo prodotto (derivato o sottostante):
essendo il suo prezzo correlato con S, posso forse dosare questa correzione in
modo che il nuovo portafoglio sia N-neutrale. Indico con x la quantità di questo
prodotto, con F = F (t, S) il suo prezzo e con NF = ∂F/∂S 6= 0 il suo delta.
Il valore V (t, S) del nuovo portafoglio è
V (t, S) + xF (t, S)
90
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
e per averlo N-neutrale devo scegliere x in modo che sia
∂V
∂F
∂ [V (t, S) + xF (t, S)]
= 0, ovvero
+x
= 0,
∂S
∂S
∂S
∂V /∂S
NP
, diciamo x = −
cioè: x = −
.
∂F/∂S
NF
Mi metto in un esempio. Avendo sottoscritto un derivato (ne sono writer,
perciò l’ho scritto in Bilancio al Passivo) con la funzione di prezzo F (t, S),
voglio ora coprirmi usando il sottostante, del quale acquisto x unità, con x
da scegliere in modo che la variazione nel valore del mio portafoglio sia nulla.
Poiché all’Attivo ho xS ed al Passivo ho F (t, S), il valore del mio portafoglio
è xF (t, S) − V (t, S) ed imponendo che la sua derivata rispetto ad S sia nulla
ottengo
∂F (t, S)
∂ [xS − F (t, S)]
= 0, cioè: x =
;
∂S
∂S
ecco che il N del derivato, cioè ∂F (t, S) /∂S, mi indica proprio la quantità del sottostante che devo detenere per immunizzare il mio portafoglio P: è
esattamente lo stesso trucco usato da b&s nel modello b&s ’73 (par. 6.1).
Naturalmente, le variazioni che così riesco a controllare sono soltanto locali.
Dunque, visto che tutti i valori cambiano man mano che il tempo passa, per
fare le cose seriamente dovrei procedere con un ribilanciamento (N-hedging, Ncopertura) continuo, cioè istante per istante. Trattandosi di cosa costosissima
e di fatto impraticabile, mi accontento allora di un ribilanciamento discreto,
cioè fatto ogni tanto (ne riparlo nel par. 7.6). Se il mio portafoglio P ha valore
V (t, S), mi converrà sorvegliare anche il Γ di P, che è proprio ∂ 2 V (t, S) /∂S 2 , e
cercare di rendere P anche Γ-neutrale. Ci ragiono su. Il N e il Γ del portafoglio
integrativo, cioè dell’azione sottostante, sono dati da
NS = 1,
ΓS = 0,
perciò non posso usare l’azione per controllare il Γ del portafoglio. Dunque,
per rendere il portafoglio sia N- che Γ-neutrale ho bisogno di 2 diversi derivati,
per esempio 2 call con valori diversi di K o di T . Indico con: G (t, S) e H (t, S)
i valori dei 2 diversi derivati (coi N e Γ che sono NG , NH , ΓG , ΓH ), xG e
xH le loro quantità, V = V (t, S) il valore del mio portafoglio originale da
immunizzare, V̄ = V̄ (t, S) quello del portafoglio immunizzato. Ho dunque
V̄ (t, S) = V (t, S) + xG G (t, S) + xH H (t, S) .
Averlo N- e Γ-neutrale vuol dire che xG e xH devono rendere
∂ V̄
= 0,
∂S
∂ 2 V̄
= 0,
∂S 2
7.5. Relazione di parità put-call
91
cioè che devono risolvere il sistemino lineare 2 × 2 nelle incognite (xG , xH )
(
NP + xG NG + xH NH = 0,
ΓP + xG ΓG + xH ΓH = 0,
che posso gestire senza diventare matto. Problemi analoghi sorgono per la neutralità rispetto ad altri parametri. Avverto che per una call o una put europea
di solito il parametro Γ esplode quando si avvicina la scadenza dell’opzione.
7.5
Relazione di parità put-call
Un esempio ben noto che illustra il principio di linearità delle valutazioni del
par. 7.2 è quello del seguente
Teorema 7.5.1 (parità put-call) . Siano p (t, St ) e c (t, St ) i prezzi di una
call e di una put europee, entrambe con scadenza T , prezzo di esercizio K e
con St quotazione a t del sottostante. Allora è
p (t, St ) =
valore a t
della put
Ke−r(T −t)
valore a t del
prezzo di esercizio
+ c (t, St ) −
valore a t
della call
.
St
valore a t
del sottostante
(7.5.1)
Dimostrazione. Considero il portafoglio in cui:
• sto lungo con un bond di scadenza T e valore nominale K;
• sto lungo con una call europea con scadenza T e prezzo di esercizio K;
• sto corto con una azione (cioè la vendo allo scoperto: è al Passivo).
Questo portafoglio alla scadenza T mi dà
(
K + ST − K − ST = 0, se ST ≥ K,
K + max (ST − K, 0) − ST =
bond
K + 0 − ST = K − ST , se ST < K,
azione
ricavo dalla call
esattamente quanto offre la put con le stesse caratteristiche, cioè:
(
0, se ST ≥ K,
max (K − ST , 0) =
K − ST , se ST < K,
mentre a t il portafoglio vale Ke−r(T −t) + c (t, St ) − St . Per evitare arbitraggi
il prezzo a t della put deve eguagliare questo valore, perciò vale la (7.5.1).
Ad esempio, nell’esercizio (6.5.5) era
St = 100,
K = 105,
(T − t) = 0.25,
r = 0.04,
σ = 0.1,
92
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
perciò il prezzo della call a t era
c (t, St ) ' 0.6392584982;
usando questo risultato la (7.5.1) mi fornisce il prezzo (già anticipato alla fine
del par. 6.5.2) dell’analoga put:
p (t, St ) = 105e−0.04×0.25 + 0.6392584982 − 100 ' 4.5944910422.
7.6
Copertura statica (buy and hold) e dinamica
La valutazione di una opzione è parecchio delicata quando essa non è quotata
su un mercato, sicché fallisce il trucco di immaginare un paf di replica. Per chi
ha sottoscritto un’opzione del genere emerge poi, come sempre, il problema di
trovare una qualche forma di controllo e di copertura dei rischi assunti. Semplificando, le tecniche di copertura sono di 2 tipi: copertura statica e copertura
dinamica.
Si può usare una tecnica di copertura statica, fatta con un programma di
acquisti e vendite iniziali di attività finanziarie, deciso una volta per sempre
e inteso a creare un portafoglio il cui valore finale duplicherà quello dell’opzione. Questo portafoglio viene anche detto del tipo buy and hold (compra e
detieni, oppure copriti e dimentica) perché non necessita di alcun successivo
ribilanciamento.
Se mi chiedo quali derivati possono essere coperti con un portafoglio composto soltanto da bond, call, put e azioni, trovo la risposta nel seguente:
Teorema 7.6.1 . Considero un derivato semplice la cui funzione di contratto
Φ sia continua e con immagine chiusa e limitata. Allora esiste un portafoglio
che lo replica con precisione arbitraria e che contiene soltanto bond, opzioni
call e put e il sottostante. Usando anche opzioni binarie (par. 9.1) ciò vale
anche per derivati con funzione di contratto Φ che, anziché essere continua,
presenta un numero finito di salti (discontinuità di 1a specie).
Dimostrazione. Ogni funzione continua Φ del tipo indicato può essere
approssimata bene quanto si vuole con funzioni lineari a tratti, come sono
quelle dei contratti di base. Se Φ presenta salti, mi basta aggiungere alla
“cassetta dei ferri” le opzioni binarie, proprio perché, come vedrò nel par. 9.1,
la funzione di contratto di un’opzione di questo tipo presenta un salto.
Questo risultato consente di ottenere portafogli che replicano perfettamente
qualunque funzione di contratto Φ che sia a tratti rettilinea. Dei profili più
comuni, nonché dei relativi portafogli di replica dirò qualcosa nei par. 9.1 e
9.3. Il testo [32] li gestisce tutti ed è anche una vera e propria miniera per
molti altri argomenti qui neppure sfiorati, (come, ad esempio, alcune notevoli
7.7. Critiche ed estensioni
93
limitazioni sui prezzi di opzioni call e put), oppure discussi in modo sbrigativo
(ad esempio, i forward e i futures: par. 9.7).
Le tecniche di copertura dinamica prevedono invece la costruzione di un
portafoglio che viene revisionato durante tutta la vita dell’opzione, in rapporto
al comportamento del sottostante e degli altri dati, esattamente come ho visto
nei par. 6.1 su un portafoglio assoluto e 6.2 su un portafoglio relativo. Come
si può immaginare, emerge subito la necessità di un compromesso decente tra
l’accuratezza della copertura, che è garantita soltanto da un ribilanciamento
discreto molto frequente (ma quanto frequente? In teoria dovrebbe essere un
ribilanciamento continuo, dunque da ripetere ad ogni istante: ipotesi del tutto
impraticabile) ed un livello accettabile dei costi accessori di transazione che si
incontrano ad ogni revisione.
La distinzione tra copertura statica e dinamica è grossolana e di comodo.
Nel par. 7.7.7 torno sull’argomento.
7.7
Critiche ed estensioni
Il modello di b&s si è rivelato nella pratica davvero flessibile (nel cap. 8 trovo
alcune varianti) ed incredibilmente robusto, cioè capace di sopportarne di tutti
i colori quanto a riformulazioni nelle ipotesi e nelle caratteristiche tecniche
del contratto. Ciò nonostante, la critica alle sue ipotesi prosegue tuttora, nel
tentativo di ottenere varianti più flessibili e/o più convincenti. Qui di séguito
rendo conto, sia pure in modo molto sbrigativo, di alcune critiche ed estensioni
del modello b&s standard in aggiunta a quelle che ho già presentato o almeno
sfiorato.
7.7.1
Attenti alle scorciatoie!
Di opzioni, intese in senso generico, ne trovo di tutti i colori in ogni momento.
Ad esempio, se ho un’automobile vecchia di 5 anni, ho sempre l’opzione (cioè
la possibilità ma non l’obbligo) di comprarne una nuova, con tutti i costi e i
vantaggi del caso. Anche se quest’opzione ha un suo valore (controprova: è
meglio averla che non averla), capisco subito che il modello di b&s non mi
serve per valutarla. Per usarlo dovrei infatti controllare, una per una, tutte
le ipotesi su cui esso si regge, ricevendo altrettante delusioni. Questa banale
osservazione serve per invitare il mio prossimo a stare attento alle scorciatoie,
cioè a rifiutare l’idea che qualunque opzione possa essere valutata col modello
di b&s (o con strade analoghe, per esempio col modello binomiale), pur di
conoscere la relativa formula, cioè pur di sapere “come si fa” anche se non so
perché: un po’ come voler curare qualunque malattia con un unico farmaco.
Purtroppo, questa scorciatoia è diventata molto popolare. In altre parole, molti
credono non solo alla Befana (poco male!), ma anche all’idea che ogni opzione
94
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
la si possa valutare con una qualche formula, disinteressandosi di tutto quello
che sta alle spalle di quest’ultima. Per evitare illusioni è dunque bene che mi
ponga sempre qualche domanda. Comincio subito: chi è il mio sottostante? Ce
l’ha o no un mercato arb.free sul quale osservare i suoi prezzi? È sensata l’idea
che questi si muovano con un moto browniano geometrico? Posso comprare e
vendere (magari allo scoperto) il sottostante su quel mercato? Davvero posso
costruire un portafoglio privo di rischio, che posso man mano ribilanciare per
mantenerlo tale e che in ogni caso replica la mia opzione? E via di questo
passo. Se la risposta ad ogni domanda è “sì”, allora la formula di b&s è il mio
cacio per i miei maccheroni. In caso contrario è meglio che la lasci perdere.
Caso particolare: se sono un ciarlatano, non mi faccio nessuna domanda e uso
sempre quella formula non appena trovo qualcuna che la beve.
7.7.2
Copertura dinamica e costi di transazione
Ho già accennato poche righe sopra sia ai problemi che sorgono quando si
cerca la copertura dinamica di un portafoglio sorvegliando il comportamento
del sottostante, sia alla necessità di trovare un compromesso tra accuratezza
della copertura e costi di transazione. Analogo discorso vale per tecniche di
monitoraggio e di copertura quali il delta- e il gamma-hedging del par. 7.4.2 e
la regola di platino che vedrò nel par. 12.3.4. In ogni caso non posso scordare
che in tutti questi casi si lavora sempre su risultati locali che devo augurarmi
siano “non troppo locali”, dunque accettabili quando mi limito a variazioni
comprese in una banda di valori plausibili.
7.7.3
Linearità addio?
La presenza di costi di transazione tradisce le ipotesi di base del par. 2.1.2,
perché esalta il fenomeno del bid-ask spread e riduce la liquidità del mercato.
Modellizzare i costi di transazione è anche possibile, tuttavia farlo in modo
realistico non è proprio cosa facile (la proposta, forse un po’ ingenua, che
vedrò nel par. 12.3.4 è solo una delle tante). Sia come sia, i costi di transazione
hanno anche un effetto secondario importante, quello di alterare la linearità
delle valutazioni (teorema 7.2.1) del modello di base. Devo infatti tener conto
che quei costi provocano vere e proprie economie di scala, nel senso che i loro
effetti sono relativamente moderati nei portafogli di grosse dimensioni, invece
sensibili in quelli di dimensioni modeste, col risultato che l’effettivo valore di un
derivato o di un portafoglio finisce per dipendere dal soggetto che lo gestisce.
Questa perdita di linearità si riflette anche nella non-linearità delle edp che
descrivono la dinamica dei valori (ne dico qualcosa nel par. 7.7.6). Ma qui
non è proprio il caso, come talvolta si legge, di sottolineare questo effetto in
7.7. Critiche ed estensioni
95
modo drammatico. In fondo, c’è sempre gente disposta a guadagnarsi il pane
risolvendo per via numerica edp rognose 5 .
7.7.4
Sono tutti price-taker?
Un’altra grana molto seria nasce dal fatto che, nella pratica, in mercati non
perfettamente liquidi, le stesse transazioni che gli operatori effettuano a scopo
di copertura e ribilanciamento finiscono spesso per spostare il prezzo dei beni
sottostanti. Ciò contrasta con l’idea che quelle transazioni seguano le variazioni, per giunta del tutto casuali, in quei prezzi. In altre parole, nella realtà il
meccanismo teorico
St cambia
gli operatori reagiscono
⇒
viene ad essere modificato inserendo una sorta di effetto di feed-back , cioè
diventa
⇒
St cambia
⇑
⇐
⇐
⇐
⇒
⇐
gli operatori reagiscono
⇐
⇐
⇐
⇐
⇒
⇓
⇐
Specialmente in un mercato che ha già di suo problemi di liquidità, questo
nuovo schema può diventare perverso, cioè creare non solo instabilità e oscillazioni, ma addirittura occasioni non banali di arbitraggio, bolle speculative e
crolli.
7.7.5
Incertezza nei parametri
Ho già avvertito nel par. 7.3 che, di fatto, il parametro σ del modello di b&s
non solo è variabile col tempo e col prezzo del sottostante (poco male se questa
dipendenza restasse deterministica), nonché col prezzo di esercizio K (fenomeni del tipo smile, frown e simili), ma è addirittura non deterministico, sicché
andrebbe modellizzato in modo un po’ più credibile, cioè come un vero e proprio p.s.. In realtà osservazioni simili valgono anche per gli altri parametri
del modello, in particolare per il tasso istantaneo di interesse r e per il flusso
istantaneo di dividendi (li introduco nel par. 8.1). Anche senza definire nuovi
modelli che li trattano non come parametri ma come p.s. ben definiti, è comunque prudente fare sempre i conti immaginando che ogni parametro si muova in
una sua banda di valori plausibili, spesso chiamata banda di certezza (alcuni
dicono banda di incertezza). In questo ordine di idee la prudenza suggerisce
anche di esplorare un intero ventaglio di diversi scenari futuri che si possono presentare, dal peggiore al migliore (worst case e best case analysis). Le
5
Esistono parecchi metodi per risolvere edp, tutti curiosi e interessanti. Non potendo
occuparmene qui, mi limito a rinviare ai cap. 46—50 di [53] ed ai testi [12] e [44].
96
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
idee che presenterò nel par. 12.3.4 per gestire un derivato o un portafoglio in
condizioni di crash rientrano in questo schema, al pari di ciò che racconto nei
prossimi 2 paragrafi.
7.7.6
Volatilità incerta
Alcuni sostengono (e hanno ragioni da vendere!) che la volatilità è così bizzosa,
imperscrutabile e non osservabile che è impossibile stimarla in modo appena
appena affidabile, tanto meno modellizzarla in modo decente. Aggiungono
perciò che l’unica cosa da fare è questa:
• fisso, sulla base dell’esperienza passata dei rendimenti del sottostante che
mi interessa, una banda ragionevolmente ristretta di valori [σ − , σ + ];
• suppongo che in futuro σ non possa mai uscire da questa banda;
• suppongo che, di fatto, le cose vadano sempre nel peggiore dei modi, cioè
che, ad ogni istante futuro, σ assuma il valore che, in quell’istante, è per
me il più sfortunato: come dire che vale sempre la legge di Murphy 6 .
Vedo di ragionarci sopra. Ritorno al modello b&s ’73 del par. 6.1. All’istante t il mio portafoglio ha queste caratteristiche:
• ho una posizione lunga (perciò all’Attivo) su N azioni, ognuna di valore
corrente St , ed una corta (perciò al Passivo) su un T -derivato che ho
venduto (cioè sottoscritto) su quelle azioni;
• questo derivato ha il valore F = F (t, St ), ancora incognito, e scade a T
col suo pay-off Φ (ST );
• ho già fatto delta-hedging, cioè ho già provveduto a rendere privo di
rischio il mio portafoglio scegliendo N = ∂F/∂St , sicché il valore V (t) del
portafoglio e il suo differenziale dV (t) sono descritti dalle (6.1.3)-(6.1.4),
che qui ricopio:
V (t) = FS St − F,
i
h
dV (t) = −Ft − 12 FSS (St σ)2 dt.
(7.7.1)
(7.7.2)
6
Per quanto priva di fondamento razionale, è una legge popolarissima nella quale moltissimi credono. Ne esistono varie versioni, che tutte rispondono a domande come questa: se sto
spalmando un po’ di burro su una fetta di pane e questa mi casca per terra, quale lato finirà
a contatto col pavimento? Oppure: se al supermercato sono in coda davanti ad una cassa,
con una coda come quelle delle altre casse, in quale cassa finirà il rotolo di carta, oppure un
cliente cercherà di pagare con una carta di credito non valida bloccando la fila?
7.7. Critiche ed estensioni
97
A questo punto faccio il pessimista (per darmi delle arie: faccio della worst
case analysis) supponendo che, ad ogni istante, σ assuma nella banda [σ − , σ + ]
il valore per me peggiore, cioè quello che più di tutti deprime dV (t), cioè quello
che massimizza FSS (St σ)2 . In altre parole suppongo sia σ = σ + se è FSS > 0,
invece σ = σ − se FSS < 0, infine un valore qualunque in [σ − , σ + ] se FSS = 0.
Insomma, σ non è più una costante deterministica ma diventa una funzione
σ (FSS ) fatta così:
(
σ + , se FSS ≥ 0,
σ (FSS ) =
(7.7.3)
σ − , se FSS < 0.
(posizione corta)
Per chiamare cose diverse con nomi diversi indico con F + il corrispondente
+
. Questa notazione può
valore del derivato e con Γ il suo gamma, cioè FSS
sembrare stravagante, ma mi serve proprio per sottolineare che σ viene scelto
in modo da deprimere il valore V (t) della mia posizione netta, nel mio caso gonfiando il valore F (t, St ) del derivato che sta al Passivo del mio Stato
Patrimoniale, prospetto che qui ricopio dal par. 6.1:
Attivo
totale
Stato Patrimoniale
FS+ St Debiti
Netto (FS+ St − F + )
+
FS St totale
F+
V (t)
FS+ St
Ora proseguo come nel par. 6.1: per l’ipotesi di non arbitraggio, il mio
portafoglio dovrà avere lo stesso rendimento (tasso istantaneo r) di un titolo
privo di rischio e di pari valore V (t), cioè impongo che sia
dV (t) = rV (t) dt;
poi riscrivo le (7.7.1)-(7.7.2) con F + al posto di F , semplifico quanto basta e
arrivo al problema
 +
Ft + rFS+ St + 12 Γ [St σ (Γ)]2 − rF + = 0,




 F + (T, ST ) = Φ (ST ) ,
(
(7.7.4)
+ , se Γ = F + ≥ 0,

σ

SS

σ (Γ) =


σ − , se Γ = F + < 0.
(posizione corta)
SS
che è del tutto simile a quello di b&s (6.2.6), però col parametro di volatilità
σ che adesso non è più costante ma è σ (Γ), cioè si muove con la legge del
pessimismo (7.7.3).
Finora ho immaginato di stare corto (cioè debitore) su un derivato, e il mio
pessimismo ha visto σ massimizzare il valore del derivato. Se invece avessi una
98
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
posizione lunga sul derivato (cioè se avessi: il suo valore F all’Attivo e FS St al
Passivo), allora al posto delle (7.7.1) e (7.7.2) avrei
V (t) = F − FS St ,
h
i
dV (t) = Ft + 12 FSS (St σ)2 dt.
In questo caso il mio pessimismo mi spinge ancora a deprimere il valore di
V (t), ma per ottenere questo risultato stavolta devo cercare il σ che minimizza
F , valore che indicherei con F − . In altre parole, con una posizione lunga sul
derivato rovescerei la regola (7.7.3), ottenendo così, al posto del sistema (7.7.4),
il sistema:
 −
F + rFS− St + 12 Γ [St σ (Γ)]2 − rF − = 0,


 t

 F − (T, ST ) = Φ (ST ) ,
(
(7.7.5)
− , se Γ = F − ≥ 0,

σ

SS

σ (Γ) =


−
< 0.
σ + , se Γ = FSS
(posizione lunga)
Posso osservare quanto segue:
• se indico con FBS (t, St ) il valore che il derivato assume nel consueto
modello di b&s con un σ fisso scelto in [σ − , σ + ], allora risulta
F − (t, St ) ≤ FBS (t, St ) ≤ F + (t, St ) ;
• adottare una visione pessimista sul comportamento di σ mi assicura che,
continuando a fare delta-hedging, il rendimento della mia posizione sarà
almeno r; anzi, più di r se non avrò sfortuna massima in ogni istante
futuro;
• il discorso che ho raccontato diventa delicato per le opzioni il cui gamma
può cambiare segno; al contrario, nelle call e put europee, che hanno
sempre questo “greco” positivo, posso usare la consueta formula di b&s
con volatilità σ costante, cioè con σ = σ + o σ = σ − a seconda dei casi
(posizione corta o lunga), ritrovando in entrambi un caso particolare delle
(7.7.4) e (7.7.5);
• non essendoci più un unico valore di σ ma un’intera banda di valori
[σ − , σ + ], non esiste più il valore del derivato, ma esistono i due valori
F − (t, St ) e F + (t, St ); in più è diversa nei 2 casi l’edp che devo risolvere
per calcolare il valore del mio derivato;
• nei problemi (7.7.4) e (7.7.5) ho a che fare con una edp non lineare,
dunque una sua soluzione per quadrature me la scordo, la devo trovare
per via numerica;
7.7. Critiche ed estensioni
99
• a questo punto devo dire addio anche al principio di linearità delle valutazioni (teorema 7.2.1);
• il problema (7.7.4), al pari di suo fratello (7.7.5), è stato costruito da
Avellaneda e altri (in [4] e [5]) apposta per gestire il caso di volatilità
incerta; tuttavia ad un problema dello stesso tipo vengo condotto anche
quando l’incertezza riguarda non σ ma il tasso di interesse r privo di
rischio o il flusso di dividendi pagati dall’azione sottostante, oppure per
gestire la presenza di costi di transazione (vedi [3]);
• i sistemi (7.7.4) e (7.7.5) servono per valutare in modo pessimista il derivato sul quale mantengo, rispettivamente, una posizione corta (e allora è
F = F + ) ed una lunga (e allora è F = F − ); per gestire in modo unificato
i 2 casi senza andare in oca, posso lavorare come segue:
— assegno a Φ (ST ) il suo segno naturale, cioè Φ (ST ) indica un incasso
se Φ (ST ) > 0, un pagamento se Φ (ST ) < 0;
— definisco una posizione sul derivato come corta se F (t, St ) < 0, come
lunga se F (t, St ) > 0;
— unifico i 2 sistemi nella forma

Ft + rFS St + 12 Γ [St σ (F Γ)]2 − rF = 0,




 F (T, ST ) = Φ (ST ) ,
(

σ − , se F Γ ≥ 0,


σ
(F
Γ)
=


σ + , se F Γ < 0,
(7.7.6)
nella quale, per farla corta, sono tornato alla notazione standard
F per indicare il valore del derivato, in ogni caso calcolato sotto
l’ipotesi pessimista che vede σ comportarsi, ad ogni istante, in modo
da rendere minimo il valore V (t) della mia posizione netta.
7.7.7
Copertura statica ottimale
Fermo il resto, più è ampio l’intervallo [σ − , σ + ] e più ampio è lo scarto tra
F − (t, St ) e F + (t, St ). È però possibile adottare qualche contromisura per
ridurre questo possibile spazio di contrattazione sul derivato. Ora vedo come.
Suppongo che mi venga chiesto di definire:
• il minimo prezzo al quale vendere un derivato non quotato (lo si chiama
prezzo del venditore, seller’s price, bid price, short price, prezzo denaro),
oppure:
• il massimo prezzo al quale comprare il derivato (prezzo del compratore,
buyer’s price, ask price, long price, prezzo lettera).
100
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
Non avendo informazioni affidabili su σ (magari il derivato non è neppure
quotato!), fisso una banda [σ − , σ + ] di valori per la volatilità σ e ci lavoro. Userò
le convenzioni sul segno di F e del payoff Φ già indicate poco prima della (7.7.6)
e tratterò un’entrata o un’uscita di cassa derivanti da una compravendita di
altri derivati con la stessa convenzione scelta per Φ. Riassumendo, userò queste
convenzioni:
½

attività (crediti, posizioni lunghe)


 + per : entrate di cassa
½


 − per : passività (debiti, posizioni corte)
uscite di cassa
Per fissare le idee immagino che mi si chieda di vendere un derivato con
pay-off Φ (ST ) ≤ 0 alla scadenza T . Correre rischi non è mai piacevole, perciò
cerco di trovare una qualche forma di copertura. Suppongo che siano trattati
sul mercato n derivati semplici con scadenza T , scritti anch’essi sullo stesso
sottostante quotato St e che posso acquistare e/o vendere nelle quantità descritte dal vettore x = [x1 , . . . , xn ] con componenti di segno libero. Per farla
corta, indico con Φi (ST ) il pay-off del derivato i-esimo in quantità unitaria
xi = 1 e con ci il suo prezzo di mercato, elemento del vettore colonna c di Rn .
Una volta fissato il mio portafoglio integrativo di copertura x, esso genera il
corrispondente flusso di cassa
P
−xc = − ni=1 xi ci ,
e sarà xc > 0 o xc < 0 a seconda che in x prevalgano gli acquisti
Pn(cioè i costi)
o le vendite (cioè i ricavi). Il pay-off finale generato da x, cioè i=1 xi Φi (ST ),
va ad aggiungersi al pay-off Φ (ST ) del derivato che voglio vendere, sicché il
pay-off della mia posizione (posizione complessiva, cioè: derivato di partenza
+ portafoglio integrativo x) è il cosiddetto pay-off integrato o residuale
P
(7.7.7)
Φ (ST ) + ni=1 xi Φi (ST ) ,
che, per semplicità, posso supporre non sia identicamente nullo e non cambi
segnoP
al variare di ST , in modo da capire
P subito se la mia posizione è lunga
(Φ + i xi Φi ≥ 0) oppure corta (Φ + i xi Φi ≤ 0).
Per valutare la mia posizione a t devo allora:
• Valutare il mio portafoglio di (n + 1) derivati, al quale compete il pay-off
(7.7.7). Beninteso, questa valutazione la condurrò con la stessa visione
pessimista che ho esposto nel par. 7.7.6, arrivando al valore, che chiamo
7.7. Critiche ed estensioni
101
G = G (t, St ), che risolve il sistema

G + rGS St + 12 GSS [St σ (GGSS )]2 − rG = 0,


 t

 G (T, ST ) = Φ (ST ) + Pn xi Φi (ST ) ,
i=1
(
− , se GG

σ
SS ≥ 0,



 σ (GGSS ) =
σ + , se GGSS < 0,
(7.7.8)
che ottengo dal sistema (7.7.6) usando G al posto di F (difatti ora c’è
un pay-off diverso) e scrivendo in chiaro GSS per Γ. Naturalmente avrò
G > 0 o G < 0 a seconda che la mia posizione sia lunga o corta.
• Visto che a G ci arrivo grazie al portafoglio integrativo x, non devo
scordarmi di aggiungere a G il valore di x, cioè xc, ottenendo la somma
f (x) =
G (t, S )
| {z t}
+
valore (pessimista) a t della
posizione coperta con x
(−xc)
| {z }
.
(7.7.9)
ricavo (se >0) o costo
(se <0) della copertura x
• A questo punto il minimo prezzo di vendita del derivato che devo quotare
non è altro che [−f (x)].
• Finora x era fissato, ma posso farmi furbo, cioè cercare, tra tutte le
possibili scelte di x, il portafoglio integrativo x∗ che rende massimo f (x)
(difatti devo rendere minimo [−f (x)]):
f (x∗ ) = max f (x) .
x
(7.7.10)
L’idea che sta sotto a tutto quanto è: devo trovare un x∗ che riduce, come
meglio non potrei fare, il prezzo di vendita al quale offro il derivato. Resta inteso che sulla mia posizione complessiva dovrò poi fare, se lo desidero, copertura
dinamica. È ovvio che il valore del mio portafoglio di (n + 1) derivati risulterà
tanto meno sensibile all’incertezza della volatilità quanto più il pay-off residuo
(7.7.7) è ridotto. Addirittura, se x∗ rendesse nullo, ∀ST , il pay-off integrato,
allora G (t, St ) sarebbe nullo ed x∗ sarebbe il (miglior) portafoglio che replica
il derivato da vendere, derivato il cui valore sarebbe semplicemente x∗ c.
Una volta che conosco il prezzo minimo al quale offrire il derivato, posso
anche calcolarmi la volatilità implicita σ̄ nella quotazione alla quale lo offro.
Beninteso, la vera volatilità σ era aleatoria e tale rimane, perciò questo σ̄ ha,
della vera volatilità implicita, l’apparenza più che la sostanza.
Nel caso che debba calcolare il massimo prezzo al quale acquistare il derivato, l’unica cosa che cambia in quanto ho già detto è che questo prezzo è
f (x∗ ).
102
7.7.8
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
Un esercizio
Racconto ora di un esempio super-semplificato, adattato da [55], cap. 32. Sul
mercato sono trattate sul mercato 2 call europee, con scadenza tra 6 mesi
(dunque (T − t) = 0.5) ma con diverso prezzo di esercizio K. Entrambe sono
scritte su un’azione, oggi quotata St = 100, che non eroga dividendi nel semestre, e il tasso istantaneo privo di rischio è r = 0.05. La call con K = 90
quota F = 14.42, mentre quella con K = 110 quota F = 4.22. A conti fatti, la
volatilità implicita è ' 0.25:
(
K = 90 ⇒ F = 14.42,
S = 100, r = 0.05, (T − t) = 0.5, σ ' 0.25,
K = 110 ⇒ F = 4.22.
Mi chiedono di fare la mia miglior offerta per vendere una call che non è
quotata sul mercato ma che ha le stesse caratteristiche di quelle quotate, però
prezzo di esercizio K = 100. Poiché non mi fido del valore σ = 0.25, suppongo
£
¤
σ ∈ σ − , σ + = [0.20, 0.30] .
Dato che la call ha sempre il Γ > 0, la (7.7.3) mi fa scegliere subito σ =
= 0.30 e il problema (7.7.4), con Φ (ST ) = max (ST − 100, 0), mi porta nelle
braccia della formula di b&s, che mi dà un prezzo di 9.63. Se invece dovessi
acquistare l’opzione, allora nel problema (7.7.5) sceglierei σ = σ − = 0.20,
ottenendo il prezzo di 6.89. Lo scarto tra i 2 prezzi è molto ampio.
Suppongo sempre di vendere l’opzione (posizione corta) con K = 100 non
quotata, ma di coprirmi acquistando le opzioni call con K = 90 e K = 110
nelle quantità 12 e 12 , generando così il flusso di cassa di
¡
¢
−cx = − 12 14.42 + 12 4.22 = −9.32.
σ+
A T avrò sia l’uscita di cassa£ prevista
dall’opzione che vendo, sia le entrate
¤
1 1
del portafoglio integrativo x = 2 , 2 che acquisto, complessivamente il flusso
di cassa (in entrata)
Ψ (ST ) = − max (ST − 100, 0) + . 12 max (ST − 90, 0) + 12 max (ST − 110, 0)
{z
} |
|
{z
}
per la call che vendo
per le 2 call che acquisto
della figura che segue, tipico del cosiddetto portafoglio farfalla (butterfly) (vedi
al par. 9.3.3).
Vedo che questo portafoglio integrativo di copertura x ha trasformato la mia
posizione corta di partenza in una complessiva lunga, perché il pay-off residuale
non presenta mai uscite, bensì un’entrata per i valori di ST ∈ (90, 110). Il suo
7.7. Critiche ed estensioni
103
valore lo ottengo risolvendo il problema (7.7.8), ottenendo il valore G (t, St ) =
+0.62. Sommandolo alla spesa per l’acquisto di x ottengo
f (x) = −9.32 + 0.62 = −8.70,
sicchè il minimo prezzo al quale vendo la mia call è −f (x) = 8.70, importo che
alcuni definiscono marginal value.
Pay-off Ψ (ST ) del portafoglio integrato con x =
£1
1
2, 2
¤
.
Se fossi chiamato a quotare una posizione lunga sulla stessa call (cioè a fare
la mia migliore offerta per acquistarla, anziché£ per venderla),
e immaginando
¤
−1 −1
di acquistare il portafoglio integrativo x = 2 , 2 (cioè di vendere 12 di
ciascuna delle call quotate), dovrei calcolarmi G (t, St ) lavorando ancora sul
sistema (7.7.8) ma usando la condizione al contorno G (T, ST ) = −Ψ (ST )
(non per magia, ma perché il pay-off si rovescia), e otterrei il valore (−1.65).
Sommandolo al ricavo di 9.32 per la vendita delle call ottengo il valore del
nuovo portafoglio integrato, cioè f (x) = 9.32 − 1.66 = 7.66, sicché con quel
portafoglio integrativo x, il prezzo massimo di acquisto della call è 7.66, come
nella tabella che segue, nella quale c indica il prezzo della call che vendo o che
acquisto e σ̄ indica la volatilità implicita in c.
call
(con K=100)
non coperta
coperta con
x=[1/2,1/2]
(−cx=−9.32)
posizione:
corta
(p er vendere)
lunga
(p er acq.are)
c
9.63
σ̄
0.30
6.89
0.20
bid
ask
c
8.70
bid
σ̄
0.27
x=−[1/2,1/2]
(−cx=+9.32)
c
σ̄
7.66
0.23
x∗ =[0.57,0.57]
(−cx∗ =−10.62)
c
8.66
bid
ask
σ̄
0.26
x∗ =−[0.88,0.37]
(−cx∗ =+14.25)
c
σ̄
7.71
0.23
ask
Ritorno al caso in cui devo formulare£ la mia
¤ migliore offerta per vendere
la call non quotata. Il portafoglio x = 12 , 12 che ho usato finora non è x∗ ,
104
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
cioè non è il migliore che posso scegliere. Se uno si diverte a fare tutti i conti
necessari, alla fine si accorge che per la posizione corta è x∗ = [0.57, 0.57], con
un bid price di 8.66 (un filo meglio di 8.70), mentre per la posizione lunga è
x∗ = [−0.88, −0.37], con un ask price di 7.71 (un filo meglio di 7.66). I risultati
sono riassunti nella tabella che sta sopra.
Qualche osservazione.
• La copertura dell’opzione non quotata riduce lo scarto tra prezzo bid e
prezzo ask, perciò anche quello tra le corrispondenti volatilità implicite.
• Se vedo che per una qualche copertura x la corrispondente volatilità
implicita σ̄ esce dalla banda [σ − , σ + ], allora leggo la cosa come segnale
della presenza di opportunità di arbitraggio; caso mai capitasse, posso
approfittarne, sperando però di non farmi pelare dai costi di transazione.
• Quello che qui ho visto è un adattamento del cosiddetto modello di copertura statica ottimale o modello λ-uvm (Lagrangian uncertainty volatility
model ).
• Ho supposto che tutte le attività del portafoglio integrativo x avessero
la stessa scadenza T dell’opzione non quotata, ma solo per semplicità;
in caso contrario posso calcolare i miei valori con lo stesso trucco che si
usa per valutare opzioni che prevedono l’erogazione di dividendi discreti
(par. 8.1.2).
• Sulla strada del realismo posso anche supporre che i prezzi dei derivati integrativi mostrino un bid-ask spread , cioè che un’unità dell’i-esimo
abbia un prezzo di vendita (bid price) c−
i ed uno di acquisto (ask price)
− 7
c+
>
c
,
.
In
questo
caso
xc
cede
il
posto
a
i
i
(
c+
Pn
i , se xi > 0(acquisto) ,
x
c
(x
)
,
con
c
(x
)
=
i
i
i
i
i
i=1
c−
i , se xi < 0(vendita) .
• Un’altra generalizzazione interessante sul piano del realismo la posso ottenere imponendo che la scelta di x, perciò di x∗ , debba sottostare a
particolari vincoli (per esempio sulla massima dimensione delle singole
posizioni integrative, sulle vendite allo scoperto, sul rapporto di leva e
via di questo passo), così che il problema (7.7.10) diventa di minimo non
più libero ma vincolato.
7
L’esistenza di un bid-ask price viola le ipotesi sull’unicità del prezzo, una delle tante
dichiarate fin dal principio (par. 2.1.2). Lo so bene, ma questo è il prezzo da pagare per
inserire qualche pizzico di realismo nel modello di b&s.
7.7. Critiche ed estensioni
105
• Lo stesso modello si può riformulare, con fatica ma con successo, per
valutare e coprire altri derivati (magari path-dependent) non quotati.
Aggiungo che fare copertura statica ottimale di derivati del genere mediante uno o più derivati di tipo standard quotati sul mercato è prassi
comunissima.
• Anche se si parla di copertura statica ottimale, la scelta x∗ non è per
sempre, la posso rivedere non appena cambiano i miei dati.
• A parte la circostanza, già segnalata sopra, sulla non esistenza di un unico
valore del derivato, qui salta fuori che i suoi prezzi bid e ask, anziché
essere caratteristici dello stesso derivato, dipendono in modo essenziale
dai prodotti che posso scegliere per costruire, nel miglior modo possibile,
un portafoglio per la sua copertura. Come dire che il valore di un bene
non va visto come se questo fosse isolato (si dice: stand-alone), perché
in realtà dipende dall’ambiente in cui lo colloco. Si tratta, è vero, di una
storia vecchia come il Cucco, ma sentirsi ripetere ogni tanto che il mondo
è e resta complicato non fa male.
7.7.9
Wiener non basta
Anche la continuità delle traiettorie generate dal prezzo St del sottostante è
un’ipotesi che in pratica è tradita: mi basta pensare alle occasioni del tipo
“Venerdì nero”, quando l’intero mercato registra un crollo improvviso, un crash. L’idea che ogni prezzo segua un processo di diffusione di Wiener (par.
3.1) va dunque rivista, dato che quel processo non ammette discontinuità (a
parte quelle connesse alla distribuzione di dividendi per le azioni, oppure al
pagamento di cedole e di rimborsi in conto capitale per gli altri titoli). Una
delle proposte più note per rimediare a questo guaio incorpora nel modello
un processo di Poisson (vedi al par. 14.4.16), che sembra capace di gestire in
modo abbastanza decente i fenomeni di discontinuità. Purtroppo però questo
arricchimento del modello rende del tutto pia (eufemismo per illusoria) l’idea
che in qualche modo sia ancora possibile ottenere un vero e proprio portafoglio
di copertura.
7.7.10
Reti neurali artificiali
Nel par. 3.1 ho riassunto il principale tentativo (ricorso alla legge dei grandi numeri del par. 14.4.13) che viene proposto a sostegno del ruolo che la tradizione
assegna ad un processo di Wiener nel descrivere il comportamento del prezzo
St di un’azione. Nel par. 4.2 ho poi aggiunto qualche riga piena di scetticismo
su questo tentativo. Qualcuno ci ha pensato sopra, specialmente dopo aver
notato che le evidenze statistiche su vari mercati non confermano l’idea che
la distribuzione dei rendimenti di quei titoli sia normale (infatti presenta code
106
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
più spesse di una normale), come invece dovrebbe essere quando si parte da un
moto browniano geometrico: rivedi la (4.2.4). Più in generale, molti sostengono che non si può più credere alla Befana, cioè mostrano insofferenze di vario
tipo nei confronti sia delle ipotesi di mercato perfetto e privo di opportunità di
arbitraggio, sia sulla stessa idea di un modellino parametrico che, come quello
di b&s, trasformi dati e parametri nella quotazione di un derivato.
Per rimediare a questa situazione inquietante sono emerse molte proposte,
più o meno ingenue e/o radicali. Se tra queste ne devo citare una sola, allora
scelgo quella che sfrutta le reti neurali artificiali, approccio che ora qui riassumo
in 4 parole riferendomi all’architettura più elementare e tagliando via gli aspetti
di metodo più delicati. Per prima cosa definisco un vettore colonna di input
z (t) che elenca le variabili da z1 (t) a zn (t), tutte osservabili, che sospetto
possano avere qualche rilevanza sul prezzo y (t) del derivato all’istante t:
z (t) 7→ y (t) = f (z (t)) .
Poi scelgo una funzione (funzione di attivazione) di comodo ϕ ( · ), non
Si tratta di una speciale
lineare, di solito di classe C 1 e di espressione semplice.
P
funzione che trasforma z (t) in ϕ (pz (t)) = ϕ ( ni=1 pi zi (t)):
P
z (t) 7→ ϕ (pz (t)) = ϕ ( ni=1 pi zi (t)) ,
(7.7.11)
essendo p un vettore riga di pesi da p1 a pn , ancora da definire. Una funzione
molto comune è la cosiddetta tangente iperbolica, quella che trasforma x ∈ R
in
ϕ (x) = tanh (x) =
2
ex − e−x
=1−
,
ex + e−x
1 + e2x
funzione che ha lo stesso segno dell’argomento, è strettamente crescente ed ha
immagine (−1, 1): vedi il grafico che segue. Ovviamente, ci sono anche altre
proposte.
7.7. Critiche ed estensioni
107
Un neurone artificiale è un oggetto che effettua la trasformazione (7.7.11),
ora vedo come. A diverse date t da t1 a tm osservo z (t) ed i corrispondenti
valori che si affermano sul mercato per il prezzo y (t) del derivato. Il cosiddetto
addestramento del neurone consiste nella ricerca del vettore p∗ di pesi che
minimizzano
Pm
2
j=1 [y (tj ) − ϕ (pz (tj ))] ,
cioè la somma dei quadrati degli scarti tra y (t) e ϕ (pz (t)) per t che corre da
t1 a tm , con m relativamente grande rispetto ad n. Poi scarto le variabili zi (t)
che hanno un peso p∗i così piccolo da suggerirmi che zi (t) non è una variabile
abbastanza significativa.
Questa mia semplice rete è sottoposta poi ad un test di validazione, che
controlla la sua capacità previsiva su nuovi input (anch’essi noti) z (t), con
t > tm , che vengono trasformati in nuove previsioni ϕ (p∗ z (t)), da confrontare
coi corrispondenti valori y (t). Se tutto va bene posso finalmente usare la mia
rete a scopi previsivi. Coltivo infatti la speranza che la funzione ϕ (p∗ z (t))
approssimi bene la funzione deterministica f (z (t)) (che mai conoscerò: se la
conoscessi non starei qui a perder tempo!) che trasforma z (t) in y (t), beninteso
al netto delle variazioni di natura puramente casuale. In realtà ogni funzione
f (z (t)) può essere approssimata con la precisione che si desidera mediante una
rete neurale purché:
• il vettore z (t) ospiti tutte le variabili esplicative;
• abbia le mani libere nello scegliere l’architettura delle rete, in particolare
il numero dei neuroni (finora 1) del cosiddetto strato nascosto, neuroni
che, in parallelo e in modo indipendente, trasformano l’input z (t) in
output intermedi, che vengono poi pesati (con pesi anch’essi da scegliere)
e sommati in un neurone di output finale.
Volendo, posso anche inserire dei collegamenti in retro-azione (feed-back ).
Avverto che i problemi più seri li ho nascosti, come: la scelta dell’architettura
generale della rete, della sua complessità (numero degli input), dell’algoritmo
di apprendimento (come modificare via via i pesi e trovare p∗ ), del criterio
col quale terminare la fase di apprendimento (quando fermarsi, soprattutto
per evitare il fenomeno di overfitting, cioè che la rete interpreti variazioni
casuali per legami di struttura), e via dicendo. L’ideale sarebbe avere una
rete parsimoniosa, cioè con pochi input e pochi neuroni intermedi, perciò con
addestramento rapido, eppure dotata di buone capacità previsive: è l’idea sulla
quale stanno lavorando seriamente in molti. Il Gruppo Econometrico della
Facoltà di Economia dell’Università di Pavia è tra questi ed ha già ottenuto
risultati confortanti nel costruire reti davvero parsimoniose ma efficienti per
valutare derivati e per condurre delta-hedging sui medesimi.
108
Capitolo 7. Il modello B & S: complementi
“These are exciting, complex, dangerous
and profitable times on the financial markets.”
(W.T. Ziemba, Editorial, Newsflow, 20, 1999)
Capitolo 8
Opzioni con dividendi, su
valute e su merci
In questo breve capitolo faccio vedere come si può adattare l’eds (6.2.5)
del modello b&s ’73 per gestire alcune semplici varianti relative alla presenza
di dividendi, oppure al caso di opzioni su valute o su merci.
8.1
Opzioni con dividendi
Nel caso che vengano incassati dividendi, cambia ben poco nello schema descritto nel cap. 5 per seguire la dinamica del valore V x (t) del portafoglio
x (t) = [x1 (t) , . . . , xn (t)] coi prezzi S (t) = [S1 (t) , . . . , Sn (t)]0 . Sia Di (t) il
totale dei dividendi (dividendi cumulati) pagati in (0, t] dalla i-esima delle n
attività finanziarie del portafoglio x (t). Se esiste un processo δ i (t) tale che sia
dDi (t) = δ i (t) dt,
allora dico che l’attività i paga un dividendo istantaneo δRi (t) ed i dividendi
t
pagati in (0, t] sono pari a Di (t) − Di (0), con Di (t) = 0 δ i (τ ) dτ . Ridefinisco come auto-finanzianti il portafoglio assoluto x e quello relativo y se
rispettivamente risulta
P
x (t) è un paf ⇔ dV x (t) = ni=1 xi (t) [dSi (t) + dDi (t)] ,
x (t) è un paf ⇔ dV x (t) = V x (t)
Pn
i=1 yi (t)
dSi (t) + dDi (t)
,
Si (t)
cioè tutto come nelle (5.1.1) e (5.2.1), però con [Si (t) + Di (t)] al posto di Si (t).
Distinguo 2 casi. Nel 1◦ , che è il più teorico ma il più facile da gestire,
immagino che i dividendi pagati in (t, t + dt] dallo stock siano misurati da
dD (t) = δ (St ) dt,
109
110
Capitolo 8. Opzioni con dividendi, su valute e su merci
con il dividendo istantaneo δ (St ) funzione deterministica e continua di St ; per
farla corta mi limito addirittura al caso più semplice in cui è δ (St ) = δSt con
δ > 0 costante. Nel 2◦ , di maggior interesse pratico ma più rognoso da gestire,
immagino invece che i dividendi siano distribuiti solo agli istanti successivi
T1 > T0 = 0, T2 , . . . , Tn < T , nella seguente misura:
date
dividendi
T0
T1
δ1
T2
δ2
···
···
Tn−1
δ n−1
Tn
δn
T
Per evitare di distrarmi, in entrambi i casi adotto l’ipotesi semplificatrice
in cui deriva α (t, St ) e diffusione σ (t, St ) sono costanti e considero una call
europea.
8.1.1
Dividendi continui
Mi metto nel 1◦ caso, nel quale la call europea è scritta su un’azione che prevede
un flusso continuo di dividendi δSt . Se ho la pazienza di rifare i conti del par.
6.2, mi accorgo che la musica cambia in un punto ben preciso: essendo previsti
dividendi, dSt va sostituito da dGt , con Gt processo di guadagno definito da
dGt = dSt + dDt = dSt + δSt dt.
Ne segue che l’equazione [yS α + yF αF = r] va riscritta nella forma
yS (α + δ) + yF αF = r
e rifacendo i conti successivi si arriva, alla fine della fiera, a questa variante del
problema (6.2.6):

1 2 2
 Ft + (r − δ) SFS + 2 S σ FSS − rF = 0,

(non più rSFS )
F (T, ST ) = Φ (ST ) .
Lo stesso discorso si ripropone per il teorema 6.4.1, nel quale la (6.4.6) va
riscritta nella variante
dSt = (r − δ) St dt + St σ dW̄t ,
e le formule di b&s (6.5.4) e (6.5.6) per la call e put europee diventano:

F (t, St ) = St e−δ(T −t) N (d1 ) − Ke−r(T −t) N (d2 ) ,


 (call)





−δ(T −t) N (−d ) + Ke−r(T −t) N (−d ) ,

 F (t, St ) = −St e
1
2
(put)


¢
St ¡



+ r − δ + 12 σ 2 (T − t)
ln
√


K

√
,
d
=
=
d
T −t
con:
d
−
σ

1
2
1

σ T −t
8.1. Opzioni con dividendi
111
Ovviamente, ci sono anche analoghe edp sia per il caso di un dividendo
istantaneo non proporzionale a St , sia per il caso in cui δ (St ) non è una funzione
deterministica, bensì un p.s. con le sua brava deriva e volatilità α (t, St ) e
σ (t, St ).
8.1.2
Dividendi discreti
Il solo incasso a Tk del dividendo δ k produce una riduzione di pari importo
nel valore dell’azione, cioè un salto di ampiezza (−δ k ). Del resto, se così non
fosse si aprirebbe subito una possibilità di arbitraggio. Mi conviene adottare
la convenzione in cui S (t) indica il prezzo tel quel dell’azione a t, cioè al lordo
del rateo di dividendo (eventualmente) previsto a t. Si può dimostrare che il
valore F della mia call europea può essere calcolato seguendo questa (noiosa
ma semplice) procedura ricorrente a ritroso:
• Prendo l’ultimo intervallo (Tn , T ] e con la consueta procedura, cioè usando la formula pratica di b&s (6.5.4), calcolo il valore F (t) del derivato per t ∈ (Tn , T ], utilizzando la solita condizione sul valore finale
F (T ) = Φ (T, ST ). Essendo F (t) definita solo per t ∈ (Tn , T ] e non anche per la data t = Tn di inizio dell’intervallo, definisco il valore iniziale
F (Tn ) usando la condizione di salto che traduce la riduzione di valore
dell’azione provocata dall’incasso del dividendo δ k :
¡ ¢
F (Tn ) = F Tn+ + δ n .
(8.1.1)
• Mi metto nell’intervallo (Tn−1 , Tn ] e calcolo con la consueta procedura
il valore F (t) del derivato per t ∈ (Tn−1 , Tn ], utilizzando la condizione
sul valore finale F (Tn ) che ho già calcolato con la (8.1.1). Definisco poi
il valore iniziale F (Tn−1 ) usando la condizione di salto, del tutto simile
alla (8.1.1),
¡ + ¢
+ δ n−1 .
F (Tn−1 ) = F Tn−1
• Ripeto la solfa in ciascuno degli intervalli (Tn−2 , Tn−1 ], (Tn−3 , Tn−2 ], . . . ,
(T0 , T1 ], ogni volta comportandomi come segue:
— uso come condizione finale dell’intervallo (Tk−1 , Tk ] il valore di F (Tk )
che ho già ottenuto lavorando nel precedente intervallo
¡ (T
¢ k , Tk+1 ]
quando ho imposto la condizione di salto F (Tk ) = F Tk+ + δ k ;
— definisco il valore iniziale dell’intervallo
¡ + ¢ (Tk−1 , Tk ] imponendo la
+ δ k−1 .
condizione di salto F (Tk−1 ) = F Tk−1
112
Capitolo 8. Opzioni con dividendi, su valute e su merci
Posso anche adattare al mio caso il teorema 6.4.1 sulla valutazione neutrale rispetto al rischio: mi basta aggiungere la stessa condizione di salto nella
(6.4.5). Ovviamente, ci sono anche edp che gestiscono uno o più dei seguenti
casi: δ (S (t)) è un p.s., α (t, S (t)) e σ (t, S (t)) non sono costanti, sono previsti
sia dividendi continui che dividendi discreti.
8.2
Opzioni su valute
L’opzione può essere scritta su un bene il cui prezzo è espresso in una valuta
estera, sulla quale si ricevono interessi al tasso (istantaneo) r∗ . Posso assimilare
questi interessi a un flusso costante di dividendi e dunque modificare l’eds
(6.2.5) nella forma
Ft + (r − r∗ ) SFS + 12 S 2 σ 2 FSS − rF = 0.
(non più rSFS )
Lo stesso discorso si ripropone per il teorema 6.4.1, nel quale la (6.4.6) va
riscritta nella variante
dSt = (r − r∗ ) St dt + St σ dW̄t .
(non più rS)
8.3
Opzioni su merci
Discorso simile vale per un’opzione scritta su merci, la cui detenzione spesso
provoca costi addizionali per custodia, assicurazione, cali naturali (basta pensare ai prosciutti che stagionano), ecc. (si parla di cost of carry). Se li suppongo
costanti e pari a cS (t) nell’unità di tempo, con lo stesso trucco già usato sopra
posso modificare l’eds (6.2.5) nella forma
Ft + (r + c) SFS + 12 S 2 σ 2 FSS − rF = 0
(non più rSFS )
e riscrivere la (6.4.6) nella variante
dSt = (r + c) St dt + St σ dW̄t .
(non più rS)
“Math finance is a relatively young subject
and there is plenty of room for people to experiment.”
(P. Wilmott, [53], p. 2)
Capitolo 9
Alla fiera dei derivati
In questo capitolo prendo in sommaria rassegna: alcuni tipi di opzioni simili
alle europee, certi speciali portafogli di opzioni europee, le opzioni americane
e un campionario di opzioni di tipo non standard (dette opzioni esotiche),
nonché gli speciali derivati detti forward e futures.
Quelli che qui indicherò costituiscono soltanto un frettoloso giro d’orizzonte
su un ginepraio sempre più intricato; per un discorso più completo esistono
manuali, atlanti di formule 1 , riviste specializzate e software specifico 2 . Solo
alcuni dei contratti dei quali dirò sono T -derivati, cioè del tipo X = Φ (ST ),
sicché sopportano l’approccio presentato nel cap. 6. Negli altri contratti il
valore finale dipende invece non solo da ST ma da tutta la traiettoria che St
descrive su [0, T ]; inoltre alcuni di essi sono replicabili, però è difficile trovare
un’espressione semplice del paf che li replica. In molti casi esistono comunque
formule per la loro valutazione, esatta o approssimata.
9.1
Opzioni binarie
Le opzioni binarie sono particolari T -derivati che hanno valori finali discontinui
rispetto a ST . Ad esempio, nell’opzione call cash or nothing (contanti o niente)
1
Ad esempio i testi [30] e [43]. Anche i testi [51], [53] e [55] non scherzano.Il primo capitolo
del testo [47] prende in rassegna 120 tipi di derivati.
2
Ce n’è per tutti i gusti: pacchetti applicativi di interesse professionale, di costo ovviamente inavvicinabile, apposite routine in linguaggio C++ e per programmi di calcolo come
Maple T M , Mathematica T M , Matlab T M (come nei manuali [12], [47] e [44]), nonché rispettabili
e divertenti programmi di interesse didattico, spesso freeware, come quelli allegati ai testi
[13], [22], [32] (sta anche in: www.mgmt.utoronto.ca/∼hull) e [53]. Ad esempio, oltre che
per gli scopi già indicati nella nota al par. 6.5.3, questi programmi si possono usare per gestire
alcuni problemi numerici che nascono dalle incertezze sui parametri del modello b&s, come
quelli dei par. da 7.7.6 a 7.7.8. In Internet sono poi accessibili (gratis) diversi “calcolatori”
per derivati.
113
114
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
si fissa un importo Y e si pone
Φ (ST ) =
(
0, se ST < K,
Y, se ST ≥ K.
Con Y = 1 si ha la cosiddetta opzione digitale, il cui valore finale è
Φ (ST ) =
per la call
Φ (ST ) =
per la put
(
(
0, se ST < K,
1, se ST ≥ K,
1, se ST ≤ K,
0, se ST > K,
ovvero, come scrivono i Fisici,
(
Φ (ST ) =
H (ST − K) per la call,
H (K − ST ) per la put,
essendo H (·) la cosiddetta funzione di Heaviside, che vale 0 se il suo argomento
(·) è < 0, invece 1 se è ≥ 0.
Una call digitale verifica l’eds di b&s (6.2.5) di sua sorella europea, però
richiede la condizione finale
F (T, ST ) = H (ST − K)
al posto della solita (F (T, ST ) = Φ (ST )) presente nel problema (6.2.6). Ciò
consente di trovare il valore a t di una call digitale: coi simboli della (6.5.4),
è e−r(T −t) N (d2 ). Esiste anche analoga formula per la put digitale, che posso
però trovare stabilendo una sorta di relazione di parità tra la call digitale e la
put digitale, di rispettivi prezzi c (t, St ) e p (t, St ). Comprandole entrambe a t,
a T mi trovo in mano tra (T − t) anni 1 in ogni caso, dunque
c (t, St ) + p (t, St ) = e−r(T −t) ,
cioè
:
e−r(T −t) N (d2 ) + p (t, St ) = e−r(T −t) ,
dunque
:
p (t, St ) = e−r(T −t) [1 − N (d2 )] .
Ad esempio, coi dati indicati nella (6.5.5), cioè con
St = 100,
K = 105,
(T − t) = 0.25,
r = 0.04,
ottengo questi risultati
opzione standard
call
put
0.63926
4.59449
opzione binaria
0.20952
0.78053
σ = 0.1,
9.2. Opzioni leaps e flex
115
Una strana variante della call binaria è l’opzione supershare (ma che bel
nome!), nella quale, scelto un numero h > 0, la funzione di contratto è
Φ (ST ) =
cioè paga
9.2
1
h
1
[H (ST − K) − H (ST − K − h)] ,
h
se K ≤ ST < K + h, invece 0 in caso contrario.
Opzioni leaps e flex
Leaps è la sigla di long-term equity anticipation securities. Sono opzioni call e
put a lunga scadenza, fino a 3 anni. Scadono sempre nel mese di Gennaio, hanno 3 diversi prezzi di esercizio (0.8St , St e 1.2St ) e sono regolarmente quotate.
Sono state proposte alla fine degli anni ’80 alla Borsa derivati di Chicago. Flex
è la sigla di flexible exchange traded options: hanno scadenza fino a 5 anni e
sono derivati un po’ più flessibili dei precedenti, cioè meno standardizzati nei
prezzi di esercizio e nelle scadenze.
9.3
Portafogli di opzioni europee
Usando opzioni europee call e put a mo’ di tesserine del Lego T M , posso costruire
alcuni giocattoli, cioè portafogli (o strategie) di opzioni, alcuni dal nome strano.
9.3.1
Portafogli spread
Un portafoglio spread si ottiene con 2 opzioni call, oppure 2 put, con la stessa
scadenza ma con prezzi di esercizio diversi. Compongo un portafoglio bull
spread comprando una call e vendendo un’altra call, coi rispettivi prezzi di
esercizio K e K 0 > K. La funzione di contratto è
¢
¡
Φ (ST ) = max (ST − K, 0) − max ST − K 0 , 0
e la posso disegnare facilmente partendo dai grafici del par. 5.3.
116
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
Un portafoglio bear spread lo ottengo invece vendendo una put e comprando
una put, coi rispettivi prezzi di esercizio K e K 0 > K. La sua funzione di
contratto è
¡
¢
Φ (ST ) = − max (K − ST , 0) + max K 0 − ST , 0
e la posso disegnare in modo simile. Chi compone un portafoglio bull spread
spera in un rialzo nella quotazione del titolo sopra a K, chi compone un bear
spread spera invece che essa resti sotto K 0 . Ciò spiega i nomi: bull è rialzista
e bear è ribassista, mentre spread è lo scarto (K 0 − K).
Esistono anche i portafogli spread calendario: sono composti come i precedenti, ma comprendono opzioni con scadenze diverse. Li lascio stare.
9.3.2
Portafogli straddle e strangle
Sono portafogli detti combinazioni perché comprendono sia una call che una
put. Lo straddle comprende l’acquisto di una call e di una put di comune
scadenza e prezzo di esercizio, e genera a T il risultato
(
K − ST , se 0 < ST < K,
Φ (ST ) = max (ST − K, 0) + max (K − ST , 0) =
ST − K, se ST ≥ K.
(call)
(put)
È il portafoglio ideale per chi spera che la futura quotazione del titolo stia
alla larga da K, non importa se sopra o sotto. Chi invece spera che ST esca da
un intervallo [K, K 0 ] compone un portafoglio strangle, coi prezzi di esercizio K
per la put e K 0 > K per la call. Ecco il grafico delle funzioni di contratto.
9.3.3
Altri animali dello zoo
Lavorando con più di 2 opzioni, con scadenze comuni o diverse, si possono
comporre portafogli con altre strane funzioni di contratto e dai nomi suggestivi,
come i portafogli butterfly (o farfalla: ne ho visto un esempio nel par. 7.7.8) e
condor . In questo zoo esistono parecchi altri animali.
9.4. Warrant e bond convertibili (rinvio)
9.4
117
Warrant e bond convertibili (rinvio)
Ne parlo nei par. 12.2.3 e 12.2.4.
9.5
Opzioni americane (in pillole)
La valutazione della call e delle put americana è molto (ma molto) più rognosa di quella dell’europea. Peccato, perché moltissime attività finanziarie
assomigliano più ad opzioni americane che europee.
Comincio con la call. Se l’opzione viene acquistata all’istante t, ogni momento z in (t, T ] è buono per esercitare l’opzione. È dunque ovvio che il prezzo
di una call americana sia almeno pari a quello dell’europea: infatti, oltre alla
scelta z = T tipica di sua sorella europea, essa mi dà anche il diritto di scegliere un’altra data di esercizio più corta. Restando nel caso in cui non vengono
distribuiti dividendi, trovare il momento ottimale nel quale esercitare l’opzione
americana (beninteso, sempre se ne varrà la pena) vuol dire trovare la scadenza
ottimale z = z ∗ , quella che risolve in z il problema, detto di tempo di arresto
ottimale,
´
³
[Φ
(S
)]
.
(9.5.1)
max e−r(z−t) EQ
z
t,St
z∈(t,T ]
9.5.1
Call americana: meglio viva o morta?
Non essendo attrezzato per affrontare di petto il problema (9.5.1), mi accontento del seguente confortante risultato, dovuto a Merton:
Teorema 9.5.1 . La scadenza ottimale per l’eventuale esercizio di una call
americana che non distribuisce dividendi è quella finale. Perciò il suo prezzo
coincide sempre, a parità di scadenza, prezzo di esercizio e sottostante, con
quello della call europea.
Dimostrazione. Scelgo un istante z ∈ [t, T ] e indico con c (z, Sz ) e
C (z, Sz ) il valore a z ∈ [t, T ] di una call europea e di una americana, comuni
per scadenza T , prezzo di esercizio K e sottostante, senza dividendi previsti
in (t, T ]. Dato che l’americana conferisce, oltre ai diritti della europea, anche
quello di esercizio anticipato, (o esercizio precoce) sarà
C (z, Sz ) ≥ c (z, Sz ) , ∀z ∈ [t, T ] .
(9.5.2)
Sia A il portafoglio che a z contiene soltanto una call europea; esso a z
vale Vz = c (z, Sz ) ed il suo valore a T sarà VT = max (ST − K, 0). Ecco la
118
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
situazione del detentore:
Portafoglio A: 1 call europea


a z : Vz = c (z, Sz ) ,




 V = (S − K) , se S ≥ K,
Valore di A :
T
T
T


aT :


 VT = 0, se ST < K.
Sia invece Ā il portafoglio che a z contiene all’Attivo un’azione e al Passivo
un debito che andrà rimborsato a T pagando K, dunque che a z vale Ke−r(T −z) .
Il valore (netto) a z di Ā è dunque V̄z = Sz − Ke−r(T −z) ed il suo valore a T
sarà V̄T = (ST − K). Ecco la situazione del detentore:

 attivo: 1 azione
Portafoglio Ā :
 passivo: K da pagare a T


a z : V̄z = Sz − Ke−r(T −z) ,




 V̄T = (ST − K) , se ST ≥ K,
Valore di Ā :


aT :


 V̄ = (S − K) < 0, se S < K.
T
T
T
È evidente che A non ha mai esiti finali peggiori di Ā, sicché l’ipotesi di
assenza di arbitraggi impone Vz ≥ V̄z , cioè
c (z, Sz ) ≥ Sz − Ke−r(T −z) , ∀z ∈ [t, T ]
ed anche, essendo r > 0,
c (z, Sz ) > (Sz − K) , ∀z ∈ [t, T ) .
Grazie alla (9.5.2), ciò mi consente di ottenere la relazione
C (z, Sz ) > (Sz − K) , ∀z ∈ [t, T ) ,
nella quale leggo: al 1◦ membro il valore a z della call americana se la tengo in
mano, al 2◦ ciò che incasso a z se la esercito. Dunque l’esercizio anticipato non
è mai conveniente e di fatto l’opzione verrà esercitata soltanto a T (beninteso
se sarà ST > K), proprio come sua sorella europea. Ad ogni z i 2 prezzi, cioè
C (z, Sz ) e c (z, Sz ), devono allora coincidere.
Questo sorprendente teorema, che (attenzione!) non vale per le put americane, viene commentato dicendo che, se non sono previsti dividendi, una call
americana vale più da viva che da morta. Se invece sono previsti dividendi a
9.5. Opzioni americane (in pillole)
119
certe date (par. 8.1.2), questa conclusione sopravvive con una variante ragionevole: conviene esercitare la call (se ne varrà la pena) soltanto alla data finale
T oppure ad una delle date di distribuzione dei dividendi.
Ora considero una put americana. Usando i consueti argomenti che fanno
perno sull’ipotesi di assenza di arbitraggi, si può (faticosamente) dimostrare
che al posto del problema di valori al contorno (6.2.6) tipico del modello di
b&s ’73, cioè
(
Fz + rSFS + 12 σ 2 S 2 FSS − rF = 0, ∀z ∈ [t, T ]
F (T, ST ) = max (K − ST , 0) ,
esce quest’altro:

Fz + rSFS + 12 σ 2 S 2 FSS − rF ≤ 0, ∀z ∈ [t, T ] ,



(non più equazione ma disequazione!)




F (z, Sz ) ≥ max (K − Sz , 0), ∀z ∈ [t, T ] ,
(condizione nuova!)






 F (T, ST ) = max (K − ST , 0),
(solita condizione al contorno)















(9.5.3)
da completare col vincolo che, al momento dell’esercizio dell’opzione, il suo
valore F e il corrispondente delta N = ∂F/∂S devono essere entrambe funzioni
continue di S = Sz . Per i Fisici un problema di questo tipo rientra nei cosiddetti
problemi di valori a frontiera libera, assai più delicati di quello che ho già gestito
per la call europea.
Per risolvere il problema (9.5.3) mi conviene sfruttare queste dritte:
• Per ogni istante z ∈ [t, T ] esiste un valore critico minimo S ∗ del prezzo
del sottostante al quale conviene esercitare la put. Il problema nasce dal
fatto che S ∗ esiste ma non lo conosco. Tuttavia per scoprirlo posso però
lavorare come segue:
• Quando mi conviene tenere viva la put, allora dev’essere
(
Fz + rSFS + 12 σ 2 S 2 FSS − rF = 0,
F (z, Sz ) > max (K − Sz , 0) .
• Al contrario, quando mi conviene esercitarla dev’essere
(
Fz + rSFS + 12 σ 2 S 2 FSS − rF < 0,
F (z, Sz ) = max (K − Sz , 0) .
• Infine, quando Sz = S ∗ sono al momento buono per l’esercizio ottimale,
ma deve comunque risultare
N=
∂F
= −1.
∂S
(9.5.4)
120
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
La condizione (9.5.4) è detta condizione di contatto morbido (smooth pasting), perché traduce il fatto che, nel loro raccordo, la curva F e la retta
(K − Sz ) si toccano ed hanno lo stesso coefficiente angolare.
Devo solo aggiungere che il metodo più semplice (anche se più faticoso) per
decidere quando è il caso di esercitare opzioni americane consiste nel gestire il
problema con lo schema dell’albero binomiale del par. 2.2. Ne trovo un esempio
nel prossimo par., e ne troverò un altro nella valutazione degli zcb convertibili
callable del par. 12.2.4.
9.5.2
Quando uccidere una put americana e perché
Si può valutare una put americana, per semplicità che non eroga dividendi,
usando lo stesso metodo (albero binomiale) impiegato per valutare put e call
europee nel par. 2.2.4. Le modifiche da inserire per la possibilità di esercitare
una put americana in anticipo sulla scadenza finale, sono semplicissime. Eccole,
comprensive delle convenzioni precisate nel par. 2.2.5:
• Richiamo le convenzioni
u = eσ
√
∆t
, qu =
er(∆t) − d
.
u−d
• Scelgo la data iniziale 0 ed r, tasso istantaneo di interesse privo di rischio.
• Affetto l’intera durata T della put in n passi di ampiezza (∆t) e faccio
viaggiare la data t sulle date dei nodi, cioè nell’insieme
{0, (∆t) , 2 (∆t) , 3 (∆t) , . . . , n (∆t) = T } .
• Indico con Φt il pay-off che il detentore incasserebbe a t se in quella data
esercitasse la sua put.
• Ripesco dall’ultima delle (2.2.5) la relazione
(
Φt , per t = T,
£ +
¤
F (t) =
−
e−r(∆t) Ft+1
qu + Ft+1
(1 − qu ) , per t < T.
• Lavorando a ritroso sulle date, all’istante t < T decido di esercitare la
put in anticipo (la uccido) se mi conviene, cioè se l’incasso del suo pay-off
a t supera il valore F (t) che essa invece ha se la detengo (cioè se la lascio
9.6. Opzioni esotiche
121
viva). In altre parole, il valore F (t) della put lo calcolo così:


Φt , per t = T,


valore alla data finale






F (t) =

 −r(∆t) £ +
¤
−

Ft+1 qu + Ft+1
, per t < T.
max 
e
(1 − qu ) , Φt 



|{z} 

{z
}
|


valore se

valore se la tengo viva
la uccido
Tutto qua. Devo solo aggiungere 2 cosette. La prima è questa: la possibilità di esercizio anticipato aggiunge un’enfasi speciale alla necessità che il
numero dei passi sia abbastanza grande da garantirmi risultati approssimati
ma non approssimativi. La seconda è questa: anche per questo motivo, nella
valutazioni di una put americana molti preferiscono risolvere il problema di
frontiera libera indicato nel par. 9.5 per via numerica (insomma: via il dente,
via il dolore!). Ad esempio, usando uno dei programmi freeware (vedi nota a
pag. 113), vedo che una put americana coi dati
S0 = 100, K = 95, T =
3
12 ,
σ = 0.22, r = 0.05
a 0 vale F (0, 100) ' 1.897, mentre sua sorella europea vale soltanto F (0, 100) '
1.856.
9.6
Opzioni esotiche
Una volta che tutti hanno imparato a valutare correttamente i derivati standard del tipo b&s (sono anche detti di tipo plain vanilla, cioè vaniglia liscio 3 ),
l’ingegneria finanziaria ha inventato le opzioni esotiche, cioè nuovi tipi di derivati che servono a coprire altri tipi di rischio ritagliati su misura del singolo
cliente, ma soprattutto a scopo speculativo. Devo dire che molte opzioni una
volta classificate esotiche vengono ora ricomprese nei prodotti vaniglia. In più,
certi prodotti vengono talvolta qualificati come derivati di frontiera, (avanzati,
di avanguardia, innovativi, alternativi, dinamici , ecc.), anche se spesso il loro
marketing nasconde minestre riscaldate. Oltre alle opzioni americane standard,
ecco alcuni altri derivati del tipo call (quelli del tipo put sono simmetrici), tra
i più noti:
• Contratti forward e contratti futures: ne dirò qualcosa nel par. 9.7.
3
Anche negli usa, in tutte le gelaterie si trovano gelati di vari gusti, alcuni con qualche
variante, per esempio al cioccolato con sopra la panna. Tutte però tengono sempre il gelato
alla vaniglia senza varianti, che si chiama vaniglia liscio (plain vanilla). In tutti i mercati
che trattano derivati su prodotti finanziari si trovano sempre derivati standard del tipo b&s
generalizzato: pur non trattandosi di gelati, per analogia vengono battezzati con quel termine.
122
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
• Opzione asiatica o opzione valor medio: è quella con
µ
¶
Z T
1
Φ (XT ) = max
Sz dz − K, 0 .
T −t t
Un’opzione del genere può avere un interesse genuino dal punto di vista assicurativo, come nel caso di una raffineria che, nell’arco di un mese, acquista ogni
giorno il greggio a prezzi (prezzi spot, cioè a pronti) variabili e vuole garantirsi
che in ogni caso il costo mensile del greggio non superi una soglia di sicurezza
K. La formuletta usa la media aritmetica, che nell’esempio è sensata, ma si
possono usare medie diverse; quella geometrica ha il piccolo vantaggio di rendere più facile la valutazione (ma qui la necessità di alleggerire i conti fa aggio
sulla natura stessa del contratto: scandaloso!).
• Opzione lookback : è quella con
µ
¶
Φ (XT ) = max max (Sz ) − K, 0 .
z∈[t,T ]
• Opzioni a barriera. Fissata a t una barriera superiore S + > St e/o una
inferiore S − < St , il valore finale del derivato dipende dal fatto che una e/o
l’altra delle 2 barriere venga visitata da Sz durante l’intervallo [t, T ] di vita
del derivato. Ecco alcuni esempi: nel contratto down and out (giù e fuori), se
Sz resta sempre sopra S − , allora a T il derivato produce un incasso Φ (ST ),
mentre in caso contrario non succede nulla; simmetricamente, nel contratto up
and out (su e fuori) l’incasso è subordinato al fatto che Sz resti sempre sotto
S + . Ovviamente, ci sono anche i contratti down and in (giù e dentro) e up
and in (su e dentro), nei quali il contratto acquista efficacia solo a partire dalla
data in cui per la prima volta Sz tocca la barriera S − , oppure S + . Le opzioni
a barriera che “vivono”, cioè che producono effetti finali, solo se Sz visita una
barriera si dicono knock-in options (o in options, o in attesa di validazione),
quelle che invece “muoiono” al contatto con la barriera si chiamano knock-out
options (o out options, o soggette a cancellazione). Se occorre che Sz stia
oltre S + oppure sotto a S − almeno per un assegnato periodo, escono le opzioni
parigine. Può essere previsto un abbuono (rebate) nel caso che una opzione
“in” non vive o una opzione “out” muore. L’opzione stop-loss è un’opzione
perpetua (cioè con scadenza T = +∞) a barriera, nella quale, se Sz raggiunge
S + ma poi scende al livello αS + , con 0 < α < 1, allora l’opzione paga αS +
al detentore. Le opzioni a barriera il cui prezzo viene sorvegliato solo in un
sottoinsieme di [t, T ] sono dette partial barrier options (a barriera parziale). Di
solito le opzioni a barriera si valutano trovando portafogli di replica (perfetta
o approssimata). Ne escono formulette pratiche utili ma molto noiose, che mi
rifiuto di riprodurre qui.
• Opzioni arcobaleno (rainbow ) o opzioni paniere (basket): il loro valore finale
è legato a quello di un particolare portafoglio di attività. Per esempio, nella
9.6. Opzioni esotiche
123
Libor contingent Fx option il valore finale è positivo solo se alla scadenza T
il tasso Libor (London interbank offered rate) risulta compreso in una banda
prefissata.
• Opzioni di scambio (exchange options), dove acquisto il diritto di scambiare
un’azione di un tipo con un certo numero di azioni di un altro.
• Opzioni a rate (instalment options). Sono quelle dove il detentore può prolungare man mano la scadenza pagando a date prescritte una rata predefinita. Quando smette di pagare, l’opzione decade. Ce ne sono di europee e di
americane.
• Opzioni americane non standard . Presentano qualche variante, più o meno
stravagante, rispetto all’opzione americana plain vanilla. Ecco alcuni esempi:
• l’esercizio anticipato è possibile solo in un sottoinsieme di [0, T ],
ad esempio a certe date t1 , . . . , tn = T (opzione Bermuda o midatlantic): qualcosa a metà strada tra l’opzione europea e quella
americana;
• i warrants (di tipo americano) emessi da una Società per Azioni
sulle proprie azioni: ne dico qualcosa nel par. 12.2.3;
• le opzioni col prezzo di esercizio K = K (t) che varia col tempo;
• le opzioni shout, nelle quali ad un certo istante z < T il detentore
può adeguare il prezzo di esercizio K al livello Sz , se Sz > K,
pagando però un importo funzione di (Sz − K), di solito (Sz − K).
• l’opzione americana perpetua, cioè con T = +∞, call o put; per
la put Merton propone il premio
¶−2r/σ2
µ
2r + σ 2
St
;
K
2rK
• l’opzione one-touch (versione americana della binaria) e doubletouch (come la one-touch, ma con pagamenti quando St esce da
una certa banda di quotazioni);
• l’opzione russa (il nome è un mistero), nella quale, al momento
z del suo esercizio, il detentore paga il prezzo di esercizio K ma
incassa non Sz bensì max (St ), cioè il più alto valore raggiunto
t∈[0,z]
fino a quel momento dalla quotazione del sottostante.
• Opzioni con decorrenza posticipata (forward start options): il loro prezzo
viene pagato subito a t, ma decorrono da una certa data futura t∗ > t.
• Opzioni range note: conferiscono al detentore il diritto di ricevere un pagamento proporzionale al tempo durante il quale il prezzo del sottostante sta in
una banda assegnata.
124
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
• Opzione passaporto (passport option, perfect trader option): ingegnosa opzione che paga al detentore il max (−ZT , 0), essendo ZT il saldo a T del conto
sul quale finiscono i guadagni e le perdite derivanti dalle compra-vendite di un
titolo effettuate nell’intervallo [t, T ] per giocare sui rialzi e ribassi giornalieri
nelle quotazioni.
• Opzioni composte (compound options): sono opzioni, call o put, scritte non su
un’attività sottostante, bensì su un’altra opzione, call o put. Per esempio, chi
ha in mano una call scritta su una call può esercitare, ad una prima scadenza
T1 e pagando un prezzo di esercizio K1 , il diritto di ottenere una call che gli
conferisce il successivo diritto di acquistare, ad una scadenza T2 > T1 , l’attività
sottostante al prezzo di esercizio K2 . Ovviamente, varrà la pena di esercitare
a T1 la prima opzione solo se il valore a T1 della seconda opzione supera K1 .
• Opzione call pay-later : il premio iniziale è nullo (come nei contratti forward
e futures del par. 9.7); alla scadenza, se è ST ≤ K non succede nulla, mentre
con ST > K il detentore da un lato incassa (ST − K), ma dall’altro paga un
assegnato importo, diciamo z. Il pay-off finale può dunque essere negativo.
• Opzione come vi pare (as you like it, you choose, chooser ): passato un certo
tempo T1 < T , il detentore che ha in mano l’opzione decide se si tratta di
una call o di una put. Secondo me sono il massimo finora raggiunto dalla
perversione (ma chi può escludere che domani escano opzioni esotiche scritte
su opzioni esotiche?).
• Cat bond : sono bond in cui l’ammontare delle cedole e/o del capitale di
rimborso di un debito dipende dal fatto che si verifichino eventi catastrofici (cat
stenografa catastrofe) che provocano danni superiori a un certo limite a carico
del Conto Economico dell’acquirente. Prodotti simili, detti weather derivatives
o derivati sul tempo (atmosferico), hanno per oggetto gli effetti negativi di
avverse condizioni climatiche (esempi: la minor produzione di energia da parte
di una centrale idroelettrica, le maggiori spese per spalare la neve o per il
riscaldamento, i minori raccolti agricoli).
9.7
9.7.1
Forward e futures (cenni)
Forward
Un contratto forward (in breve: un forward ) è un derivato piuttosto simile ad
una opzione. Ecco le sue caratteristiche:
• la compra-vendita del bene sottostante è stipulata all’epoca iniziale t;
• sia la consegna del bene, sia il pagamento del prezzo forward o prezzo
di consegna K, sono differite alla scadenza finale T (data di consegna,
scadenza);
9.7. Forward e futures (cenni)
125
• il prezzo di consegna K è predeterminato già in partenza e viene scelto
in modo da azzerare il valore a t del contratto.
Come sempre, chi compra (holder , detentore) ha una posizione lunga, chi
vende (writer , sottoscrittore) ha una posizione corta.
Di solito il bene da ricevere a T ha un prezzo aleatorio X, per esempio è
un’azione che a t vale Xt = St e che a T varrà XT = ST . Un forward è dunque
un particolare T -derivato Y del tipo
Y =X −K
e, poiché il contratto è congegnato in modo che il suo valore iniziale sia nullo,
il principio di linearità delle valutazioni (par. 7.2) impone che sia
F (t, Y ) = 0, cioè F (t, X − K) = 0, ovvero F (t, X) = F (t, K) ,
(9.7.1)
così che il valore iniziale delle prestazioni di una parte coincida con quello della
contro-prestazione dell’altra. Ne segue che accendere il contratto non costa
nulla, perché a t non si muove denaro ma solo un pezzo di carta. Il contratto
può essere però valutato, e magari ceduto, dopo la firma, dunque per una data
z ∈ (t, T ] può essere F (z, Y ) 6= 0. Inoltre il guadagno finale per chi detiene
il contratto è Y = (XT − K), di qualunque segno esso sia, sicché i contraenti
sopportano entrambi il rischio concreto di incorrere in una perdita.
È dunque la scelta di K che assicura questo equilibrio, e per indicare questa
circostanza mi conviene scrivere
K = f (t, T, X) .
Essendo maniaco dell’ipotesi che il mercato sia arb.free, posso trovare l’importo del prezzo forward K che fa quadrare i conti. Il valore a t di K, cioè
F (t, K), non è altro che Ke−r(T −t) , mentre quello della prestazione aleatoria
X è e−r(T −t) EQ
t,Xt [XT ]. Perciò la (9.7.1) impone
Q
Ke−r(T −t) = e−r(T −t) EQ
t,Xt [XT ] , ovvero K = Et,Xt [XT ] .
Nel caso che il bene sia un’azione, posso anche immaginare di costruirmi, nella qualità di sottoscrittore del forward, un vero e proprio portafoglio di
copertura così: a t prendo a prestito l’importo St , col quale acquisto il sottostante, che a T varrà proprio ST e che consegnerò onorando i miei impegni con
l’acquirente; il prezzo forward K che incasserò a T deve servirmi giusto giusto
per chiudere il prestito pagando St er(T −t) . L’unico modo di fissare K evitando
arbitraggi è dunque
K = St er(T −t) .
(9.7.2)
Ovviamente, a questo importo vanno poi sommate eventuali altre spese
(custodia, assicurazione, ecc.), per ottenere K come il delivery price (costo di
consegna).
126
9.7.2
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
Futures
I forward non sono standardizzati e non escludono il rischio di insolvenza di
una delle parti: ecco perché sono trattati fuori dalla Borsa (si dice over the
counter , sigla otc, letteralmente: sopra il banco, cioè in forma privata) e di
solito solo tra soggetti di grosse dimensioni. Al contrario, un contratto futures
è un particolare forward, con caratteristiche tecniche (scadenza, importo, ecc.)
molto ben standardizzate, trattato in Borsa e gestito col cosiddetto meccanismo detto marking to market o marginazione, che spalma su tutta la vita
del contratto il guadagno o la perdita finale, importo che si realizzerà in via
definitiva alla scadenza. Si prevede cioè che, fissate certe scadenze, di solito giornaliere, t1 > t = t0 , t2 , . . . , tn = T , ad ogni tk il detentore paga al
sottoscrittore l’importo
f (tk , T, X) − f (tk−1 , T, X) , t ∈ {t1 , t2 , . . . , tn = T } .
Questi pagamenti sono effettuati attraverso una specie di clearing house (stanza di compensazione). Su appositi conti essa amministra anche il cosiddetto
margine iniziale, che è un importo, in denaro o titoli, che le parti le versano
inizialmente, che è fruttifero di interessi, ma che resta vincolato a garanzia del
buon fine del contratto. Quando il saldo di un conto scende sotto al margine,
è necessario reintegrarlo con un ulteriore margine di mantenimento; quando
invece sale sopra al margine, il conto sopporta prelievi. Grazie al meccanismo
del marking to market, il valore di un futures è sempre nullo, sicché ciascuno
dei 2 contraenti può decidere, quando vuole e gratis, di uscire dal contratto.
Ciò spiega come mai quasi tutti i futures vengono chiusi in anticipo sulla data
finale.
Per indicare il volume di contratti futures trattati sugli mercati conviene
usare la notazione esponenziale (potenze di 10). La fortuna di questi contratti
deriva da diversi fattori, soprattutto dal fatto che essi consentono la copertura
sul prezzo del bene sottostante (ma anche, più spesso, di specularci sopra)
senza essere obbligati a detenere fisicamente il bene: un futures su un bene
non finanziario ma fisico (derrate alimentari, metalli, ecc.) è un classico caso
del genere.
In linea generale e salvo complicazioni, quando il tasso di interesse è prevedibile, il prezzo di un futures coincide con quello del forward corrispondente.
9.7.3
Opzione su un futures
Voglio valutare un derivato scritto su un derivato, precisamente un’opzione call
europea scritta a t non su un bene sottostante, bensì su un contratto futures
che copre il successivo periodo [T, T 0 ] e che riguarda un sottostante che a t vale
9.7. Forward e futures (cenni)
127
St :
t
• ← call
T
→•←
futures
T0
→•
Facendo un po’ di conti e usando la formula di b&s (6.5.4), si può dimostrare che, indicato con f = f (T, T 0 , X) il prezzo futures a T , il premio c della
call è

−r(T −t) [f N (d ) − KN (d )] ,

1
2
 c=e
f
1 2
√
ln + σ (T − t)

 con: d1 = K √2
, d2 = d1 − σ T − t.
σ T −t
128
Capitolo 9. Alla fiera dei derivati
“Mais malheur a l’auteur qui veut toujours instruire!
Le secret d’ennuyer est celui de tout dire.”
(Voltaire, De la Nature de l’Homme)
Capitolo 10
Derivati su più beni
10.1
Introduzione
Ora mi occupo dell’estensione del modello di b&s nella quale, oltre al bond, il
cui valore Bt = B (t) si muove con la solita dinamica
dBt = rBt dt,
(10.1.1)
ci sono n attività finanziarie sottostanti (azioni o altro), coi rispettivi processi
di prezzo descritti dal vettore S = S (t) = St = [S1 (t) , . . . , Sn (t)]0 e trattati ognuno sul suo bravo mercato. Impongo che il processo di prezzo F del
T -derivato X = Φ (ST ) sia ancora del tipo F = F (t, St ), con F funzione deterministica, il tutto all’interno di un modello che sia arb.free e che generi un
unico prezzo F . In sintesi, cercherò di ritrovare risultati che sono i fratelli
maggiori di quelli trovati nel par. 6.2 per il modello con n = 1, semplicemente
ripercorrendo, con ovvii adattamenti, la strada là percorsa 1 .
Mi conviene assumere che ci siano n fonti di rischio, cioè n p.s. di Wiener, per semplicità stocasticamente indipendenti, descritti dal vettore W =
W (t) = [W1 (t) , , . . . , Wn (t)]0 . Esiste infatti una “regola del pollice”, di tipo
euristico, nella quale, indicati con f il numero delle fonti di rischio e con (n + 1)
quello delle attività (compreso il bond), il caso n ≥ f equivale all’assenza di
arbitraggio, mentre il caso f ≤ n equivale alla completezza, sicché con f = n
mi trovo con un mercato arb.free e completo: 2 piccioni con una fava, anzi 3,
perché, come si può dimostrare, la misura di martingala Q è unica se e solo se
il mercato è completo (si veda alla fine del par. 15.1).
Ritorno allo schema del par. 3.7.2 e adotto/adatto le sue notazioni
a, C, Ci , dW (t) , M = [mij ] = CC0 ,
Ft =
1
∂F
,
∂t
Fi =
∂F
,
∂Xi
Fij =
∂F
,
∂Xi ∂Xj
(∇F ) = [F1 , F2 , . . . , Fn ] ,
Questo capitolo ed il successivo devono molto al manuale di Björk [9].
129
130
Capitolo 10. Derivati su più beni
e riprendo l’eds vettoriale (3.7.5), cioè
dXi (t) = ai dt + Ci dW (t) , i ∈ {1, 2, . . . , n} .
Poiché ora ogni Xi (t) misura il prezzo Si (t) di un’attività finanziaria, accetto che ogni Si (t) segua un moto browniano geometrico. Ricopio allora
questa eds con gli adattamenti necessari, ottenendo le seguenti equazioni, che
descrivono la dinamica di Si (t) (sotto la misura vera P ):
dSi (t) = ai Si (t) dt + Si (t) Ci dW (t) , i ∈ {1, 2, . . . , n} .
(10.1.2)
La dinamica del prezzo F = F (t, S (t)) del derivato la tiro fuori dalla
formula di Itô multi-dimensionale (3.7.7), che adatto al mio caso (sempre perché
ogni Si (t) segue un moto browniano geometrico). Usando la solita notazione
stenografica ottengo la relazione
³
´
P P
P
dF = Ft + ni=1 ai Si Fi + 12 ni=1 nj=1 mij Si Sj Fij dt +
P
+ ni=1 Si Fi Ci dW.
La riscrivo nella forma


´
1 ³
Pn
1 Pn Pn

F
+
a
S
F
+
m
S
S
F
dF = F 
t
i=1 i i i
i=1
j=1 ij i j ij  dt +
2
F
{z
}
|
aF



 1 Pn

+F 
 F i=1 Si Fi Ci  dW,
|
{z
}
cF
e cioè
dF = F aF dt + F cF dW,
avendo definito, come nelle didascalie,
´
P P
P
1 ³
aF =
Ft + ni=1 ai Si Fi + 12 ni=1 nj=1 mij Si Sj Fij ,
F
1 Pn
cF =
Si Fi Ci .
F i=1
(10.1.3)
(10.1.4)
(10.1.5)
Costruisco ora un paf relativo y usando le n attività, il bond e il derivato,
coi rispettivi pesi yi (per la i-esima attività), yF (per il derivato) e yB (per il
bond). Scrivo il vincolo di somma sul portafoglio relativo y nella forma
P
yB = 1 − ( ni=1 yi + yF ) .
10.1. Introduzione
131
La dinamica del valore V = V (t) del mio portafoglio è
µ
¶
Pn
dSi
dF
dB
+ yB
dV = V
+ yF
,
i=1 yi
Si
F
B
ovvero, esprimendo yB in termini degli altri pesi,
¶
µ
Pn
Pn
(dSi )
(dF )
(dB)
+ [1 − ( i=1 yi + yF )]
.
+ yF
dV = V
i=1 yi
Si
F
B
(10.1.6)
Ora sostituisco a dSi , dF e dB le loro espressioni (10.1.2), (10.1.3) e
(10.1.1), ottenendo
Pn
i=1 yi
P
(dSi ) Pn
= i=1 yi ai dt + ni=1 yi Ci (dW) ,
Si
(dF )
= yF aF dt + yF cF (dW) ,
F
P
P
(dB)
= (r − r ni=1 yi − ryF ) dt,
[1 − ( ni=1 yi + yF )]
B
yF
robaccia che inserisco nella (10.1.6) per avere
P
P
dV = V [ ni=1 yi ai dt + ni=1 yi Ci (dW) + yF aF dt+
P
+ yF cF (dW) + (r − r ni=1 yi − ryF ) dt] .
Assemblo i termini con dt e quelli con dW:
P
P
dV = V [ ni=1 yi ai + r − r ni=1 yi − ryF + yF aF ] dt +
P
+ V [ ni=1 yi Ci + yF cF ] (dW)
e riordino:
Pongo
P
dV = V [ ni=1 yi (ai − r) + yF (aF − r) + r] dt +
P
+ V [ ni=1 yi Ci + yF cF ] dW.
yS = [y1 , . . . , yn ] ,
u = [1, . . . , 1]0 ,
e riscrivo:
dV = V [yS (a − ru) + yF (aF − r) + r] dt + V [yS C + yF cF ] dW.
Ora scelgo i pesi in modo da azzerare il contributo del termine stocastico:
yS C + yF cF = [0] , ovvero [yS , yF ]
C
cF
= [0]
(10.1.7)
132
Capitolo 10. Derivati su più beni
e da imporre una proprietà che nega l’ipotesi di assenza di arbitraggio, cioè
che il mio portafoglio, alla faccia del teorema 5.3.1, renda più del bond:
yS (a − ru) + yF (aF − r) + r > r.
(10.1.8)
In questo modo ho creato con le (10.1.7)-(10.1.8) il sistema lineare in
[yS , yF ]:


 yS C + yF cF = [0] ,
yS (a − ru) + yF (aF − r) > 0,


[yS , yF ] senza vincoli di segno,
che l’ipotesi di mercati arb.free rende insolubile. Applico il pacchetto di regole
che gestiscono i teoremi dell’alternativa per sistemi lineari (par. 14.1.2, teorema
14.1.3) ed ottengo che è solubile il sistema 2

Cλ = a − ru,


aF = r + cF λ,
(10.1.9)


λ con segni liberi.
Posso interpretare le componenti λi del vettore λ come prezzi di mercato del
rischio del ben noto modello capm (capital asset pricing model): ci ritornerò
nel par. 11.1.
10.2
Valutazione
Se assumo l’ipotesi che la matrice di volatilità C sia non singolare (cioè det (C) 6=
0), posso risolvere in λ il 1◦ sistema nella (10.1.9), ottenendo
λ = C−1 (a − ru) ,
che sostituisco nel 2◦ per scrivere, sfruttando la definizione (10.1.5) di cF :
µ
¶
1 Pn
−1
Si Fi Ci C−1 (a − ru) .
aF = r + (cF ) C (a − ru) = r +
F i=1
2
Per tradurre il mio sistema nella forma standard (14.1.2) richiesta in quelle regole devo
prima moltiplicare per (−1) i 2 membri della sua disequazione e girarne il verso. Applicando
quelle regole ottengo che è solubile il sistema
 1
3

 x senza vincoli di segno, x > 0,


C
a − ru
x1 = x3
,
cF
aF − r
dal quale, ponendo λ = (1/x3 )x1 , ottengo la (10.1.9).
10.2. Valutazione
133
Essendo CC−1 = I, riscrivo, con ui i-esimo vettore base riga di Rn :
aF = r +
1 Pn
1 Pn
i
Si Fi (ai − r) .
i=1 Si Fi u (a − ru) = r +
F
F i=1
Se in questa relazione sostituisco ad aF la sua espressione (10.1.4) e uso
la notazione M = [mij ] = [CC0 ], ottengo, dopo semplificazioni da poppante,
l’edp
P
P P
Ft + r ni=1 Si Fi + 12 ni=1 nj=1 mij Si Sj Fij − rF = 0,
da completare con la consueta condizione al contorno F (T, S (T )) = Φ (S (T )).
Questa eds deve valere ∀t e per ogni possibile vettore di prezzi S = S (t). E
così ho portato a casa il seguente
Teorema 10.2.1 . In un mercato arb.free con n p.s. di Wiener non correlati,
posto M = [mij ] = [CC0 ], con C matrice di volatilità invertibile, la funzione
di prezzo F = F (t, S (t)) di un T -derivato X = Φ (S (T )) deve risolvere il
problema di valori al contorno
(
P P
P
Ft + r ni=1 Si Fi + 12 ni=1 nj=1 mij Si Sj Fij − rF = 0,
F (T, ST ) = Φ (ST ) .
Noto che anche adesso, come nel caso n = 1, il vettore a (che descrive i
tassi di rendimento delle n attività) non compare nell’equazione, perciò nella
soluzione. Ma questa è una vecchia storia!
Di questo teorema esiste anche la seguente versione:
Teorema 10.2.2 . Il teorema 10.2.1 vale anche se, al posto di a e C costanti,
ho a = a (t, S (t)) e C = C (t, S (t)), purché C sia invertibile comunque si
scelga (t, S (t)).
Come per il caso n = 1, dal teorema 4.3.1 di rappresentazione di FeynmanKač esce qualcosa, cioè questo teorema:
Teorema 10.2.3 . La funzione F (t, S (t)) del teorema 10.2.1 ha la rappresentazione
F (t, S (t)) = e−r(T −t) EQ
t,S [Φ (S (T ))] ,
il valor medio essendo calcolato sotto la misura di martingala Q, quella che
governa il prezzo Si (t) con l’ eds
dSi (t) = rSi (t) + Si (t) Ci dW̄ (t) , i ∈ {1, 2, . . . , n} .
Al solito, W̄ (t) è un p.s. di Wiener sotto Q ed il valor medio è calcolato sotto
Q, assegnata le condizione iniziale S = S (t). Posso anche caratterizzare Q
con una delle seguenti condizioni, tra loro equivalenti:
134
Capitolo 10. Derivati su più beni
1. Sotto Q ogni processo di prezzo F (t, St ) (di derivato o di sottostante)
gode della proprietà di valutazione neutrale rispetto al rischio
F (t, St ) = e−r(T −t) EQ
t,S [Φ (S (T ))] ;
2. Sotto Q ogni processo di prezzo F (t, St ) (di derivato o di sottostante) ha
r come suo tasso locale di rendimento, cioè la dinamica di F (t, St ) sotto
Qè
dF (t, St ) = rF (t, St ) + F (t, St ) σF (t) dW̄ (t) ,
essendo il vettore di volatilità σ F (t) lo stesso sotto P e sotto Q;
3. Sotto Q ogni processo di prezzo F (t, St ) (di derivato o di sottostante) è
tale per cui il corrispondente processo normalizzato F (t, St ) /B (t) è una
martingala, cioè ha coefficiente di deriva nullo.
Per tutti questi risultati valgono le stesse avvertenze già dette per gli
analoghi con n = 1.
10.3
Copertura
Il seguente teorema insegna a costruire un paf per il mio modello.
Teorema 10.3.1 . Se la matrice di volatilità C è invertibile, allora:
• il mercato è completo, cioè ogni derivato è replicabile;
• per un T -derivato X = Φ (S (T )) i pesi yS (t) = [y1 (t) , . . . , yn (t)] e yB (t)
del portafoglio relativo di replica sono:
yi (t) =
Si (t) Fi (t, S (t))
, i ∈ {1, 2, . . . , n} ,
F (t, S (t))
P
yB (t) = 1 − ni=1 yi (t) ,
con F = F (t, S (t)) soluzione dell’ edp del teorema 10.2.1.
“A reader who survives this book feels strong.”
D.E. Knuth, T. Larrabee, P.M. Roberts,
Mathematical Writing, Stanford Univ., 1987, p. 24
Capitolo 11
Mercati incompleti
Nei modelli non completi non sono sicuro di poter duplicare il derivato,
perciò valutarlo è una bella rogna: può persino capitare che il suo prezzo non
esista o non esista unico. Non si tratta di un problema soltanto teorico, perché
nella realtà dei mercati finanziari l’ipotesi che il derivato abbia un mercato è
innocente per molti derivati (esempio: quelli plain vanilla), invece assurda per
altri, che non vengono trattati in modo pubblico e standard, su base regolare,
bensì otc (over the counter , “sopra il banco”). Qui mi limito a un caso speciale
di mercato incompleto, cioè al cosiddetto modello a fattori, nel quale immagino
che ci siano alcuni oggetti non trattati. Rinvio poi al par. 15.2 per un approccio
super-semplificato.
11.1
Un’attività sottostante non trattata
Assumo che sul mercato:
• esista un bene, il cui prezzo indico con X = Xt , che non è trattato sul
mercato, anche se il p.s. X = Xt è osservabile (dunque Xt è noto a t) ed
ha la dinamica
dXt = µ dt + σ dWt ,
con Wt p.s. di Wiener scalare sotto P , e con
µ = µ (t, Xt ) ,
σ = σ (t, Xt ) ;
• c’è un bond con rendimento deterministico r e con dinamica
dBt = rBt dt;
• anche se il bene con prezzo X non è trattato, si può trattare qualunque
derivato (cioè il mercato dei derivati è liquido).
135
136
Capitolo 11. Mercati incompleti
Considero un T -derivato Y scritto su X
Y = Φ (XT ) ,
con Φ funzione deterministica e continua. Voglio seguire il processo di prezzo
F (t, Y ) di questo derivato. Per fissare le idee e sottolineare che il bene di
prezzo Xt non è trattato, di solito si fa l’esempio 1 in cui Xt è la temperatura
in gradi centigradi all’istante t nell’atrio della Borsa Derivati di Chicago e si
suppone di stipulare una polizza che pagherà (un derivato così stupido non può
esistere, però adesso mi serve!)
(
100, se XT ≤ 20◦ ,
Y = Φ (XT ) =
0, se XT > 20◦ .
Bene, voglio trovare il prezzo arb.free di questo derivato Y , che per ipotesi
è trattato, mentre X non lo è. Le somiglianze col modello di b&s sono molte:
c’è un bond e c’è un p.s. assegnato a priori; c’è un bene sottostante (di prezzo
Xt qui, St là) e c’è anche una funzione Φ che ne trasforma il valore finale a T
in un flusso di cassa Φ (XT ). Mi aspetto dunque che il processo di prezzo del
derivato Y sia determinato in modo univoco dalla dinamica del p.s. sottostante.
E invece mi sbaglio, perché, non essendo Xt il prezzo di un bene trattato, non
posso formare un paf che replichi il derivato ed il cui costo sia l’unico prezzo
arb.free del derivato.
Tuttavia, visto che i guai nascono dalla mancanza di sottostanti trattati,
mi basterà aggiungerne uno affinché il mercato diventi finalmente completo, ad
esempio un’assicurazione simile a quella sopra, però con capitale assicurato
(
100, se XT 0 ≤ 25◦ ,
Y ∗ = Φ∗ (XT 0 ) =
0, se XT 0 > 25◦ ,
magari con T 0 = T , comunque con Φ∗ 6= Φ funzione deterministica e anch’essa
continua. A questo punto ci sono: prendo 1 dei 2 derivati Y e Y ∗ (contratti di
assicurazione contro il freddo), lo considero benchmark (termine di riferimento)
e cerco di esprimere il prezzo dell’altro non in modo autonomo, bensì in funzione
del prezzo del benchmark. Indico con
F (t, Xt ) ,
prezzo a t di Y
G (t, Xt )
prezzo a t di Y ∗
i prezzi di mercato a t dei derivati Y e Y ∗ , e procedo come ho fatto nel par. 6.2
per il modello di b&s, cioè: cerco di formare un loro portafoglio, coi rispettivi
pesi yF e yG con somma 1 e tali che il portafoglio sia non rischioso, dunque
1
Vedi, ad esempio, [32] par. 19.1 o [9] par. 10.2.
11.1. Un’attività sottostante non trattata
137
che debba rendere r. Usando la formula di Itô e stenografando la notazione,
comincio a calcolare
¢
¡
dF = Ft + µFx + 12 σFxx dt + σFx dW,
¢
¡
dG = Gt + µGx + 12 σGxx dt + σGx dW,
diciamo
Ft + µFx + 12 σFxx
Fx
dF = F
dt + F σ
dW,
F
F
{z
}
|
|{z}
αF
dG = G
Gt + µGx +
G
{z
|
αG
insomma:
(11.1.1)
σF
1
2 σGxx
Gx
dt + G σ
dW,
G}
}
| {z
σG
dF = F αF dt + F σ F dW,
dG = GαG dt + Gσ G dW.
Ora formo un paf, lo chiamo Ψ, miscelando F e G nelle proporzioni yF e
yG , con somma 1. Per la (5.2.1) o per il teorema 5.2.1, la dinamica del valore
V di Ψ è
µ
¶
dF
dG
dV = V yF
+ yG
,
F
G
cioè, sostituendo,
dV = V [yF (αF dt + σ F dW ) + yG (αG dt + σ G dW )] =
= V [(yF αF + yG αG ) dt + (yF σ F + yG σ G ) dW ] .
Ora scelgo yF e yG in modo che Ψ diventi non rischioso:

−σ G
(

,
 yF =
yF σ F + yG σ G = 0,
σF − σG
a conti fatti:
σF

yF + yG = 1,
 yG =
.
σF − σG
Infilo questi valori nella dinamica di V , che oramai è deterministica:
¶
µ
σF
−σ G
αF +
αG dt
dV = V
σF − σG
σF − σG
138
Capitolo 11. Mercati incompleti
e perciò deve rendere esattamente r, sennò c’è posto per arbitraggi (teorema
5.3.1):
αG σ F
−αF σ G
+
= r,
σF − σG σF − σG
a conti fatti:
αG − r
αF − r
=
.
σG
σF
Noto che il 1◦ membro di questa relazione non dipende da F e il 2◦ non
dipende da G, anche se, dovendo fare hedging continuo, cioè ∀t, le grandezze
che esso coinvolge variano con t.
Questo risultato lo posso dunque commentare così:
Teorema 11.1.1 . Se il mercato dei derivati è arb.free, allora esiste un processo λ (t) tale che risulta
λ (t) =
αF (t) − r
αG (t) − r
=
, ∀t.
σ F (t)
σ G (t)
(11.1.2)
In altre parole, come ho già detto a commento della (10.1.9), per tutti i
derivati c’è un comune valore di λ, grandezza che si merita il nome di prezzo di
mercato del rischio, in quanto rapporto tra il premio per il rischio (rendimento
oltre quello di attività prive di rischio) e la volatilità.
Ora inserisco nella (11.1.2) le espressioni di αF e σ F della (11.1.1) ed
ottengo:
αF (t) − r = λ (t) σ F (t) ,
Ft + µFx + 12 σFxx
Fx
− r = λ (t) σ ,
F
F
1
Ft + [µ − λ (t) σ] Fx + 2 σFxx − rF = 0,
cioè un’edp, che completo con la condizione al contorno nel seguente
Teorema 11.1.2 (equazione di valutazione) . In un mondo arb.free la
funzione di prezzo F = F (t, x) del T -derivato Φ (XT ) verifica il seguente problema (al solito, la dipendenza da (t, x) da parte di F , delle sue derivate, di µ,
σ e λ è sottintesa):
(
Ft + (µ − λσ) Fx + 12 σ 2 Fxx − rF = 0,
F (T, x) = Φ (x) , x ∈ R, (t, x) ∈ (0, T ) × R.
11.1. Un’attività sottostante non trattata
139
Poiché non conosco λ = λ (t, x), non riesco a trovare il prezzo unico del
derivato risolvendo questo problema. Se però conosco cosa fa G, posso estrarre
λ (t, x) dalla (11.1.2) ponendo
λ (t, x) =
αG (t) − r
,
σ G (t)
poi inserire questa λ (t, x) nella edp e risolverla in F .
Posso anche ottenere i seguenti risultati, del tutto analoghi a quelli contenuti nel teorema di rappresentazione 10.2.3:
Teorema 11.1.3 (valutazione neutrale rispetto al rischio) . In un mercato arb.free la funzione di prezzo F (t, Xt ) del T -derivato Φ (XT ) è
F (t, Xt ) = e−r(T −t) EQ
t,Xt [Φ (XT )] ,
essendo la dinamica di X sotto Q data da
dXt = (µ − λσ) dt + σ dW̄t ,
con W̄t p.s. di Wiener sotto Q (al solito, la dipendenza da (t, Xt ) da parte di µ,
σ e λ è sottintesa). Inoltre Q è caratterizzata da una delle seguenti proprietà,
tra loro equivalenti:
• il tasso medio locale di rendimento del processo di prezzo Π (t) di qualunque derivato è r, cioè l’ eds che governa Π (t) sotto Q è
dΠ (t) = rΠ (t) dt + σ Π Π (t) dW̄t ,
con W̄t p.s. di Wiener sotto Q e σ Π che è lo stesso sia sotto P che sotto
Q;
• per qualunque derivato il processo Π (t) /B (t) è una martingala sotto Q,
cioè ha deriva nulla.
Valgono, al solito, le consuete cautele (non è vero che il mondo è neutrale
rispetto al rischio, ecc.). Inoltre: c’è corrispondenza 1 : 1 tra la misura di
martingala e il prezzo di mercato del rischio, perciò scegliere una distribuzione
Q vuol dire scegliere un λ. La caratterizzazione di Q è quella del teorema
10.2.3. Di nuovo ora c’è che devo conoscere λ per calcolare il valore atteso
del teorema, perciò, al contrario che nel modello di b&s, Q non è determinata
all’interno al modello, bensì fuori, cioè dalla domanda e offerta aggregate che
si formano sul mercato (con la sua avversione al rischio, la sua liquidità, le
sue aspettative, ecc.). Posso osservarne i prezzi ed estrarne informazioni, cioè
calibrare il modello ai dati del mercato, ovvero trovare i valori dei parametri
impliciti nel mercato. In proposito è comune scegliere una famiglia di funzioni
140
Capitolo 11. Mercati incompleti
λ = λ (t, x, β), con β vettore di k parametri i cui valori devo scegliere in modo da
rendere minima la somma dei quadrati degli scarti tra prezzi osservati e prezzi
teorici. Dato che una procedura di questo tipo la si usa anche nei modelli per
la stima dei tassi (par. 13.5.2), la si chiama, sia là che qui, inversione della
curva dei rendimenti.
11.2
Più attività sottostanti non trattate
Ora vedo il caso di più beni sottostanti non trattati. Richiamo le notazioni
introdotte nel par. 3.7.2 e già riprese nel par. 10.1. Assumo che, accanto a
un bond, con la solita dinamica dBt = rBt dt, ci siano n p.s. empiricamente
osservabili (detti fattori), da X1 a Xn , raccolti nel vettore colonna X = X (t).
Questi possono anche non essere i processi di prezzo di beni trattati, e la loro
dinamica sotto P è
dXi (t) = ai dt + Ci dW (t) , i ∈ {1, 2, . . . , n} ,
in sintesi:
dX (t) = a dt + C dW (t) ,
come nella (4.3.6), con
ai = ai (t, X (t)) , C = C (t, X (t)) , Ci = Ci (t, X (t)) , W = W (t) ,
coefficiente di deriva, matrice delle volatilità per ipotesi invertibile, sua riga
i-esima, vettore di n p.s. di Wiener stocasticamente indipendenti.
Nel valutare un T -derivato
Y = Φ (X (T )) ,
con processo di prezzo del tipo F = F (t, X (T )), mi aspetto qualcosa di simile a
quanto già visto nel par. 11.1, in particolare che per avere prezzo unico occorra
conoscere il prezzo di altri n derivati da usare come benchmark per esprimere
il prezzo F = F (t, X (t)) di Y . Al solito, suppongo che, per ognuno di questi
ci sia un mercato liquido, che l’i-esimo derivato abbia la sua brava funzione di
pay-off finale Φi (X (T )):
Yi = Φi (X (T )) , i ∈ {1, 2, . . . , n} ;
ed un processo di prezzo del consueto tipo
F i = F i (t, X (t)) , i ∈ {1, 2, . . . , n} ,
11.2. Più attività sottostanti non trattate
141
avendo usato (attenzione!) l’indice i di spalla per riferirmi al prezzo dell’i-esimo
derivato Yi .
Posso ora ripercorrere la stessa strada del par. 11.1, con gli ovvii adattamenti (ad esempio, devo usare il lemma di Itô nella versione (3.7.7)). Omettendo
qui i (noiosissimi!) dettagli, non solo mi escono proprio le relazioni (10.1.9),
con l’interpretazione là proposta. ma emerge anche la possibilità di valutare
i derivati in termini dei prezzi benchmark. Ovviamente occorre che valgano
le condizioni al contorno F (T, X (T )) = Φ (X (T )), e che la matrice C delle
volatilità sia invertibile ∀ (t, X), di modo che l’insieme dei derivati benchmark
possa generare l’intero spazio dei derivati. Ottengo poi i seguenti teoremi, del
tutto simili a quelli del par. precedente.
Teorema 11.2.1 (equazione di valutazione) . Se il mercato è arb.free, il
prezzo del derivato Y = Φ (X (T )) è dato dalla funzione F = F (t, X (t)) che
risolve
(
P P
P
Ft + ni=1 (ai − Ci λ) Fi + 12 ni=1 nj=1 mij Si Sj Fij − rF = 0
F (T, X (T )) = Φ (X (T )) ,
con: M = [mij ] = [CC0 ], C matrice di volatilità invertibile, gli n p.s. di Wiener
non correlati ed i λj universali, nel senso che non dipendono dalla scelta del
derivato.
Teorema 11.2.2 (valutazione neutrale rispetto al rischio) . Se il mercato è arb.free (e gli n p.s. di Wiener non sono correlati), allora esiste una
misura di martingala Q tale che la funzione F del teorema 11.2.1 ha la rappresentazione
F (t, X (t)) = e−r(T −t) EQ
t,X [Φ (X (T ))] ,
la Q-dinamica dei processi di prezzo X essendo data da
¡
¢
dX = (a − Cλ) dt + C dW̄ ,
coi λi universali. Valgono inoltre, su Q e sul tasso medio locale di rendimento
di qualunque derivato, le osservazioni già indicate nel teorema (10.2.3).
Osservazione: il modello ospita anche il caso in cui alcuni Xi , diciamo da
X1 a Xm , sono trattati, dunque con prezzi assegnati in modo esogeno, mentre
gli altri da Xm+1 a Xn non sono trattati. Nel caso m = n ritorno al caso del
mercato completo.
Nel caso che r si muova con X (t), cioè sia
r = r (X (t)) ,
142
Capitolo 11. Mercati incompleti
rifacendo tutto daccapo i teoremi precedenti ne escono 2 nuovi: il 1◦ si ottiene
riscrivendo il 11.2.1 con [−r (X) F ] al posto di [−rF ]; il 2◦ si ottiene riscrivendo
−r(T −t) davanti a EQ [ · ] e porto dentro a EQ [ · ] il fattore
il 11.2.2
h R così: tolgo e i
T
exp − t r (X (z)) dz .
“Financial modeling is both an art and a science.”
(P. Wilmott, [53], p. 1)
Capitolo 12
Applicazioni di interesse
aziendale
Questo capitolo racconta di alcune applicazioni di interesse aziendale della
teoria dei derivati. È organizzato così: nel par. 12.1 presento qualche cenno ai
derivati sui tassi di interesse, mentre nel par. 12.2 mi occupo di qualche tipica
applicazione a problemi tipici della Corporate Finance; infine, nel par. 12.3
raccolgo vari argomenti relativi a problemi di misura e gestione del rischio.
12.1
Alcuni derivati sui tassi
12.1.1
Introduzione
Il più semplice modello sui tassi di interesse che mi può venire in mente prevede
di “riciclare” il modello di b&s, cioè che il tasso rt , inizialmente pari a r0 , segua
il moto browniano geometrico con coefficienti di deriva α e di volatilità costanti
drt = αrt dt + σrt dWt ,
proprio come nella consueta eds (4.2.1), qui riscritta con le necessarie varianti
di notazione. Come ho cercato di chiarire nel par. 4.2, questa ipotesi equivale
ad assumere che rt abbia distribuzione log-normale (vedi par. 14.4.6). In realtà
quest’ipotesi, mentre appare ragionevole per descrivere il comportamento delle
quotazioni di un’azione, per la dinamica dei tassi è invece un po’ stravagante,
anche se qualcuno la adotta. Mi conviene allora ripiegare su una scelta più
semplice e un po’ più sensata, quella dove il tasso rt ha una distribuzione
normale, cioè si muove come nell’eds
drt = α dt + σ dWt .
(12.1.1)
Avverto subito che sulla dinamica dei tassi di interesse esistono modelli
assai meno ingenui di questo (stanno nel cap. 13), che qui adotto solo per
143
144
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
semplicità e per la possibilità che esso mi offre di utilizzare una variante del
consueto schema per la valutazione di opzioni standard. Per intenderci, una
volta che accetto l’ipotesi (12.1.1) e con pazienza ripercorro la strada seguita
da b&s (par. 6.5 e 6.5.2), arrivo alla seguente formula di valutazione

Formula di valutazione di Black:





F (t, St ) = e−r(T −t) (St N (d1 ) − KN (d2 )) ,



(call)





St 1 2



+ σ (T − t)
ln


K √2

,
=
d


1



σ T −t

 con:



St 1 2





ln
− 2 σ (T − t)

√





 d2 = K √
= d1 − σ T − t,
σ T −t



























(12.1.2)
che sostituisce la solita formula di b&s (6.5.4) e che ora, dovendo valutare
derivati sui tassi, utilizzerò sostituendo St con rt , visto che adesso il valore del
sottostante è proprio rt .
Per ottenere formalmente la nuova formula di Black (12.1.2) partendo da
quella di b&s (6.5.4) c’è un trucco semplice: basta usare quest’ultima con r = 0
e attualizzare poi il risultato moltiplicandolo per e−r(T −t) . Questo trucco mi
consente anche di utilizzare la vecchia formula di b&s per ottenere i risultati
che mi aspetto dalla nuova 1 .
12.1.2
Contratti cap, floor, collar
Mi occupo della valutazione dei contratti, molto diffusi, detti cap (cappello,
soffitto), floor (pavimento) e collar (collare).
Il contratto cap è molto semplice. Esso conferisce al suo titolare il diritto
di pagare interessi futuri al minimo tra un tasso aleatorio variabile, diciamo di
anno in anno, ed un assegnato tasso fisso, detto cap rate o tasso cap. Mi spiego
con un esempio. Contraggo oggi, epoca 0, un mutuo di 100, da rimborsare
in 7 anni con restituzione finale del capitale e pagamento annuo delle quote
interessi. Queste verranno man mano adeguate al tasso aleatorio, nel senso che
esse verranno calcolate sul capitale di 100, secondo tassi annuali che saranno
noti solo un anno prima della scadenza delle quote. Decido di sopportare il
rischio che le variazioni di tasso aumentino le prime 4 quote interessi, mentre
voglio coprirmi per quelle che scadono tra 5, 6 e 7 anni. Gli interessi da pagare
tra 5, 6 e 7 anni dipenderanno dunque, rispettivamente, dai tassi r4 , r5 , e
r6 , che conoscerò tra 4, 5 e 6 anni. Voglio assicurarmi contro il rischio che
qualcuna di queste uscite aleatorie per interessi finisca per superare l’8% sul
1
Nei par. 12.1.2 e 12.1.4 potrò dunque usare ancora, in alternativa ai conteggi che esporrò,
il programma bs.exe (vedi nota di pag. 113) per valutare call e put europee.
12.1. Alcuni derivati sui tassi
145
capitale 100, cioè l’importo 8. Per ottenere questo risultato acquisto 3 opzioni
call europee che rispettivamente mi pagheranno



 5 : max (100r4 − 8, 0) ,

(12.1.3)
6 : max (100r5 − 8, 0) , 
tra anni


7 : max (100r6 − 8, 0) ,
e che eserciterò, rispettivamente, tra 4, 5 e 6 anni. In questo modo, ad esempio,
tra 4 anni, nel momento in cui eserciterò la 1a opzione, saprò se l’anno dopo
pagherò 8 (se sarà r4 ≥ 0.08), oppure invece soltanto 100r4 (se sarà r4 < 0.08),
cioè conoscerò il flusso di cassa previsto per l’epoca 5, cioè:
(
−8, se r4 ≥ 0.08,
+ max (100r4 − 8, 0) =
−100r4
−100r4 , se r4 < 0.08.
quota interessi I5
pay-off della call
Il contratto che mi garantisce i 3 importi nella (12.1.3) è detto cap e le 3
opzioni call che esso contiene sono dette caplet (non sono cappelletti in brodo
ma sotto-contratti). Il contratto intero è così assimilato ad un portafoglio che
contiene i 3 caplet.
Calcolo ora il valore V4 oggi del 1◦ caplet: è il valore della call europea che
scade tra 5 anni, con prezzo del sottostante r0 , prezzo di esercizio 8, tasso di
interesse r0 . Se suppongo r0 = 7.85% e che rt abbia volatilità σ = 0.2, per
calcolare V4 posso usare la formula di valutazione di Black (12.1.2), beninteso
con queste sostituzioni:
valore del sottostante
prezzo di esercizio
volatilità
tempo alla scadenza
tasso di interesse
valore opzione
b&s
St
K
σ
(T − t)
r
F (t, St )
ora
7.85
8
0.2
4
r0 = 0.0785
V4
tenendo conto delle quali mi trovo
d1 =
N (d1 ) =
N (d2 ) =
7.85 1
ln 8 + 2 (0.2)2 4
√
0.2 4
√1
2π
1
√
2π
√
' 0.152680, d2 = d1 − 0.2 4 ' −0.247320,
R 0.15268
2
e−z /2 dz ' 0.560675,
−∞
R −0.24732 −z 2 /2
e
dz ' 0.402330.
−∞
Poi calcolo il valore V4 del 1◦ caplet:
V4 = e−0.0785(5) [7.85N (d1 ) − 8N (d2 )] =
= e−0.0785(5) (7.85 × 0.560675 − 8 × 0.402330) ' 0.798728,
146
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
valore che ottenuto attualizzando per 5 anni anziché per 4, visto che quest’opzione la esercito a 4 ma mi paga a 5, cioè col ritardo di 1 anno. Assumendo
che anche per gli altri 2 caplet la volatilità del tasso di interesse sia ancora 0.2,
con lo stesso metodo (mi basta rifare i conti con (T − t) = 5, = 6, = 7), calcolo
i valori
V5 ' e−0.0785(6) × 1.328458 ' 0.829459,
V6 ' e−0.0785(7) × 1.459641 ' 0.842561,
la cui somma con V4 mi dà il valore iniziale del contratto cap:
V4 + V5 + V6 ' 2.470748.
In modo simmetrico posso gestire il contratto floor, nel quale il tasso di
interesse dei pagamenti effettivi non potrà scendere al di sotto di un assegnato
tasso, detto floor rate, e al posto dei caplets saltano fuori i floorlets, che sono
opzioni put. Un contratto collar prevede sia un cap sui tassi che un floor. Tutti
questi contratti esistono anche nelle varianti, dette set-up cap (e set-up floor )
con tasso cap (o floor) variabile nel tempo secondo una legge deterministica
fissata in partenza.
12.1.3
Mutui a tasso variabile con opzione cap
Qualora, durante l’ammortamento di un mutuo, il tasso di interesse pattuito
diventi troppo oneroso per il debitore, le nostre leggi prevedono la possibilità di
restituzione anticipata, mediante il pagamento del debito residuo, maggiorato
di una penale prevista in contratto, sicché il debitore è titolare di un’opzione
di rimborso anticipato. In realtà è diventata più comune una forma di tutela
alternativa, che si ottiene inserendo nel contratto di mutuo con tasso di interesse adeguabile, un’opzione cap sul medesimo, opzione da esercitarsi alla
scadenza delle varie rate, secondo lo schema già visto nel par. 12.1.2, al quale
dunque rinvio per brevità. Trattandosi di un’opzione che non viene trattata
separatamente, bensì è incorporata nel contratto, si parla di opzione implicita
(embedded option).
12.1.4
Swaption sui tassi
Swap vuol dire scambio e swaption stenografa swap option. È un contratto che
mi conferisce:
© ª
• il dovere di pagare i futuri interessi It− , con t ∈ {t1 , t2 , . . . , tn }, calcolati
ad un certo tasso fisso r su un capitale prefissato C;
© ª
• il diritto di incassare i futuri interessi It+ , ognuno dei quali sceglierò
tra gli interessi calcolati su C al tasso fisso r e quelli calcolati su C ad un
tasso aleatorio variabile.
12.1. Alcuni derivati sui tassi
147
Mi spiego con un esempio. Suppongo che gli interessi annui che dovrò
pagare sul capitale C = 100 tra 3, 4, 5 e 6 anni siano tutti calcolati al tasso
fisso r = 8% annuo, dunque siano tutti pari ad 8, mentre quelli da incassare
alle stesse scadenze siano da scegliere tra 8 e gli interessi annui su 100 calcolati
ai rispettivi tassi aleatori r2 , r3 , r4 , r5 , ognuno dei quali sarà noto 1 anno prima
del pagamento degli interessi. A ciascuna delle scadenze 2, 3, 4 e 5, eserciterò,
scegliendo per il meglio, la mia opzione, che però mi pagherà con 1 anno di
ritardo. Ho indicato con rt il tasso aleatorio variabile e valido per il periodo
[t, t + 1]. Gli interessi It− da pagare e quelli It+ da incassare tra t anni sono
cioè calcolati con le regole:
(
It− = 100 × 0.08 = 8,
tra t anni, con t ∈ {3, 4, 5, 6} :
(12.1.4)
It+ = max (100rt−1 , 8) .
Prevedo allora per l’istante t l’incasso netto
(
It+ − It− = max (100rt−1 , 8) − 8 = max (100rt−1 − 8, 0) ,
t ∈ {3, 4, 5, 6} .
(12.1.5)
Il valore del contratto è dunque la somma dei valori di 4 call europee.
Quella che paga max (100rt−1 − 8, 0) tra t anni la esercito tra (t − 1) anni.
Supponendo r0 = 7.5% e che rt abbia volatilità σ = 0.2, mi metto alla scadenza
2, quando conoscerò il tasso r2 , relativo al periodo [2, 3], tasso che mi servirà
per calcolare, seguendo la (12.1.5), l’incasso netto previsto per la scadenza 3.
Devo calcolare il valore V2 a t = 2 di una opzione call europea con: valore del
sottostante 7.5, prezzo di esercizio 8, volatilità σ = 0.2, tempo alla scadenza 2
e tasso di interesse r0 = 7.5%. Per calcolare V2 posso usare la formula di Black
(12.1.2), con queste sostituzioni:
valore del sottostante
prezzo di esercizio
volatilità
tempo alla scadenza
tasso di interesse
valore opzione
b&s
St
K
σ
(T − t)
r
F (t, St )
ora
7.5
8
0.2
2
r0 = 0.075
V2
Mi trovo
d1 =
N (d1 ) =
N (d2 ) =
7.5 1
ln 8 + 2 (0.2)2 2
√
0.2 2
√1
2π
1
√
2π
' −0.086757,
R −0.086757
√
d2 = d1 − 0.2 2 ' −0.369600
2
e−z /2 dz ' 0.465432,
−∞
R −0.3696 −z2 /2
e
dz ' 0.355840,
−∞
148
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
e poi calcolo
V2 = e−0.075(3) [7.5N (d1 ) − 8N (d2 )] =
= e−0.075(3) (7.5 × 0.465432 − 8 × 0.35584) ' 0.51426,
valore che ottengo attualizzando per 3 anni anziché per 2, visto che quest’opzione la esercito a 2 ma mi paga a 3, cioè col ritardo di 1 anno. Con lo stesso
metodo (mi basta rifare i conti con (T − t) = 3, = 4, = 5) valuto le altre 3
opzioni, ottenendo
V3 ' e−0.075(4) × 0.83395 ' 0.617805,
V4 ' e−0.075(5) × 0.994263 ' 0.683346,
V5 ' e−0.075(6) × 1.135272 ' 0.723881,
la cui somma con V2 mi dà il valore iniziale del contratto:
0.51426 + 0.617805 + 0.683346 + 0.723881 = 2.539292.
Una variante: se, al contrario di quanto stabilito con la (12.1.4), il contratto
conferisce il diritto ad incassare futuri interessi a tasso fisso contro il pagamento
di futuri interessi a tasso aleatorio, cioè se si prevede che sia
(
It+ = 100 × 0.08 = 8,
tra t anni, con t ∈ {3, 4, . . . , 8} :
It− = max (100rt−1 , 8) ,
allora le opzioni che esso contiene non sono call europee, bensì put europee e
come tali vanno gestite e calcolate. In particolare, al posto della formula di
Black (12.1.2) per valutare call, dovrò usare sua sorella per valutare put 2

Formula di valutazione di Black:





(t, St ) = e−r(T −t) [KN (−d2 ) − St N (−d1 )] ,

 F (put)

St 1 2
St 1 2


+ 2 σ (T − t)
ln
ln
− 2 σ (T − t)

√


 con: d1 = K √
, d2 = K √
= d1 − σ T − t.
σ T −t
σ T −t
Il contratto set-up swaption prevede che il tasso r, finora considerato fisso,
varii nel tempo secondo una legge deterministica fissata in partenza.
I contratti di swaption sui tassi sono molto popolari. In particolare vengono
apprezzate le seguenti proprietà: sono strumenti meno costosi della cessione
e dell’acquisto dell’attività finanziaria che genera interessi attivi o passivi (di
solito un mutuo a scadenza media o lunga); possono servire a modificare la
duration della stessa (par. 15.4.2); infine sono strumenti per gestire il rischio
soltanto sui flussi futuri di interesse e non anche sul capitale.
2
In alternativa alla formula che segue, posso sfruttare il trucco esposto alla fine del par.
12.1.1 per usare il programma bs.exe.
12.1. Alcuni derivati sui tassi
12.1.5
149
Contratti equity linked
È comune il contratto nel quale una Società finanziaria (o Compagnia di assicurazione) investe il capitale, lo chiamo U , ricevuto da un cliente all’epoca
iniziale 0, acquistando quote di un fondo di investimento. In cambio, ad un’epoca futura prefissata T il cliente si troverà in possesso del valore di tali quote,
lo chiamo U ST ; in più incasserà, cammin facendo, gli eventuali proventi che
saranno man mano distribuiti dal fondo (cedole, dividendi, ecc.). Dato che in
inglese quota e collegato si dicono unit e linked , il contratto è detto unit linked.
Sono sempre più diffusi anche i contratti equity linked, nei quali viene garantita, in aggiunta, una prestazione minima indipendente dal comportamento del
fondo, precisamente viene garantito per T il capitale
U KT = U er
∗T
,
(12.1.6)
cioè il montante di U , calcolato ad un tasso istantaneo di rendimento minimo
garantito r∗ . In altre parole la Compagnia garantisce per la scadenza T il
capitale
µ
¶
CT = max (U ST , U KT ) = U KT + max U ST − U KT , 0 =
certo
aleatorio
certo
= U [KT + max (ST − KT , 0)] .
La garanzia che la Finanziaria presta è una prestazione rischiosa, tant’è
che se alla scadenza T il valore maturato dalle quote del fondo non avrà raggiunto il livello garantito U KT , la Finanziaria dovrà pagare di tasca propria
U (KT − ST ). Voglio ora calcolare il valore iniziale U ∗ del contratto equity
linked che comprende anche la garanzia accessoria. U ∗ è il valore di mercato
di Ct , dunque U ∗ è pari alla somma tra U e il valore iniziale F dell’obbligo di
garantire per T l’importo max (U ST − U KT , 0). Perciò F è il valore iniziale di
una call accesa a 0, che scade a T , scritta su un sottostante di valore iniziale
∗
U S0 = U e con prezzo di esercizio U KT = U er T , sicché
U∗ =
U
capitale
investito
+
F
sovra-premio
per la garanzia
.
Suppongo che St sia governato da un moto browniano geometrico con deriva
µ e volatilità σ:
(
dSt = µSt dt + σSt dWt ,
(12.1.7)
S0 = 1,
e che non siano previste prestazioni intermedie da parte del fondo. È evidente
che la scelta S0 = 1 è di comodo e che ben poco cambierebbe se scegliessi per
150
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
la quota del fondo un valore iniziale diverso. Per calcolare F posso allora usare
la formula di b&s (6.5.4)

F (t, St ) = St N (d1 ) − Ke−r(T −t) N (d2 ) ,



 (call)
¢
¡
√
ln SKt + r + 12 σ 2 (T − t)


√
,
d
=
=
d
T − t,
−
σ
con:
d

1
2
1

σ T −t
però con questi adattamenti:
istante iniziale
istante finale
valore iniziale sottostante
prezzo di esercizio
b&s
t
T
St
K
qui
0
T
U S0 = U
∗
U KT = U er T
Dunque ho
¡
¢
¢√
¢√
¡
¡
ln U eUr∗ T + r + 12 σ 2 T
r − r∗ − 12 σ 2 T
r − r∗ + 12 σ 2 T
√
, d2 =
,
d1 =
=
σ
σ
σ T
³
´
∗
∗
F = U N (d1 ) − U er T e−rT N (d2 ) = U N (d1 ) − e(r −r)T N (d2 ) .
Ad esempio, con
U = 100, T = 4, r∗ = 4.5%, r = 4%, σ = 0.10,
ho
perciò
d1 = 0, d2 = −0.2,
R0
2
N (d1 ) = √12π −∞ e−z /2 dz = 0.5,
R −0.2
2
N (d2 ) = √12π −∞ e−z /2 dz ' 0.420740,
³
´
F = 100 0.5 − e(0.045−0.04)4 × 0.420740 = 7.076049,
U∗ = U + F =
100 + 7.076049
capitale
investito
sovra-premio
per la garanzia
= 107.076049.
Se sono previste prestazioni intermedie (deterministiche) posso inserire nel
mio schema le varianti già previste nel par. 8.1 per il caso di dividendi. In
modo simile, le eventuali spese (deterministiche) di gestione del fondo le posso
gestire come ho già fatto nel par. 8.3 per il cosiddetto cost of carry.
12.1. Alcuni derivati sui tassi
151
Molto spesso la garanzia dei contratti equity linked è inserita in contratti assicurativi. A mo’ di esempio, considero una polizza mista di durata T ,
stipulata a t = 0 su un assicurato di età iniziale x, polizza con le seguenti
prestazioni:
• se l’assicurato sarà vivo tra T anni, tra T anni verrà pagato CT ;
• in caso contrario verrà pagato Ct , t ∈ (0, T ], alla fine dell’anno di morte
dell’assicurato.
In questa polizza la garanzia prestata non è una sola, ma interessa tutte le
durate intere t tra 1 e T . Posso dunque pensare al sovra-premio F come alla
somma tra i sovra-premi F1 , F2 , . . . , FT , per le garanzie relative ad ognuna
delle scadenze da 1 a T . Ft è ancora il valore della call accesa a 0, che scade a
t, scritta su un sottostante di valore iniziale U S0 = U e col prezzo di esercizio
(12.1.6). Inoltre devo tener conto che la prestazione addizionale è aleatoria, cioè
è subordinata all’evento previsto per quella data nella polizza, cioè: decesso tra
le età (x + t − 1) e (x + t) dell’assicurato per t ≤ T , invece sua sopravvivenza
all’età (x + T ) per t = T . Se indico le relative probabilità coi simboli tipici
t−1/1 qx e T px , ottengo
U∗ = U +
PT
¡
¢
t=1 Ft t−1/1 qx
sovra-premio
in caso di premorienza
|
+
{z
FT (T px )
.
sovra-premio
in caso di sopravvivenza
sovra-premio per la garanzia equity linked
}
Un esempio recente di prodotto unit linked è il prestito obbligazionario
quinquennale bnl 2001—2006 ‘‘bis’’, emesso il 27 Febbraio 2001 dalla Banca
Nazionale del Lavoro e collocato in esclusiva dalle Poste Italiane S.p.A.. Emesso
alla pari, con taglio minimo di 1 000 C, prevede a scadenza la restituzione del
capitale, assieme al 69% dell’incremento, qualora positivo, che nel quinquennio
sarà registrato dal valore di un paniere di riferimento (basket, per gli anglofili)
composto, in quote prefissate, da 30 fondi comuni di investimento azionari
(aree: usa 24%, Europa 34%, Giappone 12%, tecnologici 5%, Paesi Emergenti
5%) e obbligazionari (area Europa 20%) gestiti da 13 gestori internazionali.
Il marketing di questo prodotto strizza l’occhio al risparmiatore abituato ai
vecchi Buoni Postali e gli suggerisce che può lanciarsi su investimenti più moderni e appetitosi, però senza rischiare di perdere un centesimo del suo capitale.
Adesso cerco di far di conto, usando sempre le ipotesi, notazioni e convenzioni già precisate, compresa la (12.1.7). A fronte di un investimento iniziale di
U , alla scadenza T = 5 avrò diritto sia al rimborso del capitale investito, sia
152
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
all’importo U (ST − 1) 0.69, qualora positivo. In definitiva incasserò




U + max 0, U (ST − 1) 0.69 .
|{z}
{z
}
|
(certo)
(aleatorio)
Mi farà comodo indicare con α la porzione di rendimento assegnata all’investitore, nel mio caso α = 0.69. Scelgo un tasso privo di rischio r pari al tasso
effettivo netto riconosciuto su titoli di stato quinquennali, tasso che suppongo
sia il 3.8%, cioè il tasso istantaneo
r = ln 1.038 ' 3.73%,
L’operazione oggi costa U e fra 5 anni mi darà diritto a
U + max (0, U (ST − 1) α) = U + U max (0, ST α − α) ,
(12.1.8)
perciò il capitale iniziale di U genera questi incassi futuri:
• incasso certo di U fra 5 anni, il cui valore attuale, al tasso privo di rischio,
è
U e−5r = e−5×0.0373 U ' 0.82986U ;
• il pay-off di U opzioni call europee con la stessa scadenza, scritte su St α
e con prezzo di esercizio α.
Se indico con c il valore odierno di una di queste call, ho dunque
U = U e−5r + U c,
cioè
c = 1 − e−5r ' 1 − 0.82986 = 0.17014.
È meglio che rifletta un momento sul tipo di investimento che effettuo. Se
mi accontentassi di ottenere tra 5 anni U mi basterebbe impiegare in titoli di
stato quinquennali l’importo U e−5×0.0373 ' 0.82986U . Impiegando invece U
nel prestito bnl 2001—2006 ‘‘bis’’ spendo in più U − 0.82986U = 0.17014U ,
e questo importo extra è proprio il valore odierno del mio diritto a partecipare
al 69% dei frutti (se positivi) del paniere di fondi. La morale è dunque che
le Poste Italiane non sono un ente di beneficenza (ma lo sapevo già). Posso
ora chiedermi se il gioco (che oggi vale cU ) vale la candela (che oggi mi costa
0.17014U ). Se conoscessi la volatilità σ del paniere di fondi nel quale finiscono
12.1. Alcuni derivati sui tassi
153
i miei soldi, potrei rispondere. Ma questo σ non lo conosco e mi devo accontentare di scovare la volatilità implicita σ, che calcolerò (come più volte farò
nel seguito) come indicato nel par. 7.3.2. Devo solo stare attento ad adattare
la formula di b&s (6.5.4) al mio caso:
istante attuale
tempo a scadenza
tasso interesse istantaneo
volatilità
valore del sottostante
prezzo di esercizio
valore della call
b&s
t
(T − t)
r
σ
St
K
F (t, St )
ora
0
5
0.0373
σ
S0 α = α = 0.69
α = 0.69
0.17014
Ottengo σ ' 18.06%. Per giudicare se questo valore è equo, oppure se invece
posso sospettare che l’Emittente abbia usato la mano pesante nell’applicare una
qualche forma di caricamento, dovrei avere altre informazioni (sulla volatilità
dei vari fondi che comporranno il paniere), che sui due piedi non ho. Posso
cercare di capire quanto sensibile è il valore della call al variare di σ: mi basta
calcolare il valore del parametro vega, ottenendo V ' 0.493848, un valore
davvero alto. Meglio ancora: vedo come reagisce la volatilità implicita σ al
variare della quota di partecipazione α. Rifacendo daccapo i conti per altri
valori di α ottengo questa tabellina
100α
100σ
∆ (100σ)
∆ (100α)
60
23.14
65
20.17
68
18.57
69
18.06
70
17.57
75
15.26
80
13.16
90
9.27
−0.60
−0.53
−0.51
−0.49
−0.46
−0.42
−0.39
L’ultima riga mi dice che ogni punto %-ale in più in α si traduce in una
6
4
e i 10
di punto %-ale nella volatilità implicita σ, quindi la
riduzione tra i 10
quota α è molto sensibile a variazioni anche modeste in σ. Certo, se potessi
avere una stima decente della vera volatilità del paniere di fondi potrei individuare la quota α per la quale il gioco varrebbe esattamente la candela. Ad
esempio, se fosse σ = 15.26% dovrei avere α = 75%.
Se proseguissi a fare altri conti come nella tabellina, vedrei che, man mano
che α si sposta verso il 100% la volatilità implicita si avvicinerebbe allo zero,
ma nello stesso tempo tutto il discorso cascherebbe, perché posso pretendere
l’uovo (il capitale sicuro) oppure la gallina (partecipazione integrale ai frutti del
paniere, se positivi), ma non entrambe: come a tutti, mi piacciono le ciliegine
sulla torta, ma non posso avere un etto di quelle ciliegine pagandolo come un
etto di torta.
154
12.2
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Applicazioni di Corporate Finance
Nell’intento di controllare la propria esposizione al rischio e/o situazione patrimoniale, le imprese utilizzano prodotti derivati sia di tipo plain vanilla, sia
di tipo diverso, come i forward e i futures , le opzioni asiatiche (alcune create
apposta per ridurre i rischi connessi, ad esempio, alla variabilità dei prezzi spot
dei materiali o dei prezzi di vendita), le swaption sui tassi, i contratti cap e
floor ed i mutui a particolari condizioni contrattuali: ne ho già parlato nei par.
9.6, 9.7 e 12.1.
Questo paragrafo contiene invece alcune applicazioni di specifico interesse
aziendale della teoria dei derivati, dunque di interesse più diretto per il corso
di Matematica per le Decisioni della Finanza Aziendale al quale si accenna
nella Prefazione. La presenza qui di quelle applicazioni si spiega sottolineando, come oramai fanno i manuali di Finanza Aziendale che, sotto ben note
condizioni 3 , i valori di mercato delle azioni ordinarie e dei bond emessi da
un’impresa quotata non sono altro che i valori di speciali opzioni sul valore di
mercato dell’impresa stessa, così che molte decisioni aziendali sulla struttura
finanziaria è bene analizzarle proprio sotto la lente delle opzioni.
I primi temi dei quali mi occupo riguardano la valutazione di debiti rischiosi,
del capitale di un’impresa, di warrant e di bond convertibili. A questi seguono
alcuni cenni alle cosiddette opzioni reali e a problemi di misura e gestione del
rischio.
12.2.1
Avvertenze
Vanno tenute in conto le seguenti 2 Avvertenze. La prima di esse è del tutto
ovvia per chi ha già seguìto corsi di Finanza Aziendale:
Avvertenza 1 La moderna Finanza Aziendale sottolinea che le diverse
voci del Passivo di un’impresa (in breve: Debiti e Netto) corrispondono a
diritti che i creditori e gli azionisti (o i titolari di quote di proprietà) vantano
sull’Attivo dell’impresa, cioè sui vari mezzi (cassa, crediti, immobilizzazioni
tecniche, ecc.) di cui essa dispone. Di conseguenza, ogni modello di valutazione
di tali diritti deve basarsi non sui valori in qualche modo storici delle variabili
in gioco, quali appaiono dal Bilancio, bensì sui valori di mercato, economici,
effettivi. Questo punto è stato chiarito da tempo nel ben noto schema di
valutazione di Miller e Modigliani ([39], [40]) e nella letteratura che ne è seguita.
In particolare, per le imprese azionarie le cui azioni e obbligazioni sono quotate,
il valore di mercato (o economico) dell’impresa non è altro che la somma tra il
valore delle sue azioni (numero × quotazione) e delle sue obbligazioni (numero
× quotazione), sicché le principali variabili sono variabili osservabili. A queste
3
Sono quelle sotto le quali valgono le cosiddette Proposizioni del ben noto modello di
Miller e Modigliani : si veda, ad esempio, [46], pp. 776, 802, 920, [13], par. 17.1-2 e [33], cap.
19
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
155
sole imprese mi limiterò nel séguito, avvertendo dunque che, quando userò le
parole Attivo, Debiti e Netto, talvolta inserendole in uno schema tipografico
simile a quello di uno Stato Patrimoniale sintetico, queste vanno lette come
valore di mercato (o economico), rispettivamente, di Attivo, Debiti, Netto.
Questi valori li indicherò con le consuete lettere A (come Attivo o Assets), D
o B (come Debito o Bond) 4 ed E (come Equity, Netto).
Avvertenza 2 È ormai consueto assumere che il valore dell’Attivo At
si muova secondo un moto browniano geometrico (par. 4.2), cioè sia descritto,
almeno nei casi più comuni, dall’eds
dAt = αAt dt + σAt dWt ,
(12.2.1)
con α e σ costanti e indipendenti dalla composizione del capitale dell’impresa
(cioè dal rapporto tra fondi esterni e fondi propri), equazione che corrisponde
proprio, salvo la notazione (At al posto di Xt ), alla (4.2.1). In questo modo
si sposa l’ipotesi che At abbia distribuzione log-normale e che valgano tutte
le altre ipotesi del modello di b&s indicate nel par. 2.1.2, oltre all’assenza di
possibilità di arbitraggio. La giustificazione della (12.2.1) viene fatta risalire
a lavori di Merton del ’77 (vedi, ad esempio, [38]), nei quali si richiede che le
quotazioni Et e Bt delle azioni e degli altri titoli (obbligazioni o altri bond),
emessi dall’impresa per procurarsi fondi, siano valori di mercato osservabili, al
pari dunque della loro somma At = (Et + Bt ). In effetti, Merton ha dimostrato
che, sotto le ipotesi appena richiamate, è possibile costruire un paf in grado
di replicare i flussi di cassa previsti da titoli emessi dall’impresa. Ciò viene
di solito ritenuto sufficiente per descrivere con la (12.2.1) il comportamento
dell’Attivo di un’impresa per ogni istante t al quale i flussi certi di cassa (dividendi, rimborso di prestiti, nuove emissioni, ecc.) hanno saldo nullo. Saldi
non nulli si traducono in salti di pari ampiezza nella traiettoria di At , gestibili
come ho già visto nel par. 8.1.2. In realtà, trovare una giustificazione semplice e completa, rigorosa e convincente, dell’ipotesi (12.2.1) è un affare serio.
Comunque, visto che il resto del mondo accetta che At segua l’eds (12.2.1),
anch’io mi adeguo, beninteso riservandomi il classico “diritto di mugugno”, che
eserciterò più avanti nel par. 12.2.6.
Di solito si accettano altre 2 ipotesi di comodo, e cioè: (a) anzi tutto esistono solo azioni ordinarie; (b) inoltre, in caso di insolvenza, non esistono debiti
subordinati ad altri. Naturalmente si possono scegliere ipotesi più realistiche, a
patto però di accettare analisi un po’ più complesse (e noiose), che non possono
trovare spazio qui.
Nel séguito supporrò, anche senza esplicita menzione, che le variabili interessanti siano osservabili, che At segua l’eds (12.2.1) e che valgano le ipotesi
4
Dal par. 2.1 in giù ho sempre indicato con Bt o B (t) il valore a t di un bond privo di
rischio. In tutto questo capitolo indico invece con Bt il valore a t del debito rischioso.
156
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
di comodo appena segnalate. Ovviamente, mi rendo conto che ciò significa lavorare su un modello super-semplificato di equilibrio parziale, che taglia fuori
tutte le altre variabili, deterministiche e stocastiche, che di fatto governano la
formazione del valore dell’impresa (ad esempio, l’evoluzione dei tassi di interesse o i mutamenti nelle prospettive di reddito indotti dalla gestione stessa
dell’impresa).
12.2.2
Valutazione di un’impresa
Suppongo che all’istante 0 il capitale di una spa (Società per azioni) sia diviso
tra mezzi propri, di valore E0 , e capitali di terzi, rappresentati da un debito
(del tipo zcb) con scadenza T , valore nominale DT e valore di mercato B0 . T
definisce anche, almeno per ora, l’orizzonte temporale fissato per la valutazione
dell’impresa. Il valore economico iniziale della stessa, cioè del suo Attivo, è
dunque A0 = (B0 + E0 ):
Attivo
A0
A0 = (B0 + E0 )
Debiti
Netto
B0
E0
(B0 + E0 )
Suppongo che il mercato sia arb.free, che l’impresa non emetta nuove azioni
e che il debito sia rischioso, nel senso che i creditori sopportano il rischio di
insolvenza, totale o parziale, dell’impresa loro debitrice.
Mi metto alla scadenza finale T e confronto l’Attivo AT col valore nominale
DT dei Debiti. Se l’Attivo supera i Debiti, ai creditori viene pagato DT per
intero ed agli azionisti resta il Netto ET = (AT − DT ). Se invece il debito DT
da rimborsare supera l’Attivo, i creditori devono accontentarsi dell’importo
BT = AT e agli azionisti non resta nulla. In sintesi:

(

BT = DT ,


AT > DT ⇒



ET = (AT − DT ) ,
(


BT = AT ,



 AT ≤ DT ⇒
ET = 0.
È dunque evidente che i valori finali BT del Debito e ET del Netto dipendono da quello che sarà il valore finale AT dell’impresa, come segue:
(
(AT − DT ) , se AT > DT ,
ET = max (AT − DT , 0) =
0, se AT ≤ DT ,
(
DT , se AT > DT ,
BT = min (AT , DT ) = DT − max (DT − AT , 0) =
AT , se AT ≤ DT .
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
157
come nei grafici seguenti (mi aiuto con quelli del par. 5.3):
A questo punto vedo che:
• il valore Et del Netto a t si comporta come quello di una call europea
scritta a t sull’Attivo At dell’impresa, con prezzo di esercizio DT (valore
nominale del debito) e scadenza T ;
• se il debiti fossero garantiti, il loro valore a t sarebbe semplicemente
DT e−r(T −t) , cioè il valore attuale del valore nominale DT ; essendo invece
rischiosi, per tener conto del rischio di insolvenza devo sottrarre a quel
valore il valore pt di una put europea firmata a t dai creditori e calcolato
con gli stessi dati su sottostante, prezzo di esercizio e scadenza.
Queste cose, che costituiscono il cosiddetto approccio strutturale alla valutazione di impresa, vengono a galla bene se uso il teorema 7.5.1 sulla parità
put-call. Trascrivo qui (con variante tipografica minima) la sua relazione di
parità (7.5.1) nella forma originaria:
pt (St , K) =
valore a t
della put
Ke−r(T −t)
valore a t del
prezzo di esercizio
+ ct (St , K) −
valore a t
della call
;
St
valore a t
del sottostante
poi uso la notazione
pt
valore a t
put creditori
= pt (At , DT ) ,
Et
valore a t
call azionisti
= Et (At , DT ) ,
per sottolineare che Et e pt dipendono sia da At (valore del sottostante) che
dal prezzo di esercizio DT . Infine adatto la relazione di parità al mio caso,
ottenendo:
pt (At , DT ) = DT e−r(T −t) + Et (At , DT ) − At
o, meglio, usando didascalie che parlano da sole:
At
valore a t
dell’impresa
=
DT e−r(T −t)
val. a t del debito come
se fosse non rischioso
|
{z
− pt (At , DT ) +
valore a t della
put dei creditori
valore Bt a t del debito rischioso
}
Et (At , DT ) .
valore a t del Netto
(call degli azionisti )
(12.2.2)
158
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Le stesse conclusioni valgono anche se tengo aperta la possibilità di evitare
la liquidazione dell’impresa a T in caso di insolvenza semplicemente emettendo
a quella data nuove azioni e/o contraendo nuovi debiti. Infatti, questa non è
una possibilità praticabile, bensì soltanto una pia illusione, perché con At ≤ DT
l’impresa non merita più fiducia, sicché nessuno sottoscrive nuove azioni o le
concede nuovo credito.
Ho visto che i valori Et del Netto e Bt dei Debiti all’istante t ∈ [0, T ]
si calcolano valutando una call e una put europee scritte a t sull’Attivo At
dell’impresa, con prezzo di esercizio DT e scadenza T . Posso dunque usare le
classiche formule di b&s (6.5.4) e (6.5.6), cioè
d1 =
´
³
S
1
ln Kt + r+ 2 σ2 (T −t)
√
,
σ T −t
√
d2 = d1 − σ T − t,
F (t, St ) = St N (d1 ) − Ke−r(T −t) N (d2 ) ,
(call)
F (t, St ) = Ke−r(T −t) N (−d2 ) − St N (−d1 ) ,
(put)
però con queste sostituzioni:
valore del sottostante
prezzo di esercizio
valore della call
valore della put
b&s
St
K
(call) F (t, St )
(put) F (t, St )
ora
At
DT
Et (At , DT )
pt (At , DT )
In altre parole devo calcolare
Et (At , DT ) = At N (d1 ) − DT e−r(T −t) N (d2 ) ,
Bt = DT e−r(T −t) − pt (At , DT ) =
³
´
= DT e−r(T −t) − −At N (−d1 ) + DT e−r(T −t) N (−d2 ) ,
con : d1 =
´
³
A
1
ln D t + r+ 2 σ2 (T −t)
T
√
,
σ T −t
√
d2 = d1 − σ T − t.
Sia, ad esempio,
At = 100,
DT = 60,
(T − t) = 8,
r = 0.05,
σ = 0.30.
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
159
Bene, mi calcolo prima
d1 =
´
³
1
100
ln 60 + 0.05+ 2 (0.3)2 (8)
√
0.3 8
' 1.497682,
√
d2 = 1.497682 − 0.3 8 ' 0.649154,
N (d1 ) =
N (d2 ) =
√1
2π
1
√
2π
per ottenere Et :
R 1.497682
2
e−z /2 dz
−∞
R 0.649154 −z2 /2
e
dz
−∞
' 0.932892,
' 0.741881,
Et = 100 × 0.932892 − 60 × e−0.05×8 × 0.741881 ' 63.4513.
Poi calcolo
N (−d1 ) =
N (−d2 ) =
√1
2π
1
√
2π
per ottenere
R −1.497682
2
e−z /2 dz
−∞
R −0.649154 −z2 /2
e
dz
−∞
' 0.067108,
' 0.258119,
¡
¢
Bt = 60e−0.05×8 − −100 × 0.067108 + 60 × e−0.05×8 × 0.258119 '
= 40.2192 − (3.6705) = 36.5487.
A questo punto la (12.2.2) diventa
At
100
= DT e−r(T −t) − pt (At , DT ) + Et (At , DT )
40.2192
3.6705
63.4514
|
{z
}
Bt (At ,DT )=36.5487
e posso riassumere tutto quanto nel prospetto seguente:
Attivo (At )100
Debiti:
valore nominale (DT )
60.0000
deduzione per interessi (8 anni)
−19.7808
valore attuale (senza rischio) (DT e−0.05×8 ) 40.2192
−3.6705
riduzione per rischio (pt (At , DT ))
valore di mercato del debito (Bt )
36.5487
totale
100
Netto (Et = Et (At , DT ))
totale
63.4513
100.0000
Una curiosità: è ovvio che un credito rischioso abbia un rendimento superiore a quello (r = 0.05) privo di rischio. Nel mio caso all’istante t i creditori
detengono un titolo che vale 36.5487 e sperano di incassare DT = 60 tra 8 anni.
Se la fortuna li assiste essi realizzeranno il tasso di rendimento istantaneo x
che risolve 36.5487e8x = 60, cioè x ' 0.06196 > 0.05. Il corrispondente tasso
annuo è ex − 1 ' 6.392%, contro quello privo di rischio e0.05 − 1 ' 5.127%.
160
12.2.3
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Warrant
Un warrant è un titolo, emesso da una spa, che conferisce il diritto, ma non
il dovere, di acquistare in futuro una ben precisa quantità di sue azioni ad un
prezzo prefissato. Si tratta dunque di una vera e propria opzione di tipo call 5 .
A differenza delle opzioni ordinarie, le cui scadenze di solito non superano
i 9 mesi, i warrant sono emessi con scadenze fino a parecchi anni, 5 o più,
addirittura esistono warrant perpetui. Inoltre mentre l’esercizio di una call
ordinaria dà diritto ad acquistare azioni in circolazione (si opera infatti sul
mercato secondario), l’esercizio di un warrant comporta l’emissione di nuove
azioni (si opera dunque sul mercato primario).
Ci sono warrant di tipo europeo e warrant di tipo americano. Nei primi il
diritto di conversione del warrant in azioni può essere esercitato solo ad una
scadenza fissa T . Nei secondi quel diritto può essere esercitato entro la data T ,
oppure ad un istante scelto in un ventaglio di prefissate scadenze (un po’ come
nelle opzioni americane Bermuda del par. 9.6), eventualmente con esercizio
sequenziale, cioè “a rate”, di tale diritto.
Mi occupo ora della valutazione di un warrant di tipo europeo. Suppongo
che all’istante iniziale t il capitale proprio dell’impresa sia diviso in a azioni ordinarie, mentre quello di terzi sia rappresentato soltanto da w warrant europei,
convertibili alla data finale T . A T ogni warrant che sarà convertito consentirà
al titolare di acquistare z azioni pagando il prezzo k per azione.
Indico con St e W i valori a t di un’azione e di un warrant. W è incognito
e cerco qui di determinarlo, magari per confrontarlo poi con la sua quotazione
effettiva. A t il valore del Netto è aSt e quello dei Debiti è wW, perciò il valore
At dell’Attivo dell’impresa a t è
At = aSt + wW,
come nel prospetto
Attivo a t
At = aSt + wW
At = aSt + wW
Debiti a t
Netto a t
wW
aSt
aSt + wW
(12.2.3)
Mi metto a T e indico con AT il valore dell’Attivo dell’impresa e con ST il
valore di un’azione. Se a T tutti i warrant vengono convertiti, a T l’impresa
incassa wzk e il valore del suo Attivo passa da AT a (AT + wzk), da riferire però
ad (a + wz) azioni, non più alle vecchie a. Molte grandezze variano, soprattutto
5
tant’è che nei primi tempi l’opzione veniva chiamata warrant. Oggi sono molto di moda
i covered warrant, che tuttavia, nonostante il nome, sono particolari opzioni call e put con
scadenza di solito oltre l’anno (vedi nel sito della Consob www.consob.it), che vengono
trattate sul mercato telematico gestito dalla Borsa Italiana SpA.
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
161
St . La tabella che segue riassume questi cambiamenti tra T − (appena prima
della conversione) e T + (appena dopo):
n.◦ azioni
n.◦ warrant
valore Debiti
valore Netto
valore Attivo
idem per azione
a T−
a
w
wW
aST −
AT
AT
a
→
→
→
→
→
→
→
a T+
(a + wz)
0
0
(a + wz) ST +
(AT + wzk)
AT + wzk
a + wz
e dunque, appena dopo la conversione, cioè a T + , le cose stanno così:
Attivo a T +
(a + wz) ST +
Debiti a T +
Netto a T +
(a + wz) ST +
0
(a + wz) ST +
(a + wz) ST +
Il possessore di un warrant a T paga zk ma ha diritto a z azioni, per un
T +wzk
, dunque ha la posizione netta
valore z Aa+wz
z
za
AT + wzk
[AT + wzk − k (a + wz)] =
z
− zk =
a + wz
a + wz
a + wz
pago
incasso
µ
¶
AT
−k .
a
È ovvio che a T varrà la pena di convertire un warrant (ogni warrant) solo
se la conversione converrà, cioè se risulterà
¶
µ
AT
> 0,
−k
a
guadagno di conversione
dunque l’incasso complessivo netto a T del possessore del warrant è
·µ
µ
µ
¶ ¶
¶ ¸
AT
za
AT
za
max
max
− k ,0 =
− k ,0 .
a + wz
a
a + wz
a
Il valore di un warrant è dunque quello di
sul valore
za
a+wz
opzioni call europee scritte
aSt + wW
w
At
=
= St + W,
a
a
a
con prezzo di esercizio k e scadenza T . Se accetto le consuete ipotesi del modello
di b&s indicate nel par. 2.1.2, oltre all’assenza di possibilità di arbitraggio,
162
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
posso dunque usare la classica formula di b&s (6.5.4) per il valore di una call
europea, cioè

´
³
S
1

ln Kt + r+ 2 σ2 (T −t)

√
d1 =
,
σ T −t
F (t, St ) = St N (d1 ) − Ke−r(T −t) N (d2 ) ,
√

 d = d − σ T − t,
2
1
(12.2.4)
però con questi ovvii adattamenti:
• come sottostante, al posto del prezzo St dell’azione ora ho
At ³
w ´
= St + W ;
a
a
ciò equivale ad assumere che questa quantità si evolve seguendo un moto
browniano geometrico;
• al posto del prezzo di esercizio K nel modello b&s ora ho k;
• al posto della volatilità σ nel modello b&s ora ho quella dell’Attivo At
dell’impresa, indicato nella (12.2.1), però diviso per a, perché il valore
del sottostante non è At ma Aat ;
• al posto del valore F (t, St ) dell’opzione ora ho W;
• tutto quanto va poi moltiplicato per
za
a+wz ,
numero delle opzioni,
insomma:
valore del sottostante
prezzo di esercizio
volatilità
valore della call
numero opzioni
b&s
St
K
σ
F (t, St )
1
ora
At /a = St + (w/a) W
k
σ/a
W
za/ (a + wz)
Fatte queste sostituzioni mi esce
o
w ´
za n³
St + W N (d1 ) − ke−r(T −t) N (d2 ) ,
W=
a + wz
a
σ
³ ´2 ¶
W µ
a
1 σ
+ r+ 2
ln
(T − t)
k
a
d1 =
,
σ√
T −t
a
√
σ
d2 = d1 −
T − t,
a
(12.2.5)
St +
(12.2.6)
(12.2.7)
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
163
cioè non una formula esplicita per il calcolo di W, bensì una formula che purtroppo mi dà W in funzione di W: un’equazione in W, la sua soluzione va
calcolata numericamente 6 .
Faccio un esempio. Sia
a = 100,
St = 100,
(T − t) = 4,
k = 90,
σ = 0.2,
z = 2,
w = 75,
r = 0.05.
Calcolo d1 e d2 usando le (12.2.6)-(12.2.7):
w
=
a
d1 =
75
100
ln
= 0.75,
za
=
a + wz
2×100
100+75×2
´
³
1
100+0.75W
2
(4)
+
0.05+
(0.2/100)
90
2
√
(0.2/100) 4
=
200
250
= 0.8,
= 250 ln 100+0.75W
+ 50.002
90
√
d2 = d1 − (0.2/100) 4 = 250 ln 100+0.75W
+ 49.998
90
A questo punto la (12.2.5) diventa
ª
©
W = 0.8 (100 + 0.75W) N (d1 ) − 90 × e−0.05×4 N (d2 ) ,
cioè
(80 + 0.6W) N (d1 ) − 90e−0.2 N (d2 ) − W = 0,
(12.2.8)
relazione davvero poco invitante, perché in essa N (d1 ) e N (d2 ) dipendono da
W:
N (d1 ) =
√1
2π
N (d2 ) =
√1
2π
R 250 ln 100+0.75W
+50.002
90
−∞
R 250 ln 100+0.75W
+49.998
90
−∞
z2
e− 2 dz,
z2
e− 2 dz.
Inserisco queste espressioni nella (12.2.8) e ottengo l’equazione
(80 + 0.6W)
−90e−0.2
R 250 ln 100+0.75W
+50.002
90
−∞
R 250 ln 100+0.75W
+49.998
90
−∞
z2
e− 2 dz+
z2
e− 2 dz −
√
2πW = 0
di aspetto abominevole, però dotata della soluzione
W ' 15.7856.
6
Dunque stavolta non posso usare programmi standard come quelli della nota a pag. 113,
i conti me li devo fare proprio io, ad esempio usando il metodo di bisezione.
164
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Questa mi consente di calcolare i valori
Netto
Debiti
Attivo
= aSt = 100 × 100 = 10000,
= wW = 75 × 15.7856 ' 1183.92,
= aSt + wW ' 10000 + 1183.92 = 11183.92,
coi quali costruisco il prospetto (12.2.3) alla data iniziale t:
Attivo a t
11183.92
Debiti a t
Netto a t
11183.92
1183.92
10000.00
11183.92
A partire da questo posso anche aggiornare il prospetto di bilancio alla
data finale T , appena dopo la conversione: con questa il debito di 1183.92 per
i warrant scompare e va ad aumentare il Netto, mentre l’incasso di conversione
per 75 × 2 × 90 = 13500 incrementa Attivo e Netto, dunque:
Attivo a T +
24683.92
24683.92
Debiti a T +
Netto a T +
0
24683.92
24683.92
Il numero delle azioni passa da 100 a (100 + 75 × 2) = 250 ed il valore di
ciascuna scende da St = 100 a ST + = 24683.92/250 ' 98.73568. La riduzione
di valore ripartisce sulle 250 azioni la differenza tra l’abbuono sulle azioni cedute
ai nuovi azionisti (150 × (100 − 90) = 1500) e il debito rilevato (1183.92):
ST
(100 − 90) 75 × 2 − 1183.92
(St − k) wz − wW
= 100 −
=
a + wz
100 + 75 × 2
1500 − 1183.92
= 98.73568.
= 100 −
250
= St −
Commento: se a t un warrant è quotato sopra/sotto il livello W = 15.7856,
è sovra/sotto-quotato.
Prima di chiudere quest’argomento è bene che, seguendo la raccomandazione del par. 7.7.1, rifletta un momento su alcune scorciatoie che inconsapevolmente si prendono quando si valutano warrant con la procedura che¡ ho appena
¢
visto. Il sottostante sul quale è scritto un warrant non vale St , ma St + wa W .
Dunque, per poter applicare la regola di¡ valutazione
¢ di b&s sono costretto ad
w
assumere l’ipotesi, discutibilissima, che St + a W abbia la stessa distribuzione (log-normale) di St . In più ho lavorato su un sottostante stranissimo, che è
la somma tra un’azione ed una certa quantità ( wa ) di warrant, cioè di un derivato scritto sulla stessa azione. Ciliegina sulla torta: addirittura qui l’esercizio
del derivato finisce per spostare il valore dell’azione, che difatti a T passa da
ST − ad ST + .
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
12.2.4
165
Bond convertibili
Introduzione
I titoli obbligazionari che incorporano particolari diritti per una o per entrambe le parti sono spesso detti obbligazioni strutturate. È del tutto ovvio che
nella loro valutazione questi diritti, che rappresentano opzioni implicite, vadano tenuti in conto. Si parla di bond (o obbligazione) convertibile 7 quando,
pagando un eventuale premio di conversione, il titolo può essere convertito dal
suo possessore in un certo numero di azioni di nuova emissione.
Un bond convertibile comprende dunque una particolare opzione di conversione, che ovviamente verrà esercitata solo se il creditore troverà convenienti
le condizioni di conversione. Sono perciò presenti aspetti tipici sia delle obbligazioni che dei warrant. L’opzione può essere di tipo europeo o, più spesso,
americano. Nel 1◦ caso la si può esercitare solo ad un certo istante prefissato T , di solito lontano; nel 2◦ la si può esercitare entro T , in ogni caso non
oltre la scadenza finale del bond, talvolta ad un istante scelto in un ventaglio
di possibili date (variante Bermuda del par. 9.6). È ovvio che all’atto della
conversione il creditore, diventando azionista, perde ogni diritto a percepire
ulteriori eventuali cedole e il capitale di rimborso. Dato che un bond convertibile può essere quotato, la sua valutazione è di solito seguita da un confronto
con la quotazione effettiva di mercato, come nel caso di un warrant.
Il bond convertibile si dice non-callable se è il creditore che può decidere la
conversione. È invece callable quando l’Emittente può imporre al creditore la
scelta tra la conversione in azioni e il rimborso anticipato (riscatto del debito)
ad un prezzo pattuito in partenza (magari variabile nel tempo). L’Emittente utilizza spesso la proposta di riscatto per forzare la conversione del bond
in anticipo rispetto al momento nel quale il creditore intenderebbe convertire.
Un bond convertibile callable incorpora così due tipi di opzione: quella di conversione (a favore del creditore) e quella di riscatto (a favore dell’Emittente).
Detto in altro modo, chi acquista un titolo callable assume una posizione lunga
nell’opzione di conversione ed una corta in quella di riscatto. Queste 2 opzioni non sono tra loro indipendenti (l’esercizio di una di esse annulla l’altra!),
perciò nel valutare un titolo di questo tipo è scorretto valutarle separatamente
e sommare poi i risultati. Esistono anche alcuni bond che hanno invece una
caratteristica opposta, che ne aumenta il valore, nel senso che il creditore è
titolare di un’opzione put che gli conferisce il diritto (ma non il dovere) di
rivendere il titolo all’Emittente ad una certa data (o ad una tra certe date)
ad un prezzo prefissato, fisso o variabile con t. Nel séguito trascuro però tale
opzione.
Per ragioni di brevità, nella valutazione dei bond convertibili assumerò che
7
Talvolta si usa la sigla cb (convertible bond ), che di solito indica invece i coupon bond ,
cioè i bond dotati di cedole, oppure i callable bond , definiti appena sotto.
166
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
il tasso di interesse sia deterministico e noto, per semplicità addirittura costante. Ovviamente questo tasso potrebbe essere deterministico ma variabile nel
tempo, oppure addirittura aleatorio. Gestirò per primo il caso più semplice di
uno zcb (niente cedole) non-callable, poi di uno zcb callable, infine sbrigherò
alla svelta il caso di un cb (con cedole). In tutti i casi, visto che il comportamento dei creditori è uniforme, per farla corta mi conviene pensare ad un
unico creditore che ha in mano tutti gli n bond.
Zcb convertibili non callable
Suppongo che all’istante t il Passivo di una spa (Società per azioni) comprenda
soltanto N azioni ed n zcb, con scadenza T e valore nominale complessivo
DT . I bond convertibili potranno essere scambiati a T con altrettante azioni
ordinarie, esercitando a quella data il diritto di conversione, ciò che porterà il
numero delle azioni da N ad (N + n), delle quali N in mano ai vecchi azionisti
ed n di nuova emissione da consegnare ai nuovi azionisti, ex creditori, che
ovviamente pagheranno da bere. Il credito è rischioso, nel senso che, in caso di
non-conversione, il suo valore finale sarà, come già visto nel par. 12.2.2,
(
AT , se AT ≤ DT ,
BT =
DT , se AT > DT .
Se a T i bond sono convertiti, il creditore rinuncia al suo credito per divenn
ET .
tare proprietario della frazione Nn+n del Netto ET , cioè nella quantità N+n
Il complemento all’unità di questa frazione viene detto
µ
¶
n
N
1
−
=
fattore di diluizione:
.
N +n
N +n
Ma in caso di conversione risulta anche ET = AT , perché con essa il debito
si azzera e il Netto diventa pari all’Attivo. Perciò il creditore che converte
rinuncia al proprio credito, di valore BT , e si trova in mano azioni di valore
n
n
N+n AT . È ovvio che la conversione avverrà solo se il gioco N+n AT varrà
almeno la candela, che è min (AT , DT ), sennò non vale la pena di convertire i
bond. A T il creditore dovrà dunque scegliere tra:
• non convertire i bond, tenendosi il loro valore finale min (AT , DT );
• convertire i bond in cambio di azioni di valore complessivo
n
N+n AT .
Ovviamente sceglierà l’importo maggiore, sicché il valore finale dei suoi
diritti è l’importo
#
"
BT
valore finale dei bond
= max min (AT , DT ) ,
se non converto
n
N+n AT
se converto
,
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
167
che posso riscrivere (controllarlo è solo un gioco di pazienza 8 ) come
³
´
n
=
min (AT , DT )
+ max N+n
AT − DT , 0 .
BT
{z
}
|
valore a T dei
{z
}
|
bond convertibili
valore a T dei bond rischiosi
come se fossero non convertibili
guadagno di conversione
(12.2.9)
Vedo dunque che Bt , valore di mercato a t dei bond convertibili, lo posso
esprimere come la somma
Bt = Vt + Vt∗ ,
nella quale:
• Vt misura il valore a t dei bond rischiosi, trattati come se fossero non
convertibili; so già dal par. 12.2.2 come calcolarlo usando la (12.2.2) per
ottenere
Vt =
e−r(T −t) DT
−
val. a t del credito come
se fosse non rischioso
pt (At , DT ) ;
(put dei creditori )
n
At e
• Vt∗ è il valore di una call europea con valore del sottostante N+n
prezzo di esercizio DT , sicché per sottolineare questa dipendenza scrivo:
³
´
n
Vt∗ = Vt∗ N+n
At ; DT .
A questo punto ho tutti gli elementi per valutare Bt . Tanto per fissare le
idee, immagino che sia
At = 100, DT = 60, (T − t) = 8, r = 0.05, σ = 0.30, N = 105, n = 45.
Anzi tutto riprendo dal par. 12.2.2, il valore
Vt = e−r(T −t) DT − pt (At , DT ) = e−0.05×8 60 − pt (100, 60) =
' 40.2192 − 3.6705 = 36.5487.
Poi calcolo Vt∗ usando ancora la (12.2.4), cioè la consueta formula di b&s
(6.5.4)
F (t, St ) = St N (d1 ) − Ke−r(T −t) N (d2 ) ,
d1 =
´
³
S
1
ln Kt + r+ 2 σ2 (T −t)
√
,
σ T −t
√
d2 = d1 − σ T − t,
´ ³
´
, Nn+n AT ≤ DT < AT e
h
i
(AT ≤ DT ), i valori assunti da min (AT , DT ) e da max Nn+n AT − DT , 0 e confrontare poi
h
i
la loro somma con max min (AT , DT ) , Nn+n AT .
8
Basta considerare, per ciascuno dei casi
³
DT <
n
A
N +n T
168
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
però con:
valore del sottostante
prezzo di esercizio
tempo alla scadenza
volatilità
tasso annuo
n
N+n At
=
45
105+45 100
= 30
DT = 60
(T − t) = 8
σ = 0.3
r = 0.05
Dunque

´
³
30
1

√
ln 60 + r+ 2 σ2 (T −t)

√
,
d
=
d
T − t,
d1 =
−
σ
2
1
σ T −t

 V ∗ = V ∗ (30, 60) = 30N (d ) − e−r(T −t) 60N (d ) ,
1
2
t
t
cioè
d1 =
´
³
1
ln 0.5+ 0.05+ 2 (0.3)2 (8)
√
0.3 8
' 0.078787,
√
d2 = 0.078787 − 0.3 8 ' −0.769741,
N (d1 ) =
N (d2 ) =
√1
2π
1
√
2π
R 0.078787
2
e−z /2 dz ' 0.531399,
−∞
R −0.769741 −z2 /2
e
dz ' 0.220727,
−∞
Vt∗ = Vt∗ (30, 60) = 30 × 0.531399 − 60 × e−0.05×8 × 0.220727 ' 7.0645.
Risulta perciò
Bt = Vt + Vt∗ = 36.5486 + 7.0645 = 43.6131.
e alla fine della fiera posso riassumere tutto in questo prospetto:
Attivo (At )100
Debiti:
valore nominale (DT )
60.0000
deduzione per interessi (8 anni)
−19.7808
valore attuale (DT e−0.05×8 )
40.2192
riduzione per rischio
−3.6705
valore debito non convertibile (Vt ) 36.5487
valore opzione di conversione (Vt∗ ) +7.0645
valore di mercato del debito (Bt )
43.6132
totale
100
Netto (Et )
totale
56.3868
100.0000
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
169
Zcb convertibili callable
Valutare zcb convertibili callable è un po’ più complicato. Uso ancora i simboli
St (valore di mercato a t di un’azione), Bt (di un bond), N (numero delle azioni)
ed n (dei bond). Indico poi con Kt il prezzo di riscatto di un bond e con α
il numero di azioni che ottengo convertendolo. Inoltre Vt indica il valore a
t di un bond non convertito. Alla data finale Vt è dato semplicemente dal
valore nominale del bond, mentre alle date precedenti, per evitare possibilità
di arbitraggio, Vt deve essere pari al valore atteso a t del valore futuro Bt+1
del bond.
Mi metto a t e distinguo 2 casi. Nel 1◦ suppongo che a t il bond non venga
convertito. Allora il suo possessore si trova in mano un titolo che vale Vt se
l’Emittente non ne impone il riscatto, invece Kt in caso contrario. Dunque il
bond non convertito vale min (Vt , Kt ). Nel 2◦ caso suppongo che il possessore
del bond decida la conversione. Per calcolare il valore del bond devo fare un
paio di conti ragionando sulla frazione
N St + nVt
,
N + αn
che è la versione del fattore di diluizione aggiornata al mio caso. Essa rappresenta il valore di una singola azione appena dopo la conversione. Infatti
a numeratore trovo il valore dell’Attivo dopo la conversione, dato dalla somma fra il vecchio Attivo N St e l’incremento che esso subisce per effetto della
trasformazione di un debito di importo nVt in nuovo capitale netto mediante
l’emissione di αn nuove azioni. A denominatore compare il numero totale di
azioni: le N vecchie più le αn di nuova emissione. Perciò, visto che la conversione mi dà in mano α azioni, questa mi lascia in mano azioni di valore
t +nVt
complessivo α NS
N+αn . Dunque, visto che Emittente e creditore si comportano
in modo razionale, il valore al tempo t del bond convertibile callable è


valore del bond
N St + nVt 
valore del bond
Bt = max  min (Vt , Kt ) , α

N + αn
non convertito
(12.2.10)
convertito
L’effetto di questo fattore sul valore delle azioni dipende dal segno di
(Vt − αSt ) come segue:
Vt < αSt ⇒
Vt > αSt ⇒
Vt = αSt ⇒
N St + nVt
< St ,
N + αn
N St + nVt
> St .
N + αn
N St + nVt
= St .
N + αn
170
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Il 1◦ caso rappresenta una diluizione del Netto a causa della conversione ed
è l’unico caso significativo, perché nel 2◦ non c’è conversione (al creditore non
conviene!) e nel 3◦ c’è indifferenza. Ragiono sulla (12.2.10). Se risulta Vt > Kt ,
cioè min (Vt , Kt ) = Kt , all’Emittente conviene riscattare il debito perché paga
soltanto Kt per ogni bond che, se non convertito, vale Vt , cioè di più. Quando
t +nVt
min (Vt , Kt ) < α NS
N+αn , il creditore trova conveniente convertire un bond in α
t +nVt
azioni del valore NS
N +αn , realizzando così un guadagno di conversione positivo.
Mi diverto ora riprendendo un esercizio dal par. 23.5 di [32], adattandolo
per gestire l’effetto diluizione. Una spa oggi emette n = 500 zcb. Ciascuno ha
valore nominale di 100, scade tra 9 mesi ed è convertibile, al termine del 3◦ , o
6◦ o 9◦ mese (abbrevio con: t = 1, 2, 3), in α = 2 azioni oppure rimborsabile
a Kt = 115 se il creditore non abbocca. Ad una (una sola) di queste 3 date
l’Emittente può dunque proporre la conversione (dammi il bond in cambio di
2 nuove azioni) e il creditore dovrà allora scegliere se accettarla oppure invece
rifiutarla, nel qual caso il bond verrà rimborsato (dammi il bond in cambio di
115). L’Emittente ha in circolazione N = 10000 azioni e non vengono previsti
dividendi nei prossimi 9 mesi. Suppongo poi che il tasso (istantaneo) privo di
rischio sia il 10% annuo costante, così che il fattore di capitalizzazione relativo
ad un trimestre è
¢
¡
3
= e0.10×0.25 ' 1.0253.
exp 0.10 × 12
Essendo l’opzione di conversione di tipo americano (Bermuda), farò le mie
valutazioni usando lo schema dell’albero binomiale del par. 2.2. Suppongo
allora che il prezzo dell’azione, oggi pari a S0 = 50, si evolva in t = 1, 2, 3,
secondo lo schema binomiale coi parametri
u = 1.1618,
d = 0.8607,
(1 + r) = 1.0253,
così che le probabilità neutrali calcolate con le (2.1.11) e (2.1.12) sono
qu ' 0.5467,
qd ' 0.4533.
(12.2.11)
Costruisco l’albero binomiale qui sotto, che descrive le possibili quotazioni
dell’azione di trimestre in trimestre (la lettera sopra è l’etichetta del nodo)
calcolando la successione St al solito modo: per esempio nel nodo (H) ho
S3 = S0 uud = 50 × 1.16182 × 0.8607 ' 58.09.
Poi riscrivo la (12.2.10), che nel mio caso diventa
½
¾
10000St + 500Vt
Bt = max min (Vt , 115) , 2
,
11000
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
171
in breve:
½
¾
20St + Vt
Bt = max min (Vt , 115) ,
.
11
(12.2.12)
(G)
(D)
S2 = 67.49
(B)
S1 = 58.09
(A)
S0 = 50
t=0
%
&
(C)
S1 = 43.04
t=1
&
%
&
%
(C)
&
%
(E)
S2 = 50.00
%
&
(F )
S2 = 37.04
%
&
t=2
S3 = 78.42
(H)
S3 = 58.09
(I)
S3 = 43.04
(L)
S3 = 31.88
t=3
Vedo subito che con Vt > 115 all’Emittente conviene riscattare il debito e
t +Vt
> min (Vt , 115) al creditore conviene convertire i suoi bond in
che con 20S11
azioni.
La valutazione procede a ritroso, cominciando dalla data finale t = 3. Ad
ognuno dei suoi nodi (G, H, I ed L) Vt = V3 coincide col valore nominale
100 del bond. I conti su Bt li faccio, come per il séguito, arrotondando al
centesimo più prossimo. Ovviamente (raccomandazione che vale anche per
il seguito), ogni volta che mi colloco su un nodo e faccio i miei conti, devo
immaginare che il bond sia ancora vivo alla data del nodo, cioè che non sia
ancora stato convertito o riscattato.
Nodo G : S©3 = 78.42, V3 = 100,
ª
B3 = max min (100, 115) , 20×78.42+100
' max {100, 151.67} = 151.67;
11
Nodo H : S©3 = 58.09, V3 = 100,
ª
B3 = max min (100, 115) , 20×58.09+100
' max {100, 114.71} = 114.71;
11
V3 = 100,
Nodo I : S©
3 = 43.04,
ª
B3 = max min (100, 115) , 20×43.04+100
' max {100, 87.35} = 100;
11
172
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Nodo L : S©3 = 31.88, V3 = 100,
ª
B3 = max min (100, 115) , 20×31.88+100
' max {100, 67.05} = 100.
11
In nessuno di questi nodi all’Emittente conviene riscattare il debito, perché
risulta sempre V3 < 115. La conversione conviene al creditore solo nei primi 2
t +Vt
> min (Vt , 115), cioè 20St11+100 >
(G e H), perché solo in questi risulta 20S11
100, ovvero St > 50.
Ora passo a t = 2, cioè ai nodi D, E ed F . Per calcolare il valore V2 del bond
non convertito devo, in ogni nodo, attualizzare i valori del bond presenti nei 2
nodi successivi, usando le probabilità (12.2.11) ed il tasso opportuno. Ricordo
infatti che, in ogni data intermedia t, Vt deve essere pari al valore atteso a t
del valore futuro Bt+1 del bond. Qui si presenta un problema delicato. L’uso
del tasso (istantaneo) del 10% per operazioni prive di rischio ha senso solo se il
bond viene convertito in azione, perché il principio che porta alla valutazione di
un derivato con tasso neutrale rispetto al rischio non dipende dalla reputazione
sulla solvibilità dell’impresa. Al contrario, se il bond non viene convertito, ha
invece senso usare il tasso per operazioni rischiose al quale il mercato valuta
le obbligazioni dell’impresa, in modo che il valore attuale del bond venga a
coincidere con quello di mercato. Per trovare il tasso opportuno, lo chiamo x,
seguo allora la seguente strada, proposta dalla Goldman Sachs [26]:
• se ad un nodo con data t si converte, allora il valore del bond associato al
nodo (che equivale al valore di 2 azioni) verrà attualizzato alla data (t − 1)
del nodo precedente usando il tasso (istantaneo) 10% per operazioni prive
di rischio;
• se ad un nodo intermedio (t < 3) non si converte, allora il valore del bond
associato al nodo verrà attualizzato alla data (t − 1) usando un tasso che
è la media aritmetica dei tassi associati ai 2 nodi previsti per t, ponderata
con le probabilità qu e qd della (12.2.11);
• se ad un nodo finale (t = 3) non si converte, allora l’attualizzazione a
(t − 1) va fatta usando il tasso per operazioni rischiose, tasso che, per
fissare le idee, suppongo pari al 15%.
Per non confondermi annoto nella tabella che segue i risultati già ottenuti
e quelli che otterrò. In essa i 3 numeri che vedo ad ogni nodo sono, dall’alto
al basso, l’etichetta del nodo, il prezzo St dell’azione a t (misurato in trimestri
e relativo al nodo), il valore Bt del bond. I tassi vicini alle frecce sono quelli
da usare per attualizzare alla data del nodo i capitali che scadono a quello
successivo.
Comincio col nodo D. Poiché in entrambi i nodi G ed H che lo seguono si
converte, allora uso il tasso x = 10% per attualizzare B3 a t = 2 ed ottenere
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
173
V2 , infine uso la (12.2.12):
Nodo D : S2 = 67.49, x = 10%,
V2 = (151.67
× 0.4533) expª(−0.1 × 0.25) ' 131.58,
© × 0.5467 + 114.7120×67.49+131.58
B2 = max min (131.58, 115) ,
' max {115, 134.67} = 134.67.
11
Al creditore conviene dunque la conversione (tira a casa 134.67) più del riscatto
(ne tira a casa 115).
(G)
S3 =78.42
B3 = 151.67
(D)
S2 =67.49
(B)
S1 =58.09
(A)
B1 = 116.33
S0 =50
%
t=0
&
B0 = 104.76
xB =10%
(C)
S1 =43.04
B1 = 97.59
xC =13.51%
t=1
B2 = 134.67
%
&
%
&
xD =10%
(E)
S2 =50.00
B2 = 104.78
xE =12.27%
(F )
S2 =37.04
B2 = 96.32
xF =15%
t=2
%
xG =10%
(H)
&
S3 =58.09
B3 = 114.71
xH =10%
%
&
%
&
(I)
S3 =43.04
B3 = 100
xI =15%
(L)
S3 =31.88
B3 = 100
xL =15%
t=3
Passo al nodo E. I nodi che lo seguono sono H e I. In H si converte e in
I no. Associo loro i rispettivi tassi del 10% e 15%. Uso i soliti pesi qu e qd sia
per calcolare il tasso x, sia V2 , poi uso la (12.2.12):
Nodo E : S2 = 50, x = 0.10 × 0.5467 + 0.15 × 0.4533 ' 12.27%,
V2 = (114.71
0.4533) expª{−0.1227 × 0.25} ' 104.78,
© × 0.5467 + 100 ×20×50+104.78
B2 = max min (104.78, 115) ,
' max {104.78, 100.43455} = 104.78,
11
e vedo che non conviene all’Emittente il riscatto, né al creditore la conversione.
Lo stesso risultato trovo al nodo F , che è seguito da I e L, in nessuno dei
quali si converte. Nell’attualizzazione a t = 2 uso il 15%, mentre uso ancora i
174
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
soliti pesi qu e qd per calcolare V2 :
Nodo F : S2 = 37.04, x = 15%,
V2 = (100 ×
© 0.5467 + 100 × 0.4533) exp (−0.15
ª × 0.25) ' 96.32,
B2 = max min (96.32, 115) , 20×37.04+96.32
' max {96.32, 76.10} = 96.32.
11
Passo alla data t = 1. Considero il nodo B, che è seguito dal nodo D, ove
si converte (tasso 10%), e dal nodo E, ove non si converte (tasso 12.27% che
ho già associato sopra al nodo). Dunque
Nodo B : S1 = 58.09, x = 0.10 × 0.5467 + 0.1227 × 0.4533 ' 11.03%,
V1 = (134.67
© × 0.5467 + 104.78 × 0.4533) expª(−0.1103 × 0.25) ' 117.83,
B1 = max min (117.83, 115) , 20×58.09+117.83
' max {115, 116.33} = 116.33.
11
Essendo V3 < 115 all’Emittente conviene il riscatto. Tuttavia al creditore
conviene di più la conversione, che gli offre infatti 116.33, più del ricavo 115
del riscatto.
Il nodo C è seguito da E ed F , in nessuno dei quali si converte. Nell’attualizzazione a t = 2 uso i rispettivi tassi 12.27% (che ho già associato sopra
al nodo) e 15%:
Nodo C : S2 = 43.04, x = 0.1227 × 0.5467 + 0.15 × 0.4533 ' 13.51%,
V1 = (104.78
× 0.4533) expª(−0.1351 × 0.25) ' 97.59,
© × 0.5467 + 96.3220×43.04+97.59
B1 = max min (97.59, 115) ,
' max {97.59, 87.13} = 97.59.
11
Qui non conviene né il riscatto per l’Emittente, né il riscatto per il creditore.
Vengo al nodo iniziale A, che è seguito dal nodo B, ove si converte (tasso
10%), e dal nodo C, ove non si converte (tasso 13.51% che ho già associato
sopra al nodo). Dunque:
Nodo A : S0 = 50, x = 0.10 × 0.5467 + 0.1351 × 0.4533 ' 11.59%,
V0 = (116.33
ª {−0.1159 × 0.25} ' 104.76,
© × 0.5467 + 97.59 × 0.4533) exp
B0 = max min (104.76, 115) , 20×50+104.76
' max {104.76, 100.43} = 104.76.
11
Il valore a t = 0 del bond convertibile callable è dunque B0 = V0 = 104.76.
Poiché quello del titolo privo di tale facoltà è soltanto
¡
¢
3
100 × exp 0.15 × 12
= 100e−0.15×0.75 ' 89.36,
il valore delle opzioni implicite è
B0 − 100e−0.75×0.15 ' 104.76 − 89.36 = 15.40,
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
175
come nella tabellina riassuntiva
valore nominale del bond (come se fosse non convertibile)
sconto per mesi 9 al 15% annuo
valore attuale a t = 0 bond (come se fosse non convertibile)
valore opzioni implicite
valore a t = 0 del bond convertibile
100.00
−10.64
89.36
+15.40
104.76
Cb convertibili callable
Se il bond prevede cedole, lo schema dell’esercizio ora svolto sta ancora in
piedi: basta che, ad ogni nodo, semplicemente aggiunga al valore del titolo il
pagamento periodico previsto per la data del nodo, dunque il dividendo o la
cedola (se il loro importo è già previsto in partenza), a seconda che il bond sia
già stato convertito, oppure no.
Altri casi e rinvio
Ovviamente, esistono molti altri casi di cb e di zcb, callable e no, la cui
valutazione è più complessa di quella dei casi che ho appena visto. Mi limito
a segnalare che nella valutazione di un cb convertibile non callable ci si regola
come già detto nel par. 8.1.2 per il caso di dividendi discreti: basta assimilare
a questi le cedole periodiche, beninteso se il loro importo è già previsto in
partenza. Per gli altri casi devo accontentarmi di un semplice rinvio ai manuali
citati nei Riferimenti bibliografici. Segnàlo poi che il saggio [48]: anche se un
po’ datato, offre una bella “visita guidata” su quasi tutti gli argomenti discussi
nell’intero par. 12.2.
12.2.5
Opzioni reali
Questo argomento esercita sul management un grosso fascino semplicemente
perché (e scusate se è poco!) esso propone modelli per valutare la flessibilità in diverse decisioni di capital budgeting da prendersi in condizioni di forte
incertezza, quali la scelta di differire o di attuare subito un investimento (ad
esempio, in un impianto), nel contrarne o espanderne le dimensioni, nell’attuarlo in più stadi successivi (esempio: impianto pilota, seguito da un altro
per la produzione in serie), nell’abbandonarlo o sospenderlo cammin facendo,
nell’accelerarne o rallentarne l’esecuzione, nel saltare da un progetto ad un
altro, nel cambiarne le modalità operative, ecc.. Un’altra caratteristica è la
forte complessità: le concrete opzioni reali che interessano un’impresa in realtà
formano quasi sempre una vera e propria catena di opzioni da esercitare a date
successive, sicché il calcolo del loro valore è una faccenda parecchio più compli-
176
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
cata dei 2 o 3 semplicissimi esempi dei quali qui parlerò 9 . Su questo argomento
sono state scritte parecchie migliaia di pagine; il Lettore curioso può divertirsi
cominciando dai testi [20] e [49], meglio ancora da [24] e [25], per un discorso
più serio.
Di solito il nome di opzione reale, contrapposto a opzione finanziaria o
pura, lo si usa per sottolineare che si tratta di opzioni che riguardano attività
non finanziarie, come azioni o bond, bensì reali (esempi: impianti produttivi,
terreni, giacimenti minerari). In realtà ci sono altre differenze rilevanti: mentre
le opzioni finanziarie sono oggetto di specifici contratti, quelle reali di solito no,
e riguardano piuttosto situazioni soggettive nelle quali l’operatore va a cacciarsi
consapevolmente, come la decisione di edificare un terreno fabbricabile. Inoltre
il valore di opzioni finanziarie deriva da quello (osservabile) di titoli quotati ed è
possibile costruire portafogli di replica in un contesto arb.free; quello di opzioni
reali di solito no, perché il loro valore deriva da altre variabili, come la futura
domanda del prodotto; viene meno anche la possibilità di hedging e non esiste
un sottostante da comprare e vendere. Infine un’opzione reale è di norma
irreversibile, nel senso il suo titolare non la può smobilizzare, mentre in quelle
finanziarie basta liquidarla vendendola.
Opzione su investimenti follow-on
Di solito si racconta di un’impresa che acquista un nuovo impianto e lo sfrutta
per conseguire maggiori ricavi. Spesso questo investimento, lo chiamo A, incorpora un’opzione, ad esempio la possibilità di effettuarne più tardi un altro, lo
chiamo A∗ , beninteso se vedrò che ne varrà la pena. Faccio un esempio. Posso
acquistare un impianto A sostenendo il costo oggi di 200 per conseguire dopo
2 anni il ricavo di 216. L’impianto mi serve per costruire i primi prototipi di
una piccola stampante portatile (pesa 150 gr., batterie incluse). Se valuto il
progetto col criterio del valore attuale al tasso del 20% annuo, mi accorgo che
si tratta di un malaffare, perché
−200 + 216/1.202 = −50 < 0.
Dunque, se l’alternativa è tra attuare A e non fare nulla, allora è meglio
non fare nulla, cioè attuare il progetto nullo (capitali nulli alle 2 scadenze).
In realtà le cose si mettono diversamente, perché tra 2 anni tirerò le somme
e capirò se varrà la pena di attuare il progetto A∗ per costruire in serie il
prodotto. A∗ prevede un costo di 1700 tra 3 anni da oggi, seguito da ricavi il
9
È famosa questa osservazione (vedi [24]): Il problema è che le opzioni reali generalmente
sono più contorte da valutare che le opzioni finanziarie ‘pure’. Mentre Wall Street continua
a sviluppare e trattare nuove opzioni esotiche, le opzioni reali che si incontrano naturalmente negli investimenti delle Società tipicamente tendono ad essere più complesse ed esotiche
che le loro controparti finanziarie. (Alexander Triantis, Finance Department, University of
Maryland).
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
177
cui valore (medio) alla stessa data è di 2200, perciò il valore attuale (medio ad
oggi) di A∗ è
−1700/1.23 + 2200/1.23 ' −984 + 1273 = 289.
I ricavi di A∗ sono aleatori, nel senso che hanno una volatilità pari a 0.25.
Attuando oggi A acquisisco dunque la possibilità, ma non l’obbligo, di attuare
A∗ . Divento cioè titolare di una call su A∗ , che scade tra (T − t) = 3 anni, su
un sottostante (il valore dei ricavi futuri di A∗ ) che oggi vale St = 2200/1.23 '
1273, e con un prezzo di esercizio (il costo per l’attuazione di A∗ ) K = 1700.
Ora calcolo il valore odierno c di quest’opzione al tasso (istantaneo) privo di
rischio r = 0.10, usando ancora la (12.2.4), cioè la consueta formula di b&s
(6.5.4) per valutare una call europea:
´
³
¢
¡
2
1273
1
St
1 2
(3)
+
0.10
+
(0.25)
ln
ln K + r + 2 σ (T − t)
1700
2
√
√
=
'
d1 =
σ T −t
0.25 3
√
' 0.241328, d2 = d1 − σ T − t ' −0.191685,
R 0.241328 −z2 /2
N (d1 ) = √12π −∞
e
dz ' 0.595350,
R
2
−0.191685
N (d2 ) = √12π −∞
e−z /2 dz ' 0.423994,
c = St N (d1 ) − Ke−r(T −t) N (d2 ) =
= 1273 × 0.595350 − 1700 × e−0.10(3) × 0.423994 ' 224.
Tiro le somme. Attuare A da solo è un malaffare. Se invece attuarlo vuol
dire accedere all’opzione di attuare più tardi A∗ , allora le cose cambiano, e mi
generano un valore odierno complessivo di −50 + 224 = 174, in altre parole
acquisto una call che vale 224 pagandola 50: un affarone!
A questo punto coloro che si occupano di opzioni reali si mettono a tirare
sassate sul criterio del valore attuale, la cui applicazione condurrebbe a non
fare nulla (A ha valore attuale −50!), piuttosto che attuare A acquistando
così l’opzione su A∗ che esso incorpora. In realtà questo è un atteggiamento
davvero poco sportivo, un po’ da imbroglione: le sassate andrebbero tirate non
su quel criterio, ma su coloro che lo applicano coi paraocchi, cioè guardando
al progetto A come se fosse immerso nel vuoto spinto, ignorando che A è il
passaporto per A∗ , cioè che dietro l’angolo di A mi si apre un’opportunità A∗
per domani, che anch’essa va valutata assieme ad A.
Nel mio esempio A∗ è un investimento che sarà poi effettuato tra 3 anni da
oggi, ma se e solo se il gioco varrà la candela. Poiché A∗ segue nel tempo A,
A∗ viene detto investimento follow-on e con lo stesso nome si indica la relativa
opzione, talvolta detta anche opzione di espansione.
178
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Opzione di abbandono
Un altro tipo di opzione è l’opzione di abbandono, cioè la possibilità di abbandonare per strada l’attuazione di un progetto per evitare danni ulteriori o per
ridurre le perdite già sofferte. Imbastisco un esempio. Devo decidere oggi se
produrre i miei fertilizzanti usando un impianto A, più automatizzato ma con
minori costi di manodopera, oppure un impianto B, più tradizionale, con costi
di manodopera più elevati. B è più flessibile, perché le sua attrezzature, di
tipo più tradizionale, possono essere, all’occorrenza, utilizzate in altro modo,
realizzando un ricavo di 9. Al contrario, gli impianti di A non sono convertibili
ad altri usi, sicché, qualora A venga abbandonato, non valgono più nulla. Tra
2 anni vedrò come si saranno messe le cose. In ogni caso prevedo fin d’ora
che la somma algebrica di tutti i costi e ricavi, attualizzati a 2 anni da oggi,
dipenderà da come sarà la domanda dei miei prodotti, come nella tabella di
valori medi previsti che segue 10 .
valor medio dei costi e ricavi
tutti attualizzati tra 2 anni
con domanda alta
con domanda bassa
ricavo di abbandono
A
B
20
5
0
18
3
9
Se non tenessi conto della possibilità di abbandonare B, la scelta tra A e B
col criterio del valore attuale premierebbe A, perché in A le cose vanno sempre
meglio che in B. Tenendo invece conto di quella possibilità le cose possono
cambiare. Difatti, attuando B divento detentore di una put europea che mi
conferisce il diritto, qualora la domanda futura si riveli bassa, di abbandonare
il progetto tra 2 anni (come se lo vendessi) per un prezzo di esercizio di 9: è
un po’ come avere una polizza di assicurazione contro i rischi della domanda
troppo bassa. Riassumo in una tabellina le decisioni che prenderò tra 2 anni e
il valore (medio) V che in quel momento mi ritroverò tra le mani:
tra 2 anni:
con domanda alta
con domanda bassa
con A
decisione V
continuo 20
5
continuo
con B
decisione
continuo
abbandono
V
18
9
Per valutare correttamente B devo allora aggiungere al suo valore attuale il
valore odierno dell’opzione put di abbandono, valore che traduce in soldoni la
maggior flessibilità del progetto. Il valore odierno St del sottostante è il valore
attuale di V nel caso che prosegua. Usando, ad esempio, il tasso annuo del 20%
ho St = 18/1.22 = 12.5. Suppongo poi una volatilità di 0.35 e un tasso istantaneo (privo di rischio) r = 0.04 e calcolo il valore odierno p di quest’opzione
10
L’esempio è adattato da [13], cap. 21.
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
179
put usando la formula di b&s (6.5.6) per valutare una put europea:
³
´
¡
¢
2
12.5
1
St
1 2
ln
+
0.04
+
(0.35)
2
ln K + r + 2 σ (T − t)
9
2
√
√
d1 =
=
'
σ T −t
0.35 2
√
' 1.072790, d2 = d1 − σ T − t ' 0.577815
R −1.072790 −z2 /2
e
dz ' 0.141683,
N (−d1 ) = √12π −∞
R
−0.577815 −z 2 /2
N (−d2 ) = √12π −∞
e
dz ' 0.281695,
p = −St N (−d1 ) + Ke−r(T −t) N (−d2 ) =
= −12.5 × 0.141683 + 9 × e−0.04×2 × 0.281695 ' 0.569298.
Opzioni di differimento
Molti investimenti non sono del tipo “o adesso o mai più”; inoltre hanno un
avvenire incerto, ad esempio perché i loro ricavi futuri dipenderanno dal prezzo
dei prodotti che otterrò. Occorre dunque decidere il momento migliore al quale
intraprendere il progetto. Se da un lato la tattica prudente “aspetta e vediamo” non mi garantisce nulla e perciò può anche finire in un buco nell’acqua,
dall’altro posso sperare che differire l’attuazione del progetto mi consentirà di
fare previsioni più affidabili sui suoi ricavi e di sperare in un loro aumento. Un
esempio è la possibilità di sfruttare una cava di sabbia o un’area fabbricabile,
cosa che potrà diventare conveniente se e quando il prezzo della sabbia o dei
fabbricati salirà al di sopra di un livello critico. Un investimento differibile
contiene dunque un elemento di flessibilità assente in quello del tipo “o adesso
o mai più”. Contiene cioè un’opzione call, da esercitare più tardi se e solo se ne
varrà la pena. Valutare l’opzione significa assegnare un preciso valore a questa
flessibilità.
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio
Mi conviene fermarmi un attimo per tirare il fiato. Usando il modello di b&s
per valutare opzioni reali ho firmato una cambiale, quella nella quale mi impegno a ritrovare nei miei esercizi tutte le ipotesi fondamentali di quel modello.
Seguendo allora la raccomandazione “Attenti alle scorciatoie!” del par. 7.7.1,
mi faccio qualche domanda. È sensato affermare che il mio sottostante (era
il valor attuale medio di costi e ricavi futuri), si muove con un moto browniano geometrico? Era qualcosa che potevo comprare, vendere (magari allo
scoperto) su qualche mercato arb.free? Il suo prezzo era osservabile sul suo
bravo mercato? Davvero potevo costruire un portafoglio che replicava la mia
opzione reale? Con queste domande imbarazzanti questo paragrafo non poteva
finire peggio, ma ho preferito invitare a riflettere sui guai nei quali, seguendo la
180
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
tradizione prevalente, mi posso cacciare piuttosto che far finta di nulla. Oltre
tutto, quello delle consulenze sulle opzioni reali è un mercato un po’ dopato: le
attese sono enormi (basta leggere il manuale [1] per rendersene conto), dunque
ci gira un sacco di soldi, e qualche volta si incontrano anche bufale che con un
po’ di marketing si vendono come il pane.
12.2.6
Il valore dell’impresa: un rompicapo?
Adesso esercito il diritto di mugugno che mi sono riservato a commento dell’Avvertenza 2 del par. 12.2. Questo paragrafo contiene opinioni personali davvero
poco ortodosse, tratte da [19], perciò il mio prossimo non è obbligato a crederci.
In tutte le applicazioni del par. 12.2 si assume l’ipotesi che il valore At
dell’Attivo dell’impresa segua il moto browniano geometrico (12.2.1), cioè
dAt = αAt dt + σAt dWt ,
(12.2.13)
con Wt p.s. di Wiener e coi coefficienti di deriva α e di volatilità σ costanti e indipendenti dalla composizione (si dice anche: struttura) del capitale
dell’impresa, cioè dal rapporto di leva
qt =
Bt
,
Et
(12.2.14)
cioè da come l’Attivo At viene diviso tra capitale proprio Et e di terzi Bt :
At = Bt + Et .
(12.2.15)
Sotto quest’ipotesi ce ne sta un’altra: l’azzeramento della somma algebrica
di tutti i futuri prevedibili flussi di cassa dall’impresa agli azionisti e creditori o viceversa (come interessi, dividendi, nuove emissioni, rimborsi in conto
capitale) che possono muovere qt , 11 .
Emerge un problema molto delicato: al contrario di un titolo quotato in
Borsa, in pratica At è una grandezza non osservabile, pertanto, anche se sulla
sua dinamica accetto l’ipotesi (12.2.13), non riuscirò mai a stimare direttamente i parametri α e σ. Aggiungo che, purtroppo, i dati che leggo nella successione
dei bilanci passati non mi aiutano, perché contengono valori storici che riassumono il passato, mentre mi servono valutazioni collegate alle prospettive future
dell’impresa. Nonostante il suo rilievo, l’obiezione della non-osservabilità di At
è rarissima in letteratura; in più, quando è riconosciuta, di solito essa viene superata segnalando che si può ricorrere ad una qualche variabile (detta attività
gemella) il cui valore sia fortemente correlato con At . Mi sembra che questa sia
11
Una cattiveria: se la famosa Prima Proposizione del modello di Miller-Modigliani assicura
che il valore At dell’impresa non dipende da qt , che bisogno c’è di congelare tutto ciò che può
muovere qt ?
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
181
una scappatoia un po’ penosa, perché misurare la correlazione tra 2 variabili,
una delle quali non è mai osservabile, ha semplicemente del miracoloso.
A questo punto sorge l’idea di sfruttare la prima delle 2 Avvertenze del par.
12.2.1, cioè di calcolare At come la somma tra 2 variabili osservabili: il valore Et
delle sue azioni (numero × quotazione) e Bt delle sue obbligazioni (numero ×
quotazione). Questi 2 valori avranno le loro dinamiche, per semplicità riassunte
nelle eds
(
dEt = αE Et dt + σ E Et dWt ,
(12.2.16)
dBt = αB Bt dt + σ B Bt dWt ,
con Wt processo di Wiener (per semplicità comune), ed avendo le costanti
positive αE , αB , σ E e σ B ovvii significati. Grazie all’identità (12.2.15) ottengo
l’equazione
dAt = (αE Et + αB Bt ) dt + (σ E Et + σ B Bt ) dWt ,
dalla quale, sfruttando la (12.2.14), mi esce quest’altra
dAt = αAt dt + σAt dWt
(12.2.17)
αE + αB qt
,
1 + qt
(12.2.18)
non appena definisco
α=
σ=
σ E + qt σ B
.
1 + qt
L’eds (12.2.17) sembra proprio la (12.2.13), ma stavolta i coefficienti α e
σ dipendono (eccome!), da qt . In più appare qualcosa di strano: dato che At
ha una dinamica non autonoma, bensì derivata da quella di Et e di Bt , e dato
che Et e Bt sono derivati scritti su At , l’Attivo finisce per essere un’attività
sottostante il cui valore è però la somma tra i valori di 2 derivati scritti su di
essa: come dire che questo sottostante non è un sottostante. Tuttavia questo
risultato un po’ (parecchio) inquietante viene praticamente sempre ignorato,
e si va avanti ottenendo i risultati del par. 12.2.2, con un’operazione che . . .
spazza la polvere sotto il tappeto. In più va detto che, a conti fatti, a ciascuno
degli infiniti valori di At > 0 corrisponde un’unica coppia (Et , Bt ) che segue le
regole di valutazione del par. 12.2.2 e proprio non me la sento di scommettere
che tale coppia la possa leggere nelle quotazioni di mercato coinvolte nelle
equazioni (12.2.16).
Emergono anche altri guai, che ora cerco di riassumere. Se sottraggo da
µAt , cioè dal risultato operativo lordo (medio), i costi finanziari It per interessi
sui debiti, ottengo i profitti netti Pt (medi) per il capitale proprio:
µAt = Pt + It .
(12.2.19)
182
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Interessi e profitti possono essere, in tutto o in parte, ritenuti, cioè non
distribuiti, nel qual caso la parte rp Pt degli utili netti è passata a riserva e la
parte ri It degli interessi passivi viene accreditata ai creditori ma non viene loro
liquidata. Ovviamente è rp ∈ [0, 1] e ri ∈ [0, 1]. Detto questo, posso stabilire i
2 seguenti teoremi.
Teorema 12.2.1 . Siano At , qt e Pt positivi. Se nell’ eds (12.2.13) voglio che
i parametri α e σ non dipendano da qt , allora occorre che non vengano mai
pagati né dividendi né interessi.
Dimostrazione. Indico con (Et , Bt ) e (Et∗ , Bt∗ ) i valori del Netto e dei Debiti appena prima e appena dopo che il risultato operativo viene contabilizzato
e ripartito in profitti netti Pt e interessi It . Gli importi rp Pt ed ri It vanno ad
aumentare il Netto ed il Passivo, perciò risulta
(Et∗ , Bt∗ ) = (Et + rp Pt , Bt + ri It )
Grazie alle (12.2.15) e (12.2.19), l’aumento dell’Attivo
A∗t − At = rp Pt + ri It
(12.2.20)
coincide con µAt se e solo se risulta
(1 − rp ) Pt + (1 − ri ) It = 0.
It > 0 segue dall’ipotesi qt > 0 ed essendo anche Pt > 0 occorre che sia
rp = ri = 1.
Teorema 12.2.2 . Valgano le stesse ipotesi del teorema 12.2.1 e µ dipenda
da qt perché non tutti i redditi Pt e It vengono integralmente ritenuti. Allora
qt non muta, dunque neppure µ può cambiare, nei soli 2 casi seguenti:
(a) tutti gli interessi e dividendi vengono completamente erogati non appena
sono contabilizzati;
(b) il rapporto tra interessi ritenuti e dividendi ritenuti ricopia il rapporto di
leva qt = Bt /Et tra Debiti e Netto.
Dimostrazione. Usando la stessa notazione del teorema 12.2.1, calcolo il
vecchio ed il nuovo valore del rapporto di leva:
qt =
Bt
,
Et
qt∗ =
Bt∗
Bt + ri It
=
∗
Et
Et + rp Pt
12.2. Applicazioni di Corporate Finance
183
ed osservo che, grazie alla definizione (12.2.14), qt∗ = qt equivale a qt rp Pt = ri It .
Ciò vuol dire
ri = rp = 0,
oppure
ri It
= qt .
rp Pt
(12.2.21)
Se ri = rp = 0, allora la (12.2.20) evidenzia che la crescita dell’Attivo è nulla,
come si afferma nel punto (a). Se (ri It ) / (rp Pt ) = qt , allora qt si mantiene
costante e µ non può cambiare, come si afferma nel punto (b). Se la (12.2.21)
non è verificata, allora qt cambia e, per il teorema 12.2.1, anche µ si muove.
Riassumendo, la struttura del capitale (cioè qt ) non ha alcun rilievo nella
dinamica dell’Attivo in pochi casi soltanto, tutti dotati di verosimiglianza davvero discutibile: o non distribuisco mai redditi per interessi It e dividendi Pt ,
o li distribuisco integralmente appena li contabilizzo (sottinteso: seguendo il
criterio di competenza dell’Economia Aziendale), oppure infine li distribuisco
secondo un bilancino riassunto nella regola ri It = qt rp Pt .
A questo punto l’ipotesi che At segua la dinamica (12.2.13) può essere assimilata ad una favola o almeno paragonata al pattinaggio sul ghiaccio sottile.
Per vuotare il sacco fino in fondo, avanzo addirittura il sospetto che tutto il
modello di valutazione adottato nel par. 12.2.2 derivi la sua popolarità, in sede
non solo accademica ma anche pratica, dal semplice fatto che la teoria di b&s,
quando usata per valutare derivati su azioni, si è rivelata credibile, robusta
ed anche, grazie alle formule pratiche di valutazione che essa offre, di immediato interesse pratico: niente crea successo come il successo! Probabilmente,
per valutare Debiti e Netto in modo più convincente non basta adattare quel
modello, occorre allontanarsene. In letteratura esistono pochissimi tentativi
che battono questa strada (ad esempio: [23], [2]). In essi si usano ancora eds,
però con parametri osservabili e per descrivere il comportamento di variabili
osservabili, (ad esempio, i ricavi di vendita), non necessariamente riferite ad
imprese con azioni e debiti tutti quotati. In più non si assumono le ipotesi
classiche sull’assenza di arbitraggi e sulla possibilità di fare delta-hedging in
un mercato perfetto. Il mio sospetto è che questa sia la strada giusta.
12.2.7
Pattinaggio sul ghiaccio sottile
Adesso seguo la raccomandazione del par. 7.7.1 (Attenti alle scorciatoie!). Le
osservazioni del par. 12.2.6 sono nate dalla necessità di riflettere sulle ipotesi
implicite che sono costretto ad assumere quando, seguendo l’andazzo tradizionale, si applica il modello di b&s alla valutazione di oggetti diversi dai derivati
su un’azione. Ne ho parlato con riferimento alla valutazione delle passività
di un’impresa, tuttavia critiche simili sono emerse anche nella valutazione di
warrant (par. 12.2.3) e di opzioni reali (par. 12.2.5). In sostanza, posso dire
che il classico modello di b&s per la valutazione di opzioni su titoli azionari
(campo nel quale se la cava benino), è stato adottato con disinvoltura (più
184
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
che adattato) anche per valutare opzioni su altri oggetti, con scarsa attenzione
verso le caratteristiche specifiche di questi. È bene ricordarsi che, se a questo
punto possono sorgere divergenze anche forti tra il modello e la realtà, pensare
che la realtà sia sbagliata è comodo ma assurdo, piuttosto è il modello che
deve darsi una regolata. Ora, è vero che in molti casi il modello che fa acqua è
purtroppo l’unico disponibile, sicché lo si adotta/adatta per disperazione (un
modello scassato ma unico è il migliore ed è comunque meglio di nessun modello); tuttavia l’unica cosa seria da fare non è lamentarsi, ma darsi da fare
per costruire un modello più sensato.
12.3
Misura e gestione del rischio
Questo paragrafo contiene alcuni sviluppi, più o meno recenti, sui problemi di
misura e di gestione del rischio, da considerare complementari a quelli classici
della selezione del portafoglio (approccio media-varianza, modelli capm e apt,
ecc.) che si incontrano in altri corsi.
12.3.1
Il VaR: value at risk
Chiunque assume posizioni rischiose rischia, poco o tanto, tosto o tardi, di
incontrare guai, che talvolta non escludono il fallimento. Un indicatore del
rischio di guai è il VaR, acronimo di Value at Risk , ovvero valore (o capitale)
a rischio, o sotto rischio. Esso è una stima, condotta con un assegnato livello
di confidenza, della massima perdita che il valore V del mio portafoglio potrà
subire durante un prefissato periodo, che indico con (∆t). Ad esempio, se so
che, con probabilità del 90%, la perdita che potrò incontrare nel prossimo mese
(dunque (∆t) = 1 mese) non supererà 32 milioni, posso dire che 32 milioni è il
VaR relativo ad un mese, con livello di confidenza del 90%:
VaR = 32 milioni ⇒ P [∆V ≥ −VaR] = 90%;
detta in altro modo: la probabilità che nel prossimo mese la perdita superi 32
milioni è il 10%:
P [∆V ≤ −VaR] = 1 − 90% = 10%.
Naturalmente, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, nel senso che il calcolo
del VaR richiede la preliminare conoscenza della distribuzione di probabilità
di ∆V . L’ipotesi più comune, che è anche la più criticata, assume che ∆V
abbia distribuzione gaussiana (cfr. par. 14.4.6). In questo caso è facile, una
volta fissato un livello di confidenza c, individuare per quale valore della v.a.
la funzione di distribuzione assume il valore (1 − c). Conviene esprimere tale
valore della v.a. indicandone la distanza dalla media in multipli dello scarto
quadratico medio σ. Ad esempio, con c = 0.90 la coda della distribuzione (cioè
12.3. Misura e gestione del rischio
185
della sua funzione di densità) con peso (1 − c) = 0.1 va da −∞ al valore che
sta a (−1.282σ) dalla media. Dunque il 90% dei valori della variabile stanno
a destra di tale valore e la probabilità di errore nello scommettere che non
si presentino scarti dalla media peggiori di (−1.282σ) è proprio del 10%. La
tabella che segue indica i valori più popolari del livello di confidenza c nel
calcolo del VaR.
livello di confidenza c
0.90
0.95
0.975
0.98
0.99
(1 − c)
0.10
0.05
0.025
0.02
0.01
coda della
tra −∞
tra −∞
tra −∞
tra −∞
tra −∞
funzione di densità
e (media − 1.282σ)
e (media − 1.645σ)
e (media − 1.960σ)
e (media − 2.054σ)
e (media − 2.326σ)
Il VaR può essere calcolato per un’attività finanziaria singola (esempio:
un’azione), oppure per un derivato o per un intero portafoglio. Essendo un
indicatore del rischio, può anche essere usato come indicatore dell’efficienza
nella gestione di un portafoglio, ad esempio rapportando il reddito realizzato
in un periodo di ampiezza (∆t) al relativo VaR.
Suppongo di avere all’istante t un portafoglio del valore di Vt = 200 milioni,
composto da 10000 azioni del valore unitario di St = 20000, con tasso di
rendimento annuo α = 12% e scarto quadratico medio σ = 0.20. Fisso c = 0.99
1
e calcolo il VaR del prossimo mese ( 12
di anno). Il valore medio tra 1 mese del
mio portafoglio è
¡
¢
= 202 (milioni)
Vt 1 + 0.12
12
e la sua variabilità nel mese è misurata da
σ √112 Vt =
0.20
√
200
12
' 11.547 (milioni),
perciò mi aspetto, con un livello di confidenza c = 0.99, una perdita (rispetto
al valor medio) non peggiore di
2.326 × 11.547 = 26.858 (milioni).
Il peggior valore tra 1 mese è dunque
202 − 26.858 = 175.142 (milioni),
sicché la perdita massima del mese è
VaR = 200 − 175.142 = 24.858 (milioni),
ovvero circa 24.858 milioni su un portafoglio che oggi ne vale 200, 12 .
12
Alcuni suggeriscono la formula approssimata VaR = 2.326 (Vt )
mio caso mi dà VaR ≈ 22.206 (milioni).
³
1
α
12
−
√1 σ
12
´
, che nel
186
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Di solito il periodo di tempo (∆t) cui si riferisce il VaR è molto breve,
sicché (∆t) α è così modesto che lo si trascura. In questo caso, indicata con
x∗ la soluzione dell’equazione che eguaglia la funzione di ripartizione F (x) ad
(1 − c), cioè
R x∗ −z2 /2
√1
e
dz = (1 − c) ,
2π −∞
si calcola il VaR con la formuletta
VaR = x∗ Vt σ
p
(∆t);
1
di anno), coi dati sopra ottengo
ad esempio, con (∆t) = 1 settimana ( 52
VaR = 2.326 × 200 √0.2
' 12.902 milioni.
52
A questo punto alcuni amano calcolare il valor medio della perdita (expected
shortfall ) che sopporterò in caso di sfortuna, cioè qualora si presenti una perdita
peggiore del VaR. Nel mio esempio gestisco una v.a. X con valor medio 202 e
scarto quadratico medio 11.547, dunque con densità (vedi il par. 14.4.6)
Ã
!
(x − 202)2
1
√ exp −
;
f (x) =
11.547 2π
2 (11.547)2
la perdita media è dunque
E [x|∆X < −VaR] = E [x|X < 175.142] ,
cioè
1
√
11.547 2π
175.142
R
−∞
Ã
(z − 202)2
z exp −
2 × (11.547)2
!
dz ' 1.714 milioni.
Se invece scelgo c = 0.95, ottengo x∗ = −1.645 ed il peggior valore tra 1
mese è
202 − (1.645 × 11.547) = 183.005 (milioni),
sicché la perdita media diventa
1
√
11.547 2π
183.005
R
−∞
Ã
(z − 202)2
z exp −
2 × (11.547)2
!
dz ' 8.906.
I risultati non cambierebbero (almeno con l’approssimazione che ho adottato)
qualora sostituissi l’estremo inferiore di integrazione con lo zero, visto che, se
è vero che una gaussiana può assumere ogni valore reale, in realtà il peggior
valore che di fatto rischio è proprio zero.
12.3. Misura e gestione del rischio
187
Posso anche calcolare il VaR di un portafoglio che comprende n attività
finanziarie (niente derivati). Il valore Vi della i-esima abbia la volatilità σ i ed
il coefficiente di correlazione col valore Vj dell’attività j-esima sia ρij . Allora
il VaR del portafoglio per un periodo di ampiezza (∆t) è
qP P
p
n
n
VaR = x∗ (∆t)
i=1
j=1 Vi Vj σ i σ j ρij .
L’ipotesi di normalità che il VaR assume ha incontrato doverose e pesanti critiche, nonostante le comode scorciatoie che essa consente e dalle quali
deriva la popolarità del VaR. Queste critiche sono ancora più pesanti per un
portafoglio di più attività e diventano insopportabili nel caso che almeno una
di queste sia un derivato 13 . L’unico modo per ottenere, stando alla larga da
quelle ipotesi e critiche, qualcosa che possa essere chiamato VaR consiste nel
fare della simulazione, attività che posso organizzare come segue. Per prima
cosa inserisco in un data-base, per ciascuno dei g giorni di passate quotazioni,
le quotazioni di ciascuna attività finanziaria (sottostante o derivati) del mio
portafoglio attuale e calcolo i tassi di incremento di valore di ogni attività
rispetto al giorno precedente. Estraggo dal mio data-base un giorno a caso
ed aggiorno i valori iniziali delle componenti del mio portafoglio applicando i
tassi di incremento del giorno estratto. Poi ripeto la procedura con successive
estrazioni casuali, i cui risultati man mano utilizzo per aggiornare i valori delle
mie attività che nel frattempo ho già ottenuto. Infine creo altri campioni ripetendo daccapo la solfa e mi faccio così un’idea della distribuzione dei risultati,
sulla quale calcolo il mio VaR. Ovviamente, esistono appositi indicatori statistici per giudicare l’affidabilità dei risultati della simulazione. Esistono anche
altre tecniche simili ma più raffinate. Alcuni chiamano metodo di campionamento bootstrap quello che ora ho riassunto. Ovviamente esso presenta diversi
pregi e difetti. Tra i primi sta il fatto che esso elimina quelle che sono dette
le correlazioni seriali, cioè tra le quotazioni dello stesso titolo a date diverse.
Tra i secondi: il metodo eredita le eventuali correlazioni cross-section tra le
quotazioni di titoli diversi (questo è il caso, ad esempio, di titoli emessi da
società dello stesso gruppo finanziario, oppure dello stesso settore); inoltre il
metodo assume l’ipotesi implicita che il passato sia destinato a ripetersi. Ma
questa critica rispolvera una vecchia storia che ho già visto nel par. 7.3.4 per
la volatilità stocastica.
Al pari di tutte le altre misure del rischio, il VaR viene utilizzato come strumento di risk management specialmente, ma non soltanto, presso le imprese assicurative e bancarie. Da ciò scende l’attualità del tema sul piano sia teorico che
applicativo. Chi vuole stare al corrente consulti il sito www.gloriamundi.org.
13
Se ci penso un attimo e non sono ipocrita, mi rendo conto che la distribuzione del valore
futuro di un derivato ha ben poco di gaussiano: è una funzione non lineare (nelle opzioni
binarie non è manco continua) del valore futuro di un’attività sottostante (azione o altro) la
cui distribuzione di solito si suppone log-normale!
188
12.3.2
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
Il sistema RiskMetrics T M
La banca statunitense J.P. Morgan offre dalla fine del 1984 il cosiddetto sistema RiskMetrics T M [41]. Comprende un enorme data-base (consultabile gratis
nei siti www.riskmetrics.com e www.reuters.com) che calcola, per circa 400
strumenti finanziari dei tipi più vari, la volatilità storica (rivedi il par. 7.3.1)
e i coefficienti di correlazione tra le quotazioni di strumenti diversi. Su questo
data-base si innestano poi vari programmi (a pagamento) che forniscono la stima di diversi parametri e indici, compreso il VaR (per l’orizzonte di 1 giorno,
di 1 mese e per gli standard imposti dalla Bank for International Settlements).
Col 2.1.2001 la J.P. Morgan & Co. si è fusa con la banca Chase Manhattan
Co., ma il vecchio sito www.jpmorgan.com va ancora bene.
12.3.3
Il sistema CreditMetrics T M
Sempre sul sito www.jpmorgan.com la J.P. Morgan offre anche il cosiddetto
sistema CreditMetrics T M [41]. Suo scopo è l’incremento della liquidità dei mercati attraverso la creazione di un benchmark per la valutazione dei rischi sui
crediti. Il data-base comprende, per una vasta gamma di bond, tra loro diversi
per scadenza e per livello di rischio (misurato dal rating di affidabilità dell’agenzia Standard & Poor’s), le serie storiche che misurano, per vari anni: i tassi
di rendimento annuo, le correlazioni tra le revisioni di rating dei vari bond,
nonché la matrice di transizione (o di migrazione) tra i possibili rating di ogni
bond 14 . A partire da questi dati il sistema calcola (mi pare a pagamento) la
distribuzione dei possibili valori futuri di un bond o di un portafoglio.
12.3.4
In caso di crash: la regola di platino
L’ipotesi che le quotazioni di un’azione seguano, come descritto nel par. 4.2, un
moto browniano geometrico è destinata a saltare, almeno per un po’, quando il
mercato si trova in condizioni critiche estreme, diciamo in condizioni di crollo
(crash). È però possibile adattare in anticipo qualche contro-mossa difensiva,
una delle quali presento qui di séguito.
Considero un portafoglio composto all’istante t da uno o più derivati scritti
su un’azione quotata St . Indico con V = V (t, St ) il suo valore a t e assegno
un incremento (∆St ) a St , fermo restando t. Poiché V è una funzione deterministica dei suoi argomenti, posso usare la consueta formula di Taylor per
14
Le 8 classi di affidabilità dell’agenzia Standard & Poor’s, ordinate per affidabilità decrescente, sono aaa, aa, a, bbb, bb, b, ccc, default (fallimento). Etichettate queste classi con
l’indice i che va da 1 a 8, la matrice di transizione A = [aij ] è una matrice 8 × 8 nella quale
aij indica la probabilità (stimata statisticamente ex-post) che un bond della classe i venga
inserito l’anno dopo nella classe j.
12.3. Misura e gestione del rischio
189
approssimare la variazione (∆V ) nel valore del portafoglio come
(∆V ) =
∂V
∂2V
(∆St ) + 12
(∆St )2 ,
∂St
∂St2
ovvero, usando i simboli (7.4.1) dei greci,
(∆V ) = N (∆St ) + 12 Γ (∆St )2 .
(12.3.1)
Ovviamente, questa relazione è valida solo localmente, cioè è tanto più
affidabile quanto più modesto è (∆St ). Per fissare le idee suppongo che sia,
come per la call europea del par. 7.4.1, N > 0 e Γ > 0. Il 2◦ membro della
(12.3.1) è un polinomio di 2◦ grado in (∆St ) che è nullo per (∆St ) = 0 e per
(∆St ) = −2N/Γ; inoltre assume il proprio valore minimo per (∆St ) = −N/Γ,
minimo che vale − 12 N2 /Γ:
µ
µ
¶
¶
2N
2N 2
N2
min (∆V ) = N −
=− ,
+ 12 Γ N −
∆St
Γ
Γ
2Γ
come nella curva sottile del grafico:
Questo valore, in quanto di minimo assoluto, misura una valutazione pessimista della perdita di valore del portafoglio che può essere provocata da una
variazione (∆St ) nel prezzo del sottostante su cui sono scritti i derivati che
stanno nel portafoglio. Trattandosi di un discorso soltanto locale, sarò così
prudente da far variare (∆St ) in un intervallo [a, b] di valori plausibili.
A questo punto posso cercare di capire come usare un portafoglio integrativo, lo chiamo P̄, i cui N e Γ indico con N̄ e Γ̄ (anch’essi > 0 come N e Γ).
Immagino di acquistare o vendere x unità di P̄ al valore unitario p, generando
2 distinti flussi di cassa:
• px, cioè il costo di acquisto (se x > 0) o il ricavo di vendita (se x < 0);
• un costo addizionale c per ogni unità acquistata o venduta del portafoglio
integrativo P̄: si tratta del cosiddetto bid-ask spread e/o dei costi di transazione
(ne ho parlato nel par. 7.7.2).
Posso trascurare px, perché l’incremento > 0 (< 0) di valore del portafoglio
complessivo derivante da un acquisto (vendita) viene perfettamente bilanciato
da una corrispondente riduzione (aumento) di liquidità, sicché gli effetti patrimoniali e reddituali complessivi sul mio portafoglio sono nulli. Al contrario,
190
Capitolo 12. Applicazioni di interesse aziendale
non posso trascurare i costi addizionali. Anzi, per evitare che con x < 0 (vendita) il costo xc si trasformi in¡ un ricavo,
¢ per misurarli non scrivo
¡ xc bensì
¢
kxk c. La variazione nel valore V + xV̄ nel portafoglio integrato P + xP̄ è
dunque approssimabile con l’espressione
¡
¢
(N + xN̄) (∆St ) + 12 Γ + xΓ̄ (∆St )2 − kxk c, con: (∆St ) ∈ [a, b] . (12.3.2)
Anche l’espressione (12.3.2) è un polinomio di 2◦ grado in (∆St ) dotato di
minimo assoluto. A questo punto posso seguire la ¡cosiddetta
¢ regola di platino,
cioè scegliere x in modo che il valore peggiore di V + xV̄ , cioè il suo valore
minimo, sia il più alto possibile: come dire che devo capire come mollare un po’
di osso per salvare, nel caso peggiore che può capitarmi, più polpa che posso,
frase che riassume alla buona il significato del problema di ottimo (del tipo
cosiddetto max-min)
µ
h
i¶
¡
¢
2
1
min
(N + xN̄) (∆St ) + 2 Γ + xΓ̄ (∆St ) − kxk c .
max
x
(∆St )∈[a,b]
Nel grafico sopra, la curva con tratto più pesante potrebbe descrivere la
variazione di valore che viene subita dal portafoglio così integrato.
12.3.5
CrashMetrics T M
La tattica di copertura statica ora descritta ha carattere un po’ assicurativo ed
è tipica del pessimista (della serie “cintura e bretelle”). Della regola di platino
esistono diverse estensioni, ad esempio al caso di portafogli che comprendono
anche derivati scritti su più beni. In questo campo, che è un’area di ricerca
piuttosto recente ed in fermento, esiste anche software specializzato, come il
programma CrashMetrics T M . Il relativo data-base comprende le correlazioni,
tutte calcolate nei soli periodi di crash dal 1985, tra gli incrementi relativi
(espressi in %) delle quotazioni di molte azioni e gli analoghi di certi indicatori
e benchmark, come l’indice Standard & Poor’s 500 (fortunatamente il database va aggiornato di rado). Il data-base, con alcuni documenti tecnici e una
demo (versione dimostrativa) del programma CrashMetrics T M sono di pubblico
dominio e stanno nel sito www.crashmetrics.com.
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82 Capitolo 6. Il modello B & S: le basi