Un modello dinamico di customer loyalty Michele Costabilea a Dipartimento di Organizzazione Aziendale, Università della Calabria - Campus di Arcavacata (Cosenza) Area Marketing, Scuola di Direzione Aziendale (SDA) - Università Bocconi (Milano) [email protected] Michele Costabile 1. Introduzioneb Contestualmente all'evoluzione degli stati concorrenziali, che in un numero sempre maggiore di mercati vanno assumendo i caratteri dell'ipercompetizione (D'Aveni, 1994; Valdani, 1995 e 1997; Ancarani, 1999), è significativamente aumentata l'attenzione che le imprese dedicano al comportamento dei propri clienti, con l'obiettivo di sviluppare e consolidare le relazioni di mercato. L'accresciuto interesse verso le interazioni fra domanda e offerta è stato spiegato ricorrendo all'evidenza della crescente complessità tecnologica, concorrenziale e relazionale (Busacca, 1994; Busacca, Grandinetti e Troilo, 1999). L'evoluzione delle forme di concorrenza, la progressiva saturazione di molti mercati, e le strutturali modificazioni dei processi di scambio, in parte indotte dall'emergere dell'economia digitale1, infatti, stanno obbligando le b Alcune argomentazioni contenute nel presente paper sono scaturite dai proficui confronti avuti con alcuni colleghi dell'Area Marketing, in particolare con Giuseppe Bertoli, Bruno Busacca, Sandro Castaldo e Gabriele Troilo. A loro devo, quindi, uno speciale ringraziamento. La responsabilità dei contenuti finali del lavoro, tuttavia, rimane, in esclusiva, dell’autore. 1 Oltre ai noti fenomeni evolutivi che investono i consumi e il comportamento dei consumatori (Fiocca, 1990; Busacca, 1994; Fabris, 1995; Busacca, Grandinetti e Troilo, 1999) deve essere rilevato un ulteriore, recente, elemento di complessificazione delle relazioni di mercato, evidente soprattutto nei cosiddetti business internet-based e internet-related. Fra le principali caratteristiche della relazione con i clienti in tali business, infatti, vi è l'"infedeltà a portata di mouse" (brand switching is a click away, nella versione originale), connessa al tendenziale annullamento di alcune categorie "strutturali" dei costi di transazione. Ciò rende molto più problematico per l'impresa erigere barriere all'uscita dalla relazione - seppure temporanee - dopo averla avviata, e magari dopo aver sostenuto rilevanti costi di avviamento e ingenti investimenti per il cosiddetto "lock in" (Shapiro e Varian, 1999). Gli stessi operatori, tuttavia, evidenziano che proprio a ragione delle specificità dell'economia digitale, le imprese che sono in grado di sviluppare solide relazioni con i loro clienti producono un valore-potenzialità molto elevato, derivante dalle opzioni di cross-selling - sviluppo commerciale con la medesima base di clienti - e da quelle di apprendimento e innovazione - e quindi anche di sviluppo della base-clienti - che nei mercati virtuali risulterebbero più semplici da esercitare e, quindi, più frequenti. Al riguardo, deve essere evidenziato che è proprio l'elevato valore delle opzioni, di crescita commerciale (per ampliamento del numero delle relazioni e/o della loro portata) e di continua innovazione, una delle principali ragioni per cui le aziende che operano in tali business godono di capitalizzazioni di borsa non spiegate dal convenzionale sistema dei valori economico-aziendali. Per alcune di loro, infatti, il valore di mercato è fondato sul numero di clienti in portafoglio, 2 Un modello dinamico di customer loyalty imprese ad adottare una prospettiva di prioritario orientamento allo sviluppo e al consolidamento della relazione con i clienti, recentemente definita da Valdani e Busacca (1999) customer-based view. A partire dai primi anni ottanta, peraltro, anche le ricerche accademiche sulla domanda hanno riguardato, con frequenza crescente, le fasi del comportamento d'acquisto successive alle iniziali manifestazioni di preferenza verso una marca o un'insegna, concentrandosi, seppure con differenti approcci, sui fenomeni che definiscono lo stato e la dinamica delle relazioni fra impresa e cliente - postconsumption research (Oliver, 1997) -.2 Parallelamente all'ormai consolidato filone di studi sul consumer behavior - sempre più ricco di contributi interdisciplinari - si sta quindi sviluppando un nuovo insieme di modelli specificamente riferibili al comportamento d'acquisto dei clienti, volti cioè a descrivere e interpretare il customer buying behavior. La consapevolezza che la "Teoria del Consumatore" e i modelli sul comportamento della domanda non avessero adeguatamente approfondito i fenomeni conseguenti alla decisione d'acquisto è stata segnalata da diversi studiosi (Day e Wensley, 1983; Gronroos, 1994a e 1994b). Tutta la manualistica sul comportamento d'acquisto3 riserva una marginale attenzione al processo valutativo post-acquisto. E solo in tempi relativamente recenti, alcuni autori, da sempre impegnati nello studio del comportamento della domanda, hanno evidenziato che l'estensione delle ricerche all'interazione prodotto-consumatore successiva all'acquisto è da considerarsi fondamentale, per generare nuova conoscenza su per ciascuno dei quali viene riconosciuto all'impresa un valore che oscilla dai 5 ai 10 milioni di lire. 2 Sulla base di alcune stime riportate da Oliver (1999), nel corso degli anni novanta il budget destinato a ricerche sui clienti (customer satisfaction, ecc.) ha superato ampiamente il 30% del totale investito dalle imprese in ricerche di marketing. In sostanza, la rilevanza delle relazioni con i clienti emersa nei contesti ipercompetitivi ha interessato la comunità accademica, che ha sviluppato il nuovo filone delle postconsumption research, ed ha avuto evidenti ricadute negli investimenti in ricerche di marketing delle imprese. 3 Al riguardo, si vedano i classici di Howard (1963), Nicosia (1966), Engel, Kollat e Blackwell (1968), e Howard e Sheth (1969), fino alle più recenti edizioni dei volumi di Assael (1995), e di Peter e Olson (1996), comprendendo anche le numerose riedizioni dei classici. 3 Michele Costabile costrutti di importanza critica quali la customer satisfaction e la customer loyalty (Tse, Nicosia e Wilton, 1990). Nei modelli più consolidati di analisi della domanda, quindi, non vengono approfondite le complesse dinamiche del comportamento d'acquisto del cliente, nel corso del ciclo di vita della sua relazione con l'impresa, ma ci si limita a descrivere il sistema valutativo postacquisto come l'insieme delle percezioni da cui ha origine il flusso di retroazione sul sistema motivante e su quello percettivo, interpretando il processo di feedback esclusivamente sulla base del costrutto "soddisfazione/insoddisfazione" per l'esperienza d'uso del prodotto (Busacca, 1990 e 1994; Costabile, 1996a). Le carenze di modelli teorici condivisi, peraltro già evidenziate da Iacobucci et al. (1992), permangono, nonostante i primi consistenti sforzi di indagine sulle determinanti della customer satisfaction e del comportamento post-acquisto risalgano alla seconda metà degli anni settanta (Hunt, 1977; Oliver, 1977; Olson e Dover, 1979); e nonostante le numerose sperimentazioni e le diverse applicazioni manageriali registrate a partire dai primi anni ottanta e proseguite poi per tutto il decennio successivo4. Alla luce di tali considerazioni, il presente lavoro ha l'obiettivo di proporre un modello che sintetizzi concettualmente alcuni dei principali risultati conseguiti nell'ambito delle ricerche e delle sperimentazioni sul sistema delle valutazioni post-acquisto e sul comportamento dei clienti, facendo in prevalenza riferimento a due filoni di studio: quelli sulla customer satisfaction e quelli sul marketing relazionale. Il primo ha avuto origine proprio dall'esigenza di approfondire la comprensione dei processi valutativi post-acquisto. Gli esperimenti volti a verificare le determinanti e le conseguenze della soddisfazione del consumatore, nonché il legame fra soddisfazione e comportamenti di riacquisto, hanno riguardato diversi ambiti settoriali e variegati contesti di consumo, pervenendo a risultati non sempre convergenti, ma in definitiva interpretabili alla luce della comparazione fra aspettative e percezioni di performance. Le dinamiche che caratterizzano tale processo di comparazione sono 4 Al riguardo si vedano: Oliver, 1980 e 1981; Churchill e Suprenant, 1982; Tse e Wilton, 1988; Valdani e Busacca, 1992; Valdani, Busacca e Costabile, 1994; Costabile 1996a e 1998; Fournier e Mick, 1999. 4 Un modello dinamico di customer loyalty descritte dal cosiddetto "paradigma della conferma/disconferma della aspettative" (Cardozo, 1965; Oliver, 1980; Iacobucciet al., 1992; Costabile, 1996a e 1998; Oliver, 1997; Fournier e Mick, 1999). Analogamente, gli studi sul marketing relazionale, e le ricerche volte a comprendere le dimensioni cognitive, emotive e comportamentali che definiscono il concetto di "relazione", e conseguentemente l'essenza paradigmatica del marketing relazionale, sono stati numerosi e decisamente pervasivi, partendo dagli scambi fra imprese industriali, ed estendendosi poi alle relazioni distributive, ai servizi e ai beni di consumo5. I due filoni di ricerca hanno in realtà concentrato la loro attenzione sul medesimo processo - lo sviluppo delle relazioni di mercato - seppure partendo dai due estremi opposti: lo studio delle percezioni di soddisfazione, interpretabili quali primo stadio di tale processo, e quello delle relazioni collaborative di lungo periodo, ritenute il traguardo verso il quale tutte le relazioni di mercato dell'impresa dovrebbero idealmente tendere. Gli studi sulla customer satisfaction, infatti, sono stati sviluppati nell'ambito della ricerca sul consumatore, con l'obiettivo di indagare le conseguenze, cognitive, emotive e comportamentali della scelta d'acquisto. Tali studi hanno esaminato le determinanti della percezione di soddisfazione e le sue conseguenze, talvolta validando, altre volte falsificando - ma solo in parte - il paradigma della conferma/disconferma delle aspettative. E' ormai ampiamente condiviso, tuttavia, che la customer satisfaction sia il fondamentale antecedente della fiducia e della fedeltà, e pertanto all'origine di tutte le forme di relazione e di valore dell'impresa (Costabile, 1996b e 1998). Gli studi sul marketing relazionale, invece, si sono concentrati sull'evidenza del contenuto prevalentemente sociale di alcune relazioni di mercato, ritenendo inadeguato il paradigma del marketing mix quale modello interpretativo degli scambi ripetuti nel tempo, e tentando di identificare i costrutti cognitivi e comportamentali ad essi sottostanti, al fine di isolarne le 5 Sul tema si vedano: Hakanson e Osteberg, 1975; Anderson e Narus, 1984; Swan, Trawick e Silva, 1985; Ford, 1990; Andaleeb, 1992; Moorman, Zaltman e Dehpandè, 1992; Ferrero, 1992; Marcati, 1992; Morgan e Hunt, 1994; Gronroos, 1994b; Castaldo, 1994; Gurviez, 1996; Manaresi, 1999; Grayson e Ambler, 1999. 5 Michele Costabile fondamentali determinanti (Hakansson, Johanson e Wootz, 1976; Dwyer, Schurr e Oh, 1987; Morgan e Hunt, 1994; Ganesan, 1994). Analizzando le conseguenze della customer satisfaction, successive ai processi di scambio, e gli antecedenti della solidità delle relazioni longeve e collaborative, entrambi i filoni di studio hanno sviluppato ricerche originali proprio sul comportamento d'acquisto dei clienti. E in particolare, sul legame fra soddisfazione, fiducia e fedeltà, nell'ambito delle ricerche sulla customer satisfaction; sulla fiducia, sulla fedeltà e sulla natura delle relazioni collaborative fra acquirente e venditore, nell'ambito del marketing relazionale. Alla luce dell'attenzione che il mondo accademico e quello manageriale stanno dedicando al tema delle relazioni con i clienti, il presente paper intende proporre un modello di analisi delle relazioni di mercato che descrive il processo di sviluppo della customer loyalty, considerandola il punto di arrivo di un continuum di percezioni, atteggiamenti, convinzioni e comportamenti che caratterizza il ciclo di vita delle relazioni fra il cliente e l'impresa. Esaminando congiuntamente l'imponente mole di studi empirici e di sperimentazioni che i filoni di studio sopra citati hanno prodotto, in diversi ambiti settoriali e in differenti contesti di mercato, è possibile, infatti, identificare un continuum relazionale (figura 1), vale a dire un insieme di condizioni intermedie che possono caratterizzare il rapporto fra l'impresa e il cliente nel tempo: dalla customer satisfaction alla customer loyalty. I principali costrutti emersi dallo studio delle conseguenze della soddisfazione del cliente e degli antecedenti delle relazioni collaborative di lungo periodo sono: la soddisfazione; la fiducia; la fedeltà comportamentale (la ripetizione d'acquisto); la fedeltà mentale; la customer loyalty e la partnership collaborativa; anche se la maggior parte degli studi sul continuum relazionale hanno riguardato soddisfazione, fiducia6 e cooperazione. 6 In realtà, le ricerche sulla fiducia e sulle relazioni sono state oggetto di numerosi altri filoni di studio, multidisciplinari. Fra gli altri: quello sulla teoria dei giochi e sulla cooperazione (Axelrod, 1984; Gambetta, 1988); quelli sulla psicologia della personalità e sulla psicologia sociale (Lewin, 1936; Thibaut e Kelley, 1959; Tuckman, 1965; Rotter, 1967; Cialdini, 1984); quello sociologico sulla teoria dei network sociali (Levine e White, 1961; Rotter, 1971; Boissevain e Mitchell, 1973; Granovetter, 1985; Bourdieu, 1986; Burt, 1992); quelli sulle relazioni organizzative - inter e intra (Thorelli, 1986; 6 Un modello dinamico di customer loyalty Figura 1 - Il continuum relazionale SODDISFAZIONE FIDUCIA FEDELTÀ COMPORTAMENTALE FEDELTÀ MENTALE LEALTÀ Nel seguito del paper verranno esplicitati i passaggi logici e le evidenze empiriche sottostanti alla formulazione del modello sul "comportamento d'acquisto del cliente". Si tratta di un modello dinamico, fondato sulla natura evolutiva della customer loyalty e, più in generale, sull'esame delle differenti forme di "legame" che l'impresa può sviluppare con i propri clienti, nel corso del ciclo di vita della relazione. Il paper è articolato in quattro parti, corrispondenti ad altrettanti paragrafi. Il primo contiene una rassegna dei principali contributi allo studio dei costrutti, delle determinanti, delle conseguenze e delle variabili intervenienti nella definizione del comportamento d'acquisto dei clienti. Il secondo descrive il modello di sviluppo della customer loyalty, facendo riferimento ad alcune ipotesi sul ciclo di vita della relazione, sulla sequenza dei comportamenti d'acquisto dei clienti (customer buying behavior), e sui costrutti che consentono il consolidamento delle relazioni. Il terzo paragrafo Ford, 1990; Grandinetti, 1993; Zaheer e Venkatraman, 1995; Cummings e Bromiley, 1996; Lomi, 1997; Soda, 1998; Zaheer, McEvily e Perrone, 1998; Nahapiet e Goshal, 1998; Perrone e Chiacchierini, 1999) -; quello sui rapporti industria-distribuzione (Anderson e Narus, 1990; Andaleeb, 1992; Castaldo, 1994); e altri ancora. Per un'esaustiva rassegna sui diversi contributi allo studio della fiducia si veda Castaldo, 1995; per una rassegna della letteratura di marketing specificamente riferita alla operazionalizzazione del costrutto fiducia e alla sua misurazione si veda Raimondo, 1999. 7 Michele Costabile affronta il problema delle variabili che intervengono nel processo di sviluppo della customer loyalty, evidenziando le condizioni che limitano la generalizzazione del modello precedentemente descritto, producendo inversioni nei percorsi evolutivi delle relazioni, non invalidandone tuttavia la validità. Il quarto paragrafo, infine, tenta di evidenziare alcune fondamentali categorie di implicazioni manageriali, nella prospettiva della gestione di un portafoglio di relazioni, finalizzato a sviluppare gradi di consolidamento coerenti con il differente valore dei clienti, e quindi con il loro profilo e con il loro posizionamento sul continuum relazionale. Il lavoro ha natura duplice: rassegna e sistematizzazione di alcuni importanti studi sul comportamento del cliente, ma anche positional paper. La rassegna della letteratura, infatti, è finalizzata a proporre un modello dinamico di customer loyalty, da utilizzare quale base per la formulazione di proposizioni di ricerca, da formalizzare e tradurre in ipotesi empiricamente verificabili. Da tali proposizioni, ancora in massima parte implicite nel paper, infatti, si potrà muovere per realizzare indagini e sperimentazioni, volte a operazionalizzare i costrutti identificati, misurare i fenomeni descritti e quindi validare, ovvero falsificare, il modello di comportamento d'acquisto del cliente che viene descritto. 2. Gli studi sul processo d'acquisto e sul comportamento dei clienti: il customer buying behavior Come accennato nell'introduzione, l'approfondimento analitico del processo di sviluppo delle relazioni con i clienti, e quindi l'esame del comportamento adottato successivamente al primo acquisto, riceve sia l'attenzione degli studiosi di consumer behavior, che hanno approfondito l'esame dei processi di customer satisfaction, sia quella dei ricercatori che si riconoscono nel filone del marketing relazionale.7 7 E' opportuno evidenziare che gli studi sul marketing relazionale hanno adottato quale unità di indagine la "relazione" latu sensu definita. La gran parte dei lavori, concettuali ed empirici, prodotti da questo filone di studi, infatti, ha preso in esame le reti di relazioni fra imprese e la loro influenza sugli scambi di mercato, a partire dai beni industriali, ampliando progressivamente lo spettro di analisi a tutti i mercati business to business (Ferrero, 1992; Marcati, 1992; Grandinetti, 1993). La prospettiva di analisi, 8 Un modello dinamico di customer loyalty L'attenzione dei primi è stata originariamente motivata dalla consapevolezza del carente approfondimento analitico dei fenomeni che caratterizzano il comportamento della domanda una volta esercitata la preferenza verso la marca o l'insegna (Ford, 1980; Day e Wensley, 1983; Dwyer, Schurr e Oh, 1987; Gronroos, 1994a e 1994b; Webster 1994a e 1994b). L'interesse dei secondi, invece, ha avuto origine dall'evidenza del contenuto "sociale" di alcuni processi di scambio, principalmente quelli ripetuti nel tempo (Hakanson e Wootz, 1979; Gummeson, 1987), non interpretabili con le tradizionali categorie proposte dal paradigma del marketing mix (Andaleeb, 1992; Ganesan , 1994; Gronorros, 1994b).8 In entrambi i casi l'oggetto di studio è riconducibile al comportamento caratterizzante il processo di scelta del cliente che, ripetendo l'acquisto da una medesima impresa nel tempo, configura una relazione diadica, fra il medesimo cliente e l'impresa. Gli studi sulla customer satisfaction hanno esaminato i primi passi della relazione, quelli sul marketing relazionale sono partiti, invece, dall'esito ultimo delle relazioni consolidate, per le quali il contenuto economico dello scambio appariva secondario - talvolta addirittura ancillare - rispetto a quello sociale (Granovetter, 1985; Dwyer, Schurr e Oh, 1987; Andaleeb, 1992; Morgan e Hunt, 1994; Ganesan, 1994). E' opportuno, pertanto, a fini di rassegna, esaminare separatamente i principali contributi che i due filoni di studio hanno fornito alla comprensione del processo d'acquisto dei clienti e del ciclo di vita delle relazioni, tentando di isolare i costrutti e le variabili che consentono di identificare un modello di comportamento del cliente. pertanto, è stata talvolta quella della diade "acquirente-venditore" (unità elementare d'indagine) talvolta quella del network di relazioni attivate da acquirenti e venditori; altre volte, infine, è stata presa in esame la dinamica della relazione che alterna scambi all'interno di una diade con valutazioni e comparazioni, ed eventuali processi di scambio, che coinvolgono un più o meno ampio network di relazioni (Iacobucci e Zerrillo, 1997; Tunisini, 1999). 8 Alcuni autori (Troilo, 1993; Castaldo, 1995; Iacobucci e Zerrillo, 1997) fanno risalire ai contributi di Kotler e Levy (1969) e a quelli di Bagozzi (1974 e 1975) le prime riflessioni concernenti la revisione del concetto di scambio basato sulle sole dimensioni economiche della transazione. E' alla fine degli anni sessanta, quindi, che avrebbe avuto inizio l'ampliamento della portata esplicativa dei paradigmi di marketing nella direzione della concettualizzazione dello scambio e della relazione - non solo economica - di mercato. 9 Michele Costabile Il contributo delle ricerche sulla customer satisfaction Le ricerche in esame trovano il loro fondamento teorico negli studi sulla psicologia della personalità condotti da Hoppe (1930) e da Lewin (1936) nella prima metà del XX secolo. Indagando il costrutto "autostima/autofiducia" e le sue determinanti, tali studiosi hanno di fatto posto le basi concettuali e metodologiche per lo sviluppo del cosiddetto paradigma della "conferma/disconferma delle aspettative".9 Ciò che rileva in questo "ritorno alle origini" non è tanto l'evidenza della natura relativa e sottrattiva del costrutto percettivo soddisfazione (performance-aspettative = soddisfazione) quanto la sua stretta connessione al fenomeno dell'autostima. E' mediante la traslazione del contesto di sperimentazione, dalla psciologia della personalità alle relazioni interpersonali, e quindi alla psicologia sociale, che si coglie l'essenza della connessione causale fra la soddisfazione e la fiducia, verso gli individui o verso le organizzazioni (Bitner, 1995; Costabile, 1996a).10 9 La relazione fra fiducia e auto-fiducia - o autostima, come viene correntemente denominata negli studi di psicologia sociale - al di là delle differenze di prospettiva (atteggiamento verso sé stessi piuttosto che verso altri), non sembra essere riconducibile alla sola comunanza del costrutto "fiducia". E' intuibile, infatti, che ripetute esperienze di conferma delle aspettative (fiducia) accrescano di fatto la certezza che gli individui acquisiscono riguardo alla propria capacità di valutazione e scelta delle alternative d'offerta, e quindi la percezione di autoefficacia, intesa quale fiducia nella propria capacità di assumere decisioni che poi producano gli esiti desiderati (Bandura, 1982 e 1986). Tale relazione, studiata sia nell'ambito della psicologia della personalità che della psicologia sociale, potrebbe spiegare alcuni processi di autogratificazione generati dalla customer satisfaction. In sostanza, la conferma delle aspettative e la conseguente fiducia nei confronti di un'impresa potrebbe per alcuni clienti costituire un valore in sé, proprio in quanto mezzo per accrescere il senso di autoefficacia, e per questa via la propria autostima. 10 E' opportuno al riguardo rilevare che sovente la fiducia è stata definita quale "convinzione" o belief (credenza). In effetti, però, rispettando la definizione unidimensionale del costrutto fiducia - che ancora oggi appare essere l'unica ad aver superato tutti i numerosi tentativi di falsificazione, condotti mediante proposizione, operazionalizzazione e verifica di definizioni alternative (Castaldo, 1995; Blois, 1999; Raimondo, 1999) - più che di convinzione sembrerebbe trattarsi di un atteggiamento, definito quale predisposizione appresa - e quindi risultato dell'esperienza - a rispondere in una dato modo verso un determinato oggetto (Fishbein e Ajzen, 1975). La fiducia, infatti, sarebbe un pregiudizio, generato da una sequenza di conferme o disconferme delle attese di comportamento (di performance) che in forma di estrema razionalità si 10 Un modello dinamico di customer loyalty Negli studi di marketing, le prime concettualizzazioni sul tema (Cardozo, 1965; Hunt, 1977; Oliver, 1977 e 1980; Olson e Dover, 1979) sono avvenute senza riferimenti espliciti alle sperimentazioni della Scuola di Lewin, e quindi concentrando le ricerche sulle determinanti della soddisfazione. Alla prima ondata di studi pionieristici, è seguito un variegato filone di sperimentazioni, che hanno tentato di falsificare il paradigma della conferma/disconferma (di fatto basato sulla "teoria della discrepanza" elaborata dalla psicologia sociale), producendo interessanti evidenze in ordine alle variabili intervenienti sulla capacità esplicativa del paradigma, soprattutto in alcune condizioni di svolgimento del processo di scambio (Yi, 1990; Costabile 1996a 1998; Oliver, 1997; Fournier e Mick, 1999).11 In realtà, sia le rassegne più ampie e approfondite sia i contributi più recenti non sembrano proporre valide costruzioni concettuali alternative al paradigma della conferma/disconferma. Nel contempo, numerose sperimentazioni hanno rilevato che la principale determinante della fiducia è proprio la soddisfazione cumulata nel tempo, in seguito a transazioni di mercato il cui esito conferma le aspettative di performance maturate dal cliente.12 Parallelamente alle suddette sperimentazioni, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta sono stati sviluppati alcuni concretizza in una probabilità assegnata al verificarsi di un dato comportamento (una performance) di una definita controparte (un'impresa). La convinzione, invece, implicherebbe certezza, non sempre fondata su valutazioni del tutto razionali (fede ovvero "confidenza"). Al riguardo sono di estremo interesse le distinzioni fra fede, fiducia e "confidare", proposte da Hart (1989) e Luhman (1989), e succesivamente riprese da Castaldo (1995) in un'ampia rassegna di studi sulla fiducia nelle relazioni di mercato. Una distinzione alternativa fra atteggiamento e convinzione è suggerita da Oliver (1997), secondo il quale la convinzione esprime una condizione informativa propria della sfera cognitiva - e quindi ad esempio la probabilità, razionalmente assegnata, di ottenere una data performance -, mentre l'atteggiamento è riconducibile sia alla sfera cognitiva che a quella emotiva - ad esempio il pregiudizio quale determinante ultima dei comportamenti di scelta. 11 Un esplicito collegamento alla teoria della discrepanza e alle ricerche della Scuola di Lewin avrebbe, probabilmente, consentito di assumere sin dall'inizio una prospettiva "relazionale", ricomprendendo nelle ricerche sulla customer satisfaction il tema della fiducia nelle relazioni di mercato, e quindi ponendo in evidenza il processo evolutivo delle interazioni fra cliente e impresa. 12 Al riguardo si vedano: Oliver, 1980 e 1981; Churchill e Suprenant, 1982; Tse e Wilson, 1988; Iacobucci, Grayson e Omsotrn, 1992; Oliver, 1997; Costabile 1996a e 1998; Fournier e Mick, 1999. 11 Michele Costabile importanti modelli manageriali (Parasuraman, Zeithaml e Berry, 1988; Valdani e Busacca, 1992) che hanno ulteriormente legittimato il risultato delle ricerche sulla customer satisfaction, sostenendo concettualmente e pragmaticamente l'orientamento delle imprese al consolidamento delle relazioni con i propri clienti. Le evoluzioni più recenti degli studi sulla customer satisfaction, infine, hanno indagato le componenti emotive (Westbrook, 1987; Oliver, 1997; Fournier e Mick, 1999) della soddisfazione e l'evoluzione del costrutto nel tempo, tentando di comprendere le molteplici variabili che intervengono fra la percezione di soddisfazione e la scelta di riacquisto di una marca o di un insieme di marche (Oliver, 1999). In estrema sintesi, dunque, è possibile sostenere che circa tre decenni di ricerche sulla customer satisfaction hanno dimostrato la connessione causale fra soddisfazione e fiducia, nonché la loro influenza sulle decisioni di riacquisto e quindi sulla fedeltà; anche se il nesso "soddisfazione-fiducia-fedeltà" non sempre è risultato verificabile a ragione di molteplici variabili di intervento sulle condizioni strutturali del processo di scambio e delle relazioni (Jones e Sasser Jr., 1995; Oliver, 1999), per cui ad apparenti elevati livelli di soddisfazione può non seguire un comportamento caratterizzato da elevata fedeltà. Il contributo degli studi di marketing relazionale Le determinanti delle relazioni collaborative di lungo periodo sono state oggetto di studio elettivo del marketing relazionale, seppure anche in questo caso sia possibile individuare matrici teoriche multidisciplinari. Sia in fase di identificazione dei costrutti sia nella definizione delle metodologie di operazionalizzazione e di misurazione, infatti, lo studio delle relazioni di mercato è stato influenzato dai modelli sulle relazioni interpersonali e sulle dinamiche di gruppo (Thibaut e Kelley, 1959), dagli studi di sociologia economica (Granovetter, 1985) e da quelli sui network sociali (Boissevain e Mitchell, 1973; Burt e Minor, 1982; Burt, 1992). A partire dalle evidenze empiriche riscontrate nei mercati business to business, alcuni autori nordeuropei, sin dai primi anni 12 Un modello dinamico di customer loyalty settanta, hanno iniziato a indagare i caratteri dei processi di scambio ripetuti nel tempo e fondati su relazioni sociali, diadiche e di network, che favoriscono comportamenti cooperativi e di vera e propria partnership fra venditori e acquirenti.13 Le relazioni stabili e collaborative fra venditore e acquirente, latu sensu definite, sono state successivamente oggetto di studio anche in altri contesti di scambio, e specificamente: nei canali distributivi (Stern e Reve, 1980; Schurr e Ozanne, 1985; Anderson e Weitz, 1989; Anderson e Narus, 1990; Andaleeb, 1992; Castaldo, 1994); nei mercati di consumo (Gurviez, 1995; Fletcher e Peters, 1997; Manaresi, 1999); nei servizi (Crosby, Evans e Cowles, 1990; Moorman, Zaltman e Deshpandé, 1992; Moorman, Deshpandé e Zaltman, 1993; Grayson e Ambler, 1999). I principali studi di marketing relazionale, hanno evidenziato il ruolo centrale della fiducia, a partire da un fondamentale contributo di Dwyer, Shurr e Oh (1987) che la identificava quale fattore cruciale per il passaggio da transazioni di mercato discrete a relazioni di scambio continue. Essa è stata, quindi, considerata una delle fondamentali determinanti delle relazioni stabili e collaborative. La centralità della fiducia nelle relazioni di mercato è testimoniata dalle numerose ricerche volte a definirne le dimensioni e operazionalizzarne il costrutto, identificandone antecedenti e conseguenze (Castaldo, 1995; Blois, 1999). Della fiducia quale collante delle relazioni di mercato sono state proposte diverse concettualizzazioni, unidimensionali e multidimensionali, rispetto alle quali tuttavia si registrano posizioni 13 Come precedentemente accennato, negli studi di marketing relazionale la relazione di scambio diadica è stata considerata l'unità d'indagine elementare, considerando che l'oggetto dello scambio evolve nel corso di sviluppo della relazione e che questa è a sua volta influenzata dalla rete di relazioni, attuali e potenziali, degli attori della diade. Sempre nell'ambito di tali studi ci si è dedicati all'analisi delle reti di fornitura, soprattutto fra imprese industriali (Ferrero, 1992; Marcati, 1992; Tunisini, 1999). 13 Michele Costabile controverse.14 L'unico elemento sul quale non sembrano esservi dubbi è relativo alla dimensione cognitiva della fiducia definita dalla prevedibilità dei comportamenti della controparte, vale a dire dalla percezione di affidabilità fondata sull'esperienza, e più specificamente su una sequenza di transazioni/interazioni caratterizzate dalla conferma della aspettative di performance e di soddisfazione (Costabile, 1996a; Oliver, 1997). Oltre alla fiducia, gli studi sul marketing relazionale hanno messo in evidenza altri costrutti, che caratterizzano le relazioni più stabili e longeve. Fra gli altri, sono stati oggetto di specifiche ricerche e sperimentazioni: il commitment, la stabilità, l'interazione, il potere, l'influenza, la dipendenza, la reciprocità e la cooperazione. Quelli che sembrano avere maggiore rilievo, ai fini dell'analisi del customer buying behavior, sono: il commitment, la reciprocità e la cooperazione. 14 Gli autori che hanno considerato la fiducia un costrutto multidimensionale sono numerosi. Fra gli altri, Moorman et al. (1992) ne hanno individuato due dimensioni, una cognitiva (convinzione di affidabilità) e una comportamentale (intenzione/atto di fidarsi che conduce a rendersi vulnerabile), anche se Morgan e Hunt (1994) hanno successivamente considerato la seconda dimensione implicita nella prima, proponendo di utilizzarla più efficacemente come indicatore della fiducia. Anche Andaleeb (1992) ha proposto il ricorso a due costrutti, utilizzati però per identificare diversi tipi di fiducia, strettamente collegati fra loro, e non esplicitamente operazionalizzati come sue dimensioni: la fiducia viene definita in funzione della capacità e delle motivazioni percepite nella controparte. Sulla medesima impostazione concettuale, Busacca e Castaldo (1996) hanno, invece, proposto una definizione tridimensionale del costrutto, considerando sia la convinzione di affidabilità sia le percezioni in merito alle capacità che quelle riguardanti le motivazioni non opportunistiche della controparte. E' opportuno al riguardo osservare che, nella prospettiva del comportamento d'acquisto del cliente, il costrutto soddisfazione, da cui ha origine la dimensione della fiducia su cui si registra la convergenza di tutti gli studiosi (l'affidabilità), deriva dal confronto fra le aspettative di valore e il valore percepito. La formazione delle prime è certamente influenzata dalla percezione di capacità dell'impresa - con ogni probabilità comparata con le alternative d'offerta disponibili già in fase di formazione delle aspettative precedenti l'acquisto - mentre la percezione di valore implica un nuovo giudizio (questa volta post-acquisto) sulla capacità, ma implica anche una valutazione dell'equità delle ragioni di scambio, e quindi dalla motivazione (opportunistica o meno) dell'impresa. In sintesi, è possibile ipotizzare che la dimensione di affidabilità della fiducia, derivante dalla soddisfazione cumulata nel tempo, racchiuda in sé tutte le altre dimensioni proposte in letteratura, e che esse siano da considerarsi ora quali determinanti (capacità e motivazioni) ora quali conseguenze (l'intenzione o l'azione di fidarsi) della fiducia stessa. 14 Un modello dinamico di customer loyalty Con riferimento al commitment, definito come il "desiderio duraturo di mantenere una relazione importante", e considerato un antecedente della fedeltà, Morgan e Hunt (1994) hanno individuato quali determinanti: la fiducia; il grado di condivisione dei valori fra impresa e cliente; il livello di condivisione delle finalità della relazione - altrimenti definibile goal congruence -; il valore dei benefici derivanti dalla relazione, nonché al livello dei costi che la sua interruzione potrebbe determinare. Dagli studi di Morgan e Hunt e da quelli di altri autori, poi, emerge con chiarezza la centralità della cooperazione, influenzata dalla fiducia e dal commitment, ma anche dalla percezione di reciprocità relativa a tali elementi e dall'equilibrio di potere e dipendenza (Berry e Parasuraman, 1991; Stern e El Ansary, 1992; Bucklin e Sengupta, 1993; Castaldo, 1994 e 1995; Tunisini, 1999). La cooperazione, da considerarsi un elemento di estrema rilevanza, al pari della fiducia, è stata studiata prevalente nell'ambito delle relazioni di partnership e delle alleanze fra imprese, evidenziando anche in questo caso che gli atteggiamenti cooperativi derivano da elevati livelli di soddisfazione sperimentati nel corso delle transazioni (Anderson e Narus, 1984 e 1990). In generale, poi, è stato evidenziato che l'atteggiamento cooperativo si dimostra anche nell'adozione di comportamenti non opportunistici, ossia volti a non massimizzare il self-interest nel breve periodo, sulla base di una reciprocità di comportamento attesa in futuro dalla controparte (Anderson e Weitz, 1989; Morh e Speckman, 1994; Ganesan, 1994; Kumar, 1996). In tal senso, diversi autori hanno dimostrato che reciprocità e forme evolutive di partnership dipendono in larga misura dalla percezione di non opportunismo e dalla più generale condivisione di valori; o quantomeno da percezioni di goal congruence (Lanza, 1998 e 1999). Gruen (1995), in particolare, ha collegato il concetto di commitment relazionale e quello di soddisfazione, derivante dall'equità percepita nel processo di scambio, al comportamento opportunistico, ipotizzando che elevata percezione di equità e consolidato commitment nella relazione riducano significativamente il rischio di comportamenti opportunistici. Sempre nell'ambito degli studi di marketing relazionale, infine, sono stati proposti i primi modelli di ciclo di vita della relazione. 15 Michele Costabile Diversi autori, infatti, hanno sostenuto che mentre le evidenze empiriche sui costrutti relazionali e sulle loro determinanti e conseguenze si fondano sullo stato della relazione in un dato momento nel tempo, è possibile ipotizzare, in una prospettiva dinamica, che vi siano veri e propri percorsi di sviluppo della relazione. Fra i diversi modelli proposti a sostegno di tale tesi, uno dei più noti è quello di Ford (1980 e 1998), che identifica cinque stadi (successivamente ridotti a quattro) di sviluppo della relazione: i) la pre-relazione, caratterizzata dalla raccolta di informazioni e dalle valutazioni sui contenuti che la relazione potrà sviluppare; ii) l'esplorazione, nel corso della quale la relazione richiede investimenti tangibili e intangibili nella sperimentazione dei processi di scambio; iii) lo sviluppo, caratterizzato da elevata reciprocità sia nei processi di apprendimento sia negli investimenti, e quindi nel commitment; iv) la stabilità e v) l'istituzionalizzazione, ultimo stadio, durante il quale vengono adottate routine di gestione delle interazioni che minimizzino le incertezze, e sanzioni volte a disincentivare l'interruzione della relazione. Analogamente a quanto proposto da Ford (1980), Dweyr, Schurr e Oh (1987) ipotizzano un modello di ciclo di vita della relazione articolato in cinque fasi: consapevolezza; esplorazione; espansione; commitment e dissoluzione. La principale differenza, rispetto a quanto proposto da Ford è rinvenibile nella dissoluzione della relazione, che secondo gli autori è sovente caratterizzata da decisioni unilaterali, a differenza delle altre fasi che prevedono una reciprocità di atteggiamenti e comportamenti tendenzialmente sincronica.15 Una sintetica quanto interessante rassegna degli autori che hanno proposto modelli sul ciclo di vita delle relazioni è contenuta in Iacobucci e Zerrillo (1997), i quali, a loro volta, propongono alcune interessanti evidenze sperimentali sui comportamenti caratterizzanti il processo evolutivo della relazione e, in particolare, sul ruolo delle reti di relazioni che gli attori di una data diade sono in grado di attivare. Fra i diversi contributi esaminati, i due autori sottolineano 15 Modelli ed evidenze sul ciclo di vita della relazione sono state proposte anche da Gronroos (1990), Deighton e Grayson (1995), Fontenot e Wilson (1997), e Iacobucci e Zerrillo (1997). 16 Un modello dinamico di customer loyalty l'originalità del modello proposto da uno psicologo sociale (Tuckman, 1965) che, studiando la dinamica delle relazioni interpersonali, si è soffermato sulle condizioni di passaggio da una fase all'altra del ciclo, evidenziando il ruolo determinante dei "conflitti allo stato iniziale". In sostanza, nella concettualizzazione proposta da Tuckman, validata dalle sperimentazioni di Iacobucci e Zerrillo, emerge un percorso evolutivo delle relazioni diadiche definito da alcune fasi di verifica, che si configurerebbero quali potenziali conflitti - o addirittura conflitti allo stato nascente - e dalla cui positiva risoluzione scaturirebbero relazioni rinforzate, e quindi passaggi alle fasi evolutive successive. Anche grazie all'applicazione estensiva di suggestive teorie di psicologia sociale e di strumenti analitici e concettuali di matrice sociologica, gli studi di marketing relazionale costituiscono senza dubbio uno dei filoni di studio maggiormente prolifici nell'ambito delle discipline manageriali. Numerosi sono i modelli teorici e le evidenze empiriche sviluppati, nell'ultimo ventennio, sulla natura, le determinanti e le conseguenze delle relazioni di mercato. Ai fini del presente lavoro, tuttavia, i contributi di maggiore interesse sono quelli legati agli studi sulla fiducia e alle ricerche sui fenomeni di cooperazione fra imprese e fra imprese e consumatori, nella prospettiva del ciclo di vita della relazione. * * * Un importante costrutto relazionale, considerato sia negli studi sulla customer satisfaction sia in quelli sul marketing relazionale così come precedentemente accennato - riguarda, infine, la percezione di "equità". In particolare, alcuni studi di psicologia sociale (Homans, 1961; Austin, McGinn e Susmilch, 1980) hanno dimostrato che il concetto di equità è riconducibile alla proporzionalità, percepita dal cliente, fra gli output (i benefici) e gli input (i costi-sacrifici) di uno scambio e gli output e gli input che dal medesimo scambio oppure da uno scambio assimilabile (ad esempio ottenuti da un terzo cliente nello scambio con la medesima impresa) - vengono generati per una terza parte. 17 Michele Costabile L'applicazione di tale definizione di equità alle ricerche sulla customer satisfaction (Swan e Mercer, 1981; Oliver e Swan 1989a e 1989b) ha successivamente dimostrato che tale percezione può influenzare negativamente - o positivamente in caso di proporzione fra output e input favorevole al cliente - il livello di soddisfazione. Al riguardo è stato ipotizzato che la bassa equità percepita - o in termini strettamente diadici o in termini di discriminazione delle condizioni di vendita rispetto ad altri clienti - finisca per generare nel cliente una percezione di opportunismo della controparte (l'impresa) che deprime il livello di soddisfazione. L'influenza negativa sulla soddisfazione, che in genere si verifica successivamente alla percezione di non congruità delle ragioni di scambio, può produrre un incremento del livello delle aspettative (che nel caso di transazione e consumo già avvenuti saranno "aspettative richiamate" - retrieved expextations) ovvero ridurre la performance percepita. In entrambi i casi, l'origine sarebbe da ricondursi all'iniquità percepita nelle ragioni di scambio (Costabile 1996a). In tal senso, quindi, la percezione di non equità di uno scambio agirebbe come una particolare forma di dissonanza cognitiva (Huppertz et al. 1978), modificando il grado di soddisfazione in via diretta, oppure agendo sulla percezione delle sue determinanti (Costabile 1996a).16 E' opportuno, inoltre, evidenziare come a parità di altre condizioni, la non equità percepita nelle condizioni di scambio sia maggiore per i clienti "longevi" rispetto a quelli occasionali (Huppertz et al. 1978). Negli studi di marketing relazionale, invece, l'equità delle ragioni di scambio è stata considerata - come anticipato - un costrutto centrale per la comprensione delle relazioni cooperative orientate alla stabilità nel lungo periodo, considerando che eventuali scambi non equi fra i partner di una relazione vengono governati dai princìpi di reciprocità, garantita dalla soddisfazione cumulata nelle precedenti esperienze, e quindi dalla fiducia, dalle 16 E' interessante osservare che anche qualora la percezione di non equità dipendesse dal comportamento opportunistico di un cliente terzo, sarà comunque la soddisfazione nei confronti dell'impresa a subire una diminutio. L'impresa, infatti, viene in questi casi percepita come incapace o indolente, ritenendo che la conseguenza di tale comportamento nel medio lungo periodo non possa che incidere sulla capacità di offrire una performance equa, anche se in linea con le aspettative. 18 Un modello dinamico di customer loyalty interazioni cooperative e dall'eventuale convergenza di finalità precedentemente sperimentata. In tal senso, una contenuta equità delle ragioni di scambio non provoca insoddisfazione, se sostenuta dalla percezione di reciprocità, per cui i sacrifici di breve sono compensati da recuperi di equità nel medio lungo periodo (equità seriale) (Ganesan 1994; Castaldo, 1995). In sostanza si rinuncia ad esercitare opzioni di massimizzazione del self-interest nel breve periodo, e si ritiene comunque soddisfacente uno scambio percepito come non equo, qualora vi sia la convinzione che i futuri scambi riequilibreranno il "saldo" complessivo della relazione. Gli altri contributi allo studio del customer buying behavior Numerosi altri contributi allo studio del comportamento e del processo d'acquisto del cliente sono rinvenibili sia in altri campi del marketing sia in altre discipline nell'ambito delle scienze sociali.17 Con riferimento alla letteratura di marketing, in particolare, sono da considerarsi imprescindibili gli studi sulla brand loyalty e quelli sulla customer loyalty. I lavori seminali di Jacoby (1971), Newman e Werbel (1973) e di Jacoby e Kiner (1973), ripresi poi nel noto contributo di Jacoby e Chestnut (1978), hanno evidenziato la fondamentale distinzione tra fedeltà comportamentale e fedeltà mentale, chiarendo che il comportamento di riacquisto non costituisce una sufficiente evidenza di brand loyalty.18 Tali autori concordano nel ritenere la fedeltà (genericamente definita loyalty) un comportamento di riacquisto (fedeltà comportamentale) non casuale di una marca o di un gruppo di marche, in seguito a un determinato processo valutativo (fedeltà 17 I recenti lavori di Oliver (1997 e 1999), Busacca, Grandinetti e Troilo (1999) e Fournier e Mick (1999) contengono significativi esempi del contributo che le molteplici discipline di studio riconducibili alle scienze sociali offrono allo studio del comportamento d'acquisto del cliente e alle metodologie di postconsumption research. 18 I primi autori che hanno evidenziato la necessità di distinguere differenti forme di fedeltà - seppure in contesti di studio diversi e con differenti finalità - sono stati Hirschman (1970) e Day (1970). Quest'ultimo, in particolare, ha per primo concettualizzato l'evidenza di forme di fedeltà "spurie", vale a dire solo apparentemente tali, in quanto non determinate da una relazione chiara, diretta e controllabile fra il soggetto e l'oggetto della fedeltà (la marca o l'impresa). In Italia, su posizioni analoghe, è rinvenibile il pionieristico contributo di Marzili (1968). 19 Michele Costabile mentale). Essi identificano diverse forme di fedeltà, definendo i comportamenti di riacquisto non sostenuti da una corrispondente fedeltà mentale fenomeni di "acquisto inerziale".19 Sulla base di questi primi lavori, gli studi sulla fedeltà si sono concentrati su due principali fenomeni: da un lato quello sottostante all'evidenza di comportamenti di fedeltà a più di una marca, caratterizzati da livelli variabili di sostituibilità/complementarità (Wind, 1977; Jacoby e Chestnut, 1978; Vicari, 1978; Wernerfelt, 1991; Keaveney, 1995), e quindi sulle determinanti dei comportamenti di infedeltà (switching behavior)20; dall'altro quello sottostante all'intensità della cosiddetta "fedeltà mentale", e quindi sulle percezioni, sugli atteggiamenti e sulle convinzioni che possono determinare le diverse forme di fedeltà. Con riferimento alla seconda area di studio è da evidenziare, fra gli altri, il contributo di Dick e Basu (1994), che hanno proposto di misurare la dimensione cognitiva della fedeltà in termini di atteggiamento relativo, ossia di valutazione che il cliente esprime con riferimento alla superiorità/inferiorità della marca acquistata con maggiore frequenza (marca focale) rispetto alle alternative d'offerta considerate. Dalla matrice riportata nella figura 2 emergono quattro diverse forme di fedeltà. Agli estremi - valutazione relativa positiva e ripetizione d'acquisto elevata, ovvero negativa e bassa (quadranti 2 e 4 della matrice) - si trovano le forme di "vera fedeltà" (nel linguaggio di Jacoby e Chestnut, 1978) e di "infedeltà". Nei quadranti 1 e 3, invece, è possibile rilevare: forme di fedeltà latente, intesa quale combinazione di elevata fedeltà mentale cui non corrisponde una altrettanto elevata fedeltà comportamentale nei confronti di una marca "focale"21; oppure forme di fedeltà "spuria" che, coerentemente con l'intuizione di Day (1970) e con la 19 Tale condizione, secondo gli autori, identifica gli acquirenti "happenstance", un termine non comune, con il quale si intende enfatizzare la posizione "a-intenzionale" dell'acquirente, ossia una sorta di mancanza di programmazione dell'acquisto, che pertanto non avverrebbe quale conseguenza di atteggiamenti di preferenza coerenti con il comportamento di scelta (Fishbein e Ajzen 1975). 20 Nella medesima prospettiva devono essere menzionati tutti gli studi condotti per definire misure del costrutto "fedeltà comportamentale" (Busacca e Castaldo, 1996). 21 Le forme di fedeltà latente potrebbero essere spiegate dai noti fenomeni di elevata fedeltà a un gruppo di marche, e dalla conseguente difficoltà di determinare in misura univoca i livelli di penetrazione che definiscono una marca come focale. 20 Un modello dinamico di customer loyalty definizione dell'acquirente "inerziale" di Jacoby e Chestnut (1978), rappresentano forme di fedeltà non sostenute da chiari nessi causali, quali ad esempio quelli riscontrabili fra preferenza verso la marca, soddisfazione derivante dal suo acquisto, fiducia nella marca e nell'impresa e quindi coinvolgimento nella sua scelta e intenzionalità nel riacquisto. Figura 2 - Una tassonomia della fedeltà fondata sulle dimensioni mentale e comportamentale Positivo Fedeltà Sostenibile Fedeltà Latente Atteggiamento relativo verso la marca focale Fedeltà Spuria Infedeltà Negativo Elevata Bassa Ripetizione d’acquisto della marca focale Fonte: Dick e Basu, 1994 Di recente, la classificazione delle diverse forme di fedeltà con riferimento alla duplice dimensione mentale e comportamentale, è stata approfondita da Busacca e Castaldo (1996). I due autori hanno analizzato i processi cognitivi sottostanti alla relazione fra marca (o insegna) e cliente, ricorrendo a una definizione multidimensionale della fiducia, utilizzata quale costrutto esplicativo di differenti configurazioni di fedeltà mentale. In estrema sintesi, il loro modello individua nella fiducia il costrutto in grado di spiegare i diversi stadi di solidità di una relazione (stabile, speranzosa o instabile). La definizione di fiducia adottata da Busacca e Castaldo è, infatti, tridimensionale e, partendo dalla percezione di affidabilità, ripropone le due dimensioni originariamente ipotizzate da Andaleeb 21 Michele Costabile (1992) per classificare i diversi tipi di fiducia: le percezioni in merito alle capacità dell'impresa e quelle riguardanti le sue motivazioni. La combinazione di queste due dimensioni, che Andaleeb propone senza considerare l'affidabilità, darebbe luogo a quattro tipi di fiducia, che, seguendo un modello denominato trust continuum , vanno dalla fiducia "forte" (o piena, o cieca, secondo alcuni autori - Blois, 1999) alla sfiducia. Busacca e Castaldo, hanno quindi proposto una matrice per l'individuazione dei soggetti di domanda fedeli a una determinata marca, oppure a un'insegna commerciale, incrociando i quattro tipi di fiducia (piena, speranzosa, instabile e sfiducia) proposti da Andaleeb con tre differenti livelli relativi al saggio di riacquisto della marca o dell'insegna proposti da Wind (1977). La figura 3 ripropone lo schema elaborato da Busacca e Castaldo (1996), identificando dodici differenti tipi di fedeltà, e proponendo agli estremi i consumatori di fatto inaccessibili per una determinata marca (o insegna) e i consumatori fedeli, in quanto acquirenti abituali e caratterizzati da fiducia piena e stabile (affidabilità , percezione di elevata capacità di non opportunismo dell’impresa). I diversi contributi sulla fedeltà, per quanto ne abbiano approfondito l'esame delle forme e delle determinanti, hanno in realtà trascurato la prospettiva dinamica del processo che conduce allo sviluppo di relazioni fra cliente e impresa, e che, adeguatamente considerata, può invece spiegare le differenti configurazioni assunte dalla customer loyalty nelle diverse fasi del ciclo di vita della relazione. Uno dei pochi tentativi in tal senso è stato compiuto da Oliver (1997 e 1999), che ha proposto di definire la customer loyalty come una condizione di forte coinvolgimento al riacquisto, o al riutilizzo, di un prodotto o di una marca; un coinvolgimento tale da far superare le eventuali influenze "situazionali" e "concorrenziali" che potrebbero causare comportamenti di infedeltà.22 22 Quale "corollario" della definizione - per certi versi assiomatica - di customer loyalty, lo stesso Oliver (1997) ha proposto una ulteriore interessante distinzione fra le diverse forme di fedeltà, utile a spiegare i comportamenti di fedeltà a gruppi di marche. L'autore, infatti, ha distinto la fedeltà situazionale, che consiste nella scelta intenzionale e ponderata di una certa marca solo in determinate situazioni/occasioni d'uso, dalla fedeltà proattiva, che caratterizza invece scelte costanti e tendenzialmente "totalitarie" (rispetto alla percentuale di acquisti totali di un determinato prodotto o di una categoria) 22 Un modello dinamico di customer loyalty Figura 3 - Le diverse combinazioni di fiducia e fedeltà ciomportamentale Intensità della fiducia nella marca/insegna Alta Elevato Consumatori fedeli alla marca/insegna Media (speranzosa) Bassa Consumatori abituali e speranzosi nella marca/insegna Consumatori abituali, ma instabili della marca/insegna Consumatori abituali, ma sfiduciati della marca/insegna Consumatori saltuari speranzosi nella marca/insegna Consumatori saltuari, ma instabili della marca/insegna Consumatori saltuari, ma sfiduciati della marca/insegna Consumatori occasionali, ma instabili della marca/insegna Consumatori occasionali, ma sfiduciati della marca/insegna Medio Saggio di riacquisto della marca/insegna Consumatori saltuari, ma fiduciosi nella marca/insegna Basso Consumatori occasionali, ma fiduciosi nella marca/insegna Nulla Consumatori occasionali speranzosi nella marca/insegna Nullo Consumatori di altre marche, fiduciosi nella marca/insegna Consumatori di altre marche speranzosi nella marca/insegna Consumatori di altre marche con fiducia nella marca/insegna Segmento di domanda inaccessibile per la marca/insegna Fonte: Busacca e Castaldo, 1996 Alla condizione di customer loyalty, così definita, infatti, secondo Oliver si giunge mediante quattro stadi sequenziali. Al primo stadio il cliente è fedele solo cognitivamente, nel senso che dimostra una conoscenza - diretta o indiretta - della marca e dei suoi benefici differenziali e sulla base di una convinzione di superiorità dell'offerta procede all'acquisto. E' solo in seguito a ripetuti riacquisti che, secondo l'autore, si sviluppa una seconda forma di fedeltà: quella affettiva. Si tratta in questo caso dell'atteggiamento particolarmente favorevole che il cliente matura verso una marca in seguito alle ripetute conferme delle aspettative, registrate nella fase della fedeltà cognitiva. Ma è solo con la terza fase - e quindi con il trascorrere del tempo e dei riacquisti - che a favore di una marca, anche in presenza di sacrifici incrementali che in alcuni contesti d'acquisto dovesse risultare necessario sostenere. E la fedeltà proattiva, sempre secondo Oliver, la forma che meglio definisce la customer loyalty - convergente in tal senso con la "true loyalty" di Jacoby e Chestnut (1978) e la fedeltà basata sulla fiducia forte, nella classificazione proposta da Busacca e Castaldo (1996). 23 Michele Costabile secondo Oliver si raggiungono livelli più intensi di fedeltà. In tale fase la fedeltà diventa conativa, vale a dire caratterizzata da una forte intenzionalità, e da un elevato coinvolgimento che si estrinseca in proprietà motivazionali, secondo un modello già proposto da Crosby e Taylor (1983) per l'analisi dei comportamenti di voto degli elettori. In conclusione, facendo ricorso alla teoria del controllo delle azioni (action control - Kuhl e Beckmann, 1985) Oliver identifica lo stadio più intenso di fedeltà definendolo "action loyalty", vale a dire quello della fedeltà non solo sostenuta da forti motivazioni, ma riscontrabile in azioni guidate dal "desiderio di superare" ogni eventuale ostacolo che dovesse frapporsi alla decisione di acquistare la marca alla quale si è fedeli. Il modello proposto, ulteriormente articolato dallo stesso autore in un più recente contributo (Oliver, 1999), con l'aggiunta delle variabili individuali (emozioni e rappresentazioni simboliche) e sociali (micro-mondi, dinamiche di gruppo, rappresentazioni sociali e comunità di consumo) quali "mediatori" degli effetti della soddisfazione sulla fedeltà, consente un significativo avanzamento negli studi sulla brand e sulla customer loyalty. Seppure senza un esplicito, o consapevole, richiamo agli studi sul ciclo di vita della relazione, e basandosi sulla rigida sequenzialità del classico paradigma "cognizione-affetto/emozione-comportamento", infatti, Oliver introduce una concettualizzazione dinamica della customer loyalty. I fenomeni di brand loyalty, infine, sono stati esaminati da molti altri autori che hanno approfondito i contenuti della relazione fra la marca e il consumatore (Vicari, 1995; Manaresi, 1999) e, in particolare, il ruolo della marca quale vettore di relazione, esplicitandone le componenti e le variabili che ne influenzano lo stato.23 In tali studi è emerso che il ruolo relazionale della marca è tanto più forte quanto maggiore è il suo contenuto fiduciario (Howard, 1977). E La componente fiduciaria dell'immagine di marca, in particolare, deriva dalle passate esperienze del cliente che riducono l'incertezza nella valutazione fra le alternative d'acquisto, rendendo 23 Nel modello proposto da Manaresi, la marca rappresenta l'impresa, generando essa stessa "atteggiamenti" relazionali verso il cliente, che quest'ultimo percepisce con riferimento a diverse categorie fra le quali i valori e le tradizioni che definiscono la cosiddetta "personalità di marca". 24 Un modello dinamico di customer loyalty più probabile la fedeltà comportamentale e più efficaci le strategie di brand extension (Busacca, 1995). 3. I costrutti sul customer buying behavior: verso un modello dinamico di customer loyalty Alla luce dei numerosi studi che hanno avuto quale oggetto il comportamento d'acquisto dei clienti è possibile proporre un modello che, basato sulle evidenze empiriche sinteticamente illustrate nella precedente rassegna, descriva la dinamica delle relazioni, partendo dalla customer satisfaction per giungere alla loyalty. Al riguardo è necessario precisare che la traduzione del termine loyalty verrà utilizzata con un significato differente da quello invalso nell'uso - fedeltà - e che troppo spesso obbliga gli studiosi a ulteriori specificazioni: mentale, comportamentale, cognitiva, affettiva, conativa, proattiva, e così via. Si, ritiene, infatti che il costrutto loyalty sia definibile in termini multidimensionali e che le sue dimensioni ne riportino il significato all'etimo latino24. Al di là del nominalismo, la definizione di customer loyalty proposta, la differenzierebbe da altri costrutti che, in prospettiva dinamica certamente ne influenzano la configurazione, quali ad esempio la fedeltà mentale e comportamentale, ma che, tuttavia, non ne esauriscono il dominio concettuale. In sostanza la customer loyalty è una forma evoluta di fedeltà, che non solo presenta i caratteri della "true loyalty" concettualizzata già da Jacoby e Chestnut (1978), ma identifica anche una relazione fra il cliente e l'impresa (o la marca) arricchita dalla reciprocità sostenuta da elevata percezione di equità e correttezza - e quindi connotata da atteggiamenti e comportamenti cooperativi. E', in sintesi, una relazione leale.25 24 L'origine latina della parola loyalty - identica a quella di "lealtà", in uso nella lingua italiana sin dal XIII secolo - risiede nel termine "legale", ossia conforme alla legge, fedele alla parola data, corretto. 25 Al riguardo, è opportuno evidenziare che Busacca e Castaldo (1996) hanno già proposto una simile definizione, basandosi però su una interpretazione estensiva del costrutto fiducia, e proponendolo in una configurazione molto ampia - consistente nelle 25 Michele Costabile Il modello che descrive la customer loyalty ha origine, come accennato, dai risultati degli studi sulla customer satisfaction e sul marketing relazionale, rappresentati in una prospettiva dinamica. Tale prospettiva consente di interpretare il ciclo di vita della relazione fra cliente e impresa quale continuum temporale, lungo il quale si verifica una sovrapposizione dei costrutti relazionali, mentali e comportamentali, fino a giungere - per successiva sedimentazione di costrutti, che divengono dimensioni di un unico dominio concettuale - al costrutto customer loyalty. Nello specifico, i costrutti, e le relazioni fra costrutti e variabili che li determinano, o ne conseguono, sono molteplici, e il modello propone forzatamente una semplificazione. Si ritiene, tuttavia, che esso contenga i principali riferimenti teorici ed empirici che i diversi filoni di studio sul customer buying behavior hanno prodotto, e più volte verificato. In particolare, verranno richiamati: i risultati degli studi sulla customer satisfaction, sulle sue determinanti e sulle sue conseguenze (Iacobucci, Grayson, e Omstrom 1992; Oliver, 1997; Costabile 1998); i modelli sulla fiducia e le verifiche che ne hanno inequivocabilmente accertato la sua dimensione cognitiva definita dall'affidabilità percepita, nonché gli studi che hanno determinato il suo legame con la propensione al riacquisto e al consolidamento della relazione (Bitner, 1995; Castaldo, 1995; Blois, 1999; Raimondo, 1999); gli studi sul ciclo di vita della relazione e sulle diverse forme di fedeltà, che nella sua configurazione di base si presenta come semplice ripetizione d'acquisto, ma che qualora sia basata su atteggiamenti relativi favorevoli all'impresa (o su forme di fiducia molto intensa secondo alcuni) diviene vera fedeltà, ovvero fedeltà sia comportamentale che mentale (Jacoby e Chestnut, 1973; Ford, 1980 e 1998; Iacobucci e Zerrillo, 1996; Busacca e Castaldo, 1996); gli studi sull'equità, e, nello specifico, quelli che hanno collegato l'equità percepita con la disponibilità a cooperare (Ganesan, 1994; Castaldo, 1995); tre dimensioni "affidabilità", "capacità" e "non opportunismo" - quale sinonimo di stabile fedeltà mentale. 26 Un modello dinamico di customer loyalty le sperimentazioni sulla sensibilità verso la "correttezza" delle ragioni di scambio, correlata alla maggiore o minore frequenza di rapporti del cliente con l'impresa (Huppertz, Arenson e Evans, 1978). Per interpretare il processo di sviluppo delle relazioni che conduce alla customer loyalty, il modello si basa su una assunto di fondo: anche il contenuto sociale dei processi di scambio e delle relazioni è riconducibile a modelli di valutazione economica26. Tali valutazioni sono comprensibili solo adottando la prospettiva del cliente - e quindi coerentemente con la customer-based view dell'impresa (Valdani e Busacca, 1999) - e sono determinate dalla percezione del valore nelle sue diverse configurazioni. Nel modello vengono identificate quattro fasi della relazione che, benché siano rappresentabili lungo un continuum, sono caratterizzate da differenti processi di valutazione, che il cliente conduce sulla base del valore percepito nell'offerta dell'impresa. Tale valore è comparato con le alternative di mercato, conosciute o disponibili, e, nella prospettiva della teoria dell'equità, con il valore che si ritiene l'impresa stia ottenendo dalla relazione di scambio. In sostanza, quali determinanti del ciclo di vita della relazione, nel modello vengono considerate diverse configurazioni di valore percepito dal cliente (Busacca, 1994; Costabile, 1996b; Holbrook, 1999): il valore atteso, in termini relativi, ossia quale rapporto fra i benefici attesi e i costi che si ritiene di dover sostenere per l'acquisizione e il godimento dei predetti benefici, la cui percezione è influenzata dal confronto con le alternative disponibili; il valore percepito dopo l'acquisto e l'uso, generalmente rapportato al valore atteso per derivarne la percezione di 26 A tale riguardo, senza volersi riferire ai fondamentali contributi offerti da celebri economisti quali Gary Becker, è possibile citare i lavori di alcuni studiosi di marketing, quali Richins e Bloch (1991), Oliver (1996) e Fournier e Mick (1999), i quali, con specifico riferimento all'analisi del comportamento del cliente, hanno dimostrato come le valutazioni che guidano le scelte post-acquisto si fondino sulla percezione di valore, sia sulle sue dimensioni positive sia su quelle negative. 27 Michele Costabile soddisfazione o insoddisfazione, e quindi adottato quale riferimento prevalente per valutare l'esperienza d'acquisto e di consumo in senso lato, e dunque l'impresa; il valore percepito in termini comparativi dopo le prime esperienze d'uso, vale a dire confrontato con le alternative d'offerta prese in considerazione nel corso del ciclo di vita della relazione. Tale configurazione viene denominata "valore monadico" per enfatizzarne la componente di soggettivismo determinata dalla prospettiva strettamente individualistica del cliente (monade) che conduce la valutazione; il valore equità, ossia il rapporto fra il valore che il cliente ritiene di aver ottenuto (rapporto fra output e input) e quello che ritiene di aver generato per l'impresa, nel corso della "storia" della relazione. Tale configurazione può essere definita "valore diadico", per evidenziarne l'essenziale natura di comparazione interna alla diade "cliente-impresa", nella prospettiva dell'equità che si è sviluppata nel corso di una specifica relazione. La percezione e la rilevanza di tali differenti, seppur correlate, configurazioni di valore sono soggette a variazioni lungo il ciclo di vita delle relazione. La loro dinamica definisce, pertanto, quattro principali fasi del processo di sviluppo della customer loyalty: la fase della soddisfazione e dell'accumulazione di fiducia; la fase della fiducia e della fedeltà comportamentale; la fase della fedeltà mentale; la fase della lealtà. La fase della soddisfazione e dell'accumulazione di fiducia Nei mercati concorrenziali ogni relazione fra cliente e impresa ha origine da una scelta, che il primo opera sulla base della preferenza accordata a quanto offerto dalla seconda. Tale preferenza è in genere fondata su una percezione di valore differenziale che il cliente ritiene di poter ottenere in seguito all'atto d'acquisto e di consumo. La letteratura sul comportamento del consumatore ha da sempre elaborato modelli di analisi dei processi di scelta, e recentemente numerose ricerche sono state condotte sul concetto di 28 Un modello dinamico di customer loyalty valore per il cliente e sulle sue principali componenti, sia razionali che emozionali (Busacca, 1994; Costabile 1996a; Holbrook, 1999). A beneficio di sintesi, in questa sede si propone di ricorrere alla configurazione semplificata di valore per il cliente quale rapporto fra i benefici e i sacrifici percepiti in associazione a una data offerta (prodotto, servizio, marca o impresa): V = B/S Il valore per il cliente, quindi, è definito dalla soggettiva percezione del rapporto fra i benefici attesi dal prodotto e i diversi tipi di costo - sacrifici in senso lato - che devono essere sostenuti per acquisire e godere dei predetti benefici. La scelta d'acquisto, pertanto, in linea di massima, si fonda sulle aspettative di valore27, ossia sulla percezione di capacità dell'impresa nell'offrire i benefici ricercati meglio dei concorrenti e su quella di equità,28 fra tali benefici e le componenti di onerosità che la medesima impresa propone. Come i numerosi studi sulla customer satisfaction hanno dimostrato, dalla congruenza fra valore atteso e valore percepito, in seguito all'acquisto e all'esperienza d'uso, ha origine la percezione di soddisfazione, e ha formalmente inizio il processo valutativo post-acquisto. Inizia, quindi, con l'analisi di tale processo di comparazione lo studio del customer buying behavior (figura 4). La figura 4 descrive il processo che, dal momento "to" - quello della scelta - al momento "t1" - quello della positiva conferma delle aspettative di valore - dà inizio di fatto al ciclo di vita della relazione. Come precedentemente illustrato, infatti, la soddisfazione - verso un oggetto o verso un individuo - rappresenta la percezione che alimenta il processo di formazione di un 27 Il processo di scelta basato sul cosiddetto "modello del valore atteso" rappresenta uno dei paradigmi del comportamento d'acquisto. La letteratura di marketing, tuttavia, ha identificato altre quattro "procedure" di valutazione delle alternative d'offerta che conducono alla scelta: procedura del modello ideale, procedura congiuntiva, disgiuntiva e lessicografica. Per maggiori approfondimenti si vedano Busacca (1994) e Kotler (1997). Ciò che rileva in questa sede è la natura comparativa del valore. Oltre alla soggettività e alla multidimensionalità, infatti, uno dei caratteri fondamentali del valore per il cliente è la comparazione. La sua percezione, infatti, ha luogo sempre e comunque con riferimento a una o più alternative d'offerta, anche se riconducibili a imprese apparentemente non in diretta concorrenza fra loro (Busacca e Troilo, 1992; Costabile, 1996b). 28 In prima approssimazione la valutazione di equità appare fondata sulla comparazione fra le offerti concorrenti, piuttosto che sull'approfondita analisi delle ragioni di scambio. 29 Michele Costabile fondamentale atteggiamento: la fiducia. Al primo acquisto che produce valutazioni di soddisfazione, dunque, seguono, in linea di principio, ulteriori acquisti, motivati dalla soddisfazione sperimentata. In termini economici, la percezione di soddisfazione rappresenta un "flusso", prodotto a seguito di ogni interazione che il cliente ha con l'impresa, o con uno specifico prodotto dell'impresa (ad esempio ogni qualvolta viene utilizzato un personal computer o un servizio di telefonia cellulare). Tale "flusso" - consapevolmente o inconsapevolmente - alimenta uno "stock": la fiducia, intesa quale pregiudizio riguardante la capacità - nella logica della "contabilità mentale" (Thaler, 1985) la probabilità - dell'impresa (o del prodotto, o della marca, dell'insegna, ecc.) di offrire un valore congruente con quanto atteso. Figura 4 - Lo sviluppo della relazione nella fase "soddisfazionefiducia" FIDUCIA SODDISFAZIONE t1 VALORE ATTESO to ACQUISTO VALORE PERCEPITO In estrema sintesi, le esperienze di acquisto e consumo caratterizzate da soddisfazione del cliente alimentano la tendenza al riacquisto (Boulding, Kalra, Staelin e Zeithmal, 1993), in quanto consentono l'accumulazione di un patrimonio fiduciario, che ha valore solo nei confronti dell'impresa verso la quale è stato sviluppato. E se da tali riacquisti l'esperienza "soddisfacente" viene ulteriormente confermata, il fenomeno di accumulazione dà origine a livelli sempre più consistenti di fiducia29 e consente l'evoluzione 29 E interessante al riguardo osservare che eventuali esperienze non soddisfacenti potrebbero incidere sullo stock di fiducia precedentemente cumulato con un peso asimmetrico rispetto ai "flussi" di soddisfazione. Tale asimmetria potrebbe essere spiegata - e sperimentata - alla luce della prospect theory (Kahneman e Twerski, 1979), ipotizzando che la soddisfazione agisca quale percezione di guadagno e l'insoddisfazione quale percezione di perdita. In linea generale, poi, è possibile 30 Un modello dinamico di customer loyalty della relazione verso la fedeltà (Bolton e Drew, 1992; Chang e Wildt, 1994; Morgan e Hunt, 1994). La fase della fiducia e della fedeltà comportamentale Come accennato, al crescere dello stock di fiducia aumenta la probabilità di riacquisto. Tale fenomeno è interpretabile alla luce del ruolo che la fiducia esercita sui costi di transazione, per cui al crescere del suddetto stock il riacquisto diventa economicamente più conveniente - rispetto all'opzione di valutazione e scelta di un nuovo fornitore. Le principali categorie di economie generate dalla fiducia sono riconducibili: ai costi cognitivi, derivanti dallo sforzo di ricerca e di elaborazione delle informazioni, e che dovrebbero essere sostenuti nell'ipotesi in cui il cliente non riacquistasse dall'impresa che ha offerto performance soddisfacenti; ai costi emotivi, legati alla percezione di rischio e incertezza che, in genere, la fiducia contribuisce a ridurre in misura considerevole (Castaldo, 1995), e che sono elevati in conseguenza della rilevanza delle differenti componenti di rischio percepito che di solito accompagnano l'acquisto e il consumo, determinandone peraltro il coinvolgimento (fisico, economico, sociale, psicologico, funzionale o di performance Kaplan, Szybillo, Kacoby, 1974); ai costi operativi, e quindi al tempo, ai costi di trasferta, e a tutte le altre categorie di costi da sostenere per la valutazione delle alternative d'offerta; ai costi strutturali del cambiamento, derivanti da specificità tecnologiche del prodotto in uso (conversioni, interfacce, accessori, e così via) e da eventuali strategie di lock in (Shapiro e Varian, 1999) adottate dall'impresa fornitrice. sostenere che la relazione tra flusso (soddisfazione) e stock (fiducia) non sia lineare, ma dipenda sia dall'intensità della positiva disconferma delle aspettative sia dalle modalità con le quali le percezioni di nuovi stimoli vengono elaborate (sotto il profilo cognitivo) e comparate con gli atteggiamenti e le convinzioni pre-esistenti. Al riguardo la teoria dell'assimilazione e del contrasto e la teoria del livello di comparazione hanno costituito i due fondamentali riferimenti per interpretare, e sperimentare, tali dinamiche (Oliver, 1997). 31 Michele Costabile Alla luce di tali convenienze al riacquisto, è possibile comprendere come durante le prime fasi del ciclo di vita della relazione, un atteggiamento fiduciario da parte del cliente induca per prevalenti ragioni economiche, latu sensu intese - al riacquisto dal medesimo fornitore (t2, t3, t4…….). La probabilità di riacquisto, peraltro, cresce all'aumentare dello stock di fiducia cumulata nel corso delle interazioni, fino a stabilizzarsi su livelli che, presumibilmente, raggiungono l'asintoto dell'evento certo30. E' probabile, quindi, che in condizioni di elevata fiducia il riacquisto avvenga senza considerare neanche le altre alternative. In sintesi, dunque, quanto più elevato è lo stock di fiducia tanto maggiori saranno le economie di transazione in ipotesi di riacquisto, e tanto più si consolideranno le forme di fedeltà comportamentale guidate dalla convenienza (Oliva et al. 1992);31 anche in presenza di offerte alternative che potrebbero offrire un valore monadico superiore a quello "garantito" dalla fiducia nell'impresa verso la quale si dimostra fedeltà. Le forme di fedeltà comportamentale sono state ampiamente studiate nella letteratura di marketing, comprese quelle "inerziali" o "di routine", ossia caratterizzate dalla contenuta valutazione delle alternative d'offerta. In sostanza, vi sono comportamenti d'acquisto ripetitivi che, conseguenti alla sperimentata affidabilità dell'impresa, diventano vere e proprie routine di comportamento (Assael, 1995). In una prospettiva dinamica, la seconda fase della relazione ha in genere una durata che varia in funzione del livello di pressione competitiva, del livello di obsolescenza delle soluzioni tecnologiche percepito dal cliente, e del suo livello di coinvolgimento. In presenza di contenuti livelli di concorrenza e di obsolescenza tecnologica, e di basso coinvolgimento verso il prodotto, infatti, l'instaurarsi di comporamenti routinari è più 30 Al riguardo è interessante richiamare le distinzioni proposte da Luhmann (1989) e Hart (1989), e riprese da Castaldo (1995), tra fede, fiducia e confidare, considerando il confidare una convinzione, vale a dire una certezza relativa al comportamento della controparte. 31 Wernerfelt (1991) ha definito tali forme di fedeltà cost-based 32 Un modello dinamico di customer loyalty probabile (Assael, 1995).32 Più specificatamente, è possibile sostenere che la durata della seconda fase è funzione del tipo di bene o servizio offerto dall'impresa e delle caratteristiche (individuali, sociali, economiche, e così via) degli attori coinvolti della relazione. Essa investe un intervallo definito da un numero variabili di riacquisti (t1, ……., tm), e si conclude, in genere, a seguito di nuovi stimoli, interni o esterni (situazionali e/o concorrenziali - Oliver, 1997), al sistema valutativo del cliente. In sostanza, le valutazioni espresse con riferimento al livello di soddisfazione offerto dall'impresa, e quindi la fiducia cumulata nel periodo più o meno lungo della fedeltà comportamentale, vengono sottoposte - prima o poi - a una verifica. Figura 5 - Lo sviluppo della relazione nella fase "fiducia-fedeltà comportamentale" RIACQUISTO FIDUCIA SODDISFAZIONE t1 to VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITO FEDELTA’ COMPORTAMENTALE Per descrivere l'epilogo di tale fase, è utile adottare la "teoria del conflitto", quale causa di discontinuità, ma anche di rafforzamento delle relazioni, proposta da Tuckman (1965) e sperimentata da Iacobucci e Zerrillo (1996). In sintesi, l'evoluzione della relazione, 32 Secondo Assael, in effetti, il comportamento abitudinario è frequente quando si verifica una condizione di basso coinvolgimento e di modesta differenziazione percepita fra le alternative d'offerta. In caso di elevato coinvolgimento e di bassa differenziazione, invece, viene rilevata una forma di infedeltà strutturale, ovvero di fedeltà a un gruppo di marche, conseguente alla ricerca di varietà da parte del consumatore. 33 Michele Costabile dalla fase della fiducia e della fedeltà comportamentale, consegue da un nuovo processo di comparazione - risultato del conflitto relazionale - fra il valore sperimentato nel periodo "t1 ,………,tm" e il valore delle alternative disponibili sul mercato. Come anticipato, maggiore è il dinamismo tecnologico e concorrenziale percepito dal cliente, più immediato sarà l'insorgere del "conflitto relazionale" e l'attivazione di un nuovo processo comparativo. La comparazione, che convenzionalmente potrà essere identificata con il momento "tm" nel ciclo di vita della relazione, avviene, in genere, sulla base del valore monadico, ossia del rapporto fra benefici e sacrifici percepiti nell'offerta delle diverse alternative di mercato disponibili. Il cliente, quindi, confronta il valore sperimentato nel corso delle prime due fasi della relazione con il valore atteso dalle imprese concorrenti, scontato però dalle economie della fiducia, acquisite nel corso della relazione con l'impresa verso la quale ha manifestato fedeltà comportamentale. La comparazione che avviene al tempo "tm" produce, in genere, tre risultati alternativi: il primo è quello che Hirschman (1970) avrebbe definito "exit". Il cliente, cioè, verificato che, nella sua prospettiva individualistica (monadica), vi sono imprese con offerte di valore superiori a quella verso la quale dimostra (allo stato attuale) fedeltà comportamentale, decide di interrompere la relazione; il secondo risultato, invece, non conduce all'interruzione della relazione in considerazione delle "economie della fiducia" sperimentate nelle prime due fasi. In tal caso la relazione prosegue configurandosi come una forma di fedeltà "spuria" (Day, 1970) oppure coatta33, ossia obbligata dalla convenienza rilevata su singole componenti di costo - ad esempio il costo di accesso all'offerta tipico della fedeltà comportamentale ad alcuni punti di vendita al dettaglio (Castaldo e Costabile, 1996). La fedeltà coatta è connessa quasi sempre ad attributi dell'offerta che non producono benefici differenziali, ma solo una minore incidenza delle categorie che compongono il 33 L'espressione peggiore di "fedeltà coatta" è data, come intuibile, dalla condizione dei clienti di imprese monopoliste. 34 Un modello dinamico di customer loyalty denominatore del valore. In entrambi i casi la fedeltà comportamentale è accompagnata dalla consapevolezza del valore delle alternative di mercato, e da attenzione selettiva alle innovazioni dal lato dell'offerta; oppure da ricerca attiva di imprese la cui value proposition possa compensare le "diseconomie" dell'opzione di uscita dalla relazione; il terzo risultato, infine, è quello che rinforza la relazione. Qualora, infatti, la valutazione comparativa dimostri che il valore offerto dall'impresa è superiore rispetto a quello proposto dai concorrenti, il "conflitto" si risolve positivamente e la relazione si consolida entrando nella fase successiva34. La fase della fedeltà mentale A seguito di una comparazione dalla quale dovesse emergere che l'impresa verso la quale è stato osservato un comportamento di riacquisto continui a offrire un differenziale positivo di valore, alla soddisfazione sperimentata nel tempo, e alla fiducia che ha indotto alla fedeltà comportamentale, si aggiunge un nuovo costrutto percettivo. Si tratta di una convinzione relativa alla capacità dell'impresa di mantenere nel tempo un differenziale di valore costante, o comunque positivo, rispetto ai concorrenti. Tale convinzione, che rinforza anche il senso di autoefficacia del cliente - relativo alla sua capacità di scelta dell'alternativa "migliore" fra quelle disponibili sul mercato - determina una relazione di fedeltà mentale. In sostanza, in questa fase il cliente procede al riacquisto dalla medesima impresa (o dei prodotti di una stessa marca) non solo perché incentivato dalle economie della fiducia, ma anche sulla base della convinzione che il valore offerto sia superiore a quello delle alternative disponibili sul mercato.35 34 Una recente ricerca di Grisaffe e Kumar (1998) ha confermato che il valore per il cliente determina la probabilità di proseguire nella relazione. 35 A questo riguardo, e sulla base delle definizioni date dagli studiosi di psicologia sociale, è possibile sostenere che la fedeltà mentale è una convinzione, basata su un atteggiamento fiduciario. La fiducia, definita quale atteggiamento, evolverebbe in una convinzione - definibile fedeltà mentale - allorché, dopo successive verifiche e comparazioni del valore monadico, subentra la percezione che l'offerta dell'impresa sia costantemente superiore alla concorrenza, anche senza bisogno di un costante esercizio della fiducia (senza cioè dover sottoporre costantemente a verifica e comparazione le alternative). Tale convinzione consente l'evoluzione dalla fiducia alla "confidenza" 35 Michele Costabile La figura 6 sintetizza il processo di sviluppo della relazione che conduce sino alla fase della fedeltà mentale. Anche in questo caso la letteratura di marketing, italiana e internazionale, ha offerto numerosi contributi alla comprensione del comportamento dei clienti che si trovano in tale fase del ciclo di vita della relazione (Busacca e Castaldo, 1996). Si tratta di uno stadio di sviluppo della relazione è assimilabile alla "true loyalty" di Jacoby e Chestnut (1978), ovvero alla "fedeltà sostenibile" di Dick e Basu (1994). Si tratta cioè di una fase caratterizzata da elevata solidità e da disponibilità del cliente all'ampliamento della portata della relazione. E' in questo stadio che, ad esempio, la componente fiduciaria della marca consente il dispiegamento del potenziale di estensione a nuove categorie di prodotti o a nuovi business. Per le stesse ragioni, in presenza di fedeltà mentale sostenuta da elevati livelli di customer satisfaction e di fiducia cumulati nel tempo (Busacca e Castaldo, 1996), in tale fase della relazione sono frequenti - e di successo - le politiche di cross selling (Busacca e Costabile, 1995) Figura 6 - Lo sviluppo della fedeltà mentale FEDELTA’ MENTALE RIACQUISTO FIDUCIA SODDISFAZIONE t1 t0 VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITO tm FEDELTA’ COMPORTAMENTALE ANALISI VALORE MONADICO intesa quale elevata certezza di comportamento atteso dalla controparte (Luhman, 1989; Hart, 1989; Castaldo,1995). 36 Un modello dinamico di customer loyalty Il comportamento del cliente mentalmente fedele è caratterizzato da comportamenti di riacquisto durante i quali non solo non si verifica la ricerca attiva di alternative d'offerta, ma, in genere, anche l'attenzione alle offerte dei concorrenti diventa selettiva. Ed è in questo stadio del ciclo vitale che si possono registrare i fenomeni di fedeltà proattiva descritti da Oliver (1997), ossia di riacquisto della marca o dell'offerta verso la quale si è fedeli anche in presenza di negative influenze situazionali o concorrenziali (evidenti vantaggi economici derivanti dal cambiamento di marca o di fornitore). Gli acquisti del cliente mentalmente fedele assicurano, a parità di altre condizioni, una elevata durata prospettica della relazione, fenomeno questo che, come noto, produce significativi risultati anche sotto il profilo economico (Busacca e Costabile, 1995; Reichheld, 1996). Tale forma di fedeltà, tuttavia, non rappresenta ancora lo stadio più evoluto che la relazione "cliente-impresa" può raggiungere. La fedeltà mentale, infatti, può assumere nel tempo due differenti configurazioni, in funzione del risultato di un ulteriore processo valutativo, generalmente, condotto dai clienti più longevi. Nelle fasi successive al momento della verifica del valore monadico (tm+1, tm+2, ……), infatti, i clienti hanno, in genere, maturato una lunga consuetudine di rapporti con l'impresa, acquisendo conoscenze approfondite sia sull'offerta che sui suoi processi organizzativi.36 Ed è proprio tale maggiore conoscenza dell'impresa e della sua offerta, nonché la crescente autofiducia del cliente nelle proprie capacità di valutazione, che determina un'ulteriore opportunità di "conflitto". Anche in questo caso, il conflitto si manifesta sotto forma di comparazione del valore. La fondamentale differenza rispetto alle valutazioni condotte nel momento "t0" e in quello "tm" risiede nella configurazione del valore che assume centralità nei processi valutativi37: dopo una più o meno lunga fase di fedeltà mentale, 36 Evidenze dello sviluppo della conoscenza sul fornitore al crescere della durata della relazione sono state fornite nei principali studi sul marketing relazionale (Gummeson, 1987; Andreson e Weitz, 1989; Morgan e Hunt, 1994; Ganesan, 1994). 37 E' interessante al riguardo rilevare che il valore diadico, ossia l'equità delle ragioni di scambio, costituisce oggetto di valutazione anche nelle fasi precedenti della relazione. E in alcune condizioni, alle quali si farà riferimento nel paragrafo successivo, tale 37 Michele Costabile sostenuta da elevate percezioni di valore monadico, il cliente infatti perviene alla consapevolezza di dover prendere in considerazione anche il valore diadico. In sostanza, il cliente confronta il valore "storicamente" ottenuto dall'impresa con il valore che, nel corso del ciclo di vita della relazione, ritiene di aver generato per l'impresa. La motivazione di tale comparazione può avere diverse origini, sovente riconducibili alla crescente capacità dello stesso cliente di valutare accuratamente l'offerta dell'impresa, nonché lo sforzo economico e organizzativo profuso nella relazione. Si tratta di una valutazione concentrata sulla percezione del valore ottenuto e di quello generato per l'impresa; valutazione sulla quale la fiducia nelle proprie capacità valutative è, come accennato, certamente più elevata rispetto alle prime fasi della relazione. Per ragioni di varia natura38, dunque, al crescere della longevità della relazione, e della consapevolezza che i ripetuti acquisti valutazione potrebbe essere fondamentale per la scelta di attivare o consolidare la relazione sin dalle prime fase. In genere, tuttavia, nelle prime fasi della relazione la capacità del cliente di valutare correttamente tale configurazione del valore e la sua autofiducia nella valutazione medesima è molto contenuta. Adottando la prospettiva del connessionismo (Rumelhart e McClelland, 1986), è possibile ipotizzare che durante il processing parallelo delle informazioni quelle riguardanti il valore diadico vengano veicolate nella rete con un indice di impatto molto più basso rispetto alle altre, in quanto ritenute meno valide (manzanza di conoscenze specifiche) e meno affidabili (mancanza di capacità valutative sperimentate nel tempo). Successivamente, invece, tali valutazioni divengono sempre più rilevanti, sino a essere prevalenti nella formazione degli atteggiamenti verso la controparte. 38 Fra le altre ragioni potrebbero esservi: percezioni di discriminazioni (ingiustificate) nelle condizioni di vendita - talora effettivamente praticate su mercati non comunicanti, ma che nell'era dell'economia digitale e delle aste via internet se anche non provocano immediati fenomeni di arbitraggio fisico, certo non tutelano dall'"arbitraggio informativo"; percezioni di congruità in progressiva diminuzione fra il numeratore e il denominatore del valore, che inducono a valutare cosa stia modificando tale rapporto, e a percepire iniquità, o addirittura opportunismo, da parte dell'impresa; percezioni di elevato valore (cumulato) generato per l'impresa a seguito della longevità della relazione; A proposito dell'ultima motivazione è opportuno osservare che - come la psicologia sociale insegna - i comportamenti degli individui sono sovente guidati da valutazioni naif - di psicologia ingenua - vale a dire determinate da ipotesi semplici riguardo ai comportamenti, alle percezioni e alle motivazioni dei terzi, e definite da nessi causali (attribuzioni) di (buon) senso comune (Heider, 1958); non per questo però errate, anzi. L'ingenuità denota in questo caso una linearità di connessioni percettive, parsimoniosa ma non banale; e, soprattutto, in linea di massima aderente alla realtà del fenomeno oggetto di valutazione. Uno dei principi della psicologia economica naif, ad esempio, 38 Un modello dinamico di customer loyalty generino un valore economico rilevante per l'impresa, il cliente tende a elaborare una propria convinzione sul livello di equità che caratterizza le ragioni di scambio. Il valore diadico emerge dal confronto di benefici (B) e sacrifici (S) derivanti dall'acquisto e dal consumo dei beni e dei servizi dell'impresa (valore monadico), con costi (C) e ricavi (R) che si ritiene rappresentino la contropartita del valore per l'impresa39: B/S R/C Ovviamente, la percezione di equità potrebbe non essere l'esito della valutazione che ha luogo al tempo "tn". Ed è solo nell'ipotesi che le ragioni di scambio vengano percepite come eque, e il valore offerto dall'impresa sia conseguentemente ritenuto corretto, infatti, che il processo dinamico che caratterizza la relazione raggiunge la fase di massima evoluzione: la customer loyalty. La fase della lealtà La customer loyalty rappresenta l'ultimo stadio del processo evolutivo di una relazione di mercato. Il cliente leale, infatti, è legato all'impresa da una relazione di fedeltà, mentale e comportamentale, ma anche da una convinzione di equità e correttezza che, sulla base del principio di reciprocità (Cialdini, 1984), conduce all'assunzione di atteggiamenti e comportamenti corretti e cooperativi. Coerentemente con la definizione adottata, la customer loyalty è un costrutto multidimensionale, definito sia da dimensioni comportamentali - quali la ripetizione d'acquisto - sia da dimensioni cognitive, connesse alla soddisfazione e alla fiducia, alla percezione di superiorità dell'offerta dell'impresa - misurata sulla base del induce i clienti a considerare la ripetizione degli acquisti nel tempo, e ancora di più le manifestazioni di fedeltà comportamentale e mentale, una fonte di straordinario (extra) valore per l'impresa. Tale convinzione, da sempre diffusa anche nel mondo delle imprese, è divenuta una evidenza tutt'affatto naif negli ultimi decenni, in seguito alla pubblicazione di numerosi studi e ricerche proprio sul tema del valore economico della fedeltà (Reichheld, 1996). 39 Nell'ambito degli studi sulla customer satisfaction, sono state fornite diverse interpretazioni sulla funzione svolta dalla percezione di equità, fondata sulla comparazione fra valore ottenuto e valore generato. Al riguardo si vedano Oliver e Swan (1989a e 1989b) e Clemmer e Schneider (1996). 39 Michele Costabile valore monadico - e di equità delle ragioni di scambio - e quindi di elevato valore diadico. La customer loyalty, in tal senso, è una fase del ciclo di vita della relazione che non è stata precedentemente distinta dalle altre, e che può essere assimilata alle forme di "vera fedeltà" (Jacoby e Chestnut, 1978), di "fedeltà sostenibile" (Dick e Basu, 1994), di fedeltà sostenuta da "fiducia stabile" (Busacca e Castaldo, 1996), e di "fedeltà proattiva" (Oliver, 1997). Rispetto a tali configurazioni, tuttavia, la customer loyalty definita dal modello sinora descritto presenta una sostanziale differenza: prevede quale dimensione caratterizzante il costrutto l'atteggiamento cooperativo da parte del cliente - ed eventualmente anche i comportamenti che ne conseguono. Come illustrato in precedenza, infatti, la percezione di equità delle ragioni di scambio costituisce una fondamentale determinante del costrutto. Tale percezione, sebbene correlata a quella di valore monadico, concorre in autonomia a determinare la convinzione di correttezza dell'impresa e induce, per questa via, atteggiamenti e comportamenti cooperativi da parte del cliente. Il cliente leale, quindi, è pronto a collaborare con l'impresa, sia sotto il profilo commerciale - ad esempio attivando spontaneamente flussi di passaparola positivi40 - sia sotto il profilo tecnico-produttivo - ad esempio fornendo suggerimenti su come migliorare i prodotti, i processi, e le forme di interazione cliente-impresa, fino a sperimentare nuove soluzioni organizzative o commerciali. 41 In 40 E' opportuno al riguardo evidenziare che vi sono diverse forme di passaparola. Insieme al passaparola passivo, o sollecitato da altri clienti, si possono registrare forme di passaparola attivo, ossia spontaneamente attivato dal cliente - tipicamente nella fase della fedeltà mentale. La forma più intensa di passaparola è, invece, quella "prescrittiva", vale a dire caratterizzata da comportamenti che "obbligano" i potenziali nuovi clienti a sperimentare l'offerta dell'impresa. Qualora il comportamento di reclutamento attivo di nuovi clienti non sia determinato da azioni promozionali dell'impresa è evidente che il "promotore" dell'impresa sarà un cliente leale. 41 La customer loyalty può essere seguita da una ulteriore evoluzione della relazione: la partnership. Le differenti forme di partnership con i clienti, infatti, possono essere instaurate sulla base dei costrutti esaminati nel modello, ma a condizione che si sviluppi anche una chiara di percezione di goal congruence. E' abbastanza frequente, infatti, la difficoltà di definire a priori e nei dettagli il risultato che potrà emergere dalla cooperazione, così come il suo orizzonte temporale (Lanza, 1998). E' intuibile, quindi, che in questi casi il "collante" della relazione sia la percezione di finalità convergenti, ossia la convinzione che la convenienza per l'impresa sia strettamente connessa al vantaggio del cliente. Al riguardo, gli studi sul marketing relazionale, hanno dimostrato 40 Un modello dinamico di customer loyalty estrema sintesi, quindi, il cliente leale, sulla base della percezione di equità del valore diadico, elabora una convinzione di correttezza dell'impresa, che ne determina reciprocità di atteggiamenti e di comportamenti. La figura 7 propone il modello dinamico di customer loylaty che, a partire dalla scelta d'acquisto basata sul valore atteso, rinnovata nel tempo (riacquisti) sulla base della customer satisfaction e della fiducia, conduce allo sviluppo delle diverse forme di fedeltà e, infine, alla customer loyalty. Figura 7 - Il modello dinamico di customer loyalty tn ANALISI VALORE DIADICO LEALTA ’ RIACQUISTO FIDUCIA FEDELTA’ MENTALE SODDISFAZIONE t1 t0 VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITO PERCEPITO FEDELTA’ COMPORTAMENTALE tm ANALISI VALORE MONADICO Il valore della customer loyalty, così definita, è riconducibile soprattutto alle opportunità di co-evoluzione della diade impresacliente (Busacca, 1997). I mercati ipercompetitivi ai quali si faceva cenno in apertura del lavoro, infatti, costringono le imprese alla continua innovazione, e di conseguenza all'incessante ricerca di nuove modalità per il miglioramento dei prodotti e dei processi aziendali. E' evidente, pertanto, che in tali mercati il valore economico e competitivo di relazioni con i clienti leali sia che in tali casi si sviluppa un elevato commitment, basato sulla percezione che vi sia un "destino comune" (Morgan e Hunt, 1994), che rinforza la relazione. Sul tema, e sulla causalità che coinvolge anche la decisione di realizzare investimenti idiosincratici si veda anche Castaldo, 1994 e 1995. 41 Michele Costabile particolarmente elevato.42 Sono peraltro numerosi i casi di imprese che gestiscono proprio nella prospettiva co-evolutiva le relazioni con i clienti leali (Wayland e Kole, 1997; Micelli, 1997; von Krogh e Prandelli, 1999), ancorando a tali relazioni i processi innovativi e, quindi, il valore delle potenzialità di sviluppo aziendale (Busacca e Costabile, 1995). *** E' opportuno ribadire che la valutazione condotta dal cliente al momento "tn" può produrre esiti differenti da quelli ai quali si è sinora fatto riferimento. Al di là delle relazioni di customer loyalty, precedentemente descritte sia in termini concettuali - costrutti e dimensioni che ne costituiscono il dominio e percorso evolutivo - sia con riferimento alle manifestazioni che ne qualificano la natura, quindi, è opportuno considerare anche gli altri tipi di relazione con i clienti. La figura 8 propone una tipologia di relazioni con i clienti che, dopo aver raggiunto la fase della fedeltà comportamentale nel ciclo di vita della relazione, possono in realtà consolidarsi assumendo forme differenti, più o meno stabili e proficue, in funzione della percezione maturata sul valore monadico e su quello valore diadico. La prima forma di relazione è caratterizzata dalla combinazione di percezioni di elevato valore monadico e di bassa equità delle ragioni di scambio. In tali condizioni, il cliente non assume atteggiamenti cooperativi, e nei casi peggiori - ad esempio in seguito a una politica di discriminazione del prezzo gestita dall'impresa in modo poco chiaro - sviluppa una convinzione di opportunismo della controparte (l'impresa) che lo conduce alla ricerca di offerte alternative, al fine di interrompere la relazione. Si tratta, però, di una ricerca selettiva, considerando che il valore 42 Come accennato, per le imprese internet-based, e in misura crescente anche per quelle internet-related, il valore economico viene determinato con metodi definiti "value per subscriber", tentando cioè di determinare il valore delle relazioni con i clienti; valore che, come si evince dal modello dinamico di customer loyalty, può variare, anche significativamente, in funzione dello stadio del ciclo di vita della relazione. Tale valore, peraltro, non dipende solo dai flussi economici e finanziari, ma anche da quelli informativi e di competenze, esplicite e tacite (von Hippel, 1994; von Krogt e Prandelli, 1999), che il cliente leale trasferisce all’impresa nelle interazioni collaborative. 42 Un modello dinamico di customer loyalty monadico viene ancora percepito come elevato, e che - sic stantibus rebus - "uscire" dalla relazione non condurrebbe ad alternative migliori in termini di rapporto fra valore d'uso e sacrifici da sostenere per la sua acquisizione. Figura 8 - Lo stato delle relazioni con i clienti: una tipologia Differenziale positivo Relazioni a rischio morale (fedeltà mentale instabile, tendente all’opportunismo, ricerca selettiva alternative) Relazioni di loyalty (Stabilità, cooperazione, tendenza alla partnership) Valore monadico Differenziale negativo Relazioni coatte o di inerzia rassegnata (fedeltà comportamentale, ricerca attiva di alternative, attenzione ai costi switching) Relazioni speranzose (fedeltà comportamentale a tempo, ricerca selettiva di offerte alternative) Equo Iniquo Valore diadico (equità) Tali relazioni vengono definite "a rischio morale" in quanto oltre alla ricerca selettiva di offerte alternative, e quindi all'instabilità strutturale della relazione, il cliente ricerca modalità mediante le quali "bilanciare" il valore diadico, rendendolo più equo, e quindi più soddisfacente. Si parla di "rischio morale" (Arrow, 1963; Pauly, 1968; Milgrom e Roberts, 1992) per identificare una forma di opportunismo post-contrattuale, vale a dire la condizione dell'attore di un processo di scambio che, contrattualmente conclusosi, potrebbe appropriarsi in modo non etico, o addirittura non lecito, di un extra-valore a scapito della controparte. E' questo, in sostanza, il rischio a cui si espone l'impresa che propone ragioni di scambio percepite come non eque da un cliente, che intende comunque mantenere attiva la relazione a ragione dell'elevato valore monadico dell'offerta aziendale.43 43 In tal senso le modalità di riequilibrio del valore diadico sono molteplici, lungo il continuum che collega i comportamenti corretti e leali a quelli illeciti. Sistematici ritardi 43 Michele Costabile La seconda forma di relazione è, invece, definita dalla combinazione di basso valore monadico e di bassa equità percepita. Il comportamento che ne consegue è in genere quello di ricerca attiva di alternative, il cui valore deve consentire la compensazione delle economie della fiducia. In tali casi, infatti, la percezione delle suddette "economie" è quella di vere e proprie "barriere all'uscita" dalla relazione, siano esse generate dalle politiche di lock in dell'impresa oppure connaturate al processo di scambio. Le relazioni che proseguono hanno, in questi contesti, natura temporanea e sono motivate da una contingente mancanza di alternative che consentano di compensare le diseconomie derivanti dall'abbandono della relazione. La fedeltà è certamente da considerarsi "spuria", in quanto contestuale a percezioni negative dell'offerta dell'impresa, con riferimento a tutte le principali configurazioni di valore percepito. Si tratta spesso di relazioni coatte o di inerzia "rassegnata", vale a dire accompagnate dalla percezione che le alternative d'offerta siano poco differenziate e che, parimenti, lo sia la loro equità. La "rassegnazione" consegue in genere alla percezione di una sorta di "monopolio di sistema", riscontrabile nelle forme di oligopolio collusivo oppure nei mercati molto regolamentati. L'ultimo tipo di relazione è quella "speranzosa", così denominata per la similarità concettuale con la tipologia proposta da Andaleeb (1992) sulla fiducia. Tale relazione emerge allorquando il cliente percepisce i rapporti di scambio con l'impresa come equi, ma non particolarmente vantaggiosi sotto il profilo del valore monadico. In sostanza, il cliente percepisce l'offerta dell'impresa come meno competitiva rispetto alle alternative disponibili. In questi casi la relazione potrebbe proseguire per un breve periodo di tempo ovvero per un limitato numero di riacquisti - a ragione dell'elevata correttezza riconosciuta all'impresa. Tale dinamica è relativamente nei pagamenti, reclami o richieste di sostituzioni del prodotto ingiustificate, contestazioni sulla performance offerta dall'impresa, passaparola negativi, e così via, fino all'istigazione di altri clienti all'adozione di comportamenti non corretti e ad alcune forme soft di sabotaggio, sono i fenomeni che possono caratterizzare le relazioni a "rischio morale". Tale rischio è tanto più elevato quanto maggiore è l'asimmetria informativa che caratterizza il processo di acquisto e di consumo del prodotto, per cui il cliente può produrre "azioni nascoste", vale a dire compiere azioni a suo favore, non osservabili, almeno con immediatezza, dall'impresa, e volte a riequilibrare il valore diadico. 44 Un modello dinamico di customer loyalty più probabile nel caso di relazioni longeve, per le quali il cliente ha avuto modo di sperimentare l'affidabilità dell'impresa e la sua equità-trasparenza. La "speranza" che anima il cliente, quindi, è che l'impresa possa potenziare o innovare il suo sistema d'offerta, rendendosi nuovamente competitiva con riferimento al valore monadico. E' una condizione frequente per clienti che avevano in precedenza sviluppato relazioni di lealtà, ed è da considerarsi quale ulteriore vantaggio della customer loyalty: una sorta di "riserva relazionale".44 In tali casi, la fedeltà comportamentale presuppone una ricerca selettiva di alternative, in attesa di verificare se l'impresa ha posto in essere le innovazioni nel sistema d'offerta che potenziano il valore monadico offerto. *** Alla luce del ciclo di vita della relazione sinora descritto, è possibile descrivere lo sviluppo della customer loyalty seguendo le fasi illustrate nella figura 9. A fini di verifica empirica, è opportuno ribadire che la customer loyalty, così come è stata definita nel presente paper, è riconducibile a una proposizione di ricerca così sintetizzabile: la customer loylaty è un costrutto multidimensionale, il cui dominio è costituito da due dimensioni comportamentali (fedeltà comportamentale e comportamenti cooperativi) e da tre dimensioni cognitive (fiducia, valore monadico e valore diadico). In analogia a quanto proposto da alcuni autori (Morgan e Hunt, 1994), le due dimensioni comportamentali potrebbero essere 44 Ancora una volta sono le imprese dei business internet-based ad offrire interessanti esemplificazioni. In tali business, infatti, il tasso di innovazione nei prodotti e nei processi, tecnici e commerciali, è elevatissimo. Al tempo stesso, tuttavia, i vantaggi competitivi derivanti da innovazioni sono più facilmente contendibili, ed è quindi dalla portata delle "riserve relazionali" che dipende la possibilità di adeguare il sistema d'offerta aziendale, per rigenerare le relazioni nella prospettiva della customer loyalty. Per tale ragione, numerose imprese internet-based e internet-related stanno sviluppando imponenti programmi di "member save", ossia procedure e investimenti commerciali e organizzativi, volti ad ampliare la "riserva relazionale" - oppure a potenziare le strategie di lock in - e ridurre così le diseconomie di velocità (Valdani, 1995) dei loro percorsi di innovazione - oppure contenere gli effetti di scelte tecnologiche rivelatesi errate -. 45 Michele Costabile considerate implicite, conseguenze delle tre dimensioni cognitive che definiscono il costrutto. Tale verifica, tuttavia, sarà oggetto di un successivo lavoro volto a operazionalizzare e misurare il costrutto, nonché a offrire conferme empiriche della sua validità esplicativa del processo evolutivo della customer loyalty45. Figura 9 - Un modello di customer buying behavior VALORE ATTESO ACQUISTO VALORE PERCEPITO SODDISFAZIONE FIDUCIA RIACQUISTO FEDELTA’ COMPORTAMENTALE ANALISI VALORE MONADICO FEDELTA’ MENTALE ANALISI VALORE DIADICO CUSTOMER LOYALTY 45 Fra i tentativi di evidenziare un percorso evolutivo nel comportamento del cliente, spiegato in termini di crescente commitment nei confronti dell'offerta dell'impresa vi sono i lavori di Christopher, Payne e Ballantyne (1992) e di Dick e Basu (1994). 46 Un modello dinamico di customer loyalty 4. Le variabili intervenienti nella dinamica di sviluppo della customer loyalty e le future ricerche sul tema Il modello presentato nel precedente paragrafo prevede una serie di fasi che, nella generalità dei casi, presentano una sequenza temporale ben definita; descritta appunto dal modello. Nella realtà, tuttavia, l'elaborazione cognitiva delle diverse configurazioni di valore potrebbe non avvenire secondo una rigida sequenza, ma in parallelo (Rumelhart e McClelland, 1986). Come precedentemente ipotizzato, il medesimo cliente potrebbe attribuire pesi differenziati alle diverse percezioni di valore nelle diverse fasi del ciclo di vita della relazione. E' possibile, altresì, ipotizzare che la differenziazione avvenga in funzione della fisiologica evoluzione delle conoscenze sul prodotto e sull'impresa, ma anche di altre variabili di contesto che potrebbero “intervenire” sul modello, modificandone la formulazione generale, sia sotto il profilo temporale che sotto quello causale. Tali variabili sono individuabili: 1) nell'asimmetria dimensionale, e di potere, nella diade; 2) nell'asimmetria informativa connessa alla specificità dell'oggetto di scambio; 3) nella capacità di valutare i processi tecnico-organizzativi dell'impresa. 1) L'asimmetria dimensionale, e quindi di potere che quasi sempre ne deriva, potrebbe alterare la sequenza descritta nel modello. Un cliente particolarmente grande e importante, infatti, potrebbe condurre accurate analisi del valore diadico parallelamente a quelle del valore monadico, o addirittura già in fase di avviamento della relazione. Non è infrequente, infatti, soprattutto nei mercati business to business, che clienti di rilevanti dimensioni "impongano" al fornitore l'esame preventivo dei loro processi produttivi, organizzativi e amministrativo-contabili. Tale esame, che sovente determina la scelta del fornitore, e quindi l'attivazione della relazione, è motivato anche dall'elevata rilevanza attribuita all’equità delle ragioni di scambio. L'esame del valore diadico, 47 Michele Costabile quindi, potrebbe addirittura precedere, in termini di importanza e di accadimento, quello concernente la soddisfazione e l’affidabilità (fiducia). 2) Anche l'asimmetria di informazioni idonee a valutare l'offerta potrebbe provocare una priorità, temporale e di rilevanza, del valore diadico rispetto al valore monadico e alla valutazione dell'affidabilità (derivante dalla soddisfazione cumulata nel tempo). Nel caso limite dei beni fiducia (Darby e Karni, 1973), per i quali la performance non è oggettivamente valutabile da parte del cliente, se non dopo molto tempo dalla prestazione o dal consumo del bene, è frequente rilevare uno sforzo valutativo concentrato su singole componenti del valore diadico (ad esempio gli investimenti idiosincratici da parte del fornitore); ovvero sulla trasparenza, quale indicatore di equità del processo di scambio. 3) La capacità di valutare i processi tecnico-organizzativi dell'impresa, invece, potrebbe ritardare, ovvero accelerare significativamente il raggiungimento della customer loyalty e, in casi estremi, compromettere il consolidamento della relazione. Qualora vi sia un gap di competenza strutturale a sfavore del cliente, infatti, potrebbe verificarsi una condizione di "sospensione del giudizio" per mancanza di elementi idonei alla valutazione dell'equità. Nel caso, invece, il cliente abbia competenze straordinariamente elevate, verrebbe a determinarsi un'asimmetria di segno opposto che, in ipotesi estreme, riporporrebbe le condizioni descritte al punto sub 1). Più in generale, infine, adottando la tipologia di processi d'acquisto proposta da Assael (1995) è possibile ipotizzare che quanto maggiore è il livello di coinvolgimento da parte del cliente tanto più rapida sarà l'evoluzione delle fasi che conducono alla customer loyalty. L'elevato rischio percepito, che determina il coinvolgimento, infatti, induce il cliente ad essere maggiormente sensibile - a parità di altre condizioni – all’analisi del valore monadico e del valore diadico. In presenza di alto coinvolgimento, infatti, la customer loyalty riduce il rischio di dover investire in un nuovo processo di scelta (complesso); anche se proprio l'elevato coinvolgimento non consente di considerare la fiducia accumulata nelle prime fasi della relazione sufficiente ad adottare 48 Un modello dinamico di customer loyalty comportamenti di riacquisto abitudinari. Al tempo stesso, poi, una relazione leale riduce gli effetti di eventuali fenomeni di dissonanza cognitiva, frequenti in condizioni di alto coinvolgimento ma di modesta differenziazione percepita fra le offerte alternative. Per ciascuna delle variabili identificate, pertanto, sarà opportuno formulare un’ulteriore proposizione di ricerca che ne evidenzi il possibile ruolo di “mediazione” sulle connessioni causali ipotizzate nel modello, e sulla loro sequenza temporale; sulla base di tali proposizioni, infine, sarà possibile condurre indagini empiriche volte a verificare la validità nomologica del modello. 5. Le implicazioni manageriali La maggior parte dei programmi di customer loyalty attualmente adottati dalle imprese sembrano finalizzati a incentivare la ripetizione degli acquisti (Hart, Smith, Sparks e Tzokos 1999). Molte imprese, poi, investono in misura significativa sulle politiche di lock in (Shapiro e Varian, 1999), al fine innalzare i costi di eventuali cambiamenti di fornitore o di marca. Dal modello di comportamento del cliente descritto nel paper, invece, consegue un nuovo, diverso approccio al loyalty management. Le politiche di lock in e le promozioni "fedeltà" (Mauri, 1998), infatti, non consentono di sviluppare il potenziale detenuto dalle relazioni con i clienti; né si può sostenere che si tratti di forme promozionali idonee ad accrescere il valore aziendale derivante da relazioni stabili e collaborative (Busacca, 1997; Prandelli e von Krogh, 1999). Le implicazioni manageriali del modello dinamico di customer loyalty riguardano sia le politiche che le operation delle relazioni con i clienti. L'impresa, infatti, dovrebbe anzitutto esaminare lo stato delle proprie relazioni e successivamente definire gli obiettivi "relazionali" e i programmi più adeguati al loro raggiungimento. Ed è evidente, al riguardo, che l'obiettivo customer loyalty dovrebbe essere posto anzitutto per i segmenti di clientela a più elevato valore attuale e potenziale, anche in considerazione del fatto che non tutte le relazioni debbano avere natura evolutiva. Il valore potenziale, peraltro, è da intendersi non solo nella logica dei flussi - di ricavo o di cassa - da attualizzare, ma soprattutto nella 49 Michele Costabile prospettiva delle opportunità di crescita che la relazione può offrire all'impresa: sviluppo commerciale, delle risorse di fiducia e delle conoscenze. Le principali categorie di implicazioni derivanti dall'analisi e dall'applicazione del modello proposto sono, pertanto, riconducibili: alla necessità di governare le diverse dimensioni che costituiscono la customer loyalty, non limitandosi a incentivare il riacquisto basato sulle convenienze di breve periodo, ma tentando di agire anche sulla percezione del valore e sulla favorevole valutazione dell'equità delle ragioni di scambio; alla necessità di adottare adeguati sistemi di misurazione, con scale (batterie di item) idonee a cogliere lo stato delle relazioni e il loro percorso evolutivo, dalla customer satisfaction alla customer loyalty; all'utilità di politiche di segmentazione del portafoglio-clienti idonee a valorizzare le relazioni - non tutte le relazioni con i clienti hanno valore - considerando anche le dimensioni immateriali dei processi di scambio, e quindi assumendo la prospettiva co-evolutiva delle risorse di fiducia e di quelle di conoscenza; all’opportunità di gestire il portafoglio di relazioni, caratterizzate da differenti stadi del ciclo vitale e, quindi, da diverse aspettative nei confronti dell'impresa e delle sue iniziative commerciali; alla opportunità di segmentare i clienti anche in funzione del ciclo di vita della relazione, e di differenziare conseguentemente gli investimenti per il loro consolidamento (barriere allo switching, customer satisfaction, potenziamento del valore, comunicazioni sull'equità, programmi di value sharing, e così via); alla necessità di potenziare l'efficacia degli strumenti di supporto alla gestione delle relazioni con i clienti, a partire dai sistemi di customer profiling e da quelli di misurazione della customer equity (tangibile e intangibile, attuale e potenziale), fino all'adeguamento dei customer database. Il tutto finalizzato alla realizzazione di investimenti in customer loyalty coerenti 50 Un modello dinamico di customer loyalty con le prospettive di ritorno economico, e all’ampliamento del dominio organizzativo delle relazioni con i clienti, integrando le funzioni di customer care e quelle del convenzionale marketing management. Governare un portafoglio-clienti è certamente complesso e costoso, soprattutto sotto il profilo organizzativo. L'evoluzione dei processi di scambio, tuttavia, non offre alternative. Lo sviluppo pervasivo delle regole dell'economia digitale, infatti, rende le relazioni con i clienti l'unica, vera fonte del valore aziendale. A patto, però, che si tratti di relazioni tendenzialmente stabili e soprattutto idonee allo sviluppo di processi co-evolutivi e di sperimentazione, dei prodotti e dei processi dell'impresa. Un valore, questo, che solo le relazioni di vera loyalty possono offrire. 51 Michele Costabile Riferimenti bibliografici Ancarani F., 1999, Concorrenza e analisi competitiva, Milano, Egea Andaleeb S.S., 1992, The Trust Concept: Research Issues for Channel Distribution, in J.N.Shteh (edit by) "Research in Marketing", vol.11, Jai Press, pp.1-34 Anderson J.C. e Narus J.A., 1984, A Model of Distributor's Perspective of Distributor-Manufacturer Working Relationships, "Journal of Marketing", Fall, pp.62-74 Anderson J.C. e Narus J.A., 1990, A Model of Distributor Firm and Manufacturer Firm Working Partnership, "Journal of Marketing", January, pp.44-53 Anderson J.C. e Weitz B., 1989, Determinants of Continuity in Conventional Industrial Channel Dyads, "Marketing Science", Fall, pp.310-232 Arrow K.J., 1963, Uncertainty and the Welfare Economics of Medical Care, "American Economic Review", vol.55, pp.941-973 Assael H., 1995, Consumer Behavior and Marketing Action, Cincinnati, South Western College Publishing Austin W., McGinn N.C. e Susmilch C., 1980, Internal Standards Revisited: Effects of Social Comparisons and Expectancies on Judgments of Fairness and Satisfaction, "Journal of Experimental Social Psychology, vol.16, pp.426-441 Axelrod R., 1984, The Evolution of Cooperation, New York, Basic Books. 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