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Costituzione e organi delle associazioni sportive – Associazioni sportive
SOMMARIO
Strumenti per gestire la crisi d’impresa
Prefazione ........................................................................................................................................................................................
5
I
Soluzioni private della crisi d’impresa
di Michele Bana ............................................................................................................................................
7
II
Accordo di ristrutturazione dei debiti
di Michele Bana ............................................................................................................................................
16
III
Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013
di Michele Bana.............................................................................................................................................
29
IV
Professionista attestatore, requisiti e relazione
di Michele Bana.............................................................................................................................................
42
V
Accordi per la crisi dei soggetti “non fallibili”
di Michele Bana.............................................................................................................................................
54
VI
Liquidazione dei beni del debitore “non fallibile”
di Michele Bana.............................................................................................................................................
60
VII Crisi, continuità aziendale ed effetti contabili
di Michele Bana.............................................................................................................................................
65
VIII Fiscalità del concordato preventivo liquidatorio
di Michele Bana.............................................................................................................................................
76
IX
Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
di Sandro Cerato ...........................................................................................................................................
81
X
I nuovi requisiti di deducibilità delle perdite su crediti
di Luca Fornero .............................................................................................................................................
89
XI
Note di variazione Iva nelle procedure concorsuali
di Sandro Cerato ...........................................................................................................................................
99
XII Compensazione nelle procedure concorsuali
di Michele Bana.............................................................................................................................................
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Associazioni sportive – Costituzione e organi delle associazioni sportive
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Costituzione e organi delle associazioni sportive – Associazioni sportive
PREFAZIONE
L
a Guida si propone di illustrare le soluzioni giuridiche a disposizione del debitore per
superare, con l’ausilio dei propri professionisti, lo stato di crisi in cui si è venuto a trovare. I rimedi adottabili – ad eccezione del concordato stragiudiziale, peraltro particolarmente rischioso, ancorché spesso preferito dall’imprenditore – sono differenziati, a seconda della natura del
debitore, ovvero in ragione della propria assoggettabilità o meno alle norme della Legge Fallimentare.
Nel primo caso, si pone l’alternativa tra il piano attestato di risanamento, l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo, in cui la variabile fiscale – con peculiare riguardo al trattamento di plusvalenze da cessione dei beni e sopravvenienze attive da riduzione dei debiti – può diventare determinante, a favore del concordato preventivo, sebbene
comporti l’assoggettamento del debitore al controllo giudiziale.
Tale istituto è stato, inoltre, significativamente innovato – così come il ruolo del professionista
attestatore, approfondito anche dalla circolare IRDCEC n. 30/IR – in tempi recenti, prima,
dal D.L. n. 83/2012 e, ora, dal D.L. n. 69/2013 (c.d. Decreto “Fare”), con un serie di misure senza
precedenti: ad esempio, la previsione della domanda “in bianco”, di una disciplina specifica
per il concordato in continuità aziendale, la sospensione o lo scioglimento dei contratti pendenti, l’assunzione di finanziamenti prededucibili, il pagamento anticipato dei creditori anteriori
e la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione.
Il legislatore ha, inoltre, offerto – con la L. n. 3/2012, successivamente novellata dal D.L. n. 179/2012
– alcuni strumenti per la soluzione della crisi del soggetto non fallibile, quali l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento e la liquidazione del patrimonio del debitore, all’interno
dei quali assume un ruolo rilevante il professionista, nella veste di organismo di composizione o
di liquidatore.
La Guida, oltre ad esaminare l’impatto contabile della soluzione della crisi, affronta altresì alcune
specifiche tematiche di carattere tributario, come la formulazione della proposta di transazione
fiscale e l’utilizzo dell’istituto della compensazione nelle procedure concorsuali, nonché la
gestione fiscale a cui sono tenuti i creditori, con l’analisi della novellata disciplina delle perdite
su crediti e dei presupposti del conseguente diritto all’emissione della nota di variazione Iva.
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Soluzioni private della crisi d’impresa – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
Capitolo I
Soluzioni private della crisi
d’impresa
di Michele Bana
L’imprenditore fallibile può risolvere la crisi d’impresa in modi differenti, alcuni dei quali non
richiedono l’intervento del tribunale o di propri organi – come nel caso del concordato stragiudiziale – e talvolta non necessitano neppure della preventiva approvazione dei creditori,
come nell’ipotesi del piano attestato di risanamento. Tali soluzioni possono, tuttavia, esporre
il debitore ad alcuni significativi rischi, in quanto tali istituti non beneficiano di specifiche tutele
previste, invece, qualora si ricorra all’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato
preventivo.
1. Premessa
Alla luce della specifico mix di rimedi operativi individuati per il superamento della crisi (affitto o
cessione d’azienda, lease-back, finanziamento dei soci, moratoria, ecc.), il debitore, per il tramite
del proprio consulente o del c.d. advisor, deve decidere quale forma giuridica intende utilizzare
per superare lo stato di crisi. L’ambito di scelta è differenziato, a seconda della natura del debitore, o meglio della “fallibilità” o meno dello stesso. Rientrano nel primo caso tutti gli imprenditori commerciali privati di natura non piccola, ovvero che non rispettano, congiuntamente, i requisiti di cui all’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267:
1) attivo patrimoniale, nei tre precedenti esercizi (o nel minor periodo dalla costituzione), non
superiore ad euro 300.000;
2) ricavi lordi, sempre nei tre passati periodi amministrativi, non eccedenti l’importo di euro
200.000;
3) debiti, anche non scaduti, non maggiori di euro 500.000.
Il riferimento di cui ai punti 1) e 2) ai “tre precedenti esercizi” significa che, ai fini della qualificazione di soggetto fallibile e delle conseguenze che ne derivano in termini di fallibilità od accessibilità agli altri istituti del R.D. n. 267/1942, è sufficiente non rispettare il parametro dimensionale di riferimento anche in un solo periodo amministrativo: in altri termini, rileva il dato di chiusura dell’esercizio considerato, a prescindere dal valore medio del triennio.
Esempio
Si consideri il caso dell’impresa Alfa s.r.l., che presenta i seguenti valori:
Attivo patrimoniale
Ricavi lordi
Debiti (scaduti e non)
2010
305.000
175.000
290.000
2011
245.000
135.000
330.000
2012
185.000
105.000
380.000
L’impresa è, pertanto, considerata “fallibile”, esclusivamente per il fatto di aver superato, in un
solo esercizio, unicamente un parametro dimensionale, quello riguardante il capitale investito, a
prescindere dalla circostanza che nel triennio di riferimento il valore medio dell’attivo patrimoniale sia stato inferiore ad euro 300.000: l’art. 1 del R.D. n. 267/1942, come anticipato, si riferisce,
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Soluzioni private della crisi d’impresa
invece, soltanto al dato puntuale di chiusura di ogni periodo amministrativo del triennio oggetto
di osservazione.
La qualificazione di debitore “fallibile” comporta la diretta conseguenza, in capo a costui, della possibilità di essere dichiarato fallito, oppure di proporre un concordato (stragiudiziale, preventivo o fallimentare), o di ricorrere ad uno degli altri istituti previsti dal R.D. n.
267/1942, quali il piano attestato di risanamento o l’accordo di ristrutturazione dei debiti, a norma, rispettivamente, degli artt. 67, co. 3, lett. d), e 182-bis della Legge Fallimentare.
Diversamente, qualora il debitore sia un imprenditore commerciale privato “piccolo” – ovvero non supera nessuno dei parametri dimensionali indicati dall’art. 1 L.F., in nessuno degli esercizi considerati – oppure è un privato consumatore, non sono applicabili le disposizioni del
R.D. n. 267/1942: con l’effetto che il debitore può risolvere la propria crisi d’impresa, oltre che
con lo strumento del concordato stragiudiziale, pure con gli innovativi rimedi offerti dalla L.
27 gennaio 2012, n. 3, come modificata dall’art. 18 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179:
 l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, avente natura mista privata-giudiziale;
 la liquidazione del patrimonio del debitore, con caratteristiche simili al fallimento – soprattutto con riferimento alla figura del liquidatore, avente funzioni e poteri analoghi al curatore (comunicazioni ai creditori, formazione dello stato passivo, inventario, ripartizioni, ecc.) –
ed alcune al concordato preventivo, in particolare per quanto concerne gli effetti sul creditore.
Il presente capitolo si propone, pertanto, di illustrare le principali caratteristiche dei due istituti a
carattere esclusivamente privatistico, ovvero senza alcun intervento del tribunale, quali il concordato stragiudiziale ed il piano attestato di risanamento, rinviando la trattazione delle altre soluzioni ai successivi capitoli della Guida.
2. Concordato stragiudiziale
È un accordo plurilaterale raggiunto direttamente con i creditori, finalizzato a conseguire almeno
uno dei seguenti obiettivi:
 un ulteriore differimento dei termini di pagamento (concordato dilatorio);
 una riduzione dei propri debiti (concordato remissorio);
 evitare la dichiarazione di fallimento.
Il concordato stragiudiziale rappresenta, generalmente, la soluzione preferita dal debitore, in quanto consente di evitare l’assoggettamento a qualsiasi forma di controllo da parte
del tribunale o dei propri organi, e far trascorrere del tempo, talvolta determinante, per la
decadenza1 dalle azioni eventualmente esperibili dal curatore nel caso di successivo fallimento, nonché di beneficiare – soprattutto a favore dei creditori – di tempi di esecuzione
ragionevolmente ristretti e costi maggiormente contenuti rispetto ad una procedura concorsuale.
La proposta di concordato stragiudiziale, al fine di poter ottenere l’approvazione di tutti i creditori ai quali è rivolta, deve, infatti, essere particolarmente convincente, soprattutto in termini di importo e celerità della soddisfazione del credito: sotto il primo profilo, l’accordo privato coi creditori potrebbe garantire una percentuale di pagamento superiore, in quanto i costi del procedimento sono decisamente ridotti rispetto a quelli prospettabili nell’alternativa di una
procedura concorsuale, come può essere il concordato preventivo. Al ricorrere di quest’ultima
ipotesi, infatti, emergerebbero ingenti costi di natura professionale – commissario giudiziale ed
altri collaboratori della procedura (perito stimatore dei beni, consulente del lavoro, legale, liquidatore giudiziale, ecc.) – che andrebbero ad aggiungersi a quelli che accomunano le soluzioni di
concordato stragiudiziale e preventivo, come il consulente incaricato della predisposizione del
1
L’art. 69-bis, comma 1, del R.D. n. 267/1942 stabilisce, infatti, che le azioni revocatorie previste della Legge Fallimentare non possono essere proposte dopo che siano trascorsi tre anni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, e comunque
– analogamente all’azione revocatoria ordinaria (artt. 2901 e 2903 c.c.) – decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.
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piano2. La mancanza di tali costi incrementali potrebbe, infatti, consentire al concordato stragiudiziale di offrire ai creditori un pagamento superiore a quello prospettabile nel concordato preventivo, salvo che la penalizzazione fiscale, di cui si dirà nel prosieguo, sia così significativa da annullare tale beneficio.
Per quanto concerne, invece, il secondo aspetto particolarmente rilevante nella valutazione dei
creditori, ovvero i tempi di esecuzione della proposta di concordato stragiudiziale, devono naturalmente essere più brevi almeno rispetto al concordato preventivo, soggetto ad una serie di
vincoli imposti dalla Legge Fallimentare: al contrario, non sempre è agevole proporre termini più
celeri rispetto all’accordo di ristrutturazione dei debiti, in quanto l’art. 182-bis del R.D. n.
267/1942 stabilisce che un professionista indipendente (art. 67, co. 3, lett. d), L.F.) deve attestare3,
tra l’altro, l’attuabilità dell’intesa – raggiunta con i creditori rappresentanti almeno il 60% delle
passività del debitore – con particolare riferimento all’idoneità a soddisfare integralmente i creditori estranei, entro 120 giorni dalla scadenza o, se già scaduti, dalla data del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Al di fuori di tali vantaggi, il concordato stragiudiziale presenta soprattutto rischi, talvolta rilevanti, di differente natura e conseguenza, quali, ad esempio:
 la prosecuzione, ovvero l’avvio, delle azioni individuali esecutive o cautelari da parte dei
creditori, soprattutto quelli dissenzienti, oppure estranei all’intesa. La sospensione è, invece,
ammessa nell’accordo di ristrutturazione dei debiti (anche nel periodo delle trattative, ai sensi
dell’art. 182-bis, co. 6, della Legge Fallimentare) e nel concordato preventivo (art. 168 del R.D.
n. 267/1942). Il fallimento ne determina, invece, l’interruzione (art. 51 L.F.);
 la fiscalità diretta maggiormente onerosa, con riferimento alle plusvalenze da cessioni di
beni ed alle sopravvenienze attive da riduzioni di debiti, che – a differenza del concordato preventivo e, in parte, dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 86, co.
5, e 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986) – rimangono imponibili;
 l’assoggettamento degli amministratori, sindaci, liquidatori e direttori generali, nonché dei soci
di s.r.l. (art. 2476, co. 7, c.c.) all’azione di responsabilità, nel caso di successivo fallimento
della società, per aver concorso a cagionare, ovvero aggravare, il dissesto dell’impresa;
 l’esclusione da alcuni benefici previsti dalla Legge Fallimentare, a favore delle operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato di risanamento, accordo di ristrutturazione dei debiti
o concordato preventivo. Questi ultimi istituti possono, infatti, usufruire – a dispetto del concordato stragiudiziale – dell’esonero dall’azione revocatoria fallimentare4 (art. 67, co. 3, lett. d)
2
Sul punto, si rammenta che il compenso maturato dal professionista per l’attività svolta in relazione alla presentazione
del ricorso per concordato preventivo (art. 161 del R.D. n. 267/1942), nonché per la connessa domanda di transazione
fiscale (art. 182-ter L.F.), non ha natura meramente privilegiata, essendo qualificabile come prededucibile, in quanto
funzionale all’ammissione alla procedura (Cass. 8 aprile 2013, n. 8533, in banca dati “fisconline”). L’art. 111 della Legge
Fallimentare considera, infatti, come prededucibili tutti i crediti sorti in occasione o funzione della procedura concorsuale e, quindi, non soltanto – con riferimento a questi ultimi – al compenso di pertinenza dell’attestatore della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano (art. 161, co. 3, L.F.), ma anche a quelli della medesima natura maturati
prima dell’apertura della procedura, imputabili, ad esempio, all’assistenza professionale ed alla redazione del piano. In
senso conforme, si osservi anche la modifica normativa apportata, a cura dell’art. 33 del D.L. n. 83/2012, che ha abrogato la parte dell’art. 182-quater L.F. in cui veniva espressamente riconosciuta – previa specifica previsione nel decreto
di ammissione – la prededucibilità al compenso professionale spettante al solo attestatore, al fine di favorire il ricorso
alle procedure concorsuali diverse da quella liquidatoria del fallimento.
3
La figura dell’attestatore sarà esaminata in dettaglio nel capitolo IV, al quale si rinvia per ogni ulteriore approfondimento.
4
Nel caso del concordato preventivo, l’esonero dall’azione revocatoria è esteso anche ad alcune operazioni effettuate
prima dell’apertura della procedura concorsuale: si tratta degli atti – urgenti di straordinaria amministrazione, autorizzati dal tribunale, e quelli di ordinaria gestione – legalmente posti in essere dalla data del deposito del ricorso, anche
nella forma di domanda “in bianco”, ovvero con riserva di successivo deposito del piano, della proposta e della documentazione, nei termini assegnati dal tribunale (art. 161, co. 7, L.F.).
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ed e), L.F.) e dai reati di bancarotta fraudolenta preferenziale e semplice5, a norma dell’art.
217-bis del R.D. n. 267/1942.
Rimangono, in ogni caso, invocabili le generali ipotesi di esonero dall’azione revocatoria
fallimentare, prevista dell’art. 67, co. 3, L.F.:
 i pagamenti di beni e servizi effettuati, nei termini d’uso, nell’esercizio dell’attività d’impresa;
 le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera
consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
 le alienazioni e i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis c.c, i cui effetti non
siano cessati a norma del co. 3 della disposizione6, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei
proprio parenti ed affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a
costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purchè – alla data di dichiarazione del fallimento – tale attività sia effettivamente esercitata, ovvero siano stati compiuti
investimenti per darvi inizio;
 i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate dai dipendenti o da altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
 i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, eseguiti alla scadenza, per ottenere la prestazione di
servizi strumentali all’accesso alla procedura concorsuale di concordato preventivo.
Naturalmente, rimane fermo il diritto del curatore fallimentare di esercitare l’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c., al fine di far dichiarare l’inefficacia degli atti
di disposizione pregiudizievoli compiuti dal debitore, qualora ricorrano, congiuntamente,
le seguenti condizioni:
 il debitore era a conoscenza del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni dei creditori o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto era dolosamente preordinato al fine di
pregiudicarne il soddisfacimento;
 il terzo, trattandosi di atto a titolo oneroso, era consapevole del pregiudizio e – nel caso di atto
anteriore al sorgere del credito – era partecipe della dolosa preordinazione.
Non è, tuttavia, soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto: in ogni caso, l’azione revocatoria si prescrive nel termine di 5 anni dalla data dell’atto.
3. Piano attestato di risanamento
Prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 83/2012, l’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942 – così
come modificato dall’art. 4, co. 4, del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 – stabiliva l’esclusione
dall’azione revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie concesse sui beni del
debitore, qualora fossero stati posti in essere in esecuzione di un piano:
 idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa, e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria della stessa;
 ragionevole, così come attestato da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili
ed in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare di cui all’art. 28, co. 1, lett. a)
e b), L.F. (avvocati, dottori e ragionieri commercialisti, nonché studi professionali associati e
società tra professionisti i cui soci appartengono ad una delle predette categorie).
5
La medesima esimente è stata estesa – dall’art. 33, co. 1, lett. h-bis), del D.L. n. 83/2012 – anche “ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell’art. 182-quinquies”. Quest’ultima disposizione riconosce al debitore, che ha presentato un ricorso per concordato preventivo o una delle istanze di cui all’art. 182-bis L.F., di
richiedere al tribunale di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili ex art. 111 del R.D. n. 267/1942.
6
L’art. 2645-bis, comma 3, c.c. stabilisce che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano, e si considerano come mai prodotti, qualora – entro un anno dalla data convenuta dalle parti per la conclusione dell’atto definitivo
e, in ogni caso, non oltre tre anni dalla predetta trascrizione – non sia eseguita la trascrizione del contratto di cessione
o di altro atto costituente comunque esecuzione del contratto preliminare (o della domanda giudiziale di cui all’art.
2652 co. 1 n. 2) c.c.).
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La disposizione in parola è stata sostituita integralmente dall’art. 33, co. 1, n. 1), del D.L.
n. 83/2012, introducendo, in particolare, alcuni presupposti stringenti in capo al professionista “attestatore”: in primo luogo, è precisato che la designazione di tale soggetto deve essere effettuata dal debitore, sempre tra gli eleggibili a curatore fallimentare, purchè
siano connotati dal requisito dell’indipendenza sia dal debitore che dai creditori. Tale
presupposto è, peraltro, ampiamente delineato dalla novellata norma, secondo cui l’attestatore:
 non può essere legato all’impresa debitrice, né a coloro i quali hanno interesse all’operazione di
risanamento, da relazioni di natura personale o professionale tali da comprometterne
l’indipendenza di giudizio;
 deve essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 2399 c.c., ovvero non deve trovarsi in una delle cause di ineleggibilità a sindaco. Ad esempio, non può essere legato alla società debitrice –
oppure ad imprese dalla stessa controllate, o che la controllano o che sono sottoposte a comune controllo – da un rapporto di lavoro, o continuativo di consulenza o prestazione d’opera retribuita, ovvero da altre relazioni di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza;
 non deve, neppure per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale,
aver prestato – negli ultimi cinque anni – attività di lavoro subordinato od autonomo in favore
del debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione e controllo del medesimo.
Un’ulteriore novità riguarda l’oggetto dell’attestazione, non più rappresentato dalla ragionevolezza, bensì – come già previsto per il concordato preventivo (art. 161, co. 3, del R.D. n. 267/1942) –
dalla veridicità dei dati aziendali e dalla fattibilità del piano.
È, inoltre, colmata la lacuna della pubblicità del piano, prevedendo che possa essere pubblicato,
su richiesta del debitore, presso il registro delle imprese: tale facoltà consente, quindi, di attribuire una data certa al piano di risanamento, e rileva anche ai fini dell’operatività del regime di non
imponibilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti dell’impresa di cui all’art. 88, co.
4, del Tuir, anch’esso novellato dal D.L. n. 83/2012.
3.1. Profili operativi
Il piano attestato di risanamento può, quindi, essere rappresentato da un atto unilaterale7 (ad
esempio, un insieme di operazioni di finanza straordinaria), oppure da un concordato stragiudiziale, la cui esecuzione è sottratta dall’ambito di operatività della revocatoria fallimentare,
purchè risultino soddisfatti alcuni requisiti (art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942):
 il piano, non necessariamente liquidatorio, è idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed ad assicurare il riequilibrio della propria situazione finanziaria;
 la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano (come nel concordato preventivo,
novità del D.L. n. 83/2012), e non più la mera ragionevolezza, è attestata da un professionista
indipendente – designato dal debitore – iscritto nel registro dei revisori legali dei conti ed in
possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare, di cui all’art. 28, co. 1, lett. a) e b),
del R.D. n. 267/1942.
Alla luce di quanto sopra riportato, il ricorso al piano attestato di risanamento richiede la sussistenza di due presupposti:
 soggettivo, ovvero il debitore deve essere un imprenditore commerciale di natura privata, non
piccolo e, quindi, fallibile (art. 1 L.F.). Gli effetti tipici del piano (esonero da azione revocatoria
7
Il piano di risanamento si fonda di regola anche su accordi con i principali creditori, diretti a ristrutturare l’indebitamento, ma ciò non è essenziale secondo la norma: il piano potrebbe, quindi, basarsi anche soltanto sulla cessione
di attività o rami aziendali non strategici o sull’acquisizione di nuova finanza. In tal senso, si veda il documento
dell’Università degli Studi di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e
dell’Assonime, Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi, 2010, p. 7.
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fallimentare e reati di bancarotta) si producono, infatti, soltanto a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento;
 oggettivo, rappresentato dallo stato di crisi reversibile del debitore (finanziaria, economica,
ecc.), in presenza di condizioni o prospettive di continuità aziendale8. È, pertanto, necessaria la
sussistenza di alcuni requisiti preliminari, come le adeguate prospettive di mercato e prodotto
– sulle quali fondare il rilancio economico – e la possibilità di accedere a nuova finanza, necessaria a supportare il progetto: in mancanza, è difficilmente sostenibile l’ipotesi del risanamento
in continuità aziendale.
Competenza
Il piano attestato di risanamento, generalmente predisposto dal consulente del debitore, deve essere formalmente adottato dall’organo di gestione9, anche alla luce dell’unico richiamo normativo, seppur implicito, formulato dalla disciplina civilistica: l’art. 2381, co. 3, penultimo periodo, c.c. riserva, infatti, al consiglio di amministrazione l’esame dei piani strategici, industriali e
finanziari della società. Conseguentemente, deve essere trascritto nel libro dei verbali del consiglio di amministrazione o nel libro delle determinazioni dell’amministratore unico.
Finalità, contenuto e durata
L’obiettivo del piano attestato, come anticipato, è rappresentato dal risanamento dell’esposizione
debitoria dell’impresa, e dal riequilibrio della situazione finanziaria della stessa: è, pertanto, necessario che preveda dei rimedi da adottare in un’ottica non meramente liquidatoria, ma in continuità aziendale, o comunque diretti al raggiungimento della stessa10. In particolare, le principali finalità del documento sono riconducibili ai seguenti aspetti:
 perseguire la continuità aziendale e, conseguentemente, preservare il valore sociale dell’impresa, mantenendo gli attuali livelli occupazionali;
 minimizzare i costi e tempi di esecuzione del progetto di risanamento;
 massimizzare la soddisfazione dei creditori, i quali potrebbero avere obiettivi diversi, in
quanto i creditori strategici potrebbero essere interessati alla continuità aziendale, mentre quelli piccoli potrebbero preferire la liquidazione atomistica dell’azienda, anche nell’ambito
della procedura di fallimento.
È, pertanto, fondamentale individuare in via preliminare le cause della crisi dell’impresa, che
possono essere di tipo congiunturale, strutturale – dovute allo specifico mercato di riferimento
oppure all’incapacità di creare adeguato valore – o finanziario, in virtù di un eccessivo indebitamento o di un insufficiente grado di capitalizzazione. A seconda che vi sia preminenza di una o
della altre ragioni della crisi, ovvero un mix delle stesse, l’impresa deve valutare la necessità di:
 ricercare nuove occasioni di crescita, con maggiore flessibilità operativa;
 rivedere la propria strategia industriale e commerciale;
 ridurre l’indebitamento, mediante la cessione di attività o rami aziendali non strategici, il consolidamento di parte dei debiti a breve o l’ingresso di nuovi soci o finanziatori di lungo
periodo.
A livello di contenuto, il piano attestato di risanamento deve essere redatto utilizzando le più diffuse tecniche professionali previste per il business plan, comprendendo sia il progetto finanziario che quello industriale: deve, pertanto, indicare le misure idonee a ristabilire l’equilibrio della
8
Il piano attestato di risanamento potrebbe, tuttavia, essere utilizzato anche dall’impresa in liquidazione, come strumento di ripristino delle condizioni di equilibrio, purchè finalizzato alla revoca dello stato di liquidazione.
9
Fermo restando che lo statuto può stabilire, in tal senso, una specifica competenza dell’assemblea dei soci, ad esempio
quando è richiesto un loro intervento diretto a supporto della fattibilità del piano.
10
La continuità aziendale rappresenta uno dei presupposti indispensabili per potere redigere il bilancio d’esercizio in base alle ordinarie disposizioni civilistiche, previsto dall’art. 2423-bis, co. 1, n. 1), c.c.), la cui sussistenza deve essere accertata nel rispetto delle indicazioni fornite dal principio di revisione n. 570. Per una possibile chiave di lettura, si veda
il contributo di M. Bana, Per la continuità aziendale conta il margine di struttura, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, 16 marzo 2013.
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gestione dell’impresa in difficoltà, ovvero definire le fasi del risanamento, le strategie sottostanti e
gli strumenti di controllo (intermedio e finale). Deve, pertanto, contenere le linee guida che hanno motivato la propria redazione, precisando – dettagliatamente – gli atti, i pagamenti e le garanzie da porre in essere, al fine di eseguire il progetto proposto per la riduzione dell’esposizione debitoria ed il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa, quali, ad esempio:
 la sostituzione dell’organo amministrativo;
 il cambiamento dell’attività sociale;
 il mutamento dell’assetto proprietario;
 la cessione dell’azienda o di rami della stessa;
 la vendita di attività aziendali, dimissione o razionalizzazione di linee produttive;
 la messa in mobilità dei lavoratori dipendenti;
 la ricapitalizzazione;
 la ristrutturazione del debito, attraverso l’ottenimento di nuova finanza, ulteriori dilazioni,
consolidamento di alcune passività a breve, operazioni a saldo e stralcio;
 la concessione di garanzie per debiti pregressi o nuovi finanziamenti;
 la conversione di alcuni debiti in mezzi propri;
 le operazioni straordinarie.
In sede di redazione del piano, devono, inoltre, essere osservate alcune regole fondamentali11:
 il documento, al fine di poter invocare ex post l’esonero da revocatoria fallimentare, deve indicare espressamente le operazioni (atti, pagamenti, garanzie, ecc.) che dovranno essere effettuate per eseguire il piano;
 le eventuali garanzie prestate dal debitore, in esecuzione del piano, non devono coprire le
passività preesistenti12, ma soltanto l’erogazione di nuova finanza;
 il piano deve prevedere specifiche analisi di sensitività, tali da consentire la valutazione della
solidità dei risultati economico-finanziari indicati, dirette, ad esempio, ad individuare il
punto di pareggio (c.d. break even point), ovvero il livello minimo di ricavi necessario a permettere l’avvio del rimborso del debito;
 l’andamento del piano deve formare oggetto di un costante monitoraggio, per individuare gli
scostamenti e la rilevanza degli stessi rispetto alla fattibilità complessiva del risanamento.
La struttura generale del piano non può prescindere dall’indicazione di quattro elementi
fondamentali:
1) la situazione patrimoniale aggiornata;
2) il piano industriale, economico e finanziario;
3) le condizioni ed assunzioni su cui si basa il piano;
4) i flussi di cassa a scadenze periodiche (mensili o trimestrali).
In dettaglio, il piano attestato di risanamento deve, poi, riportare le seguenti informazioni:
 le cause interne ed esterne della crisi;
 lo stato di solvibilità e liquidità aziendale, e le altre peculiarità dell’impresa;
 le principali caratteristiche del piano, le ipotesi su cui si fonda, le fonti informative e le metodologie utilizzate per la sua redazione;
 la solidità dei presupposti dei risultati economico-finanziari attesi;
 le misure che si intendono adottare;
 la durata, non eccedente i 3-5 anni, essendo assimilabile ad un c.d. business plan;
 gli obiettivi intermedi e la loro collocazione temporale, i quali sono pure funzionali all’esecuzione del monitoraggio e all’adozione di eventuali correttivi;
11
Sul punto, si vedano anche le raccomandazioni del documento dell’Università degli Studi di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dell’Assonime, Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi, 2010, p. 20-24.
12
La garanzia eventualmente concessa su un debito preesistente è qualificabile come un atto potenzialmente sospetto, in
quanto migliora la posizione di un creditore rispetto a tutti gli altri.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Soluzioni private della crisi d’impresa
 gli specifici intervalli di verifica;
 i meccanismi di aggiustamento e correzione individuati per coprire gli eventuali scostamenti
piano (riserve di liquidità o patrimoniali).
Per quanto concerne la durata del risanamento, è opportuno che sia limitata, preferibilmente
inferiore a quella presumibile di un ipotetico accordo di ristrutturazione dei debiti o concordato
preventivo: ad esempio, potrebbe essere plausibile la prospettiva del ritorno a condizioni di equilibrio finanziario in 3 anni, con la previsione della ristrutturazione complessiva del debito in un
tempo successivo rispetto alla conclusione dell’esecuzione del progetto di rilancio. La durata del
piano deve, tuttavia, essere adeguata al progetto di risanamento, in quanto se troppo breve – con
nell’eventualità di un orizzonte temporale infrannuale – si potrebbe esporre al rischio di
un’azione di revoca da parte del curatore, nel caso di successivo fallimento, a norma dell’art. 67,
co. 2, del R.D. n. 267/1942.
Pubblicità
Non è previsto uno specifico obbligo di comunicazione ai creditori, ed ai terzi in genere, del piano attestato di risanamento, pur essendo opportuno13 che sia portato a conoscenza dei creditori, e condiviso con gli stessi, anche al fine di scoraggiare l’adozione di azioni individuali esecutive o cautelari, che potrebbero l’impedire l’esecuzione del piano: nella prassi, i creditori tendono a subordinare alla consegna del documento l’esecuzione della prestazione che viene loro richiesta nell’ambito del piano.
La relativa comunicazione deve essere improntata alla massima trasparenza e, pertanto,
contenere alcune informazioni essenziali:
 le ragioni che hanno reso necessario il ricorso al piano attestato;
 la descrizione, semplice e chiara, delle strategie di risanamento;
 l’oggetto della proposta di ristrutturazione dei debiti;
 l’indicazione degli effetti economici-finanziari attesi, con la precisazione dei relativi tempi;
 i possibili rischi per l’impresa, i creditori ed i terzi in genere, nel caso di insuccesso del piano
(o mancata approvazione da parte dei destinatari dello stesso).
Il predetto adempimento potrebbe, tuttavia, essere assolto in via agevolata, avvalendosi della possibilità offerta dall’art. 33, co. 1, del D.L. n. 83/2012, che ha introdotto – nell’art. 67, co. 3, lett. d),
L.F. – la facoltà di pubblicazione del piano nel registro delle imprese, rilevante ai fini del
regime di parziale non imponibilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
(art. 88, co. 4, del Tuir).
Il deposito camerale consente, inoltre, di attribuire al piano una data certa, al fine di poter usufruire delle esimenti previste dalla Legge Fallimentare: il beneficio dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare decorre dalla data dell’attestazione del professionista incaricato.
Rischi
La natura assolutamente privatistica del piano non offre particolari tutele ai creditori, i quali possono fare affidamento esclusivamente sull’attestazione del professionista indipendente: nel caso
della successiva dichiarazione di fallimento, i crediti sorti in esecuzione del piano attestato
di risanamento non possono beneficiare del regime di prededucibilità di cui all’art.
111, co. 1, n. 1), del R.D. n. 267/1942, a differenza dei finanziamenti erogati – non necessariamente da banche ed intermediari finanziari – in funzione ovvero esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo. Non è, infatti, prevista alcuna forma di consecuzione dal piano attestato di risanamento ad una procedura concorsuale, né la possibilità di
13
Il piano attestato di risanamento non consente al debitore di beneficiare del divieto di azioni esecutive o cautelari da
parte dei creditori, a differenza dell’accordo di ristrutturazione dei debiti – anche nel corso delle trattative per la definizione dell’intesa (art. 182-bis, co. 6, L.F.) – e del concordato preventivo, pure nel caso di domanda “in bianco”, ovvero
con riserva di successivo deposito del piano, della proposta e della documentazione (artt. 161, co. 6, e 168 del R.D. n.
267/1942).
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usufruire di alcuni benefici previsti per l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il concordato
preventivo:
 il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sui beni compresi
nel patrimonio del debitore;
 l’accesso all’istituto della transazione fiscale e contributiva di cui all’art. 182-ter L.F.;
 la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione14.
Benefici
I principali vantaggi offerti dal piano attestato di risanamento sono riconducibili ai seguenti aspetti:
 non richiede un preventivo accordo con i creditori, essendo sufficiente l’attestazione del piano,
formulata da un professionista in possesso dei requisiti di legge;
 non è soggetto a particolari forme di pubblicità, né ad un controllo del tribunale. È, pertanto,
caratterizzato da un procedimento particolarmente semplice, connotato da un buon grado di riservatezza nella formazione del piano di risanamento;
 non interrompe il decorso dei termini di prescrizione/decadenza delle azioni esercitabili dal
curatore, nel caso di successiva dichiarazione di fallimento;
 gli atti compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare15 – privilegiando, quindi, il mantenimento della continuità aziendale – e neppure alle disposizioni in materia di bancarotta semplice e fraudolenta preferenziale (art. 217-bis del
R.D. n. 267/1942). Sul punto, si osservi che – qualora si dovessero verificare degli scostamenti, per effetto dei quali il piano non possa essere più proseguito come originariamente
prospettato – gli effetti protettivi vengono meno soltanto con riferimento agli atti da eseguire
successivamente al verificarsi dello scostamento, a meno che venga predisposto un nuovo progetto e resa la relativa attestazione: restano, pertanto, salvi gli effetti degli atti compiuti
a partire dalla data dell’attestazione del professionista indipendente, ed anteriormente al verificarsi del predetto scostamento. Diversamente, nel caso in cui il piano, nonostante tale variazione, rimanga comunque eseguibile, grazie ai meccanismi di aggiustamento
in esso previsti, l’esonero dall’azione revocatoria fallimentare permane anche per gli atti ancora
da compiere.
Monitoraggio del piano
L’esecuzione del piano deve essere costantemente verificata dall’impresa che lo ha redatto, oppure da soggetti terzi dalla stessa delegati, al fine di individuare il raggiungimento degli obiettivi
intermedi, gli eventuali scostamenti, la loro rilevanza ed i possibili rimedi: qualora gli
strumenti di copertura previsti (riserve di liquidità o patrimoniali) dovessero rivelarsi insufficienti, è necessario modificare il piano, procedendo alla redazione di uno nuovo, da sottoporre al
professionista attestatore, se si intende beneficiare – con riferimento agli atti da porre in essere in
sua esecuzione – dell’esonero dall’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67, co. 3, lett. d),
della Legge Fallimentare.
14
Qualora l’impresa sia caratterizzata da rilevanti perdite civilistiche (artt. 2447 e 2482-ter c.c.), l’efficace esecuzione del
piano è subordinata al preventivo ripristino del capitale sociale, in misura almeno pari al minimo legale: diversamente,
il progetto potrebbe essere contestato a priori, con relativi profili di responsabilità a carico di chi comunque ha tentato
di porlo in essere.
15
Tale beneficio non opera, invece, per gli atti riguardanti l’ordinaria gestione aziendale, che rimangono, pertanto, soggetti
all’azione revocatoria fallimentare, salvo che ricorra un’altra causa di esenzione prevista dall’art. 67 del R.D. n. 267/1942:
in ogni caso, il piano attestato di risanamento è assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.).
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Capitolo II
Accordo di ristrutturazione
dei debiti
di Michele Bana
L’art. 182-bis L.F. riconosce all’imprenditore commerciale in crisi la possibilità di richiedere al
tribunale l’omologazione di un’intesa raggiunta con i creditori rappresentanti almeno il 60%
delle proprie passività, che gli consente di accedere a una serie di benefici, alcuni dei quali comuni al concordato preventivo: il divieto di azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori,
la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione, la facoltà di proporre l’assunzione
di finanziamenti prededucibili, il pagamento anticipato di alcuni creditori anteriori “essenziali”
e la transazione fiscale, oltre all’esonero dall’azione revocatoria fallimentare e dai reati di bancarotta.
1. Presupposti
L’accordo di ristrutturazione dei debiti è disciplinato dall’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942, che attribuisce al debitore, in stato di crisi, il diritto di richiedere al tribunale l’omologazione di un
accordo di ristrutturazione dei debiti, purchè soddisfi, congiuntamente, due requisiti: in primo
luogo, è necessario che l’intesa sia stata raggiunta con un numero di creditori rappresentanti almeno il 60,00% delle passività. Quest’ultima, sotto il profilo del contenuto, presenta, tra l’altro, le seguenti caratteristiche:
 può avere finalità liquidatorie (cessione dell’azienda a terzi, vendita totale o parziale di beni
ai creditori, conferimento in una società di nuova costituzione, ecc.), oppure prevedere misure tipicamente conservative, funzionali alla prosecuzione dell’attività aziendale1 e, quindi,
alla salvaguardia del valore dell’impresa, nonché dei livelli occupazionali;
 può essere raggiunto con qualsiasi tipologia di creditore (ipotecari, privilegiati, chirografari, ecc.), sulla base dei presupposti ritenuti maggiormente opportuni, non essendovi la
necessità – a differenza del concordato preventivo – della suddivisione dei creditori in classi
omogenei per posizione giuridica ed interessi economici, né di rispettare la par condicio creditorum. Rileva, pertanto, esclusivamente la circostanza che la proposta di accordo consegua il
parere favorevole dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei debiti del proponente;
 deve garantire l’integrale pagamento dei creditori estranei all’intesa, rispetto ai quali
non produce, pertanto, alcun effetto;
 deve essere perfezionato almeno nella forma di scrittura privata autenticata, in quanto la
pubblicazione presuppone la certificazione delle sottoscrizioni da parte di un soggetto terzo
munito di tale potere. Può essere costituito da un contratto unico, oppure da una pluralità di
accordi stipulati dal debitore con singoli creditori o gruppi degli stessi.
1
L’oggetto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti può essere, infatti, rappresentato da erogazione di nuova finanza,
anche nella forma dell’emissione di un prestito obbligazionario, riduzioni totali o parziali delle passività (capitale e/o
interessi), rinunzie agli interessi in corso di maturazione, dilazioni di pagamento, cessioni di attività aziendali non strategiche (ovvero tali da non pregiudicare la continuità aziendale), acquisizione di nuove garanzie a favore dei creditori,
effettuazione di operazioni straordinarie o conversione in capitale di una quota dei debiti.
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Accordo di ristrutturazione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
17
È, inoltre, indispensabile che il ricorso sia depositato2 presso la competente cancelleria, unitamente alla seguente documentazione:
 gli atti previsti per la richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo
(art. 161, co. 2, del R.D. n. 267/1942), e in particolare:
– una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, ovvero una dettagliata e critica analisi dei bilanci degli ultimi esercizi, ed anche un business plan, nel caso in cui l’accordo non abbia finalità liquidatorie, bensì il conseguimento dell’obiettivo di un generale riequilibrio economico e finanziario dell’impresa;
– uno stato analitico ed estimativo delle attività, asseverato dalla relazione di un perito;
– l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi importi e delle eventuali
cause legittime di prelazione, al fine di consentire al tribunale di verificare l’effettivo raggiungimento del quorum del 60% delle passività;
– l’elenco dei titolari di diritti reali o personali sui beni di proprietà, oppure in possesso, del
debitore;
– il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;
– un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento
della proposta;
 la relazione sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, con particolare riferimento alla propria idoneità a garantire
l’integrale pagamento dei creditori estranei, entro 120 giorni dalla scadenza oppure, nel caso
di crediti già scaduti, dalla data del decreto di omologazione dell’intesa di cui all’art. 182-bis
del R.D. n. 267/1942. Tale documento deve essere redatto da un professionista indipendente,
nominato dal debitore, avente i medesimi requisiti dell’attestatore del piano di risanamento di
cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. e, quindi, quelli indicati dal precedente art. 28, co. 1, lett. a) e
b), L.F., abilitati a svolgere l’incarico di curatore fallimentare.
In altri termini, l’art. 182-bis, co. 1, del R.D. n. 267/1942 (così come i successivi co. 6 e 7)
non fa più riferimento al “regolare pagamento dei creditori estranei”3, definizione che aveva suscitato – soprattutto con riferimento ai crediti già scaduti – diversi dubbi interpretativi, risolti in via estensiva, in quanto l’avvenuto decorso del termine rappresenta un‘ipotesi
particolarmente frequente nelle situazioni di difficoltà del debitore (c.d. scaduto fisiologico): rileva, invece, il concetto di “integrale pagamento”, maggiormente coerente con
l’estinzione dell’obbligazione dell’imprenditore in stato di crisi, per effetto della quale
l’attestazione non dovrebbe riguardare esclusivamente gli importi dovuti in linea capitale,
ma anche gli interessi. A questo proposito, la circ. Assonime 7 febbraio 2013, n. 44 ha ricordato che, sin dall’entrata in vigore della previgente formulazione della norma, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che per “regolare pagamento” dei creditori estranei dovesse intendersi adempimento integrale e secondo le scadenze originariamente pattuite, in
ragione della piena titolarità del loro diritto soggettivo sostanziale e processuale5.
Proprio tale condizione era stata, infatti, considerata come una delle cause principali dello scarso
successo degli accordi di ristrutturazione, in quanto difficilmente il debitore dispone delle risorse
2
Qualora l’impresa in crisi faccia parte di un gruppo interessato da un ampio progetto di risanamento, l’accordo di ristrutturazione dei debiti della singola impresa deve essere depositato congiuntamente al piano di revisione della holding (Trib. Roma, 5 novembre 2009).
3
Cfr. M. Bana, Ristrutturazione dei debiti, maggiori certezze per i creditori estranei, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, del 25 giugno 2012.
4
Sul punto, si veda il contributo di M. Bana, Accordi di ristrutturazione dei debiti e risanamenti: novità del D.L. n.
83/2012, in “il fisco” n. 10/2013, fascicolo n. 2, pagg. 1519-1529.
5
La tematica aveva già formato oggetto di un precedente approfondimento dell’Assonime, nel documento “Osservatorio
della riforma delle procedure concorsuali. Il primo anno di riforma - Rapporto di sintesi” (Roma, settembre 2007).
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Accordo di ristrutturazione dei debiti
sufficienti al pagamento per intero, e secondo la relativa scadenza, sino al 40% dei debiti originariamente contratti.
2. Imprenditore agricolo
L’art. 23, co. 43, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ha introdotto una rilevante deroga ai principi generali della soluzione della crisi d’impresa. È stato, infatti, stabilito che l’imprenditore agricolo
in stato di crisi oppure insolvenza – in attesa di una revisione complessiva della relativa disciplina e del coordinamento delle vigenti disposizioni in materia – può accedere alle seguenti istituti:
 l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.);
 la transazione fiscale (art. 182-ter del R.D. n. 267/1942).
Il requisito soggettivo di “imprenditore agricolo” è individuabile sulla base dell’art. 2135 c.c.,
ovvero come colui che esercita una delle seguenti attività:
a) coltivazione del fondo, selvicoltura oppure allevamento di animali, in quanto dirette
alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono impiegare il fondo, il bosco, le acque dolci,
salmastre o marine;
b) attività connesse a quelle di cui al punto precedente, intendendosi comunque per tali quelle:
 esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco, ovvero dell’allevamento di
animali;
 dirette alla fornitura di beni e servizi, mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o
risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata;
 di valorizzazione del territorio e patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità, come definite dalla legge.
3. Divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive
Il deposito in tribunale dell’istanza di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, e
la pubblicazione presso il registro delle imprese, produce principalmente due effetti:
1. il divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive (c.d. stand still)6;
2. l’avvio di un procedimento giudiziario, finalizzato alla verifica dei presupposti necessari all’omologazione dell’accordo, ed alla formale decretazione della stessa.
Ai sensi dell’art. 182-bis, co. 3, del R.D. n. 267/1942, a decorrere dalla data di pubblicazione dell’intesa presso il registro delle imprese, e per 60 giorni, i creditori per titolo e causa anteriore a tale data, non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Le
prescrizioni che sarebbero state interrotte dai suddetti atti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano, per effetto del rinvio operato – dall’ultimo periodo della disposizione in parola – all’art. 168, co. 2, della Legge Fallimentare.
L’art. 182-bis, co. 6, L.F. riconosce, inoltre, al debitore la facoltà di richiedere l’estensione di
tale divieto anche al periodo di trattativa con i creditori, ovvero precedente alla formulazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti da depositare in tribunale. L’esercizio di tale diritto è subordinato alla presentazione di alcuni specifici atti:
 la documentazione di cui all’art. 161, co. 1 e 2, lett. a), b), c) e d), del R.D. n. 267/1942. Si tratta, in particolare, della relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, dello stato analitico ed estimativo delle attività e dell’elenco nominato dei
6
Il divieto riguarda esclusivamente le azioni individuali esecutive e cautelari, ma non anche la presentazione dell’istanza
di fallimento.
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creditori – con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione – e di quello dei titolari di diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso del debitore, nonché del valore dei beni e dei creditori degli eventuali soci illimitatamente responsabili;
 la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti;
 la dichiarazione del debitore (imprenditore individuale o del legale rappresentante della società), avente valore di autocertificazione ed attestante la pendenza di trattative in corso con titolari di crediti rappresentanti almeno il 60,00% delle passività aziendali;
 la comunicazione del professionista incaricato di verificare la veridicità dei dati aziendali
e l’attuabilità dell’intesa, in merito alla sussistenza delle condizioni idonee ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei all’accordo, con i quali non risultano in essere negoziati o che comunque hanno negato la propria disponibilità a trattare.
L’istanza in commento, riguardante l’estensione del divieto di azioni esecutive o cautelari al periodo precedente il raggiungimento dell’intesa, deve altresì essere pubblicata presso il registro
delle imprese. L’esame della stessa deve essere operato dal tribunale, nel corso di un’udienza da
fissarsi entro 30 giorni dal deposito del ricorso: in tale sede, l’autorità giudiziaria – qualora accerti la sussistenza degli oggettivi presupposti per pervenire ad un accordo di ristrutturazione dei
debiti, con le maggioranze richieste dalla legge, nonché le condizioni per garantire il regolare pagamento dei creditori estranei all’intesa – può disporre, con decreto motivato7:
• il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari oppure esecutive sul patrimonio del
debitore;
• l’assegnazione al ricorrente del termine di 60 giorni, per procedere al deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, e della relazione del professionista in merito all’attuabilità dell’intesa, di cui all’art. 182-bis, co. 1, del R.D. n. 267/1942.
In pendenza di tale termine, il debitore può depositare un ricorso per concordato preventivo,
conservando gli effetti prodottisi sino a quel momento (art. 182-bis, ultimo co., L.F.).
4. Omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
Alla luce del deposito dell’intesa raggiunta con i creditori, secondo le modalità sin qui delineate, i
creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione, entro 30 giorni dalla pubblicazione, nel registro delle imprese, dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Le eventuali eccezioni
formulate da tali soggetti sono decise dal tribunale, che, all’esito, si pronuncia in merito all’omologazione, con decreto motivato, reclamabile secondo le medesime modalità esaminate nel caso di disposizione del divieto di azioni cautelari o esecutive di cui al precedente paragrafo: tale
decisione può essere di accoglimento o rigetta, ma mai di modifica dell’accordo raggiunto dal debitore con i propri creditori.
L’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti comporta l’obbligo di registrare il relativo decreto del tribunale, e di provvedere al versamento della corrispondente imposta: sul
punto, si ritiene che la formulazione letterale dell’art. 8, co. 1, lett. g), Tariffa Parte I, del D.P.R.
26 aprile 1986, n. 131 dovrebbe legittimare l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa,
in quanto riferita espressamente agli “atti di omologazione: euro 168,00”. In senso conforme,
ovvero di attribuire rilevanza al c.d. criterio nominalistico (salvo il caso del concordato preventivo con trasferimento dei beni al terzo assuntore) si sono, infatti, espresse sia la giurisprudenza di
legittimità (Cass. 7 settembre 2010, n. 19141, e 7 maggio 2007, n. 103528) che la più recente prassi
dell’Agenzia delle Entrate9 (circ. 21 giugno 2012, n. 27/E, par. 1.1, e R.M. 26 marzo 2012,
n. 27/E10).
7
Il provvedimento è reclamabile, avanti la corte d’appello, a norma dell’art. 183 L.F., in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla pubblicazione dello stesso nel registro delle imprese.
8
Entrambe in banca dati “fisconline”.
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L’Amministrazione Finanziaria ha, pertanto, rivisto la propria consolidata posizione, secondo cui – trattandosi di un
giudizio a cognizione piena, con la necessaria presenza in contraddittorio delle parti, che determina una nuova situaLuglio 2013
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Accordo di ristrutturazione dei debiti
5. Elementi comuni con il piano attestato
Alla luce di quanto sopra riportato, l’accordo di ristrutturazione dei debiti condivide alcune caratteristiche con il piano attestato di risanamento (e con il concordato preventivo):
 è richiesto l’intervento di un professionista che attesti la fattibilità (piano attestato di risanamento e concordato preventivo), o l’attuabilità (accordo di ristrutturazione dei debiti), del
progetto proposto per la soddisfazione dei creditori;
 i requisiti di nomina dell’attestatore sono i medesimi;
 la responsabilità civilistica del professionista incaricato: contrattuale nei confronti della società debitrice, extracontrattuale verso i creditori, ed i terzi in genere (ferma restando
l’esimente di cui all’art. 2236 c.c.);
 la responsabilità penale del professionista (art. 236-bis L.F.), che – nell’attestazione del
piano di risanamento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., nelle relazioni di cui agli artt. 161,
co. 3, e 182-bis, 182-quinquies e 186-bis L.F. – ha esposto informazioni false, oppure ha omesso di riferirne una o più rilevanti. Al ricorrere di una di tali condotte, è prevista la reclusione da due a cinque anni, e la multa da euro 50.000 ad euro 100.000, aumentabile – se il fatto è stato commesso per conseguire un ingiusto profitto, per sé od altri – fino alla metà, se ne è
derivato un danno per i creditori;
 l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare (art. 67, co. 3, lett. d) ed e), del R.D. n.
267/1942), nonché dai reati di bancarotta sia fraudolenta preferenziale che semplice
(art. 217-bis L.F.), degli atti compiuti in esecuzione dei rispettivi piani. Il progetto assume,
quindi, rilevanza soltanto successivamente, se il debitore fallisce. Al ricorrere della suddetta
ipotesi, è comunque esperibile, da parte del curatore, l’azione revocatoria ordinaria (art.
2901 c.c.), seppure maggiormente complessa: è, infatti, richiesta la consapevolezza non soltanto del debitore, ma anche del terzo destinatario dell’atto, di arrecare un pregiudizio ai creditori.
6. Effetti comuni con il concordato preventivo
L’accordo di ristrutturazione dei debiti consente all’imprenditore di conseguire alcuni benefici
coincidenti con il solo concordato preventivo:
 la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione;
 la disciplina dei crediti prededucibili;
 la facoltà di richiedere l’autorizzazione al pagamento anticipato di creditori anteriori;
 il diritto di proporre una transazione fiscale e contributiva.
6.1. Sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione
Il D.L. n. 83/2012 ha introdotto una nuova disposizione, l’art. 182-sexies L.F., per effetto del
quale – nei confronti del debitore che ha presentato una delle predette istanze riguardanti l’accordo di ristrutturazione delle passività (o il ricorso per concordato preventivo) – operano alcune
particolari regole di natura civilistica:
 sino alla data di deposito della domanda di tali atti, continua ad esplicare i propri effetti l’art.
2486 c.c., inerente gli adempimenti degli amministratori conseguenti al verificarsi di una
causa di scioglimento;
 successivamente, dal momento della domanda, e fino all’omologazione, non sono applicabili le seguenti disposizioni civilistiche: art. 2446 co. 2 e 3, 2447, 2482-bis co. 4, 5 e 6 e 2482ter c.c., riguardanti la riduzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite, o la
zione soggettiva attiva di natura patrimoniale – doveva essere applicata l’aliquota proporzionale del 3,00% di cui alla
precedente lettera b) della medesima disposizione, riguardante i provvedimenti “recanti condanna al pagamento di
somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” (R.M. 31 gennaio 2008, n. 28/E, in banca dati “fisconline”).
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Entrambe in banca dati “fisconline”.
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diminuzione dello stesso al di sotto del minimo legale delle società di capitali. Analogamente,
non opera, per il medesimo periodo, la corrispondente disciplina relativa alle cause di
scioglimento di cui agli artt. 2484 co. 1 n. 4, e 2545-duodecies c.c., quest’ultima prevista per le
società cooperative. I corrispondenti obblighi di ricapitalizzazione sono, pertanto, rinviati
al momento dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato
preventivo11.
Sotto il primo profilo, la circ. Assonime n. 4/2013 ha osservato che l’art. 182-sexies L.F. non
sospende l’operatività delle disposizioni civilistiche che regolano gli obblighi informativi degli
amministratori verso l’assemblea, né quelli di gestione conservativa dell’impresa cui sono tenuti
quando si verifica una causa di scioglimento della società. In altri termini, la norma non esonera gli amministratori dall’obbligo – in presenza di perdita del capitale – di convocazione
dell’assemblea per la presentazione di una situazione patrimoniale aggiornata e l’assunzione degli
opportuni provvedimenti: la novità è rappresentata dal fatto che questi ultimi comprendono anche la decisione di presentare l’istanza di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
o il ricorso per concordato preventivo, pure nella forma della domanda “in bianco” o di pre-accordo. Qualora appaia necessario proteggere tempestivamente l’integrità del patrimonio
sociale, gli amministratori devono depositare una delle predette domande prima della riunione
assembleare, salvo che lo statuto riservi ai soci la competenza in merito all’approvazione della
proposta concordataria: è opportuno che gli amministratori intraprendano i necessari tentativi di
risanamento non soltanto quando dal bilancio d’esercizio risulti una perdita idonea a determinare l’applicabilità degli artt. 2446 e 2447 c.c., ma anche qualora gli amministratori accertino uno
squilibrio nella situazione finanziaria della società, tale da compromettere la continuità aziendale
e, quindi, la conseguente conservazione del valore dell’impresa12.
L’art. 182-sexies L.F., sebbene circoscriva la permanenza degli obblighi di cui all’art. 2486 c.c.
sino alla data della presentazione di una delle istanze riguardanti l’accordo di ristrutturazione dei
debiti o della domanda di concordato preventivo, deve essere rispettata, ad avviso dell’Assonime,
anche nella fase successiva, sino all’omologazione: in tale orizzonte temporale, la gestione dell’impresa deve, infatti, conformarsi ai contenuti del piano, e svolgersi sotto il controllo
dell’autorità giudiziaria, perseguendo unicamente il criterio della migliore soddisfazione dei creditori.
L’art. 182-sexies L.F., come anticipato, dispone, peraltro, una mera sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione, dalla data della domanda a quella di omologazione: conseguentemente, a parere della circ. Assonime n. 4/2013, il piano posto alla base dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo deve prevedere
che, al giorno dell’omologazione, la società – anche grazie alle sopravvenienze attive
conseguenti alle rinunce dei creditori, e ad eventuali nuovi apporti a titolo di mezzi propri
– sia dotata di un capitale sociale almeno pari al minimo legale13.
11
Tale beneficio, sebbene sia previsto da norme che assumono una maggiore rilevanza nell’ottica della prosecuzione dell’attività aziendale, deve ritenersi invocabile anche qualora l’accordo di ristrutturazione dei debiti o il concordato preventivo siano utilizzati con finalità meramente liquidatorie. Conseguentemente, se ne può, pertanto, desumere un’ulteriore evoluzione della filosofia del R.D. n. 267/1942, orientato a considerare il fallimento una extrema ratio, cui ricorrere soltanto quando la crisi non sia stata tempestivamente affrontata e la migliore soddisfazione dei creditori non possa
essere in altro modo garantita.
12
Sul punto, si veda N. Abriani, Governo societario e prevenzione della crisi, in “Relazione al VI Congresso Italo Spagnolo di Diritto Commerciale”, 25-26 ottobre 2012. P. Montalenti, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, Riv. Dir. Soc., n. 4/2011, aveva segnalato, peraltro, la necessità che – a fronte della maggiore ampiezza degli strumenti presenti nell’ordinamento per uscire dalla crisi – si specifichino le responsabilità degli
amministratori.
13
In senso conforme, si vedano le Linee guida al finanziamento alle imprese in crisi, progetto a cura dell’Università di Firenze in collaborazione con Assonime e Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Seconda edizione in corso di elaborazione.
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6.2. Disciplina dei crediti prededucibili
L’art. 48, co. 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 aveva introdotto l’art. 182-quater L.F., stabilendo, in particolare, il riconoscimento dei seguenti benefici:
 la prededuzione14 dei crediti derivanti da finanziamenti erogati – da banche ed intermediari
finanziari, iscritti negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107 del D.Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 –
all’impresa in stato di crisi, sotto qualsiasi forma, in esecuzione del concordato preventivo, ovvero dell’omologato accordo di ristrutturazione dei debiti. Questo principio operava anche, in
deroga a quello di postergazione sancito dagli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., ai finanziamenti
erogati dai soci, nel limite dell’80% del loro ammontare;
 la parificazione ai crediti prededucibili di quelli ascrivibili ai finanziamenti concessi dagli intermediari di cui al precedente punto, in funzione della presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, ovvero dell’istanza di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (c.d. finanziamenti-ponte), purché fossero previsti dai rispettivi piani proposti
per la soddisfazione dei creditori, e la prededuzione fosse espressamente contemplata nel provvedimento del tribunale di accoglimento della domanda di ammissione al concordato preventivo, oppure di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
La predetta disciplina è stata sostanzialmente riscritta dal D.L. n. 83/2012, apportando le seguenti modifiche all’art. 182-quater L.F.:
 co. 1: è stato eliminato il riferimento a “banche ed intermediari iscritti finanziari iscritti negli
elenchi di cui agli artt. 106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”. La novità
normativa è estremamente rilevante, in quanto attribuisce la natura di credito prededucibile a tutti i finanziamenti concessi in esecuzione di un concordato preventivo o di
un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, a prescindere dalla natura del soggetto
erogante, salvo quanto stabilito per i soci (co. 3);
 co. 2: è stata recepita l’abrogazione di cui al punto precedente, confermando che sono
parificati ai crediti prededucibili previsti dal co. 1 quelli derivanti da finanziamenti erogati
in funzione della presentazione dell’istanza di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, o della domanda di ammissione al concordato preventivo,
qualora siano previsti, rispettivamente, dall’intesa ex art. 182-bis del R.D. n. 267/1942 o dal
piano di cui all’art. 160 L.F., e la prededuzione sia espressamente disposta dal tribunale nel
decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o di ammissione al concordato preventivo;
 co 3: in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. (c.d. “principio di postergazione alla restituzione dei finanziamenti dei soci”), l’art. 182-quater, co. 1 e 2, L.F., si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’80% del loro ammontare. In
altri termini, rispetto a quanto contemplato nella formulazione previgente della disposizione,
è stata prevista anche l’operatività del co. 2, riguardante i crediti parificati a quelli prededucibili, e non soltanto quella del co. 1 relativa ai crediti prededucibili propriamente detti. È
stato altresì stabilito che i predetti co. 1 e 2 si applicano pure “quando il finanziatore ha acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o
del concordato preventivo”. Tale rinvio, come osservato anche dalla Circolare Assonime n.
4/2013, comporta che per tali soggetti – a differenza di coloro che finanziano la società essendone già soci – non opera la limitazione della prededucibilità all’80% dell’ammontare
del credito concesso alla società15;
14
In termini generali, la prededuzione è prevista da una norma dettata per il fallimento (art. 111 del R.D. n. 267/1942),
che attribuisce il diritto al pagamento prioritario – rispetto ai creditori privilegiati (lavoratori dipendenti, professionisti,
artigiani, concessionario della riscossione, ecc.) e chirografari (fornitori, banche di credito ordinario, ecc.) – a beneficio
dei crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge, ed a quelli sorti in occasione o funzione delle procedure concorsuali.
15
Sul punto, si riscontrano, tuttavia, orientamenti difformi, a dispetto di quanto sembrerebbe potersi desumersi dalla formulazione letterale della predetta norma: si veda, ad esempio, U. Tombari, I “finanziamenti dei soci” e i “finanziamenti
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Accordo di ristrutturazione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa


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co. 4: è stato abrogato integralmente, sopprimendo, quindi, il riconoscimento – espressamente
disposto nel decreto di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti – della prededucibilità del compenso del professionista incaricato
di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario o l’attuabilità
dell’intesa di cui all’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942;
co. 5: è stato inserito il riferimento ai soci, nell’ambito dei crediti parificati a quelli prededucibili di cui al precedente co. 2, esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze prescritte
per l’approvazione del concordato preventivo (art. 177 L.F.), e dalla determinazione del quorum minimo del 60% dei crediti, necessario ai fini del perfezionamento dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis del RD n. 267/1942.
6.3. Assunzione di nuovi finanziamenti prededucibili
Il suddetto quadro normativo è stato, inoltre, ulteriormente integrato dal D.L. n. 83/2012, mediante l’introduzione di alcune disposizioni, a favore dell’imprenditore in stato di crisi che presenta una domanda di ammissione al concordato preventivo (art. 161 L.F.) – anche se non ha ancora depositato la proposta, il piano e la documentazione, ai sensi del co. 6 di quest’ultima norma
– oppure un’istanza per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, o per l’estensione del divieto di azioni esecutive o cautelari (art. 182-bis, co. 1 e 6, del R.D. n. 267/1942). Il debitore può, infatti, richiedere al tribunale – a norma dell’art. 182-quinquies, co. 1, L.F. –
l’autorizzazione a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’art. 111 della Legge Fallimentare16, purché risulti soddisfatta una condizione: un professionista designato dal debitore,
in possesso dei requisiti per l’attestazione dei piani di risanamento (art. 67, co. 3, lett. d), L.F.),
dichiara – previa verifica del complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa, sino all’omologazione – che l’assunzione di tali ulteriori risorse è funzionale alla migliore soddisfazione
dei creditori17.
Sul punto, la circ. Assonime n. 4/2013 ha osservato, in primo luogo, che, a tale fine, il professionista attestatore è chiamato a svolgere una valutazione prospettica, riguardante la
ragionevole probabilità che il sacrificio concesso all’assunzione di un ulteriore debito
comporti per i creditori anteriori una soddisfazione migliore di quanto gli stessi avrebbero
ricavato se il credito non fosse stato concesso. Se l’autorizzazione è rilasciata, il potenziale
finanziatore avrà subito la certezza che il credito eventualmente erogato sarà soddisfatto con preferenza rispetto agli altri, a prescindere dal provvedimento che sarà assunto in merito all’ammissione del concordato preventivo e all’omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti: il finanziatore non deve più attendere il verificarsi di un giudizio eventuale ed incerto per conoscere le sorti del proprio credito, con l’effetto che è,
infragruppo” dopo il “Decreto Sviluppo” (art- 182 quater e quinquies, l.fall.): prededucibilità o postergazione? Prime
considerazioni sul diritto societario della crisi, Relazione al convegno “Come gestire le crisi aziendali”, 24 ottobre 2012:
il limite dell’80% deve ritenersi operante per tutti i finanziamenti dei soci, a prescindere dal fatto che l’erogante sia già
socio, effettuati in funzione, esecuzione od occasione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione
dei debiti, in virtù dell’esistenza – in relazione a tali finanziamenti – di un principio generale di prededucibilità attenuata.
16
L’intervento normativo, così come quello riguardante il pagamento anticipato dei creditori anteriori “essenziali” per la
continuità aziendale, è ispirato al c.d. first day orders del Bankruptcy code statunitense, e si propone di risolvere una
delle principali criticità del sistema previgente: la sostanziale inesistenza di un mercato della finanza interinale, dovuta,
soprattutto, alla circostanza che i finanziatori non possono sapere se il proprio credito godrà o meno della prededuzione sino ad un momento molto avanzato del procedimento di soluzione della crisi dell’impresa.
17
Il tribunale, assunte eventualmente sommarie informazioni, può accogliere l’istanza del debitore anche in relazione a
finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entità, e non ancora oggetto di specifiche trattative: l’autorizzazione
può riguardare anche la concessione del diritto di pegno od ipoteca, a garanzia dei predetti finanziamenti. Le notizie
acquisite dall’autorità giudiziaria devono, in ogni caso, essere adeguate rispetto alla rilevanza del provvedimento di autorizzazione da assumere: il riconoscimento della qualificazione di credito “prededucibile” può, infatti, danneggiare gli
altri creditori. È, pertanto, necessario che il tribunale prenda la propria decisione sulla base di elementi attendibili,
connotati da un sufficiente grado di completezza.
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quindi, maggiormente incentivato – rispetto al contesto normativo previgente – ad investire nel risanamento dell’impresa in crisi. In altri termini, sono superati i limiti impliciti
– espressa disposizione del giudice nel decreto che accoglie la domanda di ammissione al
concordato preventivo od omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art.
182-quater, co. 2, L.F.) – previsti, invece, per i c.d. finanziamenti-ponte, ovvero contratti
durante la fase di predisposizione del piano, nell’attesa di depositare la domanda.
6.4. Pagamento anticipato di creditori anteriori
Ai sensi dell’art. 182-quinquies, co. 5, del R.D. n. 267/1942, il debitore che presenta un’istanza per
l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o l’estensione al periodo delle trattative
del divieto di azioni esecutive o cautelari (art. 182-bis, co. 1 e 6, L.F.) – analogamente al caso di
deposito di ricorso, anche con riserva, per concordato preventivo con continuità aziendale (art.
186-bis L.F.) – può chiedere al tribunale di essere autorizzato – assunte, se del caso, sommarie
informazioni – a pagare creditori anteriori all’accordo (o al concordato preventivo), purchè un
professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. attesti che tali
versamenti si riferiscono ad acquisti di beni e a prestazioni di servizi “essenziali per la
prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”18.
Qualora la richiesta autorizzazione venga concessa, i pagamenti effettuati per effetto della stessa
non sono soggetti all'azione revocatoria di cui all’art. 67 del R.D. n. 267/1942.
6.5. Transazione fiscale e contributiva
L’art. 182-ter, co. 6, del R.D. n. 267/1942 stabilisce che, nel corso delle trattative che precedono la definizione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (così come in sede di formulazione del piano di concordato preventivo), il ricorrente può formulare una proposta di pagamento, parziale19 o anche dilazionato, dei seguenti debiti:
a) tributi amministrati dalle agenzie fiscali, e relativi accessori (interessi, indennità di
mora e sanzioni, comprese quelle amministrative per violazioni tributarie), con espressa esclusione di quelli costituenti risorse proprie dell’Unione Europea – come, ad esempio, i diritti agricoli e doganali – e dei tributi locali (Ici/Imu, Tarsu, Tosap, imposta sulle pubblicità e diritto
sulle affissioni), ad eccezione dell’Irap, come peraltro desumibile dalla circ. 18 aprile 2008,
n. 40/E (par. 4.2.1);
b) contributi gestiti dagli enti di competenza delle forme obbligatorie di previdenza ed assistenza.
La soddisfazione ridotta è ammessa, anche relativamente alle somme non iscritte a ruolo, purchè
vengano rispettate le disposizioni di cui all’art. 182-ter L.F. (circ. n. 40/E/2008, par. 5.1).
La proposta di pagamento parziale è, in ogni caso, esclusa – per espressa previsione normativa – nei confronti dei debiti per imposta sul valore aggiunto, nonché delle ritenute operate e non versate, come previsto dall’art. 182-ter, co. 1, primo periodo, del R.D. n. 267/1942,
18
L’attestazione del professionista non è, tuttavia, dovuta per i pagamenti da effettuarsi sino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione, oppure il cui rimborso
sia postergato rispetto alla soddisfazione dei creditori.
19
La ratio dell’istituto, ovvero evitare il dissesto irreversibile dell’imprenditore commerciale, impone agli uffici dell’Amministrazione Finanziaria di valutare – a fronte della minore entrata conseguente alla riduzione dell’imposta accertata,
degli interessi e delle sanzioni irrogate – l’impatto virtuoso dell’accordo proposto, sotto il profilo occupazionale e produttivo della vicenda e, in generale, degli interessi sia privati che pubblici, assumendo come fondamentale il ruolo della
transazione (circ. n. 40/E/2008, in banca dati “fisconline”). Sul punto, si veda anche V. Ficari, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” dei debiti tributari, in “Rassegna tributaria”, n. 1/2009, p. 68: rispetto a questi interessi,
l’ufficio deve, quindi, decidere, nel caso concreto, se accettare l’istanza di transazione fiscale – secondo i tempi ed il
quantum proposti – oppure proporre delle modifiche o condizionare l’accettazione alla prestazione di una garanzia idonea ad eliminare il rischio che il debitore, a seguito della transazione fiscale, non adempia al pagamento delle imposte che residuano alla riduzione concordata.
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Accordo di ristrutturazione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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introdotto dall’art. 146, co. 1, del D.Lgs. n. 5/2006 e, poi, modificato dall’art. 29, co. 2, lett. a), del
D.L. n. 78/2010. Quest’ultima disposizione ha, infatti, esteso ai debiti derivanti dall’omesso versamento di ritenute l’inoperatività della tipica fattispecie della falcidia, lasciando immutata la prospettabilità dell’ipotesi del differimento dei termini di pagamento. L’Agenzia delle Entrate ha, tuttavia, precisato che la riduzione può, invece, riguardare gli importi dovuti a titolo di accessori
(circ. 10 aprile 2009, n. 14/E20, par. 3).
In sede di formulazione della proposta di transazione fiscale, il debitore deve osservare alcuni
specifici criteri, a seconda della natura dei crediti tributari e contributivi:
1) privilegiata: la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere
inferiori a quelli offerti ai creditori aventi un grado di prelazione inferiore, ovvero una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori delle
forme obbligatorie di previdenza ed assistenza;
2) chirografaria: il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori della medesima natura, ovvero – nel caso di suddivisione in classi – dei creditori chirografari ai quali è riservata una soddisfazione più favorevole.
Alla luce di quanto sopra riportato, è, pertanto, necessario che il consulente del debitore, ai fini
della formulazione della proposta di transazione fiscale e contributiva, segua una specifica procedura, che si compone delle seguenti fasi:
 individuazione del debito principale e quello accessorio (sanzioni ed interessi);
 consultazione dell’estratto di ruolo e le ispezioni ipotecarie;
 verifica dell’esistenza di debiti che possono beneficiare del ravvedimento, contenziosi pendenti
e rateizzazioni in corso;
 identificazione delle passività assoggettabili a transazione fiscale e contributiva;
 distinzione della quota privilegiata dei predetti debiti da quella chirografaria.
Presentazione della proposta
L’offerta di transazione fiscale deve essere depositata presso il concessionario del servizio nazionale della riscossione e l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla seguente documentazione:
1) gli atti di cui all’art. 161 della Legge Fallimentare, così come già previsto per la presentazione
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, a norma del successivo art. 182-bis, co. 1, del R.D.
n. 267/1942;
2) la dichiarazione sostitutiva resa dal debitore, ovvero dal proprio legale rappresentante, a norma dell’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in merito alla circostanza che la documentazione di cui al punto precedente riporta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio21.
In particolare, la proposta di transazione fiscale deve riportare le seguenti informazioni:
 le generalità del proponente;
 le linee guida del piano di accordo di ristrutturazione dei debiti sottoposto ai creditori;
 la dettagliata ricostruzione della posizione fiscale del contribuente, nei termini a lui
nota, compresa la precisazione di eventuali contenziosi pendenti22;
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In banca dati “fisconline”.
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L’art. 11, co. 2, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 prevede la punibilità, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, di
chiunque – al fine di ottenere, per sé o altri, un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori – abbia esposto, nella
documentazione presentata ai fini dell’accesso alla transazione fiscale, elementi attivi per un ammontare inferiore a
quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro 50.000, ma non ad euro
200.000: nel caso di importi eccedenti quest’ultima soglia, è prevista la reclusione da uno a sei anni.
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L’accorto di transazione fiscale può, infatti, riguardare pure i debiti rispetto ai quali risulti pendente una lite, anche in
secondo o terzo grado di giudizio, e dunque ancora incerti nel loro ammontare.
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 la descrizione della proposta di transazione fiscale, con la specificazione dei tempi, delle modalità e garanzie prestate per l’adempimento, nonché di ogni elemento utile alla valutazione della fattibilità e convenienza dell’offerta formulata dal debitore
L’art. 182-ter, co. 6, L.F. nulla stabilisce, tuttavia, relativamente all’allegazione – contemplata nell’ipotesi di concordato preventivo, ai sensi del precedente co. 2, non invocato per la fattispecie
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti – della copia delle dichiarazioni fiscali per le quali
non è pervenuto l’esito dei controlli automatici, nonché di quelle integrative relative sino al
periodo sino alla data della presentazione della domanda. Ai fini di una migliore celerità ed efficienza del procedimento, si ritiene comunque opportuno produrre anche questi documenti, sebbene non espressamente richiamati dalla suddetta disposizione23.
Nei trenta giorni successivi alla presentazione della domanda, l’assenso alla proposta di transazione fiscale è espresso con un atto, differenziato in relazione all’eventuale ruolo degli importi, emesso da uno dei seguenti soggetti: 23
 direttore dell’Agenzia delle Entrate, su parere conforme della competente direzione regionale,
relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario
della riscossione, alla data di deposito dell’istanza;
 concessionario, su indicazione del direttore dell’ufficio, previo parere conforme della competente direzione generale, con riferimento ai tributi già iscritti a ruolo e consegnati al concessionario della riscossione alla data di presentazione della domanda.
La corretta adozione della suddetta procedura consegue, pertanto, l’effetto di sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti da parte dell’Amministrazione Finanziaria,
salvo il caso in cui vengano apposte, da parte di quest’ultima, ulteriori o differenti condizioni: al ricorrere della suddetta ipotesi, deve essere stipulata e firmata un’apposita intesa integrativa (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili,
Osservazioni in tema di transazione fiscale, aprile 2010, par. 2.1).
Transazione contributiva
L’entrata in vigore dell’art. 32, co. 5, lett. a), del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 – a modifica
dell’art. 182-ter, co. 1, del R.D. n. 267/1942 – ha esteso la proponibilità della riduzione di pagamento anche ai contributi amministrati dagli enti gestori delle forme obbligatorie di assistenza e
previdenza.
La proposta di transazione contributiva deve essere corredata, analogamente a quella fiscale,
della documentazione prevista dall’art. 161, co. 2, del R.D. n. 267/1942, unitamente alla relazione
del professionista in possesso dei requisiti di cui al precedente art. 67, co. 3, lett. d), L.F., in merito all’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. La facoltà in parola deve essere esercitata in ossequio alle modalità di applicazione ed ai criteri previsti dal D.M. 4 agosto 2009, e
precisamente:
1) l’accordo può essere proposto soltanto dagli imprenditori commerciali – con espressa esclusione degli enti pubblici – soggetti alle disposizioni riguardanti il fallimento ed il concordato
preventivo, a norma dell’art. 1 del R.D. n. 267/1942;
2) la transazione può riguardare i crediti per contributi, premi ed accessori di legge, indipendentemente dall’iscrizione a ruolo, assistiti da privilegio, ovvero aventi natura chirografaria: non è, invece, prospettabile con riferimento ai crediti oggetto di cartolarizzazione, ai sensi
dell’art. 13 della L. 23 dicembre 1998, n. 44, ovvero dovuti in esecuzione delle decisioni assunte dagli organi comunitari, in materia di aiuti di Stato;
23
In senso conforme, si veda il parere del 7 febbraio 2008 della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna dell’Agenzia
delle Entrate, secondo cui è determinante, ai fini della formazione di una consapevole volontà dell’ente coinvolto, che il
debitore alleghi anche tutte le dichiarazioni fiscali per le quali non è ancora pervenuto l’esito dei controlli automatici,
nonché le eventuali dichiarazioni integrative.
Luglio 2013
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Accordo di ristrutturazione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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3) l’intesa di decurtazione delle passività previdenziali ed assistenziali è, in ogni caso, soggetta ad
alcuni limiti minimi di soddisfazione, inderogabili e differenziati a seconda della natura delle stesse:
 privilegiata di cui all’art. 2753 c.c., ovvero debiti per contributi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti: 100,00%;
 privilegiata ai sensi dell’art. 2754 c.c., quali i debiti per contributi relativi a forme di
assicurazione diverse da quelle indicate nel punto precedente: 40,00%;
 privilegiata a titolo di accessori dei debiti di cui agli artt. 2753 e 2754 del codice civile:
40,00%;
 per premi: 100,00%;
 chirografaria: 30,00%;
4) l’offerta di dilazione di pagamento non può comunque eccedere le sessanta rate mensili, soggette all’applicazione degli interessi legali al tasso vigente.
La congiunta soddisfazione dei suddetti requisiti non determina necessariamente l’accettazione
della proposta del debitore, da parte dell’ente previdenziale oppure assistenziale destinatario della
stessa, essendo subordinata ad alcune ulteriori condizioni:
a) l’idoneità dell’attivo ad assicurare il soddisfacimento dei crediti, anche mediante la prestazione di alcune garanzie, qualora il debitore abbia proposto il pagamento dilazionato (circ. Inps
15 marzo 2010, n. 3824);
b) il riconoscimento formale e incondizionato del credito per contributi e premi, e la
conseguente rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sulla esistenza ed azionabilità
dello stesso;
c) la correntezza nel pagamento dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi
alla presentazione della proposta di accordo;
d) il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni
dei lavoratori dipendenti, ai fini dell’accesso alla dilazione dei crediti: sul punto, l’Inps è
dell’avviso che tale condizione debba essere osservata anche nell’ipotesi di pagamento parziale
dei crediti contributivi;
e) l’essenzialità dell’accordo per garantire la continuità dell’attività dell’impresa e di
ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto dell’importanza che la stessa
riveste nel contesto economico-sociale dell’area in cui opera.
L’accordo di transazione contributiva, accettato dall’ente previdenziale ovvero assistenziale, è revocato, qualora venga accerta l’inosservanza degli obblighi in esso previsti.
Le disposizioni di cui sopra, riportate nel D.M. 4 agosto 2009, sono state, inoltre, recepite da alcune specifiche e circolari dell’Inps e dell’Inail, che forniscono ulteriori indicazioni in merito alla
formulazione del piano di riduzione o dilazione di pagamento.
Circolare Inps 15 marzo 2010, n. 38
La proposta di transazione contributiva deve essere depositata presso la competente sede dell’Inps, ed all’agente della riscossione nel caso di crediti iscritti a ruolo, allegando – oltre agli atti di
previsti dall’art. 161 del R.D. n. 267/1942, ed alla relazione del professionista in possesso dei requisiti di cui al precedente art. 67, co. 3, lett. d), L.F. – i seguenti documenti, a pena di improcedibilità:
1) un prospetto riportante il grado di soddisfacimento, i tempi e le modalità di pagamento per gli ulteriori debiti;
2) la quietanza di versamento degli aggi dovuti dall’esattore, in caso di crediti iscritti a ruolo.
Circolare Inail 26 febbraio 2010, n. 8
Ad integrazione di quanto previsto dal D.M. 4 agosto 2009, l’Inail ha altresì chiarito che l’accordo
con il debitore può riguardare anche i seguenti crediti:
24
In banca dati “fisconline”.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Accordo di ristrutturazione dei debiti
 in contenzioso, previa rinuncia alle controversie pendenti subordinata all’approvazione della
transazione contributiva;
 oggetto di rateizzazione ordinaria concessa dall’Inail, ovvero dall’agente della riscossione;
 cartolarizzati, ai sensi della L. 23 dicembre 1999, n. 488, in quanto retrocessi all’ente a seguito
della chiusura dell’operazione.
La fattispecie della revoca dell’accordo, contemplata dal decreto in parola, ricorre in alcune specifiche ipotesi espressamente individuate dall’Inail:
1) il mancato ovvero l’inesatto pagamento delle somme stabilite nella transazione contributiva;
2) l’inosservanza del paino di rateazione.
Revoca della transazione fiscale e contributiva
L’art. 182-ter, co. 7, del R.D. n. 267/1942 prevede espressamente l’istituto della revoca di diritto
della transazione fiscale, conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti: tale fattispecie opera nel caso il cui il debitore non esegua integralmente, entro 90 giorni dalle
scadenze previste, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali ed agli enti gestori delle forme obbligatorie di previdenza ed assistenza. Un effetto analogo si consegue nel caso in cui l’accordo di ristrutturazione dei debiti, nel quale possono essere inserite la transazione fiscale e quella contributiva, non venga omologato dal tribunale.
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Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013 – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Capitolo III
Concordato preventivo dopo
il D.L. n. 69/2013
di Michele Bana
L’art. 33 del D.L. n. 83/2012, prima, e l’art. 82 del Decreto “Fare”, poi, hanno modificato significativamente la disciplina del concordato preventivo. Le principali novità riguardano il deposito della domanda “in bianco” – in funzione della quale può già essere nominato il commissario
giudiziale – e quella in continuità aziendale, a cui sono collegati altri aspetti rilevanti: ad esempio, la possibilità di richiedere la moratoria dei debiti privilegiati, nonché lo scioglimento o la
sospensione dei contratti pendenti.
1. Presupposti
Nel corso degli ultimi mesi, le disposizioni di accesso al concordato preventivo, ed i relativi effetti, sono state interessate, da rilevanti modifiche ed integrazioni normative – oltre a quelle comuni
all’accordo di ristrutturazione dei debiti, già esaminate nel capitolo II – riguardanti i seguenti aspetti:
 la documentazione da presentare con il ricorso;
 il ricorso di pre-concordato preventivo (c.d. domanda “in bianco”);
 il compimento di atti;
 la gestione dei contratti pendenti;
 il concordato in continuità aziendale;
 la votazione della proposta concordataria;
 il procedimento di omologazione.
Il presente capitolo si propone, pertanto, di illustrare le principali novità introdotte dall’art. 33 del
D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. Decreto “Sviluppo”) e dall’art. 82 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69
(c.d. Decreto “Fare”).
2. Documentazione da presentare con il ricorso
L’art. 33, co. 1, lett. b), del Decreto Sviluppo ha modificato l’art. 161 del R.D. 16 marzo 1942, n.
267, per effetto del quale, in primo luogo, il debitore è tenuto a depositare, unitamente alla domanda di concordato preventivo ed agli altri documenti già previsti dal comma 2 della disposizione1, “un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”2. È stato, inoltre, modificato il successivo comma 3, sotto un
duplice profilo:
1
Sul punto, si rammenta che, ai sensi del citato comma 2 dell’art. 161 L.F., il debitore deve presentare, con il ricorso per
concordato preventivo, i seguenti documenti: una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa; uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi importi e delle cause di prelazione; l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso del debitore; il valore dei debiti ed i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
2
La novità normativa si propone, pertanto, di agevolare i creditori, i quali possono disporre di maggiori elementi per valutare la concreta fattibilità del piano concordatario, potendo fare affidamento – soprattutto nel caso di concordato
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013
 analogamente al piano attestato di risanamento, e all’accordo di ristrutturazione della passività, è stata espressamente attribuita al debitore la competenza esclusiva a designare il
professionista di cui all’art. 161, co. 3, L.F., incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del predetto piano concordatario;
 l’obbligo di deposito della relazione di cui al punto precedente è stato esteso al “caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano”.
È stato altresì rettificato il comma 5 dell’art. 161 L.F., istituendo l’obbligo, a carico del cancelliere, dell’iscrizione della domanda di concordato preventivo3, presso il registro
delle imprese, entro il giorno successivo al deposito in tribunale: è, quindi, da questa data – in luogo di quella previgente della “presentazione del ricorso” – che decorrono gli effetti del
deposito della domanda di concordato preventivo (art. 168, co. 1, del R.D. n. 267/1942). Analogamente, il concordato preventivo omologato diviene obbligatorio – a norma del novellato art.
184, comma 1, della Legge Fallimentare – per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione, presso
il registro delle imprese, del ricorso del debitore.
Al successivo comma 3 dell’art. 168 L.F., è stato aggiunto un importante principio,
anch’esso agganciato al nuovo adempimento posto a carico del cancelliere: “Le ipoteche
giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”. La novità normativa è di grande rilievo, in quanto destinata a porre fine ad una
prassi particolarmente frequente tra i creditori, in particolar modo negli ambienti finanziari: tali soggetti sono, infatti, soliti – non appena riscontrati i primi sintomi della crisi
d’impresa, oppure durante le trattative funzionali alla definizione del piano attestato di risanamento, o alla stipulazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, che non siano,
poi, andati a buon fine – richiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo, in virtù del quale iscrivono l’ipoteca giudiziale sui beni del debitore. Per effetto della novità introdotta, nel co. 3 dell’art. 168 L.F., dal Decreto Sviluppo, tali ipoteche
giudiziali – se iscritte nei 90 giorni precedenti la pubblicazione, presso il registro delle
imprese, del ricorso – divengono automaticamente inefficaci.
3. Domanda di concordato in bianco
L’art. 33 del D.L. n. 83/2012 ha, tra l’altro, introdotto il comma 6 dell’art. 161 L.F. – poi, modificato dall’art. 82 del D.L. n. 69/2013 – per effetto del quale l’imprenditore in stato di crisi può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato, riservandosi di presentare la proposta,
il piano e la documentazione di cui ai co. 2 e 3 entro un termine fissato dal giudice, compreso
tra 60 giorni4 e 120 giorni5, prorogabile per un periodo non superiore a 60 giorni, in presenza di
preventivo con cessione dei beni – su termini di adempimento maggiormente certi. In mancanza di tale informativa, è
tenuto a provvedervi il tribunale, in sede di decreto di omologazione, a norma dell’art. 182 della Legge Fallimentare: la
definizione delle modalità e dei tempi dell’adempimento è, infatti, fondamentale per individuare, poi, le fattispecie della regolare esecuzione, della risoluzione o dell’annullamento del concordato (artt. 185 e 186 L.F.).
3
L’adempimento deve essere assolto anche nel caso del deposito della domanda anticipata, ovvero con riserva di successiva presentazione della proposta, del piano e della documentazione, nei termini che saranno fissati dal tribunale (art.
161, co. 6, del R.D. n. 267/1942).
4
Sul punto, il Tribunale di Milano (plenum del 20 settembre 2012) ha osservato che, in mancanza di specifiche richieste
di un maggior termine, da parte del debitore, oppure nel caso di istanze immotivate o non supportate di idonea documentazione, la scadenza sarà sempre fissata nel minimo di 60 giorni, salvo un aumento di 5-10 giorni per consentire alla cancelleria di effettuare le comunicazioni di rito. Trattandosi di un termine previsto nell’interesse del debitore, è altresì prospettabile che quest’ultimo richieda ed ottenga la concessione di una proroga inferiore al predetto minimo.
5
Il legislatore ha, quindi, proposto un modello analogo a quello del Chapter 11 del Bankruptcy code statunitense, che
consente al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio, connessi al deposito della domanda di
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Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013 – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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giustificati motivi, tesi a garantire una migliore soddisfazione dei creditori, rispetto all’ipotesi della formulazione della proposta nei tempi ordinari. Tale disposizione è particolarmente
rilevante, in quanto consente al debitore di beneficiare immediatamente della protezione
del proprio patrimonio, in virtù dell’operatività – per effetto della pubblicazione, presso il registro delle imprese, del ricorso per concordato preventivo presentato in tribunale, e sino
all’omologazione – del divieto, posto in capo ai creditori, di iniziare o proseguire azioni esecutive
o cautelarti (art. 168, co. 1, L.F.).
Qualora sia già pendente il procedimento per la dichiarazione di fallimento, il termine
per il deposito degli atti è, in ogni caso, fissato in 60 giorni, con possibilità di proroga, per un
periodo di pari durata, in presenza di giustificati motivi. In altri termini, la preesistenza di
un’istruttoria pre-fallimentare non impedisce la presentazione di un ricorso per concordato preventivo, e la decisione in merito a quest’ultimo – come già osservato sia dalla giurisprudenza di merito (Trib. Velletri, 17 settembre 2012, Trib. Milano 25 marzo 2010 e 15 ottobre
2009) che dall’Assonime, nel Caso n. 11/2009 – assume carattere pregiudiziale rispetto all’istanza
di fallimento.
A questo proposito, la circ. Assonime n. 4/2013 sostiene – coerentemente coi primi orientamenti
della giurisprudenza (Trib. Bolzano 25 settembre 2012, e Linee guida del Tribunale di Milano) –
che il potere del tribunale non investa la concessione o meno del termine, ma soltanto la definizione della durata. A parere delle Linee guida del Tribunale di Milano, il termine è concesso nell’interesse esclusivo del debitore, sempre nella misura minima di 60 giorni – salvo
che costui richieda un tempo inferiore – se la domanda non è motivata o supportata da idonea documentazione6.
3.1. Caratteristiche del ricorso
La predetta facoltà riservata al debitore ha formato oggetto di un’ampia analisi da parte del Tribunale di Milano (plenum del 20 settembre 2012), secondo cui la domanda di pre-concordato preventivo:
 essendo presentata nella forma di ricorso, richiede sempre l’assistenza di un avvocato.
Qualora manchi la procura, è possibile dare corso ad integrazioni istruttorie successive con la
sua produzione. Esaminata la domanda, il Presidente della Sezione Fallimentare nomina un
Giudice Relatore, che rimarrà lo stesso – come Delegato – nella procedura conseguente di
concordato preventivo od accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis L.F., e
comunica il ricorso pure al Pubblico Ministero;
 può essere accolta anche se formulata nel modo più semplice, con il proprio contenuto minimo7, a condizione che il debitore richieda espressamente la concessione del termine per
effettuare le successive produzioni. Diversamente, in mancanza, potrebbe sorgere il dubconcordato preventivo: al contempo, si impedisce che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la
situazione di crisi, sino a generare un vero e proprio stato d’insolvenza.
6
L’inammissibilità della domanda può, quindi, essere pronunciata soltanto nell’ipotesi di difetto del predetto contenuto
minimo essenziale, e quando il debitore – nei due anni precedenti – abbia già presentato una domanda di concordato
con riserva, a cui non ha, poi, fatto seguito l’ammissione alla procedura, né l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti eventualmente richiesta in pendenza del termine assegnato per il deposito del piano di concordato, della proposta e della documentazione di cui all’art. 161 del R.D. n. 267/1942.
7
La possibilità di considerare sufficiente il contenuto minimo nasce dalla considerazione che, se non sono proposte istanze particolari da deliberare contestualmente o comunque subito (autorizzazione al pagamento di creditori anteriori, compimento degli atti di straordinaria amministrazione, ecc.), il tribunale non può imporre l’ostensione di elementi
che sono ancora oggetto di studio: a questo proposito, si consideri che, alla scadenza del termine concesso, il debitore
può liberamente decidere di depositare la proposta di concordato preventivo, oppure un’istanza per l’omologazione di
un accordo per la ristrutturazione dei debiti, a dimostrazione di quanto sia superfluo richiedere che sia indicato prima
il contenuto di ciò che potrebbe, poi, formare oggetto di una diversa determinazione. A ciò si aggiunga che, ad avviso
dei giudici milanesi, non sussisterebbero i mezzi per sanzionare il deposito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti con un contenuto diverso da quello originariamente ipotizzato.
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bio che si tratti di una domanda definitiva e, quindi, inammissibile per carenza dei corrispondenti presupposti, pur essendo prospettabili integrazioni istruttorie;
 deve essere accompagnata da un aggiornato certificato camerale, nonché dai bilanci8 relativi agli ultimi tre esercizi – per “consentire al tribunale di valutare quantomeno la sussistenza
dei presupposti dimensionali di fallibilità dell’impresa” – e dall’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti.
Alla luce del combinato disposto dei commi 1 e 6 dell’art. 161 L.F., nonché delle prime pronunce
giurisprudenziali9, la circ. Assonime n. 4/2013, ha, poi, individuato un contenuto minimo obbligatorio della domanda di pre-concordato, riconducibile ai seguenti elementi formalmente essenziali:
 la sottoscrizione del debitore, ovvero del soggetto munito dei relativi poteri;
 l’indicazione dell’ufficio giudiziario competente, che deve essere quello del luogo in cui il debitore ha la sede principale – non necessariamente quella legale, se differente da quella operativa, ovvero dal centro decisionale – dell’impresa, a nulla rilevando eventuali trasferimenti intervenuti nell’anno precedente;
 la formale domanda di apertura della procedura di concordato preventivo, e la richiesta della
fissazione di un termine per il completamento della stessa e, quindi, per il deposito del piano,
della proposta e della documentazione.
La circ. Assonime n. 4/2013 ritiene, inoltre, che la domanda di pre-concordato non debba
necessariamente contenere un accenno al piano di concordato che il debitore intende
proporre successivamente: tale orientamento trova la propria ratio nella finalità delle nuove norme, volte – nell’interesse dei creditori – a sottoporre l’impresa in crisi al controllo
dell’autorità giudiziaria prima di quanto altrimenti possibile per presentare una documentazione completa. A questo proposito, le Linee guida del Tribunale di Milano sostengono
che sarebbe inutile indicare il contenuto di un piano che potrebbe avere un diverso successivo sviluppo.
In tale sede, era stata, tuttavia, osservata la necessità della sussistenza di una sorta di piano, nel caso in cui il debitore richieda altresì – con la domanda di concordato con riserva – alcune specifiche autorizzazioni (pagamento anticipato di creditori anteriori, assunzione di
finanziamenti prededucibili, prosecuzione di contratti pubblici, ecc.), comportanti la preventiva attestazione del professionista indipendente, il quale deve disporre di dati adeguati alla predisposizione della propria relazione. È, tuttavia, opportuno specificare alcune indicazioni,
relative, ad esempio, alla tipologia di concordato o agli atti che si intendono compiere in sua
esecuzione, seppure non vincolanti, in quanto strumentali alla valutazione che il giudice
deve operare in ordine alla fissazione del termine – soprattutto nei casi in cui sia richiesto in
misura superiore al minimo dei 60 giorni – per il deposito del piano, della proposta e della relativa documentazione.
Ciò pare trovare conferma anche nell’attività che, sempre secondo i giudici meneghini, il tribunale potrà e dovrà svolgere, ovvero verificare:
a) la propria competenza ai sensi degli artt. 9 e 161 del R.D. n. 267/1942, anche ai fini del nesso
funzionale con un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis, co. 6, L.F.);
b) la regolarità formale della domanda, accertando la sussistenza dei necessari poteri in capo
al soggetto che l’ha sottoscritto, ed eventualmente acquisendo le relative delibere assembleari;
8
Nel caso di soggetti non tenuti alla redazione del bilancio, il tribunale – qualora dubiti che il ricorrente sia un imprenditore commerciale privato di natura non piccola (art. 1 L.F.) – può richiedere la produzione di tutta la documentazione che viene solitamente esibita in sede pre-fallimentare, ai fini dell’accertamento del requisito dimensionale.
9
Per ulteriori approfondimenti, si vedano le seguenti decisioni della giurisprudenza di merito: Trib. Crotone, 4 ottobre
2012, Trib. Mantova 27 settembre 2012, Trib. Bolzano 25 settembre 2012, Trib. La Spezia 25 settembre 2012, Trib. Asti
24 settembre 2012 e Trib. Pisa 19 settembre 2012.
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Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013 – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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c) che, nel biennio precedente10, l’imprenditore non abbia presentato analoga domanda senza esito positivo. A questo proposito, si rammenta, infatti, che il co. 9 dell’art. 161 L.F., anch’esso introdotto dal D.L. n. 83/2012, stabilisce che la domanda di pre-concordato è inammissibile
qualora il debitore, nei due anni precedenti, abbia presentato un altro ricorso ai sensi della
medesima disposizione, a cui non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, né l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nel frattempo eventualmente richiesta.
3.2. Decreto di fissazione del termine
L’art. 161, comma 6, L.F., così come novellato dal Decreto “Fare”11 stabilisce che il tribunale –
con il decreto di fissazione del termine per il deposito differito del piano, della proposta e della
documentazione – può nominare il commissario giudiziale, rispetto al quale il debitore è obbligato a tenere a disposizione i libri contabili (art. 170, co. 2, L.F.), investito di un dovere analogo a quello previsto nella vera e propria procedura concorsuale. Il commissario giudiziale deve,
infatti, verificare se il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’art. 173 del R.D.
n. 267/1942, quali, ad esempio, l’esposizione di passività insussistenti o il compimento di atti
di frode: al ricorrere di una di tali ipotesi, il predetto professionista deve darne notizie immediatamente al tribunale, che, previa verifica dei suddetti comportamenti, può dichiarare improcedibile la domanda di concordato. In tale sede, l’autorità giudiziaria è altresì investita del
potere – analogamente al caso di revoca della procedura (art. 173, co. 2, L.F.) – di dichiarare il
fallimento del debitore, su istanza di uno o più creditori o del pubblico ministero, dopo aver
verificato i presupposti di fallibilità dello stesso, quali il requisito soggettivo e lo stato di insolvenza (artt. 1 e 5 del R.D. n. 267/1942).
3.3. Obblighi informativi
Il Decreto “Fare” ha, inoltre, riformulato il co. 8 dell’art. 161 L.F., anch’esso introdotto dal D.L. n.
83/2012, chiarendo che il tribunale deve disporre gli obblighi informativi periodici, anche
relativi alla gestione finanziaria dell’impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione
del piano e della proposta, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile, e
sotto la vigilanza del commissario giudiziale, se nominato, sino alla scadenza del termine
fissato per la presentazione della documentazione.
In particolare, è stabilito che il debitore deposita, con frequenza mensile, una situazione
finanziaria dell’impresa, che il cancelliere provvede, poi, a pubblicare, entro il giorno
successivo, presso il registro delle imprese. Rimane altresì confermato che, in caso di violazione, trova applicazione l’art. 162, co. 2 e 3, del R.D. n. 267/1942, con relativa dichiarazione di inammissibilità della domanda. In altri termini, il legislatore ha di fatto soppresso
l’ampio potere inizialmente attribuito al tribunale, con riferimento alla fissazione della periodicità e del contenuto degli obblighi informativi, che poteva spaziare dalla periodica
predisposizione di relazioni informative più o meno analitiche a report di carattere maggiormente specifico, ad esempio, sulle operazioni industriali e finanziarie compiute.
Conseguentemente, deve ritenersi superato l’orientamento del Tribunale di Milano, secondo
cui gli obblighi d’informativa periodica avrebbero dovuto essere imposti soltanto al ricorrere di una delle seguenti situazioni:
 concordati preventivi di grande rilievo;
10
Sul punto, il Tribunale di Milano ha opportunamente osservato che, anche se il termine biennale sembra far pensare
che per i prossimi due anni il problema non si porrà, l’impressione è fallace perché entro breve termine potrebbero essere state già rigettate alcune domande di pre-concordato, e il debitore potrebbe ripresentarle. In questo caso, come in
tutti gli altri, può essere dichiarata de plano l’inammissibilità della domanda, ordinandone altresì la cancellazione dal
registro delle imprese.
11
Cfr. M. Bana, Concordato “in bianco”, commissario prima dell’ammissione alla procedura, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, 22 giugno 2013.
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 formulazione di particolari istanze, come quelle per l’autorizzazione a compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione (art. 161, comma 7, L.F.), contrarre finanziamenti prededucibili o pagare anticipatamente creditori anteriori (art. 182-quinquies L.F.);
 concordati preventivi in continuità aziendale, o che intervengono senza la pendenza di
un’istanza di fallimento, in cui il debitore sia già stato sentito dando contezza della propria situazione patrimoniale e finanziaria.
Analogamente, la novellata formulazione dell’art. 161, co. 8, L.F. – fondata sul tassativo obbligo
informativo mensile della situazione finanziaria del debitore, nonché sulla comunicazione dell’attività dallo stesso svolga ai fini della redazione del piano – dovrebbe indurre a rivedere la
posizione del Tribunale di Milano secondo cui le informative periodiche devono essere redatte
dal legale12, nella forma di brevi atti esplicativi, descrivendo sinteticamente le attività medio
tempore compiute dal debitore, allegando esclusivamente documentazione di carattere riassuntivo, come l’elenco dei pagamenti superiori ad una certa soglia e quello degli atti negoziali di rilievo.
L’art. 82 del D.L. n. 69/2013 ha, inoltre, colmato una lacuna, individuata anche dai giudici milanesi, ovvero che l’art. 161, co. 8, L.F. introdotto dal D.L. n. 83/2012 sanzionava espressamente,
con l’inammissibilità della domanda, il mancato adempimento degli obblighi informativi,
ma non chiariva affatto se – e in che modo – il tribunale potesse punire l’imprenditore che, pur
assolvendo formalmente tali doveri, risultasse dalla stessa documentazione prodotta periodicamente inerte ai fini della predisposizione del piano, oppure avesse posto in essere atti di dispersione o erosione patrimoniale, se non anche operazioni distrattive.
Il Decreto “Fare” ha, infatti, modificato il co. 8 dell’art. 161 L.F., stabilendo che, se dall’informativa periodica risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale può – anche d’ufficio,
sentito il debitore e il commissario giudiziale, se nominato – abbreviare il termine originariamente fissato per il deposito differito del piano di concordato preventivo, della proposta e della relativa documentazione13.
3.4. Possibili comportamenti del debitore
Qualora l’imprenditore in stato di crisi, nei termini assegnati dal tribunale, non provveda, però, al
deposito della documentazione di cui all’art. 161 del R.D. n. 267/1942, trova applicazione il successivo art. 162 L.F., con possibile apertura – su istanza dei creditori o del pubblico ministero –
del procedimento per la declaratoria di fallimento, previa verifica dei presupposti di cui ai precedenti artt. 1 e 5. Nel medesimo termine fissato dal giudice, è, tuttavia, riconosciuta al debitore la
facoltà di presentare – in alternativa e con conservazione, sino all’omologazione, degli effetti prodotti dal ricorso – un’istanza per l’omologazione di un accordo per la ristrutturazione
dei debiti, raggiunto con un numero di creditori rappresentanti almeno il 60% delle proprie passività (art. 182-bis, co. 1, del R.D. n. 267/1942). Sul punto, si osservi, tuttavia, che sussistono –
come osservato anche dalla circ. Assonime n. 4/2013 – dei profili critici in ordine alla conservazione di alcuni effetti tipici della domanda di concordato preventivo “in bianco”, previsti da disposizioni speciali di quest’ultimo istituto, e non contemplate dalla disciplina dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, riguardanti i seguenti aspetti:
12
Sul punto, si rammenta che la circ. Assonime n. 4/2013 aveva, tuttavia, assunto una diversa posizione, nel caso delle
s.p.a. e s.r.l., individuando, quale naturale interlocutore del tribunale, l’organo di controllo della società, in virtù della
limitazione della gestione – per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione – a cui conduce la presentazione della
domanda di pre-concordato.
13
Il legislatore ha, pertanto, recepito la posizione del Tribunale di Milano, secondo cui in questi casi, stando alla ratio
della norma, l’autorità giudiziaria deve ritenersi investita del potere di convocare il debitore in camera di consiglio per
disporre un’eventuale abbreviazione del termine già concesso, o per la dichiarazione di sopravvenuta inammissibilità
della domanda.
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Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013 – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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 atti di straordinaria amministrazione autorizzati dal tribunale (art. 161, comma 7,
L.F.);
 inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso per concordato preventivo (art. 168, comma 3, ultimo periodo, L.F.);
 sospensione degli interessi sui crediti ed inopponibilità degli atti ai creditori anteriori al
concordato (art. 169 L.F.);
 scioglimento o sospensione dei contratti in corso di esecuzione (art. 169-bis L.F.);
 norme che favoriscono il concordato preventivo in continuità aziendale (art. 186-bis
L.F.).
La circ. Assonime n. 4/2013 si è soffermata, in particolare, sull’ipotesi dell’istanza di autorizzazione allo scioglimento di un contratto a cui non faccia, poi, seguito il deposito del piano di concordato preventivo. Al ricorrere di tale eventualità, sono state prospettate – in attesa
dei primi chiarimenti della giurisprudenza – le seguenti possibili soluzioni alternative:
 condizionare, a dispetto di quanto previsto dalla normativa, la produzione di taluni effetti alla scelta finale del debitore, con decadenza dagli stessi nel caso di passaggio ad un percorso diverso da quello inizialmente intrapreso. Tale opzione appare, tuttavia, in contrasto
con la finalità delle nuove norme, ovvero garantire la piena fungibilità tra strumenti differenti;
 riconoscere pienamente la conservazione degli effetti, in quanto conseguenza di atti legalmente compiuti, come, peraltro, pare desumersi dalla formulazione letterale dell’art. 161,
comma 6, R.D. n. 267/1942. Questa soluzione potrebbe, però, manifestarsi, in alcuni casi, lesiva dei diversi interessi coinvolti, attesa la difficile reversibilità di alcuni atti, come
nell’ipotesi dello scioglimento del contratto;
 valutare lo specifico caso, in ordine agli effetti prodotti dalla domanda iniziale, ed indirizzare il debitore – a cura del tribunale – verso la soluzione più appropriata14.
4. Compimento di atti
Dopo il deposito della domanda, pure nella forma “in bianco”, e sino alla data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo (art. 163 L.F.), il debitore può altresì avvalersi
della facoltà di cui all’art. 161, comma 7, L.F. – norma anch’essa introdotta dall’art. 33 del Decreto Sviluppo, diretta ad agevolare la continuità aziendale, poi novellata dall’art. 82 del D.L. n.
69/2013 – consistente nella richiesta di autorizzazione al compimento di atti urgenti di
ordinaria amministrazione: al ricorrere di tale ipotesi, il tribunale provvede dopo avere acquisito le necessarie informazioni, se del caso, ed il parere del commissario giudiziale, qualora già
nominato15. Sul punto, la circ. Assonime n. 4/2013 ritiene che possano essere autorizzati soltanto
quegli atti il cui differimento alla fase successiva dell’apertura formale della procedura debba ritenersi pregiudizievole per il buon esito della stessa.
È, pertanto, necessario che la domanda sia corredata di alcune informazioni aggiuntive,
rispetto al contenuto minimo essenziale, come la tipologia di concordato, o le eventuali
14
Tale soluzione, ritenuta la preferibile dall’Assonime, era già stata sostenuta da M. Fabiani, La “passerella reciproca tra
accordi di ristrutturazione e concordato preventivo, doc. 335/2012 (www.ilcaso.it, Sezione II - Dottrina e opinioni): in
tale sede, era stato, infatti, osservato che la soluzione del problema richiede una valutazione specifica in base al caso,
che deve essere quella più calibrata in funzione del rispetto dei diversi valori, fra i quali quello della tutela dell’affidamento e del “diritto quesito”. La soluzione prescelta deve, inoltre, essere sempre quella che esclude un abuso dello strumento della domanda con riserva al solo scopo di precostituire forme di compressione dei diritti dei terzi, che non si
sarebbero potute attuare se il debitore avesse da subito fatto ingresso nel procedimento di pre-accordo.
15
Sul punto, le Linee guida Tribunale di Milano hanno chiarito che, se nella domanda di pre-concordato preventivo è
inclusa anche l’istanza di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, il ricorso è inammissibile qualora comprenda la generica richiesta di omologare il concordato che si andrà a presentare, senza null’altro
aggiungere. È, invece, necessario indicare i caratteri di massima del concordato, le voci attive e passive dell’impresa, gli
atti di gestione che si intendono compiere previa autorizzazione, con l’illustrazione delle relative finalità, e gli oneri che
conseguiranno al compimento degli atti di ordinaria amministrazione.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013
trattative in corso con i creditori per la definizione di un accordo di ristrutturazione dei
debiti, al fine di fornire al giudice maggiori elementi di valutazione, utili al rilascio dell’autorizzazione.
Ad esempio, l’atto presenta maggiori possibilità di ottenere la richiesta autorizzazione se è previsto nell’ambito di un piano futuro di continuità aziendale (art. 186-bis L.F.), e non meramente liquidatorio. Le linee essenziali del piano, ancorchè non definito completamente, devono, in ogni caso, essere indicate – come già osservato dal Tribunale di Milano – qualora la richiesta di autorizzazione riguardi l’assunzione di finanziamenti prededucibili o il pagamento anticipato di creditori anteriori: si tratta, infatti, di notizie strumentali all’ottenimento della relazione dell’esperto attestante la funzionalità dell’atto alla migliore soddisfazione
dei creditori.
Nel medesimo periodo, e a decorrere dallo stesso termine, il debitore può altresì compiere gli atti
di ordinaria amministrazione. I relativi crediti dei terzi, sorti per effetto di atti legalmente compiuti dall’imprenditore in crisi, sono qualificati come “prededucibili”, ai sensi dell’art. 111 della
Legge Fallimentare.
L’introduzione dell’art. 161, co. 7, L.F. è, inoltre, collegata ad un’altra modificata normativa, riguardante l’art. 67, co. 3, lett. e), del R.D. n. 267/1942, e consistente nell’estensione dell’esonero
dall’azione revocatoria fallimentare – già prevista per gli atti, i pagamenti e le garanzie effettuati, tra l’altro, in esecuzione del concordato preventivo – alle seguenti fattispecie: gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso per concordato
preventivo e, quindi, prima dell’ammissione alla procedura. La finalità della norma è, pertanto,
quella di promuovere la continuità aziendale, incentivando i terzi a contrarre con l’impresa in
crisi. In altri termini, il legislatore ha conseguito l’effetto di anticipare alla data di deposito del ricorso, ovvero quando non è ancora stata decretata l’apertura del concordato preventivo,
l’applicazione dell’art. 167, co. 2, della Legge Fallimentare16.
5. Gestione dei contratti pendenti
Prima dell’entrata in vigore del Decreto Sviluppo, la normativa del concordato preventivo
non aveva espressamente previsto, a differenza del fallimento (art. 72 e ss. L.F.), la condotta adottabile, a seguito dell’apertura della procedura, con riferimento ai rapporti giuridici
preesistenti alla data di presentazione del ricorso, nè a quella del decreto di ammissione di
cui al successivo art. 163. Tale lacuna è stata colmata, appunto dall’art. 33, co. 1, lett. d),
del D.L. n. 83/2012, che ha introdotto una specifica disposizione, l’art. 169-bis del R.D. n.
267/1942.
La nuova norma stabilisce, in particolare, che il debitore può richiedere, nell’ambito della domanda di accesso alla procedura, che il tribunale – oppure, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato – lo autorizzi allo scioglimento dei rapporti giuridici pendenti alla data di
presentazione del ricorso17 per concordato preventivo: tale beneficio non esplica, tuttavia, i propri
effetti nei confronti della clausola compromissoria eventualmente contenuta nell’atto preesistente. Analogamente, è riconosciuta all’imprenditore in stato di crisi la facoltà di depositare
16
La formulazione della norma presuppone, infatti, l’ammissione alla procedura, in quanto è previsto che “gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto
ai creditori anteriori al concordato”.
17
L’art. 169-bis L.F., a differenza di altre novità normative introdotte dal Decreto Sviluppo, fa riferimento alla “data della
presentazione del ricorso”, e non a quella di pubblicazione, presso il registro delle imprese, della domanda di concordato. In ogni caso, dovrebbe ritenersi applicabile anche nel caso di mero deposito della domanda di pre-concordato, come
peraltro riscontrabile dai primi orientamenti giurisprudenziali. In tal senso, seppure con esiti differenti per il debitore,
per cause imputabili al grado di completezza della domanda: Trib. Ravenna 30 dicembre 2012, Trib. Arezzo 2 ottobre
2012 e Trib. Mantova 27 settembre 2012; contra, Trib. Pistoia 30 ottobre 2012, limitatamente all’ipotesi dello scioglimento dei contratti pendenti, e non anche a quello della temporanea sospensione degli stessi.
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un’istanza per la sospensione del contratto, per un periodo non superiore a 60 giorni, comunque prorogabili, seppure per una sola volta18. Dopo la nuova prosecuzione del contratto, che si
verifica a seguito della fine della sospensione, non può essere, infatti, più accordata una nuova
sospensione, ma semmai autorizzato esclusivamente lo scioglimento: a questo proposito, la circ.
Assonime n. 4/2013 osserva – richiamando l’orientamento di una parte della dottrina19 – che, nel
caso in cui la natura della controprestazione non consenta la sospensione e continui ad
essere effettuata, il contraente in bonis matura un credito verso il debitore in concordato, esigibile soltanto alla scadenza della sospensione.
Al ricorrere delle predette ipotesi di sospensione e scioglimento, la controparte matura il diritto
ad un indennizzo, equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento,
privo, però, della qualifica di credito prededucibile di cui all’art. 111 e ss. L.F.: il corrispondente
importo deve, infatti, essere soddisfatto come debito anteriore al concordato, a differenza di
quanto previsto, per le medesime fattispecie, nell’ambito del fallimento20.
La conclusione alla quale è pervenuto il legislatore appare, inoltre, incoerente con la ratio
dell’art. 111, comma 2, L.F., secondo cui sono considerati crediti prededucibili – oltre a quelli
così qualificati da una disposizione normativa – “quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi
del primo comma n. 1)”. In altri termini, il Decreto Sviluppo ha introdotto una deroga al principio generale, fondato sull’attribuzione della prededucibilità ai crediti sorti nella fase precedente al deposito del ricorso al concordato preventivo: ciò comporta, pertanto, un’evidente ed ingiustificata penalizzazione in capo alla parte adempiente, che si è venuta a trovare in tale situazione per cause indipendenti dalla propria volontà, ovvero imputabili allo stato di crisi dell’altro
contraente.
Si segnala, infine, che i predetti principi di scioglimento e sospensione di cui all’art. 169-bis L.F.,
tesi ad agevolare la soluzione della crisi d’impresa, non sono comunque sempre applicabili, essendone espressamente esclusa l’operatività nei seguenti casi:
 rapporto di lavoro subordinato;
 contratto preliminare di cessione, trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., avente ad oggetto
un immobile ad uso abitativo, destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o
dei propri parenti ed affini entro il terzo grado (art. 72, co. 8, della Legge Fallimentare), qualora l’ammissione al concordato preventivo sia richiesta dal promittente venditore;
 locazioni di immobili di proprietà del debitore (art. 80, co. 1, L.F.).
6. Concordato preventivo in continuità aziendale
L’art. 33, comma 1, lett. h), del Decreto Sviluppo ha introdotto una disciplina speciale, riguardante il caso particolare della soluzione della crisi d’impresa mediante la prosecuzione dell’attività,
contenuta nell’art. 186-bis della Legge Fallimentare. Tali disposizione è applicabile anche al concordato preventivo che prevede la cessione dell’azienda in esercizio oppure il conferimento
18
19
20
Sul punto, le Linee guida del Tribunale di Milano hanno chiarito che – analogamente alle attestazioni speciali che il
professionista di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. è tenuto a rilasciare a corredo di alcune istanze di autorizzazione
(concordato in continuità aziendale, contratti pubblici, ecc.) – è necessaria la disponibilità della proposta e del piano,
che devono essere allegati alla domanda: l’eventuale concessione, da parte del tribunale, sarà effettuata per il termine
minimo, che è prorogabile solo se la richiesta non implica soluzione di continuità.
Cfr. B. Inzitari, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis l.fall., Rivista on line “Il Fallimentarista”.
Si pensi, ad esempio, al caso recesso anticipato esercitato dal curatore, rispetto al contratto di locazione immobiliare
stipulato dal debitore-locatore, avente una durata complessivamente superiore ai quattro anni dalla sentenza dichiarativa: in virtù di tale decisione, la procedura è tenuta a corrispondere un equo indennizzo al conduttore, a norma dell’art. 80, co. 2, del R.D. n. 267/1942. Analogamente, qualora a fallire sia, invece, il locatario, il recesso del curatore dello
stesso comporta l’obbligo di erogazione al locatore di un equo indennizzo (co. 3), che sfugge, quindi, al concorso con i
crediti anteriori al fallimento. In entrambi i casi, è, infatti, espressamente prevista l’inclusione di tale somma – definita
di comune accordo tra le parti o, in mancanza, dal giudice delegato, sentiti gli interessati – nei crediti prededucibili di
cui all’art. 111, co. 1, n. 1), L.F., con il privilegio dell’art. 2764 c.c., riservato al credito del locatore di immobili.
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della stessa in una o più società, pure di nuova costituzione: il progetto di risanamento può comprendere anche la liquidazione di beni non funzionali allo svolgimento dell’attività, ovvero
non suscettibile di pregiudicare la continuità aziendale, nonché una moratoria – fino ad un anno dall’omologazione – per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca,
salvo che sia prevista la cessione dei beni o diritti sui quali sussiste la predetta prelazione21.
A questo proposito, la circ. Assonime n. 4/2013 rammenta che, in passato, già una parte
della giurisprudenza (Trib. Monza 29 novembre 2011) riteneva possibile tale differimento
nell’adempimento, ancorchè non espressamente previsto a livello normativo.
Il documento affronta, poi, un importante dubbio interpretativo, ovvero se la moratoria non
sia prospettabile in tutti i casi in cui il piano concordatario preveda la liquidazione di beni soggetti a prelazione, oppure se – al contrario – sia legittima un’estensione della proroga oltre
l’anno, quando ciò sia giustificato dal tempo necessario per la conclusione delle operazioni
di vendita. Quest’ultima tesi è ritenuta preferibile dalla circ. Assonime n. 4/2013, in quanto lo
scopo della moratoria è quello di liberare nell’immediato risorse volte a favorire la ripresa dell’attività produttiva, e a generare flussi di cassa da destinare al pagamento dei creditori,
secondo le nuove scadenze stabilite nel piano concordatario. Diversamente, l’esclusione della
facoltà di accesso alla moratoria potrebbe costringere il debitore – al fine di rispettare l’impegno
assunto con la proposta – a liquidazioni affrettate, contrastanti con l’interesse dello stesso creditore all’ottimizzazione del realizzo. In assenza di previsioni in ordine alla liquidazione
del bene sul quale insiste la prelazione, l’Assonime ritiene comunque invocabile la moratoria
del pagamento dei debiti di natura privilegiata per un periodo superiore all’anno, purchè ciò
sia bilanciato dall’attribuzione del diritto di voto22.
L’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale richiede, tuttavia, la congiunta
soddisfazione di due condizioni preliminari:
 il piano concordatario, contenente la dettagliata descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, deve altresì riportare un’analitica indicazione dei ricavi e dei
costi attesi dalla prosecuzione dell’attività dell’impresa prevista dal piano concordatario, delle
risorse finanziarie necessarie e dei corrispondenti strumenti di copertura. Il presupposto in parola trova, peraltro, fondamento nella natura di tale concordato preventivo che, non avendo finalità liquidatorie, si propone di pagare i creditori con i flussi di cassa generati dai componenti
reddituali positivi, al netto di quelli negativi, prodotti per effetto della prosecuzione dell’attività
dell’impresa;
 la relazione del professionista di cui all’art. 161, co. 3, L.F., riguardante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, deve attestare che la prosecuzione dell’attività
dell’impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Il documento in parola deve, inoltre, asseverare che – nel caso di istanza per il pagamento anticipato di crediti anteriori al concordato23 – gli stessi si riferiscono ad acquisti di beni e a prestazioni di servizi “essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”. Tale incombente non è, tuttavia, dovuto per i pagamenti da effettuarsi
sino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportare al
21
La disciplina speciale del concordato preventivo con continuità aziendale presenta, pertanto, alcuni elementi analoghi
a quelli previsti nell’abrogato istituto dell’amministrazione controllata.
22
A norma dell’art. 186-bis, co. 2, lett. c), ultimo periodo, L.F., i creditori muniti di una causa di prelazione, per i quali è
prevista la moratoria, sono privati del diritto di voto.
23
La norma non chiarisce, tuttavia, la misura di tale pagamento anticipato: integrale oppure secondo la presunta percentuale concordataria prevista per la rispettiva classe di creditori di appartenenza? Atteso che molto spesso si tratta di
debiti di natura chirografaria, nella prima ipotesi – presumibilmente quella maggiormente coerente con la finalità della
norma, ovvero garantire la prosecuzione dell’attività dell’impresa – si finirebbe per violare i principi della par condicio
creditorum e dell’inalterabilità delle cause di prelazione: nel secondo caso, invece, si verrebbe meno soltanto all’osservanza del divieto del pagamento dei creditori anteriori al concordato, contravvenendo, quindi, al principio di parità di
trattamento, ma non a quello riguardante il rispetto delle regole sulle prelazioni.
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debitore senza obbligo di restituzione, oppure il cui rimborso sia postergato rispetto alla
soddisfazione dei creditori.
Il concordato in continuità aziendale è soggetto anche al nuovo art. 169-bis L.F. illustrato nel paragrafo precedente, la cui disciplina – avente carattere generale per il concordato preventivo – deve essere coordinata con quella speciale introdotta dall’art. 186-bis, co. 3, L.F., secondo cui i contratti in corso di esecuzione all’atto del deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura: eventuali patti contrari devono, pertanto, ritenersi inefficaci, così come quelli che prevedono, quale clausola risolutiva del rapporto, anche solo il mero deposito della domanda di concordato. In
particolare, è espressamente contemplata – a norma del novellato art. 38, co. 1, lett. a), del D.Lgs.
n. 163/2006 – la prosecuzione dei contratti pubblici, anche in capo alla società cessionaria o
conferitaria cui siano trasferiti, qualora il professionista di cui sopra abbia attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento.
Al ricorrere di tale ipotesi, è necessario che il soggetto subentrante abbia debitamente comunicato e documentato alla stazione appaltante il possesso dei requisiti di qualificazione richiesti
dal Codice dei contratti pubblici, sia di ordine generale che speciale, come quelli relativi
all’idoneità professionale, alla capacità economico-finanziaria dei fornitori e dei prestatori di servizi (artt. 38, 39, 41, 42 e 116 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163)24.
Alla luce delle predette novità normative, la circ. Assonime n. 4/2013 perviene altresì alla formulazione di alcuni principi, secondo cui, in primo luogo, il contratto stipulato dal debitore con
un soggetto privato prosegue naturalmente all’apertura del concordato preventivo, a
prescindere dalla tipologia dello stesso, e salvo che il debitore chieda ed ottenga dal tribunale
l’autorizzazione allo scioglimento od alla sospensione del rapporto. Nel caso in cui l’atto sia, invece, perfezionato con la Pubblica Amministrazione, lo stesso:
 prosegue, a condizione che il piano di concordato preveda la continuità dell’attività
aziendale, e il professionista indipendente attesti la conformità al piano e la capacità di adempimento (e il debitore non chieda ed ottenga l’autorizzazione giudiziale allo scioglimento o alla sospensione del contratto);
 continua in capo a terzi, se il piano concordatario prevede la cessione dell’azienda o
il conferimento in società, purchè il subentrante sia in possesso dei requisiti stabiliti dal
Codice dei contratti pubblici, e venga presentata l’attestazione dell’esperto sulla conformità al
piano e sulla ragionevole capacità di adempimento;
 si risolve automaticamente in caso di concordato liquidatorio, in virtù dei principi
sanciti dal Codice dei contratti pubblici.
È altresì ammessa, in costanza del concordato preventivo, la partecipazione a procedure di
assegnazione di contratti pubblici, purchè il debitore presenti, in gara, la seguente documentazione:
 la relazione di un professionista – in possesso dei requisiti di chi all’art. 67, co. 3, lett. d), del
R.D. n. 267/1942 – attestante la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento
dell’appalto;
 la dichiarazione di un altro operatore, munito delle necessarie credenziali di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica economica e di certificazione, pretese per l’affidamento
dell’appalto. Si tratta di un impegno, nei confronti del concorrente e della stazione appaltante,
a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dello stesso ed a subentrare all’impresa ausiliata, qualora venga dichiarata fallita nel corso della
24
A questo proposito, la circ. Assonime n. 4/2013 osserva che il predetto adempimento di attestazione professionale non
è, invece, richiesto dalla disciplina generale di cui all’art. 169-bis del R.D. n. 267/1942, ed è volto a bilanciare le esigenze
di tutela dell’interesse pubblico ad una regolare esecuzione del contratto con quello del debitore, a non subire interruzioni arbitrarie del rapporto con la Pubblica Amministrazione, quando – nonostante l’apertura della procedura – sussistano le condizioni per continuare ad onorare gli impegni assunti nel contratto stesso.
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gara o dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia più in grado – per qualsiasi motivo –
di dare regolare esecuzione al contratto (c.d. avvalimento di cui all’art. 49 del D.Lgs. n.
163/2006). Sul punto, la circ. Assonime n. 4/2013 osserva che la novità normativa intende
garantire che gli imprenditori che eseguono contratti nell’interesse pubblico siano sottoposti
ad un severo scrutinio in ordine alla sussistenza delle condizioni personali, tecniche e finanziarie25, al fine di assicurare un esatto adempimento delle prestazioni dedotte nel contratto (Tar Campania, Napoli, Sez. I, 25 gennaio 2012, n. 651).
Al ricorrere delle predette condizioni, è altresì contemplata la partecipazione del debitore alla gara, nel rispetto dei citati principi, congiuntamente ad altre imprese, purchè non rivesta la
qualità di mandataria e le aziende con le quali è temporaneamente raggruppata non siano assoggettate ad una procedura concorsuale: in tale ipotesi, la dichiarazione di cui sopra può, pertanto,
essere formulata da un operatore apparentemente all’associazione.
È, inoltre, contemplata a la partecipazione alla gara, nel rispetto dei predetti principi, congiuntamente ad altre imprese, a condizione che non rivesta la qualità di mandataria e le aziende
con le quali è temporaneamente raggruppata non siano assoggettate ad una procedura concorsuale: al ricorrere di tale ipotesi, la dichiarazione di cui sopra può, pertanto, essere formulata da un
operatore apparentemente all’associazione.
L’ultimo comma dell’art. 186-bis L.F. stabilisce, infine, che – nel caso in cui l’attività d’impresa cessi, oppure si rilevi manifestamente dannosa per i creditori – il tribunale provvede per
la revoca dell’ammissione al concordato preventivo in continuità aziendale (art. 173 del R.D.
n. 267/1942), fermo restando il diritto del debitore a modificare la proposta di concordato.
7. Votazione della proposta concordataria
L’art. 33, co. 1, lett. d-bis), del D.L. n. 83/2012 ha introdotto alcune sostanziali modifiche nella
procedura di adesione alla proposta di concordato: in particolare, è stato aggiunto che il processo verbale dell’adunanza dei creditori (artt. 174 e 175 L.F.), sottoscritto dal giudice delegato,
dal commissario giudiziale e dal cancelliere, deve esporre – oltre ai voti favorevoli e contrari, con
la precisazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti – l’indicazione
nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro
crediti (art. 178, comma 1, del R.D. n. 267/1942).
Un’altra rilevante novità è stata inserita nel successivo co. 3 di quest’ultima disposizione,
per effetto del quale se, nel giorno stabilito per l’adunanza dei creditori non è possibile
compiere tutte le operazioni, la loro continuazione viene rimessa dal giudice ad una
prossima udienza, non oltre 8 giorni, dandone comunicazione agli assenti: la formulazione previgente dell’art. 178, co. 3, L.F. stabiliva, invece, che la prosecuzione dell’adunanza
dei creditori era “senza bisogno di avviso”.
È stato, inoltre, sostituito integralmente il successivo comma 4, per effetto del quale i creditori
che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso, mediante telegramma, lettera, fax o posta elettronica, nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In
mancanza, analogamente a quanto previsto per il concordato fallimentare (art. 128, co. 2,
L.F.), si ritengono consenzienti, e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti: le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti ai sensi della predetta
disposizione, sono annotati dal cancelliere in calce al verbale. La novità normativa si propone,
pertanto, di incentivare la partecipazione attiva dei creditori dissenzienti, i quali sono te25
L’affidabilità economica dell’impresa in concordato deve, invece, ritenersi compromessa per definizione, a causa dello
stato di crisi, ed il recupero della stessa è subordinato all’esito positivo della procedura: per tali ragioni, a parere dell’Assonime, il legislatore ha individuato la necessità di affiancare al partecipante alla nuova gara un soggetto “garante”
dell’adempimento del contratto, destinato a supportare l’impresa durante la sua esecuzione e a subentrare, qualora il
tentativo di risanamento non vada a buon fine.
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Concordato preventivo dopo il D.L. n. 69/2013 – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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nuti ora a far valere espressamente i propri diritti, manifestando la contrarietà alla proposta concordataria, se non vogliono rientrare – per effetto della citata presunzione – tra i consenzienti. In
altri termini, a dispetto del passato, il loro silenzio non vale più come “un voto sottratto al raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 177 L.F.” – e, quindi, sostanzialmente assimilabile
ad un voto contrario – ma come implicita adesione alla proposta concordataria.
8. Procedimento di omologazione
Il Decreto Sviluppo ha, infine, inserito alcune disposizioni afferenti la fase successiva alla votazione della proposta concordataria. In primo luogo, dopo il co. 1 dell’art. 179 L.F. ne è stato aggiunto uno nuovo: “Quando il commissario giudiziale rileva, dopo l’approvazione del concordato,
che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, né da avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’articolo 180 per modificare il voto”.
È stato, inoltre, integrato l’art. 180, co. 4, del R.D. n. 267/1942, per effetto del quale, nel caso di
approvazione a maggioranza delle classi, se un creditore appartenente ad una classe dissenziente
– oppure, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti rappresentanti il 20,00% dei crediti ammessi al voto – contestano la convenienza della proposta, il
tribunale può comunque omologare la procedura, qualora ritenga che il credito in parola
possa risultare soddisfatto dal concordato preventivo in misura non inferiore a quella
potenzialmente ritraibile dalle alternative concretamente praticabili.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Professionista attestatore, requisiti e relazione
Capitolo IV
Professionista attestatore,
requisiti e relazione
di Michele Bana
L’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., così come riformulato dal Decreto Sviluppo, stabilisce che la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di risanamento o di concordato preventivo (o di
attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti) devono essere attestate da un professionista indipendente, nominato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali dei conti e nominabile a curatore fallimentare.
1. Premessa
L’art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. Decreto Sviluppo) ha modificato significativamente
la disciplina riguardante la composizione negoziale della crisi d’impresa, assegnando al professionista attestatore un ruolo centrale, e chiarendo altresì alcuni dubbi di carattere interpretativo:
in particolare, ne è conseguita la qualificazione dell’attestatore come professionista indipendente, tenuto ad includere sempre nella propria relazione anche la veridicità aziendale e soggetto
al rischio della responsabilità penale. La valorizzazione dell’attestatore è stata operata anche
nell’ambito degli istituti introdotti dal medesimo D.L. n. 83/2012, dove la relazione del professionista assume valenza ulteriore rispetto a quella tradizionalmente riconosciutale. È il caso, ad esempio, delle attestazioni di cui il debitore necessita quando intende richiedere l’autorizzazione a:
 contrarre finanziamenti prededucibili;
 pagare anticipatamente creditori anteriori;
 proseguire contratti pubblici, o partecipare a gare di assegnazione degli stessi.
Alla luce della predetta centralità del ruolo dell’attestatore, l’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha emanato un’apposita circolare, la n. 30/IR dell’11 febbraio
20131, nella quale sono stati approfonditi i principali profili e criticità di tale figura professionale:
 requisiti soggettivi;
 carenza dei presupposti e conseguenze;
 contenuto della relazione ed attestazione della veridicità dei dati aziendali;
 responsabilità penale, ovvero delitto di falso in attestazioni e relazioni.
Il presente capitolo si propone, pertanto, di segnalare le peculiarità del ruolo di attestatore, in virtù della novellata normativa di riferimento.
2. Requisiti soggettivi
Il vigente art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 stabilisce i requisiti di professionalità e indipendenza dell’attestatore2, ovvero del soggetto incaricato di asseverare la veridicità dei
1
In “il fisco” n. 8/2013, fascicolo n. 1, pag. 1189.
2
I requisiti indicati dall’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. sono richiamati anche con riferimento alla diversa figura del professionista stimatore, prevista nel concordato fallimentare (art. 124, co. 3, L.F.) ed in quello preventivo (art. 160 co. 2,
L.F.).
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Professionista attestatore, requisiti e relazione – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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dati aziendali e la fattibilità/attuabilità del piano nei casi di risanamento, concordato preventivo (art. 160 e ss. L.F.) ed accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis della
Legge Fallimentare. In particolare, il predetto art. 67, co. 3, lett. d), L.F. stabilisce che il professionista attestatore deve essere:
 designato dal debitore;
 iscritto nel registro dei revisori legali dei conti;
 in possesso dei requisiti previsti per la nomina di curatore fallimentare di cui all’art.
28, co. 1, lett. a) e b), L.F. (avvocati, dottori e ragionieri commercialisti, nonché studi professionali associati e società tra professionisti i cui soci appartengono ad una delle predette categorie);
 indipendente. A questo proposito, si rammenta che la necessità di soddisfare tale requisito
era già stata sostenuta – in pendenza della precedente formulazione dell’art. 67, co. 3, lett. d),
L.F. – dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 29 ottobre 2009, n. 22927, e 4 febbraio 2009, n.
27063), secondo cui l’attestatore, pur godendo della fiducia del debitore, si pone in un’imprescindibile “posizione di terzietà”.
2.1. Competenza del debitore alla nomina
La prima novità normativa riguarda l’espressa indicazione del soggetto legittimato ad incaricare
il professionista attestatore: tale potere è espressamente riservato al debitore, a dispetto della previgente formulazione dell’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., che richiamava l’art. 2501-bis, co. 4,
c.c., suscitando diversi dubbi interpretativi4.
2.2. Professionalità
Il D.L. n. 83/2012 è intervenuto soltanto formalmente sui requisiti di professionalità, operando una modifica riconducibile esclusivamente alla modifica del titolo, e del relativo registro di iscrizione, da revisore contabile a revisore legale dei conti5.
La circ. CNDCEC n. 30/IR sottolinea che l’altro presupposto professionale citato dalla normativa
di riferimento, ovvero il possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare (art. 28, co.
1, lett. a) e b), L.F.), deve essere reinterpretato, ancorché la predetta fonte normativa sia rimasta
invariata. Ciò trova giustificazione in una diversa disposizione, ovvero l’art. 10 della Legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha istituito il tipo della società tra professionisti (STP), prevista anche dall’art. 28, co. 1, lett. b), L.F., ai fini dell’individuazione dei soggetti designabili a curatore
fallimentare e professionista attestatore/stimatore. A tale proposito, la circ. CNDCEC n. 30/IR evidenzia che la disciplina della STP:
 introduce una nuova modalità di esercizio delle professioni regolamentate, in quanto la costituzione è aperta anche a soci non iscritti negli albi professionali. In altri termini, l’accesso al mercato delle professioni è consentito anche alle società di capitali6;
3
Quest’ultima in banca dati “fisconline”.
4
L’originaria formulazione dell’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. operava un rinvio all’art. 2501-bis c.c. che, a propria volta, rimanda all’art. 2501-sexies c.c.: in sede di prima analisi, il CNDCEC aveva già sostenuto che il richiamo alla disciplina
della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento fosse da intendersi esclusivamente alle modalità di redazione
della relazione (circ. 23 giugno 2008, n. 3/IR, in banca dati “fisconline”). In senso conforme, si era pure espressa la giurisprudenza di merito (Trib. Roma 23 febbraio 2011, e Trib. Verona 27 luglio 2011).
5
Sul punto, si osservi che la novellata formulazione dell’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. si riferisce indistintamente al professionista “iscritto nel registro dei revisori legali”, nonostante tale archivio risulti formato – per effetto della riforma operata dal D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 – da due distinte sezioni, una delle quali include i revisori “inattivi”, la cui natura
potrebbe risultare incoerente con la ratio dell’incarico che si richiede all’attestatore di svolgere.
6
L’art. 10, co. 3 e 4, della L. n. 183/2011 stabilisce che l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico è permessa alle società costituite secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile:
il relativo atto costitutivo può prevedere che la compagine societaria sia composta, oltre che da soci professionisti, anche da “soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento”.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Professionista attestatore, requisiti e relazione
 prevede che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale degli stessi sia
tale da determinare la maggioranza dei due terzi nell’assunzione delle deliberazioni o
decisioni della società;
 stabilisce che gli incarichi professionali siano conferiti soltanto ai soci in possesso di idonei requisiti professionali per l’esecuzione della prestazione richiesta dal cliente.
Conseguentemente, nel caso in cui la scelta del debitore di affidare l’incarico di attestatore ricada su una struttura societaria, le relative disposizioni della Legge Fallimentare
devono essere adeguatamente coordinate con i predetti principi che governano la STP. Sul
punto, la circ. CNDCEC n. 30/IR perviene alla conclusione che l’incarico di attestatore di
piani od accordi contemplati dal R.D. n. 267/1942 può essere assunto anche da una società
di professionisti a compagine mista costituita secondo le regole dell’art. 10 della Legge
n. 183/2011, e in ossequio ai criteri che individuati dal Regolamento attuativo predisposto
dal Ministero della Giustizia, di concerto con quello dello Sviluppo Economico.
L’ipotesi in parola è, tuttavia, ammissibile soltanto qualora risultino soddisfatte le seguenti condizioni:
 l’oggetto della società è rappresentato dall’esercizio, in via esclusiva, delle attività di una professione regolamentata (o più, se multidisciplinare);
 i soci professionisti sono iscritti in uno degli albi professionali presi in considerazione dall’art. 28, co. 1, lett. a), del R.D. n. 267/1942. Si tratta esclusivamente dei soci
professionisti iscritti a ordini, albi e collegi, e dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea in possesso del titolo di studio abilitante (art. 10, co. 4, della Legge n. 183/2011);
 il socio designato per l’espletamento dell’incarico è iscritto ad uno degli albi di cui all’art. 28,
co. 1, lett. a), L.F. e al registro dei revisori legali dei conti di cui all’art. 6 del D.Lgs. n.
39/2010.
Per quanto concerne, invece, gli studi associati, la circ. CNDCEC n. 30/IR ribadisce – vista la
mancanza di modifiche normative in materia – che, ai fini dell’assunzione dell’incarico di attestatore, i professionisti associati devono essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, co. 1,
lett. a), L.F. e il soggetto incaricato della materiale esecuzione della prestazione, ovvero
la redazione della relazione di attestazione, deve necessariamente essere iscritto nel registro
dei revisori legali dei conti.
2.3. Indipendenza
La puntuale definizione normativa del requisito dell’indipendenza del professionista attestatore
rappresenta la principale novità introdotta dal D.L. n. 83/2012, peraltro coerente con quanto già
sostenuto da autorevole dottrina7. Il legislatore ha, infatti, avvertito la necessità di scongiurare
due possibili rischi, ovvero legittimare situazioni:
 in cui la terzietà dell’attestatore e, quindi, l’obiettività di giudizio risultasse compromessa, a causa di rapporti di parentela od affinità, oppure professionali. Era il caso, ad esempio, dell’attestatore che non fosse indipendente dal redattore del piano, o fosse addirittura esso
stesso l’estensore del progetto proposto per la soddisfazione dei creditori;
 che, sotto il profilo operativo, fossero particolarmente gradite al debitore, in termini di riduzione di costi e tempi8.
7
Sul punto, si veda il documento dell’Università degli Studi di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dell’Assonime, Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi, 2010, p. 14, secondo
cui l’attestatore doveva – nonostante l’assenza di un’espressa previsione normativa in tal senso – essere indipendente rispetto sia al debitore conferente l’incarico che al redattore del piano.
8
Si pensi, ad esempio, al caso dell’assegnazione dell’incarico di attestazione al professionista associato dello studio del
consulente dell’impresa o del redattore del piano di risanamento che consentiva notevoli semplificazioni al debitore.
Tale circostanza poteva ricorrere, prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 83/2012, in mancanza di una specifica disposizione in merito, riscontrando altresì il parere favorevole della giurisprudenza di legittimità (Cass. 4 febbraio 2009, n.
2706): in tale sede, era stato, infatti, sostenuto che la relazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piLuglio 2013
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Professionista attestatore, requisiti e relazione – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Il rimedio normativo è stato adottato riformulando l’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942,
per effetto del quale il professionista attestatore, congiuntamente:
 non può essere legato all’impresa debitrice, né a coloro i quali hanno interesse all’operazione di
risanamento, da relazioni di natura personale o professionale tali da comprometterne
l’indipendenza di giudizio. Sotto il primo profilo, la circ. CNDCEC n. 30/IR cita l’esempio del
rapporto di convivenza more uxorio tra il professionista incaricato dell’attestazione ed il debitore, ovvero tra il primo e gli amministratori della società committente. Per quanto concerne,
invece, le relazioni di tipo professionale idonee a compromettere l’obiettività di giudizio, vi
rientrano il caso del professionista che sia stato consulente – o associato di studio del consulente – di uno dei creditori, così come le consulenze occasionali economicamente rilevanti;
 deve essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 2399 c.c., ovvero non deve trovarsi in una
delle cause di ineleggibilità a sindaco. Ad esempio, non può essere legato alla società debitrice
– oppure ad imprese dalla stessa controllate, o che la controllano o che sono sottoposte a comune controllo – da un rapporto di lavoro, o continuativo di consulenza o prestazione
d’opera retribuita, ovvero da altre relazioni di natura patrimoniale che ne compromettano
l’indipendenza. Con l’effetto che la consulenza occasionale dovrebbe essere esclusa dall’ambito di applicazione della norma, qualora la rilevanza e l’entità del corrispettivo sia tale da non indurre il ragionevole sospetto che l’unica prestazione d’opera possa incidere significativamente sull’indipendenza del professionista9;
 non deve, neppure per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, aver prestato – negli ultimi 5 anni – attività di lavoro subordinato od autonomo in favore del debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione e controllo del medesimo.
Con riguardo a quest’ultimo vincolo, la circ. CNDCEC n. 30/IR fornisce alcune interpretazioni in
merito all’ambito applicativo dello stesso, secondo cui la sussistenza del requisito dell’indipendenza:
 deve essere accertata, rispetto al debitore, con riferimento agli ultimi 5 anni computati, a
ritroso, a partire dalla data di sottoscrizione della relazione di attestazione10;
 non deve risultare verificata soltanto rispetto al professionista incaricato, ma anche in capo
all’associazione professionale di cui eventualmente faccia parte;
 deve essere valutata considerando altresì le prestazioni fornite a favore del debitore in virtù di
un contratto di lavoro subordinato od autonomo, oltre agli incarichi assunti negli organi
di amministrazione o controllo (modello tradizionale, monistico e dualistico), nel quinquennio;
 non può essere esclusa qualora l’associazione professionale risulti esclusa col mero intento
della ripartizione delle spese;
 riguarda, in virtù dei rapporti che possono assumere una certa rilevanza patrimoniale, esclusivamente le relazioni e gli incarichi esistenti tra i soggetti considerati dall’art. 67,
co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942, ovvero il debitore, l’attestatore o gli associati dello studio al quale appartenga. In altri termini, non rilevano i rapporti tra l’impresa committente e le
strutture variamente articolate dello studio associato di cui faccia eventualmente parte. L’esistenza di tali ulteriori “relazioni associative” comporta la necessità di valutare l’indipenano concordatario potesse essere predisposta anche dal professionista che avesse già prestato la propria attività professionale in favore del debitore.
9
A questo proposito, la circ. CNDCEC n. 30/IR ritiene che possa, naturalmente, costituire un valido ausilio la norma di
comportamento CNDCEC 1.4 “Obiettività di giudizio e cause di ineleggibilità e decadenza”, relativa alla collegio sindacale.
10
Non rileva, invece, la data di deposito in tribunale del ricorso del debitore, in quanto costui – a norma dell’art. 161, co.
6, L.F. – può presentare la c.d. domanda di preconcordato preventivo, ovvero con riserva di successiva produzione, nel
termine assegnato dal giudice, del piano, della proposta e della relativa documentazione, comprendente la relazione
dell’attestatore.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Professionista attestatore, requisiti e relazione
denza a norma dell’art. 2399, co. 1, lett. c), c.c., ovvero considerando gli “altri rapporti di natura patrimoniale” che possono incidere, anche indirettamente, sull’obiettività di giudizio dell’attestatore. In relazione a tali vicende, conformemente a quanto sostenuto dagli interpreti
circa l’ineleggibilità del sindaco, l’indipendenza del professionista attestatore non può essere automaticamente esclusa: è, pertanto, necessaria un’ulteriore concreta verifica in ordine alla compromissione dell’indipendenza e dell’autonomia di giudizio di quest’ultimo, con correlata valutazione anche sotto il profilo economico11.
Conseguentemente, i requisiti di indipendenza previsti dalla Legge Fallimentare per la nomina dell’attestatore sono maggiormente stringenti rispetto a quelli fissati dal codice civile per la
designazione a sindaco delle società di capitali.
La circ. CNDCEC n. 30/IR non ritiene, inoltre, possibile reiterare gli incarichi aventi ad oggetto attestazioni di piani, di concordati o di accordi di ristrutturazione al medesimo professionista prima dello scadere dei 5 anni, ricorrendo i presupposti descritti nell’art. 67,
co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942 (ultimi 5 anni, attività di lavoro autonomo, stesso debitore).
Tale orientamento è, pertanto, difforme da quello sostenuto dal Tribunale di Milano, nelle Linee guida del 20 settembre 2012, secondo cui non si trova in una situazione di incompatibilità
il professionista attestatore che abbia già asseverato – in una prima occasione, sempre per la
medesima impresa ricorrente – un piano di risanamento o concordato, oppure relativo ad un accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in connessione con domande dichiarate inammissibili
o rigettate, o con procedure cessate per la più varia ragione12. Sul punto, la circ. CNDCEC n.
30/IR ritiene che “la ricostruzione proposta da giudici milanesi, ancorché suggestiva, sembra, tuttavia, trascurare che gli artt. 67, co. 3, lett. d), L.F. e 2399, co. 1, lett. c), c.c. fanno espressa menzione ai rapporti di lavoro e alle prestazioni d’opera retribuite comunque effettuate a favore
dell’impresa committente, senza altro specificare”13. Con l’effetto che, a parere del CNDCEC, si
dovrebbe concludere che la volontà del legislatore sia stata quella di introdurre un meccanismo di job rotation e un periodo di cooling-off tramite cui consentire l’apertura del mercato a tutti i professionisti in possesso dei requisiti ed evitare eccessiva confidenzialità tra attestatore e
committente.
La circ. n. 30/IR, pertanto, raccomanda – in attesa dell’emersione di prassi consolidate accettate dalla giurisprudenza – l’adozione, da parte del professionista, di un comportamento prudenziale, in ordine all’accettazione dell’incarico di attestatore.
11
Per un approfondimento sulle tipologie di rapporti associativi maggiormente ricorrenti, e sulla compromissione
dell’indipendenza del professionista in presenza di tali situazioni, si veda C. Angelici, G. Cavalli e M. Libertini, Parere
pro veritate in materia di ineleggibilità del sindaco e società tra professionisti, reso al Consiglio Nazionale dei Ragionieri e Periti Commerciali in data 4 febbraio 2005.
12
La conclusione in parola risponde ad un criterio logico, in quanto altrimenti si arriverebbe all’assurdo di considerare
incompatibile tale esperto anche quando, dopo aver redatto una prima attestazione per una domanda di concordato
preventivo, debba redigere, poi, un supplemento di attestazione a causa delle mutate condizioni del piano o della proposta. Anche in questa ipotesi avrebbe, infatti, già prestato per il debitore la propria attività retribuita, ma è da ritenere
– a parere del Tribunale di Milano – che la ratio dell’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. sia nel senso di non considerare incompatibile l’attestatore in quanto già abbia svolto attività di asseveratore, ma piuttosto in quanto abbia esercitato quella di
prestazione d’opera di tipo diverso: è, infatti, soltanto in quest’ultimo caso che appare prospettabile un conflitto
d’interessi ed un difetto di indipendenza.
13
In realtà, tale considerazione appare valida, sotto un profilo meramente formale, con riguardo al solo art. 67, co. 3, lett.
d), del R.D. n. 267/1942: diversamente, l’art. 2399, co. 1, lett. c), c.c. fa espressamente riferimento al “rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita”.
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3. Carenza dei requisiti soggettivi
La mancanza dei presupposti prescritti dall’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942 dovrebbe
comportare – a parere della circ. CNDCEC n. 30/IR – l’applicabilità, pur in assenza di un’espressa
previsione nella Legge Fallimentare, delle disposizioni civilistiche relative alla responsabilità del professionista che non abbia comunicato la propria inidoneità all’assunzione
dell’incarico. Sul punto, il documento in parola – in virtù di quanto sopra esposto in ordine alla
valutazione della compromissione dell’indipendenza – perviene ad una conclusione differenziata,
in base alla tipologia del difetto di indipendenza:
 l’assenza dei requisiti di cui all’art. 2399 c.c., o la sussistenza di rapporti di lavoro subordinato od autonomo degli ultimi 5 anni, o la partecipazione degli organi di amministrazione e
controllo del debitore: si configura, naturalmente, un vizio di nomina;
 l’esistenza di relazioni con il debitore, o con coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento, aventi natura patrimoniale o personale: ai fini dell’accertamento della sussistenza del vizio, è necessaria – a dispetto del punto precedente – un’ulteriore valutazione, mirata,
diretta ad appurare l’effettiva compromissione dell’indipendenza dell’attestatore.
Conseguentemente, dovrebbe ritenersi, a parere del CDDCEC, che la relazione del professionista resa in mancanza dei requisiti di indipendenza – nei limiti delle predette precisazioni – sia viziata, potenzialmente invalida e priva di attendibilità, anche qualora sia corretta e ragionevole nei contenuti.
Sul punto, la circ. CNDCEC n. 30/IR ritiene che l’invalidità possa essere fatta valere anche
dal tribunale, in sede di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti, oltre che del commissario giudiziale e dei creditori. Nel caso del
piano attestato di risanamento, non essendo prevista la fase del controllo giudiziario, si ritiene
che il vizio possa essere eccepito dai creditori, e da ogni altro soggetto interessato, ivi compreso il
curatore nel caso di successiva dichiarazione di fallimento: a questo proposito, si rammenta che non è nemmeno previsto un obbligo di pubblicità di tale documento, ma una mera facoltà di iscrizione presso il registro delle imprese, a cui è subordinato l’accesso al beneficio fiscale
del regime di non imponibilità (parziale) delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, a
norma dell’art. 88, co. 4, del Tuir.
4. Contenuto della relazione di attestazione
L’art. 33 del D.L. n. 83/2012 ha uniformato il contenuto delle attestazioni in ordine alla “veridicità dei dati aziendali”, facendo coincidere l’ambito del giudizio prognostico con la fattibilità
del piano di risanamento o concordatario, e l’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. La modifica ha riguardato, in primo logo, il documento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., che
impone al professionista di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, e non
più la mera ragionevolezza, che deve apparire idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione
debitoria dell’impresa e ad assicurare la propria situazione finanziaria. Sul punto, si osservi –
come riscontrato dalla stessa circ. CNDCEC n. 30/IR – che si tratta di una modifica legislativa
puramente formale, in quanto già nel vigore della disposizione previgente il concetto di ragionevolezza era riconducibile, in via interpretativa, a quelli di fattibilità/attuabilità e, quindi, al necessario presupposto della veridicità dei dati aziendali.
Una novità maggiormente significativa è, invece, rappresentata dall’introduzione – nella
disciplina del concordato preventivo (art. 161, co. 3, L.F.) – dell’obbligo di presentazione
di un’analoga relazione nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano, le
quali sono ammesse sino a quando non siano iniziate le operazioni di voto, ai sensi
dell’art. 175, co. 2, del R.D. n. 267/1942. Sul punto, la circ. CNDCEC n. 30/IR ritiene – coerentemente con le Linee guida del Tribunale di Milano – che il supplemento di attestazione debba essere reso dal professionista dell’originaria relazione, in quanto avenLuglio 2013
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te ad oggetto la medesima vicenda concordataria, e non ricorrendo alcuna delle ipotesi per
cui l’indipendenza del professionista potrebbe risultare compromessa.
Per quanto concerne, invece, la relazione di attestazione nell’accordo di ristrutturazione
dei debiti (art. 182-bis L.F.), le modifiche operate dall’art. 33 del D.L. n. 83/2012 sono sostanzialmente due, riconducibili alla circostanza che il predetto documento professionale deve asseverare:
 la veridicità dei dati aziendali. A questo proposito, la circ. CNDCEC n. 30/IR osserva che tale precisazione, effettuata anche con riferimento ai piani attestati di risanamento, recepisce
l’orientamento prevalente della dottrina e della giurisprudenza, secondo cui risultava
insopprimibile la verifica dei dati aziendali preordinata al successivo prognostico di attuabilità
o ragionevolezza14;
 l’attuabilità dell’intesa, con particolare riferimento alla propria idoneità ad assicurare
l’integrale – e non più il “regolare”, termine che aveva suscitato diversi dubbi interpretativi –
pagamento dei creditori estranei all’accordo, entro 120 giorni dalla scadenza del credito,
o dall’omologazione nel caso di importi già scaduti alla data del relativo decreto del
tribunale. È stato, quindi, introdotto un nuovo elemento di criticità oggetto della relazione
dell’attestatore, ovvero quello temporale in ordine alla soddisfazione integrale dei creditori non
partecipanti all’accordo.
4.1. Oggetto dell’attestazione
La circ. CNDCEC n. 30/IR sviluppa, inoltre, alcune ulteriori considerazioni, in merito al mutato contesto normativo, in quanto il professionista, nell’attestare la veridicità dei dati aziendali,
si assume la responsabilità civile e penale di quanto dichiara15. In particolare, è necessario
prestare una peculiare cautela qualora si intenda fruire di dati recentemente verificati dal
soggetto incaricato della revisione legale dei conti16, che possono comunque rappresentare un valido ausilio a fini dell’emissione del giudizio di veridicità. A questo proposito, è fondamentale l’attendibilità dei dati di partenza, che può dipendere da diverse variabili, come
l’ambiente, la professionalità e serietà dell’estensore del piano da attestare (c.d. advisor), nonché la corrispondenza alla realtà aziendale della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica assunta a riferimento ai fini della redazione del progetto di risanamento. In particolare, è necessario verificare la correttezza delle principali voci e l’assenza di elementi
che inducano a dubitare della correttezza delle voci residue, prestando attenzione ai
seguenti aspetti:
 gli elementi di maggiore importanza in termini quantitativi, con peculiare riguardo – in
considerazione dell’importanza dei flussi di cassa attesti – alle componenti del capitale circolante;
 i fattori che presentano, ai fini dell’attestazione, profili di possibile rischio;
14
In tal senso, si veda, ad esempio, il documento del CNDCEC, Osservazioni sul contenuto delle relazioni del professioni-
sta nella composizione negoziale della crisi d’impresa.
15
Sul punto, la giurisprudenza di merito ha sostenuto che l’attestazione del professionista non possa limitarsi alla dichiarazione di conformità della proposta ai dati contabili, rendendosi, invece, necessario desumere questi ultimi dalla realtà aziendale che il professionista è chiamato a indagare e verificare.
16
In tal senso, si veda anche il documento dell’Università degli Studi di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dell’Assonime, Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi, 2010, p. 1819: in presenza di dati recenti verificati da un revisore, è legittimo per l’attestatore “fare un sia pur non completo e incondizionato affidamento sul lavoro già svolto. Lo stesso può dirsi, limitatamente ai dati che ne sono oggetto, in presenza di perizie, verifiche e pareri di congruità provenienti da soggetti che appaiono qualificati in relazione all’indagine
concretamente effettuata. Anche in presenza di verifiche fatte da altri, tuttavia, qualora emergano elementi di anomalia
(c.d. “red flags”), il professionista deve indagare al fine di giungere ad un giudizio che, lo si ribadisce, deve essere (e
non può non essere) di attendibilità dei dati”.
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49
 l’insussistenza di elementi suscettibili di destare sospetto in ordine alla correttezza ed affidabilità delle rappresentazioni contabili dei fatti di gestione.
Lo standard di diligenza da adottare è differenziato in base allo specifico caso concreto: possono essere utilizzati i consolidati principi e prassi di revisione legale dei conti, declinati
in funzione delle caratteristiche dell’impresa e delle proprie funzioni. Conseguentemente, in presenza di dati forniti unicamente dal debitore, senza precise assunzioni di responsabilità da
parte di soggetti indipendenti e qualificati (come, ad esempio, il revisore legale dei conti, o il perito stimatore di specifici cespiti), il professionista si assume l’integrale responsabilità dell’attendibilità dei dati aziendali.
Sotto il profilo operativo, la predisposizione della relazione di attestazione presuppone il preventivo svolgimento di una serie di attività preliminari, formalizzato, poi, nei seguenti paragrafi dell’asseverazione:
 possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente per assolvere l’incarico;
 premessa sulla attendibilità e veridicità dei dati aziendali;
 principi di analisi e criteri di valutazione utilizzati;
 studio della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di riferimento, nonché della serietà dell’advisor e del clima esterno;
 verifica che i dati previsionali siano stati formulati sulla base di principi contabili omogenei rispetto a quelli utilizzati dall’impresa per la redazione dei bilanci storici;
 confronto e valutazione della coerenza delle ipotesi poste a fondamento del piano con il
quadro macroeconomico e di settore;
 accertamento della coerenza dei dati previsionali rispetto alle assunzioni del progetto, eseguendo sia procedure di verifica dell’accuratezza dei dati elaborati che analisi di coerenza interna di tali dati;
 analisi dettagliata delle variabili del piano;
 evidenziazione delle criticità e dei rischi riscontrati;
 esame del grado di ogni singolo rischio e della relativa eventuale superabilità;
 stima dell’incidenza sul piano di eventuali imprevisti;
 valutazione della sostenibilità della crescita attesta e degli investimenti;
 rielaborazione dei dati del piano, in funzione dell’analisi prospettica dell’andamento dei flussi di cassa (c.d. cash flow).
Lo svolgimento delle predette attività, qualora adeguatamente implementate, deve, pertanto, ritenersi sufficiente per consentire al professionista indipendente, designato dal debitore, di attestare – oltre alla veridicità dei dati aziendali – se il piano di risanamento o concordato preventivo proposto è fattibile (oppure attuabile, nel caso dell’accordo di ristrutturazione dei debiti), alle condizioni in esso previste, e nei tempi indicati.
L’attestazione deve, quindi, presentarsi come una sorta di commento e discussione del piano,
che dia conto al lettore dell’iter logico – esplicitando anche gli importi considerati, e i relativi
calcoli sottostanti – seguito dal professionista indipendente per giungere alla conclusione positiva
in merito al rilascio dell’attestazione: in altri termini, la relazione non deve limitarsi a duplicare il
piano, né a rappresentare una mera enunciazione di fattibilità, bensì esporre chiaramente la
motivazione del giudizio positivo espresso dall’attestatore.
La relazione di asseverazione deve, quindi, indicare le metodologie utilizzate e le attività
svolte17 dal professionista per giudicare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del
piano, includendo altresì un’adeguata motivazione della conclusione raggiunta: in ogni ca17
Le attività svolte devono essere dichiarate per verificare l’attendibilità delle fonti informative utilizzate nel piano, per
costruire le ipotesi di partenza, nonché affermare la “ragionevolezza” delle ipotesi assunte alla base dell’elaborato e la
correttezza – teorica ed applicativa – delle metodologie adottate per effettuare i calcoli e le previsioni economico-finanziarie.
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so, la dichiarazione di attestazione non può essere sottoposta a riserve o indicazioni
cautelative che ne limitino la portata, potendo, invece, essere condizionata ad un evento
iniziale, che deve verificarsi in tempi prossimi, e che – se si verifica – rende ragionevole il
piano.
Ad esempio, nulla osta al rilascio dell’attestazione subordinata alla condizione che, entro un precisato numero di settimane, venga stipulata una convenzione bancaria che ristrutturi l’indebitamento in termini sostenibili, così come descritti nel piano: nel caso dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti, non essendo oggettivamente possibile un’omologazione condizionata, è necessario che la convenzione bancaria risulti stipulata prima dell’emanazione del
decreto di omologazione, pur potendo essere condizionata, nella propria efficacia, all’intervenuta omologazione.
Esempio di struttura di relazione di attestazione
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Premessa
Requisiti di nomina ed indipendenza
Limiti dell’attestazione
Data di riferimento
Storia dell’impresa e organi sociali
Mercato di riferimento
Le cause della crisi
7.1. Operazioni preliminari all’analisi
7.2. Riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico
7.3. Analisi strutturale di bilancio, per indici e flussi
8. Metodologie utilizzate nello svolgimento dell’incarico
8.1. Documentazione esaminata
8.2. Principi di analisi e criteri di valutazione utilizzati
8.3. Situazione contabile di riferimento
8.4. Verifiche effettuate e relativi esiti
9. Veridicità dei dati aziendali
10. Fattibilità del piano
10.1. Natura e presupposti del piano
10.2. Studio delle condizioni di fattibilità
10.3. Esame delle criticità e del presunto impatto dei rischi
10.4. Fabbisogno del piano e tempi di esecuzione
10.5. Alternative concretamente praticabili
11. Attestazione
4.2. Attestazioni speciali
Il documento si sofferma altresì sulle nuove attestazioni previste dal D.L. n. 83/2012, con riferimento ad alcuni atti speciali, presentabili in sede di domanda di concordato preventivo – anche
con riserva di successivo deposito del piano, della proposta e della documentazione – od omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti: ad esempio, l’istanza di autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili o pagare anticipatamente creditori anteriori (art.
182-quinquies L.F.) La prima fattispecie richiede che il professionista ex art. 67, co. 3, lett. d),
L.F. attesti che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori, previa
verifica del complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione. Qualora ricorra, invece, la seconda casistica, ovvero l’istanza di autorizzazione al pagamento di creditori anteriori, il professionista deve attestare che si tratta di debiti relativi all’acquisto di beni e servizi essenziali per la prosecuzione dell’attività dell’impresa e, quindi, funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
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A questo proposito, la circ. CNDCEC n. 30/IR ritiene che tali attestazioni possano essere rilasciate anche dal professionista che ha reso la relazione di veridicità dei dati aziendali e
fattibilità del piano (artt. 161, co. 3, e 182-bis, co. 1, L.F.).
Altre attestazioni possono ricorrere nell’ambito del concordato preventivo con continuità aziendale, accanto alla relazione di cui all’art. 161, co. 3, L.F., peraltro arricchita in ragione della
prosecuzione dell’attività proposta dal piano, come osservato dalla circ. CNDCEC n. 30/IR.
L’art. 186-bis del R.D. n. 267/1942, introdotto proprio dal D.L. n. 83/2012, stabilisce, infatti, che:
 la relazione di cui all’art. 161, co. 3, L.F. deve pure attestare che la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano è funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori;
 nel caso in cui l’impresa intenda avvalersi della continuazione dei contratti pubblici pendenti, il professionista dovrà attestare la conformità della stessa al piano e la ragionevole capacità di adempimento del debitore. Tale attestazione deve essere resa anche nel caso in cui
quest’ultimo intenda partecipare a procedure di assegnazione di contratti pubblici, e deve essere presentata in gara e, quindi, in un momento successivo a quello di deposito del piano.
Conseguentemente, in tale ultima ipotesi, a parere della circ. CNDCEC n. 30/IR, si dovrebbe ritenere che l’attestazione speciale rappresenti una nuova relazione con contenuto tipico
accessorio rispetto a quella iniziale di cui all’art. 161, co. 3, L.F., necessaria ai fini della partecipazione del debitore alla gara, peraltro già ammesso al concordato preventivo con continuità
aziendale. Diversamente, le attestazioni di prosecuzione dell’attività d’impresa e dei contratti
pubblici costituiscono delle mere integrazioni dell’oggetto della relazione predisposta ai fini
dell’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale. Analogamente alle attestazioni di cui all’art. 182-quinquies del R.D. n. 267/1942, anche quelle previste dall’art. 186-bis
L.F. di cui sopra possono essere redatte, ad avviso della circ. CNDCEC n. 30/IR, dal medesime professionista che ha predisposto la relazione di cui all’art. 161, co. 3, della
Legge Fallimentare18.
5. Delitto di falso in attestazioni e relazioni
L’art. 33 del D.L. n. 83/2012 ha introdotto una nuova fattispecie di reato penale, contenuta nell’art. 236-bis L.F., ed operante nei confronti del professionista che – nell’attestazione del piano
di risanamento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., nelle relazioni di cui agli artt. 161, co. 3, e
182-bis, 182-quinquies e 186-bis L.F. – ha esposto informazioni false, oppure ha omesso di riferirne una o più rilevanti. Al ricorrere di una di tali condotte, è prevista la reclusione da due a
cinque anni, e la multa da euro 50.000 ad euro 100.000, aumentabile – se il fatto è stato commesso per conseguire un ingiusto profitto, per sé od altri – fino alla metà, se ne è derivato un
danno per i creditori.
La previsione di cui all’art. 236-bis L.F. si è resa necessaria per evitare asimmetrie irragionevoli, sotto il profilo costituzionale, rispetto alla rilevanza penale della condotta del professionista, del notaio o del diverso organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento del soggetto privo dei requisiti di fallibilità: l’art. 16, co. 2, della Legge 27 gennaio 2012,
n. 3 stabilisce, infatti, la punibilità – con la reclusione da uno a tre anni, e con la multa da euro
1.000 ad euro 50.000 – di chi “rende false attestazioni in ordine all’esito della votazione dei creditori sulla proposta di accordo formulata dal debitore ovvero in ordine alla veridicità dei dati contenuti in tale proposta o nei documenti ad essa allegati”.
L’introduzione, nella Legge Fallimentare, della predetta norma penale ha, pertanto, consentito di
saldare i meccanismi di tutela e bilanciare adeguatamente il ruolo centrale riconosciuto al pro18
In senso conforme, si veda l’orientamento del Tribunale di Reggio Emilia, Appunti veloci in tema di riforma della legge
fallimentare del 2012 (Versione aggiornata al 25 ottobre 2012 sulla scorta dei primi casi): il professionista attestatore,
nominato ai sensi dell’art. 161 del R.D. n. 267/1942, può procedere alle attestazioni previste nell’art. 186-bis, co. 3 e 4,
L.F. e, in tal caso, la relazione – unica – di attestazione deve contenere quanto previsto nelle menzionate disposizioni.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Professionista attestatore, requisiti e relazione
fessionista attestatore nell’intero intervento normativo. La formulazione dell’art. 236-bis L.F. ha,
tuttavia, destato alcuni dubbi interpretativi, come osservato dalla circ. CNDCEC n. 30/IR,
con particolare riferimento all’asimmetria delle condotte considerate dalla disposizione: “L’assenza di specificazioni in termini di rilevanza della condotta commissiva (esposizione di informazioni false) a fronte della connotazione in tal senso della omissione (omissione di informazioni rilevanti) potrebbe favorire la possibile contestazione del reato ogni volta in cui l’informazione
esposta sia falsa, a prescindere dalla rilevanza, ovvero suggerire interpretazioni di senso contrario
e volte ad estendere il requisito della rilevanza anche alla condotta commissiva”.
Il documento perviene, quindi, alle medesime conclusioni della Corte di Cassazione (relazione del 13 luglio 2012, n. III/07/2012), secondo cui il concetto di “rilevanza” è utilizzato
esclusivamente con riferimento alla fattispecie omissiva, generando un’asimmetria
sanzionatoria rispetto all’ipotesi delle “informazioni false”. In altri termini, stando al dato
letterale della disposizione, è incriminabile ogni rappresentazione di informazioni false19, anche se irrilevante, mentre per le omissioni è necessario – ai fini dell’applicabilità
della predetta pena – accertarne la significatività.
A questo proposito, la Suprema Corte ritiene questa distonia “non facilmente giustificabile e che
potrebbe dunque suggerire interpretazioni tese ad estendere il requisito di rilevanza anche
alla condotta commissiva”. In tale sede, è stato altresì osservato che “lo scostamento dalla realtà debba considerarsi “rilevante” quando risulti idoneo a falsare, nel complesso e in maniera significativa, la relazione o l’attestazione”.
La circ. CNDCEC n. 30/IR si è, poi, soffermata sulla struttura del reato che potrebbe essere ascritto all’attestatore: per quanto riguarda l’elemento soggettivo20, si tratta di delitto proprio,
in quanto soltanto il professionista può porlo in essere nell’ambito delle relazioni che per legge
è chiamato a redigere, anche se non resta esclusa la possibilità di concorso nel reato da
parte di altri soggetti. Si configura altresì un reato di pericolo, poiché coniato al fine di
garantire la completezza delle informazioni prodotte nelle menzionate attestazioni su cui fanno affidamento, oltre al debitore, i creditori21. Per quanto concerne, invece, il concetto di rilevanza, la circ. CNDCEC n. 30/IR sottolinea, quale criticità da risolvere, l’assenza di parametri tramite cui valutare, qualora il reato venisse contestato, l’esclusione della punibilità allorché la violazione non produca alterazioni di una certa evidenza. A tale proposito, viene suggerito come possibile rimedio l’impiego di un criterio di ragionevolezza, considerando sia
lo scostamento dalla realtà dell’informazione falsa resa che dell’importanza22 dell’informazione vera omessa.
19
La ratio dell’art. 236-bis L.F. potrebbe, tuttavia, trovare giustificazione nella circostanza che è punibile ogni informazione falsa in quanto, a differenza dell’omissione, sottotende la premeditazione, ovvero la volontà e consapevolezza di
esporre una notizia o un dato non rispondente al vero: diversamente, l’omissione è punibile soltanto se rilevante, poiché ricorre la presunzione che non poteva passare inosservata nell’ambito dell’attività svolta dall’attestatore.
20
Sul punto, la Corte di Cassazione, nella relazione n. III/07/2012, aveva precisato che l’elemento soggettivo del reato è
rappresentato da fattispecie dolose, e il dolo è quello generico, integrato dalla volontà di porre in essere la condotta
commissiva od omissiva, nella consapevolezza della falsità dei dati esposti o della rappresentazione della realtà offerta
mediante l’amputazione di quelli veri occultati. Per la sussistenza dell’ipotesi aggravata, disciplinata dal co. 2 dell’art.
236-bis L.F., il dolo si arricchisce, invece, del fine specifico di profitto.
21
In senso conforme, anche il predetto orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il bene giuridico tutelato sembra “identificarsi con l’affidamento di cui devono godere le menzionate relazioni ed attestazioni in merito al
loro contenuto ed in funzione del certo e sollecito svolgimento delle procedure paraconcorsuali cui le stesse accedono,
qualificando in definitiva la nuova fattispecie come reato contro la fede pubblica. Bene quest’ultimo la cui tutela risulta
comunque strumentale a quella degli interessi patrimoniali del ceto creditorio – utente privilegiato e, in un certo senso,
“naturale” delle relazioni ed attestazioni oggetto materiale del reato – come del resto sembra suggerire proprio il contenuto della seconda delle aggravanti sopra illustrate, ovvero che dal fatto del professionista consegua un danno per i
creditori”.
22
Il concetto di rilevanza potrebbe ritenersi verificato, in particolare, quando la falsità od omissione dell’informazione è
stata tale da indurre in errore il creditore: in altri termini, la mancata indicazione del dato non veritiero, o l’esposizione
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Professionista attestatore, requisiti e relazione – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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La circ. CNDCEC n. 30/IR ha, infine, precisato che il concetto di “informazione” citato dall’art.
236-bis L.F. deve, naturalmente, ritenersi comprensivo di quello di “dato”: con l’effetto che è,
pertanto, sostenibile l’emersione del reato nei casi in cui l’attestatore falsifichi i dati oppure ometta di riferirne di rilevanti nella propria relazione. In altre parole, si tratta dei dati aziendali la cui
veridicità deve essere attestata nell’ambito delle procedure di composizione della crisi, e rispetto
alla quale sarebbe buona prassi non fare affidamento sulle valutazioni effettuate da terzi. Ciò potrebbe implicare, nei limiti di quanto sopra precisato, la dubbia contestazione del reato con
riferimento solo ai giudizi prognostici che il professionista attestatore è chiamato ad effettuare nella predisposizione delle relazioni.
di quello mancante, avrebbe determinato costui a manifestare una volontà differente, ad esempio, il voto contrario, anziché favorevole, alla proposta di concordato preventivo.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Accordi per la crisi dei soggetti “non fallibili”
Capitolo V
Accordi per la crisi dei soggetti
“non fallibili”
di Michele Bana
I debitori non assoggettabili alle disposizioni del R.D. n. 267/1942 possono superare la propria
crisi, in alternativa al concordato stragiudiziale, attraverso gli strumenti individuati dalla L. n.
3/2012: la composizione della crisi da sovraindebitamento – oggetto del presente capitolo, avente elementi in comune con l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo dei soggetti “fallibili” – e la liquidazione del patrimonio del debitore, che sarà esaminata nel
successivo capitolo.
1. Principi generali
La L. 27 gennaio 2012, n. 3, così come modificata dall’art. 18 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d.
Decreto Sviluppo-bis), ha introdotto uno strumento negoziale “ibrido”1 di estinzione, controllata
in sede giudiziale, delle obbligazioni del soggetto non fallibile2, come, ad esempio, l’imprenditore commerciale3 “piccolo”, ovvero che non supera nessuno dei tre parametri dimensionali individuali dall’art. 1 del R.D. n. 267/1942:
1) attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore ad euro 300.000, nei tre esercizi precedenti la data di deposito della domanda di ammissione all’istituto (ovvero nel minor periodo
dall’inizio dell’attività);
2) ricavi lordi annui non eccedenti euro 200.000, nel medesimo periodo di cui al punto precedente;
3) esposizione di debiti, compresi quelli non scaduti, inferiore o pari ad euro 500.000.
L’istituto della composizione della crisi da sovraindebitamento4 può essere invocato anche dalla
c.d. start up innovativa di cui all’art. 31 del D.L. n. 179/2012, nonché nei casi non disciplinati dalla Legge Fallimentare o da disposizioni speciali, come nell’ipotesi dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi di cui al D.Lgs. n. 270/1999: è, inoltre, previsto che il consu1
In tal senso, si veda M. Fabiani, Primi spunti di riflessione sulla regolazione del sovraindebitamento del debitore non
fallibile L. 27 gennaio 2012, n. 3, in “Foro it.”, 2012, V, 94. L’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento
si colloca, infatti, a metà strada tra gli istituti previsti per i soggetti fallibili, e precisamente il piano attestato di risanamento, il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti.
2
Si veda anche D. Boggiali, Le crisi da sovraindebitamento, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, 13 aprile 2012,
n. 61-2012/I.
3
L’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento è ritenuto invocabile anche dall’imprenditore agricolo, secondo l’orientamento di alcuni autori, tra i quali M. Fabiani, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (D.L. 212/2011), www.ilcaso.it: sul punto, si osservi, tuttavia, che l’imprenditore agricolo può già accedere, seppure in via transitoria (in attesa del generale riordino della disciplina speciale riguardante tale soggetto), all’accordo di
ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942, ovvero la procedura concorsuale alternativa, sotto
il profilo soggettivo, all’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento.
4
L’art. 6, comma 2, della L. n. 3/2012 definisce come sovraindebitamento la situazione di perdurante squilibrio tra le
obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, ovvero la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni. Il legislatore ha, quindi, utilizzato la medesima formulazione del
presupposto oggettivo di fallibilità degli imprenditori commerciali di cui all’art. 1 L.F., ovvero lo stato di insolvenza
(art. 5 del R.D. n. 267/1942).
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Accordi per crisi dei soggetti “non fallibili” – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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matore5 in stato di sovraindebitamento – fermo restando il diritto di proporre ai creditori un accordo di cui al predetto art. 7, co. 1, della Legge n. 3/2012 – può formulare, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi (con sede nel circondario del tribunale competente), un piano
contenente le medesime previsioni della predetta intesa.
Tale novità normativa si colloca all’interno di un nuovo quadro di riferimento della materia del recupero del credito, che – in una cornice generale di deflazione del carico giudiziario – si sposta su forme di soluzione della crisi fondate su tre elementi6:
 il favor per il raggiungimento di soluzioni concordate tra soggetti che ne sono i protagonisti;
 il favor per la continuità delle attività economiche in genere, laddove possibile, e per l’esdebitazione dei soggetti che abbiano cooperato alla soluzione della propria crisi, ritenuti meritevoli
di sostegno in un’ottica premiale, che tende al loro reinserimento nel tessuto economico produttivo;
 la tendenza a trasferire la gestione dei fenomeni liquidatori al di fuori delle aule di giustizia,
rimettendole a professionisti qualificati, in questo caso coordinati da Organismi accreditati
presso il Ministero della Giustizia, se pure sempre sotto il controllo giudiziario, fisiologico in
alcune fasi e solo eventuale in altre.
2. Presupposti di ammissibilità
L’art. 7, comma 1, della L. n. 3/2012 riconosce al debitore in stato di sovraindebitamento la possibilità di proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi
(art. 15 della Legge n. 3/2012) con sede nel circondario del tribunale competente, un accordo di
ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano, che –
assicurato il regolare pagamento dei titolari dei crediti impignorabili di cui all’art. 545 c.p.c. ed
alle altre disposizioni speciali in materia – preveda le scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche suddivisi in classi, le garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e i criteri
per l’eventuale liquidazione dei beni7.
Il piano può prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, custodia e distribuzione del ricavato, da individuarsi tra i professionisti in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare (art. 28 L.F.), ovvero rientrante nelle seguenti categorie:
1) avvocati, dottori e ragionieri commercialisti, e ragionieri;
2) studi associati e società tra professionisti i cui soci appartengano agli ordini professionali di
cui al punto precedente.
3. Inammissibilità
L’art. 7, comma 2, della L. n. 3/2012, stabilisce che la domanda di composizione della crisi non
può essere accolta quando il debitore, anche consumatore:
 è soggetto ad altre procedure concorsuali;
 ha già fatto ricorso, nei precedenti 5 anni, ai procedimenti di composizione della crisi da
sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio;
5
È qualificabile come debitore la persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
6
Sul punto, si veda il documento di studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Il procedimento per la composizione
delle crisi da sovraindebitamento di cui alla legge n. 3 del 27 gennaio 2012, 28 settembre 2012, n. 25-2012/E.
7
È altresì previsto un principio analogo al concordato preventivo ed alla transazione fiscale dei soggetti fallibili di cui
agli artt. 160 e 182-ter del R.D. n. 267/1942: è possibile proporre un pagamento parziale dei creditori privilegiati – ad
eccezione di quelli costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, o riferibili all’Iva ed alle ritenute effettuate e non
versate, esclusivamente dilazionabili – purchè in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, sulla base del valore di mercato dei beni o diritti sui quali insiste la
prelazione, come attestato dall’organismo di composizione della crisi.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Accordi per la crisi dei soggetti “non fallibili”
 ha subito, per cause a lui imputabili, un provvedimento di annullamento e risoluzione dell’accordo, revoca e cessazione del piano del consumatore, omologati;
 ha fornito documentazione che non consente di ricostruire, compiutamente, la propria situazione economica e patrimoniale.
4. Contenuto della proposta
L’oggetto dell’offerta di accordo è definito dall’art. 8, comma 4, della L. n. 3/2012, che utilizza una
formulazione analoga a quella impiegata per il c.d. “concordato preventivo con continuità aziendale” dei soggetti fallibili (art. 186-bis del R.D. n. 267/1942).
È stata, infatti, inserita la possibilità che la proposta di accordo con prosecuzione dell’attività dell’impresa e il piano del consumatore preveda una moratoria, sino ad un anno dall’omologazione, per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno od
ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali insiste la causa di
prelazione. È, inoltre, stabilito che:
 la proposta di accordo, o il piano del consumatore, prevede la ristrutturazione dei debiti e la
soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri;
 nel caso in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti ad assicurare la fattibilità
dell’accordo o del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono
il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attualità;
 nella proposta di accordo sono indicate eventuali limitazioni all’accesso al mercato del credito
al consumo, all’utilizzo degli strumenti di pagamento a credito ed alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.
5. Presentazione della proposta
L’art. 9, comma 1, della L. n. 3/2012 dispone che la domanda deve essere depositata presso il tribunale del luogo in cui il debitore o consumatore ha la residenza. Contestualmente a tale adempimento giudiziale, o comunque non oltre 3 giorni, la proposta deve essere presentata – a cura
dell’organismo di composizione della crisi – presso l’agente della riscossione e gli uffici
fiscali, compresi gli enti locali, in base all’ultimo domicilio tributario del proponente. La proposta deve contenere la ricostruzione della posizione fiscale del debitore/consumatore, indicando altresì eventuali contenziosi pendenti8.
Alla proposta di piano del consumatore, deve essere altresì allegata una relazione particolareggiata del predetto organismo, che deve contenere:
 l’indicazione delle cause dell’indebitamento, e della diligenza impiegata dal consumatore
nell’assolvere volontariamente le proprie obbligazioni;
 l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere regolarmente le
obbligazioni assunte;
 il resoconto della solvibilità del consumatore negli ultimi 5 anni;
 la precisazione dell’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
 il giudizio sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata dal
consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto
all’alternativa liquidatoria9.
Il giudice può concedere un termine perentorio, non superiore a 15 giorni, per apportare integra8
Il deposito della proposta di accordo, o del piano del consumatore, sospende – ai soli effetti del concorso – la maturazione degli interessi convenzionali o legali, a meno che i crediti siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, salvo
quanto previsto dagli artt. 2749, 2788 e 2855, del codice civile.
9
La necessità di tale documentazione aggiuntiva, rispetto all’accordo, è rappresentata dal fatto che il piano del consumatore non è soggetto, ai fini dell’omologazione, all’approvazione dei creditori, ma soltanto alla valutazione, da parte del
tribunale, della meritevolezza del debitore e della convenienza della proposta.
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zioni alla proposta, e produrre nuovi documenti.
6. Poteri del tribunale
L’art. 10, comma 2, della L. n. 3/2012 attribuisce le seguenti prerogative al giudice, da esercitare
nell’ambito del decreto di fissazione dell’udienza di cui al precedente comma 1:
 stabilisce idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto, oltre – nel caso in cui il proponente svolga un’attività d’impresa – alla pubblicazione degli stessi nel registro delle imprese;
 ordina, qualora il piano preveda la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o mobili
registrati, la trascrizione del decreto presso gli uffici competenti, a cura dell’organismo
di composizione della crisi;
 dispone, sino al momento di definitività del provvedimento di omologazione, il divieto per i
creditori di titolo o causa anteriore – ad eccezione di quelli muniti di un diritto impignorabile – di avviare o proseguire, a pena di nullità, azioni esecutive individuali sul
patrimonio del debitore, né possono essere disposti sequestri conservativi od acquistati diritti di prelazione sui beni dello stesso. Nel medesimo periodo, decorrente dalla pubblicazione
del decreto, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal debitore senza l’autorizzazione del giudice;
 all’udienza, ai sensi del successivo co. 3, il giudice – accertata la sussistenza di iniziative od atti
in frode ai creditori – dispone la revoca del decreto di cui al co. 1, ed ordina la cancellazione
della trascrizione dello stesso, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità stabilita.
7. Accordo con i creditori
L’art. 11, comma 2, della L. n. 3/2012 stabilisce che, ai fini dell’omologazione, è necessario che
l’intesa sia raggiunta con un numero di creditori rappresentanti il 60% delle proprie passività, analogamente a quanto previsto per l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art.
182-bis del R.D. n. 267/1942. A tale proposito, sono previste alcune specifiche regole:
 il consenso dei creditori deve essere manifestato, in forma scritta (telegramma, raccomandata con avviso di ricevimento, fax o pec), all’organismo di composizione della crisi, come
eventualmente modificata almeno dieci giorni prima dell’udienza. In mancanza, si ritiene che
abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata (art. 11,
comma 1, della L. n. 3/2012);
 i creditori muniti di ipoteca, pegno o privilegio, per i quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che rinuncino, anche soltanto parzialmente, al diritto di
prelazione. Analogamente al concordato preventivo dei soggetti fallibili (art. 177, ultimo
comma, del R.D. n. 267/1942), non hanno diritto di esprimersi sulla proposta e non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari od aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta10.
8. Omologazione dell’accordo
L’art. 12, comma 1, della L. n. 3/2012 stabilisce che, se è raggiunto l’accordo, l’organismo di composizione della crisi trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi e sul conseguimento del predetto quorum del 60% delle passività del debitore, allegando il testo dell’intesa
stessa: nei 10 giorni successivi al ricevimento di tale documento, i creditori possono sollevare
eventuali contestazioni11.
10
Nel caso del piano del consumatore, non è, invece, richiesta l’adesione o approvazione dei creditori, essendo demandata l’omologazione dello stesso ad una mera valutazione giudiziale di meritevolezza del debitore, fattibilità e convenienza della proposta.
11
L’accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore ed obbligati in via
di regresso, né determina la novazione delle obbligazioni, salvo che sia disposto diversamente (art. 11, commi 3 e 4,
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Decorso il suddetto termine di 10 giorni dal ricevimento della relazione dell’organismo di composizione della crisi, quest’ultimo la trasmette al giudice, allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.
Viene, quindi, avviata la fase di verifica del raggiungimento dell’accordo sulla base della
maggioranza del 60% e dell’idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei
crediti impignorabili, dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’Iva e
delle ritenute operate e non versate. Esaurita tale fase, e risolta ogni altra contestazione12,
il giudice – entro 6 mesi dalla presentazione della proposta – omologa l’accordo, e ne dispone l’immediata pubblicazione.
Il procedimento di omologazione del piano del consumatore è disciplinato dal successivo
art. 12-bis della L. n. 3/2012, che attribuisce al giudice i seguenti poteri:
 se ritiene la proposta ammissibile a norma degli artt. 7, 8 e 9, della Legge n. 3/2012, ed accerta
l’assenza di atti in frode ai creditori, fissa l’udienza, disponendo che l’organismo di composizione ne dia comunicazione a tutti i creditori, almeno 30 giorni prima;
 nelle more della predetta convocazione, può disporre la sospensione – sino alla data di definitività del provvedimento di omologazione – di specifici procedimenti di esecuzione forzata idonei a pregiudicare la fattibilità del piano;
 nel termine di 6 mesi dalla presentazione della proposta, omologa il piano, previa verifica della
soddisfazione di alcune condizioni inderogabili, come la fattibilità e l’idoneità dello stesso a
garantire il pagamento integrale dei crediti impignorabili, dell’Iva e delle ritenute non versate.
Quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso, o qualunque altro interessato,
contesta la convenienza del piano, il giudice può comunque omologarlo se ritiene che il credito
può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore rispetto all’alternativa
della liquidazione del patrimonio del debitore, ai sensi dell’art. 12 della L. n. 3/2012.
Il giudice, prima dell’omologa, deve, inoltre, aver accertato l’insussistenza di due circostanze: il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle
adempiere, ed ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo del
ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.
Nel caso in cui il piano preveda la cessione o l’affidamento a terzi di immobili o beni mobili registrati, il decreto – da intendersi equiparato all’atto di pignoramento – deve essere trascritto, a cura dell’organismo di composizione della crisi.
L’accordo omologato, analogamente al concordato preventivo e diversamente dall’accordo
di ristrutturazione dei debiti (in cui è stabilito il pagamento integrale dei “creditori estranei”), è obbligatorio per tutti i crediti anteriori al momento di effettuazione della pubblicità della proposta (art. 10, comma 2, della L. n. 3/2012): i creditori con causa o titolo
posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.
I medesimi principi operano nel caso del piano del consumatore: dalla data dell’omologazione
del piano, i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive
individuali. Ad impulso dei medesimi, non possono essere iniziate o proseguite azioni cautelari, né
acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta.
A norma dell’art. 12, comma 4, della L. n. 3/2012, i predetti effetti dell’omologazione vengono
meno in caso di risoluzione dell’accordo o di mancato pagamento dei crediti impignoradella L. n. 3/2012): il medesimo principio opera per l’omologazione del piano del consumatore, ai sensi dell’art. 12-ter,
comma 3, della L. n. 3/2012.
12
Quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso, o qualunque altro interessato, contesta la convenienza della proposta, il giudice può comunque omologare l’accordo se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore rispetto all’alternativa della liquidazione del patrimonio del debitore,
ai sensi dell’art. 12, della L. n. 3/2012.
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bili, dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’Iva, delle ritenute operate e non versate. Sul punto, si rammenta che determina la citata risoluzione la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata a carico del debitore (art. 12, comma 5, della L. n. 3/2012): gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 del R.D. n. 267/1942.
9. Esecuzione dell’accordo o del piano
L’art. 13, comma 1, della L. n. 3/2012 stabilisce che, qualora la soddisfazione dei crediti comporti
l’utilizzo di beni sottoposti a pignoramento, oppure se previsto dall’accordo o dal piano, il
giudice – su proposta dell’organo di composizione della crisi – nomina un liquidatore, tra i soggetti eleggibili a curatore fallimentare (art. 28 L.F.), che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme riscosse. L’organismo di composizione della crisi risolve le eventuali difficoltà insorte
nell’esecuzione dell’accordo o del piano, e vigila sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità, a norma dell’art. 13, commi 1 e 2, della L. n. 3/2012:
i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo e del piano sono
inefficaci rispetto ai creditori anteriori alla pubblicazione della proposta.
Il successivo comma 5 prevede altresì una disposizione analoga a quella dei crediti prededucibili di cui all’art. 111, ultmo comma, del R.D. n. 267/1942: i crediti sorti in occasione o in funzione dell’accordo o del piano del consumatore “sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri,
con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la
parte destinata ai creditori garantiti”.
10. Cessazione degli effetti
L’art. 11, comma 5, della L. n. 3/2012, così come modificato dal Decreto Sviluppo-bis, stabilisce
che l’accordo cessa, di diritto, di produrre effetti se il debitore non esegue integralmente,
entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamento dovuti – secondo il piano – alle amministrazioni pubbliche ed agli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie13.
L’accordo è altresì revocato se risultano compiuti, durante la procedura, atti diretti a frodare
le ragioni dei creditori: al ricorrere di tale ipotesi, il giudice provvede d’ufficio con decreto reclamabile, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., innanzi al tribunale, e del collegio non può far parte il giudice che lo ha pronunciato.
11. Revoca e cessazione del piano del consumatore
L’art. 14-bis della L. n. 3/2012 stabilisce che il tribunale – su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore – dichiara cessati gli effetti dell’omologazione del piano del consumatore, nei seguenti casi:
 è stato dolosamente, o con colpa grave, aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, o dolosamente simulate attività inesistenti. L’istanza di cessazione deve essere depositata entro 6 mesi dalla scoperta, e comunque
non oltre 2 anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto;
 il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano, se le garanzie promesse non
vengono costituite, oppure l’esecuzione del piano diviene impossibile, anche per ragioni
non imputabili al debitore. La domanda di cessazione deve essere presentata entro 6 mesi dalla
scoperta e, in ogni caso, non oltre 1 anno dalla scadenza del termine per l’ultimo adempimento
previsto.
13
Il legislatore ha, pertanto, introdotto un istituto analogo a quello previsto dall’art. 182-ter, ultimo comma, L.F., ovvero
della revoca della transazione fiscale conclusa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182bis del R.D. n. 267/1942.
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Capitolo VI
Liquidazione dei beni del
debitore “non fallibile”
di Michele Bana
Il procedimento di realizzo del patrimonio del soggetto insolvente presenta degli elementi in
comune con il piano del consumatore, come la redazione – da parte dell’organismo di composizione della crisi – di una relazione particolareggiata, ma anche con il fallimento: il liquidatore
è, infatti, chiamato ad assolvere alcuni incombenti analoghi a quelli posti a ca-rico del curatore, quali la verifica dell’elenco dei creditori e l’esame delle domande di ammissione, la formazione dell’inventario, la predisposizione ed esecuzione del programma di liquidazione, a conclusione del quale il debitore può richiedere di beneficiare dell’esdebitazione.
1. Presupposti
L’art. 18 del D.L. n. 179/2012 ha introdotto una nuova sezione nella L. n. 3/2012 e precisamente la
seconda, rubricata alla “Liquidazione del patrimonio”, alternativa alla composizione della
crisi da sovraindebitamento, ed invocabile in presenza dei requisiti di cui all’art. 14-ter, co. 1, della predetta Legge, che richiama i presupposti indicati dal precedente art. 7, co. 2, lett. a) e b)1.
Al ricorrere di questi ultimi, il debitore può richiedere la procedura di realizzo dei propri
beni, presentando apposita istanza al tribunale competente in base del luogo di residenza
o sede principale del debitore, corredata dalla documentazione di cui all’art. 9, co. 2 e 3,
della L. n. 3/2012:
• l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, dei beni e degli eventuali atti di disposizione, compiuti negli ultimi 5 anni, unitamente alle dichiarazioni
dei redditi degli ultimi 3 anni e all’attestazione sulla fattibilità del piano;
• il prospetto analitico delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e
della propria famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata dal certificato dello stato di famiglia;
• se il debitore svolge un’attività d’impresa, una copia delle scritture contabili degli ultimi 3 esercizi, unitamente ad una dichiarazione attestante la conformità della stessa
all’originale.
Ai sensi dell’art. 14-ter, co. 3, della L. n. 3/2012, alla domanda devono altresì essere allegati l’inventario di tutti i beni del debitore – recante specifiche precisazioni sul possesso di ciascuno
degli immobili e delle cose mobili – e una relazione particolareggiata, predisposta dall’organismo di composizione della crisi, che deve contenere:
 l’indicazione delle cause dell’indebitamento, e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
 l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere le
obbligazioni assunte;
 il resoconto sulla solvibilità, negli ultimi 5 anni, del debitore persona fisica;
1
Sul punto, si rammenta che tale norma ritiene inammissibile la proposta di composizione della crisi quando il debitore, anche consumatore, è soggetto a procedure concorsuali diverse dai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, oppure – negli ultimi 5 anni – ha fatto ricorso a questi ultimi istituti.
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Liquidazione dei beni del debitore “non fallibile” – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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 la menzione dell’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
 il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.
L’organismo di composizione della crisi, entro 3 giorni dalla richiesta della predetta relazione, né
dà notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti
in base all’ultimo domicilio fiscale dell’istante2.
La domanda di liquidazione è, tuttavia, inammissibile se la documentazione prodotta non consente di ricostruire, compiutamente, la situazione patrimoniale e reddituale del debitore.
2. Crediti esclusi
A norma dell’art. 14-ter, co. 6, della L. n. 3/2012, la domanda di liquidazione non può comprendere i crediti impignorabili (art. 545, c.p.c.) e quelli aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la propria attività, nei limiti – determinati dal giudice – di quanto occorre al proprio mantenimento e a
quello della sua famiglia. Sono, inoltre, esclusi i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni
dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale ed i loro frutti, salvo quanto disposto dall’art. 170
c.c., e le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.
3. Conversione dalla procedura di composizione
L’art. 14-quater della L. n. 3/2012 stabilisce che il giudice, su istanza del debitore o dei
creditori, può disporre la conversione della procedura di composizione della crisi in quella di liquidazione nei casi di annullamento dell’accordo o di cessazione degli effetti
dell’omologazione del piano del consumatore ai sensi dell’art. 14, co. 2, lett. a), della L.
n. 3/2012, ovvero quando è stato dolosamente, o con colpa grave, aumentato o diminuito il
passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, o dolosamente simulate attività inesistenti.
La conversione è altresì disposta per effetto della revoca di diritto della procedura di
composizione (art. 11, co. 5, della L. n. 3/2012), di risoluzione dell’accordo o cessazione
degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore a norma del successivo art. 14,
co. 2, lett. b), ove determinati da cause imputabili al debitore. È il caso, ad esempio, in cui
quest’ultimo compia atti in frode ai creditori, oppure non provveda ai regolari pagamenti delle
amministrazioni pubbliche, o degli enti previdenziali ed assistenziali.
4. Apertura della liquidazione
Se la domanda soddisfa i requisiti di ammissibilità di cui all’art. 14-ter della L. n. 3/2012, il giudice – previa verifica dell’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi 5 anni – dichiara,
con decreto3, aperta la procedura di liquidazione, assumendo contestualmente i seguenti provvedimenti (art. 14-quinquies, co. 2, della L. n. 3/2012):
 nomina un liquidatore, se non già designato, tra i professionisti in possesso dei requisiti per
la designazione a curatore fallimentare (art. 28 del R.D. n. 267/1942);
 dispone il divieto, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, di avviare o proseguire – a pena di nullità – azioni esecutive o cautelari, o acquisire diritti di prelazione, sul patrimonio del debitore;
2
Il deposito della domanda sospende, ai soli fini del concorso, il corso degli interessi legali o convenzionali, sino alla
chiusura della liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli artt. 2749, 2788 e 2855, co. 2 e 3, c.c. (art. 14-ter, co. 7, della L. n. 3/2012).
3
Il predetto decreto deve intendersi equiparato all’atto di pignoramento, ai sensi dell’art. 14-quinquies, co. 3, della L. n.
3/2012.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Liquidazione dei beni del debitore “non fallibile”
 stabilisce idonea forma di pubblicità della domanda e del decreto, nonché – nel caso in cui il
debitore svolga anche attività d’impresa – l’annotazione nel registro delle imprese;
 ordina, in presenza di beni immobili o mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura del
liquidatore;
 ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che ritenga – in presenza di gravi e specifiche ragioni – di autorizzare il debitore ad
utilizzarne alcuni di essi, con un provvedimento rappresentante un titolo esecutivo, posto in
esecuzione a cura del liquidatore;
 fissa i limiti di cui all’art. 14-ter, co. 6, lett. b), del L. n. 3/2012, in ordine alla determinazione
della quota di risorse prodotta dal debitore, con la propria attività, necessaria al mantenimento
dello stesso e della propria famiglia.
La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione
e, in ogni caso, per i 4 anni successivi al deposito della domanda (art. 14-undecies della L.
n. 3/2012).
5. Inventario ed elenco dei creditori
Il liquidatore, dopo aver verificato l’elenco dei creditori e l’attendibilità della documentazione depositata, forma l’inventario dei beni da realizzare, e comunica ai creditori e ai titolari di diritti
reali e personali, mobiliari e immobiliari, su immobili o cose in possesso o nella disponibilità del
debitore che possono partecipare alla liquidazione, depositando o trasmettendo – anche mediante posta elettronica certificata, purché vi sia la prova della ricezione – la relativa istanza (art.
14-sexies della L. n. 3/2012). In tale missiva, è altresì indicato il termine ultimo per la presentazione della predetta domanda, e la data entro cui il liquidatore comunicherà al debitore ed ai
creditori lo stato passivo ed ogni altra informazione utile.
La domanda in parola, riguardante la partecipazione alla liquidazione oppure avente ad oggetto
la restituzione o rivendicazione di beni mobili od immobili, deve essere proposta con ricorso,
contenente le informazioni previste dal successivo art. 14-septies, e precisamente:
 l’indicazione delle generalità del creditore (o rivendicante);
 la determinazione della somma che si intende far valere nella liquidazione, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o rivendicazione;
 la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della
domanda;
 l’eventuale indicazione di un titolo di prelazione;
 la precisazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, del numero di telefax o l’elezione
di domicilio in un comune del circondario ove ha sede il tribunale competente. In mancanza,
le successive comunicazioni del liquidatore saranno eseguite esclusivamente mediante il deposito in cancelleria.
6. Formazione dello stato passivo
Ai sensi dell’art. 14-octies, co. 1, della L. n. 3/2012, il liquidatore esamina le domande di partecipazione pervenute, e provvede a redigere un progetto di stato passivo – comprendente un elenco dei titolari di diritti sui beni mobili ed immobili di proprietà od in possesso del debitore –
comunicandolo agli interessati, assegnando loro un termine di 15 giorni per la formulazione di
eventuali osservazioni.
In assenza di queste ultime, il liquidatore approva lo stato passivo, dandone comunicazione agli interessati: diversamente, in caso di osservazioni, il liquidatore – qualora le ritenga
fondate – provvede, entro 15 giorni dal ricevimento dell’ultima osservazione, alla redazione di un nuovo progetto di stato passivo, seguendo, quindi, la citata procedura.
Nell’ipotesi di contestazioni non superabili, il liquidatore rimette gli atti al giudice che lo
ha nominato, il quale provvede alla definitiva formazione dello stato passivo.
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Liquidazione dei beni del debitore “non fallibile” – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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7. Liquidazione
L’art. 14-novies, co. 1, della L. n. 3/2012 stabilisce che il liquidatore, entro 30 giorni dalla formazione dell’inventario, deve elaborare un programma di liquidazione, dandone comunicazione
al debitore ed ai creditori, provvedendo altresì al relativo deposito nella cancelleria del tribunale.
Il documento in parola deve assicurare la ragionevole durata della procedura. A norma del successivo co. 2, il liquidatore:
 ha l’amministrazione dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione, comprensivo
degli accessori, delle pertinenze e dei frutti prodotti dai beni del debitore;
 cede i crediti, anche se oggetto di contestazione, dei quali non è probabile l’incasso nei
4 anni successivi al deposito della domanda;
 effettua le vendite e gli altri atti realizzativi, in esecuzione del programma di liquidazione4,
tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime
effettuate – salvo il caso di beni di modesto valore – da parte di operatori esperti, assicurando,
con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati5;
 può subentrare nelle azioni esecutive pendenti6.
Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione, autorizza lo svincolo delle somme, ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo – compresa la trascrizione del decreto di apertura della liquidazione – e dichiara la cessazione di ogni
altra forma di pubblicità disposta.
8. Creditori posteriori
L’art. 14-duodecies della L. n. 3/2012 stabilisce che i creditori con causa o titolo posteriore, rispetto alla pubblicità dell’apertura della procedura, non possono procedere esecutivamente sui
beni oggetto di liquidazione: la disposizione stabilisce, inoltre, che i crediti sorti in occasione o funzione della liquidazione, o del procedimento di composizione della crisi, sono
soddisfatti prioritariamente rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.
9. Chiusura della liquidazione
Ai sensi dell’art. 14-novies, co. 5, della L. n. 3/2012, il giudice – accertata la completa esecuzione
del programma di liquidazione e comunque non prima del decorso di 4 anni dal deposito della
domanda – dispone, con decreto, la chiusura della procedura: l’art. 14-undecies, della L. n. 3/2012
stabilisce, infatti, che i beni sopravvenuti nei 4 anni successivi al deposito della domanda
di liquidazione costituiscono oggetto della stessa, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi.
10. Esdebitazione
L’art. 14-terdecies della L. n. 3/2012 attribuisce al debitore persona fisica la facoltà di richiedere,
mediante istanza da depositarsi entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione,
4
Prima del completamento delle operazioni di vendita, il liquidatore informa degli esiti delle predette procedure il debitore, i creditori ed il giudice: quest’ultimo, in ogni caso, quando ricorrono gravi e giustificate ragioni, può sospendere,
con decreto motivato, gli atti di esecuzione del programma di liquidazione.
5
I requisiti di onorabilità e professionalità dei predetti soggetti specializzati, e degli operatori esperti, dei quali il liquidatore può avvalersi, nonché i mezzi di pubblicità e trasparenza delle operazioni di vendita sono quelli previsti dal Regolamento del Ministro della Giustizia di cui all’art. 107, co. 6, del R.D. n. 267/1942.
6
L’art. 14-decies, della L. n. 3/2012 attribuisce, inoltre, al liquidatore il diritto di esercitare ogni azione prevista dalla legge, finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare e, in ogni caso, correlata con
lo svolgimento della predetta attività di amministrazione: il liquidatore può altresì esercitare le azioni volte al recupero
dei crediti compresi nella liquidazione.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Liquidazione dei beni del debitore “non fallibile”
la liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti (c.d. esdebitazione), a condizione che:
 abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, fornendo tutte le
informazioni e la documentazione utili, nonché adoperandosi per la proficua esecuzione delle
operazioni;
 non abbia, in alcun modo, ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
 non abbia beneficiato di altra esdebitazione, negli 8 anni precedenti la domanda;
 abbia svolto, nei 4 anni successivi al deposito della domanda, un’attività produttiva
di reddito adeguata alle proprie competenze, e alla situazione di mercato, oppure, in ogni
caso, abbia cercato un’occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di
impiego;
 siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di
apertura della liquidazione;
 non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati previsti dall’art.
16, della L. n. 3/2012, puniti con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, e la multa da euro 1.000 ad
euro 50.0007.
Ai sensi dell’art. 14-terdecies, co. 2, della L. n. 3/2012 l’esdebitazione è, in ogni caso, esclusa quando il sovraindebitamento è imputabile ad un ricorso al credito colposo del debitore, e sproporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali: analogamente,
l’istituto in commento non è applicabile se il debitore – nei 5 anni precedenti l’apertura
della liquidazione, o nel corso della stessa – ha posto in essere atti in frode ai creditori,
pagamenti od altre operazioni dispositive del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri.
Quest’ultima ipotesi, se accertata dopo l’emanazione del provvedimento di esdebitazione, può altresì costituire la causa di revoca dell’atto, su istanza dei creditori, così come quando risulta
che è stato dolosamente, o con colpa grave, aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o
dissimulata una parte rilevante dell’attivo oppure simulate attività inesistenti (art. 14-terdecies,
co. 5, della L. n. 3/2012).
L’esdebitazione non opera, inoltre, nei confronti delle passività derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari, da risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale,
nonché per le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie
a debiti estinti: parimenti, non è prospettabile per i debiti fiscali che, pur avendo una causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di composizione della crisi, sono stati successivamente accertati, in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
Al di fuori delle predette cause di esclusione o inefficacia, e in presenza delle citate condizioni di
applicazione, il provvedimento di esdebitazione è assunto, previa verifica dei relativi presupposti
e sentiti i creditori pagati parzialmente, dal tribunale, con decreto, che dichiara inesigibili nei
confronti del debitore i crediti non soddisfatti integralmente. I titolari di questi ultimi possono,
tuttavia, proporre reclamo di fronte al tribunale, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., e del collegio non può
far parte il giudice che ha emesso il decreto.
7
L’art. 16, co. 1, della L. n. 3/2012 stabilisce che, salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e la multa da euro 1.000 ad euro 50.000, il debitore che:
– al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi, aumenta o diminuisce il passivo, oppure sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo, ovvero dolosamente simula attività inesistenti;
– con l’intento di beneficiare dell’istituto di cui al precedente punto, o della liquidazione del patrimonio, produce documentazione contraffatta od alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge – anche soltanto in parte – la documentazione contabile oppure quella relativa alla propria situazione debitoria;
– omette l’indicazione di beni nell’inventario;
– nel corso della procedura, effettua pagamenti in violazione dell’accordo;
– dopo il deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore, aggrava la propria posizione debitoria;
– non rispetta intenzionalmente i contenuti dell’intesa.
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Crisi, continuità aziendale ed effetti contabili – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Capitolo VII
Crisi, continuità aziendale
ed effetti contabili
di Michele Bana
Nell’ambito della soluzione conservativa della crisi d’impresa, il consulente del debitore si trova a dover gestire, tra l’altro, l’impatto amministrativo dello strumento adottato: le principali
criticità riguardano l’individuazione della data contabile rilevante, la rilevazione dei costi del
procedimento e l’informativa da fornire nella nota integrativa al bilancio d’esercizio.
1. Principi contabili di riferimento
Gli effetti contabili della soluzione della crisi d’impresa, qualora non abbia finalità meramente liquidatorie1, sono disciplinati dall’Oic 6, riguardante la ristrutturazione del debito e l’informativa di bilancio. L’adozione di tale standard non è tuttavia, invocabile rispetto a tutte le fattispecie di ristrutturazione del debito, ma soltanto a quelle poste in essere da imprese debitrici italiane – pur comunque potendo essere applicabile anche dal creditore partecipante all’accordo di
ristrutturazione del debito – che soddisfano i seguenti presupposti:
 non redigono il rendiconto annuale secondo i principi contabili internazionali (D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38) e sono diverse da quelle soggette alle norme dettate dal titolo VIII del Codice
delle Assicurazioni private;
 predispongono il bilancio d’esercizio nel rispetto del principio della continuità aziendale2
(c.d. going concern) di cui all’art. 2423-bis, comma 1, n. 1), del codice civile.
È, inoltre, necessario che la ristrutturazione del debito risponda ai requisiti indicati dallo stesso
principio contabile nazionale, come meglio riportati nel prosieguo.
2. Presupposti applicativi dell’Oic 6
Il principio contabile in commento esplica i propri effetti esclusivamente nei confronti delle operazioni mediante le quali uno o più creditori concedono al debitore, in virtù delle difficoltà
finanziarie in cui versa quest’ultimo, modalità maggiormente favorevoli di adempimento
dell’obbligazione, che in condizioni normali non avrebbero, invece, accordato. In altre parole,
il creditore rinuncia ad alcuni diritti contrattualmente definiti, consentendo al debitore di trarre
alcuni benefici, quali, ad esempio, una maggiore dilazione dei termini di pagamento, oppure una
riduzione di quanto ancora dovuto. L’adozione dell’Oic 6 è, pertanto, subordinata alla congiunta
sussistenza di due condizioni:
1
Nel caso di un piano liquidatorio, anziché conservativo o dilatorio, la corretta condotta contabile è individuata dal principio nazionale Oic 5, relativo ai bilanci di liquidazione, comunque integrabile con alcune informazioni previste dall’Oic 6.
Nel caso di un’operazione “mista”, ovvero non caratterizzata esclusivamente da uno scopo realizzativo, la parte conservativa della stessa – avente ad oggetto il risanamento economico dell’impresa, ovvero la salvaguardia della struttura produttiva
aziendale e dei relativi posti di lavoro – deve essere, in ogni caso, rappresentata in ossequio all’Oic 6.
2
L’effettivo rispetto del principio della continuità aziendale può essere verificato sulla base del principio di revisione n.
570, raccomandato anche dalla Consob: il paragrafo 8 del documento di auditing contiene, infatti, un elenco di eventi e
circostanze, che – singolarmente oppure nel loro complesso – possono far sorgere significativi dubbi sulla permanenza
di validità del postulato del c.d. going concern.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Crisi, continuità aziendale ed effetti contabili
 il debitore si trova in una situazione di difficoltà finanziaria3;
 il creditore, a causa della predetta circostanza, concede al proprio obbligato una modifica delle
originarie condizioni contrattuali, rinunciando ad alcuni diritti ormai acquisiti.
2.1. Difficoltà finanziaria del debitore
Il primo presupposto deve ritenersi sussistente qualora il debitore non riesca a procurarsi i mezzi
finanziari adeguati, per quantità e qualità, a soddisfare le esigenze della gestione e le connesse
obbligazioni di pagamento.
Tale situazione ricorre, in primo luogo, nel caso di mancanza di equilibrio tra il fabbisogno finanziario e le corrispondenti fonti di finanziamento, che impedisce di onorare regolarmente, alle scadenze previste, gli impegni assunti.
Sul punto, l’Oic 6 riporta, a titolo esemplificativo, alcuni possibili sintomi della “situazione della difficoltà finanziaria del debitore”:
 la criticità nell’adempiere alcune obbligazioni, per capitale oppure interessi;
 i fondati dubbi sull’osservanza del principio della continuità aziendale;
 i flussi finanziari stimati, con riferimento alla gestione caratteristica, insufficienti ad estinguere il debito4, sia in linea capitale che in termini di quota interessi, in base agli originari
termini contrattuali e fino alla scadenza della passività;
 l’incapacità di ottenere, se non dall’attuale creditore, risorse finanziarie a tassi correnti di mercato, per debiti similari a quello oggetto di ristrutturazione.
Nella prassi aziendale, tali fattori di difficoltà sono spesso causati oppure accompagnati da una
perdurante crisi economica, imputabile all’attitudine della gestione caratteristica dell’azienda
a produrre perdite operative, ovvero all’incapacità dell’attività tipica di remunerare – attraverso i
ricavi, alle normali condizioni di mercato – tutti i fattori produttivi impiegati dall’impresa.
2.2. Concessione accordata dal creditore
La rinuncia di alcuni diritti, a beneficio del debitore, può assumere differenti forme, a seconda
delle modalità di esecuzione della ristrutturazione del debito. Ad esempio, nell’ottica dell’osservanza del principio della continuità aziendale, a cui è subordinata l’applicazione dell’Oic 6, la
concessione del creditore – sotto il profilo della modifica dei termini originari del debito –
può riguardare, come meglio illustrato nel prosieguo, i seguenti aspetti:
 l’ammontare del capitale da rimborsare a scadenza, gli interessi maturati – anche moratori – e non ancora pagati, nonché quelli che si produrranno dal momento della remissione
sino a quello dell’estinzione dell’obbligazione;
 la tempistica dei versamenti che il debitore avrebbe dovuto effettuare, ovvero il differimento, anche infruttifero, dei termini di adempimento.
Nel caso in cui la ristrutturazione preveda, invece, la cessione di un’attività, la concessione del creditore può consistere nell’accettazione in pagamento – quale modalità di estinzione parziale dell’obbligazione – di un’attività il cui valore risulti inferiore a quello contabile del debito.
3. Operazioni di ristrutturazione del debito
Il principio contabile Oic 6 è applicabile a tutte le situazioni in cui il debitore si accorda con
3
L’Oic 6, pur essendo focalizzato sulla ristrutturazione delle passività, fornisce anche diverse indicazioni in merito al
trattamento contabile ed all’informativa di bilancio delle operazioni di rinegoziazione dei debiti, poste in essere da debitori che non si trovano in una situazione di difficoltà finanziaria, ovvero non comportanti il conseguimento di perdite
da parte dei creditori.
4
L’operazione di ristrutturazione può riguardare, talvolta, imprese in grado di generare flussi finanziari sufficienti alla
copertura del fabbisogno della gestione corrente, ed al pagamento di una parte del debito, ma non di tutte le rate in
scadenza.
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Crisi, continuità aziendale ed effetti contabili – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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l’intero ceto dei creditori, oppure soltanto alcuni di essi, al fine di superare lo stato di difficoltà finanziaria in cui versa l’impresa dello stesso. È il caso, ad esempio, della ridefinizione delle passività effettuata nell’ambito degli istituti previsti dalla disciplina concorsuale (R.D. n.
267/1942), oppure tramite intese stragiudiziali raggiunte con i creditori:
 concordato preventivo (art. 160 ss. L.F.);
 accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.);
 piano attestato di risanamento (art. 67 co. 3 lett. d) L.F.);
 forme diverse dalle precedenti, non regolate dalla Legge fallimentare, purché rientranti nella
definizione di “ristrutturazione del debito”, di cui sopra, fornita dall’Oic 6.
4. Effetti contabili
L’Oic 6 considera, principalmente, i seguenti profili della ristrutturazione del debito:
•
la data dell’operazione;
•
la rilevazione dei riverberi patrimoniali, finanziari e reddituali;
•
l’informativa integrativa di bilancio.
4.1. Data della ristrutturazione
L’operazione deve essere rilevata nella contabilità e nel rendiconto annuale della debitrice, sia
sotto il profilo finanziario che economico, a partire dal momento in cui l’accordo perfezionato
tra il debitore e i creditori diviene efficace tra le parti5. Nel caso in cui la data della ristrutturazione sia compresa in un esercizio successivo a quello di avvio delle trattative per la definizione
dell’intesa, è altresì rilevante l’informativa del bilancio del periodo amministrativo precedente rispetto
a quello della ridefinizione delle passività. Al ricorrere di tale ipotesi, le notizie integrative consentono
al lettore del bilancio di verificare la sussistenza della continuità aziendale dell’impresa debitrice.
Premesso ciò, l’Oic 6 individua puntualmente la data della ridefinizione delle passività, differenziata in base alla tipologia dello strumento adottato:
 concordato preventivo: data del decreto di omologazione;
 accordo di ristrutturazione dei debiti: data della pubblicazione presso il registro delle imprese, salvo che l’intesa subordini la propria efficacia all’omologazione del tribunale, la cui data rileverebbe, pertanto, anche ai fini contabili;
 piano attestato di risanamento: la data di eventuale adesione dei creditori o, in mancanza,
quella di pubblicità del documento, ancorché non previste dalla normativa vigente, ma facoltativamente contemplata dal novellato art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942;
 altre forme di ristrutturazione del debito: data di perfezionamento dell’accordo tra le parti.
Il nuovo principio contabile contempla, tuttavia, la possibile rilevanza di un momento contabile diverso da quelli sopra riportati, coincidente con quello del successivo verificarsi di una
condizione sospensiva, ovvero assolvimento di un particolare adempimento, in ossequio al c.d.
principio di prevalenza della sostanza sulla forma: ad esempio, la data di trasferimento delle attività dal debitore al creditore, di assegnazione del capitale a quest’ultimo, di effettività dei nuovi
termini di debito oppure di manifestazione di uno specifico evento. Nel caso di una ristrutturazione del debito che prevede una combinazione di modalità differenti (riduzione delle passività, differimento dei termini, cessione delle attività al creditore e conversione in capitale), i cui
effetti si producono in date differenti, i corrispondenti riverberi contabili sono rilevati autonomamente in bilancio, con riferimento a ciascuna tipologia di ridefinizione.
5
Analogamente, nel caso in cui la data della ristrutturazione ricada tra la chiusura dell’esercizio e quella di formazione
del bilancio, deve essere fornita un’adeguata informativa sulle caratteristiche della ristrutturazione, nonché sui potenziali effetti patrimoniali ed economici che essa produrrà nei successivi periodi amministrativi. In altri termini, è necessario rispettare il principio riportato nell’Oic 29 (paragrafo E.III.a), secondo cui il bilancio deve rappresentare i riverberi prodotti dalla definizione, dopo la chiusura dell’esercizio, “di una causa legale in essere alla data di bilancio per un
importo diverso da quello prevedibile a tale data”.
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L’informativa di bilancio, riguardante la ristrutturazione del debito, deve essere fornita anche negli esercizi successivi all’avvio della stessa, in quanto consente di operare alcuni rilevanti riscontri:
 la situazione economico-finanziaria dell’impresa;
 il conseguimento degli obiettivi propri della ridefinizione delle passività, finalizzati al superamento dello stato di difficoltà finanziaria del debitore, ovvero lo stato di avanzamento dell’esecuzione del piano concordato con i creditori.
4.2. Rilevazione degli effetti dell’operazione
La corretta qualificazione dei riverberi della ristrutturazione del debito è subordinata alle specifiche modalità di esecuzione della stessa, quali, ad esempio:
 la modifica degli originari termini del debito, finalizzata alla riduzione oppure alla dilazione
dello stesso;
 la cessione delle attività ai creditori o soggetti terzi;
 la conversione delle passività in quote del capitale sociale del debitore;
 i costi connessi alla ristrutturazione.
4.2.1. Modifica dei termini debitori originari
Una prima modalità di ristrutturazione consiste in una rettifica di una o più condizioni della passività esistente, quale, ad esempio:
 la riduzione dell’ammontare del capitale da rimborsare a scadenza6, degli interessi
maturati – anche moratori – e non ancora pagati, oppure di quelli in corso di maturazione, a
partire dal momento della concessione sino alla data di estinzione dell’obbligazione (decremento del tasso d’interesse per la vita residua del debito);
 la modifica della tempistica originaria dei pagamenti che il debitore avrebbe dovuto effettuare, mediante un differimento delle scadenze previste per l’adempimento della passività,
in termini sia di capitale che di interessi.
Riduzione per capitale ed interessi
Nel caso di ristrutturazione della quota capitale dell’obbligazione, ovvero degli interessi già maturati e non ancora pagati, il debitore è tenuto ad imputare a conto economico, alla voce E.20)
“Proventi straordinari”, il corrispondente utile da ridefinizione delle passività7, pari alla riduzione dell’importo da rimborsare oppure degli oneri finanziari non ancora versati.
Debito verso fornitore Alfa S.r.l.
(D.7) S.P. passivo)
a
Utile da ristrutturazione
(E.20) C.E.)
Qualora tale componente positivo di reddito sia di importo rilevante, l’Oic 6 ne raccomanda
l’evidenziazione, mediante un apposito dettaglio informativo della predetta sezione dello schema
obbligatorio di cui all’art. 2425 c.c., ad esempio utilizzando la forma “di cui proventi derivanti
dalla ristrutturazione del debito”.
Diversamente, non deve essere rilevato alcun utile a conto economico, né una riduzione del valore contabile del debito, nel caso in cui la ridefinizione della passività comporti la modifica
dell’ammontare degli interessi maturandi – lungo la vita residua dell’obbligazione – oppure della
tempistica originaria dei pagamenti: non rileva, pertanto, il fatto che il nuovo valore economico
del debito sia inferiore a quello contabile ante-ristrutturazione. Il beneficio per il debitore rappresenta, infatti, un provento non ancora realizzato alla data della ristrutturazione (Oic 19, paragra6
Si veda anche il successivo capitolo IX, relativo alle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti.
7
L’iscrizione dell’utile da riduzione del debito è coerente con il principio generale di prudenza (art. 2423-bis c.c.), in
quanto costituente un provento realizzato fin dalla data della ristrutturazione.
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fo M.XII e M.XIV), da rilevarsi in base al principio di competenza, considerando la restante durata della passività oggetto di ridefinizione.
Al di fuori di tale caso, è altresì possibile che – oltre alla rilevazione del predetto utile – ricorrano
i presupposti per l’iscrizione di un fondo per rischi ed oneri, in ossequio all’Oic 19, in presenza di particolari clausole contrattuali o circostanze che riducono ovvero annullano il beneficio
per il debitore: si pensi, ad esempio, alla stipulazione – contestuale all’accordo con i creditori – di
uno strumento finanziario derivato con fair value negativo direttamente connesso alla ristrutturazione.
Il principio Oic 6 affronta, inoltre, alcuni particolari effetti della modifica dei termini originari del debito, e precisamente:
•
la riclassificazione dei debiti ristrutturati;
•
la rinuncia del socio ai propri crediti per finanziamenti;
•
la moratoria dei canoni di leasing.
Riclassificazione dei debiti ristrutturati
La ridefinizione delle passività può comportare una diversa rappresentazione in bilancio
qualora siano mutate le scadenze previste per l’adempimento delle stesse (c.d. piano di ammortamento). I debiti sono, infatti, esposti nello stato patrimoniale distinguendo gli importi esigibili
entro l’esercizio successivo da quelli oltre, con l’effetto che, nel caso di differimento dell’originaria
tempistica, una passività può formare oggetto di uno spostamento dalla quota corrente dei debiti
a quella a medio-lungo termine. Si pensi, ad esempio, al caso di un mutuo passivo decennale stipulato con decorrenza 1° gennaio 2010, per l’importo di 120.000,00 euro, ed oggetto di una ristrutturazione con effetto dal 1° gennaio 2014, consistente nella sospensione della quota capitale per l’intero esercizio (12.000,00 euro). In altre parole, il creditore ha concesso al debitore
di versare, nel periodo 1° gennaio 2014-31 dicembre 2014, esclusivamente gli interessi maturati
sul mutuo, e non anche la corrispondente rata del debito, poiché differita ad un’epoca successiva.
Conseguentemente, in sede di chiusura del bilancio dell’esercizio 2013, l’esecuzione della suddetta ridefinizione in parola comporterà il manifestarsi di evidenti riverberi nella rappresentazione
delle passività bancarie, rispetto all’ipotesi alternativa della mancanza di ristrutturazione (secondo l’assunto che le rate vengano regolarmente onorate):
 nel primo caso, essendo state pagate le quote capitale dal 2010 al 2013 (48.000,00 euro complessivi), il debito residuo sarà di euro 72.000, tutti esigibili oltre l’esercizio 2014, in quanto le
rate originariamente previste in tale periodo amministrativo (euro 12.000) sono state differite
ad un’epoca successiva, confluendo dunque nell’ammontare di quelle comunque dovute a medio-lungo termine (euro 60.000);
D) Debiti
4) Debiti verso banche:
72.000
– entro l’esercizio successivo:
-
– oltre l’esercizio successivo:
72.000
 nella seconda eventualità, ovvero in assenza di sospensione del pagamento delle quote
capitale del mutuo, il debito residuo sarà complessivamente invariato rispetto al caso della
ristrutturazione (euro 72.000), mutando, però, la propria composizione: l’ammontare ascrivibile alle passività correnti non sarà più nullo, ma pari ad euro 12.000, come previsto dall’originario piano di ammortamento del mutuo. Conseguentemente, la quota consolidata di debito si attesterà al minor importo complementare di euro 60.000.
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D) Debiti
4) Debiti verso banche:
72.000
– entro l’esercizio successivo:
12.000
– oltre l’esercizio successivo:
60.000
Si consideri, inoltre, che la sospensione del pagamento della quota capitale del finanziamento
comporta anche la necessità di rideterminare il piano di ammortamento degli originari oneri accessori allo stesso (spese di istruttoria, imposta sostitutiva, ecc.), iscritti tra le “Altre immobilizzazioni immateriali”, in ossequio al principio contabile nazionale Oic 24.
Rinuncia dei soci ai crediti per finanziamenti
A dispetto di quanto previsto per la ristrutturazione della generalità dei debiti, l’Oic 6 precisa che
l’eventuale remissione dei soci alla restituzione dei propri versamenti effettuati a titolo di finanziamento – rappresentati nella voce D)3) dello stato patrimoniale passivo – non deve essere
imputata a conto economico, ma transitare direttamente tra i mezzi propri, confluendo nella voce A)VII) “Altre riserve”, così come previsto dall’Oic 28.
Moratoria dei costi per godimento di beni di terzi
Nel particolare caso della sospensione della quota capitale dei canoni di leasing, non ancora scaduti, tematica già affrontata diffusamente dalla dottrina8, l’Oic 6 rammenta che la fattispecie comporta una modifica delle originarie scadenze del piano di ammortamento della locazione finanziaria e, quindi, un’estensione della durata del relativo contratto. Conseguentemente,
sono desumibili alcuni principi ai quali l’impresa debitrice deve attenersi:
 la moratoria del leasing, a differenza di altre operazioni di ristrutturazione del debito, non
comporta la rilevazione di un utile;
 le quote capitale sospese, previste dall’originario progetto di rimborso, dovranno essere corrisposte al termine della moratoria (c.d. traslazione del piano di ammortamento): il redattore
del bilancio deve, pertanto, operare una rimodulazione dell’imputazione a conto economico dei predetti canoni di leasing residui, non ancora scaduti9, nonché dell’eventuale risconto
attivo iscritto con riferimento al maxicanone iniziale, in base al principio di competenza prorata temporis, tenuto conto della maggior durata del contratto10;
 il momento a partire dal quale è esercitabile il diritto per il riscatto del bene locato è posticipato, di un periodo pari a quello della sospensione.
4.2.2. Estinzione con cessione di attività
Un ulteriore strumento di ristrutturazione è rappresentato dal trasferimento dal debitore al creditore di una o più attività iscritte in bilancio, a parziale assolvimento dell’originaria obbligazione.
Sotto il profilo contabile, deve essere assunta una metodologia analoga a quella illustrata con riferimento alla riduzione dell’ammontare del debito: la differenza positiva, tra il valore conta8
La medesima problematica era, infatti, già stata approfondita dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, mediante la pubblicazione del documento del 16 febbraio 2011 (“La moratoria leasing ex l. 3 agosto 2009, n. 102: le implicazioni contabili nel bilancio del locatario”). Sul punto, si veda anche il relativo commento di
S. Cerato-M. Bana, La moratoria dei leasing finanziari nel bilancio d’esercizio, in “il fisco” n. 10/2011, fascicolo n. 2,
pag. 1587.
9
I canoni di leasing già maturati, e non pagati, non possono, invece, formare oggetto di variazione, salvo il caso in cui il
creditore rinunci espressamente agli stessi, ad esempio, mediante l’emissione di una fattura di storno degli importi originariamente addebitati.
10
Il medesimo criterio di rimodulazione deve, inoltre, essere applicato con riferimento all’eventuale plusvalenza residua
derivante da un’operazione di compravendita con locazione finanziaria (c.d. sale and lease back), anch’essa soggetta –
in virtù di quanto previsto dall’art. 2425-bis, co. 4, c.c. – all’iscrizione in bilancio per competenza, in funzione della durata del contratto, interessata appunto da una sopravvenuta modifica, apportata dalla moratoria.
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bile della passività estinta e quello netto11 dell’attività ceduta in pagamento, deve essere
imputata a conto economico, tra i proventi straordinari.
Debito verso fornitore Alfa S.r.l.
(D.7) S.P. passivo)
Fondo ammortamento
macchinari (B.II.2) S.P. attivo)
a
Macchinari (B.II. 2) S.P. attivo)
Utile da ristrutturazione
(E.20) C.E.)
Diversamente, qualora il valore contabile del debito estinto sia inferiore a quello dell’attività, emerge una perdita da ristrutturazione, da imputare anch’essa all’area reddituale straordinaria, tra gli oneri, nella voce E)21) del conto economico.
Debito verso fornitore Alfa S.r.l.
(D.7) S.P. passivo)
Fondo ammortamento
macchinari (B.II.2) S.P. attivo)
Perdita da ristrutturazione
(E.21) C.E.)
a
Macchinari (B.II.2) S.P. attivo)
L’Oic 6 chiarisce, inoltre, i corretti criteri di esposizione in bilancio delle attività da cedere in pagamento, qualora la data della ristrutturazione ricada in un esercizio diverso da quello di perfezionamento giuridico dell’operazione o di sottoscrizione dell’accordo, per effetto di condizioni
sospensive oppure altri adempimenti. In particolare, è previsto che le immobilizzazioni da
alienare devono essere riclassificate in un’apposita voce dell’attivo patrimoniale: nel
caso di elementi immateriali o materiali, gli ammortamenti – così come le eventuali perdite durevoli di valore – possono essere rilevati sino a quando non decorre la data di riclassificazione12.
Conseguentemente, tali attività devono essere valutate al minore tra il costo, al netto di
ammortamenti e perdite durevoli di valore, ed il presumibile corrispettivo di realizzo:
l’eventuale minusvalenza deve essere imputata a conto economico, nella voce E)21)
“Oneri straordinari”.
4.2.3. Conversione del debito in capitale
Una terza possibilità di ristrutturazione è costituita dall’emissione di titoli da assegnare al
creditore, a totale o parziale estinzione dei diritti dallo stesso maturati:
1) quote di capitale sociale, previa deliberazione di aumento dello stesso, reso convenzionalmente pari al valore contabile della passività oggetto di ristrutturazione, così come l’eventuale
sovrapprezzo. In altri termini, il debitore non consegue alcun utile o perdita da imputare a
conto economico;
11
Ai fini della determinazione del risultato economico della cessione dell’attività, il valore contabile della stessa deve essere assunto al netto di eventuali ammortamenti e perdite durevoli di valore.
12
Analogamente, nel caso di pattuizione del prezzo della cessione da eseguirsi in data successiva a quella di stipulazione
dell’accordo, è prevista l’imputazione a conto economico – tra i proventi e gli oneri straordinari – delle eventuali emergenti riprese o rettifiche di valore del bene oggetto di alienazione, qualora esclusivamente imputabili all’intesa intercorsa tra il creditore ed il debitore a seguito della ristrutturazione.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Crisi, continuità aziendale ed effetti contabili
Debito verso fornitore Alfa S.r.l.
(D.7) S.P. passivo)
a
Capitale sociale
(A.I) S.P. passivo)
Riserva sovrapprezzo azioni
(A.II) S.P. passivo)
2) prestiti obbligazionari, a fronte dei quali il creditore s’impegna – a partire dalla data di sottoscrizione dei titoli, e al verificarsi di determinate condizioni – a convertire gli stessi in azioni o quote del debitore. L’eventuale differenza tra il valore contabile della passività oggetto
di ristrutturazione e quello di iscrizione delle obbligazioni convertibili deve essere imputato a
conto economico, tra i proventi e gli oneri straordinari. Ad esempio, nel caso di emissione dei
titoli per un importo inferiore al valore contabile della passività che sarà, poi, interessata dalla
conversione, il debitore deve operare la seguente rilevazione in partita doppia:
Debito verso fornitore Alfa S.r.l.
(D.7) S.P. passivo)
a
Prestiti obbligazionari convertibili
(D.2) S.P. passivo)
Utile da ristrutturazione
(E.20) C.E.)
Diversamente, la successiva conversione in mezzi propri non determinerà il conseguimento di un componente reddituale, coerentemente con quanto già previsto dall’Oic
28 (paragrafo II.A.1.2), secondo cui “se il valore delle obbligazioni emesse è superiore a quello
delle azioni emesse, l’eccedenza va accreditata alla riserva soprapprezzo azioni”.
Prestiti obbligazionari
convertibili
(D.2) S.P. passivo)
a
Capitale sociale
(A.I) S.P. passivo)
Riserva sovrapprezzo azioni
(A.II) S.P. passivo)
4.2.4. Costi connessi alla ristrutturazione
Il conto economico deve esporre gli oneri sostenuti in funzione, ovvero esecuzione, della ridefinizione dell’indebitamento, quali, ad esempio:
 le spese di consulenza professionale, per lo svolgimento dell’attività di due diligence, l’assistenza legale, la predisposizione del piano di ristrutturazione, la relazione di fattibilità ovvero
attuabilità dello stesso;
 le commissioni ed i costi per servizi finanziari;
 gli altri oneri direttamente correlati all’operazione, come quelli di natura notarile.
Sul punto, l’Oic 6 ritiene che tali spese debbano sempre essere considerate di integrale competenza del conto economico dell’esercizio di sostenimento o maturazione: in altri termini,
non è contemplata la facoltà di iscrizione degli stessi nell’attivo patrimoniale, tra le altre immobilizzazioni immateriali, in quanto non sono ritenuti corredati dei necessari presupposti per la qualificazione di “oneri pluriennali”, in virtù dell’oggettiva impossibilità di dimostrare – con ragionevole certezza – la capacità di tali spese di produrre benefici economici futuri. È altresì previsto,
analogamente agli utili e alle perdite di ristrutturazione, che se i costi professionali connessi all’oLuglio 2013
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Crisi, continuità aziendale ed effetti contabili – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
73
perazione sono di ammontare rilevante, devono essere separatamente evidenziati nella voce
E)21), utilizzando l’apposito dettaglio informativo “di cui oneri derivanti dalla ristrutturazione”.
Il predetto orientamento dell’Oic 6 è, tuttavia, suscettibile di destare alcune perplessità, poiché
la diretta correlazione dei costi professionali del risanamento con gli utili prospettici non può essere esclusa a priori, in quanto talvolta effettivamente dimostrabile, e coerente con i presupposti
applicativi del principio contabile stesso, riservato alle sole imprese in continuità aziendale,
interessate da un piano conservativo, e non liquidatorio.
In altri termini, i costi professionali effettivamente sostenuti per la preparazione e l’esecuzione del piano di ristrutturazione del debito – aventi natura fissa, poiché non subordinati ad ulteriori eventi (c.d. retainer fee) – potrebbero inizialmente ritenersi ragionevolmente correlabili a benefici economici futuri, poiché sostenuti in funzione del mantenimento del valore dell’impresa, della salvaguardia dei posti di lavoro e del ripristino delle
normali condizioni di redditività aziendale.
A ciò si aggiunga che risulterebbero altresì soddisfatti i principi di congruenza e rapporto causa-effetto postulati dall’Oic 24, ai fini della capitalizzazione dei costi ad utilità pluriennale13.
Diversamente, maggiori certezze di capitalizzabilità dovrebbero sussistere rispetto ai compensi
eventualmente dovuti (c.d. success fee), il cui riconoscimento è subordinato al verificarsi di
alcune specifiche condizioni – come la sottoscrizione dell’intesa con i creditori o l’erogazione
di nuovi finanziamenti funzionali all’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti – sufficienti ad attestare l’utilità pluriennale della spesa e la ragionevole correlazione con benefici economici futuri. A questo proposito, l’Oic 6 osserva come, sino al momento della maturazione di tali oneri, sia comunque prospettabile l’iscrizione degli stessi in bilancio, mediante l’accantonamento a un apposito fondo per rischi ed oneri, nel rispetto delle previsioni indicate dall’Oic
19; la contropartita reddituale è rappresentata da un componente negativo dell’area straordinaria
e, quindi, dalla voce E.21) del conto economico.
La tesi dell’Oic 6, in merito al divieto di capitalizzazione dei costi connessi all’operazione di ristrutturazione, deve, invece, ritenersi assolutamente coerente e condivisibile nel caso delle
soluzioni liquidatorie della crisi d’impresa – e, quindi, escluse dall’applicazione del nuovo
principio contabile – rispetto alle quali appare maggiormente consono il riferimento alla predetta
“situazione di comprovata difficoltà” ostativa alla dimostrazione della strumentalità dei costi professionali di ristrutturazione ai benefici economici futuri: ad esempio, il concordato con cessione
dell’azienda, funzionale all’estinzione dei debiti, è generalmente propedeutico alla cessazione
dell’attività.
4.3. Informativa complementare di bilancio
Alla luce dei diversi comportamenti contabili sin qui illustrati, la nota integrativa deve obbligatoriamente riportare diverse notizie riguardanti la ristrutturazione del debito.
In primo luogo, è necessario indicare la sussistenza dei presupposti giustificanti l’applicazione dell’Oic 6, mediante la sintetica descrizione della situazione di difficoltà finanziaria14 in cui versa l’impresa, e le principali motivazioni che l’hanno generata: qualora la ri13
Sul punto, si rammenta che lo standard in parola, nel silenzio della norma, contempla l’iscrizione nell’attivo patrimoniale degli oneri la cui utilità pluriennale sia “giustificabile solo in seguito al verificarsi di determinate condizioni gestionali, produttive, di mercato che al momento del sostenimento dei costi possono essere presunte”: ad esempio, l’onorario per lo studio e la redazione del piano di ristrutturazione del debito potrebbe presumersi capitalizzabile nell’esercizio del sostenimento, per, poi, essere derubricato – in un successivo periodo amministrativo, a causa della sopravvenuta inosservanza dell’accordo – a costo privo di utilità pluriennale, con integrale imputazione a conto economico della
parte non ancora ammortizzata, ma non viceversa.
14
Analoghe informazioni devono essere fornite nella relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.), sia con riferimento allo stato
di difficoltà finanziaria dell’impresa, che in relazione agli effetti della ristrutturazione del debiti: questi ultimi sono, in-
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strutturazione del debito sia strumentale all’osservanza del principio di continuità aziendale, deve essere fornita adeguata informativa nella nota integrativa al bilancio, così
come nel caso in cui – congiuntamente a tale ipotesi – la ristrutturazione del debito non risulti ancora perfezionata alla data di bilancio, ovvero il mancato realizzo della stessa comporti il venir meno del c.d. going concern, giustificando altresì il motivo per il quale il bilancio è stato comunque redatto in un’ottica di continuità aziendale. È altresì indispensabile indicare la corrispondente esposizione debitoria, ovvero quella del gruppo a cui la società appartiene, alla data della ristrutturazione, precisando l’ammontare delle passività
comprese ed escluse dalla ridefinizione.
Il documento di cui all’art. 2427 c.c. deve, inoltre, esporre le caratteristiche principali della
ristrutturazione del debito, distinguendo separatamente le operazioni perfezionate con imprese appartenenti alla medesima aggregazione, ovvero coinvolgenti parti correlate:
 la tipologia e la data della ristrutturazione, nonché la sommaria descrizione delle fasi mediante
le quali è stata svolta;
 la natura delle passività oggetto della ridefinizione e le modalità esecutive della stessa;
 la presenza di eventuali condizioni sospensive o risolutive dell’accordo, covenant da cui
dipende il buon esito della ristrutturazione, oppure pagamenti potenziali (c.d. success fee) che
il debitore si impegna ad effettuare nei confronti del creditore al raggiungimento di determinati obiettivi economico-finanziari, ovvero al verificarsi di specifiche circostanze;
 le operazioni di erogazione di nuova finanza previste a supporto della ridefinizione delle passività;
 la descrizione degli eventuali derivati connessi al debito ristrutturato (tipologia, valore
nozionale, fair value, data e modalità di pagamento dei flussi finanziari) e degli strumenti di
modifica dello stesso, con l’indicazione dei correlati effetti sul bilancio;
 i benefici economici o finanziari che la ristrutturazione del debito è in grado di produrre
sull’economia dell’impresa (posizione finanziaria netta15, capitale e reddito), anche ai fini di
valutare tempi e modalità di superamento del predetto stato di difficoltà, con il conseguente
ripristino delle condizioni di equilibrio del sistema aziendale.
Sotto il profilo quantitativo, la nota integrativa deve altresì riportare la ricostruzione analitica
e completa dei proventi e degli oneri16 straordinari derivanti dalla ristrutturazione (natura, esistenza di eventuali garanzie, impegni od operazioni “fuori bilancio” idonei a condizionare l’esito della ridefinizione) ed una dettagliata informativa sui debiti oggetto di ridefinizione – compresi quelli relativi ai leasing finanziari – suddivisi per gruppi omogenei, riguardante i seguenti aspetti:
 il valore contabile alla data della ristrutturazione ed a quella di riferimento del bilancio;
 il valore economico, in corrispondenza dei momenti di cui al punto precedente, ovvero quello
attuale dei pagamenti futuri (quota capitale ed interessi) che il debitore dovrà effettuare, in base ai nuovi termini previsti, scontati al tasso di interesse effettivo dell’operazione ante-ristrutturazione;
 gli elementi che consentono di apprezzare il predetto valore economico assunto dal debito a
seguito della ristrutturazione, rispetto a quello precedente alla stessa, nonché le eventuali variazioni intervenute negli esercizi successivi alla ridefinizione della passività;
fatti, suscettibili di alterare l’attendibilità dell’analisi dei principi indicatori di bilancio, con particolare riguardo alla
comparabilità degli stessi con quelli del rendiconto del precedente esercizio.
15
La metodologia proposta dall’Oic 6 si fonda sull’utilizzo di uno schema conforme alla Comunicazione della Consob n.
DEM/6064293 del 28 luglio 2006, ovvero di quello analogo indicato dall’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e
degli Esperti Contabili, nel successivo Documento n. 1 dell’ottobre 2008 (“La relazione sulla gestione. Alcune considerazioni”).
16
L’eventuale presenza di significativi costi connessi alla ristrutturazione deve essere adeguatamente segnalata nella nota
integrativa, precisandone altresì la natura. Analogamente, deve essere indicata l’esistenza di eventuali garanzie, impegni od operazioni “fuori bilancio” idonei a condizionare l’esito della ridefinizione.
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 la durata residua, il tasso d’interesse contrattuale e quello effettivo del debito, distinguendo le risultanze ante-ristrutturazione da quelle emergenti dal perfezionamento dell’operazione;
 la rinuncia dei soci ai propri crediti per finanziamenti, ed il corrispondente effetto sul
patrimonio netto;
 l’eventuale riclassificazione, all’interno dello stato patrimoniale, dei valori relativi alle operazioni interessate dalla ristrutturazione del debito;
 nel caso di pagamento del debito mediante cessione di attività, la differenza tra il valore
contabile dei beni assegnati al creditore, ovvero alienati, e quello presumibile di realizzo, nonché la motivazione per la quale si è generata. L’informativa in parola deve essere fornita anche
qualora, alla data di riferimento del bilancio, risulti già perfezionata la ristrutturazione del debito, ma non ancora eseguita la vendita del cespite, a cui è subordinata la manifestazione di
ogni riverbero sul conto economico;
 gli effetti della sospensione della quota capitale dei canoni di leasing e del corrispondente prolungamento del relativo contratto di locazione finanziaria;
 la situazione d’incertezza e l’ammontare dell’eventuale accantonamento per rischi ed oneri
connessi alla ristrutturazione, previsti contrattualmente e non ancora maturati, qualora tali informazioni siano ritenute rilevanti ai fini di una corretta comprensione del bilancio;
 l’eventuale ricorso ad apposite voci, oppure a specifici dettagli informativi degli schemi ovvero
a peculiari tabelle inserite all’interno di una specifica sezione della nota integrativa.
La nota integrativa al bilancio d’esercizio deve, infine, dare conto dello stato di avanzamento
del piano di ristrutturazione, segnalando il ricorrere di una delle seguenti circostanze:
 il rispetto dei tempi di realizzazione previsti, ovvero eventuali ritardi comunque non ostativi alla sostanziale esecuzione dell’originario progetto;
 l’evoluzione del piano compatibilmente con il risanamento dell’impresa, ma secondo modalità
differenti da quelle inizialmente previste dall’accordo raggiunto con i creditori, da illustrare in
dettaglio;
 gli effetti stimati dall’impresa, con riferimento all’impossibilità di soddisfare le condizioni riportate nel piano di ristrutturazione, desumibile dall’analisi dei dati consuntivi dello stesso.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Fiscalità del concordato preventivo liquidatorio
Capitolo VIII
Fiscalità del concordato
preventivo liquidatorio
di Michele Bana
L’ammissione dell’imprenditore in stato di crisi alla procedura di cui all’art. 160 e ss. L.F. determina, in capo ad ogni creditore, il diritto a dedurre dal reddito d’impresa la perdita maturata, senza dover fornire la prova dei generali requisiti di certezza e precisione. La successiva,
ed eventuale, omologazione della proposta di concordato preventivo comporta l’insorgere di
alcuni obblighi a carico della debitrice, quali la registrazione del decreto del tribunale ed il versamento della relativa imposta in misura fissa. Lo svolgimento della fase liquidatoria, e la conseguente ripartizione dell’attivo tra più creditori, può altresì generare l’emersione di plusvalenze da cessione e sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, irrilevanti nella determinazione del reddito d’impresa, nonché del diritto dei creditori ad emettere la nota di variazione
Iva, limitatamente alla parte rimasta insoddisfatta.
1. Presupposti
L’assoggettamento del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni comporta la manifestazione di alcuni effetti tributari peculiari e distintivi, rispetto a quelli ordinariamente
previsti per i contribuenti in bonis, differenziati a seconda delle fasi interessanti la procedura:
 ammissione: deducibilità della perdita sul credito, a decorrere dalla data del decreto del tribunale (art. 163 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267);
 omologazione: obbligo di registrazione del provvedimento giudiziale (art. 180, commi 3, 4 e
5, L.F.), e versamento della relativa imposta;
 liquidazione: non imponibilità delle eventuali plusvalenze derivanti dalla cessione di singoli
beni, dell’azienda del debitore o di rami della stessa;
 ripartizione finale: irrilevanza delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti, e diritto del creditore all’emissione della nota di variazione Iva, con riferimento agli importi
che non hanno trovato soddisfazione nell’ambito del concordato preventivo.
2. Ammissione al concordato preventivo
L’accesso al concordato preventivo presuppone la presentazione, da parte dell’imprenditore commerciale privato non piccolo in stato di crisi1, di un’apposita domanda2 al tribunale compe1
Ai sensi dell’art. 160, ultimo comma, del R.D. n. 267/1942, “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”,
che il precedente art. 5 L.F. definisce come la manifestazione di una serie di inadempimenti, ovvero altri fatti esteriori,
idonei a dimostrare che il debitore non è più in grado di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.
2
La domanda di ammissione alla procedura, sottoscritta dal debitore o legale rappresentante dell’impresa (previa approvazione a norma dell’art. 152 L.F., nel caso di società), deve essere accompagnata da diversi documenti obbligatori
(art. 161, co. 2 e 3, L.F.): una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica; uno stato
analitico ed estimativo delle attività; l’elenco nominativo dei creditori, con menzione dei corrispondenti importi e delle
cause legittime di prelazione; il prospetto indicativo dei diritti reali o personali sui beni di proprietà, ovvero in possesso, del debitore; un atto dal quale risultino il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente
responsabili; la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di esecuzione del piano concordatario; la relazione del
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Fiscalità del concordato preventivo liquidatorio – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
77
tente3, mediante la quale il debitore propone ai creditori un piano che può prevedere, in
particolare (art. 160, comma 1, del R.D. n. 267/1942):
a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, compreso il trasferimento ai creditori nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
b) l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un
assuntore, il quale può essere altresì rappresentato da creditori o società da questi partecipate, ovvero da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere
attribuite ai creditori per effetto del concordato;
c) la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici
omogenei;
d) i trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse4.
Qualora il tribunale accerti la sussistenza dei suddetti presupposti, nonché la correttezza
dei criteri di formazione delle classi di creditori, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, nominando un commissario giudiziale, e convocando l’adunanza nel corso della quale i creditori potranno manifestare il proprio voto in ordine alla proposta del
debitore, previa valutazione di convenienza rispetto all’alternativa del fallimento5.
2.1. Effetti dell’ammissione sui creditori
Il deposito, presso la competente cancelleria fallimentare, del decreto di ammissione al concordato preventivo legittima altresì, come anticipato, il diritto di ogni creditore a dedurre la relativa perdita dal reddito d’impresa6: l’art. 101, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
stabilisce, infatti, che sono, in ogni caso, fiscalmente rilevanti le perdite nei confronti del debitore assoggettato procedura concorsuale7, assumendo rilevanza uno dei seguenti provvedimenti
giudiziali:
 sentenza dichiarativa di fallimento;
 decreto di ammissione al concordato preventivo;
 provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
 decreto che dispone l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
professionista di cui agli artt. 67, co. 3, lett. d), e 28, co. 1, lett. a) e b) della Legge Fallimentare, attestante la veridicità
dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario.
3
La competenza deve essere individuata sulla base della sede principale dell’impresa, a nulla rilevando l’intervenuto trasferimento della stessa, nell’anno precedente al deposito del ricorso per concordato preventivo.
4
La proposta di concordato preventivo può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano
soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in
ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. La stima in parola deve risultare dalla relazione giurata
di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942, ovvero iscritto al registro dei revisori legali dei conti e nominabile a curatore, ai sensi del successivo art. 28, co. 1, lett. a) e b), della Legge
Fallimentare. Fermo restando che il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine
delle cause legittime di prelazione.
5
Nel concordato preventivo non è, ad esempio, invocabile l’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 del R.D. n.
267/1942, che potrebbe, invece, consentire – nel caso di apertura della procedura concorsuale “maggiore” – l’acquisizione di ulteriore attivo da destinare alla soddisfazione dei creditori: al ricorrere di tale ipotesi, questi ultimi potrebbero, quindi, essere interessati a non approvare – manifestando espressamente il proprio voto contrario, altrimenti sono ritenuti consenzienti – il piano concordatario, ritenendo maggiormente fruttuosa una dichiarazione di fallimento
del creditore, pur nella consapevolezza dell’incerto esito delle suddette azioni di recupero dell’attivo.
6
Le perdite su crediti non sono, invece, deducibili dalla base imponibile Irap, per espressa previsione normativa (art. 5,
co. 3, primo periodo, e 5-bis, co. 1, secondo periodo, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446), a prescindere dalla forma
giuridica del contribuente, ovvero impresa individuale, società di persone o capitali.
7
La disciplina della deducibilità delle perdite su crediti è illustrata nel successivo capitolo X.
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A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 33, comma 5, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che ha sostituito la formulazione della predetta disposizione del Tuir, la perdita è deducibile anche partire
dalla data del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui
all’art. 182-bis L.F., ancorchè tale istituto non venga tecnicamente qualificato come una procedura concorsuale (circ. 13 marzo 2009, n. 8/E, par. 4.28).
3. Omologazione
Nel caso in cui la proposta del debitore abbia riscontrato, anche nei 20 giorni successivi all’adunanza9, il parere favorevole della maggioranza10 dei crediti ammessi al voto11, il tribunale – verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, e decise le eventuali opposizioni – omologa12, con decreto, il concordato preventivo.
Qualora la proposta del debitore, così come omologata, contempli altresì la cessione dei beni, il medesimo decreto nomina “uno o più liquidatori ed un comitato di tre o cinque creditori
per assistere alla liquidazione”, determinando anche le specifiche modalità operative, a cui tali
soggetti sono tenuti ad attenersi (art. 182 L.F.).
L’omologazione del concordato preventivo determina un duplice effetto:
1) l’obbligo di registrazione del decreto di omologazione, e di provvedere al versamento della corrispondente imposta: sul punto, si ritiene che la formulazione letterale dell’art. 8, co. 1,
lett. g), Tariffa Parte I, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 dovrebbe legittimare l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, in quanto riferita espressamente agli “atti di omologazione: euro 168,00”. In senso conforme, ovvero di attribuire rilevanza al c.d. “criterio nominalistico” (salvo il caso del concordato preventivo con trasferimento dei beni al terzo assuntore) si sono, infatti, espresse sia la giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 settembre 2010, n.
19141, e 7 maggio 2007, n. 1035213) che la più recente prassi dell’Agenzia delle Entrate (circ.
21 giugno 2012, n. 27/E, par. 1.1, e ris. 26 marzo 2012, n. 27/E14). L’Amministrazione
Finanziaria ha, pertanto, rivisto la propria consolidata posizione, secondo cui – trattandosi di
un giudizio a cognizione piena, con la necessaria presenza in contraddittorio delle parti,
che determina una nuova situazione soggettiva attiva di natura patrimoniale – doveva
essere applicata l’aliquota proporzionale del 3,00% di cui alla precedente lettera b) della medesima disposizione, riguardante i provvedimenti “recanti condanna al pagamento di somme o
valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” (ris. 31 gennaio 2008,
n. 28/E15);
8
In banca dati “fisconline”.
9
Ai fini del computo delle maggioranze richieste per l’approvazione, rilevano pure le manifestazioni di voto pervenute,
presso la cancelleria (anche per il tramite del commissario giudiziale), nei 20 giorni successivi alla celebrazione dell’adunanza dei creditori (art. 178, co. 4, del R.D. n. 267/1942): i creditori che non esprimono alcun voto (favorevole o contrario) entro tale termine, sono considerati consenzienti, analogamente a quanto previsto per il concordato fallimentare (art. 128, co. 2, L.F.), e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti.
10
Nel caso in cui la proposta del debitore preveda la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed
interessi economici omogenei, il concordato è approvato se riporta la maggioranza anche nel maggior numero di classi.
11
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorchè la garanzia sia contestata, ai quali è offerto l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto, se non rinunciano, anche soltanto parzialmente, al diritto di prelazione: qualora il
creditore si avvalga di tale facoltà, deve ritenersi equiparato a quelli di natura chirografaria. La medesima assimilazione opera, inoltre, nei confronti dei creditori privilegiati, rispetto ai quali non è proposta una soddisfazione integrale.
12
L’art. 181, comma 2, del R.D. n. 267/1942 stabilisce che l’omologazione del concordato preventivo deve intervenire entro sei mesi dalla presentazione della domanda di ammissione alla procedura: il suddetto termine è, tuttavia, prorogabile di ulteriori sessanta giorni, per una sola volta.
13
Entrambe in banca dati “fisconline”.
14
Entrambe in banca dati “fisconline”.
15
In banca dati “fisconline”.
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2) la possibilità del creditore di aggiornare le precedenti valutazioni di recuperabilità – operate a seguito dell’apertura del concordato preventivo – in merito a quanto originariamente
dovutogli dal debitore: il relativo importo potrà, poi, essere nuovamente modificato, sulla
base degli ulteriori sviluppi della procedura. A questo proposito, si consideri che l’art. 182,
comma 6, del R.D. n. 267/1942 – così come inserito dall’art. 17, co. 1, lett. t), del D.L. 18 ottobre
2012, n. 179 – pone a carico del liquidatore giudiziale un adempimento previsto per il curatore
fallimentare, dall’art. 33, comma 5, primo, secondo e terzo periodo, L.F.: ogni 6 mesi successivi alla nomina, deve predisporre e presentare – al comitato dei creditori ed al commissario
giudiziale, che provvede a darne comunicazione a tutti i creditori – una relazione, nella forma
di rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni raccolte,
accompagnate dal proprio conto della gestione. L’assunzione di tali informazioni consente,
quindi, al creditore di riscontrare sistematicamente l’effettivo valore residuo di presumibile realizzazione della propria pretesa, e conseguentemente rilevare eventuali perdite di inesigibilità ulteriori, rispetto a quanto già imputato, nei passati esercizi, a conto
economico.
4. Liquidazione giudiziale
Lo svolgimento delle operazioni previste dall’omologato concordato preventivo può comprendere,
come anticipato, l’esecuzione di alcune operazioni di alienazione di attività patrimoniali, suscettibili di determinare l’emersione di plusvalenze contabili. I componenti positivi in parola
non concorrono, tuttavia, alla formazione del reddito d’impresa del debitore, per espressa previsione normativa: l’art. 86, comma 5, del Tuir stabilisce, infatti, che la cessione dei beni ai
creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, malgrado l’ambiguità della propria formulazione, la disposizione
in commento non si applica esclusivamente alle cessioni di beni ai creditori, ma a tutti i trasferimenti a terzi dei cespiti, in esecuzione dell’omologata proposta di concordato preventivo
(Cass. 16 ottobre 2006, n. 22168, e 4 giugno 1996, n. 511216). La ratio dell’art. 86, comma 5, del
D.P.R. n. 917/1986 – così come quella del successivo art. 88, comma 4, del Tuir – è, infatti, quella
di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”,
come peraltro riscontrato anche dall’Agenzia delle Entrate (ris. 1° marzo 2004, n. 29/E17).
Ai fini Irap, le plusvalenze in parola, pur costituendo un provento straordinario18 (voce E.20)
del conto economico), possono concorrere alla formazione della base imponibile del tributo regionale delle società di capitali e degli enti commerciali19, qualora derivanti dalla cessione di una
delle seguenti tipologie di beni:
 immobili non costituenti beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione ovvero al cui scambio è diretta l’attività d’impresa: in altri termini, assumono rilevanza le plusvalenze (e minusvalenze) realizzate per effetto dell’alienazione di immobili civili, nonostante la loro naturale imputazione tra le componenti straordinarie (art. 5, comma 3,
del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446);
16
Entrambe in banca dati “fisconline”.
17
In banca dati “fisconline”.
18
L’Agenzia delle Entrate considera “plusvalenze ordinarie” esclusivamente quelle derivanti dalla cessione di beni strumentali impiegati nella normale attività dell’impresa, per effetto di una fisiologica sostituzione dei cespiti, ascrivibile al
loro deperimento economico-tecnico (circ. 4 giugno 1998, n. 141/E, in banca dati “fisconline”).
19
Nel caso in cui il debitore sia costituito nella forma di società di persone oppure impresa individuale, e non abbia optato per l’applicazione delle regole previste per le società di capitali e gli enti commerciali (art. 5-bis, comma 2, del D.Lgs.
n. 446/1997), le plusvalenze da cessione non assumono alcuna rilevanza ai fini Irap, in quanto escluse dal novero dei
componenti positivi espressamente individuati dall’art. 5-bis, co. 1, primo periodo, del predetto Decreto, analogamente
alle minusvalenze e sopravvenienze.
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Le Guide
80
Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Fiscalità del concordato preventivo liquidatorio
 cespiti strumentali all’ordinaria attività d’impresa: concorrono sempre alla formazione della base imponibile Irap, per effetto della loro correlazione con componenti rilevanti in precedenti periodi d’imposta (art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 446/1997), quali, ad esempio, le quote
di ammortamento.
Non rilevano, invece, le plusvalenze e minusvalenze realizzate per effetto della cessione
dell’azienda del debitore, trattandosi di un’operazione che genera sempre componenti
straordinarie (circ. 26 maggio 2009, n. 27/E, par. 1.220).
4.1. Ripartizione finale
La conclusione della fase liquidatoria, e la conseguente esecuzione del pagamento finale ai creditori determina un duplice effetto:
 l’emersione, in capo al debitore, di sopravvenienze attive contabili, derivanti dalla riduzione dei debiti (c.d. “falcidia concordataria”). Sul punto, si rammenta che il principio contabile
nazionale Oic 6 (par. 6.1) attribuisce, tuttavia, rilevanza alla data di omologazione del concordato preventivo21, e non a quella di mera esecuzione dei pagamenti ai creditori: stabilisce,
però, altresì che – se un’operazione di ristrutturazione del debito prevede una combinazione
di differenti modalità esecutive (cessione di attività e riduzione del valore contabile del debito come nel caso del concordato preventivo liquidatorio, oppure differimento dei termini o
conversione dei debiti in capitale), i cui effetti tra le parti si producono in date differenti – tali
conseguenze sono rilevate nel bilancio del debitore in modo autonomo, in relazione a ciascuna
diversa modalità. Analogamente alla cessione dei beni, il definitivo pagamento dei creditori, in
misura non integrale, non determina componenti positivi rilevanti ai fini della determinazione del reddito d’impresa del debitore: l’art. 88, co. 4, del Tuir stabilisce, infatti, che non
costituisce una sopravvenienza attiva imponibile “la riduzione dei debiti dell’impresa in
sede di concordato fallimentare o preventivo”22;
 l’insorgere del diritto del creditore all’emissione della nota di variazione Iva, limitatamente alla parte rimasta insoddisfatta (c.d. “infruttuosità della procedura”)23. L’esercizio di tale facoltà richiede, in primo luogo, che il creditore partecipi al concorso (circ. n. 77/E/2000): in
caso contrario, verrebbe a mancare, rispetto al soggetto emittente la nota di variazione, l’elemento fondamentale dell’infruttuosità della procedura24.
20
In banca dati “fisconline”.
21
L’applicazione del principio contabile Oic 6 è già stata trattata nel precedente capitolo VII, al quale si rinvia per ogni
ulteriore approfondimento.
22
Diversamente, qualora la riduzione dei debiti derivi da un piano attestato di risanamento, pubblicato presso il registro
delle imprese (art. 67, co. 3, lett. d), L.F.), o da un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato di cui all’art. 182-bis
del R.D. n. 267/1942, la corrispondente sopravvenienza attiva non concorre alla formazione del reddito d’impresa soltanto per l’importo che eccede le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84 del Tuir. Per ulteriore approfondimenti
sul tema, si veda il capitolo IX.
23
La tematica delle note di variazione Iva nelle procedure concorsuali è diffusamente trattata nel successivo capitolo XI.
24
Il diritto di emissione della nota di variazione è, quindi, escluso nel caso in cui il creditore, inserito nell’elenco dei creditori del concordato preventivo, rinunci espressamente alla propria pretesa, mediante apposita comunicazione, presentata prima dell’accertamento dell’infruttuosità della procedura.
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Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Capitolo IX
Sopravvenienze attive
da riduzione dei debiti
di Sandro Cerato
L’art. 33 del D.L. n. 83/2012 ha apportato rilevanti modifiche all’art. 88 del Tuir in materia di
sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione delle passività dell’impresa, a seguito di accordi
di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., ovvero in conseguenza di piani at-testati di risanamento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), della stessa Legge Fallimentare. Per quanto riguarda, invece, l’Irap, è necessario distinguere in funzione della natura del sog-getto, poiché
per i contribuenti Ires si rendono applicabili i principi di derivazione e correlazione, mentre i
soggetti Irpef – salvo che abbiano optato per la determinazione della base imponibile del tributo regionale secondo le medesime regole delle società di capitali – non rilevano, in quanto
espressamente esclusi dal valore della produzione netta, analogamente a plusvalenze e minusvalenze.
1. Presupposti
Le novità contenute nell’art. 33 del D.L. n. 83/2012 riportano all’attualità una questione particolarmente frequente in questo periodo di crisi economica e finanziaria, ovvero quello afferente gli
effetti contabili e fiscali derivanti dalla riduzione dei debiti di un’impresa. Tale fattispecie può
trovare la propria origine da diversi fattori, ed in particolare può scaturire:
 dalla rinuncia unilaterale del creditore;
 da un concordato (o transazione) stragiudiziale;
 da un concordato preventivo o fallimentare;
 da un piano attestato di risanamento o da un accordo di ristrutturazione dei debiti
(tali procedimenti sono in alcuni casi equiparati dal legislatore fiscale, sia pure non abbiano la
medesima natura).
Traendo spunto dalla novità del D.L. n. 83/2012, che impattano sulle operazioni indicate nell’ultimo punto del predetto elenco, in questa sede si intende approfondire l’effetto della novità stessa
sulla determinazione del reddito d’impresa, evidenziando anche i principali effetti contabili e di
bilancio che derivano dalle predette riduzioni di debito.
2. Rinuncia unilaterale del creditore
Prima di analizzare le novità contenute nel D.L. n. 83/2012, è bene ricordare che in linea generale
la riduzione di un debito può derivare dalla dichiarazione di remissione del debito, formulata dal creditore (art. 1236 c.c.), che comporta in linea generale l’emersione di una sopravvenienza attiva da imputare a conto economico, purché non riguardi un diritto maturato dal socio.
Creditori terzi
In presenza di creditori “terzi” (ossia diversi dai soci della società), la rinuncia del creditore
alla propria pretesa determina, come già anticipato, l’emersione, in capo al debitore, di una sopravvenienza attiva, da imputare alla voce A.5) “Altri ricavi e proventi” del conto economico di
cui all’art. 2425 c.c., ovvero un componente di natura ricorrente, e mai straordinaria, a prescindere dall’importo. Tale impatto contabile trova conferma sia nei principi contabili, e nei relativi
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
documenti interpretativi, sia nella Relazione Ministeriale al D.Lgs. n. 127/1991, in cui si legge che
l’aggettivo straordinario, riferito a proventi ed oneri, non allude all’eccezionalità o anormalità
dell’evento, bensì all’estraneità, della fonte del provento o dell’onere, all’attività ordinaria.
Del pari, il principio contabile nazionale Oic 12 precisa che “per considerare straordinario un
componente di reddito non è sufficiente l’eccezionalità (a livello temporale) o l’anormalità (a
livello quantitativo) dell’evento; è necessaria l’estraneità rispetto alla gestione ordinaria della
fonte del provento o dell’onere”.
A livello contabile, alla data in cui la controparte comunica la rimessione del debito, la scrittura
contabile è la seguente:
Debiti verso fornitore Alfa s.r.l.
(D) S.P. passivo)
a
Sopravvenienze attive
ordinarie (A.5) C.E.)
Riduzione di debito a seguito della dichiarazione di rimessione del creditore Alfa s.r.l.
Creditori soci
Nella diversa ipotesi in cui il debito fosse originato da un finanziamento del socio, il principio contabile nazionale Oic 28 (par. B), p. 9) stabilisce che la rinuncia del socio al proprio
credito non produce effetti reddituali, ma esclusivamente una giroconto patrimoniale, generando
il passaggio da una voce del passivo – D)3) “Debiti verso soci per finanziamenti” – ad una dei
mezzi propri, e precisamente la A.VII) “Altre riserve, distintamente indicate”, tra quelle aventi natura di capitale.
La scrittura contabile è la seguente, da effettuare alla data in cui perviene la rinuncia del credito
da parte del socio:
Debiti verso socio Verdi
per finanziamento infruttifero
(D.3)S.P.)
a
Riserva di capitale per
rinunce dei soci (A)VII. S.P.)
Riduzione di debito a seguito della dichiarazione di rinuncia del socio Roberto Verdi
Effetti fiscali
In linea generale, l’art. 88, co. 1, del Tuir, considera sopravvenienze attive i seguenti componenti positivi di reddito:
 i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività
iscritte in bilancio in precedenti esercizi;
 i ricavi od altri proventi conseguiti per un ammontare superiore a quello che ha concorso a
formare il reddito in precedenti esercizi;
 la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.
Relativamente alla corretta imputazione della sopravvenienza attiva, è bene ricordare
che secondo l’art. 109, co. 1, del Tuir, i ricavi e le spese, così come gli altri componenti positivi e negativi di reddito, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.
Laddove la loro esistenza non sia certa o il loro ammontare non sia determinabile in modo
oggettivo, sono imputabili all’esercizio in cui si verificano queste condizioni.
Pertanto, il momento in cui le sopravvenienze attive concorrono alla formazione del reddito
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Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
83
d’impresa è quello in cui risultano verificate due condizioni:
 la certezza dell’esistenza del fatto che ha fatto sorgere la sopravvenienza;
 la determinabilità oggettiva del suo ammontare.
Pertanto, la rinuncia del creditore comporta, in capo al debitore, l’insorgere di una sopravvenienza attiva integralmente imponibile, a meno che – a norma dell’art. 88, co. 4,
del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – la rimessione derivi, come sopra illustrato, dalla rinuncia del credito del socio oppure da un piano attestato di risanamento pubblicato
presso il Registro delle imprese (art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), da
un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale (art. 182-bis L.F.), da
un concordato preventivo (artt. 160-182 ss. L.F.) o fallimentare (artt. 124-141 L.F.).
3. Riduzione dei debiti “collettiva”
È frequente che l’impresa in difficoltà tenti di ridurre la generalità dei debiti, procedendo alla sottoscrizione di accordi con tutti i creditori, che possono essere puramente stragiudiziali, ovvero
concorsuali o misti. In ogni caso, la disciplina contabile di riferimento è rappresentata dal principio nazionale Oic 6 (“Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio”), la cui applicazione presuppone, tuttavia, la sussistenza di alcune specifiche condizioni, riguardanti l’impresa
debitrice:
 redazione del bilancio secondo i principi contabili nazionali;
 predisposizione del bilancio d’esercizio nel rispetto del principio della continuità aziendale (c.d. going concern) di cui all’art. 2423-bis, co. 1, n. 1), c.c., con la conseguenza che l’Oic
6 non è applicabile alla ristrutturazione del debito avente finalità liquidatoria dell’impresa
debitrice, disciplinata, invece, dall’Oic 5, sia pure integrabile con alcune informazioni previste
dall’Oic 6;
 sussistenza di una situazione di difficoltà finanziaria, a fronte della quale uno o più creditori concedono modalità di adempimento dell’obbligazione maggiormente favorevoli, che
altrimenti non avrebbero riconosciuto.
Aspetti contabili
Ai fini della corretta rappresentazione in bilancio degli effetti della riduzione delle passività,
derivanti da istituti concorsuali o accordi stragiudiziali “conservativi”, è necessario considerare in
primo luogo la data contabile dell’operazione. In particolare, l’operazione deve essere rilevata
nella contabilità e nel bilancio della debitrice, sia sotto il profilo patrimoniale che economico, a
partire dal momento in cui l’accordo perfezionato tra il debitore ed i creditori diviene
efficace tra le parti, differenziato in base alla tipologia dello strumento adottato, come evidenziato nella tabella che segue.
Operazione
Concordato preventivo
Accordo di ristrutturazione dei debiti
Piano attestato di risanamento
Altri accordi
Data di perfezionamento
Data del decreto di omologazione
Data di pubblicazione presso il registro
imprese, ovvero di omologa del Tribunale
se l’efficacia dello stesso è subordinata
all’omologa
Data di adesione dei creditori o, in mancanza, data di pubblicità del documento
Data in cui è perfezionato l’accordo
A differenza di quanto visto in precedenza in caso di remissione “individuale” del debito, nella
fattispecie in questione la riduzione della quota capitale delle passività, o degli interessi già
maturati sulla stessa e non ancora pagati, va imputata alla voce alla voce E.20) del Conto
economico “Proventi straordinari”, per un importo pari alla predetta riduzione dell’importo
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
da rimborsare oppure degli oneri finanziari non ancora versati, coerentemente con il principio
generale di prudenza (art. 2423-bis c.c.), in quanto costituente un provento realizzato fin dalla
data della ristrutturazione. La scrittura contabile è la seguente:
Debiti verso fornitore Beta
s.p.a. (D.7) S.P. passivo)
a
Utile da ristrutturazione
(E.20) C.E.)
...
Riduzione di debito a seguito di concordato stragiudiziale/piano attestato di risanamento/accordo
di ristrutturazione dei debiti/concordato preventivo
È opportuno osservare che l’Oic 6 precisa che qualora l’utile da ristrutturazione, derivante
dalla riduzione dei debiti, sia di importo rilevante, si deve darne evidenza, mediante un
apposito dettaglio informativo della predetta sezione dello schema obbligatorio di cui all’art. 2425 c.c., utilizzando ad esempio, la dicitura “di cui proventi derivanti dalla ristrutturazione del debito”.
Effetti fiscali
Le conseguenze tributarie della riduzione dei debiti, come anticipato, sono differenti a seconda dello strumento di soluzione della crisi adottato, da cui può discendere l’imponibilità o
meno della corrispondente sopravvenienza attiva, ed in questo ambito si rendono applicabili le
novità introdotte dall’art. 33 del D.L. n. 83/2012. In particolare, è necessario distinguere in funzione della tipologia di operazione da cui scaturisce la riduzione dei debiti, ed in particolare a seguito delle seguenti operazioni:
 concordato stragiudiziale;
 piano attestato di risanamento;
 accordo di ristrutturazione dei debiti;
 concordato preventivo.
Concordato stragiudiziale
Nella prima fattispecie non si pongono particolari questioni, poiché le sopravvenienze attive da
riduzione dei debiti dell’impresa, conseguenti all’esecuzione dell’intesa privata raggiunta dal debitore con i propri creditori, sono disciplinate dai criteri ordinari di determinazione del reddito
d’impresa e, quindi, sono assoggettate ad imposizione, ai sensi dell’art. 88 del D.P.R. n. 917/1986.
Piani attestati e accordi di ristrutturazione dei debiti
Più complessa si presenta la situazione nell’ipotesi di piani attestati di risanamento e di accordi di ristrutturazione dei debiti, poiché in tale ambito, come già anticipato, intervengono
le novità contenute nel D.L. n. 83/2012. È opportuno segnalare che per quanto riguarda i piani
attestati di risanamento, le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti derivanti dall’esecuzione
del documento citato dall’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942 sono differenti a seconda
della circostanza che il piano sia o meno stato pubblicato presso il Registro delle imprese. Infatti:
 se il piano attestato di risanamento è stato pubblicato presso il registro imprese, si
realizza la non imponibilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, limitatamente
alla parte eccedente le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84 del Tuir.
 se il piano attestato di risanamento non è stato pubblicato nel Registro delle imprese, le eventuali sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti posta in essere in
esecuzione dello stesso sono imponibili, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, secondo i criteri ordinari, analogamente a quelle provenienti dall’adempimento del concordato
stragiudiziale di cui al precedente paragrafo.
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Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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In altri termini, non è consentito al debitore beneficiare sia della non imponibilità integrale di tale componente positivo che dell’utilizzo delle perdite, pregresse e di periodo, riportabili: il legislatore ha, pertanto, voluto evitare il conseguimento, da parte del debitore,
di una perdita fiscale di periodo per effetto dell’integrale “detassazione” della sopravvenienza attiva derivante dall’esecuzione del piano attestato di risanamento, pubblicato
nel Registro delle imprese, o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Gli stessi effetti previsti per i piani attestati di risanamento pubblicati presso il registro imprese
sono applicabili, ai sensi dello stesso co. 4 dell’art. 88 del D.P.R. n. 917/1986 (applicabile dal
periodo d’imposta in corso al 12 agosto 2012), alle decurtazioni delle passività emerse a seguito di
un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale, ai sensi dell’art. 182-bis L.F., il
cui procedimento sia stato instaurato a partire dall’11 settembre 2012.
Le novità contenute nell’art. 88, co. 4, del Tuir pongono alcuni dubbi interpretativi1, in quanto:
 in primo luogo, per quanto attiene alla tecnica utilizzata dal legislatore, laddove qualifica le sopravvenienze attive non eccedenti come i “proventi esenti” di cui al co. 1, terzo periodo della
predetta disposizione. In buona sostanza, le perdite fiscali non sono sostanzialmente utilizzabili sino a concorrenza dell’importo delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti.
 in secondo luogo, l’imponibilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, nel limite
delle perdite fiscali utilizzabili, appare non coerente, oltre che con la disciplina del concordato
preventivo, con la ratio della modifica della disciplina delle perdite (art. 23, co. 9, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98), fondata sulla necessità delle imprese di superare la crisi senza decadere dal diritto di utilizzazione delle perdite prodotte (in tal senso, si veda la relazione illustrativa al Decreto).
È bene altresì osservare che il limite delle perdite fiscali contenuto nel “nuovo” art. 88,
co. 4, del Tuir non si applica soltanto alle eccedenze pregresse, ma anche a quella di periodo, la quale, a propria volta, è influenzata dal trattamento delle sopravvenienze attive da
riduzione dei debiti.
Sul punto, nel silenzio della norma, e in attesa di chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, una possibile soluzione potrebbe essere rappresentata dall’individuazione dell’eventuale esistenza della
perdita “teorica” di periodo considerando anche la variazione in diminuzione “figurativa” riferita all’intero importo della sopravvenienza attiva da riduzione dei debiti dell’impresa2.
È agevole altresì osservare che il richiamo alle perdite di cui all’art. 84 del Tuir è generico, e non
viene in alcun modo precisato alcunché sulle loro modalità di utilizzo, senza considerare che una
parte di tali eccedenze è soggetta al vincolo quantitativo dell’80% del reddito imponibile.
In altri termini, le sopravvenienze attive sono imponibili sulla base dell’importo integrale delle
perdite riportabili, sebbene soltanto una parte delle stesse sarà poi scomputabile dal reddito
fiscale del periodo d’imposta.
Infine, ulteriori aspetti critici si pongono in relazione ai soggetti Irpef, ai quali si applicano senza
dubbio le disposizioni dell’art. 88, co. 4, del Tuir, ma non anche quelle concernenti il riporto delle
perdite ai sensi dell’art. 84 del Tuir. In altri termini, le società di persone potrebbero non disporre di perdite di cui all’art. 84 del Tuir, con l’effetto che beneficerebbero dell’integrale
esclusione da imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, e i soci
potrebbero utilizzare le perdite riportabili dalla stessa attribuite loro in base al principio di trasparenza.
1
A questo proposito, si veda il contributo di S. Cerato-M. Bana, Novità in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati, in “il fisco” n. 30/2012, fascicolo n. 1, pag. 4772.
2
L’orientamento in parola è sostenuto, tra gli altri, da L. Miele, Il debito ristrutturato non crea sopravvenienza, in “Norme e Tributi - Il Sole 24 Ore”, 2 agosto 2012, e G. Andreani-A. Tubelli, Sopravvenienze attive esenti anche negli accordi
di ristrutturazione dei debiti, in “Corriere Tributario” n. 29/2012.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
Esempio
La società Alfa s.r.l. ha realizzato una sopravvenienza attiva da riduzione dei debiti dell’impresa per
450.000,00 euro, e nella tabella che segue si considerano tre differenti ipotesi di reddito d’impresa
prima dell’eventuale variazione in diminuzione della predetta sopravvenienza attiva.
Ipotesi 1
Reddito d’impresa (ante
variazione in diminuzione
sopravvenienze attive)
Sopravvenienze attive da riduzione dei
debiti derivanti da piani attestati o accordi art. 182-bis
Perdita “teorica” di periodo
Sopravvenienze attive imponibili
Sopravvenienze attive
“detassate”
Variazione in diminuzione
Reddito d’impresa o perdita
Ipotesi 2
Ipotesi 3
600.000
200.000
-150.000
450.000
450.000
450.000
0
0
-250.000
250.000
-600.000
450.000
450.000
200.000
0
-450.000
150.000
-200.000
0
0
-150.000
Concordato preventivo o fallimentare
Le novità descritte nei precedenti paragrafi, con le conseguenti limitazioni alla non imponibilità
delle sopravvenienze attive non trovano applicazione nell’ipotesi in cui la riduzione delle passività
derivi dall’esecuzione di un concordato preventivo o fallimentare. Infatti, anche dopo la
riformulazione dell’art. 88, co. 4, del Tuir, operata dall’art. 33, co. 3, del D.L. n. 83/2012, è prevista
l’integrale irrilevanza delle sopravvenienze attive che derivano dalla riduzione dei debiti a
seguito delle predette operazioni, analogamente alle eventuali plusvalenze da cessione dei beni ai
creditori (art. 86, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986). L’esempio che segue mette in evidenza le
differenze sostanziali che emergono tra concordato preventivo ed accordo di ristrutturazione dei
debiti.
Esempio
Si consideri la società Beta s.r.l. con i seguenti dati:
 reddito d’impresa 2012 di 500.000,00 euro comprendente sopravvenienze attive da riduzione
dei debiti (700.000,00 euro).
 perdite pregresse soggette al vincolo dell’80% del reddito imponibile: 400.000,00 euro.
Disciplina
ante D.L.
n. 83/2012
(piani
ed accordi)
Reddito d’impresa (ante
variazione in diminuzione
sopravvenienze attive)
Sopravvenienze attive da riduzione
dei debiti
Perdita di periodo
Perdite pregresse
Sopravvenienze attive
imponibili
Variazione in diminuzione
Reddito d’impresa o perdita
Scomputo perdite (80,00%)
Perdite residue riportabili
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Novellato
art. 88, co. 4,
del Tuir (piani
ed accordi)
500.000
700.000
500.000
Concordato
preventivo
500.000
700.000
700.000
-400.000
-200.000
(“teorica”)
-400.000
-200.000
(effettiva)
-400.000
700.000
600.000
0
0
500.000
-400.000
0
-100.000
400.000
-320.000
-80.000
-700.000
-200.000
0
-600.000
0
Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
87
Si consideri, infine, che le disposizioni del D.L. n. 83/2012 non hanno apportato alcuna modifica
all’art. 86, co. 5 , del Tuir, che continua a prevedere la totale irrilevanza fiscale delle cessioni di
beni eseguite nell’ambito del solo concordato preventivo. Pertanto, nel caso di un piano attestato
di risanamento o di un accordo di ristrutturazione dei debiti comportante l’alienazione di beni
d’impresa, l’operazione può dare luogo al realizzo di plusvalenze imponibili (o minusvalenze
deducibili).
Aspetti Irap
Per quanto riguarda il tributo regionale, è necessario distinguere in funzione della natura del
soggetto, ed in particolare:
 la riduzione delle passività operata dal debitore soggetto Irpef è irrilevante ai fini della determinazione della base imponibile del tributo regionale, se applica il regime naturale di cui
all’art. 5-bis, co. 1, del D.Lgs. n. 446/1997. Tale disposizione stabilisce, infatti che i componenti
positivi del valore della produzione netta non comprendono le sopravvenienze, così come le
plusvalenze, essendo circoscritti ai ricavi di cui all’art. 85, co. 1, lett. a), b), f) e g), del Tuir,
nonché alla variazione delle rimanenze di beni, opere e servizi in corso di esecuzione di cui agli
artt. 92 e 93 del predetto D.P.R. n. 917/1986;
 nel caso delle società di capitali, che derivano dal bilancio d’esercizio la base imponibile del
tributo regionale (art. 5 del predetto D.Lgs. n. 446/1997), è necessario fare affidamento sui
principi generali del tributo regionale, e precisamente a quello di correlazione. Conseguentemente, le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti – iscritte nella voce E.20) del conto economico, ovvero al di fuori del valore e dei costi della produzione – dovrebbero essere
considerate imponibili, in sede di determinazione del valore della produzione netta, nella
misura in cui il costo che aveva originato la passività – senza computare, quindi, l’importo della stessa ascrivibile all’Iva detraibile (soggetta al diritto, in capo al creditore, di emissione della nota di variazione3, ai sensi dell’art. 26, co. 2 e 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633)
– è stato dedotto, in un passato esercizio, dalla base imponibile Irap del debitore.
Il medesimo principio dovrebbe, pertanto, indurre a ritenere esclusa la rilevanza del componente positivo originatosi a causa della falcidia di una passività finanziaria, in quanto
non proveniente da un componente negativo dedotto in un precedente periodo d’imposta, salvo
che si tratti di un credito derivante da un’operazione di leasing. In tale ipotesi, la sopravvenienza
attiva rileva, infatti, parzialmente, in misura pari al costo corrispondente alla riduzione della
passività – senza considerare l’Iva detraibile (voce B.8) del conto economico civilistico) – dedotto
dalla base imponibile Irap di un passato esercizio: non deve, quindi, essere computata la parte riferibile alla quota finanziaria del canone di leasing, poiché irrilevante.
Non influisce, pertanto, la circostanza che la predetta falcidia concordataria produca, in capo al
creditore, una perdita indeducibile ai fini Irap, generando una sorta di asimmetria impositiva, ritenuta ammissibile anche dalla giurisprudenza di legittimità. Sul punto, si veda, ad esempio,
la sentenza n. 17603 del 28 luglio 20104, emanata dalla Corte di Cassazione, in accoglimento della tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui5:
 il fatto che il legislatore abbia voluto escludere, dalla base imponibile Irap, l’incidenza delle
perdite su crediti “non implica di certo una correlativa esenzione della sopravvenienza in capo
all’altra società”. È, infatti, innegabile, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, che “la re3
In merito al diritto del creditore di rettificare la base imponibile e l’Iva dell’operazione effettuata con un soggetto, poi,
interessato da una situazione di crisi, si veda il contributo di S. Cerato-M. Bana, Crediti verso debitori concorsuali: emissione della nota di variazione Iva, in “il fisco” n. 24/2010, fascicolo 1, pag. 3761, e – per la disciplina applicabile dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 83/2012 – quello di M. Bana, Per gli accordi di ristrutturazione possibile una nuova
qualificazione fiscale, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, del 28 luglio 2012.
4
In banca dati “fisconline”.
5
M. Bana, Riduzione dei debiti a rischio Irap, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, del 5 novembre
2011.
Luglio 2013
Le Guide
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
missione (ancorché parziale) di un debito comporta un arricchimento del soggetto che ne beneficia ed un incremento del suo patrimonio netto”;
 in nessun caso è invocabile la fattispecie della doppia imposizione, esclusa dall’insussistenza
del requisito dell’identità del presupposto, “in quanto vi è invece un arricchimento della società
debitrice ed un impoverimento di quella creditrice”. A ciò si aggiunga che, come precisato dall’Agenzia delle Entrate, “il provento era stato tassato al momento della produzione del valore
aggiunto, mentre con la perdita sul credito si è solo limitata la possibilità di una riduzione della base imponibile Irap”.
Luglio 2013
Le Guide
Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Capitolo X
I nuovi requisiti di deducibilità
delle perdite su crediti
di Luca Fornero
In seguito alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83/2012 (conv. L. n. 134/2012), sono mutate, in
senso favorevole al contribuente, le condizioni di deducibilità delle perdite su crediti ai fini Ires.
In particolare, per i crediti vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, viene
consentita la deducibilità immediata delle perdite generatesi per effetto dell’omologazione, da
parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Relativamente ai crediti vantati nei confronti degli altri debitori, la perdita è automaticamente deducibile quando il credito
è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento o, in alternativa, il diritto alla riscossione è prescritto.
1. Premessa
L’art. 33, comma 5, del D.L. n. 83/2012 (conv. L. n. 134/2012), c.d. “Decreto Crescita e Sviluppo”,
ha ampliato le ipotesi di deducibilità automatica delle perdite su crediti.
Le modifiche interessano:
 sia le perdite relative a crediti vantati nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali e istituti assimilati;
 sia le perdite relative a crediti vantati nei confronti di debitori non assoggettati a procedure
concorsuali e istituti assimilati.
Alla data di chiusura in redazione della presente Guida, non constano ancora chiarimenti ufficiali
sulle citate novità, mentre, tra le interpretazioni di categoria, si annoverano:
 la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4;
 la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15.
Prendendo le mosse da tali documenti, il presente contributo intende riepilogare la disciplina delle perdite su crediti come risultante a seguito dei riportati interventi.
2. Debitori assoggettati a procedure concorsuali
In seguito alle modifiche introdotte dall’art. 33, comma 5, del D.L. n. 83/2012, viene consentita la
deducibilità immediata delle perdite generatesi per effetto dell’omologazione, da parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942.
2.1. Disciplina previgente
Prima della modifica normativa, la deducibilità era consentita in modo automatico soltanto se il
debitore era assoggettato alle seguenti procedure:
 fallimento;
 liquidazione coatta amministrativa;
 concordato preventivo;
 amministrazione straordinaria.
Al riguardo, la circ. Agenzia delle Entrate 13 marzo 2009, n. 8/E1 (§ 4.2) aveva precisato, in via in1
In banca dati “fisconline”.
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Le Guide
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti
terpretativa, che alle perdite su crediti generatesi per effetto dell’omologazione, da parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis del R.D. n. 267/1942 non era
applicabile la previsione di deducibilità immediata contenuta nell’art. 101, comma 5, del Tuir.
L’automatismo nella deducibilità della perdita si verificava, infatti, soltanto per le procedure espressamente elencate dal dato normativo. Dal momento che, neppure in seguito alla riforma del
diritto fallimentare attuata dal D.Lgs. n. 169/2007, l’art. 101, comma 5, del Tuir era stato modificato, l’Agenzia delle Entrate escludeva che gli accordi di ristrutturazione dei debiti rientrassero
tra le procedure che consentivano l’automatica deducibilità della perdita.
Peraltro, nella successiva circ. 3 agosto 2010, n. 42/E2, la stessa Agenzia, pur confermando tale
impostazione, aveva tuttavia affermato che gli elementi certi e precisi della definitività della
perdita potevano considerarsi integrati a partire dalla data in cui il decreto di omologa
dell’accordo fosse divenuto definitivo, in quanto non più suscettibile di impugnativa.
2.2. Novità del D.L. n. 83/2012
L’intervenuta modifica normativa determina il superamento dell’orientamento della citata
circ. n. 8/2009, consentendo la deducibilità della perdita anche in seguito alla conclusione di un
accordo di ristrutturazione dei debiti omologato.
Pertanto, in seguito alla novità introdotta, le perdite su crediti sono “automaticamente”
deducibili se il debitore è assoggettato alle seguenti procedure e istituti assimilati:
• fallimento;
• liquidazione coatta amministrativa;
• concordato preventivo;
• amministrazione straordinaria;
• accordo di ristrutturazione dei debiti (novità).
2.2.1. Creditori non aderenti all’accordo di ristrutturazione
Occorre domandarsi se la norma si applichi anche nei confronti dei soggetti che non hanno
aderito all’accordo, essendo la partecipazione dei creditori necessaria solo per il 60% della complessiva esposizione debitoria dell’impresa.
In proposito, si osserva che la formulazione letterale della norma sembra valorizzare la condizione oggettiva della conclusione di un accordo omologato dal Tribunale (che consentirebbe di
considerare il debitore ufficialmente in crisi) piuttosto che quella soggettiva connessa alla partecipazione (o meno) all’accordo. Considerato, tuttavia, che l’idoneità dell’accordo ad assicurare il
pagamento dei creditori estranei non comporta l’attribuzione di alcuna forma di prelazione, né di
altri strumenti che possano agevolare la riscossione del credito (tipo fidejussioni o altre garanzie), è possibile ritenere che la relativa stipulazione concretizzi un sintomo qualificato della difficoltà finanziaria del debitore, comunque idoneo a configurare i requisiti di certezza e precisione
di eventuali perdite valutative imputate a Conto economico, anche nei confronti dei creditori non
aderenti.
Pertanto, anche questi ultimi dovrebbero poter dedurre “automaticamente” le perdite eventualmente iscritte in bilancio nelle more della procedura, senza dover altrimenti provare l’esistenza
degli elementi certi e precisi3.
Peraltro, il punto non appare pacifico, tenuto conto che, a fronte dell’eventuale perdita di natura valutativa, la sussistenza delle condizioni per addivenire al pagamento per intero dei creditori
che non partecipano all’accordo viene verificata:
 non soltanto dalla relazione asseverata dal professionista indipendente;
 ma anche dal Tribunale in sede di omologa dell’accordo stesso4.
2
In banca dati “fisconline”.
3
In questo senso, si veda la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§
2.1).
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Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Sul punto, sembra quindi necessario un chiarimento ufficiale.
2.2.2. Piani attestati di risanamento - Esclusione
Anche dopo le modifiche introdotte dal D.L. n. 83/2012, continuano a restare esclusi dagli istituti
che consentono la deducibilità ex lege delle perdite su crediti i piani di risanamento attestati da
un professionista qualificato (ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. d) del R.D. n. 267/1942)5.
Pertanto, le eventuali perdite su crediti conseguenti all’esecuzione di tali piani non sono automaticamente deducibili, ma lo divengono al sussistere degli elementi certi e precisi, secondo gli
ordinari criteri6.
In particolare, si ritiene che detti elementi ricorrano in presenza:
 sia di un analitico piano di risanamento che preveda necessariamente la soddisfazione parziale dei debiti, pubblicato nel registro delle imprese, la cui veridicità e concreta fattibilità siano attestate da un esperto indipendente;
 sia di un connesso accordo transattivo con i creditori, da cui discendano perdite su crediti7.
Nello stesso senso sembra pronunciarsi la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 1.2.7), secondo
la quale, “poiché i piani attestati non presuppongono alcun accordo preventivo con la maggioranza dei creditori, né alcuna fase di verifica da parte dell’autorità giudiziaria, il legislatore ha
forse ritenuto superfluo ribadire che gli elementi di certezza e precisione sussistono in presenza
di effetti estintivi che promanino da accordi negoziali realmente conclusi tra il creditore e il debitore ed eseguiti. In quest’ottica, perciò, rimane fermo che la perdita su crediti effettivamente subita (e non meramente stimata) può essere dedotta a seguito di questi ulteriori eventi che cristallizzano gli effetti dell’atto remissorio in favore del debitore”.
2.2.3. Decorrenza delle novità del D.L. n. 83/2012
Riguardo alla novità introdotta dal D.L. n. 83/2012, non è stata prevista una specifica decorrenza.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, della L. 212/2000 (c.d. “Statuto dei diritti del contribuente”)8, la modifica dovrebbe applicarsi dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 26 giugno 20129,
vale a dire dal periodo d’imposta 2013 (soggetti “solari”).
Occorre peraltro considerare che la disposizione da ultimo citata si propone di tutelare il
contribuente da immediati aggravi d’imposta. Tenuto conto che, nel caso di specie,
l’evidenziata esigenza di tutela non sussiste (atteso che la novità normativa è favorevole al
contribuente stesso), si propende unanimemente per la decorrenza della norma già dal
periodo d’imposta in corso al 26 giugno 2012 (si tratta del 2012, per i soggetti “solari”)10.
4
Cfr. circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15.
5
In tal senso, A. Contrino, Accordi di ristrutturazione del debito e modifiche alla disciplina del reddito d’impresa, in
“Corriere Tributario” n. 35/2012, fascicolo n. 2, pag. 2692; E. Mignarri, La deducibilità delle perdite su crediti secondo
il decreto sviluppo, in “il fisco” n. 48/2012, fascicolo n. 1, p. 7663.
Si noti che la disciplina risulta asimmetrica rispetto a quella delle sopravvenienze da esdebitamento (art. 88, co. 4 del
Tuir), per le quali è stata prevista (seppur entro certi limiti) l’esclusione dal reddito d’impresa tanto nel caso in cui esse
siano generate da accordi di ristrutturazione, quanto nel caso in cui conseguano a piani attestati di risanamento, pubblicati nel registro delle imprese.
6
Si vedano P. Meneghetti -L. Miele, Perdite su crediti meno rigide, in “Il Sole-24 Ore”, Norme e Tributi, 2 luglio 2012, p. 2.
7
G. Andreani-A. Tubelli, Come cambia la fiscalità della crisi d’impresa con il decreto «crescita», in “Corriere Tributario” n.
34/2012, p. 2643.
8
Secondo il quale, “relativamente ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.
9
Data di entrata in vigore del D.L. n. 83/2012.
10
In questo senso, cfr. circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 1.2.8), circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§ 3), M. Bana, Da chiarire la decorrenza fiscale per le novità in materia di crisi d’im-
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti
Per quanto sopra, se l’accordo di ristrutturazione è stato omologato nel corso del 2012, la nuova disposizione:
 consente la deduzione delle relative svalutazioni/perdite stanziate nel bilancio 2012;
 dovrebbe permettere altresì la deduzione delle svalutazioni/perdite rilevate nei bilanci degli
esercizi anteriori al 2012 e non ancora dedotte11.
Dal momento che la disposizione assume una portata innovativa rispetto all’assetto normativo
preesistente, in relazione agli accordi omologati antecedentemente al 2012, secondo Assonime12
dovrebbe essere possibile attribuire rilievo:
 sia alle svalutazioni/perdite rilevate dal periodo d’imposta 2012;
 sia alle svalutazioni/perdite già contabilizzate in passato e non ancora dedotte, nonostante
le “aperture” già manifestate dall’Amministrazione finanziaria nella citata circ. 3 agosto 2010,
n. 42/E.
3. Debitori non assoggettati a procedure concorsuali
Tramite un’ulteriore modifica del menzionato art. 101, comma 5, del Tuir13, è stato stabilito che
gli elementi certi e precisi, atti a fondare il diritto alla deducibilità della perdita in ipotesi diverse
dalle procedure concorsuali, sussistono “in ogni caso” quando, in alternativa:
 il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento;
 il diritto alla riscossione del credito è prescritto.
Le due condizioni (entità e anzianità del credito, da un lato, e prescrizione del diritto, dall’altro)
sono tra loro alternative. È quindi sufficiente che ricorra una delle due per poter dedurre la perdita, senza che sia necessario fornire ulteriori prove. Ad esempio, basta che il diritto alla riscossione del credito sia prescritto, indipendentemente dalla sua entità e dalla sua scadenza.
In pratica, per i crediti di modesta entità, il criterio della prescrizione si affianca a quello dell’anzianità14.
Per i crediti che non rivestono le condizioni che legittimano la deducibilità automatica, continuano a operare i consueti criteri.
3.1. Modesta entità del credito e relativa scadenza
Sancendo l’automatica deducibilità delle perdite relative a crediti scaduti di modesta entità, il
D.L. n. 83/2012 recepisce, a livello normativo, il consolidato orientamento dell’Amministrazione
finanziaria.
Infatti, con la circ. 6 agosto 1976, n. 9/12415, era stato precisato che, per la deducibilità delle perdite su crediti commerciali di modesto importo, e che siano tali anche in relazione all’entità del
portafoglio, può prescindersi dalla ricerca di rigorose prove formali, nella considerazione che la
lieve entità dei crediti può consigliare le aziende a non intraprendere azioni di recupero che
comporterebbero il sostenimento di ulteriori oneri16.
presa, in “in “Il Quotidiano del Commercialista””, www.eutekne.info, del 21 giugno 2012 e A. Contrino, Accordi di ristrutturazione del debito e modifiche alla disciplina del reddito d’impresa, cit., p. 2781.
11
Si veda la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 1.2.8).
12
Circ. 13 maggio 2013, n. 15 (§ 1.2.8).
13
Introdotta in sede di conversione del D.L. n. 83/2012 nella L. n. 134/2012.
14
Cfr. L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS dei
crediti, in “Corriere Tributario” n. 34/2012, p. 2604.
15
In banca dati “fisconline”.
16
Analogo orientamento è rinvenibile nelle ris. 9 aprile 1980, n. 9/557 e 6 settembre 1980, n. 9/517, entrambe in banca dati “fisconline”.
Luglio 2013
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Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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3.1.1. Nozione di modesta entità del credito
Ai fini della norma in esame, il credito è considerato di modesta entità quando risulta di importo
non superiore a:
 5.000,00 euro, per le imprese di più rilevante dimensione;
 2.500,00 euro, per le altre imprese.
Ai sensi dell’art. 27, comma 10, del D.L. n. 185/2008, si considerano imprese di più rilevante dimensione quelle che conseguono un volume d’affari o ricavi17 non inferiori a una determinata soglia,
fissata:
 a 300.000.000,00 di euro, fino al 2009;
 a 200.000.000,00 di euro, per il 201018;
 a 150.000.000,00 di euro, dal 201119.
Il suddetto parametro dimensionale avrebbe dovuto essere ridotto a 100.000.000,00 di euro entro il
31 dicembre 2011 secondo le modalità stabilite da un apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, ad oggi non ancora emanato.
Peraltro, dato il chiaro disposto della norma primaria, sulla scorta di quanto sostenuto dalle istruzioni al Modello UNICO e dalla circ. Agenzia delle Entrate 31 maggio 2012, n. 18, si ritiene
che il più basso limite di 100.000.000,00 di euro sia già applicabile20.
3.1.2. Determinazione del limite quantitativo
Al fine del calcolo del limite quantitativo, sembra ragionevole riferirsi21:
 al valore legale/nominale della pretesa creditoria, laddove il rapporto negoziale si sia originato presso l’impresa che vanta il credito;
 al corrispettivo riconosciuto in sede di acquisto del credito (anche se inferiore al valore nominale), laddove l'impresa sia subentrata nella titolarità del credito per effetto di atti traslativi.
Così, ad esempio, se un’impresa con volume d’affari superiore a 100.000.000,00 di euro acquistasse per 5.000,00 euro un credito di valore nominale pari a 7.000,00 euro, dovrebbe potersi
avvalere del regime di favore proprio perché l’importo massimo della perdita deducibile è pari a
5.000,00 euro22.
Nessun rilievo dovrebbero invece assumere i valori contabili e/o fiscali che potrebbero essere influenzati da svalutazioni23.
3.1.3. Momento di verifica dei requisiti temporale e quantitativo
La sussistenza delle due condizioni (temporale e quantitativa) andrebbe verificata, in termini generali, alla chiusura del periodo d’imposta24, mentre nessun rilievo dovrebbe assumere la data
17
Rileva il maggiore tra i due limiti (cfr. circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15, § 2.2).
18
Provv. Agenzia delle Entrate 16 dicembre 2009.
19
Provv. Agenzia delle Entrate 20 dicembre 2010.
20
Conformi circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.2, nota 56); L. Miele-A. Trabucchi, Deducibilità automatica delle
perdite anche su crediti scaduti prima del 2012, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, 2 agosto
2012 e L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS
dei crediti, cit., p. 2602, nota 4.
21
Circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.2), circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012 n. 4 (§ 2.2.1); L. Miele, Per le perdite su crediti, contano il valore nominale o il corrispettivo pagato, in “Il
Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, 14 maggio 2013, L. Miele-A. Trabucchi, Per la deducibilità automatica delle perdite, conta ogni singolo credito, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, 6 agosto 2012, E.
Mignarri, La deducibilità delle perdite su crediti secondo il decreto sviluppo, cit., p. 7665 e N. Villa, Unico al test delle perdite su crediti, in “Italia Oggi” del 31 marzo 2013, p. 13.
22
In questo senso, cfr. circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.2).
23
L. Miele-A. Trabucchi, Per la deducibilità automatica delle perdite, conta ogni singolo credito, in “Il Quotidiano del
Commercialista”, www.eutekne.info, 6 agosto 2012; E. Mignarri, La deducibilità delle perdite su crediti secondo il decreto sviluppo, cit., p. 7665; N. Villa, Unico al test delle perdite su crediti, in “Italia Oggi” del 31 marzo 2013, p. 13.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti
di approvazione del bilancio. In buona sostanza, in caso di soggetti “solari”, con riferimento
all’esercizio 2012 si tratta dei crediti la cui scadenza di pagamento è intervenuta entro il 30 giugno 201225.
In ogni caso, il requisito quantitativo andrebbe verificato prima di quello temporale, nel senso
che non appare possibile determinare il credito da raffrontare con il limite di legge (2.500,00 o
5.000,00 euro) considerandone solo la parte scaduta da almeno sei mesi26.
Si ritiene, inoltre, che sia possibile rinviare la deduzione in un esercizio successivo a quello in cui
maturano i sei mesi, laddove si ritenga che il credito possa essere ancora recuperato27.
In pratica, il decorso dei sei mesi andrebbe letto “quale momento a partire dal quale si presume la
sussistenza di elementi certi e precisi che consentono la deduzione della perdita, la cui imputazione
al Conto economico resta rimessa all’apprezzamento degli amministratori”28. In pratica, resterebbe
ferma la regola secondo la quale prevale l’impostazione di bilancio anche sotto il profilo della competenza delle perdite su crediti di modesto importo29.
3.1.4. Distinti crediti vantati nei confronti dello stesso soggetto
Ai fini della verifica del limite quantitativo, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe chiarire se
occorre fare riferimento, in alternativa:
 alle singole posizioni creditorie individualmente considerate;
 a tutti i crediti vantati nei confronti di uno stesso debitore;
 all’insieme dei crediti originati dal medesimo rapporto negoziale.
La questione non appare pacifica.
L’orientamento maggioritario30 prevede di attribuire rilevanza alla singola posizione creditoria, posto che questa sembrerebbe l’interpretazione maggiormente rispettosa del dato letterale
della norma. Risulterebbe quindi ininfluente la presenza di una molteplicità di crediti di modesto
importo nei confronti del medesimo cliente, complessivamente di ammontare maggiore alle suddette soglie.
Inoltre, la verifica per singola posizione creditoria appare la sola in grado di garantire la verifica
della sussistenza del requisito temporale31.
24
In questo senso, si vedano la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.5.2); la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del
Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§ 2.2.1); L. Gaiani, Crediti persi, sconto automatico, in “Il Sole-24 Ore”,
28 luglio 2012, p. 24; L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS dei crediti, cit., p. 2603.
25
Cfr. P. Ceppellini-R. Lugano, Crediti prescritti sempre deducibili, in “Il Sole-24 Ore”, 6 febbraio 2013, p. 18.
26
In questo senso, si veda la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§
2.2.1).
27
Del resto, un’interpretazione differente, “oltre a non tenere in debita considerazione la finalità agevolativa e semplificatoria della norma, potrebbe risultare in contrasto anche con l’altra previsione introdotta dal decreto «crescita e sviluppo», secondo cui gli elementi certi e precisi si assumono esistere «inoltre» nei casi di prescrizione del diritto di credito”:
così L. Miele-A. Trabucchi, Per la deducibilità automatica delle perdite, conta ogni singolo credito, cit.
28
Così M. Marani-A. Pacieri, Utilizzo solo in Unico 2013 se il rosso è già stato iscritto, in “Il Sole-24 Ore”, Norme e Tributi, 18
febbraio 2013, p. 3.
29
Nello stesso senso, circ. Assonime 15/2013 (§ 2.6); G. Albano-M. Miele, Sgravio flessibile per perdite sui mini-crediti, in
“Il Sole-24 Ore”, Norme e Tributi, 18 febbraio 2013, p. 3.
30
Circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.5.3); L. Gaiani, Crediti persi, sconto automatico, cit., p. 24; L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS dei crediti, cit., p. 2603; L.
Miele-A. Trabucchi, Per la deducibilità automatica delle perdite, conta ogni singolo credito, cit.; G. Albano-L. Miele, Perdite, sconto su ogni mini-credito, in “Il Sole-24 Ore”, Norme e Tributi, 8 aprile 2013, p. 1; F. Cornaggia-N. Villa, Valutazioni
caso per caso per la qualifica di modesta entità, in “Italia Oggi” del 3 dicembre 2012, p. 24.
31
In questo senso, cfr. circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.5.3); G. Albano, Singoli importi sotto la lente, in “Il Sole24 Ore”, Norme e Tributi, 27 maggio 2013, p. 1; G. Gavelli-M.Sirri, Perdite su crediti senza linee guida, in “Il Sole-24
Ore”, 22 marzo 2013, p. 21.
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Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
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Secondo una differente tesi32, tuttavia, la valenza autonoma dei singoli crediti può risultare poco allineata alla ratio della disposizione, vale a dire all’esigenza di stabilire per legge una soglia
di antieconomicità delle azioni di recupero, posto che tali azioni, specie se inserite in una procedura concorsuale, possono avere ad oggetto l’intero saldo creditorio nei confronti del medesimo
soggetto. Così, ad avviso della posizione in esame, la soluzione più soddisfacente pare essere
quella di dare autonoma rilevanza non al singolo credito, ma all’insieme dei crediti derivanti dal
medesimo rapporto giuridico (es. un mutuo, un’apertura di credito33, ecc.).
In tal modo, però, come già sopra riportato, non sarebbe possibile la verifica del rispetto della
condizione temporale34.
3.1.5. Decorrenza delle novità del D.L. n. 83/2012
Anche per la modifica in esame non è stata prevista una specifica decorrenza.
Atteso il consolidato orientamento dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla deducibilità
delle perdite su crediti di modesto importo, ci si è chiesto se tale modifica abbia valenza innovativa o interpretativa.
Sul punto, si è osservato35 che la disposizione, così come formulata, non presenta i requisiti necessari per costituire norma d’interpretazione autentica ai sensi dell’art. 1, comma 2, della L.
212/200036 e, in quanto tale, non dovrebbe determinare alcun effetto su eventuali contenziosi in
essere, che dovrebbero proseguire, quindi, l’iter ordinario. Peraltro, non si può escludere che la
sussistenza delle condizioni previste dall’art. 101, comma 5, del Tuir, come novellato dal D.L.
n. 83/2012, possa costituire un elemento valutato positivamente dai giudici ai fini della dimostrazione dell’esistenza degli elementi certi e precisi.
Per quanto sopra e anche alla luce delle considerazioni formulate nel precedente § 2.2.4, la norma
dovrebbe applicarsi a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 12 agosto 201237 (vale a dire,
dal 2012 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare).
Ne deriva che la medesima dovrebbe riguardare anche i crediti di modesto importo per i quali
l’“anzianità” di sei mesi sia già maturata prima del 2012.
Pertanto, se una società ha crediti pregressi per i quali già sussistevano i requisiti ora
previsti dalla norma, ma non ha ancora dedotto le perdite maturate – perché, ad esempio,
attendeva la prescrizione del credito per imputarle al Conto economico e poterle così dedurre – si ritiene che la stessa possa rilevare il componente negativo di reddito a Conto economico nel 2012 e dedurlo nel medesimo esercizio38. Ugualmente, sarebbe ammissibile
dedurre nel 2012 le perdite (e le svalutazioni) contabilizzate in passato e non ancora dedotte: in questo caso, però, in ossequio al principio di derivazione, le imprese sarebbero
tenute a dedurre la perdita nel 2012, senza possibilità di ulteriore rinvio39.
32
Si veda la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§ 2.1).
33
Qualche dubbio in più si pone rispetto ai crediti derivanti da contratti a esecuzione continuativa o periodica.
34
Si veda la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.5.3).
35
L. Miele-A. Trabucchi, Deducibilità automatica delle perdite anche su crediti scaduti prima del 2012, in “Il Quotidiano del
Commercialista”, www.eutekne.info, 2 agosto 2012; degli stessi Autori, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione
del diritto e da «derecognition» IAS dei crediti, cit., p. 2603.
36
In base al quale, “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”.
37
Data di entrata in vigore della L. n. 134/2012 di conversione del D.L. n. 83/2012.
38
In sostanza, sembra da escludere che il criterio dei sei mesi possa valere solo per le posizioni di insoluto che raggiungono
questa anzianità nel 2012 (o nei periodi successivi): in questi termini, L. Miele-A. Trabucchi, Deducibilità automatica delle
perdite anche su crediti scaduti prima del 2012, cit.
39
In questo senso, si veda la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 2.8), la quale peraltro evidenzia che “gli effetti relativi a questa sopravvenuta rilevanza fiscale delle perdite già contabilizzate in passato e non dedotte non sembra siano
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Sul punto, sarebbe auspicabile una conferma espressa.
3.2. Prescrizione del credito
Per effetto delle novità introdotte, gli elementi certi e precisi sussistono anche quando il diritto
alla riscossione del credito è prescritto.
Pertanto, decorsi i termini per la prescrizione del credito in base alle norme civilistiche, la deducibilità della perdita è “automatica”, senza che occorra, ad esempio, un accertamento giudiziale40.
In ogni caso, non dovrebbe essere preclusa la deduzione di perdite su crediti prima del decorso
del termine di prescrizione, laddove si ritenga che l’irrecuperabilità del credito si sia già manifestata41.
Individuato il termine di prescrizione, occorre poi stabilire:
 il momento iniziale rilevante per verificare l’avvenuto decorso del termine;
 la presenza di eventuali interruzioni o sospensioni nel decorso della prescrizione;
 la rilevanza delle prescrizioni presuntive.
3.2.1. Termini di prescrizione
Ai sensi dell’art. 2946 c.c., di regola, i diritti si estinguono per prescrizione decorsi 10 anni.
Peraltro, in determinate ipotesi, sono previsti termini più brevi. Di seguito, si fornisce una tabella
riepilogativa dei casi di maggior interesse per i titolari di reddito d’impresa42:
Tipologia di credito
Prescrizione Norma di riferimento
Tutti i diritti per cui non è prevista una deroga specifica (regola generale)
10 anni
art. 2946 c.c.
Crediti derivanti da somministrazioni di beni e servizi da cui scaturiscono
pagamenti periodici
5 anni
art. 2948, co. 1 n. 4 c.c.
Canoni e ogni pagamento periodico ad anno o in termini più brevi
5 anni
art. 2948, co. 1 n. 4 c.c.
Indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro
5 anni
art. 2948, co. 1 n. 5 c.c.
Provvigione del mediatore
1 anno
art. 2950, co. 1 n. 5 c.c.
Crediti derivanti da prestazioni di spedizione e trasporto (nel caso di trasporto che termina o inizia fuori Europa)
18 mesi
art. 2951, co. 2 c.c.
Crediti derivanti da prestazioni di spedizione e trasporto (altri casi)
1 anno
art. 2951, co. 1 c.c.
Premi assicurativi
1 anno
art. 2952, co. 1 c.c.
3.2.2. Momento di decorrenza della prescrizione
Ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, quindi, dal momento in cui lo stesso è sorto.
Tale regola generale vale anche per le prestazioni sottoposte a un termine da stabilirsi d’accordo
tra le parti. Ove tale accordo non sia stato raggiunto, la prescrizione decorre dal momento in
cui il credito è sorto, in quanto fin da tale momento il creditore può esercitare il suo diritto ristati presi in considerazione dalla relazione tecnica all’emendamento governativo presentato in sede di conversione del
decreto. Le stime, infatti, riguardano la perdita di gettito a regime mentre non si fa cenno al fenomeno del riversamento cumulativo, nel 2012, delle perdite non dedotte in passato e divenute deducibili per effetto della presunzione di nuova introduzione”.
40
41
L. Miele, Per le perdite su crediti, elementi certi e precisi a individuazione automatica, in “Il Quotidiano del Commercialista”, www.eutekne.info, 21 luglio 2012; G. Albano-L. Miele, La prescrizione diventa sufficiente, in “Il Sole-24 Ore”, Norme e
Tributi, 8 aprile 2013, p. 1.
Così L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS dei
crediti, cit., p. 2604-2605.
42
Sul punto, si vedano C. Odorizzi, Deducibili le perdite su crediti prescritti, in “Il Sole-24 Ore”, 4 settembre 2012, p. 21;
L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS dei crediti, in “Corriere Tributario” n. 34/2012, p. 2604, nota 8.
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Requisiti di deducibilità delle perdite su crediti – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
97
volgendosi al giudice per la fissazione di detto termine, con la conseguenza che, se il creditore
non ricorre al giudice, dalla sua protratta inerzia può derivare l’estinzione del diritto stesso non
fatto valere43.
In ogni caso, per evitare di dover definire ogni volta il momento iniziale di decorrenza della prescrizione, in dottrina44 si è proposto di introdurre, ai fini fiscali, una presunzione di maturazione
a decorrere dalla data di scadenza della fattura di riferimento.
3.2.3. Interruzione o sospensione della prescrizione
Possono verificarsi eventuali sospensioni45 (artt. 2941 e 2942 c.c.) o interruzioni46 (artt. 2943 2945 c.c.) della prescrizione che ne impediscono la maturazione.
Ai fini dell’interruzione, ad esempio, è sufficiente la costituzione in mora del debitore tramite intimazione o richiesta fatta per iscritto47. In questo caso, ai fini della deducibilità della perdita,
è necessario verificare che non si siano manifestati atti interruttivi successivi alla scadenza del
termine di pagamento del credito. Occorre, a questo punto, individuare il soggetto sul quale incombe l’onere della prova. Ad avviso della circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§ 2.2.2), bisogna distinguere due ipotesi:
 la perdita è stata dedotta nello stesso periodo d’imposta di maturazione della prescrizione (ad
es., decorsi 10 anni dalla scadenza del pagamento, ipotizzando una prescrizione ordinaria decennale); in questo caso, sarebbe l’Amministrazione finanziaria a dover dimostrare la sussistenza di atti interruttivi (ad esempio, al fine di contestare al contribuente l’avvenuta deduzione della perdita in detto periodo d’imposta, anziché successivamente);
 la perdita è stata dedotta in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il credito si sarebbe
prescritto in assenza di atti interruttivi (ad es., decorsi 11 anni dalla scadenza del pagamento,
ipotizzando una prescrizione ordinaria decennale); in questo caso, sarebbe il contribuente a
dover dimostrare la sussistenza di atti interruttivi (ad es., costituzione in mora del debitore
decorso un anno dalla scadenza originaria del pagamento), al fine di giustificare la deduzione
in tale periodo d’imposta, anziché in quello precedente48.
3.2.4. Decorrenza delle novità del D.L. n. 83/2012
In assenza di specifica disposizione di decorrenza, a fronte delle considerazioni formulate in precedenza, si ritiene che anche le novità in esame si applichino dal periodo d’imposta in corso al 12 agosto 201249 (vale a dire, dal 2012 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare).
Ci si chiede, peraltro, che cosa accada per i diritti di credito già prescritti in periodi d’imposta
precedenti al 2012.
La questione non appare pacifica. Secondo la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo 28 novembre 2012, n. 4 (§ 2.2.2), con riferimento a tali crediti, sarebbe ammissibile:
 sia la deduzione, nel periodo d’imposta 2012, delle perdite contabilizzate nel Conto economico
dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2012;
 sia la deduzione, nello stesso periodo d’imposta 2012, delle perdite contabilizzate nel Conto economico di esercizi precedenti a quello chiuso il 31 dicembre 2012.
In senso contrario alla deduzione delle perdite di cui al secondo punto, la circ. Assonime 13 maggio 2013, n. 15 (§ 3) ha osservato che l’introduzione di una previsione espressa di deducibilità con
43
Cass. 14 marzo 1986, n. 1731.
44
C. Odorizzi, Deducibili le perdite su crediti prescritti, in “Il Sole-24 Ore”, 4 settembre 2012, p. 21.
45
La sospensione della prescrizione comporta che il termine di legge non continui a decorrere durante il periodo di tempo in cui persiste la causa di sospensione.
46
L’interruzione determina l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione, senza tener conto di quello maturato prima dell’atto
interruttivo.
47
Cass. 3 dicembre 2002, n. 17157, 27 giugno 2002 n. 9378 e 28 novembre 2001, n. 15067.
48
In senso conforme, circ. Assonime n. 15/2013 (§ 3).
49
Data di entrata in vigore della L. n. 134/2012 di conversione del D.L. n. 83/2012.
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riferimento ai crediti prescritti “non implica che le imprese, in passato, non fossero legittimate a
ritenere che la prescrizione del credito fosse di per sé idonea a considerare sussistenti gli elementi
certi e precisi della perdita, dal momento che l’estinzione del credito è un effetto che promana dal
codice civile e non dalla novella legislativa”.
Anche in dottrina50 si è rilevato che, per i crediti prescritti in periodi d’imposta precedenti al
2012, la deduzione della perdita sarebbe comunque preclusa, dal momento che, in base ai principi generali e fatti salvi casi particolari, la stessa sarebbe già dovuta avvenire precedentemente.
Sul punto, appare quindi necessario un intervento ufficiale.
3.3. Soggetti Ias/Ifrs
Con riferimento ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali, gli
elementi certi e precisi sussistono anche in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio (c.d.
“derecognition”) operata in dipendenza di eventi estintivi.
Il criterio in esame si “affianca” a quelli esaminati in precedenza, validi per tutte le imprese.
3.3.1. Nozione di “eventi estintivi”
In ordine all’ambito applicativo della disposizione sono state ipotizzate tre chiavi di lettura51.
Secondo l’orientamento maggioritario, la disposizione sembra riferirsi a eventi estintivi del
diritto di credito sotto il profilo giuridico e non contabile; in caso contrario, il riferimento al
requisito della cancellazione dei crediti dal bilancio risulterebbe superfluo.
Dovrebbero quindi rientrare tra gli eventi estintivi, ad esempio:
 le cessioni pro soluto;
 le transazioni;
 le conversioni del credito in partecipazione;
 le rinunce;
 le prescrizioni.
Dovrebbero invece restare escluse dall’ambito applicativo della disposizione le operazioni di
cartolarizzazione, le quali, pur determinando l’estinzione della posizione creditoria, non comportano il trasferimento sostanziale dei principali rischi e benefici da parte del cedente e la conseguente cancellazione dal bilancio.
In base a una diversa ricostruzione, invece, rientrerebbero nella previsione legislativa tutte le
fattispecie di derecognition. Si ricorda che quest’ultima è prevista:
 non solo nelle ipotesi di estinzione del diritto di credito;
 ma anche in tutti i casi di trasferimento dei rischi e dei benefici ad esso relativi.
Infine, valorizzando il contenuto delle istruzioni della Banca d’Italia relative agli schemi di bilancio delle imprese bancarie (circ. 30 luglio 2008, n. 272), si è ipotizzato che rientrino nell’ambito
applicativo della norma le ipotesi di:
 estinzione del diritto di credito;
 trasferimento dei rischi e dei benefici ad esso relativi;
 azzeramento del credito a seguito della delibera del Consiglio di amministrazione che
prenda atto della sua irrecuperabilità.
Sul punto appare quindi necessario un chiarimento ufficiale.
3.3.2. Decorrenza delle novità del D.L. n. 83/2012
Come per le precedenti novità, anche la disposizione in esame dovrebbe applicarsi dal periodo
d’imposta in corso al 12 agosto 2012.
50
L. Miele-A. Trabucchi, Perdite su crediti di modesta entità, da prescrizione del diritto e da «derecognition» IAS dei cre-
diti, cit., p. 2604.
51
Per una compiuta disamina delle quali, si veda la circ. Assonime 13 maggio 2013 n. 15 (§ 4).
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Note di variazione Iva nelle procedure concorsuali – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
99
Capitolo XI
Note di variazione Iva
nelle procedure concorsuali
di Sandro Cerato
L’emissione di note di variazione in diminuzione ai fini Iva nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali costituisce da sempre una fattispecie delicata, in quanto le disposizioni dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, e la prassi dell’Agenzia, richiedono particolari adempimenti e una tempistica non sempre favorevole al soggetto passivo Iva (creditore) che intende recuperare l’Iva afferente la parte di credito rimasta insoddisfatta in caso di fallimento o
concordato preventivo. Ulteriori questioni critiche si presentano nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti, di cui all’art. 182-bis L.F., in quanto trattasi di una pro-cedura non
concorsuale, con la conseguenza che il recupero dell’Iva dovrebbe avvenire entro il limite di un
anno, ai sensi dell’art. 26, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972.
1. Premessa
L’art. 26, co. 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972 contengono la disciplina Iva delle variazioni in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta che intervengono qualora, successivamente all’emissione
della fattura, l’operazione venga meno in tutto o in parte, ovvero se ne riduca l’ammontare imponibile o l’imposta. A differenza di quanto previsto per le variazioni in aumento, che sono
sempre obbligatorie, quelle in diminuzione sono facoltative, e comunque sono limitate ad alcune fattispecie tassativamente previste. Sinteticamente, le variazioni in diminuzione si distinguono come segue:
 senza limiti temporali (art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972), ossia generate da vizi originari
o sopravvenuti, ovvero da clausole espressamente previste nel contratto o da specifiche norme
di legge, nonché a seguito di procedure concorsuali rimaste infruttuose. Tuttavia, al fine di
consentire il diritto alla detrazione dell’Iva in capo al soggetto che emette la nota di variazione,
la stessa deve essere emessa entro il termine per l’esercizio del diritto alla detrazione ex art. 19
del D.P.R. n. 633/1972, ossia al più tardi con la dichiarazione annuale relativa al secondo anno
successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per emettere la nota stessa1;
 con limiti temporali (art. 26, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972), ovvero entro un anno dal momento di effettuazione dell’operazione originaria, laddove la variazione sia originata da eventi
sopravvenuti.
Caratteristiche nota di variazione
in diminuzione
1
Diminuisce l’imponibile o l’imposta successivamente all’effettuazione dell’operazione, poiché l’operazione viene meno
in tutto o in parte, ovvero se ne riduce l’ammontare a seguiti di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili. È altresì ammessa in presenza di
procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza di applicazione di sconti o abbuoni
previsti contrattualmente
Si vedano i seguenti documenti di prassi: ris. 18 marzo 2002, n. 89/E, ris. 16 maggio 2008, n. 195/E, ris. 21 luglio 2008,
n. 307/E, 21 novembre 2008, n. 449/E e 17 febbraio 2009, n. 42/E, tutte in banca dati “fisconline”.
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100
Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Note di variazione Iva nelle procedure concorsuali
Facoltà di emissione
Registrazione
Termine di emissione
L’emissione della nota di variazione in diminuzione costituisce una facoltà concessa al solo cedente o prestatore, il
cui esercizio obbliga la controparte ad eseguire la corrispondente rettifica
Avviene nello stesso registro delle fatture emesse con segno
negativo, ovvero in quello degli acquisti
La nota di variazione in diminuzione è emessa:
– senza limiti temporali se la stessa è emessa in base a
condizioni già previste contrattualmente tra le parti, o in
presenza di procedure concorsuali o esecutive rimaste
infruttuose
– entro un anno dall’effettuazione dell’operazione principale, qualora sia sopravvenuto un accordo tra le parti
2. Procedure concorsuali
L’emissione di una nota di variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26, co. 2, del D.P.R. n.
633/1972, è prevista anche nel caso in cui un’operazione, successivamente all’emissione della fattura, venga meno, anche soltanto parzialmente, ovvero se ne riduca l’ammontare imponibile,
compresa la circostanza di mancato pagamento, non necessariamente integrale, a causa di
procedure concorsuali rimaste infruttuose.
Al ricorrere della suddetta ipotesi, è riconosciuto al cedente del bene o prestatore del servizio:
• il diritto di emettere una nota di variazione Iva, ed esercitare la detrazione della corrispondente imposta;
• nel caso di debitori dichiarati falliti, ovvero ammessi ad un concordato preventivo, la
facoltà in questione è dunque attribuita all’impresa creditrice limitatamente alla parte
di credito rimasta insoddisfatta, quale risultante dall’avvenuta verifica della definitiva
infruttuosità della procedura.
Il contribuente, creditore concorsuale, deve comunque osservare alcune particolari modalità operative, differenti a seconda della natura della procedura concorsuale alla quale è assoggettato il
debitore, segnalando sin da subito che si riscontrano, tuttavia, significativi dubbi interpretativi, anche nella considerazione che la normativa in materia di procedure è stata oggetto di numerose modifiche in questi ultimi anni, e non sempre tali variazioni hanno trovato un corrispondente riscontro da parte del legislatore fiscale, che in tal modo ha lasciato numerosi dubbi aperti,
nonostante diversi interventi dell’Agenzia delle Entrate.
3. Soggetti legittimati all’emissione della nota di variazione
In merito ai soggetti legittimati all’emissione di una nota di variazione in diminuzione in presenza di procedure concorsuali, è bene chiarire sin da subito che costituisce condizione necessaria la partecipazione al concorso da parte del cedente o prestatore, altrimenti verrebbe a
mancare il presupposto essenziale dell’infruttuosità della procedura2.
A conferma di quanto affermato, si consideri che qualora un creditore non ammesso allo
stato passivo esecutivo del fallimento, ovvero non compreso nell’elenco dei creditori del
concordato preventivo, emetta comunque la nota di variazione Iva, il curatore oppure il
debitore della procedura concorsuale minore è tenuto a rispedire il documento al mittente, con richiesta di procedere al relativo annullamento. In tale sede, è altresì raccomandata una segnalazione dell’accaduto all’Agenzia delle Entrate.
Inoltre, è bene considerare che il diritto all’emissione della nota di variazione in diminuzione è
precluso nel caso in cui il creditore, pur essendo stato ammesso allo stato passivo del fallimento,
2
Sul punto, si veda circ. 17 aprile 2000, n. 77/E, in banca dati “fisconline”.
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Note di variazione Iva nelle procedure concorsuali – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
101
ovvero inserito nell’elenco dei creditori del concordato preventivo, successivamente rinunci espressamente alla propria pretesa, mediante un’apposita istanza, presentata prima dell’accertamento dell’infruttuosità della procedura.
Infine, la questione diviene più complessa per la verifica della spettanza dell’emissione della nota
di variazione nelle seguenti ipotesi:
1) sopravvenuta cessione del credito;
2) crediti derivanti da un’azione revocatoria esperita dal curatore fallimentare;
3) crediti di natura professionale rimasti insoddisfatti.
3.1. Cessione del credito
Sovente accade che il credito sia oggetto di cessione, nel qual caso è necessario chiedersi se il
cessionario del credito abbia titolo per l’emissione della nota di variazione.
Sul punto, è bene segnalare che la formulazione letterale dell’art. 26, co. 2, del D.P.R. n.
633/1972 riserva la facoltà di emissione della nota di variazione in diminuzione a due
soli soggetti passivi d’imposta: il cedente del bene e il prestatore del servizio.
Di conseguenza, non è ammesso che tale diritto sia esercitato dal cessionario del credito3, e su tale aspetto la giurisprudenza è consolidata, affermando che:
 deve sussistere identità tra l’oggetto della fattura e registrazione originaria, da un lato,
ed oggetto della rilevazione della rettifica, dall’altro, in modo che esista corrispondenza tra i
due atti contabili;
 una modifica del rapporto giuridico tra i soggetti originari dell’operazione imponibile: cedente
e cessionario del bene, committente e prestatore del servizio4.
Dal descritto orientamento giurisprudenziale, emerge che il cedente del credito mantiene il diritto ad emettere la nota di variazione solamente in presenza dei due seguenti requisiti (congiunti):
1) il credito del cedente, prima del trasferimento al cessionario, è stato ammesso allo stato
passivo esecutivo del fallimento, ovvero riconosciuto nell’elenco dei creditori verificato e rettificato dal commissario giudiziale (art. 171, co. 1, L.F.);
2) il cedente rimane parte processuale della procedura concorsuale, ovvero non vi è estromissione da parte del cessionario.
In presenza di entrambi i descritti presupposti, il cedente è legittimato ad emettere la nota di variazione, in relazione all’originaria fattura a carico del debitore fallito oppure ammesso al concordato preventivo, limitatamente all’importo pari alla differenza tra il valore nominale del
credito e la somma complessiva dei pagamenti parziali (comprensivi di Iva), effettuati dal
curatore ovvero dal liquidatore giudiziale. A tal fine, tuttavia, non assume alcun rilievo il prezzo
di cessione del credito corrisposto dal cessionario, né l’eventuale accordo di riversamento, a beneficio di quest’ultimo, delle somme recuperate dal cedente tramite l’emissione della nota di variazione, trattandosi di intese meramente civilistiche.
3.2. Credito da azione revocatoria
In linea generale, la presenza di un’azione revocatoria (fallimentare ex art. 67 L.F., ovvero
ordinaria ai sensi dell’art. 66 L.F. e art. 2901 c.c.) non incide sul diritto di emissione della
nota di variazione, fermo restando la necessità degli altri requisiti, ossia il deposito successivo
della domanda di ammissione dello stato passivo in relazione alle somme restituite alla procedura a seguito della revocatoria5. Infatti, l’azione revocatoria non determina né il venir meno dell’operazione, né la riduzione del proprio ammontare, bensì l’assoggettamento del bene all’esecuzio3
Ris. 5 maggio 2009, n. 120/E, in banca dati “fisconline”.
4
Cass. 29 marzo 2001, n. 8455, e Cass. 6 luglio 2001, n. 9188, entrambe in banca dati “fisconline”.
5
Ris. 16 maggio 2008, n. 195/E, in banca dati “fisconline”.
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ne concorsuale, senza alcuna incidenza sulla validità della convenzione revocata. In altre parole,
la circostanza in questione non comporta la nullità o l’annullamento dell’atto revocato, che resta
valido, ma soltanto la propria inefficacia relativa, limitata alla massa dei creditori concorsuali6.
3.3. Crediti di natura professionale
Particolare attenzione va prestata anche per la fattispecie dei crediti di natura professionale, i
quali, ai sensi dell’art. 2751-bis, n. 2), c.c., è prevista l’ammissione in via privilegiata allo stato
passivo esecutivo del fallimento (ovvero l’inserimento nell’elenco dei creditori dell’omologato
concordato preventivo) limitatamente ai compensi relativi agli ultimi due anni di prestazione (ed
al contributo alla Cassa di Previdenza, nel solo caso di Ragionieri e Dottori Commercialisti). Conseguentemente, la parte rimanente del credito professionale, compresa l’imposta sul valore aggiunto, riveste natura chirografaria7.
È bene segnalare che secondo un consolidato indirizzo della Cassazione, si ritiene che il
credito di rivalsa Iva non sia qualificabile come prededucibile (art. 111, co. 1, L.F.), sia
pure derivante dai compensi percepiti in esecuzione di un piano di ripartizione. Resta
ferma la possibilità del riconoscimento del privilegio speciale di cui all’art. 2758, co. 2,
c.c., purché sussistano i beni sui quali esercitare la prelazione, che il creditore ha l’onere
di precisare, in sede di domanda di ammissione allo stato passivo.
Pertanto, in aderenza al suddetto orientamento giurisprudenziale, nel caso in cui la procedura si
concluda con una ripartizione finale che non prevede la soddisfazione integrale dei creditori di
natura professionale, si pone un problema di fatturazione in capo ai professionisti. In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che non è ammissibile l’emissione di una fattura che
esponga come base imponibile Iva l’importo effettivamente ricevuto dal professionista, a cui faccia seguito una nota di variazione in diminuzione, da parte del medesimo soggetto, diretta a recuperare l’imposta sul valore aggiunto, in quanto credito di natura chirografaria8. Pertanto, non è
possibile emettere una nota di variazione per il solo recupero dell’Iva, considerata la propria inscindibile correlazione con la corrispondente base imponibile, anche alla luce della ratio dell’art.
26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che il professionista, creditore di una procedura concorsuale, deve emettere una fattura pari all’importo complessivamente ricevuto, riducendo proporzionalmente gli originari importi spettanti a titolo di base imponibile ed Iva, in virtù
del loro stretto collegamento.
4. Infruttuosità della procedura
Il creditore soggetto passivo Iva partecipante al concorso nei modi anzidetti, può emettere la nota
di variazione in diminuzione soltanto quando diviene certa, nel quantum, l’infruttuosità della
procedura. Tale momento è differente, a seconda che il debitore sia stato dichiarato fallito, ovvero ammesso al concordato preventivo.
4.1. Fallimento
Secondo quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate9, il creditore è legittimato ad emettere la nota
di variazione:
 in presenza di somme per la soddisfazione dei creditori, esclusivamente a seguito della
scadenza del termine fissato per la presentazione delle osservazioni al piano di ripartizione finale stabilito dal giudice delegato, decorsi quindici giorni dal ricevimento della comunicazio6
Cass. 20 novembre 1997, n. 11564.
7
Cass. 3 febbraio 2006, n. 2438.
8
Ris. 3 aprile 2008, n. 127/E, in banca dati “fisconline”.
9
Circ. n. 77/E/2000, in banca dati “fisconline”.
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ne inviata a tutti i creditori (art. 117, co. 1, e 110, co. 3, L.F.), compresi quelli attualmente oggetto di procedimento di opposizione, impugnazione o revocazione.
 in assenza di somme da destinare alla soddisfazione dei creditori, è necessario aver
riguardo, invece, alla scadenza della data entro la quale è possibile proporre reclamo avverso il
decreto di chiusura della procedura, ovvero al decorso del termine di dieci giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento (art. 119, co. 3, e 26, co. 3, L.F.).10
4.2. Concordato preventivo
Particolarmente critica risulta l’individuazione del momento a partire dal quale il creditore può
emettere la nota di variazione Iva, nei confronti di un debitore assoggettato a concordato
preventivo, che ad oggi non ha trovato una sintesi dottrinale sostanzialmente uniforme. In particolare, secondo una corrente dottrinale “pro contribuente” si è sostenuto che la nota di variazione possa essere emessa già a seguito dell’omologazione del concordato preventivo, in quanto
rappresenterebbe “il momento in cui si verifica la certezza giuridica di tale perdita”. L’orientamento in parola è, tuttavia, difficilmente condivisibile, per una serie di motivazioni, principalmente legate all’evoluzione della procedura:
a) in primo luogo, il liquidatore giudiziale, nominato in sede di omologazione del concordato
preventivo con cessione dei beni, è tenuto a verificare e, se del caso, rettificare l’elenco dei creditori già accertato dal commissario giudiziale;
b) in secondo luogo, a seguito della conclusione della liquidazione concordataria, e della conseguente esecuzione della ripartizione finale, il creditore potrebbe risultare soddisfatto in misura differente da quella ipotizzabile alla data del decreto di omologazione, con la conseguenza
che i valori indicati nella nota di variazione emessa in precedenza risulterebbero inattendibili;
c) infine, il concordato preventivo, ancorché omologato, potrebbe formare oggetto di un successivo provvedimento giudiziale di risoluzione ovvero annullamento (art. 186 L.F.), idoneo a
determinare, previa verifica dello stato di insolvenza, la pronuncia della sentenza dichiarativa
di fallimento.
Appare abbastanza evidente che l’accettazione della descritta tesi “pro contribuente” porterebbe a un non giustificato pregiudizio dei creditori di un fallimento aperto direttamente, senza passaggio ad un altro strumento di soluzione della crisi, con contestuale beneficio di quelli di un concordato preventivo, poi confluito nel fallimento.
Questi ultimi creditori, a parere della tesi che intende favorire il contribuente, potrebbero, infatti,
emettere la nota di variazione in tempi brevi (in quanto l’omologazione deve intervenire, a norma
dell’art. 181 L.F., entro sei mesi dalla presentazione del ricorso del debitore, prorogabile per un
tempo massimo di sessanta giorni) e senza la necessità di attendere la conclusione della liquidazione fallimentare.
4.3. Prassi dell’Agenzia
Le osservazioni critiche nei confronti della tesi “pro contribuente” descritte in precedenza, trovano un’importante conferma anche nella prassi dell’Agenzia delle Entrate. In particolare:
 nella circ. n. 77/E/2000, in cui si legge testualmente che “per accertare la predetta infruttuosità occorre aver riguardo oltre che alla sentenza di omologazione (art. 181) divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. Infine, nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento nel corso della procedura in
argomento, in conseguenza del mancato adempimento degli obblighi assunti o alla luce di
comportamenti dolosi da parte del debitore concordatario, la rettifica in diminuzione, rica10
I termini in questione sono stati precisati anche dalla ris. n. 195/E/2008, in banca dati “fisconline”, anche se è opportuno segnalare che una soluzione leggermente diversa era stata proposta dalla ris. 18 marzo 2002, n. 89/E, in banca dati
“fisconline”, secondo cui il momento rilevante per l’emissione della nota coincide con la data di esecutività del piano di
riparto finale, ovvero in mancanza dello stesso con la data di chiusura del fallimento.
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dendosi nell’ipotesi di procedura fallimentare, va operata solo dopo che il piano di riparto
dell’attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, a chiusura della procedura
fallimentare”.
 nella successiva ris. 17 ottobre 2001, n. 161/E11, in cui si precisa che la nota di variazione
Iva viene emessa, a seguito dell’adempimento del concordato preventivo “al fine di adeguare
l’imposta al corrispettivo effettivamente incassato”. In altri termini, precisa l’Agenzia, l’art. 26,
co. 2, del D.P.R. n. 633/1972 deve essere applicato “tenendo conto della disciplina e degli effetti tipici del concordato preventivo”, la cui sola estinzione determina la riduzione del credito
chirografario di rivalsa Iva, ed il corrispondente diritto di emettere la nota di variazione afferente all’imposta sul valore aggiunto non riscossa.
È pertanto possibile concludere che, tenendo conto delle considerazioni sin qui svolte,
emerge che l’importo oggetto della rettifica in diminuzione sarà individuabile, in ultima
analisi, soltanto sulla base del piano di ripartizione finale, approvato secondo le modalità
stabilite nel decreto di omologazione della procedura, e dunque non prima che si sia conclusa la liquidazione giudiziale.
4.4. Accordo di ristrutturazione dei debiti
In merito all’accordo di ristrutturazione dei debiti, di cui all’art. 182-bis del R.D. n.
267/1942, raggiunta dal debitore con i creditori rappresentanti almeno il 60% delle proprie passività ed omologata dal tribunale, è bene precisare sin da subito che l’accordo in questione non è
considerato una procedura concorsuale, nonostante sia disciplinata dalla Legge Fallimentare12. Pertanto, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, si viene a determinare un rilevante effetto
in capo ai soli creditori partecipanti all’accordo, mentre i soggetti estranei all’intesa non risultano
in alcun modo interessati dalla problematica dell’emissione della nota di variazione Iva, in quanto devono essere soddisfatti in misura integrale, entro 120 giorni dalla scadenza del credito o dalla data del decreto di omologazione, se già scaduti in tale giorno (art. 182-bis, co. 1, L.F.)13.
Pur prendendo atto che l’accordo di ristrutturazione dei debiti è “nuovo” nel panorama normativo, e non è stato oggetto di una specifica normativa in materia di Iva, e ad oggi non risulta che
l’Agenzia delle Entrate abbia espresso il proprio pensiero in materia, si ritiene, in un’ottica meramente prudenziale, che il creditore partecipante all’accordo di ristrutturazione dei debiti
possa emettere, limitatamente alla parte di credito rimasta insoddisfatta, la nota di variazione Iva
esclusivamente prima del decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione, poiché il diritto
11
In banca dati “fisconline”.
12
Circ. 18 aprile 2008, n. 40/E, in banca dati “fisconline”.
13
È bene osservare che quanto affermato deve ritenersi limitato al comparto Iva, in quanto ai fini delle imposte sui redditi, la perdita su crediti derivante da un accordo di ristrutturazione dei debiti è deducibile, senza dover dimostrare che
deriva da elementi certi e precisi, a partire dalla data del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei
debiti, ai sensi dell’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986, e dunque prima del passaggio in giudicato dello stesso, a dispetto di quanto sostenuto in passato dall’Amministrazione Finanziaria (circ. 3 agosto 2010, n. 42/E, in banca dati “fisconline”). In particolare la predetta disposizione, così come modificata dal D.L. n. 83/2012, stabilisce:
– al primo periodo, che è prevista la deducibilità immediata della perdita su crediti se il debitore è assoggettato a procedura concorsuale oppure ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato;
– al secondo periodo, che il debitore si considera “assoggettato a procedura concorsuale” a decorrere, tra l’altro, dalla
data del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
In buona sostanza, mentre il primo periodo dell’art. 101, co. 5, del Tuir conferma la tesi dell’Agenzia delle Entrate (circ.
13 marzo 2009, n. 8/E, in banca dati “fisconline”), in virtù della quale l’accordo di ristrutturazione dei debiti non è qualificabile come una procedura concorsuale, il secondo periodo ricomprende l’intesa dell’art. 182-bis L.F. tra tali istituti.
Conseguentemente, qualora si attribuisse prevalenza alla norma successiva, l’accordo di ristrutturazione dei debiti risulterebbe qualificabile come procedura concorsuale, con la relativa possibilità, per il creditore, di emettere la nota di
variazione Iva senza limiti temporali, a norma dell’art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, anziché del successivo co. 3: a
questo proposito, si segnala, tuttavia, che l’Amministrazione Finanziaria continua a non considerare, tra le procedure
concorsuali, l’accordo di ristrutturazione dei debiti, nonostante la novellata formulazione dell’art. 101, co. 5, del Tuir
(circ. 26 novembre 2012, n. 44/E, in banca dati “fisconline”).
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in parola è sorto infatti a seguito di un sopravvenuto accordo tra le parti, che la disposizione di
cui all’art. 26, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972 assoggetta espressamente al suddetto limite temporale.
5. Adempimenti del creditore
Per quanto riguarda l’adempimento formale per l’emissione della nota di variazione Iva, non
risultano particolari vincoli formali, essendo sufficiente che tale documento presenti le medesime
caratteristiche della fattura di cui costituisce la rettifica, ossia:
1) contenga le generalità delle parti (cedente e cessionario del bene, prestatore e committente del servizio), l’indicazione della variazione della base imponibile Iva, dell’aliquota applicata e del relativo tributo, nonché i dati identificativi della fattura originaria;
2) sia numerata ed annotata, nei termini di legge.
Contabilmente, la nota di variazione può essere rilevata, indifferentemente e a discrezione
del cedente del bene o prestatore del servizio, nel registro delle fatture emesse, in diminuzione, ovvero ad incremento di quello delle fatture d’acquisto.
Posto che l’emissione della nota di variazione postula l’emissione precedente di una fattura, non è
quindi consentito emettere tale documento qualora l’operazione, da cui è derivato il credito, risulti certificata dallo scontrino fiscale, ovvero eseguita dai soggetti ex art. 22 del D.P.R. n.
633/1972, i cui incassi sono annotati nel registro dei corrispettivi14.
5.1. Comunicazione della nota di variazione Iva
L’emissione della nota di variazione Iva in presenza di una procedura concorsuale, nel rispetto delle condizioni descritte, deve essere comunicata al curatore o al diverso organo preposto alla procedura concorsuale. Di seguito, si propone un fac-simile della comunicazione da inviare al curatore fallimentare.
Spett.le
Fallimento Beta s.r.l. in liquidazione
c/o dott. Mario Verdi (Curatore)
Via Roma, 50
35100 Padova
Partita Iva 01560980241
A mezzo lettera raccomanda A.R.
Oggetto: nota di variazione n. 2 del 25 giugno 2013 (art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972)
Egr. sig. Curatore,
Le formulo la presente in qualità di legale rappresentante della Gamma s.p.a. – con sede in Treviso, Via Manzoni
11, Codice Fiscale e Partita Iva 02660890264 – creditore chirografario ammesso allo stato passivo del fallimento
(n. 88 d’ordine cronologico), reso esecutivo dal giudice delegato con decreto del 15 ottobre 2010.
In data 14 giugno u.s., è scaduto il termine per proporre reclamo avverso il piano di ripartizione finale ordinato
dal giudice delegato (artt. 117, co. 1, e 110, co. 3, L.F.), che non prevede alcun pagamento a beneficio dei creditori
chirografari.
Premesso ciò, considerata la totale infruttuosità del fallimento della società Beta s.r.l. in liquidazione rispetto al
proprio credito (euro 14.000,00 in linea capitale), e visto l’art. 26, co. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la
Gamma s.p.a. ha provveduto ad emettere la nota di variazione (in diminuzione) n. 2 del 25 giugno 2013, che si
acclude in allegato alla presente.
14
Si vedano la ris. 5 dicembre 2003, n. 219/E, e la ris. 7 aprile 2005, n. 45/E, entrambe in banca dati “fisconline”.
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Colgo, infine, l’occasione per rammentarLe che il documento in oggetto deve intendersi formato ai soli fini fiscali,
senza dunque costituire una rinuncia al credito rimasto insoddisfatto.
Alla luce di quanto riportato nella presente, rimango a completa disposizione per gli ulteriori chiarimenti ed approfondimenti che dovessero necessitare.
Cordialità.
Gamma s.p.a.
L’Amministratore Unico
Sig. Paolo Rossi
Treviso, 28 giugno 2013
Documento allegato
Nota di variazione n. 2 del 25 giugno 2013
Nota di variazione Iva n. 2 del 25 giugno 2013
Spett.le
Fallimento Beta s.r.l. in liquidazione
c/o dott. Mario Verdi (Curatore)
Via Roma, 50
35100 Padova
Partita Iva 01560980241
A mezzo lettera raccomanda A.R.
Nota di variazione emessa ai sensi dell’art. 26, co. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
Il presente documento costituisce una variazione in diminuzione totale, ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto, della base imponibile e dell’Iva indicati nella ns. fattura n. 50 del 20 febbraio 2009, riportata nell’estratto delle
scritture contabili della Gamma s.p.a., ivi accluso.
Descrizione
Fornitura di materie plastiche
Base imponibile
euro 14.000,00
Imposta sul valore aggiunto
euro 2.800,00
6. Effetti sulla procedura concorsuale
Poiché, come descritto nei paragrafi precedenti, il momento di emissione della nota di variazione ai fini Iva coincide di fatto con l’ultimazione della procedura (termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto del fallimento ovvero conclusione della liquidazione giudiziale del concordato preventivo), il curatore oppure il debitore della procedura concordataria potrebbero ricevere diverse note di variazione, con l’emersione di un debito per imposta sul valore aggiunto. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate ha individuato il corretto comportamento da adottare, nonché i relativi effetti, differenti a seconda della tipologia di procedura concorsuale, come schematizzato nella tabella che segue.
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Fallimento
Il curatore è obbligato a rilevare le note di variazione,
in aumento nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, ma non deve, tuttavia, includere il corrispondente debito tributario nella ripartizione finale, consentendo comunque di evidenziare un credito dell’Erario
eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato
in bonis (circ. n. 77/E/2000, e ris. n. 155/E/2001, entrambe in banca dati “fisconline”).
107
Concordato preventivo
Il debitore è tenuto a registrare le note di variazione,
ma senza alcun obbligo di versamento, in quanto la
passività tributaria emergente riguarda l’Iva non riscossa dal creditore, in relazione ad un debito sorto prima
dell’apertura della procedura concorsuale, del quale il
soggetto in concordato preventivo non è tenuto a rispondere, essendosi già prodotti gli effetti estintivi (ris.
n. 161/E/2001, in banca dati “fisconline”).
7. Termine ultimo per l’emissione
Come già anticipato in premessa, la facoltà di emettere la nota di variazione, di cui all’art. 26, co.
2, del D.P.R. n. 633/1972, pur non essendo formalmente sottoposta ad un limite temporale (circ.
n. 77/E/2000), ne incontra nella sostanza uno, previsto ai fini della detrazione dell’Iva, ovvero
quello riguardante la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è
sorto il diritto alla detrazione, ed alle condizioni esistenti in tale momento15.
Si ricorda, infine, che la nota di variazione può essere emessa anche nel caso in cui il curatore
fallimentare, ovvero il debitore in concordato preventivo, abbia già provveduto alla chiusura della
partita Iva, e non sia più in grado di provvedere alla registrazione del documento di rettifica trasmesso dal creditore. È, infatti, riconosciuta la possibilità di presentare la dichiarazione di
cessazione dell’attività anche precedentemente alla chiusura della procedura concorsuale,
qualora non debbano più essere compiute operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto16.
15
Ris. n. 89/E/2002, in banca dati “fisconline”.
16
Circ. 28 gennaio 1992, n. 446157.
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Strumenti per gestire la crisi d’impresa – Compensazione nelle procedure concorsuali
Capitolo XII
Compensazione
nelle procedure concorsuali
di Michele Bana
La sussistenza, in capo al soggetto dichiarato fallito, di debiti iscritti a ruolo non impedisce al
curatore la compensazione dei crediti tributari sorti nel corso della procedura con debiti erariali emersi durante il medesimo periodo: la posizione fiscale del fallimento deve, quindi, essere considerata separatamente rispetto alla massa concorsuale (circ. n. 13/E/2011). Tale principio, secondo l’orientamento del CNDCEC (circ. n. 23/IR), è ritenuto applicabile anche al concordato preventivo, sebbene i due istituti presentino sostanziali differenze, rilevanti rispetto
all’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate con riferimento al fallimento.
1. Evoluzione normativa e prassi
L’art. 31, co. 1, primo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 ha introdotto – con efficacia dall’1°
gennaio 2011 – il divieto di compensazione dei crediti erariali in presenza di debiti superiori ad euro 1.500, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, per i quali il
termine di pagamento è scaduto. La formulazione letterale della disposizione – la cui inosservanza determina l’applicabilità di una sanzione, nella misura del 50,00% delle predette passività, nel
limite di quanto indebitamente compensato – aveva inizialmente indotto gli operatori a desumere
la sistematica preclusione alla compensazione nell’ambito delle procedure concorsuali, in virtù
dello stato di insolvenza, ovvero di crisi, generalmente caratterizzante il debitore dichiarato fallito ovvero ammesso al concordato preventivo1.
Successivamente, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta, con la circ. 15 febbraio 2011, n. 4/E2,
senza, tuttavia, fornire le attese delucidazioni: in tale sede, l’Amministrazione Finanziaria, si è limitata, principalmente, a ribadire la ratio della disposizione, introdotta al fine di contrastare
le compensazioni immediate da parte di chi, pur disponendo di un credito erariale, sia nel contempo debitore di somme iscritte a ruolo per debiti della medesima natura ed accessori. Con l’effetto che al contribuente titolare di crediti di importo superiore rispetto alle somme iscritte a ruolo è precluso il ricorso all’istituto della compensazione, salvo che assolva, preventivamente, l’intero debito per il quale è scaduto il termine di pagamento, comprensivo di sanzioni ed interessi.
I primi utili chiarimenti, in relazione alle procedure concorsuali, sono stati, invece, formalizzati
nella circ. 11 marzo 2011, n. 13/E3, nei termini di seguito riportati, successivamente condivisi
anche dall’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, con la
circ. 10 maggio 2011, n. 23/IR.
2. Compensazione nel fallimento
L’Agenzia delle Entrate ha precisato, in primo luogo, che la presenza di debiti erariali iscritti a ruolo nei confronti del fallito, scaduti e non pagati, ma maturati in data antece1
La dichiarazione di fallimento presuppone necessariamente lo stato di insolvenza, mentre il concordato preventivo
considera anche la mera situazione di crisi (art. 5 e 160, ultimo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267).
2
In banca dati “fisconline”.
3
In banca dati “fisconline”.
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Compensazione nelle procedure concorsuali – Strumenti per gestire la crisi d’impresa
109
dente all’apertura della procedura concorsuale, non costituisce una causa ostativa alla
compensazione tra attività e passività erariali formatisi, invece, nel corso della procedura4.
Si tratta, in particolare, delle seguenti eccedenze:
 il credito Iva maturato durante il fallimento, per effetto, ad esempio, dei compensi pagati
a titolo di prestazioni di servizi rese necessarie dallo svolgimento della procedura (pubblicità,
assistenza professionale di legali, periti, recupero crediti, eccetera), comprese le somme erogate al curatore, a titolo di acconto sul compenso finale, a norma dell’art. 39, co. 1, del R.D. n.
267/1942;
 il debito Iva della medesima natura – sorto contestualmente alla cessione di beni compresi nell’inventario fallimentare, ovvero contenuti nel programma di liquidazione, approvato a
norma dell’art. 104-ter del R.D. n. 267/1942 – o le ritenute fiscali operate all’atto del pagamento dei compensi di cui al punto precedente, oppure in sede di ripartizione a favore di alcuni creditori privilegiati, quali lavoratori dipendenti oppure autonomi (art. 2751-bis c.c.).
L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate conferma, pertanto, il principio contenuto nella ris. 12
agosto 2002, n. 279/E5, secondo cui le somme dovute dal debitore, prima della dichiarazione di
fallimento, non possono essere compensate con quelle spettanti alla procedura. L’assunto in parola appare coerente con:
 la normativa tributaria vigente. L’art. 74-bis, co. 1 e 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 distingue, infatti, nettamente tra le operazioni effettuate anteriormente alla dichiarazione di fallimento e quelle successive all’apertura della procedura;
 il principio fallimentare di cui all’art. 56 L.F., in virtù del quale “i creditori hanno diritto di
compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso,
ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per i crediti non scaduti
la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi
dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”.
A questo proposito, il CNDCEC ha sostenuto, con la circ. n. 23/IR, che l’art. 56 L.F. configura –
come peraltro desumibile dai consolidati principi della giurisprudenza di legittimità (Cass. 14 luglio 2010, n. 16508, 21 ottobre 1998, n. 10408, e 29 maggio 1992, n. 6512) – una speciale ipotesi
di compensazione legale prevista dall’art. 1243, co. 1, c.c.: “si verifica solo tra due debitori che
hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che
sono ugualmente liquidi ed esigibili”. Ai fini della compensabilità, è dunque necessario che i crediti siano:
 omogenei, ovvero della stessa natura: sul punto, si rileva, tuttavia, un difetto di coordinamento con l’art. 59 del R.D. n. 267/1942, secondo cui i crediti non scaduti, anche se diversi da quelli pecuniari, concorrono in base al loro valore alla data di dichiarazione di fallimento, e dunque sono “trasformati” in debiti pecuniari e scaduti (Cass. 16 agosto 1990, n. 8322);
 liquidi e, quindi, determinati nel loro ammontare, ferma restando l’ipotesi di compensazione
giudiziale prevista dall’art. 1243, co. 2, c.c.;
 esigibili, rispetto ai quali il termine previsto per l’adempimento è, pertanto, scaduto: a questo
proposito, la giurisprudenza di legittimità ammette, tuttavia, anche la compensazione di crediti divenuti liquidi ed esigibili dopo la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. 19 novembre
1999, n. 775). Con l’effetto che l’unico limite per opporre la compensazione è quello stabilito
dall’art. 56 L.F., fondato sull’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni rispetto al fallimento, ovvero il titolo da cui deriva (Cass. 12 febbraio
4
La posizione in parola trova implicito conforto, in primo luogo, nella giurisprudenza di legittimità, che ha escluso, ad
esempio, la compensazione tra un debito del fallito ed un credito della massa, derivante dall’esito di un’azione revocatoria esercitata dal curatore (Cass. 19 novembre 2008, n. 27518): analogamente, è stata negata, a causa del difetto del
requisito di reciprocità, tra un credito dell’Erario ante-fallimento, verso un soggetto tornato in bonis, e quello fatto valere dalla procedura concorsuale nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria (Cass. 1° luglio 2007, n. 10349).
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2008, n. 3280, e 3 dicembre 2003, n. 18428). È appunto questo, ad avviso del CNDCEC, l’elemento di specialità della compensazione fallimentare rispetto a quella ordinaria, che
deve essere fatta vale in sede di ammissione allo stato passivo della procedura concorsuale,
oppure nel corso del giudizio promosso dal curatore per ottenere la condanna al pagamento di
un credito vantato dal fallito (Cass. 21 dicembre 2003, n. 18223).
In altri termini, a parere dell’Agenzia delle Entrate, le suddette posizioni di credito e debito sono relative a soggetti diversi, il fallito e la massa fallimentare, nonché a momenti differenti rispetto alla dichiarazione di fallimento, il credito anteriormente, ed il debito successivamente6: l’eventuale compensazione deve, quindi, ritenersi illegittima, ad eccezione
del caso in cui il credito vantato dalla procedura derivi, per effetto del trascinamento,
dall’attività del fallito precedente all’apertura della procedura concorsuale. Al ricorrere di
quest’ultima ipotesi, è comunque posto un limite alla compensazione, rappresentato dalla
quota del credito vantato dalla procedura che trae effettivamente origine dall’esercizio
dell’impresa commerciale risalente all’epoca precedente alla dichiarazione di fallimento.
L’Agenzia delle Entrate non ha, tuttavia, chiarito in cosa consista il “trascinamento”: nel silenzio
della prassi, potrebbe ritenersi riferito all’ipotesi del c.d. esercizio provvisorio contemplato
dall’art. 104 del R.D. n. 267/1942. Si tratta del caso eccezionale della continuazione, in pendenza
del fallimento, dell’attività dell’impresa, anche limitatamente ad uno o più rami aziendali, disposta dal tribunale in sede di sentenza dichiarativa, qualora dall’immediata interruzione dell’attività
possa derivare un danno grave, purché non arrechi un pregiudizio ai creditori. Con l’effetto che,
qualora non ricorra tale ipotesi, ovvero non si configuri la fattispecie del trascinamento
dall’attività del fallito precedente alla sentenza dichiarativa, dovrebbe escludersi, ad esempio, la
compensabilità del credito Iva maturato prima della sentenza dichiarativa di fallimento. Sul punto, si rammenta, tuttavia, che la ris. 12 luglio 1995, prot. 1817, ha riconosciuto la facoltà del
curatore fallimentare, nel caso di cessione di beni:
 di portare in detrazione dall’imposta da versare l’eccedenza a credito risultante dalla dichiarazione presentata a norma dell’art. 74-bis, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972,
 in mancanza di operazioni imponibili, e dunque di Iva da versare, di computare il predetto
credito in detrazione nella successiva dichiarazione (circ. 17 gennaio 1974, n. 68).
La prassi in parola non opera, tuttavia, alcun riferimento all’istituto della compensazione, in
quanto, all’epoca, non risultava ancora introdotto nell’ordinamento nazionale, essendo previsto
da un successivo provvedimento normativo, l’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241. Sono, infatti,
contemplate le ipotesi del riporto nella dichiarazione annuale successiva, funzionale alla
futura compensazione, e quella del rimborso, sia pendente alla data del fallimento che successivo, con esonero dalla presentazione delle garanzie per importi non superiori ad euro 258.228,45
(art. 74-bis, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972), purché il credito risulti dalla dichiarazione annuale9.
6
Sul punto, autorevole dottrina ritiene, tuttavia, che non vi sia alcuna soggettività autonoma passiva del fallimento distinta da quella del fallito, in quanto si è in presenza di una mera organizzazione di beni priva della titolarità di mezzi
economici (beni e diritti) diversi da quelli del fallito, con i quali far fronte alla prestazione impositiva. Si veda, ad esempio, S.M. Messina, La compensazione tributaria in sede fallimentare, in “Corriere Tributario” n. 29/2010, p. 2386:
“durante la procedura di liquidazione concorsuale, le obbligazioni tributarie continuano a far capo al soggetto fallito;
questi è e rimane il solo contribuente – soggetto passivo […] diverse disposizioni depongono per il mantenimento della
soggettività passiva in capo al fallimento”.
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In senso conforme, si veda, ad esempio, C. Zafarana, Manuale tributario del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Ipsoa, 2010, Milano, p. 24, secondo cui “il credito d’imposta rileverà soltanto con riferimento all’intero periodo
annuale. Starà al curatore optare per il riporto del credito al periodo annuale successivo o, se ne esistono i presupposti,
richiedere il rimborso”.
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A questo proposito, la dottrina prevalente10 ritiene che, in virtù dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 12 febbraio 2008, n. 3280, e 16 novembre
1999, n. 775), la compensazione fallimentare è subordinata alla sola condizione che il credito ed
il debito derivino entrambi da fatti genetici anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero abbiamo la medesima radice temporale.
Tale posizione appare, inoltre, in linea con l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria, secondo cui, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, il legislatore ha inteso riconoscere implicitamente la continuità dell’impresa fallita (ris. n. 103/E/200211).
2.1. Compensazione Iva
Il fallimento può essere caratterizzato da due tipologie di credito Iva, la prima delle quali maturata nella frazione di periodo d’imposta antecedente la sentenza di fallimento, e formalmente emersa nella dichiarazione che il curatore è tenuto a presentare, entro quattro mesi dalla propria nomina (art. 74-bis, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972). L’eccedenza in parola non può essere utilizzata in
compensazione con debiti maturati nel corso del fallimento, in quanto si tratta di importi relativi
a soggetti differenti – il debitore insolvente e la massa concorsuale – sorti in momenti diversi, salvo il caso del trascinamento dell’attività del fallito nella procedura (circ. 13/E/2011 e ris. n.
279/E/2002).
Analogamente, il credito Iva sorto dopo la declaratoria di fallimento – per effetto, ad
esempio, delle fatture emesse dal curatore e dai professionisti nominati dalla procedura
(legali, periti, consulenti, società di recupero crediti, ecc.), a fronte delle prestazioni di servizi fornite – è compensabile con le seguenti passività endoconcorsuali:
• Iva della medesima natura (c.d. compensazione verticale), come quella addebitata agli
acquirenti delle cessioni dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare;
• tributarie diverse (c.d. compensazione orizzontale), quali le ritenute operate all’atto
del pagamento dei compensi dei predetti collaboratori del fallimento, nonché delle ripartizioni effettuate a beneficio dei creditori di lavoro dipendente e subordinato.
L’adozione di quest’ultima forma di compensazione, ovvero “Iva su altre imposte”, è, tuttavia, subordinata all’osservanza delle specifiche disposizioni introdotte dall’art. 10 del D.L. n. 78/2009,
con riferimento alla generalità dei contribuenti: non sono, infatti, previste apposite cause di
esonero o semplificazione in pendenza del fallimento (circ. n. 12/E/2010). Conseguentemente, il
curatore può liberamente utilizzare il credito Iva destinato alla compensazione, se di importo
pari od inferiore ad euro 5.000.
Diversamente, è richiesto il preventivo invio della dichiarazione annuale o dell’istanza trimestrale
(modello TR) – al fine di poter già utilizzare l’eccedenza a partire dal 16 del mese successivo a
quello di trasmissione della stessa. Nel caso di ammontare superiore ad euro 15.000, è altresì
richiesto che alla dichiarazione annuale sia apposto il visto di conformità di cui all’art. 35 del
D.Lgs. n. 241/1997, rilasciato da un professionista abilitato (dottore commercialista, esperto contabile, consulente del lavoro, ecc.) oppure la sottoscrizione da parte del soggetto incaricato della
revisione legale dei conti.
L’intervento di uno di tali soggetti, in possesso dei necessari requisiti di competenza ed indipendenza, è stato, quindi, previsto dal legislatore al fine di contrastare l’utilizzo in compensazione di
crediti Iva inesistenti: nella particolare ipotesi del fallimento, si deve ritenere che il predetto incombente possa essere assolto direttamente dal curatore – quale soggetto che ha predisposto e
tenuto le scritture contabili (art. 23 del D.M. n. 164/1999), salvo il caso in cui non rientri tra i
10
In senso conforme, E. Sollini, Credito Iva nel fallimento. Compensazione e visto di conformità, in “il fisco” n. 11/2011,
fascicolo n. 1, pag. 1660, e B. Gagliano, La compensazione tributaria nell’ambito delle procedure concorsuali, in “il fisco” n. 10/2011, fascicolo n. 1, pag. 1522.
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professionisti espressamente autorizzati dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate: si pensi, ad esempio, all’avvocato eleggibile a curatore (art. 28, co. 1, lett. a), del R.D. n.
267/1942), ma escluso dal novero dei soggetti che possono rilasciare il visto di conformità sui
crediti Iva da utilizzare in compensazione. Al ricorrere di quest’ultima eventualità, si prospetterebbe, invece, la necessità di nominare appositamente un professionista abilitato, nel rispetto
di quanto previsto dall’art. 32 della Legge Fallimentare: trattandosi di un’attività formalmente
preclusa al curatore, non sembrerebbe configurabile la designazione del delegato di cui al co.
1 della norma, bensì quella del coadiutore prevista dal successivo co. 2, la cui nomina deve essere autorizzata dal comitato dei creditori, non necessariamente in via preventiva, essendo
possibile una mera ratifica successiva, da parte del medesimo organo di controllo12.
3. Compensazione nel concordato preventivo
La circ. n. 13/E/2011 non fornisce, invece, alcuna specifica indicazione in ordine alla compensazione dei crediti e debiti dell’impresa in concordato preventivo, sebbene si tratti di una procedura
caratterizzata da profili, anche fiscali, sostanzialmente differenti dal fallimento. Sul punto, una
parte della dottrina13 ha sostenuto che dovrebbero applicarsi i medesimi principi illustrati con riferimento al fallimento. Analogamente, la circ. CNDCEC n. 23/IR ha precisato, nella nota 67, che
“le considerazioni espresse con riguardo al fallimento valgono altresì per il concordato preventivo”, anche in virtù del fatto che l’art. 169 del R.D. n. 267/1942 consente di applicare le disposizioni di cui agli artt. 55 e 56 L.F., secondo cui i debiti dell’imprenditore in stato di crisi si considerano scaduti alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo.
Conseguentemente, deve ritenersi prospettabile, a parere del predetto documento, la compensazione tra crediti derivanti da obbligazioni contrapposte già esistenti al momento del
deposito dell’istanza per l’ammissione alla procedura concorsuale: al ricorrere di tale ipotesi, la compensazione può essere opposta od eccepita, sia nei casi in cui il debito del terzo
non sia scaduto, che nell’eventualità in cui tale situazione si realizzi rispetto all’imprenditore ricorrente. Analogamente, in virtù del principio di reciprocità, il credito sorto prima
del deposito della domanda di concordato preventivo non può essere compensato con un
debito maturato nel corso della procedura.
In sede di ripartizione finale, è riconosciuto al liquidatore opporre ai beneficiari del pagamento
conclusivo gli eventuali controcrediti del debitore, sorti prima dell’apertura della procedura concorsuale.
L’orientamento in parola pone, tuttavia, delle problematiche di natura operativa, in quanto è difficilmente ravvisabile una scissione, in termini di soggettività tributaria14, tra il debitore e la massa concorsuale.
12
Sul punto, si segnala che il Tribunale di Milano, già con la circ. del 18 dicembre 2006, si era espresso a favore della
nomina del coadiutore, sotto la responsabilità del curatore, in tutti i casi in cui quest’ultimo non fosse in grado di compiere personalmente gli atti o le operazioni, in quanto non rientranti nella propria peculiare preparazione professionale, ovvero vietati dalla legge. In tale sede, era stato, inoltre, raccomandato al curatore di richiedere al nominando coadiutore di indicare preventivamente i criteri di determinazione del proprio compenso, comunque da liquidarsi ad opera
del giudice delegato, al termine dell’incarico: in particolare, nel caso di un dottore commercialista, rileva quanto previsto dalla tariffa professionale di riferimento, in relazione alle certificazioni tributarie, e precisamente dall’art. 47, co. 3,
lett. e), del D.M. n. 169/2010.
13
Si veda, ad esempio, B. Gagliano, op. cit., p. 1-1530, secondo cui “le conclusioni per il concordato preventivo non potranno essere diverse da quelle esaminate per la procedura fallimentare, essendo comunque in presenza di due periodi
e di soggetti diversi: ante procedura, dove emerge il soggetto imprenditore richiedente, e post procedura, dove emerge
la massa dei creditori tramite il commissario e il liquidatore”.
14
Il fallito, differente dalle società di capitali (circ. 22 marzo 2002, n. 26/E, paragrafo 4, e ris. 5 giugno 2002, n. 171/E, entrambe in banca dati “fisconline”), conserva la soggettività tributaria, così come qualsiasi debitore ammesso al concordato preventivo.
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L’apertura del concordato preventivo, a differenza del fallimento, non determina il c.d. spossessamento del debitore, il quale conserva, invece, l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa, sebbene sotto la vigilanza del commissario giudiziale (art. 167, co. 1, del R.D. n.
267/1942), nominato dal tribunale, in sede di decreto di ammissione.
A ciò si aggiunga che, nel caso di concordato preventivo con cessione dei beni, il liquidatore –
incaricato direttamente dal decreto di omologazione – rappresenta un mero mandatario dei
creditori, il cui compito è quello di eseguire il piano concordatario, e ripartire le risorse disponibili, secondo le modalità indicate dall’autorità giudiziaria. In altri termini, nel concordato preventivo non è previsto un soggetto, diverso dal debitore, avente funzioni e poteri analoghi a quelli
del curatore, tale da giustificare l’estensione del criterio di separazione soggettiva tra il debitore e
la massa concorsuale, invocato rispetto al fallimento.
A questo proposito, già in passato l’Amministrazione Finanziaria ne aveva escluso, costantemente, la prospettabilità in relazione al concordato preventivo, in quanto tale procedura
“inerisce ad una fase gestionale, seppur straordinaria15, di un soggetto imprenditore commerciale” (ris. 1° marzo 2004, n. 29/E16).
In particolare, qualora la procedura preveda la cessione dei beni, è configurabile – ad avviso
dell’Agenzia delle Entrate – l’assimilazione ad una liquidazione dell’impresa, avente la finalità di ripartire tra i creditori il ricavato della vendita dei beni del debitore concordatario.
Quest’ultimo non perde, infatti, la propria capacità giuridica patrimoniale, né la titolarità ed
amministrazione dei propri beni, conservando – seppur sotto la vigilanza del commissario giudiziale – l’esercizio dell’impresa (art. 167, co. 1, L.F.), nonché la legittimazione attiva e passiva delle
azioni conseguenti.
Si osservi altresì che, ai fini dell’imposizione diretta, il legislatore fiscale ha previsto una disciplina autonoma per il concordato preventivo17, distinta da quella del fallimento, salvo un punto di
contatto con quella del concordato perfezionato nell’ambito della stessa (art. 124 e ss. del R.D. n.
267/1942).
Sotto il profilo degli adempimenti, il criterio di specialità è, invece, previsto esclusivamente per il fallimento, in quanto la determinazione del reddito d’impresa (art. 183 del
Tuir) e la conseguente dichiarazione (art. 5, co. 4, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322) devono
essere effettuate con riferimento a due soli e distinti periodi d’imposta, compresi tra:
1. l’inizio dell’esercizio e la data della sentenza dichiarativa di fallimento;
2. l’apertura e la chiusura della procedura concorsuale, indipendentemente dalla durata
pluriennale della stessa.
Gli adempimenti Iva permangono annuali, ad eccezione di quelli iniziali del fallimento: l’art.
74-bis, co. 1 e 2, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che gli obblighi di registrazione, fatturazione e
dichiarazione delle operazioni effettuate nell’anno del fallimento – compresa la frazione di esercizio precedente la sentenza di apertura della procedura – devono essere assolti dal curatore. Conseguentemente, i periodi di riferimento dei suddetti adempimenti pongono una linea di de15
In tal senso, si consideri che le risoluzioni del 15 settembre 1980, prot. 2079, e del 30 agosto 1980, prot. 1991, entrambe
in banca dati “fisconline”, hanno sostenuto che il concordato preventivo rappresenta la fase conclusiva di definizione
dei rapporti attivi e passivi riferibili all’impresa e, quindi, di gestione, seppur straordinaria, della stessa.
16
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17
L’art. 88, co. 4, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 esclude dalle sopravvenienze attive, imponibili ai fini Ires, “la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo”, oltre a quelle – eccedenti le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84 del Tuir – derivanti dal piano attestato di risanamento, pubblicato presso il registro
delle imprese, e dall’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942. La
simmetria in parola non è, invece, prevista dall’analoga disposizione riguardante le plusvalenze e minusvalenze da cessione dei beni (art. 86, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986) considerate irrilevanti unicamente con riferimento all’istituto del
concordato preventivo.
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marcazione, sancita dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento, tra i crediti e debiti erariali riferiti al debitore e quelli ascrivibili alla massa concorsuale.
Diversamente, l’ammissione del debitore al concordato preventivo, e la successiva ed eventuale omologazione della procedura, non determina l’interruzione del periodo d’imposta: in altri termini, tutti gli adempimenti civilistici – ad esempio, la tenuta delle scritture
contabili, la redazione ed il deposito del bilancio d’esercizio – e fiscali continuano ad essere assolti dal debitore, secondo le modalità ed i termini ordinari.
Non appare, pertanto, invocabile la separazione tra debitore e massa concorsuale citata
dalla circ. n. 13/E/2011 con riferimento al fallimento: sul punto, è dunque opportuno uno specifico pronunciamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. A ciò si aggiunga che, sotto il profilo tecnico, il periodo in cui rimane formalmente aperta la procedura di concordato preventivo è particolarmente ristretto, in quanto compreso tra il decreto di ammissione e quello di omologazione
(determinante l’avvio della liquidazione giudiziale), obbligatoriamente non superiore al termine
di sei mesi, prorogabile – una sola volta – per ulteriori 60 giorni (art. 181 del R.D. n. 267/1942).
Si consideri, infine, che l’omesso riferimento della circolare al concordato preventivo ha comportato la mancata interpretazione del rapporto tra la compensazione e l’eventuale accordo di transazione fiscale intervenuto con l’Amministrazione Finanziaria, avente ad oggetto la riduzione
di debiti erariali sorti prima dell’ammissione alla procedura, ma il cui importo falcidiato trova
genesi esclusivamente per effetto dell’apertura del concordato preventivo, e piena efficacia
con la regolare esecuzione dello stesso, qualora omologato18.
In mancanza di tale intesa, come nel caso del fallimento, le suddette somme sarebbero dovute integralmente – nel rispetto delle cause legittime di prelazione – e, in quanto anteriori alla procedura, non compensabili con crediti sorti nel corso della gestione concorsuale. Sul punto, sarebbe,
pertanto, opportuno un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, in merito agli effetti della
permanenza della soggettività tributaria in capo al debitore in concordato preventivo
con transazione fiscale, con particolare riferimento all’eventuale operatività – rispetto alle passività erariali che hanno formato oggetto di falcidia concordataria – del principio generale previsto per il fallimento, ovvero l’incompensabilità con crediti maturati durante il concordato preventivo. L’accoglimento della tesi dell’assenza di una diversità di soggetti comporterebbe, ad esempio, l’impossibilità – analogamente ai contribuenti in bonis – di effettuare compensazioni sino a
quando non siano state pagate le passività iscritte a ruolo: sul punto, la circ. n. 13/E/2011 fa, tuttavia, riferimento alla generale definizione di “intero debito scaduto”, ipotesi oggettivamente
non prospettabile nel concordato preventivo comprensivo della transazione fiscale, in quanto caratterizzata dalla falcidia della maggior parte dei debiti erariali, inclusi quelli iscritti a ruolo, la cui estinzione ad un minor importo diverrà, però, definitiva esclusivamente con la regolare
esecuzione del piano omologato dal tribunale.
18
Sul punto, si osservi che la giurisprudenza di legittimità attribuisce, infatti, rilevanza al momento in cui si verifica il
“fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte” (Cass., n. 3280/2008).
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