CONCORSO IN MAGISTRATURA 2011 - LE TRACCE DI DIRITTO CIVILE
Per le tracce non estratte, rispettivamente in tema di “Danno non patrimoniale”, e “Obblighi di
protezione”, si segnala:
- per la traccia in tema di “Danno non patrimoniale”, la trattazione su Giuseppe CHINÈ – Andrea
ZOPPINI – Marco FRATINI, Manuale di diritto civile, Neldiritto Editore, 2010 alle pagg. 1943 ss.
nonché su Marco FRATINI, Manuale compatto di diritto civile, Neldiritto Editore, 2011, pag. 977 ss.;
Marco FRATINI, Corso Ragionato di Civile, Neldiritto Editore, 2011, Volume III, pagg. 681 ss.
- per la traccia in tema di “Obblighi di protezione”, la trattazione su Giuseppe CHINÈ – Andrea
ZOPPINI – Marco FRATINI, Manuale di diritto civile, Neldiritto Editore, 2010 alle pagg. 662 ss. W
1763 ss.; nonché su Marco FRATINI, Manuale compatto di diritto civile, Neldiritto Editore, 2011, pag.
214 ss., 762 ss., 935 ss.; nonché Marco FRATINI, Corso Ragionato di Civile, Neldiritto Editore, 2011,
Volume I, pagg. 11 ss.
Traccia di civile estratta
“Profili e limiti di derogabilità delle prescrizioni legali in tema nullità negoziali.”
Si riportano le parti del Manuale di diritto civile, Neldiritto Editore, 2010; del Manuale compatto di
diritto civile, Neldiritto Editore, 2011; del Corso Ragionato di Civile, Neldiritto Editore, 2011 relative al
tema estratto.
A. VALIDITÀ DEL CONTRATTO (tratto da Giuseppe CHINÈ – Andrea ZOPPINI – Marco
FRATINI, Manuale di diritto civile, Neldiritto Editore, 2010, 1137,1138; 1140-1143; 1350-1355)
11. La nullità e l’annullabilità.
Tradizionalmente, la nullità viene considerata la forma più grave d’invalidità negoziale1.
Sotto il profilo causale, la nullità esprime una valutazione negativa, da parte dell’ordinamento, del contratto per la
sua deficienza strutturale, ossia per la mancanza o impossibilità originaria di un elemento costitutivo ovvero per
la sua dannosità sociale e, quindi, per la sua illiceità.
Nella ricerca degli elementi che consentono di differenziare la nullità dall’annullabilità, in un primo tempo si è
fatto ricorso a un criterio di natura quantitativa, diretto a porre in rilievo la maggiore o minore gravità
dell’anomalia dell’atto di autonomia privata: in caso di assenza di requisiti essenziali o costitutivi la sanzione non
poteva non concretizzarsi nella nullità; nell’ipotesi in cui il difetto riguardasse requisiti non essenziali o non
costitutivi ad operare era, invece, l’annullabilità2.
Il criterio quantitativo ha ceduto il passo al criterio qualitativo, volto ad attribuire rilievo alla natura degli interessi
tutelati: mentre la nullità determina una situazione di contrasto con valori che assumono rilevanza per l’intera
collettività, l’annullabilità va ad incidere su interessi particolari, relativi al singolo contraente3.
Le caratteristiche della nullità sono l’insanabilità, l’imprescrittibilità, l’assolutezza dell’azione, mentre quelle
dell’annullabilità sono la sanabilità, la prescrittibilità e la relatività dell’azione.
Sul piano degli effetti, il negozio nullo è inefficace (e la sentenza che accerta la nullità ha natura dichiarativa),
mentre quello annullabile produce i suoi effetti fin quando non intervenga una sentenza (costitutiva) di
annullamento. La nullità, a differenza dell’annullabilità, può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, l’alternativa ontologica tra nullità e annullabilità e il criterio qualitativo su
cui si fonda tale alternativa sono stati messi in dubbio da una serie di eccezioni normative4, che prevedono la
sanzione della nullità a tutela di interessi non generali ma particolari, riferibili non alla collettività bensì a
sottogruppi di consociati. È il caso, ad esempio, della normativa a tutela dei consumatori (codice del consumo)
e di quella posta a presidio degli interessi degli investitori (Testo Unico Finanziario)5.
1 La figura, pressoché sconosciuta ai giuristi romani e al diritto intermedio è stata sistematicamente elaborata dalla Pandettistica nell’ambito più
vasto degli studi condotti sul tema del negozio giuridico, mentre in sede di elaborazione dottrinale italiana il fenomeno è stato considerato
unitamente proprio alla teoria del negozio giuridico, sotto l’aspetto della sua patologia.
2 TOMMASINI, Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. giur., II, Roma, 1996, 2-10.
3 SACCO-DE NOVA, op. cit., 510
4 Sulla relativizzazione della distinzione tra nullità e annullabilità v. ampiamente FERRONI, Le nullità negoziali, a cura di Ferroni, Milano, 1998, 2628; CARINGELLA - DE MARZO, Manuale di diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2006, 785.
5 Sul tema, v. amplius infra.
12. Le tipologie di nullità.
Le tipologie di nullità sono elencate nell’art. 1418 c.c., che prevede tre categorie: la nullità virtuale, la nullità
strutturale e la nullità testuale.
La prima si riferisce a nullità non espressamente dichiarate tali da una specifica disposizione, ma desumibili
dall’interprete dal contrasto tra l’atto di autonomia privata e una norma imperativa.
La seconda concerne i difetti strutturali del contratto (mancanza di uno dei requisiti essenziali indicati dall’art. 1325
c.c., illiceità della causa, illiceità del motivo comune determinante, mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti
dall’art. 1346 c.c.).
La nullità testuale, infine, si configura ogni qual volta sia la stessa legge a prevederla6.
13. I caratteri della nullità (assolutezza, imprescrittibilità, non convalidabilità, conversione).
Negli artt. 1421-1423 c.c. sono enunciati i quattro caratteri fondamentali che qualificano il regime, sia sul piano
sostanziale che su quello processuale, della nullità.
La nullità è assoluta e può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. Ciò non significa, tuttavia, che la
legittimazione a farla valere in giudizio sia indiscriminata e che sia possibile per chiunque chiedere la declaratoria
di nullità di un atto rispetto al quale il soggetto sia del tutto estraneo. Bisogna, infatti, pur sempre rispettare i
principi del processo. L’art. 1421 c.c., allora, attribuendo la facoltà di far valere la nullità a «chiunque vi ha
interesse», richiedendo, quindi, che chi agisce rivesta una posizione qualificata rispetto al contratto impugnato,
segnando un chiaro limite sul piano della legittimazione, in conformità alle norme generali e con riferimento
all’art. 100 c.p.c. Può agire in tale direzione, dunque, qualunque terzo purché provi la sussistenza di un proprio
interesse ad agire, vale a dire l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile, non
conseguibile altrimenti e che potrebbe venire pregiudicato qualora non si accertasse la nullità7.
L’art. 1421 c.c., nella parte in cui fa salva l’ipotesi che «la legge disponga diversamente» e non esclude, quindi, la
possibilità che vi siano ipotesi di nullità che possano essere fatte valere soltanto da una parte, costituisce il
fondamento normativo della categoria della nullità relativa8.
Tale categoria possiede dell’annullabilità la caratteristica della limitazione della legittimazione attiva, della nullità
quella, più qualificante, di essere posta a tutela di interessi non solo individuali9.
La domanda diretta a far dichiarare la nullità di un atto non è soggetta a prescrizione (art. 1422 c.c.).
L’imprescrittibilità è del tutto in linea con la natura generale degli interessi tutelati: se il contratto nullo è in
contrasto con valori fondamentali dell’ordinamento, è naturale che il legislatore ne favorisca l’eliminazione,
garantendo in modo definitivo e incontroverso l’accertamento della situazione effettiva del contratto.
L’imprescrittibilità dell’azione di nullità non pregiudica gli effetti dell’usucapione e non influisce sulla prescrizione
delle azioni di ripetizione. L’acquisto per usucapione paralizza l’azione di rivendica del titolare del diritto10.
L’acquirente che usucapisce nei termini ordinari, dunque, acquista la proprietà del bene, ma non perché si è
prescritta l’azione di nullità del contratto, che resta nullo e improduttivo di effetti, bensì a per effetto del’istituto
dell’usucapione.
L’art. 1422 c.c., come detto, fa salva anche la prescrizione delle azioni di ripetizione di quanto sia stato prestato in
esecuzione di un contratto nullo. Anche in questo caso, la legge fa salva la prescrizione non dell’azione di nullità,
ma di quella di ripetizione, avente carattere personale e assoggettata ai termini ordinari11.
Il negozio nullo, a differenza di quello annullabile, non può essere convalidato (art. 1423 c.c.). La ratio legis che
governa tale principio è correlata agli interessi generali che la sanzione della nullità è volta a tutelare: la convalida,
in quanto atto di autonomia privata, è ammissibile solo nei limiti in cui verta su situazioni disponibili12 e, dunque,
è esclusa in caso di negozio nullo.
Lo stesso art. 1423 c.c., tuttavia, facendo salva la possibilità che «la legge disponga diversamente» ammette che la
regola della non convalidabilità del negozio nullo possa subire delle deroghe. Secondo l’opinione comune, le
eccezioni alla predetta regola sono rappresentate dalla conferma della donazione nulla (art. 799 c.c.) e dalla
conferma della disposizione testamentaria nulla (art. 590 c.c.). In entrambi i casi, il legislatore fa prevalere sulle
regole in materia di nullità il principio di conservazione del negozio, tenendo in massima considerazione
l’interesse del disponente.
6 Una tendenza con la quale l’interprete deve fare i conti e che mette in qualche modo in crisi l’impostazione espressa nel testo è quella di fare
ricorso, da parte del legislatore, in misura sempre maggiore a norme imperative poste a tutela di interessi privati, per cui nel nostro ordinamento si
riscontrano ormai una serie di nullità testuali e virtuali poste a tutela del singolo contraente.
7 FERRONI, op. cit., 825 ss..
8 In senso critico nei confronti della categoria della nullità relativa, SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 1999, Napoli, 247.
9 MIRABELLI, Delle obbligazioni-Dei contratti in generale (art. 1321/1469), in Commentario del codice civile, Libro IV, TOMO II, 486.
10 GAZZONI, op. cit., 967.
11 Sul punto v. ampiamente anche Commentario al codice civile, diretto da Paolo Cendon, IV, artt.1173-1654, 738.
12 FERRONI, op. cit., 778 ss..
Il negozio nullo non può produrre gli effetti tipici per i quali è stato concluso. La legge, tuttavia, ammette che,
ricorrendo determinati presupposti, possa produrre gli effetti di un diverso contratto, del quale abbia i requisiti di
sostanza e di forma se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, deve ritenersi che esse lo avrebbero
voluto se avessero conosciuto la nullità (art. 1424 c.c.).
Si tratta di un fenomeno di conversione, ispirato al principio di conservazione del contratto, che si concretizza in una
modifica legale dello stesso, diretta ad evitare l’improduttività di effetti causata dalla nullità, nel rispetto dello scopo
perseguito dalle parti.
Lo scopo perseguito dalle parti, secondo la teoria soggettiva, si ricava dalla ricostruzione della loro volontà
presunta (cioè da ogni indizio utile)13.
Secondo la teoria oggettiva, sostenuta dalla dottrina più recente, la conversione deve operare in conformità a
criteri, appunto, meramente oggettivi, del tutto svincolati dalla volontà ipotetica o presunta delle parti. Ciò che, in
definitiva, occorre effettuare è un giudizio di congruenza tra gli effetti giuridici modificati e il comune intento
concreto delle parti, onde verificare se i primi sono idonei a soddisfare gli interessi delle parti in misura tale da
giustificare il mantenimento del contratto14.
È evidente che sull’interpretazione della formula accolta nell’art. 1424 c.c. si riflettono le diverse concezioni del
negozio giuridico: da un lato, la teoria soggettiva, che induce a tradurre il disposto normativo in termini di ricerca
della volontà ipotetica delle parti; dall’altro quella precettiva che riconduce il fondamento della conversione alla
sola volontà della legge, limitando l’apporto dei contraenti alla definizione dello scopo pratico perseguito, così
come oggettivamente tradotto nel regolamento negoziale.
La giurisprudenza, dal canto proprio, ha affermato che per l’operatività della conversione non è sufficiente
l’identità dei requisiti di sostanza e di forma tra negozio nullo e negozio convertito, essendo necessario, altresì,
che risulti la manifestazione di volontà delle parti propria del diverso negozio15. A tal fine non occorre
l’accertamento della volontà concreta delle parti di accettare il contratto convertito, poiché ciò comporterebbe la
coscienza della nullità dell’atto compiuto, esclusa per definizione dall’art. 1424 c.c. Ciò che occorre, invece, è la
considerazione dell’intento pratico perseguito, cosicché il contratto nullo può convertirsi in un altro contratto i
cui effetti realizzino in tutto o in parte quell’intento16. Di recente, tuttavia, la stessa giurisprudenza non ha
trascurato il profilo soggettivo, avendo ritenuto di procedere ad una duplice indagine, l’una rivolta ad accertare
l’obiettiva sussistenza di un rapporto di continenza tra il negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo e l’altra
un apprezzamento di fatto dell’intento negoziale dei contraenti, riservato al giudice, e diretto a stabilire se la
volontà che indusse le parti a stipulare il contratto nullo possa ritenersi orientata anche verso gli effetti del
diverso contratto17.
Dalla conversione disciplinata dall’art. 1424 c.c. deve essere tenuta distinta la c.d. conversione formale, che opera
con riferimento non al contenuto, ma alla forma dell’atto. Essa, infatti, ricorre quando un contratto o in genere
un negozio si converte automaticamente in un altro tipo formale avente i medesimi effetti giuridici: il testamento
segreto invalido per la mancanza di qualcuno dei requisiti richiesti dalla legge per tale forma testamentaria ha
effetto come testamento olografo, se di questo abbia i requisiti (art. 607 c.c.); l’atto pubblico nullo per difetto di
forma o per incompetenza o incapacità del pubblico ufficiale vale come scrittura privata (art. 2701 c.c.).
18. La nullità di protezione.
Si è detto che la produzione legislativa degli ultimi decenni, in particolare quella di derivazione comunitaria, ha
determinato una profonda revisione della nullità, sia sotto il profilo concettuale, sia sotto quello normativo18.
È sempre più diffusa l’affermazione secondo cui si sarebbe passati dalla nullità, intesa in senso tradizionale, alle
nuove nullità, rispondenti ad opzioni di natura propriamente politica, necessariamente variegate e multiformi e,
pertanto, fortemente differenziate sia dal punto di vista strutturale, sia da quello della disciplina giuridica.
Sono state introdotte, in tale direzione, frequenti e vistose deroghe al sistema tradizionale fondato sulle
cosiddette differenze ontologiche tra nullità e annullabilità alle quali, non a caso, in precedenza si è fatto
riferimento. Tale fenomeno ha investito, in primo luogo, il cosiddetto criterio qualitativo, diretto a porre in
rilievo la diversità della natura degli interessi tutelati. Negli ultimi anni, infatti, il legislatore è intervenuto
ripetutamente a sanzionare con la nullità fattispecie in cui si ravvisa la lesione di interessi individuali e particolari,
relativi alla posizione di contraenti che si trovano in una situazione di debolezza e in presenza, quindi, di
un’asimmetria contrattuale19.
MESSINEO, Il contratto in genere, 386-387; FEDELE, Conversione del contratto nullo, 71.
op. cit., 595.
15 Cass., 14 agosto 1990, n. 8263, in Mass. Giur. it., 1990.
16 Cass., 27 febbraio 2002, n. 2912, in Contratti, 2002, 10, 879, con nota di ZAFFARONI.
17 Cass., 5 marzo 2008, n. 6004.
18 Sul punto, ampiamente, PASSAGNOLI, Le nullità speciali, Milano, 1995.
19 GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. Impresa, 1999, 1336.
13
14 BIANCA,
In tali circostanze lo strumento dell’annullabilità non viene più ritenuto sufficiente per tutelare l’interesse del
singolo, considerato, per lo più, incapace di provvedere alla cura dei propri interessi, la quale presuppone la
capacità e la forza del soggetto pregiudicato di far valere la lesione attraverso un’azione costitutiva, da esercitare in un
termine di prescrizione. Tali interessi possano essere tutelati più efficacemente con la sanzione della nullità,
caratterizzata da una disciplina intermedia con l’annullabilità.
La frantumazione del carattere unitario della nullità, del resto, non poteva non ripercuotersi sulla disciplina prevista
dagli artt. 1418 e ss. c.c. e, in particolare, sulla disposizione dettata dall’art. 1421 c.c. in materia di legittimazione
assoluta. Si è, così, affermata la categoria della nullità relativa, in cui la legittimazione a farla valere è conferita solo a
determinati soggetti.
Il limite alla legittimazione attiva sembra essere il riflesso, oltre che della riferibilità dell’interesse protetto a un
soggetto determinato, del peculiare modo di operare della nullità relativa: nei confronti del soggetto legittimato la
situazione giuridica a cui ha dato vita il negozio è da considerare come attualmente inesistente (è questa carenza
attuale degli effetti tipici del negozio la nota che permette di sussumere la figura nel genere della nullità), così che
non incombe su di esso l’onere di un’iniziativa processuale per far accertare l’inoperatività del negozio nei suoi
confronti20.
Il concetto di nullità relativa risulta strettamente e intimamente legato al concetto di nullità di protezione;
La nullità
categoria, questa, che ricorre in quelle ipotesi in cui la nullità è comminata per l’inosservanza di norme postedia
protezione
tutela del contraente che versi secondo la legge in condizione di debolezza rispetto alla controparte contrattuale.
Dal momento che, in tali ipotesi, la pronuncia di nullità potrebbe in concreto danneggiare la parte che la legge
vuole proteggere, il legislatore riserva al solo contraente protetto il potere di fare valere la nullità, negandolo alla
controparte: il limite alla legittimazione attiva si salda allora con la ratio protettiva della norma, che verrebbe
vanificata ove fosse consentito di dedurre la nullità anche a soggetti diversi da quello destinatario della tutela21.
La nullità protettiva, congegnata secondo la riserva di legittimazione, rimette in definitiva al contraente protetto il
giudizio di merito in ordine all’opportunità e alla convenienza di mantenere in vita il regolamento contrattuale,
sottraendo contemporaneamente al contraente «forte» il potere di bloccarne gli effetti o di opporsi alla domanda
di esecuzione.
Individuata l’unica differenza di valore sostanziale tra nullità assoluta e nullità relativa nella minore ampiezza della
BETTI, op. cit., 469-470; TONDO, voce Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 1000.
L’art. 21 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), dopo avere vietato i contratti di subaffitto, di sublocazione e comunque di
subconcessione dei fondi rustici, ha stabilito che «la violazione del divieto, ai fini della dichiarazione di nullità del subaffitto o della subconcessione… può
essere fatta valere soltanto dal locatore, entro quattro mesi dalla data in cui ne è venuto a conoscenza. Se il locatore non si avvale di tale facoltà, il
subaffittuario o il subconcessionario subentra nella posizione giuridica dell’affittuario o del concessionario».
Nel settore dei contratti bancari e di credito al consumo, l’art. 127, comma 2, d.lgs. n. 385/1993, dispone che tutte le nullità in materia «possono
essere fatte valere solo dal cliente»; identica disciplina vige per le nullità dei contratti di investimento e di gestione di portafogli di investimento, ai
sensi degli artt. 23, comma 3 e 24, comma 2, d.lgs. n. 58/1998.
La categoria è andata affermandosi e consolidandosi nella legislazione successiva (sempre di derivazione comunitaria). Infatti, ancora più di
recente, l’art. 13, commi 8 (modificato dal d.lgs. n. 311/06) e 9 del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192 («Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al
rendimento energetico nell’edilizia») ha stabilito che, in caso di violazione dell’art. 6, commi 3 e 4, il contratto di compravendita o di locazione è nullo e
che la nullità può essere fatta valere, rispettivamente, soltanto dall’acquirente o dal conduttore.
La sezione IV bis, dedicata alla «Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori», del d.lgs. n. 206/05 recante il «Codice del
consumo», ha previsto la nullità del contratto nel caso in cui il fornitore ostacola l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non
rimborsa le somme da questi eventualmente pagate, ovvero viola gli obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo
significativo la rappresentazione delle sue caratteristiche; tale nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e obbliga le parti alla restituzione
di quanto ricevuto (art. 67 septies decies, introdotto dal d.lgs. n. 221/07). I diritti attribuiti al consumatore da tale sezione sono irrinunciabili: ogni
clausola limitativa è affetta da nullità azionabile soltanto dal consumatore e rilevabile d’ufficio dal giudice (art. 67 octies decies). Di identico contenuto
è la disposizione che commina la nullità di ogni patto, anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, volto ad escludere o
limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti all’acquirente di beni di consumo assistiti da garanzia legale di conformità (art. 134).
Il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 («Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2
agosto 2004, n. 210») ha stabilito all’art. 2 che all’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della
proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento
precedente, il costruttore è obbligato a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione di importo corrispondente alle somme e
al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora
riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. L’omissione è fonte di una nullità del
contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente.
Ma proprio in forza del superamento della concezione monolitica della nullità negoziale e valorizzando la finalità protettiva delle norme poste a
tutela di una parte del contratto, la dottrina ha ravvisato ipotesi di nullità relativa, di protezione, anche laddove il dettato legislativo tace circa la
legittimazione. Così era avvenuto per la nullità prevista dall’art. 18 ter, l. n. 216/1974 (aggiunto dalla l. n. 77/1983), in materia di contratti di
vendita a domicilio di valori mobiliari (ROPPO, Offerta al pubblico di valori mobiliari e tecniche civilistiche di protezione dei risparmiatori-investitori, in Giur. It.,
1983, IV, 209), e per l’obbligo (non sanzionato espressamente con la nullità) posto dall’art. 6, lett. c), l. n. 1/1991, a carico degli intermediari
finanziari di «stabilire i rapporti con il cliente stipulando un contratto scritto» (MAZZAMUTO, Il problema della forma nei contratti di intermediazione
mobiliare, in Contr. impr., 1994, 42). Così è pure avvenuto per le nullità comminate dagli artt. 2, comma 1, e 4, comma 2, l. n. 192/1998, in materia di
contratti di subfornitura (CRESCI, I contratti di subfornitura, in Vettori, Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova, 1999, 703; FALCO, ivi,
715 ss.; GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. impr., 1999, 1345-1346; contra, DELFINI, in DE NOVA, La subfornitura,
Milano, 1998, 11-12), dall’art. 13, l. n. 431/1998, in materia di locazioni di immobili ad uso abitativo, dall’art. 1815, comma 2, c.c. (modificato dalla
l. n. 108/1996), in materia di mutuo usurario (GENTILI, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, I, 366-369).
20
21
cerchia dei soggetti legittimati a far valere la seconda, si discute se la legittimazione ristretta sia compatibile con la
rilevabilità d’ufficio da parte del giudice tipica della nullità classica.
Il fondamento dogmatico della rilevabilità d’ufficio, secondo la tesi dottrinale classica, risiede nel’esigenza di
eliminare un atto idoneo a suscitare affidamenti precari, impedendo la formazione di giudicati sulla validità del
contratto nullo22, cosicché tale regola verrebbe a perdere la propria ratio essendi nelle ipotesi in cui la nullità
assume natura relativa: se ai terzi viene negata la facoltà di far valere la nullità, si forma un «indice di affidabilità
del negozio non caduco»23 e, di conseguenza, risulta ingiustificata la rilevabilità d’ufficio.
Secondo una diversa elaborazione dottrinale, sussiste uno stretto legame tra il fondamento sostanziale della
comminatoria di nullità, individuato nella lesione di un interesse di natura generale24, e il potere del giudice di
rilevarne la causa indipendentemente da una richiesta delle parti in tal senso: alla legge preme di garantire, in vista
di un interesse generale, il rispetto della norma imperativa25. Non essendo estraneo alla nullità di protezione il
perseguimento di obiettivi che trascendono la tutela della parte debole del rapporto contrattuale – avendo tale
forma di nullità anche l’obiettivo di tutelare un interesse di natura generale, rappresentato dal processo di
creazione e sviluppo del mercato - la soluzione coerente con il sistema resta quella di ammettere la rilevabilità
d’ufficio di una nullità che, benché ispirata alla finalità di protezione di una parte, soddisfa comunque un
interesse a carattere pubblico.
Conclusione analoga, nel senso della rilevabilità d’ufficio, si impone ove si colleghi il potere del giudice di rilevare
ex officio la nullità al modo con cui essa opera sul piano del diritto sostanziale, in considerazione della operatività
ipso iure e dell’automatismo della causa di nullità: il contratto nullo è attualmente carente di effetti e non sussiste
un particolare onere di iniziativa processuale per fare dichiarare lo stato in cui versa: se la nullità relativa, proprio
perché non smette di essere nullità, opera ipso iure; è logico corollario predicarne – salvo un adattamento del
principio – la rilevabilità d’ufficio.
Parte della dottrina, tuttavia, osserva che ammettere la rilevabilità d’ufficio della nullità relativa «svuoterebbe di
contenuto proprio l’inciso iniziale dell’art. 1421 c.c., poiché posto il potere-dovere del giudice di rilevarla, basterebbe
alla parte non legittimata allegarne gli elementi costitutivi in giudizio per vanificare proprio la legittimazione ristretta
all’azione»26.
L’antitesi tra le due regole è nitidamente scolpita in questa proposizione, formulata dalla Corte di cassazione a
proposito delle clausole vessatorie: «se si riconosce che l’inciso iniziale dell’art. 1421 si ricollega a tutto il seguito
della norma, si deve coerentemente sostenere che – accogliendosi l’assunto della nullità relativa per la clausola
particolarmente onerosa non approvata – viene meno il potere del giudice di rilevarla ex officio. A fianco del rilievo
d’ordine testuale sta l’incompatibilità logica fra il carattere relativo della nullità (che ha il suo proprium nel fatto di
essere nella disponibilità esclusiva di determinati soggetti, al cui arbitrio è affidata la valutazione dell’interesse a farla
valere) e il rilievo d’ufficio ad opera del giudice (che in ogni caso si sovrapporrebbe a quella valutazione)»27.
Il conflitto tra i due caratteri è stato risolto dalla dottrina con proposte di soluzione che, al di là di personali
formulazioni, non appaiono in effetti molto distanti tra loro. Si è sostenuto, in particolare, che il giudice può e
deve procedere ex officio alla rilevazione della nullità se e soltanto se il rilievo stesso risponde all’interesse (o al
“vantaggio”) del contraente protetto a sentire dichiarato nullo il contratto, sulla base di una considerazione
globale dell’attività processuale svolta28.
In questa direzione, si è sostenuto che sarebbe consentito senza eccezioni il rilievo officioso della nullità in tutti i
casi in cui il contraente legittimato non manifesti una volontà contraria: nel senso che il giudice dovrebbe sempre
rilevare la causa della nullità relativa, tranne nell’ipotesi in cui il contraente legittimato esprima un interesse
all’efficacia del contratto o della clausola, rivelato da un comportamento processuale di invocazione degli effetti
negoziali o da un comportamento a carattere positivo che comunque esprima accettazione degli effetti medesimi.
Un punto fermo nella materia è stato fissato dalla Corte di Giustizia (sentenza del 27 giugno 2000, Océano Grupo
Editorial SA, cause riunite da C-240/98 a C-244/98) che ha asseverato l’interpretazione dell’art. 6, dir.
93/13/CEE, per la quale al giudice spetta il potere di valutare d’ufficio l’illiceità della clausola del contratto per
cui è causa, rilevando che «il sistema di tutela istituito dalla direttiva si basa sull’idea che la diseguaglianza tra il
consumatore e il professionista possa essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti
FILANTI, voce Nullità I) Diritto Civile, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, 10.
FILANTI, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, cit., 141, seguito da PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, 188-189.
24 BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 613; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 966.
25 SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, nel Tratt. Grosso, Santoro-Passarelli, Milano, 1972, 244; MESSINEO, voce Annullabilità e annullamento
(dir. priv.), in Enc. Dir., II, Milano, 1958, 476; TOMMASINI, voce cit., 889.
26 PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., 189.
27 Cass., Sez. un., 11 novembre 1974, n. 3508, in Giur. It., 1976, I, 1, 815, con nota di Piria. Nello stesso senso, a proposito delle alienazioni di beni
di interesse storico senza il rispetto delle condizioni di legge, Cass., 24 maggio 2005, n. 10920 e Cass., 26 aprile 1991, n. 4559.
28 In questo senso, PANZARINI, Sulle nullità del contratto bancario, in Contr. impr., 1995, 481; GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole,
cit., 1341 ss., 1354.
22
23
estranei al rapporto contrattuale».
L’indicazione della direttiva nel senso che le clausole abusive «non vincolano» il consumatore, pur con la sua
dizione atecnica (stabilisce un risultato, senza specificare lo strumento giuridico per conseguirlo), se lascia libero
il legislatore nazionale di adottare il rimedio civilistico più opportuno e conforme al diritto domestico, non è
talmente generica da non individuare un nucleo forte di tutela, tale che, qualunque sia il rimedio caducatorio
prescelto, la sua disciplina concreta non potrebbe atteggiarsi in modo da addossare al consumatore l’onere di
agire o resistere in giudizio per liberarsi da una clausola che invece non deve spiegare per lui nessun effetto
vincolante (fosse pure il semplice effetto di “vincolarlo” ad intraprendere una difesa processuale). Quale che sia il
rimedio legale adottato dai legislatori nazionali, esso non può non implicare che il giudice debba ex officio
dichiarare una clausola abusiva e rifiutarne l’applicazione senza bisogno di una apposita domanda da parte del
consumatore29.
Per il contraente protetto il contratto o la clausola relativamente nulli non devono rappresentare un fardello
giuridico più grave di quello che sarebbe un contratto affetto da nullità assoluta, a pena di giungere alla
conseguenza paradossale che la nullità relativa, preordinata alla sua protezione, lo costringe ad assumere
un’iniziativa processuale, con i costi connessi, per liberarsi dal vincolo obbligatorio.
Con una sentenza coeva, il giudice comunitario ha nuovamente espresso il proprio convincimento, affermando
che la direttiva «osta ad una normativa interna che, in un’azione promossa da un professionista nei confronti di
un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieti al giudice nazionale, alla scadenza di un termine
di decadenza, di rilevare, d’ufficio o a seguito di un’eccezione sollevata dal consumatore, il carattere abusivo di
una clausola inserita nel suddetto contratto» (sentenza del 21 novembre 2002, Cofidis SA, causa C-473/00).
Più recentemente, la Corte ha ribadito tali principi e, in particolare, quello per cui la facoltà di rilievo officioso
riconosciuta al giudice nazionale è necessaria per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in
particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà nell’esercitarli30.
Da ultimo, il giudice comunitario ha affermato che “il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura
abusiva di una clausola contrattuale, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto
necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non deve applicarla, tranne nel caso in cui il
consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe sul giudice nazionale anche in sede di verifica della propria
competenza territoriale”31.
B. XXXXXXXX (tratto da Marco FRATINI, Manuale compatto di diritto civile, Neldiritto Editore,
2011, pagg. 510-511; 513-514; 517-518)
11. Nullità e annullabilità.
Tradizionalmente, la nullità viene considerata la forma più grave d’invalidità negoziale.
Sotto il profilo causale, la nullità esprime una valutazione negativa del contratto, da parte dell’ordinamento, per la
sua deficienza strutturale, ossia per la mancanza o impossibilità originaria di un elemento costitutivo ovvero per
la sua dannosità sociale e, quindi, per la sua illiceità.
Nella ricerca degli elementi che consentono di differenziare la nullità dall’annullabilità, in un primo tempo si è
fatto ricorso a un criterio di natura quantitativa, diretto a porre in rilievo la maggiore o minore gravità
dell’anomalia dell’atto di autonomia privata: in caso di assenza di requisiti essenziali o costitutivi la sanzione non
poteva non concretizzarsi nella nullità; nell’ipotesi in cui il difetto riguardasse requisiti non essenziali o non
costitutivi ad operare era, invece, l’annullabilità32.
Il criterio quantitativo ha ceduto il passo al criterio qualitativo, volto ad attribuire rilievo alla natura degli interessi
tutelati: mentre la nullità determina una situazione di contrasto con valori che assumono rilevanza per l’intera
collettività, l’annullabilità va ad incidere su interessi particolari, relativi al singolo contraente33.
Le caratteristiche della nullità sono l’insanabilità, l’imprescrittibilità, l’assolutezza dell’azione, mentre quelle
dell’annullabilità sono la sanabilità, la prescrittibilità e la relatività dell’azione.
Sul piano degli effetti, il negozio nullo è inefficace (e la sentenza che accerta la nullità ha natura dichiarativa),
mentre quello annullabile produce i suoi effetti fin quando non intervenga una sentenza (costitutiva) di
annullamento. La nullità, a differenza dell’annullabilità, può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
TENREIRO, The Community Directive on Unfair Terms and National Legal Systems, in Eur. rev. priv. law, 1995, 282.
Corte Giust., 26 ottobre 2006, Mostaza Claro, causa C-168/05.
31 Corte Giust., 4 giugno 2009, Pannon GSM Zrt, causa C-243/08. Cfr. anche Corte Giust., 17 dicembre 2009, causa C-227/08.
32 TOMMASINI, Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. giur., II, Roma, 1996, 2-10.
33 SACCO-DE NOVA, op. cit., 510
29
30
Nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, l’alternativa ontologica tra nullità e annullabilità e il criterio qualitativo su
cui si fonda tale alternativa sono stati messi in dubbio da una serie di eccezioni normative, che prevedono la
sanzione della nullità a tutela di interessi non generali ma particolari, riferibili non alla collettività bensì a
sottogruppi di consociati. E’ il caso, ad esempio, della normativa a tutela dei consumatori (codice del
consumo) e di quella posta a presidio degli interessi degli investitori (Testo Unico Finanziario)34.
13. I caratteri della nullità (assolutezza, imprescrittibilità, non convalidabilità, conversione).
Negli artt. 1421-1423 c.c. sono enunciati i quattro caratteri fondamentali che qualificano il regime, sia sul piano
sostanziale che su quello processuale, della nullità.
La nullità è assoluta e può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.
L’art. 1421 c.c. - nella parte in cui fa salva l’ipotesi che «la legge disponga diversamente» e non esclude la
possibilità che vi siano ipotesi di nullità che possano essere fatte valere soltanto da una parte - costituisce il
fondamento normativo della categoria della nullità relativa.
Tale categoria possiede dell’annullabilità la caratteristica della limitazione della legittimazione attiva, della nullità
quella, più qualificante, di essere posta a tutela di interessi non solo individuali.
La domanda diretta a far dichiarare la nullità di un atto non è soggetta a prescrizione (art. 1422 c.c.).
L’imprescrittibilità dell’azione di nullità non pregiudica gli effetti dell’usucapione e non influisce sulla prescrizione
delle azioni di ripetizione. L’acquisto per usucapione paralizza l’azione di rivendica del titolare del diritto35.
L’acquirente che usucapisce nei termini ordinari, dunque, acquista la proprietà del bene, ma non perché si è
prescritta l’azione di nullità del contratto, che resta nullo e improduttivo di effetti, bensì per effetto del’istituto
dell’usucapione.
Il negozio nullo, a differenza di quello annullabile, non può essere convalidato (art. 1423 c.c.). La ratio legis che
governa tale principio è correlata agli interessi generali che la sanzione della nullità è volta a tutelare: la convalida,
in quanto atto di autonomia privata, è ammissibile solo nei limiti in cui verta su situazioni disponibili e, dunque, è
esclusa in caso di negozio nullo.
Lo stesso art. 1423 c.c., tuttavia, facendo salva la possibilità che «la legge disponga diversamente» ammette che la
regola della non convalidabilità del negozio nullo possa subire delle deroghe. Secondo l’opinione comune, le
eccezioni alla predetta regola sono rappresentate dalla conferma della donazione nulla (art. 799 c.c.) e dalla
conferma della disposizione testamentaria nulla (art. 590 c.c.). In entrambi i casi, il legislatore fa prevalere sulle
regole in materia di nullità il principio di conservazione del negozio, tenendo in massima considerazione
l’interesse del disponente.
Il negozio nullo non può produrre gli effetti tipici per i quali è stato concluso. La legge, tuttavia, ammette che,
ricorrendo determinati presupposti, possa produrre gli effetti di un diverso contratto, del quale abbia i requisiti di
sostanza e di forma se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, deve ritenersi che esse lo avrebbero
voluto se avessero conosciuto la nullità (art. 1424 c.c.).
Si tratta di un fenomeno di conversione, ispirato al principio di conservazione del contratto, che si concretizza in una
modifica legale dello stesso, diretta ad evitare l’improduttività di effetti causata dalla nullità, nel rispetto dello scopo
perseguito dalle parti.
La giurisprudenza ritiene che per l’operatività della conversione non sia sufficiente l’identità dei requisiti di sostanza e di forma tra
negozio nullo e negozio convertito, essendo altresì necessario che risulti la manifestazione di volontà delle parti propria del diverso
negozio36. A tal fine non occorre l’accertamento della volontà concreta delle parti di accettare il contratto convertito, poiché ciò
comporterebbe la coscienza della nullità dell’atto compiuto, esclusa per definizione dall’art. 1424 c.c. Ciò che occorre, invece, è la
considerazione dell’intento pratico perseguito, cosicché il contratto nullo può convertirsi in un altro contratto i cui effetti realizzino
in tutto o in parte quell’intento37. Di recente, tuttavia, la stessa giurisprudenza non ha trascurato il profilo soggettivo, avendo
ritenuto di procedere ad una duplice indagine, l’una rivolta ad accertare l’obiettiva sussistenza di un rapporto di continenza tra il
negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo e l’altra un apprezzamento di fatto dell’intento negoziale dei contraenti, riservato al
giudice, e diretto a stabilire se la volontà che indusse le parti a stipulare il contratto nullo possa ritenersi orientata anche verso gli
effetti del diverso contratto38.
18. La nullità di protezione.
Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto ripetutamente a sanzionare con la nullità fattispecie in cui si ravvisa la
lesione di interessi individuali e particolari, relativi alla posizione di contraenti che si trovano in una situazione di
Sul tema della nullità relativa, v. amplius infra.
Manuale, op. cit., 967.
36 Cass., 14 agosto 1990, n. 8263, in Mass. Giur. it., 1990.
37 Cass., 27 febbraio 2002, n. 2912, in Contratti, 2002, 10, 879, con nota di ZAFFARONI.
38 Cass., 5 marzo 2008, n. 6004.
34
35 GAZZONI,
debolezza e in presenza, quindi, di un’asimmetria contrattuale39.
In tali circostanze lo strumento dell’annullabilità non viene più ritenuto sufficiente per tutelare l’interesse del
singolo, considerato, per lo più, incapace di provvedere alla cura dei propri interessi, tutelati più efficacemente con
la sanzione della nullità, caratterizzata da una disciplina intermedia con l’annullabilità.
Si è, così, affermata la categoria della nullità relativa, in cui la legittimazione a farla valere è conferita solo a determinati
soggetti.
Il limite alla legittimazione attiva sembra essere il riflesso, oltre che della riferibilità dell’interesse protetto a un
soggetto determinato, del peculiare modo di operare della nullità relativa: nei confronti del soggetto legittimato la
situazione giuridica a cui ha dato vita il negozio è da considerare come attualmente inesistente (è questa carenza
attuale degli effetti tipici del negozio la nota che permette di sussumere la figura nel genere della nullità), così che
non incombe su di esso l’onere di un’iniziativa processuale per far accertare l’inoperatività del negozio nei suoi
confronti40.
Il concetto di nullità relativa risulta strettamente e intimamente legato al concetto di nullità di protezione;
categoria, questa, che ricorre in quelle ipotesi in cui la nullità è comminata per l’inosservanza di norme poste a
tutela del contraente che versi secondo la legge in condizione di debolezza rispetto alla controparte contrattuale.
Dal momento che, in tali ipotesi, la pronuncia di nullità potrebbe in concreto danneggiare la parte che la legge
vuole proteggere, il legislatore riserva al solo contraente protetto il potere di fare valere la nullità, negandolo alla
controparte: il limite alla legittimazione attiva si salda allora con la ratio protettiva della norma, che verrebbe
vanificata ove fosse consentito di dedurre la nullità anche a soggetti diversi da quello destinatario della tutela.
Individuata l’unica differenza di valore sostanziale tra nullità assoluta e nullità relativa nella minore ampiezza della
cerchia dei soggetti legittimati a far valere la seconda, si discute se la legittimazione ristretta sia compatibile con la
rilevabilità d’ufficio da parte del giudice tipica della nullità classica.
In caso di nullità relativa, secondo un indirizzo giurisprudenziale, viene meno il potere del giudice di rilevarla ex
officio. A fondamento di tale convincimento risiede l’incompatibilità logica fra il carattere relativo della nullità (che ha
il suo proprium nel fatto di essere nella disponibilità esclusiva di determinati soggetti, al cui arbitrio è affidata la
valutazione dell’interesse a farla valere) e il rilievo d’ufficio ad opera del giudice (che in ogni caso si
sovrapporrebbe a quella valutazione)»41.
In senso diametralmente opposto si è invece pronunciata la Corte di Giustizia (sentenza del 27 giugno 2000,
Océano Grupo Editorial SA), secondo cui al giudice spetta il potere di valutare d’ufficio l’illiceità della clausola del
contratto anche in caso di nullità relativa42.
C. xxxxxxxxxxxxxxxxxx (tratto da Marco FRATINI, Corso Ragionato di Civile, Neldiritto Editore,
2011, Volume II, pagg. 458-461; 469-472)
3. Nullità e annullabilità.
Tradizionalmente, la nullità viene considerata la forma più grave d’invalidità negoziale.
Sotto il profilo causale, la nullità esprime una valutazione negativa del contratto, da parte dell’ordinamento, per la sua
deficienza strutturale, ossia per la mancanza o impossibilità originaria di un elemento costitutivo ovvero per la sua
dannosità sociale e, quindi, per la sua illiceità.
Nella ricerca degli elementi che consentono di differenziare la nullità dall’annullabilità, in un primo tempo si è fatto
ricorso a un criterio di natura quantitativa, diretto a porre in rilievo la maggiore o minore gravità dell’anomalia dell’atto
di autonomia privata: in caso di assenza di requisiti essenziali o costitutivi la sanzione non poteva non concretizzarsi
nella nullità; nell’ipotesi in cui il difetto riguardasse requisiti non essenziali o non costitutivi ad operare era, invece,
l’annullabilità43.
Il criterio quantitativo ha ceduto il passo al criterio qualitativo, volto ad attribuire rilievo alla natura degli interessi
tutelati: mentre la nullità determina una situazione di contrasto con valori che assumono rilevanza per l’intera
collettività, l’annullabilità va ad incidere su interessi particolari, relativi al singolo contraente44.
Le caratteristiche della nullità sono l’insanabilità, l’imprescrittibilità, l’assolutezza dell’azione, mentre quelle
dell’annullabilità sono la sanabilità, la prescrittibilità e la relatività dell’azione.
39 GIOIA,
Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. Impresa, 1999, 1336.
BETTI, op. cit., 469-470; TONDO, voce Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 1000.
41 Cass., Sez. un., 11 novembre 1974, n. 3508; Cass., 24 maggio 2005, n. 10920.
42 Corte Giust., 4 giugno 2009, Pannon GSM Zrt, causa C-243/08.
43 TOMMASINI, Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. giur., II, Roma, 1996, 2-10.
44 SACCO-DE NOVA, op. cit., 510
40
Sul piano degli effetti, il negozio nullo è inefficace (e la sentenza che accerta la nullità ha natura dichiarativa), mentre
quello annullabile produce i suoi effetti fin quando non intervenga una sentenza (costitutiva) di annullamento. La
nullità, a differenza dell’annullabilità, può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, l’alternativa ontologica tra nullità e annullabilità e il criterio qualitativo su cui si
fonda tale alternativa sono stati messi in dubbio da una serie di eccezioni normative, che prevedono la sanzione della
nullità a tutela di interessi non generali ma particolari, riferibili non alla collettività bensì a sottogruppi di consociati. È il
caso, ad esempio, della normativa a tutela dei consumatori (codice del consumo) e di quella posta a presidio degli
interessi degli investitori (Testo Unico Finanziario)45.
5. I caratteri della nullità (assolutezza, imprescrittibilità, non convalidabilità, conversione).
Negli artt. 1421-1423 c.c. sono enunciati i quattro caratteri fondamentali che qualificano il regime, sia sul piano
sostanziale che su quello processuale, della nullità.
La nullità è assoluta e può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.
L’art. 1421 c.c. - nella parte in cui fa salva l’ipotesi che «la legge disponga diversamente» e non esclude la possibilità che
vi siano ipotesi di nullità che possano essere fatte valere soltanto da una parte - costituisce il fondamento normativo
della categoria della nullità relativa.
Tale categoria possiede dell’annullabilità la caratteristica della limitazione della legittimazione attiva, della nullità quella,
più qualificante, di essere posta a tutela di interessi non solo individuali.
La domanda diretta a far dichiarare la nullità di un atto non è soggetta a prescrizione (art. 1422 c.c.). L’imprescrittibilità
dell’azione di nullità non pregiudica gli effetti dell’usucapione e non influisce sulla prescrizione delle azioni di
ripetizione. L’acquisto per usucapione paralizza l’azione di rivendica del titolare del diritto46. L’acquirente che
usucapisce nei termini ordinari, dunque, acquista la proprietà del bene, ma non perché si è prescritta l’azione di nullità
del contratto, che resta nullo e improduttivo di effetti, bensì per effetto del’istituto dell’usucapione.
Il negozio nullo, a differenza di quello annullabile, non può essere convalidato (art. 1423 c.c.). La ratio legis che
governa tale principio è correlata agli interessi generali che la sanzione della nullità è volta a tutelare: la convalida, in
quanto atto di autonomia privata, è ammissibile solo nei limiti in cui verta su situazioni disponibili e, dunque, è esclusa
in caso di negozio nullo.
Lo stesso art. 1423 c.c., tuttavia, facendo salva la possibilità che «la legge disponga diversamente» ammette che la regola
della non convalidabilità del negozio nullo possa subire delle deroghe. Secondo l’opinione comune, le eccezioni alla
predetta regola sono rappresentate dalla conferma della donazione nulla (art. 799 c.c.) e dalla conferma della
disposizione testamentaria nulla (art. 590 c.c.). In entrambi i casi, il legislatore fa prevalere sulle regole in materia di
nullità il principio di conservazione del negozio, tenendo in massima considerazione l’interesse del disponente.
Il negozio nullo non può produrre gli effetti tipici per i quali è stato concluso. La legge, tuttavia, ammette che,
ricorrendo determinati presupposti, possa produrre gli effetti di un diverso contratto, del quale abbia i requisiti di
sostanza e di forma se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, deve ritenersi che esse lo avrebbero voluto se
avessero conosciuto la nullità (art. 1424 c.c.).
Si tratta di un fenomeno di conversione, ispirato al principio di conservazione del contratto, che si concretizza in una
modifica legale dello stesso, diretta ad evitare l’improduttività di effetti causata dalla nullità, nel rispetto dello scopo
perseguito dalle parti.
La giurisprudenza ritiene che per l’operatività della conversione non sia sufficiente l’identità dei requisiti di sostanza e di forma tra
negozio nullo e negozio convertito, essendo altresì necessario che risulti la manifestazione di volontà delle parti propria del diverso
negozio47. A tal fine non occorre l’accertamento della volontà concreta delle parti di accettare il contratto convertito, poiché ciò
comporterebbe la coscienza della nullità dell’atto compiuto, esclusa per definizione dall’art. 1424 c.c. Ciò che occorre, invece, è la
considerazione dell’intento pratico perseguito, cosicché il contratto nullo può convertirsi in un altro contratto i cui effetti realizzino
in tutto o in parte quell’intento48. Di recente, tuttavia, la stessa giurisprudenza non ha trascurato il profilo soggettivo, avendo
ritenuto di procedere ad una duplice indagine, l’una rivolta ad accertare l’obiettiva sussistenza di un rapporto di continenza tra il
negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo e l’altra un apprezzamento di fatto dell’intento negoziale dei contraenti, riservato al
giudice, e diretto a stabilire se la volontà che indusse le parti a stipulare il contratto nullo possa ritenersi orientata anche verso gli
effetti del diverso contratto49.
Sul tema della nullità relativa, v. amplius infra.
Manuale, op. cit., 967.
47 Cass., 14 agosto 1990, n. 8263, in Mass. Giur. it., 1990.
48 Cass., 27 febbraio 2002, n. 2912, in Contratti, 2002, 10, 879, con nota di ZAFFARONI.
[…]49 Cass., 5 marzo 2008, n. 6004.
45
46 GAZZONI,
[…]
2. La rilevabilità d’ufficio della nullità.
La nullità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, anche in sede
di giudizio di legittimità, purché quivi non siano necessarie nuove indagini o accertamenti di fatto. Viene fatta salva la preclusione
da giudicato interno, che scatta quando sulla questione di nullità sia intervenuta statuizione del giudice inferiore non impugnata con
specifico motivo di gravame.
L’orientamento giurisprudenziale tradizionale sottopone l’operatività pratica della regola della rilevabilità d’ufficio a limitazioni
connesse al tipo di azione esercitata e, correlativamente, al tipo di pronuncia richiesta al giudice.
La Corte di cassazione è solita affermare, già da tempo, che «il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto ex
art. 1421 c.c. va coordinato col principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., sicché solo se sia in contestazione
l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a
rilevare, in qualsiasi stato e grado del giudizio, l’eventuale nullità dell’atto, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti; al
contrario, qualora la domanda sia diretta a fare dichiarare l’invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per
inadempimento, la deduzione (nella prima ipotesi) di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento della domanda e
(nella seconda ipotesi) di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto costitutivo diverso dall’inadempimento, sono inammissibili: né
tali questioni possono essere rilevate d’ufficio, ostandovi il divieto di pronunciare ultra petita»50.
Si segnalano, tuttavia, recenti aperture al rilievo incidentale della nullità.
La Corte di Cassazione, aderendo a una precisa impostazione dottrinale, ha affermato in termini decisi che «la nullità di un
contratto del quale sia stato chiesto l’annullamento (ovvero la risoluzione o la rescissione) può essere rilevata d’ufficio dal giudice, in
via incidentale, senza incorrere in vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l’assenza
di ragioni che determinino la nullità del contratto. Pertanto, il rilievo di quest’ultima da parte del giudice dà luogo a pronuncia non
eccedente i limiti della causa, la cui efficacia va commisurata alla domanda proposta, potendo quindi estendersi all’intero rapporto
contrattuale se questa lo investa interamente, come nel caso di domanda di annullamento di contratto non ricadente nell’ipotesi di
cui all’art. 1446 c.c.».
Quanto alle conseguenze della pronuncia incidentale, la Corte ha opportunamente curato di precisare che la questione pregiudiziale
di nullità condiziona l’accertamento (negativo o positivo) dell’effetto contrattuale dedotto in causa e, attraverso il giudicato che si
forma su tale effetto, anche la soluzione data nel processo alla questione pregiudiziale può condizionare l’esito di altri processi
relativi a diversi effetti dello stesso contratto51.
6. La nullità di protezione.
Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto ripetutamente a sanzionare con la nullità fattispecie in cui si ravvisa la
lesione di interessi individuali e particolari, relativi alla posizione di contraenti che si trovano in una situazione di
debolezza e in presenza, quindi, di un’asimmetria contrattuale52.
In tali circostanze lo strumento dell’annullabilità non viene più ritenuto sufficiente per tutelare l’interesse del singolo,
considerato, per lo più, incapace di provvedere alla cura dei propri interessi, tutelati più efficacemente con la sanzione
della nullità, caratterizzata da una disciplina intermedia con l’annullabilità.
Si è, così, affermata la categoria della nullità relativa, in cui la legittimazione a farla valere è conferita solo a determinati
soggetti.
Il limite alla legittimazione attiva sembra essere il riflesso, oltre che della riferibilità dell’interesse protetto a un soggetto
determinato, del peculiare modo di operare della nullità relativa: nei confronti del soggetto legittimato la situazione
giuridica a cui ha dato vita il negozio è da considerare come attualmente inesistente (è questa carenza attuale degli
effetti tipici del negozio la nota che permette di sussumere la figura nel genere della nullità), così che non incombe su
di esso l’onere di un’iniziativa processuale per far accertare l’inoperatività del negozio nei suoi confronti53.
Il concetto di nullità relativa risulta strettamente e intimamente legato al concetto di nullità di protezione; categoria,
questa, che ricorre in quelle ipotesi in cui la nullità è comminata per l’inosservanza di norme poste a tutela del
contraente che versi secondo la legge in condizione di debolezza rispetto alla controparte contrattuale. Dal momento
che, in tali ipotesi, la pronuncia di nullità potrebbe in concreto danneggiare la parte che la legge vuole proteggere, il
legislatore riserva al solo contraente protetto il potere di fare valere la nullità, negandolo alla controparte: il limite alla
legittimazione attiva si salda allora con la ratio protettiva della norma, che verrebbe vanificata ove fosse consentito di
dedurre la nullità anche a soggetti diversi da quello destinatario della tutela.
Individuata l’unica differenza di valore sostanziale tra nullità assoluta e nullità relativa nella minore ampiezza della
cerchia dei soggetti legittimati a far valere la seconda, si discute se la legittimazione ristretta sia compatibile con la
rilevabilità d’ufficio da parte del giudice tipica della nullità classica.
Cass., 14 ottobre 2005, n. 19903; Cass., 14 gennaio 2003, n. 435.
Cass., 15 settembre 2008, n. 23674.
52 GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. Impresa, 1999, 1336.
53 BETTI, op. cit., 469-470; TONDO, voce Invalidità e inefficacia del negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 1000.
50
51
In caso di nullità relativa, secondo un indirizzo giurisprudenziale, viene meno il potere del giudice di rilevarla ex officio.
A fondamento di tale convincimento risiede l’incompatibilità logica fra il carattere relativo della nullità (che ha il suo
proprium nel fatto di essere nella disponibilità esclusiva di determinati soggetti, al cui arbitrio è affidata la valutazione
dell’interesse a farla valere) e il rilievo d’ufficio ad opera del giudice (che in ogni caso si sovrapporrebbe a quella
valutazione)»54.
54 Cass.,
Sez. un., 11 novembre 1974, n. 3508; Cass., 24 maggio 2005, n. 10920.
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