Nuovi Quaderni del Foro italiano Quaderno n. 2 (3 febbraio 2015) SERGIO MENCHINI Le Sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto. 1. Le Sezioni unite, con due sentenze pressoché identiche, pronunciate una dopo l’altra (n. 26242 e n. 26243, entrambe del 12 dicembre del 2014), sono tornate sui rapporti tra contratto e processo, con un’impostazione di ampio respiro, capace di abbracciare buona parte dei temi, vuoi sostanziali vuoi processuali, che ancora attendevano risposte definitive1. Per motivi di semplicità espositiva, specialmente per effettuare le citazioni dei passi della sentenza, farò esclusivo riferimento alla pronuncia n. 26242, posto che gli argomenti che da questa sono sviluppati, nonché le soluzioni che sono proposte, si ritrovano, senza sostanziali variazioni, in maniera puntuale, anche nell’altra2. La Suprema Corte si pone in relazione di continuità con la precedente sentenza, sempre delle Sezioni Unite, n. 14828 del settembre del 2012, della qua- Le sentenze sono in corso di pubblicazione anche in in Giur. It., 2015, con commento di PAGNI, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite e in Corriere Giur., 2015, con nota di CARBONE, “Porte aperte” delle Sezioni Unite alla rilevabilità d’ufficio del giudice della nullità del contratto. 2 La sentenza n. 26243 affronta un problema ulteriore, rappresentato dalla sussistenza o meno dei poteri officiosi di rilevazione di una causa di nullità in appello, qualora in primo grado sia stata proposta una domanda diversa da quella di nullità, introdotta per la prima volta in sede di gravame. La risposta è che: a) allorché in primo grado sia stata richiesta l’esecuzione, la risoluzione, la rescissione, l’annullamento del contratto, senza che il giudice abbia rilevato motivi di nullità negoziale, la domanda nuova di nullità, introdotta per la prima volta in appello, è inammissibile; b) il giudice ha obbligo di rilevare d’ufficio la nullità posta a fondamento della domanda inammissibile, indicandola alle parti, ed anche queste possono sollevare l’eccezione; c) il giudice può pronunciare sulla nullità, a seguito della conversione della domanda di parte (inammissibile) in eccezione (ammissibile) (punto 8). Su questo tema, v. PAGNI, Il “sistema” delle impugnative negoziali, cit., § 2, le cui considerazioni sono assolutamente condivisibili. 1 1 le costituisce il naturale sviluppo, ancorché, per certi importanti aspetti, ne segni il superamento3. La questione che, con quest’ultima decisione, la Cassazione era chiamata a risolvere e che, in effetti, ha risolto concerneva la rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. della nullità del contratto nell’ambito di una causa promossa per la risoluzione dello stesso4. Le Sezioni Unite hanno stabilito che: a) la domanda di risoluzione implica l’esistenza di un atto valido, perché mira ad eliminarne gli effetti; l’azione di adempimento e quella di risoluzione presuppongono, allo stesso modo, l’applicazione del contratto, sulla base dell’assunto che esso sia valido; b) atteso che la richiesta di risoluzione per inadempimento è coerente soltanto con l’esistenza di un contratto valido, la nullità del contratto è un evento impediti- Questa sentenza può leggersi in Foro It., 2013, I, 1238, con nota di PALMIERI. Secondo l’orientamento in precedenza dominante, il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato con il principio della domanda di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c., con la conseguenza che: a) il giudice è tenuto a rilevare, in qualsiasi stato e grado del giudizio, l’eventuale nullità del contratto, sempre che risultino acquisiti al processo gli elementi che la fondano, solo nella controversia promossa per far valere diritti presupponenti la validità del contratto stesso (ossia, in presenza di domande di adempimento), non anche, invece, nelle diverse ipotesi in cui la domanda sia diretta a far dichiarare l’invalidità del contratto oppure a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento (così, Cass., Sez.Un., 25 marzo 1988, n. 2572, Foro it., Rep. 1989, voce Contratto in genere, n. 329; Cass., Sez.Un., 3 aprile 1989, n. 1611, id., 1989, I, 1428; Cass., 15 febbraio 1991, n. 1589, id. Rep. 1991, voce Procedimento civile, n. 120; Cass., 9 gennaio 1993, n. 141, id., Rep. 1994, voce cit., n. 153; Cass., 7 aprile 1995, n. 4064, id., Rep. 1995, voce cit., n. 190; Cass., 18 febbraio 1999, n. 1378, id., Rep. 1999, voce Appello civile, n. 43; Cass., 23 settembre 2000, n. 12644, id., Rep 2000, voce Contratto in genere, n. 542; Cass., 14 gennaio 2003, n. 435, id., Rep. 2003, voce cit., n. 524; Cass., 6 ottobre 2006, n. 21632, id., 2007, I, 430; Cass., 17 maggio 2007, n. 11550, id., Rep. 2007, voce cit., n. 522; Cass., 27 aprile 2011, n. 9395, id., Rep. 2011, voce cit., n. 463; b) qualora la domanda sia diretta a far dichiarare la nullità del contratto, non è ammessa la deduzione ex officio di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento dell’istanza dell’attore, in quanto l’azione di nullità è riconducibile alla categoria di quelle relative a diritti eterodeterminati (confronta, Cass., 11 marzo 1988, n. 2398, id., 1989, I, 1936, con nota di MASSETANI; Cass., 8 gennaio 2007, n. 89, id., 2007, I, 2829, con nota di CORVESE; Cass., 28 gennaio 2008, n. 28424, id. Rep. 2009, voce Procedimento civile, n. 148, e Contratti, 2009, 449 con nota di LEONE; Cass., 8 settembre 2004, n. 18062, Foro it., Rep. 2004, voce cit., n. 159; Cass., 26 giugno 2009, n. 15093, id., Rep. 2009, voce Sentenza civile, n. 57; Cass., 11 luglio 2012, n. 11651, non massimata). Al contrario, per una differente (minoritaria) interpretazione, le domande di annullamento e di risoluzione presuppongono la validità del contratto, e, dunque, qualora l’attore abbia proposto una di tali domande, il giudice può rilevare d’ufficio la nullità del contratto stesso, senza incorrere in vizio di ultrapetizione (in questo modo, Cass., 18 luglio 1994, n. 6710, id., Rep. 1994, voce Contratto in genere, n. 432; Cass., 2 aprile 1997, n. 2858, id., Rep. 1997, voce cit., n. 482, e Nuova giur. civ., 1998, I, 120 con nota di DE FAZIO; Cass., 22 marzo 2005, n. 6170, Foro it., 2006, I, 2108 con nota di DI CIOMMO; Cass., 15 settembre 2008, n. 23674, id., Rep. 2009, voce cit., n. 474, Nuova giur. civ., 2009, I, 197 con nota di NARDI; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2956, Foro it., 2011, I, 2403); inoltre, per Cass., Sez.Un., 4 novembre 2004, n. 21095, id., 2004, I, 3294, con nota di PALMIERI, PARDOLESI e COLANGELO, la difesa svolta dal convenuto tesa a rilevare determinati profili di nullità non preclude il potere officioso del giudice di indagare ed eventualmente di dichiarare, sotto qualsiasi profilo, la nullità del negozio. 3 4 2 vo che si pone prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione, con la conseguenza che il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla risoluzione di un contratto, di cui emerga la nullità dai fatti allegati e provati e, comunque, ex actis, non può sottrarsi all’obbligo del rilievo, e ciò non conduce alla sostituzione dell’azione proposta con un’altra e, dunque, ad una violazione dell’art. 112 c.p.c.5; c) a seguito del rilievo officioso, le parti hanno la possibilità di formulare la domanda di nullità che di esso è conseguenza (art. 183, comma 5, c.p.c.) e l’originaria azione di risoluzione può essere convertita in quella di nullità oppure può essere cumulata con questa; ciò, eventualmente, anche per il tramite della rimessione in termini, ex art. 153, comma 2, c.p.c.; d) in ogni caso, il giudice, sollevata la nullità in via officiosa, deve sottoporre la questione alle parti, al fine di provocarne il contraddittorio e di consentire lo svolgimento delle difese sul punto; e) alla declaratoria d’ufficio della nullità, con conseguente rigetto della domanda di risoluzione, può accompagnarsi l’accoglimento di ogni richiesta formulata unitamente a quest’ultima, come avviene in caso di proposizione di domanda restitutoria. Peraltro, la sentenza n. 14828 del 2012: i) evitava di prendere posizione circa i rapporti tra la domanda di annullamento o di rescissione del contratto e la nullità dello stesso6; ii) affrontava il tema concernente gli effetti del giudicato, scaturenti dalla sentenza che definisce il giudizio avente ad oggetto la causa di risoluzione, in modo frettoloso, proponendo una soluzione contraddittoria ed irragionevole7. A quanto sembra, per la sentenza n. 14828 del 2012, il potere-dovere del giudice di rilevare la nullità del contratto non sussiste qualora si sia in presenza di una nullità soggetta a regime speciale (c.d. nullità di protezione). 6 Sul punto, le Sezioni Unite esprimevano dubbi circa la correttezza dell’assimilazione delle ipotesi di risoluzione, annullamento e rescissione rispetto al tema della validità/nullità del contratto, e concludevano che “andrà a suo tempo verificato se sussistano i presupposti per tale equiparazione”. 7 In precedenza, Cass., 12 aprile 2006, n. 8612, Foro it., Rep. 2006, voce Cosa giudicata civile, n. 13, aveva affermato che la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore circa il pagamento dei canoni relativi ad un determinato periodo impedisce, nel successivo giudizio, volto al conseguimento del corrispettivo della locazione, di rilevare d’ufficio la nullità del contratto per difetto di forma, per essersi formato il giudicato sulla validità del contratto, in quanto presupposto essenziale della prima decisione (in modo analogo, Cass., 20 agosto 2009, n. 18540, id., Rep. 2009, voce Contratto in genere, n. 415; in senso contrario, invece, Cass., 16 maggio 2006, n. 11356, id., Rep. 2006, voce Cosa giudicata civile, n. 10, e Corriere giur., 2006, 1418 con nota di CONSOLO, per la quale la pronuncia di rigetto dell’azione di risoluzione non costituisce giudicato implicito circa la validità del contratto, ove tale tema non abbia costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice). Inoltre, per Cass., 22 marzo 2005, n. 6170, Foro it., 2006, I, 2108, con nota di DI CIOMMO, l’accertamento della nullità del contratto, 5 3 Sembra opportuno soffermarsi, brevemente, su quest’ultimo aspetto. Le Sezioni Unite, con la pronuncia del 2012, hanno esplicitato anche quali fossero le conseguenze, rispetto al giudicato, della soluzione accolta, affermando che: i) ove il giudice abbia sollevato d’ufficio la questione della nullità, sollecitando le parti a contraddire in ordine ad essa, l’accertamento avviene incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, e ciò anche se, sul presupposto della nullità del contratto, la domanda attorea sia stata respinta; solo se la parte, dopo il rilievo officioso, abbia formulato, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all’accertamento della nullità (e alle eventuali pretese restitutorie), la statuizione sul punto, una volta divenuta definitiva, produce effetti di cosa giudicata; ii) dalla decisione di merito, avente ad oggetto la richiesta di risoluzione, sia essa di accoglimento oppure di rigetto, deriva giudicato implicito sulla validità del contratto, con esclusione per i soli casi in cui il contenuto della statuizione non implichi il riconoscimento della validità del negozio impugnato. Come già rilevato, questa interpretazione è incoerente e contraddittoria: in ordine alla nullità del contratto, si forma il giudicato (implicito), benché, su tale questione, sia per iniziativa di parte sia per rilievo del giudice, non si siano avuti, nel corso del processo, alcun esame e alcuna decisione, mentre, quando la nullità è stata sollevata, per cui il tema è divenuto oggetto del dibattito processuale e di una pronuncia esplicita, l’accertamento avviene incidenter tantum e senza effetti di giudicato, a meno che una delle parti abbia proposto domanda di accertamento incidentale, ai sensi dell’art. 34 c.p.c. Un simile assetto non è ragionevole; si può accogliere una nozione ristretta oppure estesa circa l’oggetto del giudicato, ma, una volta adottata una soluzione, questa deve essere sviluppata in modo coerente. Se la domanda di risoluzione non ha ad oggetto anche la validità del contratto e se, per aversi una statuizione vincolante sul punto, occorre una domanda di parte (si tratterebbe, dunque, di pregiudizialità tecnica), la validità/nullità del contratto, in assenza di apposita domanda, non può essere interessata dal giudicato, né esplicito né implicito. reso dal giudice nell’ambito della causa di risoluzione, a seguito del rilievo officioso di essa, ha effetto anche in successivi giudizi imperniati sul contratto dichiarato nullo. 4 La risposta al problema concernente l’oggetto del giudicato dipende da quella che è data alla questione dell’oggetto del processo, in presenza di domande di risoluzione e di invalidità del contratto. Ciò non è stato considerato adeguatamente dalle Sezioni Unite con la sentenza del 2012, mentre costituisce il fulcro del ragionamento svolto dalle pronunce in commento; è questo, a mio avviso, il loro merito maggiore. 2. Sulla situazione descritta, risultante dall’intervento del 2012, si inse- riscono le due ordinanze che stanno alla base della rimessione e che hanno originato l’attuale decisione. Con la prima (ordinanza, sez. II, 27 novembre 2012, n. 21083), è posta la questione “se la nullità del contratto possa essere rilevata d’ufficio non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento e/o di risoluzione del contratto, ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso”8. Con la seconda (ordinanza, sez. II, 3 luglio 2013, n. 16630), che scaturisce dal giudizio concernente la controversia decisa dalla sentenza n. 26242, è stato richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 3, c.p.c., in quanto il Collegio non ha condiviso il principio di diritto (e la relativa motivazione a sostegno) della sentenza del 2012, nella parte in cui è affermato che, per un verso, essendo la risoluzione contrattuale coerente soltanto con l’esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione, ha il potere-dovere di rilevare ogni forma di nullità, e, per altro verso, il medesimo giudice di merito accerta la nullità incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, a meno che non sia proposta la relativa domanda, pervenendosi, tuttavia, contestualmente, alla conclusione che il giudicato implicito sulla validità del contratto si forma tutte le volte in cui la causa di risoluzione sia stata decisa nel merito, ancorché la pronuncia, come nel caso di Vedi tale provvedimento in Foro it., 2013, I, 1238 con nota di PALMIERI. La seconda sezione ha rilevato che, da un lato, la sentenza n. 14828 del 2012 ha sostenuto che la funzione oppositiva del potere-dovere di cui all’art. 1421 c.c., che opera innegabilmente rispetto alla risoluzione del contratto, “non è, con altrettanto nitore, ravvisabile nel caso di azione di annullamento”, e, dall’altro lato, sussisteva uno specifico precedente sul punto della Corte di Cassazione (2 aprile 1997, n. 2858, id., Rep. 1997, voce Contratto in genere, n. 482, e Nuova giur. civ., 1998, I, 120 con nota di DE FAZIO), la quale, in motivazione, aveva affermato che “oltre alle domande di adempimento e di esecuzione, anche quelle di risoluzione e di annullamento presuppongono la validità del contratto e costituiscono mezzo giuridico per eliminarne, in taluni casi, gli effetti”. 8 5 specie, “non abbia richiesto alcuna valutazione sulla questione concernente la validità del contratto”9 . Con riferimento precipuo a quest’ultimo aspetto, il Primo Presidente, con ordinanza interlocutoria del 10 aprile 2013, ha assegnato alle Sezioni Unite la risoluzione della questione di massima di particolare importanza, afferente la “individuazione delle condizioni per la formazione e l’estensione dell’efficacia del c.d. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto”. Le Sezioni Unite, con le sentenze del 2014, hanno sì preso le mosse dalla conferma della soluzione adottata nel 2012 circa il potere del giudice di sollevare d’ufficio la nullità del contratto nel giudizio promosso per la sua risoluzione, ma hanno esteso l’esame ai temi di più ampio respiro, connessi e reciprocamente interferenti, relativi, in generale, ai poteri del giudice ex art. 1421 c.c. in presenza di azioni d’impugnazione negoziale e agli effetti del giudicato (esplicito ed implicito) prodotti dalle relative decisioni10. In particolare, i profili d’indagine sono stati così individuati: a) rapporti tra azione di risoluzione e rilevabilità d’ufficio della nullità del negozio nell’ipotesi tanto di accoglimento, quanto di rigetto della domanda risolutoria; b) rapporti tra azioni di annullamento e di rescissione e rilevabilità d’ufficio di una nullità negoziale; c) rilevabilità d’ufficio delle fattispecie di nullità speciali; d) rapporti tra azione di nullità esperita dalla parte e rilevabilità officiosa di una nullità negoziale diversa da quella prospettata dall’attore ovvero della simulazione assoluta del contratto; e) efficacia del giudicato in successivi processi, instaurati tra le stesse parti, dell’accertamento della nullità del contratto contenuto nella prima sentenza. La pronunce in esame, con una scelta del tutto condivisibile, adottano le soluzioni a questi problemi muovendosi all’interno di un più ampio quadro sistematico, che vede coinvolti, da un lato, i nessi tra nullità e domande In effetti, nel caso deciso, la precedente sentenza aveva respinto la domanda di risoluzione sulla base del riconoscimento di una ragione assorbente e senza compiere alcuna valutazione o riferimento relativamente alla validità/nullità del contratto, tema che era rimasto non esaminato e logicamente assorbito. 10 Il Collegio, in particolare, ha condiviso la ratio decidendi della sentenza del 2012, in ordine alla ricostruzione della categoria della nullità come sanzione ordinamentale, conseguente all’irrimediabile disvalore assegnato ad un invalido assetto negoziale e alla individuazione del suo fondamento nella tutela di interessi generali. 9 6 d’impugnativa contrattuale, e, dall’altro lato, l’oggetto del giudizio in presenza di azioni d’impugnazione negoziale11. Evito di soffermarmi sulle riflessioni, anche di carattere storico e di diritto comparato, che le sentenze dedicano ai profili di diritto sostanziale e trascuro, quindi, l’esame di quelle parti di esse in cui sono ricostruite le diverse tipologie di nullità (tradizionale, relativa, speciale, di protezione), il loro fondamento e le implicazioni che ne derivano rispetto alla (non omogenea) disciplina sanzionatoria, nonché le caratteristiche e la regolamentazione delle altre azioni di invalidazione del contratto (simulazione, annullamento, rescissione)12. Per il processualista, è sufficiente rilevare, a questo proposito, che, agli specifici effetti della valutazione e dell’interpretazione dell’art. 1421 c.c., le Sezioni Unite pongono a base di ogni figura di nullità, comprese quelle relative o di protezione, la tutela di interessi sovraindividuali o dell’ordine pubblico, con la conseguenza che il rilievo officioso, in quanto è posto a salvaguardia di siffatti interessi, deve essere ammesso rispetto a tutte le specie di nullità, non escluse quelle c.d. protettive13. Peraltro, ciò con una duplice avvertenza: in primo luogo, il potere del giudice è essenziale al perseguimento di interessi che sono sì generali, ma pur sempre sottesi alla tutela di una determinata classe di contraenti, per cui il rilievo officioso è riservato alla protezione del solo interesse del contraente debole ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, “in tale modo restando impedito che la controparte possa sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dell’orbita della tutela”; in secondo luogo, se il giudice solleva la questione di nullità e la indica alla parte interessata, questa conserva la facoltà di non avvalersene ed il giudice, dopo avere obbligatoriamente rilevato Per le Sezioni Unite, deve essere fornita una risposta “di sistema” agli interrogativi relativi alla rilevabilità officiosa della nullità e a quelli, dal primo distinti, riguardanti la dichiarazione di questa in una pronuncia e l’attitudine al giudicato dell’accertamento della nullità conseguente alla rilevazione officiosa del vizio del negozio. 12 Questi temi sono affrontati e sviluppati ai punti 3.5.-3.13., 6.2.-6.12., 6.13.-6.18. 13 In presenza di nullità speciali, “la legittimazione ad agire ristretta ai soli soggetti indicati dalla legge non si riverbera ipso facto in un’esclusione del potere di rilievo officioso della nullità ex art. 1421 c.c.”, per cui “va rivista e precisata in parte qua l’affermazione, contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietata al giudice l’indagine in ordine ad una nullità protettiva” (si veda, sul punto, il capo 3.13.). 11 7 la fattispecie di nullità, non può dichiararla, neppure in via incidentale, in sentenza14. 3. Dal punto di vista processuale, che è poi quello che qui maggiormente interessa, il ragionamento delle Sezioni Unite si fonda, principalmente, sull’affermazione di due principi, dei quali sono poi sviluppate le implicazioni giuridiche. Il fulcro della decisione sta nel porre tali (fondamentali) regole, tutta la motivazione ruota attorno ad esse e in esse trova la propria giustificazione. In primo luogo, per motivi di ordine sostanziale, la pronuncia sulla nullità, conseguente ad una rilevazione officiosa, avviene sempre con autorità di cosa giudicata; se il giudice, dopo avere sollevato la nullità, la dichiara, tale dichiarazione è idonea al giudicato. Il riferimento alle teorie che si rifanno a Zeuner è evidente, come chiara è la valorizzazione degli inconvenienti che deriverebbero, ove si ammettesse che la decisione in ordine alla nullità (ex officio rilevata) dovesse avvenire, in assenza di domanda di parte, senza effetti di giudicato15. Le Sezioni Unite valorizzano la distinzione tra rilevazione/indicazione della nullità da parte del giudice e dichiarazione di essa a seguito di accertamento giudiziale: la rilevazione (obbligatoria) della nullità ex art. 1421 c.c. “deve più propriamente intendersi come limitata all’attività di rilevazione/indicazione alle parti, ad opera del giudice, del vizio” ma “la rilevazione potrà non trasformarsi necessariamente in una dichiarazione di nullità”. In questo modo, la Cassazione concilia, riguardo alle nullità di protezione, il rilievo officioso della nullità con la necessità di rispettare la volontà della parte protetta di avvalersene o meno, pervenendo così ad una conclusione simile a quella raggiunta dalla Corte di Giustizia, con la sentenza Pannon del 4 giugno 2009 nella causa C249/08 (Foro it., 2009, IV, 489), la quale ha sì ammesso il potere-dovere del giudice di rilevare il carattere abusivo di una clausola, ma, contestualmente, ha riconosciuto al consumatore il potere di opporsi e, così, di impedire la disapplicazione della clausola abusiva nulla. Tuttavia, quando si richiede, per il riconoscimento del potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità, l’ulteriore elemento che non vi sia opposizione della parte protetta, si pone in discussione la premessa, ossia che il contratto nullo, in quanto contrario ad interessi di ordine generale, deve essere rimosso dall’ordinamento ad opera del giudice, pur nell’inerzia dell’interessato. Inoltre, pur comprendendo il senso dell’operazione rispetto alle nullità di protezione, in termini generali, non può essere disconosciuto che il giudice, di sua iniziativa, possa non soltanto rilevare/indicare la nullità alle parti, ma anche, a prescindere dal loro comportamento, ove la ritenga esistente, dichiararla; ciò proprio perché il potere officioso è posto a tutela di interessi sovraindividuali, che richiedono che non possa trovare applicazione un negozio che, in quanto contrario all’ordine pubblico, è colpito dalla sanzione della nullità. La dichiarazione e l’accertamento, cioè, trovano la propria causa, diretta ed esclusiva, nel potere officioso, che è condizione sufficiente affinché la questione divenga oggetto, oltre che di rilevazione, anche di esame e di pronuncia. In forza del combinato disposto degli artt. 1421 c.c. e 112 c.p.c., il giudice può fondare la sua decisione sulla nullità del contratto, benché le parti non abbiano assunto alcuna iniziativa al riguardo; più esattamente, per l’art. 1421 c.c., il giudice può rilevare la nullità d’ufficio e, per l’art. 112 c.p.c., può pronunciare d’ufficio in ordine ad essa. 15 La Cassazione evidenzia che il processo non può disarticolare e deformare la realtà sostanziale, ma, poiché è strumentale al diritto materiale, deve rispettare le strutture e la conformazione dei 14 8 In secondo luogo, la Cassazione, dopo avere premesso che il tema dei rapporti tra nullità negoziali ed azioni di impugnativa contrattuale non può che trovare soluzione all’interno del più vasto problema dell’oggetto del giudizio in presenza di domande di quest’ultimo tipo, conclude che il bene della vita controverso è non il diritto (di natura sostanziale ovvero processuale) potestativo, il quale esaurisce la sua funzione allorché il processo è stato introdotto e la pronuncia è stata resa dal giudice, ma il rapporto giuridico scaturente dall’atto negoziale (id est, il coacervo delle situazioni soggettive generate dal contratto)16. L’oggetto del processo è non il diritto potestativo fondato sul singolo motivo (di annullamento, rescissione, risoluzione, nullità) dedotto in giudizio, ma il rapporto sostanziale che è sorto dal contratto; il giudizio provoca un “definitivo accertamento della idoneità della convenzione contrattuale a produrre tanto l’effetto negoziale suo proprio quanto i suoi effetti finali”17. Il giudice, con la sua sentenza, dichiara, in modo vincolante per il futuro, “il modo di essere (o di non essere) del rapporto sostanziale, che, con il suo provvedimento, andrà a costituirsi, modificarsi od estinguersi18. diritti soggettivi, i loro collegamenti e le loro interferenze. Pertanto, ove sia stata respinta la domanda di adempimento, a causa della riconosciuta nullità del contratto, “sarebbe assurdo sostenere che sulla quaestio nullitatis possa nuovamente intervenire un successivo giudizio, salvo implicitamente avallare un evidente abuso del processo” (punto 3.15.). Il tema del giudicato (implicito ed esplicito) è sviluppato poi nella seconda parte della sentenza (punti 5.1.-5.16.). In dottrina, per analoghi orientamenti, si vedano per tutti: ZEUNER, Die objektiven Grenzen der Rechtskraft im Rahmen rechtlicher Sinnzusammenhänge, Tübingen 1959, 75 ss.; MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano 1987, 87 ss., 107 ss.; ID., Il giudicato civile, 2° ed., Torino 2002, 83, 149 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, I, Principi Generali, 7° ed., Milano 2013, 166; PROTO PISANI, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli 2002, 302 (ove è riprodotto il saggio Appunti sul giudicato e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 386); CAPONI, Limiti oggettivi del giudicato nei rapporti complessi, in Foro it., 2002, I, 2764. 16 Confronta, specialmente, i punti 4.8.-4.10., 6.1.-6.4. 17 Assume rilievo, ai fini dell’individuazione dell’oggetto del giudizio, anche il negozio impugnato, dal quale sorge il rapporto giuridico sul quale si appunta l’accertamento idoneo al giudicato (vedi punti 4.8.1. e 4.8.2.). Il negozio, in particolare, ha valore nella sua duplice accezione di fatto storico e di fattispecie programmatica; ciò implica “il potere di indagine del giudice su qualsivoglia ragione, tanto morfologica quanto funzionale, di nullità contrattuale: così, il difetto di forma atterrà alla valutazione del negozio/fatto storico, mentre l’impossibilità dell’oggetto sarà predicabile a seguito dell’individuazione del momento programmatico della convenzione negoziale…” (punto 4.8.2.). 18 Questo risultato è ottenuto procedendo ad un’inversione di metodo tra aspetto strutturale ed aspetto funzionale; così, la valutazione dei valori funzionali del processo (principi di stabilità della decisione, di economia processuale, di concentrazione dei giudizi, di effettività delle tutele, di armonizzazione delle decisioni) porta ad escludere che esso possa essere configurato come uno strumento in grado di ripercorrere all’infinito le medesime tappe e di ritornare ripetutamente sulla medesima vicenda sostanziale, richiedendo, piuttosto, il definitivo consolidamento della situazione sostanziale, direttamente o indirettamente, dedotta in causa (punti 4.3., 4.4., 4.4.1.). In dottrina, per identica raffigurazione dell’oggetto del giudizio e per analoga valorizzazione dei c.d. profili funzionali, si segnalano, specialmente, MENCHINI, I limiti oggettivi, cit., 185 ss., 320 ss.; ID., Il giudi- 9 Da questi principi sono tratte implicazioni di assoluto rilievo teorico e di grande impatto pratico. Cominciamo con l’analizzare i corollari della ricostruzione accolta circa l’oggetto del giudizio nelle azioni di impugnativa negoziale, con riferimento ai rapporti tra le varie domande e ai poteri officiosi ex art. 1421 c.c. nelle distinte cause (di adempimento, di risoluzione, di annullamento, di rescissione, di scioglimento del contratto). La premessa di carattere processuale è che queste azioni hanno ad oggetto il negozio ed il rapporto giuridico che ne scaturisce (se si preferisce, le situazioni soggettive sostanziali dal primo originate); la premessa di natura sostanziale è che queste forme di tutela presentano una omogeneità funzionale e di disciplina. Sulla base di questi presupposti, sono proposte le seguenti conclusioni: i) il giudice può rilevare d’ufficio la nullità del contratto in ogni causa di risoluzione (fondata, dunque, non soltanto sull’inadempimento, ma anche sulla eccessiva onerosità sopravvenuta e sulla impossibilità sopravvenuta)19; ii) la rilevazione officiosa della nullità va estesa a tutte le ipotesi di azioni di impugnativa negoziale e, quindi, deve essere ammessa anche nei giudizi di annullamento e di rescissione, nonché in quelli concernenti la richiesta di scioglimento del contratto ex art. 72 l.fall. o per mutuo dissenso20; iii) anche nel caso in cui le parti discutano della nullità di una singola clausola (c.d. nullità parziale), in quanto è questo l’oggetto della domanda dell’attore o dell’eccezione del convenuto, è permessa la rilevazione officiosa di una ragione di nullità totale del contratto, con l’avvertenza che, nel caso in cui nessuna delle parti formuli domanda di accertamento della nullità totale, il giudice, ritenuto esistente il vizio che è causa di nullità totale, è vincolato al rigetto dell’azione volta alla declaratoria di nullità parziale, poiché, al pari dei casi di cato civile, cit., 143 ss., 149 ss.; PROTO PISANI, Le tutele giurisdizionali, cit., 213-214 (ove è riprodotto il saggio Appunti sulla tutela cd. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991, 60 ss. 19 L’incongruità di una soluzione che consenta la risoluzione di un contratto nullo e l’insorgere di un eventuale obbligo ancillare di risarcimento del danno rispetto ad un titolo, che, in quanto nullo, è inefficace ab origine, impone di ritenere sempre e comunque sollevabile ex officio la nullità del negozio in ogni figura di risoluzione (si vedano, i punti 6.3., 6.4., 6.5.). 20 Invero, ogni azione d’impugnazione del contratto si fonda sull’esistenza ed efficacia dello stesso ed il giudice, soltanto se non sussistono ragioni di nullità, può procedere all’esame della domanda di risoluzione, di annullamento, ecc. (confronta, punti da 6.6. a 6.12.). 10 risoluzione, rescissione e annullamento, non può essere riconosciuta efficacia, neppure in parte, ad un negozio radicalmente nullo21; iv) è consentito al giudice di sollevare una causa di nullità diversa da quella originariamente prospettata dalla parte con la domanda introduttiva; il giudizio di nullità/non nullità del negozio sarà, così, definito a tutto campo, indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti valere dall’attore22; v) il giudice ha l’obbligo di rilevare sempre una causa di nullità negoziale; tale poteredovere può essere esercitato, in caso di mancato rilievo della nullità in primo grado, per la prima volta, in appello e in Cassazione, ad opera della parte o dell’ufficio. L’opera è completata tramite la specificazione dei limiti oggettivi del giudicato in presenza di una pronuncia di merito relativa alla domanda di adempimento, di risoluzione, di annullamento, di rescissione o di scioglimento del contratto. Soprattutto allo scopo di individuare il perimetro del giudicato implicito, è messo a fuoco il tema dell’ordine di trattazione e di decisione delle questioni; la conclusione è che il nostro ordinamento non postula un ordine necessitato di tipo logico-giuridico nella risoluzione delle questioni (di rito e di merito), es- Con riguardo all’ipotesi speculare, ossia a quella in cui la parte abbia richiesto la nullità totale del contratto, mentre il giudice ravvisi la sussistenza di una nullità parziale, le Sezioni Unite recuperano la distinzione tra rilevazione e dichiarazione della nullità (parziale); il giudice può rilevare d’ufficio la nullità parziale, ma se le parti lasciano inalterate le domande originarie e non richiedono la declaratoria della nullità parziale, non è in alcun modo consentita la pronuncia di questa ad opera del giudice, in quanto, ove fosse ammessa “l’emanazione di una non richiesta sentenza ortopedica” si determinerebbe una inammissibile sovrapposizione del decisum giudiziale “alle valutazioni e alle determinazioni dell’autonomia privata espressa nel processo”. Per le stesse ragioni, ossia per la necessità di rispettare l’autonomia privata, è da escludere che “i poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale possano estendersi alla rilevazione (non più di un vizio radicale dell’atto, ma anche) di una possibile conversione del contratto, in assenza di una esplicita domanda di parte” (punti 6.17., 6.17.1, 6.18. e 6.18.1.). 22 Due sono gli argomenti, peraltro di difficile coordinamento, addotti a sostegno di questa interpretazione: a) la domanda di nullità pertiene ad un diritto autoindividuato ed è, quindi, identificata a prescindere dallo specifico vizio (titolo) dedotto in giudizio, in quanto unica rispetto ai diversi e possibili motivi di invalidità che affliggono il negozio; b) l’azione di accertamento della nullità ha ad oggetto “l’accertamento negativo dell’esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, per cui il giudicato di rigetto di essa accerta la non nullità del negozio, la conseguente (non) inesistenza del rapporto, e preclude nuove azioni di nullità di quel negozio sotto ogni ulteriore profilo” (punto 6.14.). In dottrina, sull’oggetto della domanda di nullità ed i limiti oggettivi della sentenza che la decide, confronta, per tutti: CAPONI, L’azione di nullità, in Riv. dir. civ., 2008, Suppl., 59 ss., specie 95-96; CONSOLO, Poteri processuali e contratto invalido, in Eur. Dir. Priv., 2010, 941 ss., specie 951952; e, con diversa ricostruzione, E.F. RICCI, Sull’accertamento della nullità e della simulazione dei contratti come situazioni preliminari, in Riv. Dir. Proc., 1994, 652. 21 11 sendo improntato al canone del primato della ragione più liquida23. Non si ha, cioè, una rigorosa sequenza (obbligata) di decisione delle questioni, ma il giudice, caso per caso, tratta e risolve quelle che, essendo maggiormente liquide, permettono la più celere definizione del processo; ciò implica che la controversia può essere risolta a seguito dell’esame esclusivo di una questione, che è più liquida delle altre, con assorbimento, ossia senza alcun esame o scrutinio, di tutte le altre difese ed eccezioni, sollevate dalle parti o rilevate d’ufficio24 . Conseguenza di ciò è che “oggetto del processo, oggetto della domanda giudiziale ed oggetto del giudicato risultano essere cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono sempre perfettamente sovrapponibili”; in presenza di una determinata domanda, il contenuto della decisione, che segna i confini dell’oggetto del giudicato, non è sempre il medesimo, ma varia in ragione del motivo che la sorregge, potendosi avere un accertamento più o meno esteso, il quale può non coinvolgere taluni temi che rimangono assorbiti e che, quindi, non sono interessati da alcuna forma di giudicato (né esplicito né implicito). Vengono individuati ed esaminati i c.d. parametri legali, desumibili dagli artt. 132, 276, 277, 279 c.p.c., e 118, 119 disp.att. c.p.c., cui è riconosciuto un valore soltanto tendenziale e che sono considerati derogabili dal giudice sulla base delle esigenze risultanti dalla singola vicenda processuale, e i c.d. parametri operativi, costituiti dalla natura della questione e dalla sua idoneità a definire il giudizio, dalla liquidità e preclusività della questione, dalla volontà delle parti, riconoscendosi la preminenza del principio della ragione più liquida (punti 5.14. e 5.15.). 24 Le Sezioni Unite sembrano escludere la sussistenza di un ordine necessitato non soltanto all’interno delle questioni di rito e di quelle di merito, ma anche tra queste ultime e le prime; l’art. 187, secondo comma, c.p.c., infatti, “consente la rimessione in decisione della causa in presenza di una questione preliminare di merito; né risulta che, a tale fine, il giudice debba avere previamente accertato l’esistenza dei requisiti processuali” (punto 5.2.4.; si vedano anche i punti 5.14.6. e 5.14.7., ove è affermato che non sussiste un primato del rito rispetto al merito e che l’applicazione del canone della ragione più liquida fa sì che il giudice debba risolvere la lite sulla base della questione più pronta, indipendentemente dal fatto che essa riguardi il merito oppure il rito). Questa conclusione desta perplessità: la decisione di merito presuppone l’esistenza di un valido processo e, quindi, l’inesistenza di questioni di rito c.d. impedienti, ossia tali da impedire la trattazione e la decisione del merito; se sussiste un vizio insanabile o non sanato che mina la validità dell’intero procedimento, la causa non può essere risolta nel merito, perché un processo del tutto invalido non può originare una valida e giusta sentenza di merito. Per il riconoscimento di un nesso di presupposizione tra la decisione di merito e la inesistenza di questioni processuali impedienti, vedi Cass., sez. un., 20 febbraio 2007, n. 3840, Foro it., Rep. 2007, voce Impugnazioni civili, n. 38, e Giur. it., 2008, 1211 nota di RONCO; Cass., sez. un., 09 ottobre 2008, n. 24883, Cass., sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26019, entrambe in Foro it., 2009, I, 806 nota di POLI e, nella giurisprudenza più recente, Cass., sez. un., 28 maggio 2014, n. 11912, id., Le banche dati, archivio Cassazione civile; Cass., 26 settembre 2013, n. 22097, id., Rep. 2013, voce Giurisdizione civile, n. 182; in dottrina, su questi temi, si rinvia, anche per ulteriori riferimenti, a CONSOLO, Travagli «costituzionalmente orientati» delle Sezioni Unite sull’art. 37 c.p.c., ordine delle questioni, giudicato di rito implicito, ricorso incidentale condizionato (su questioni di rito o, diversamente operante, su questioni di merito), in Riv. Dir. Proc., 2009, 1141; FORNACIARI, Presupposti processuali. L’ordine di esame delle questioni nel processo, Torino 1996. 23 12 Quando è proposta domanda di adempimento, di risoluzione, di annullamento o di rescissione del contratto, i profili dell’esistenza e della validità/nullità dello stesso rientrano, a pieno titolo, nell’oggetto del processo; il giudice può, anzi deve, pur in assenza di eccezione di parte, rilevare e dichiarare d’ufficio eventuali cause di nullità del negozio, però, alla rilevazione non sempre seguono la pronuncia e l’accertamento, con effetti di giudicato, in ordine alla questione di nullità; infatti, per l’operare del principio della ragione più liquida, la controversia può essere definita con una pronuncia fondata su una questione di merito “più pronta” (ad esempio, prescrizione oppure non gravità dell’inadempimento), senza che vengano esaminati o scrutinati i profili relativi alla nullità/non nullità del titolo costitutivo25. Debbono essere tenute distinte vicende processuali diverse, che hanno esiti parimenti differenti. La nullità deve essere sempre rilevata dal giudice e non è soggetta ad alcun vincolo preclusivo, derivante dall’ordine di trattazione delle questioni eventualmente imposto dalle parti26. Essa può essere sollevata ex officio, in primo grado, per tutto il corso del processo e sino al momento della precisazione delle conclusioni; il giudice, una volta rilevata la questione, deve sollecitare il contraddittorio (artt. 111 Cost. e 101, comma 2, c.p.c.) e le parti possono proporre, in qualsiasi momento, senza incorrere nelle preclusioni stabilite dall’art. 183 c.p.c., domanda di nullità del negozio. In tale caso, la parte può rinunciare alla domanda originaria e coltivare soltanto quella di nullità oppure coltivare entrambe le istanze, mantenendo ferma, a fianco della richiesta di nullità, quella originaria (di adempimento, di risoluzione, di rescissione, ecc.), per l’ipotesi che la nullità sia esclusa e il contratto risulti valido, dando vita così ad un cumulo (subordinato o alternativo) di domande; il giudice pronun- Per la valorizzazione del motivo di rigetto, ai fini della determinazione del contenuto della decisione e del giudicato, si segnalano per tutti: ZEUNER, Die objecktiven Grenzen, cit., 41, 75 ss., 91 ss.; MENCHINI, I limiti oggettivi, cit., 310-311; ID., Il giudicato civile, cit., 167 ss., 237 ss.; LUISO, Diritto processuale, I, cit., 187; MERLIN, Compensazione e processo, II, Milano 1994, 110 ss.; CONSOLO, Poteri processuali, cit., 974 ss.; da ultimo, MOTTO, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino 2012, 493 ss., 650 ss. 26 Il giudice, dopo avere rilevato la nullità, di regola, pronuncia in ordine ad essa, salvo i casi di nullità speciali o di protezione rilevati e indicati alla parte interessata, senza che questa, però, manifesti interesse alla dichiarazione; in mancanza dell’attività del soggetto protetto volta a far accertare la nullità, alla rilevazione non segue anche la pronuncia in ordine ad essa, per cui la sentenza di merito non contiene alcun accertamento sul punto e non è idonea a produrre effetti di giudicato. 25 13 cia sulla nullità nel dispositivo della sentenza e l’accertamento reso ha efficacia di giudicato. Se il giudice ha sollevato e sottoposto alle parti la nullità, anche in assenza di una domanda di parte, l’espresso accertamento contenuto nella motivazione della sentenza è idoneo a produrre l’effetto di giudicato. Qualora, sulla base della dichiarazione di nullità del contratto, la domanda sia stata respinta, non potendo essere pronunciata la risoluzione, l’annullamento o la rescissione di un contratto nullo, l’accertamento della nullità è idoneo al giudicato sostanziale, in applicazione della teoria del c.d. vincolo al motivo portante, e l’effetto non è limitato “ai soli segmenti del rapporto sostanziale dedotti in giudizio in tempi diversi, ma è esteso a tutti i successivi processi in cui si discuta di diritti scaturenti dal contratto nullo”27. In ogni caso in cui, in modo espresso e non equivoco, a seguito del rilievo di parte o d’ufficio, nella motivazione, sia affermata la non nullità del contratto, si forma il giudicato sulla validità del negozio, vuoi ove la domanda sia stata accolta vuoi ove essa sia stata rigettata per un diverso motivo. Può anche accadere che la nullità non sia stata rilevata dal giudice oppure che essa non sia stata dichiarata nonostante il rilievo officioso (perché, ad esempio, melius re perpensa, il vizio è stato escluso); in linee generali, ma non in via assoluta e non senza eccezioni, la sentenza di merito è idonea a costituire giudicato implicito sulla validità del contratto. Se la domanda (di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento) è stata accolta, sempre si ha giudicato implicito sulla validità del negozio, la quale non potrà più essere messa in discussione in un altro processo tra le stesse parti. Invece, ove la sentenza abbia contenuto di rigetto, il giudicato implicito sulla validità del contratto si forma soltanto di regola, restando escluso il caso in cui la decisione risulti fondata su una ragione più liquida (la prescrizione del diritto azionato, l’adempimento, la palese non gravità dell’inadempimento, l’eccepita compensazione legale). Il giudice, quando fonda la pronuncia sulla base dell’individuata ragione più liquida, non deve rilevare e, se eventualmente la Il giudice dovrebbe specificare in motivazione che la ratio decidendi della pronuncia di rigetto è costituita dalla nullità del negozio. La differenza tra l’ipotesi in esame e quella in cui la parte abbia formulato la domanda di accertamento della nullità si coglie sotto l’aspetto della trascrizione e della opponibilità a terzi dell’effetto di giudicato: l’attore che voglia munirsi di un titolo utile a tali fini dovrà formulare, in quello stesso processo, una domanda di accertamento, in via principale o incidentale, della nullità rilevata dal giudice (vedi punti 5.13.1, 5.13.2 e 5.13.3). 27 14 abbia già sollevata, non deve accertare la (eventuale) nullità del contratto, che può richiedere lo svolgimento di una complessa istruttoria; il tema della validità del negozio non è in alcun modo esaminato o scrutinato e la sentenza, che respinge la domanda, non è idonea al giudicato circa la non nullità del negozio28. Infine, qualora la domanda originariamente introdotta sia di nullità del contratto, l’accertamento della non nullità contenuto nella sentenza di rigetto preclude la futura valorizzazione delle altre cause di nullità negoziali, pur non rilevate ed esaminate nel primo giudizio, impedendo l’esercizio di nuove azioni di nullità fondate su vizi non dedotti nel precedente processo. 4. Non ci si può sottrarre dal compito di svolgere alcune considerazioni su queste sentenze. Se le si esaminano con gli occhi del processualista, traspare, con nitidezza, che il cuore di esse è costituito dalla fissazione, innanzitutto, dei principi cardine, di portata generale, in materia di oggetto del processo e di efficacia del giudicato e, poi, nello specifico, dell’oggetto delle azioni (costitutive) di impugnazione contrattuale, collocando, infine, all’interno del sistema così ricostruito, la soluzione del problema relativo ai poteri officiosi di rilevazione della nullità del negozio, ex art. 1421 c.c. La Cassazione compie una chiara scelta di metodo: per stabilire il perimetro dei poteri del giudice in punto di nullità del contratto e l’efficacia della relativa decisione, è indispensabile risalire a ritroso sino alla determinazione dell’oggetto delle domande (costitutive) di impugnativa negoziale; a propria volta, quest’ultimo tema non può che essere risolto nell’ambito di quello, di carattere generale, riguardante l’oggetto del giudizio e del giudicato civile29. La stessa conclusione vale per il caso in cui la nullità sia stata sollevata dalla parte come eccezione; il giudice non ha alcun obbligo di pronuncia su di essa, potendo risolvere la controversia in base alla ragione più liquida. 29 Le Sezioni Unite si muovono nella prospettiva tradizionale per cui le azioni di impugnativa contrattuale hanno natura di azioni costitutive e danno luogo a sentenze di modificazione giuridica ai sensi dell’art. 2908 c.c.; per la diversa impostazione, la quale ricostruisce il sistema delle impugnative negoziali secondo il modello del diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale e qualifica l’azione e la sentenza come di mero accertamento, v. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, 197 ss.; EAD., Contratto e processo, in Trattato sul contratto, diretto da Enzo Roppo, VI – Interferenze, Milano, 2006, 823 ss. 28 15 La scelta delle Sezioni Unite è netta; altrettanto evidente è l’assonanza, vuoi nelle conclusioni vuoi nelle motivazioni, con quella dottrina che propugna una nozione allargata (o non angusta) di oggetto del processo e del giudicato: nelle azioni costitutive, non meno che nelle altre, il giudice accerta con autorità di cosa giudicata il rapporto sostanziale, la situazione giuridica finale. I valori funzionali, che, nell’attuale momento storico, caratterizzano la giurisdizione civile (economia processuale, concentrazione dei giudizi, armonizzazione dei giudicati, effettività delle tutele), escludono che il processo possa operare un’astrazione dal rapporto e che il principio della domanda possa essere interpretato in modo tale da consentire alla parte di delimitare l’oggetto della controversia, deducendo in giudizio una situazione elementare e non il rapporto giuridico nella sua integrità. Se ciò fosse permesso, si avrebbe non soltanto “la frammentazione di un’originaria ed unitaria sorgente di rapporti sostanziali in tanti separati rivoli processuali”, ma, a seguito dell’accertamento soltanto incidentale del più complesso rapporto aggregatore, la disarticolazione e la deformazione della realtà sostanziale, mentre il processo, per la sua dimensione essenzialmente strumentale, deve rispettare la disciplina e la conformazione della vicenda sostanziale che in esso è versata30. Con la domanda giudiziale, “diviene oggetto tendenzialmente necessario di inevitabile scrutinio la situazione di diritto soggettivo fatta valere dall’attore”, la quale “è valutata nella sua interezza, e cioè in relazione con la sua totale ed effettiva consistenza sostanziale”31. Coerentemente con l’interpretazione accolta in termini generali, nelle azioni di impugnativa negoziale, l’oggetto del giudizio è costituito dal negozio e dal rapporto giuridico che ne scaturisce; il diritto potestativo (sostanziale oppure processuale, poco importa) non può costituire l’oggetto dell’accertamento idoneo al giudicato, destinato a dettare la regola di condotta per il futuro, in quanto, esso “una volta esercitato, in via giudiziale o stragiudiziale, è destinato a estinguersi per consumazione”, mentre, a seguito del suo esercizio, la contesa delle parti nel processo non è più sull’esistenza o meno del diritto potestativo, bensì sulle situazioni soggettive sostanziali, cui l’esercizio di quel diPer riferimenti, v. la nota 15. Di particolare rilievo è il punto 4.4.1.: “appare inevitabile l’opzione strutturale verso una decisione tendenzialmente volta al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio” (vedi punti 4.4.1., 4.3., 4.7.2.). 30 31 16 ritto ha dato rilevanza giuridica. Il giudice è chiamato a stabilire se si sono prodotti e se esistono oppure no gli effetti giuridici che sono stati generati dal contratto, dichiara, con effetto vincolante, “il modo di essere (o non essere) del rapporto sostanziale, che, con la sentenza, andrà a costituirsi, modificarsi, estinguersi”32. La nullità del contratto, nei giudizi di impugnazione dello stesso, non meno che in quelli di adempimento, può essere sollevata d’ufficio dal giudice, in quanto essa, essendo l’oggetto del processo costituito non dal diritto potestativo ma dal rapporto sostanziale scaturito dal negozio (impugnato), appartiene a pieno titolo al thema decidendum, rientra nel novero delle questioni, che, condizionando gli esiti della lite, sono rilevanti. Non meno nette sono le risposte in ordine ai limiti oggettivi del giudicato: di regola, la sentenza di merito che definisce il giudizio di impugnazione, per via di accertamento o esplicito o implicito, accerta con autorità di giudicato la nullità/validità del contratto. Ciò con esclusione dei soli casi in cui, in applicazione del principio della ragione più liquida, la decisione si fondi sulla risoluzione di una questione assorbente, di guisa che il giudice non ha scrutinato in alcun modo il tema della nullità/non nullità del negozio. Se la nullità è stata oggetto di dichiarazione/accertamento da parte del giudice, tale “espresso accertamento contenuto nella motivazione della sentenza sarà idoneo a produrre, anche in assenza di un’istanza di parte (domanda o accertamento incidentale), l’effetto di giudicato sulla nullità del contratto”33. Quasi a volere prevenire letture riduttrici della portata di tale (non equivoco) principio di diritto e a volere ribadire che si tratta di vera e propria autorità di cosa giudicata, le Sezioni unite precisano che il vincolo della decisione relativa alla validità/nullità del contratto, pur in mancanza di domanda di parte, “non si limiterà ai soli segmenti del rapporto sostanziale dedotto in giudizio in tempi diversi, ma si estenderà a tutti i successivi processi in cui si discuta di diritti scaturenti dal contratto dichiarato nullo” e che, nel caso in cui il locatore agisca per il pagamento del canone ed il giudice In numerosi passi, le Sezioni Unite escludono la fondatezza della tesi che considera oggetto dell’azione (costitutiva) d’impugnazione del contratto il diritto potestativo di annullamento, rescissione, risoluzione, ecc. ed affermano che oggetto del giudizio sono le situazioni soggettive sorte dal contratto (confronta, in specie, punti 4.2., 4.2.1., 4.8, 4.8.1., 4.8.2., 4.8.3., 4.9., 6.8.2., 6.9.). 33 Vedi, punto 5.16. 32 17 respinga la domanda, sulla base della declaratoria, contenuta in motivazione, della nullità del contratto di locazione, “sarebbe arduo sostenere che sulla quaestio nullitatis possa nuovamente instaurarsi un successivo giudizio, tanto da parte del locatore quanto del conduttore”34. Certo, vi sono delle differenze tra i casi in cui sia stata proposta la domanda di nullità e quelli in cui l’accertamento consegua al rilievo officioso, non seguito dalla domanda di parte: soltanto nella prima ipotesi, può prodursi l’effetto prenotativo che deriva dalla trascrizione e può aversi la conseguente opponibilità della sentenza ai terzi, ma ciò non discende da una differente natura ed efficacia dei due accertamenti, ma, più semplicemente, dal fatto che soltanto la domanda, per le norme del codice civile, è suscettibile di trascrizione. La opponibilità/non opponibilità della decisione ai terzi deriva dalle regole sugli effetti della domanda giudiziale e non dalla efficacia (di giudicato ovvero di altro e diverso tipo) del provvedimento del giudice. Per convincersi di ciò, è sufficiente considerare quanto segue: se l’attore propone ab origine domanda di nullità del contratto, ma non la trascrive, la sentenza che dichiara la nullità non è opponibile a colui che abbia acquistato il diritto in corso di causa dal convenuto soccombente, ex art. 111, comma 4, c.p.c., ma nessuno dubita, almeno credo, che essa abbia autorità di giudicato tra le parti circa la riconosciuta invalidità del negozio; il che rappresenta la riprova che la non opponibilità ai terzi dell’accertamento è un problema non di efficacia di giudicato, ma, piuttosto, di regole sostanziali di risoluzione dei conflitti tra più pretendenti di uno stesso diritto35. Identico effetto di giudicato si realizza pur in assenza di una pronuncia esplicita sulla nullità, per via di giudicato implicito: sempre, la sentenza di accoglimento dell’impugnativa “è idonea alla formazione del giudicato impliciConfronta, punto 7.3. Sul punto, per tutti, LUISO, Diritto processuale, I, cit., 400 ss. Lo stesso discorso vale per l’altra differenza che sussiste, a mio avviso, tra le ipotesi in cui è proposta la domanda di accertamento incidentale e quelle in cui questa non è stata introdotta: se la nullità resta oggetto di una mera eccezione, rilevata dalla parte o dal giudice, può accadere che essa non venga decisa per l’operare dell’effetto di assorbimento, conseguente al rigetto della domanda sulla base della risoluzione di una questione più liquida, mentre, se è promossa in via incidentale l’azione di nullità, non può intervenire il principio di assorbimento e il giudice deve comunque emettere una specifica pronuncia sulla nullità. Ancora una volta, ciò non esclude che, pur in mancanza di domanda, l’accertamento della nullità debba essere attratto nell’orbita della regiudicata, in quanto il differente regime deriva direttamente dall’art. 112 c.p.c., che prevede l’obbligo della pronuncia del giudice, impedendo fenomeni di assorbimento, ogni volta che si sia in presenza di una domanda di parte. 34 35 18 to sulla validità del negozio” e, almeno di regola e pur non senza eccezioni, analogo effetto consegue alla pronuncia di rigetto, nonostante la mancanza di qualsivoglia rilevazione/dichiarazione della nullità/validità del contratto. In questo modo, la Cassazione ha portato a compimento il (lungo e laborioso) percorso interpretativo, circa i rapporti tra nullità del contratto e domande di adempimento e di impugnazione dello stesso. Rispetto alle precedenti pronunce, oggi, è fornito un solido impianto sistematico alla soluzione accolta, in quanto l’equiparazione tra domande di adempimento e azioni di impugnazione negoziale, senza alcuna distinzione interna tra queste ultime, trova il suo fondamento nel riconoscimento che, come per le prime, così per le seconde, l’oggetto del processo è costituito dal rapporto giuridico sostanziale originato dal contratto nella sua integrità, piuttosto che da una singola frazione di esso o dal diritto potestativo. Anche le incongruenze della sentenza del 2012 in materia di giudicato sono superate, riconoscendosi una sostanziale identità di effetti delle varie pronunce di merito: sempre in caso di accertamento espresso, di regola in ipotesi di mancata rilevazione/pronuncia della nullità, la dichiarazione esplicita ovvero implicita della validità/nullità del contratto è idonea al giudicato sostanziale e produce, conseguentemente, effetti vincolanti in ogni futuro processo concernente uno dei più diritti che nello stesso trovano titolo, pur diversi da quello oggetto della prima domanda. Fatto salvo quanto dirò tra poco, tutto questo non può che essere salutato con convinta adesione da chi scrive. I valori funzionali richiamati, l’oggetto del processo costitutivo identificato non nel diritto potestativo ma nelle situazioni soggettive prodotte dal contratto, l’oggetto del giudizio di adempimento focalizzato sul rapporto giuridico fondamentale, il coordinamento tra il canone della ragione più liquida e quello del giudicato in ragione del motivo portante, con una conseguente efficacia variabile della decisione a seconda del suo contenuto, sulla base del suo fondamento giuridico, l’estensione dell’autorità del giudicato all’esistenza, validità/nullità, efficacia del contratto (e, quindi, al rapporto giuridico nella sua interezza) forniscono un convincente ed equilibrato 19 assetto a quello che è il problema centrale della giurisdizione civile: l’oggetto del processo e del giudicato, i rapporti tra diritto sostanziale e processo36. La sentenza, pur rifiutando il ricorso a categorie in uso presso la dottrina e la giurisprudenza, quali quelle della pregiudizialità logica e del giudicato sul presupposto logico-necessario della decisione, si colloca nel solco di esse, laddove propugna una nozione di oggetto del processo e del giudicato allargata, in grado di ricondurre nell’orbita della regiudicata il rapporto sostanziale nella sua complessità, non frazionabile o disarticolabile in una pluralità di segmenti autonomi con la domanda dell’attore.37 Tuttavia, su alcuni temi sarà necessario ritornare. Penso, soprattutto, alla distinzione tra rilevazione e dichiarazione della questione oggetto dell’eccezione rilevabile d’ufficio, tenendo nella dovuta considerazione che, per l’art. 112 c.p.c., fatti salvi i casi di assorbimento, il giudice deve pronunciare su tutte le eccezioni da lui sollevate, anche quando, melius re perpensa, l’eccezione si riveli infondata (ad esempio, non sussiste la causa di nullità, che, in un primo momento, il giudicante, avendola ritenuta esistente, aveva indicato alle parti); oppure, ancora, al tema dell’ordine di trattazione delle questioni, rispetto al quale occorre trovare un punto di equilibrio tra il canone logico-giuridico e quello della ragione più pronta, suscitando perplessità che, in applicazione del secondo, possa aversi una totale inversione della decisione delle questioni di merito rispetto a quelle di rito. Questi temi sono stati affrontati e sviluppati nel tempo da chi scrive in numerosi lavori, tra cui si segnalano: I limiti oggettivi del giudicato civile, cit., 107 ss., 185 ss., 310 ss., 320 ss.; Regiudicata civile, in Dig. Disc. Priv., XVI, Torino 1997, 404 ss., specie 435 ss., 439 ss., 445-446, 465-466; Il giudicato civile, cit., 81 ss., 133 ss., 149 ss., 167 ss., 237 ss. 37 Si ricorra al principio dei presupposti logici-necessari, a quello del giudicato implicito, a quello del sostegno indispensabile della decisione oppure a quello della pregiudizialità logica, le conclusioni convergono verso il medesimo risultato: all’attore non è consentito “fruire del principio dispositivo in modo tale da ritagliare a suo piacimento l’oggetto della lite, scomponendo una situazione soggettiva unitaria in una pluralità di sub-oggetti autonomi”, per cui “è oggetto tendenzialmente necessario di inevitabile scrutinio, la situazione di diritto soggettivo fatta valere e valutata nella sua interezza, cioè in relazione alla sua totale ed effettiva consistenza sostanziale” (punto, 4.7.2.). In giurisprudenza, per analoghe conclusioni, sulla base del criterio del presupposto logico necessario, confronta, per molte: Cass., 6 settembre 1999, n. 9401, Foro it., Rep. 1999, voce Cosa giudicata civile, n. 58; Cass., 28 ottobre 2005, n. 21096, id., Rep. 2005, voce cit., n. 21; Cass., 13 gennaio 2006, n. 495, id., Rep. 2006, voce Comunione e condominio, n. 158; Cass., 24 marzo 2006, n. 6628, ibid., voce Cosa giudicata civile, n. 25; Cass., 16 maggio 2006, n. 11365, ibid., n. 27; Cass., 8 gennaio 2007, n. 67, id., Rep. 2007, voce cit., n. 32; Cass., 28 ottobre 2011, n. 22520, id., Rep. 2011, voce cit., n. 24; Cass., ord., 5 marzo 2013, n. 5478, id., Rep. 2013, voce cit., n. 33; nella giurisprudenza comunitaria, merita di essere ricordata, pur segnalando la peculiarità della fattispecie esaminata, CGCE, 15 novembre 2012, causa C-456/11, id., 2013, IV, 32, nota di D’ALESSANDRO. 36 20 Su altri aspetti, poi, la riflessione dovrà essere ulteriormente sviluppata, per completare il cammino intrapreso. A me sembra che due siano i punti che necessitano di approfondimenti e che abbisognano di soluzioni definitive, per dare agli interpreti certezze nello svolgimento del quotidiano lavoro. Il primo è costituito dall’oggetto del giudicato, in termini generali. Per le Sezioni Uniti, l’oggetto della domanda (e del processo) non necessariamente coincidono; l’assenza di un necessario ordine logico nella trattazione e decisione delle questioni e la prevalenza del canone della ragione più liquida determinano la produzione di decisioni a contenuto variabile e, di conseguenza, di un giudicato la cui estensione oggettiva dipende dal motivo che ne costituisce il sostegno indispensabile. Il presupposto su cui è basata la decisione segna in positivo e in negativo l’oggetto dell’accertamento vincolante: in positivo, perché l’efficacia del giudicato lo ricomprende; in negativo, in quanto esclude dall’orbita del vincolo tutte le questioni che, in quanto assorbite, non sono state scrutinate dal giudice e, dunque, non sono state in alcun modo decise, neppure in modo implicito. Da ciò deriva una differente estensione del giudicato risultante dalla sentenza di accoglimento, rispetto a quella di rigetto. Così, mentre la pronuncia che dichiara fondata la domanda di adempimento, di risoluzione di scioglimento, di annullamento, di risoluzione del contratto, a seguito o di esplicita pronuncia o di accertamento implicito, statuisce sempre, con piena efficacia di cosa giudicata, circa la nullità/non nullità dello stesso, dal provvedimento di rigetto scaturiscono effetti più o meno ampi, a seconda del motivo su cui esso è fondato: se la decisione è basata su una ragione più liquida (prescrizione del diritto azionato, adempimento, palese non gravità dell’inadempimento, eccepita compensazione legale), il giudice non si è occupato della validità/nullità del contratto e, in ordine a tale punto, non si produce alcun effetto vincolante per i futuri giudizi concernenti diritti diversi. In questo modo, però, sono eccessivamente valorizzati il principio della ragione più liquida e del giudicato sul motivo di rigetto, mentre sono del tutto perse di vista le esigenze di diritto sostanziale, cui le stesse Sezioni Unite hanno riconosciuto valore primario, al fine di determinare l’oggetto del giudizio e del giudicato (i c.d. valori funzionali, a più riprese richiamati). Sono po21 ste in crisi, cioè, le premesse del ragionamento svolto, ossia che il frazionamento processuale di ciò che è, sul piano sostanziale, unitario porta con sè la (inaccettabile) frammentazione e deformazione della vicenda sostanziale litigiosa. Se la domanda di risoluzione è respinta, in quanto vi è stato esatto adempimento, significa che il contratto ha ricevuto esecuzione; allorché il convenuto, vincitore nel primo processo, chieda la condanna della controparte ad eseguire la controprestazione (esempio, consegna del bene, avendo egli, come ha stabilito il primo giudice, regolarmente pagato il corrispettivo dovuto), non può essere affermata la nullità del contratto, in quanto, sul piano sostanziale, il venditore non può trattenere il prezzo e, contemporaneamente, non consegnare il bene venduto. Il canone della ragione più liquida non può snaturare e sovvertire i nessi funzionali tra diritti o, secondo diversa ma complementare prospettiva, non può fornire discipline non armonizzate a più frazioni dello stesso ed unitario rapporto complesso38. I due criteri, quello della ragione più liquida e quello dei nessi funzionali tra diritti, debbono convivere e trovare un punto di sintesi; il primo non può annullare o eliminare la portata del secondo. La valorizzazione della regola decisoria della liquidità della ragione e di quella dell’efficacia del giudicato in considerazione del motivo portante della pronuncia trova un limite insuperabile nella necessità di uniformare gli assetti sostanziali dei diritti, che trovano il loro coagulo in un unitario rapporto fondamentale: se la pronuncia afferma che vi è stato adempimento, la regola di condotta che da essa discende è che le parti debbono conformare i loro comportamenti futuri all’assunto che il contratto è valido, che è tanto valido da avere avuto regolare esecuzione, e che non vi è spazio per una successiva declaratoria di nullità di esso. L’altro settore in cui è necessaria un’opera di completamento è quello delle azioni (costitutive) di impugnazione del contratto. Su questo punto, il ragionamento della Cassazione mostra delle contraddizioni; nell’esempio considerato, per le Sezioni Unite, il giudicato non si forma sulla nullità del negozio, in quanto, avendo il giudice respinto la domanda sulla base della ragione più liquida, costituita dall’avvenuto regolare adempimento, la nullità del contratto non è stata esaminata e tanto meno è stata decisa, mentre, ove la domanda sia stata accolta, la non nullità del contratto è definitivamente stabilita, perché non può essere risolto un negozio nullo. Però, in entrambe le ipotesi il giudice non sì è occupato della validità/nullità del contratto e il rigetto dell’azione di risoluzione per avvenuto adempimento presuppone la validità ed efficacia del contratto, non meno che l’accoglimento della stessa domanda. Non vi è alcuna ragione, quindi, di trattare in modo diverso le due fattispecie. 38 22 Sulla base della sentenza in commento, è sicuro che: a) l’oggetto del giudizio è costituito non dal diritto potestativo, ma dal rapporto giuridico prodotto dal contratto; b) in ogni processo di impugnativa del negozio, la nullità di questo non soltanto è rilevabile d’ufficio, ma può divenire oggetto di domanda di parte, la quale non può essere considerata inammissibile, poiché nuova o tardiva; c) se è introdotta una domanda di nullità, sia il giudice sia la parte possono valorizzare, in corso di causa, un diverso motivo di nullità, senza incorrere nel divieto di ultrapetizione e di mutatio libelli. Qui, tuttavia, finiscono le certezze e cominciano i dubbi. Una volta accolta la nozione allargata dell’oggetto dei giudizi di impugnativa contrattuale, sussiste una piena fungibilità tra le plurime azioni oppure no? Ed ancora, è ravvisabile una relazione di piena e reciproca scambiabilità tra i motivi posti a sostegno delle azioni di annullamento, di rescissione e di risoluzione, in modo identico a quanto è stato riconosciuto accadere per le domande di nullità? Se è proposta una domanda di risoluzione, è consentito all’attore di introdurre, nello stesso processo, quella di annullamento, senza incorrere nel divieto di mutatio libelli; se è richiesta la risoluzione del contratto per inadempimento, si ha una domanda nuova se l’attore fa valere poi la successiva onerosità sopravvenuta? Ovviamente, la risposta che è data a questi quesiti impone l’adozione di soluzioni coerenti, quando si deve stabilire quale sia il vincolo di giudicato promanante dalla sentenza che definisce nel merito tali cause. La mia risposta a questi interrogativi è chiara: se la pronuncia accerta, in modo incontrovertibile, l’esistenza o l’inesistenza delle situazioni soggettive prodotte dal contratto impugnato, tutte le tematiche relative all’esistenza, validità ed efficacia del negozio rientrano nel perimetro dell’oggetto del processo e del giudicato. Nelle azioni di impugnazione, come in quelle di adempimento, l’oggetto del giudizio è il rapporto giuridico; allora, come, nelle seconde, tutti i profili di invalidità e di inefficacia del negozio sono deducibili ope exceptionis, così, nelle prime, gli stessi elementi possono essere fatti valere come domande; mutano la struttura dei processi e la posizione delle parti, ma rimane im- 23 mutata la sostanza, ossia che, sempre, il giudice è chiamato a stabilire a chi spetti il bene della vita controverso, costituito dal diritto sorto dal contratto39. Questa è la mia opinione; credo che alle stesse conclusioni dovrebbe arrivare la Cassazione, una volta accettata la premessa in ordine all’oggetto del giudizio. Tuttavia, neppure come obiter dicta, le Sezioni Unite hanno affrontato questi temi, per cui non resta che attendere le….future puntate del film dal titolo “Rapporti tra contratto e processo”. MENCHINI, I limiti oggettivi, cit., 313 ss., 321 ss., anche in nota 59 a pag. 323; PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, cit., 197 ss.; MASSETANI, Considerazioni schematiche sulle impugnative contrattuali, in Riv. dir. proc., 1992, 320 ss 39 24