3. LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA 3.1 Introduzione alla CSR 3.1.1 Cenni introduttivi Innanzi tutto bisogna riflettere sul legame esistente tra etica aziendale e responsabilità sociale infatti, anche se parte della dottrina tende ad utilizzare i termini “business ethics” e “corporate social responsability” in modo intercambiabile, in realtà si tratta di due concetti differenti anche se strettamente correlati. Possiamo vedere la responsabilità sociale dell’impresa come un aspetto dell’etica aziendale poiché, anche se esistono delle spinte esterne in senso sociale, nascenti dai vincoli posti dall’ambiente in cui l’impresa opera, come per esempio la legislazione o le norme di autodisciplina di categoria in materia ambientale, la maggior parte delle problematiche socialmente rilevanti devono essere gestite unicamente in base a considerazioni di business ethics. La responsabilità sociale, tuttavia, rispetto alla business ethics, che si riferisce all’etica che deve regolare il comportamento dei singoli individui dell’organizzazione, è legata all’impresa vista nel suo complesso ed al suo rapporto, tramite le sue azioni, con il contesto 82 in cui è inserita 1 . Responsabilità sociale e business ethics hanno anche un diverso riferimento di tipo normativo: mentre la business ethics richiede che un individuo, un’organizzazione o un sistema economico si comportino coerentemente con regole elaborate dalla filosofia morale, la responsabilità sociale ha come riferimento imprescindibile la semplice consonanza tra comportamenti aziendali ed aspettative espresse dal contesto ambientale in cui l’impresa opera sulla base di una sorta di “contratto sociale” tra la stessa ed il contesto di riferimento. Perciò, anche se in pratica perseguire la business ethics porta spesso agli stessi risultati della responsabilità sociale d’impresa, non è detto che ciò avvenga sempre: vi sono azioni che la società definisce di responsabilità sociale che possono essere moralmente neutre o addirittura scorrette ed azioni moralmente ineccepibili, ma socialmente inaccettabili. 3.1.2 L’evoluzione della responsabilità sociale d’impresa in breve A partire dagli anni ‘70 e ‘80 gli studiosi, non ancora i managers, iniziarono a discutere sulla soggettività morale delle organizzazioni dividendosi in più correnti 2 : 1 In questo senso Sciarelli in “Responsabilità sociale ed etica d’impresa: una relazione finalizzata allo sviluppo aziendale”, Finanza Marketing e Produzione, n°1/1999, pag 208; Rusconi in “Etica e Impresa. Un’analisi economico – aziendale”, Clueb, Bologna,1997, pag. 162-163; così come Husted ed Allen: “Tecnically ethics tends to focus on personal choice; social responsability is about meeting generally agreed public expectations of firm behaviour” in “Is it ethical to use ethics and strategy?”, Journal of Business Ethics, n°27/2000, pag.23. 2 Corso di Organizzazione Aziendale Progredito, a.a. 2004/2005, Facoltà di Economia, Genova. 83 liberal-razionale: neutralità morale dell’economia (basata su una errata lettura di Adam Smith); antropomorfizzante: l’organizzazione, al pari dell’individuo, è soggetto morale, titolare quindi anche di responsabilità sociali; moderata: l’organizzazione non è reificata ma certi concetti e funzioni normalmente attribuiti alle persone possono anche essere attribuiti alle organizzazioni, fatte di persone. Alla fine, con il senno di poi, sembra ovvio che la strada giusta da seguire fosse quella della corrente moderata poiché, dalle altre due correnti, l’impresa era vista come un ente operante in modo del tutto discrezionale (come se non avesse nulla a che fare con l’ambiente sociale di riferimento), oppure come un’organizzazione che è anche soggetto morale, ed in quanto tale titolare di un livello di responsabilità sociale e di eticità nelle scelte che esula dai compiti cui l’impresa deve socialmente assolvere per sua natura, e che è proprio solo dell’individuo. In realtà l’impresa è un’insieme d’individui e beni organizzati per svolgere un’attività economica che non può prescindere da quelle che sono le considerazioni morali dei suoi componenti e dell’ambiente in cui opera. Il fenomeno di cui sopra va sotto il nome business ethics, Corporate social responsibility (CSR), Responsabilità sociale d’impresa (RSI), ecc. anche se non utilizzeremo, nel seguito, il termine business ethics per non confondere il lettore. Ancora agli inizi degli anni ‘70 Milton Friedman, cofondatore assieme a George Stigler della celebre Scuola di Chicago, ed 84 entrambi premi nobel per l’economia, scriveva: “Il vero dovere sociale dell’impresa è quello di ottenere i più elevati profitti producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile”. Mettendoci nei panni di Friedman l’affermazione non aveva nulla di sconvolgente se si considera che, nella mentalità neoliberista di quel periodo storico, nessuno si sarebbe mai sognato che l’impresa dovesse fare alcunché per il sociale poiché si dava per scontato che questo fosse un problema dello Stato e degli enti benefici a ciò deputati. Tale affermazione era giustificata, inoltre, dal fatto che, essendo il profitto un indicatore sintetico di efficienza allocativa, massimizzarlo significava fare il miglior uso possibile delle risorse scarse ed operare, quindi, per il bene comune. In quegli anni Friedman, perciò, sosteneva una visione focalizzata sugli shareholders che individuava come unica responsabilità dell’impresa e fonte, quindi, della sua legittimazione ad operare, il perseguimento, nel rispetto della legge, del massimo profitto possibile. L’assunzione di una responsabilità sociale che oltrepassasse i confini del mero rispetto della legislazione vigente nel Paese in cui l’impresa operava avrebbe comportato, in quest’ottica, non solo un’interferenza nel processo decisionale ed una minaccia per la razionalità delle scelte economiche dell’impresa 3 , ma anche un’indebita distribuzione di ricchezza 4 che 3 Così anche T. Levitt: “The Dangers of Social Responsability”, Harvard Business Review, september – october, 1958. 4 Secondo taluni autori vi sarebbe un ulteriore problema, cioè quello della possibile destinazione dei fondi, prelevati con fini di responsabilità sociale, a finalità di promozione di attività cui poi partecipino sostanzialmente solo soggetti ad alto reddito: ciò provocherebbe addirittura una redistribuzione iniqua e regressiva. 85 avrebbe vanificato il risultato di efficienza allocativa drenando, senza una ragione economicamente valida, le risorse disponibili per la distribuzione dei dividendi, per i salari, per l’autofinanziamento dell’impresa, per la concessione di fringe benefit ai dipendenti,ecc. o provocando un aumento nei prezzi del bene o servizio offerto con conseguenze negative per i clienti dell’impresa. Certamente nei primi anni ’70 la competizione non era accesa e su scala planetaria come oggi, le imprese potevano permettersi di fare scelte di diversificazione produttiva mirate esclusivamente ad elevare il tasso di redditività del capitale investito e di non considerare, oltre alle problematiche sociali ed ambientali, una strategia volta a valorizzare le sinergie tra i vari business detenuti in portafoglio. Era il tempo della matrice strategica del Boston Consulting Group che aiutava i manager a scegliere come investire al meglio i proventi delle grandi corporation trasformandole in imprese diversificate. Con gli anni ’80 e ’90 la sempre maggior forza degli intangibile assets sulla redditività d’impresa e l’allargamento dell’arena competitiva a livello globale hanno imposto un cambiamento di rotta che ha provocato un mutamento nelle scelte strategiche e nell’approccio ai temi, sempre più scottanti per un’opinione pubblica sempre più forte, della tutela dell’ambiente ed, in generale, della responsabilità sociale d’impresa. Emblematico, a questo proposito, è il caso della multinazionale Nike: a seguito della denuncia fatta da alcune associazioni di consumatori, che avevano portato agli onori della cronaca lo 86 scandalo del lavoro minorile mal pagato in India e Pakistan, il titolo Nike accusò una flessione in borsa di ben 27 dollari, e cioè dai circa 66 dollari dell’agosto 1997 ai 39 dollari del gennaio 1998, a causa di un boicottaggio a livello globale dei suoi prodotti. Questo dimostra che le politiche di responsabilità sociale d’impresa non nascono dal mero spirito di benevolenza come potrebbe essere per un essere umano (corrente antropomorfizzante) poiché l’impresa è un soggetto economico che deve rispondere delle sue azioni agli shareholders in termini di performance, né possono essere messe da parte, con la scusa della neutralità morale dell’economia (corrente liberal-razionale), se non si vuole incorrere nelle sanzioni del mercato perpetrate da consumatori attivi e critici sui beni oggetto del loro acquisto. L’impresa deve, quindi, seguire la strada, che si sta delineando, di uno sviluppo socialmente responsabile e sostenibile, agendo sulla base di quelle che sono le legittime aspettative degli stakeholders senza mai dimenticare la sua ragione di vita, e cioè creare valore per i propri azionisti. Sempre con riguardo alla responsabilità sociale d’impresa è utile ricordare come il dibattito teorico, di cui si parlerà più approfonditamente nel paragrafo successivo, ebbe origine ben prima che ci si ritrovasse in un’economia globalizzata ed instabile come quella odierna anche se i suoi sviluppi successivi non sono ancora giunti ad una definizione definitiva di CSR, ne, tantomeno, è stato stabilito esattamente il rapporto tra CSR ed attività d’impresa, o meglio tra impegno socio-ambientale e realizzazione di una quota di profitto ad esso correlata. 87 3.2 Le origini: il dibattito teorico ed i limiti della CSR 3.2.1 Il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa Gli studi sulla responsabilità sociale delle imprese nascono con l’inizio del ‘900 anche se poi la tematica è affrontata e sviluppata soprattutto nella seconda metà del secolo. Il concetto di responsabilità sociale d’impresa nasce negli anni ’20 negli USA quando, a seguito della crescita delle corporations, inizia ad essere evidente come sia necessaria, da parte dei managers, una responsabilità non solo nei confronti degli azionisti, ma anche di altri interlocutori sociali. Tale concetto rimase però relegato in un angolo, appoggiato solo da una parte minoritaria della dottrina, a causa della crisi degli anni ’30 e della seconda guerra mondiale. Finito il conflitto il problema della responsabilità sociale d’impresa tornò attuale e perciò, fin dagli anni ’50, si accese il dibattito sul tema sia in ambito dottrinale che manageriale. E’di quegli anni il pensiero di Bowen 5 che, partendo dalla considerazione che le grandi corporations sono i centri vitali del potere, evidenzia come le loro scelte ed azioni si riflettano nella vita sociale in modo assai rilevante. Bowen, partendo dal quesito: “Quale responsabilità verso la società dovrebbero avere ragionevolmente i manager?” 6 , giunge 5 Bowen: “Social responsibilities of the businessman”, Harper & Row, New York, 1953. Traduzione di: “What responsibilities to society may businessmen reasonably be expected to assume?”. 6 88 a dare una prima definizione di responsabilità sociale 7 : “Si riferisce all’obbligo, per i manager, di prendere quelle decisioni o di seguire quelle linee d’azione che sono auspicabili in termini di obiettivi e valori della nostra società” 8 . Il dibattito, in tale prima fase, si concentra, come visto ad opera di Bowen, sulla responsabilità sociale dei businessman e non tanto su quella delle corporations, se non per via indiretta. L’attribuzione di responsabilità sociale diretta per la loro attività si ebbe soltanto quando aumentò la consapevolezza dell’essere, le corporation stesse, soggetti tanto rilevanti, e difficilmente controllabili in modo stabile e duraturo da parte di un soggetto determinato, da divenire esse stesse un soggetto dotato di responsabilità sociale. La responsabilità sociale diventa, allora, molto più simile a ciò che intendiamo oggi quando ne parliamo, e cioè il riconoscimento della capacità, per l’impresa, d’incidere considerevolmente sul contesto socio - ambientale in cui opera. La sua responsabilità sociale, proprio con riferimento al contesto in cui si situa l’attività imprenditoriale, si colloca al di là di quelli che sono i limiti imposti dalle norme di legge vigenti, và verso comportamenti volontari, socialmente responsabili ed ulteriori rispetto a quanto previsto, appunto, dalla legislazione. Vista la volontarietà delle scelte di responsabilità sociale e la necessità che le azioni in tal senso intraprese dall’impresa avessero 7 Bowen: “Social responsibilities of the businessman”, Harper & Row, New York, 1953, pag.6. Traduzione di: “It refers to the obligations of businessman to pursue those policies, to make those decisions, or to follow those lines of action which are desirable in terms of the objectives and values of our society”. 8 89 un ritorno positivo, anche per superare l’opposizione dottrinale di chi, come Friedman 9 , riteneva la responsabilità sociale delle imprese sovversiva del sistema capitalistico o, per lo meno, riteneva che tale arbitrarietà fosse fatalmente limitata da considerazioni di ordine economico – finanziario e di profitto, furono condotti studi finalizzati soprattutto ad analizzare le esternalità positive e negative della gestione aziendale. 3.2.2 Gli anni ’60 In questi anni si afferma la locuzione, ancora oggi usata, di “corporate social responsibility” (d’ora in poi CSR) e si hanno nuovi contributi sul tema ad opera soprattutto di Davis, noto per la sua “Iron Law of Responsibility”, che stabilisce un legame forte tra potere e responsabilità sociale delle imprese affermando che alcune decisioni socialmente responsabili possono essere giustificate da un lungo processo di accettazione sociale che, nel lungo periodo appunto, può generare vantaggi economici per le imprese 10 , mentre evitare di assumere la responsabilità derivante dal proprio potere porta ad una progressiva corrosione dello stesso. Sempre all’interno del dibattito è da evidenziare l’ulteriore contributo di Frederick che evidenzia l’importanza delle aspettative della comunità in cui l’impresa è inserita ed il conseguente ruolo sociale della stessa 9 Friedman: “Few trends could so thoroughly undermine the very foundations of our free society as the acceptance by corporate officials of a social responsibility other than to make as much money for their stockholders as possible”, in “Capitalism and freedom”, University of Chicago Press, Chicago, 1962, pag.133. 10 Davis: “Can business afford to ignore social responsibilities?”, California Management Review, n°2, 1960, pag.70. 90 nell’aumentarne il benessere. Si delinea, quindi, sempre più una responsabilità d’impresa che va al di là delle obbligazioni economiche e legali anche se i suoi contenuti concreti non sono ancora ben definiti. Soltanto verso la fine del decennio Walton arriva a precisare che la responsabilità sociale implica un certo grado di volontarietà dell’azione, come tale opposta alla coercizione, nonché l’accettazione di costi per i quali potrebbe non essere possibile misurare in nessun modo un diretto ritorno economico. Nella letteratura in materia cominciano, però, ad affiorare anche dubbi circa la reale portata ed i limiti della CSR soprattutto con riguardo alla vaghezza delle definizioni, all’esistenza di un trade – off tra i vari tipi di costi e ricavi, sociali ed economici, ed al fatto che si tratti di mere operazioni d’immagine non sostenute da un serio dibattito sui principi di fondo dell’agire sociale d’azienda. 3.2.3 Gli anni ‘70 Mentre le definizioni di CSR proliferano e diventano sempre più specifiche, l’analisi dottrinale si snoda lungo quattro filoni principali: Il primo filone cerca d’individuare quali caratteristiche debbano possedere i comportamenti dell’impresa per poter essere qualificati come socialmente responsabili. Secondo Manne e Wallich, per esempio, sono necessari almeno tre presupposti: 91 1. I ricavi marginali devono essere minori di quelli ottenibili da altre spese alternative; 2. L’azione deve essere puramente volontaria; 3. Si deve trattare d’investimenti volti ad aumentare il benessere della società e non di semplice filantropia (anche se poi gli stessi autori ammettono che, in pratica, effettuare una reale distinzione è pressoché impossibile). Con riferimento alla volontarietà dell’azione interviene anche Davis 11 che riafferma che un’impresa non può essere ritenuta socialmente responsabile se si attiene semplicemente a quando stabilito dalla normativa in vigore. Della stessa corrente anche l’importante contributo di Carrol che, nel 1979, riconosce che l’impresa ha in primo luogo responsabilità economiche di creazione di valore, ma la società si aspetta da essa anche il rispetto della legge, ovvero una responsabilità giuridica, ed una responsabilità etica e discrezionale che si differenziano per essere: la prima un mero adattamento ai valori ed obblighi sociali; la seconda un azione avente intento anticipatorio delle richieste della società in materia di responsabilità sociale. Il secondo filone approfondisce il peso del contesto socio – culturale di riferimento anche in risposta ai 11 Davis: “The case for and against business assumption of social responsibilities”, Academy of Management Journal, n°16, 1973, pag.313. 92 movimenti sociali che, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, si battevano per il rispetto dell’ambiente, dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, ecc. In questo ambito troviamo un Johnson 12 che, nel definire la responsabilità sociale, individua quattro possibili punti di vista, il principale dei quali vede la CSR come risposta a norme sociali che definiscono il ruolo dell’impresa: è un presagio di quella che diverrà la stakeholder theory, con il riconoscimento di una molteplicità d’interessi che convergono nell’impresa da parte di diversi soggetti fra cui, tra gli altri, gli azionisti. Nello stesso senso il Committee for Economic Developement che nel 1971 identifica, dopo aver affermato che le imprese esistono per servire la società e che, quindi, il futuro di dette istituzioni dipende dalla capacità del management di saper rispondere adeguatamente alle mutevoli aspettative dell’opinione pubblica 13 , tre cerchi concentrici della responsabilità delle imprese: 1. Il primo cerchio, il più interno, è quello che include le responsabilità basilari per un’esecuzione efficiente dell’attività d’impresa: 12 Johnson: “Business in contemporary society: framework and issues” Belmont, Wadsworth, 1971. 13 Committee for Economic Development: “Social responsibilities of business corporations”, New York, 1971, pag.16. 93 produzione di beni, creazione di posti di lavoro, contributo alla crescita economica, ecc. 2. Il secondo cerchio, quello intermedio, è quello che si riferisce alla responsabilità, nello svolgere la propria funzione economica, verso il rispetto dei valori e delle priorità sociali come, per esempio il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori. 3. Il terzo cerchio, il più esterno, comprende la disponibilità dell’impresa ad assumersi responsabilità ulteriori, a lei non proprie, al fine dello sviluppo della società. Il terzo filone analizza le motivazioni che portano l’impresa ad agire in maniera socialmente responsabile. La letteratura del periodo individua tre possibili principi che motivano l’impresa alla responsabilità sociale: 1. L’institutional principle, fondato sul fatto che le imprese sono oggetto di aspettative in quanto istituzioni economiche che operano in un determinato contesto da cui devono avere legittimazione ad operare. In tale contesto si svilupperà, negli anni ’80, la teoria di Freeman secondo cui l’impegno nei confronti degli stakeholders non nasce da motivazioni etiche, 94 ma dal timore di ripercussioni negative in caso se ne ignorino le istanze. 2. L’organizatonal principle, fondato sul fatto che la specifica impresa ha una responsabilità pubblica che le deriva dalle sue esternalità: l’impresa deve, cioè, agire nei confronti di quei problemi sociali che le sono propri o meglio che sono relativi, e/o conseguenza, della sua attività per via diretta o indiretta. Il problema di operare secondo tale principio consiste nel fatto che non spiega ne come individuare i problemi sociali da affrontare, ne come affrontarli. 3. L’individual principle, fondato sulla consapevolezza che l’impresa è guidata da managers aventi una propria morale e che questi, avendo una certa discrezionalità decisionale, possono esercitarla per andare in contro o meno alle aspettative dei vari interlocutori dell’impresa. Da questo principio partirà tutto il filone della business ethics che si rifà, per l’appunto, al fatto che l’impresa è formata da soggetti aventi una certa etica che utilizzano, o dovrebbero utilizzare, anche nel determinare le direttrici da seguire nella loro attività decisionale all’interno dell’impresa stessa. 95 Il quarto filone, infine, interiorizza, nell’impresa, l’attenzione per il sociale, spostando l’indagine allo sviluppo di procedure interne capaci di far proprie le istanze sociali ed incorporarle nel governo e nelle politiche dell’impresa. Questo filone è il più innovativo poiché vede, per la prima volta, un ruolo non meramente adattivo da parte dell’impresa, bensì proattivo. Possiamo vedere, quindi, come Ackermann e Bauer guardino alla responsabilità sociale con un approccio strategico, con scelte volte ad anticipare e rispondere tempestivamente alle istanze sociali dell’ambiente esterno. Molti autori arrivano a parlare di corporate responsiveness intendendo sensibilità ed attenzione sociale dell’impresa. Il più rilevante esponente di tale filone è stato Frederick che, in un saggio del 1978, definisce come superato il concetto statico di corporate social responsibility preponderante fino agli anni ’60 (che lui chiama CSR1) da un nuovo concetto, la corporate social responsiveness (che lui chiama CSR2) che presuppone l’accettazione, da parte dell’impresa, degli obblighi sociali che derivano dalla sua attività. Mentre, quindi, la CSR1 era l’insieme delle obbligazioni che l’impresa teoricamente aveva di operare volontariamente, all’interno del suo campo d’azione, 96 per migliorare le condizioni della società; la CSR2, riferendosi alla capacità di rispondere alle pressioni sociali, diviene più pratica e meno legata al moralismo della CSR1. In realtà ciò avviene perché, nella CSR2, si da già per scontato che le imprese abbiano una responsabilità sociale (perché il problema è già stato affrontato e superato dalla CSR1) e si pone il problema di come rispondere in pratica a problemi, quali lo sviluppo del social auditing, che sono alla base di una reale reattività in campo di responsabilità sociale. 3.2.4 Gli anni ‘80 Gli anni ’80 sono caratterizzati da tre filoni dottrinali predominanti: Il primo è la nascita della Stakeholder theory: La stakeholder theory si basa sul concetto di stakeholder: coniato nei primi anni ’30 dalla General Electric che identificò i quattro maggiori tipi di stakeholders e cioè azionisti, dipendenti, clienti e comunità; fu utilizzato nuovamente nel 1947 dal presidente della Johnson & Johnson che identificò gli “strictly business stakeholders” in clienti, dipendenti, manager ed azionisti. Nel 1963 il concetto fu infine teorizzato per la prima volta dallo Stanford Research 97 Institute per indicare tutti i portatori di un interesse legittimo nell’attività aziendale. La prima teoria organica sugli stakeholders è quella del 1984 di Freeman 14 che definisce gli stakeholders come “quei gruppi che possono influenzare o essere influenzati dal perseguimento di obiettivi organizzativi” 15 . Freeman distingue, poi, tra stakeholder primari e secondari a seconda che il loro consenso ed apporto sia o meno vitale per l’impresa, ed evidenzia come gli stakeholder primari, se tolgono il loro appoggio all’impresa, possono addirittura decretarne la fine. Il secondo è l’affermarsi degli studi di business ethics che, investendo su tutte le aree del management, dalle relazioni industriali all’informazione esterna, dalle funzioni produttive alle strategie competitive, considerandole nei loro risvolti morali, si basa su due presupposti: da un lato un’analisi dei valori su cui dovrebbero fondarsi le scelte aziendali; dall’altro la definizione di norme di condotta che informino i vari livelli delle politiche di gestione e del relativo sistema dei controlli. Frederick, in proposito, afferma la nascita di una CSR3, cioè della “corporate social rectitude”, 14 Freeman: “Strategic management. A stakeholder approach”, Pitman, Boston, 1984. Traduzione di: “those groups who can affect or are affected by the achievement of an organization’s purpose”. 15 98 che dovrebbe analizzare i valori etici posti alla base di tutti i comportamenti sociali delle imprese 16 . Il terzo è l’affermarsi del concetto di Corporate social performance (CSP) che può essere analizzato tramite due approcci: 1. Il primo approccio alla CSP focalizza l’attenzione sul processo attraverso cui si cercano di coniugare gli interessi degli stakeholder con quelli dell’impresa. Si analizzano, quindi, il processo ed i metodi con cui sono identificati gli obiettivi dell’impresa e risolti i dilemmi etici nelle questioni concrete. 2. Il secondo approccio vede la CSP specificatamente in termini di risultati e cerca, quindi, di misurare tali risultati. 3.2.5 Gli anni ‘90 Negli anni ’90 e con l’inizio del nuovo millennio il concetto di CSR continua ad arricchirsi con gli sviluppi in tema di stakeholder theory, business ethics e soprattutto con i progressi nella misurazione delle performance sociali. 16 Frederick: “Toward CSR3: why ethical analysis is indispensable and unavoidable in corporate affairs”, California Management Review, n°28, 1986, pag.134. 99 Resta irrisolto il problema del legame fra CSR ed obiettivi d’impresa laddove la ragione ultima d’esistenza della stessa altro non è se non la creazione di valore per i propri azionisti. 3.3 Le tre teorie normative sulla responsabilità sociale Sulla responsabilità sociale troviamo, in letteratura, tre teorie normative: una che vede al centro della responsabilità sociale d’impresa gli azionisti o shareholders, una che si fonda sull’esistenza di una sorta di contratto sociale tra l’impresa ed il contesto in cui vive ed opera, ed infine una che si fonda sul concetto di stakeholder. 3.3.1 La teoria centrata sugli shareholders La teoria che vede la responsabilità sociale come responsabilità nei confronti degli shareholders può essere fatta risalire a Friedman 17 secondo cui la responsabilità sociale dell’impresa è generare, nel rispetto della legge, il massimo profitto nell’interesse degli azionisti poiché, solo in tale modo, potrà essere raggiunto, a suo parere, il benessere della comunità e dunque l’interesse generale. Ciò perché la creazione di valore per gli shareholders è un indicatore sintetico di creazione di valore, infatti, una volta soddisfatti i suddetti, è 17 Friedman: “Few trends could so thoroughly undermine the very foundations of our free society as the acceptance by corporate officials of a social responsibility other than to make as much money for their stockholders as possible”, in “Capitalism and freedom”, University of Chicago Press, Chicago, 1962, pag.133. 100 implicito che siano stati soddisfatti anche tutti gli altri soggetti interni ed esterni all’organizzazione. Addirittura un’interferenza nella libera iniziativa economica dell’impresa da parte di una sua presunta responsabilità sociale nei confronti di qualunque soggetto terzo rispetto ai propri azionisti rappresenterebbe, come abbiamo già affermato in precedenza, un danno per la collettività potendo comportare una grave minaccia per la razionalità delle scelte economiche dell’impresa, un’indebita distribuzione di ricchezza ed un rischio reale per il sistema economico nel suo insieme. Una responsabilità d’impresa, aggiuntiva rispetto a quella verso i suoi azionisti potrebbe, infatti, portare l’impresa a confondere il suo ruolo con quello dello Stato e degli enti benefici a ciò deputati con possibili gravi ripercussioni sugli equilibri del sistema economico. 3.3.2 La teoria basata sul contratto sociale Tale approccio teorico si fonda sul concetto di “corporate citizenship” 18 come impostato da Mc Guire nel 1963, e cioè sull’idea che l’impresa abbia un diritto di cittadinanza che deve ripagare tramite un non definito obbligo di concorrere alla risoluzione dei problemi sociali 19 : perciò l’impresa non solo è responsabile per gli effetti delle proprie azioni, ma tale responsabilità è genericamente estesa al dovere di contribuire al miglioramento dell’ambiente sociale in cui è inserita. 18 Mc Guire: “Business and society”, Mc Grow Hill, New York, 1963. Sciarelli: “Il governo di un’impresa in una società complessa: la ricerca di un equilibrio tra economia e etica” Sinergie, n°45, 1998. 19 101 Tale approccio si fonda sull’esistenza di una sorta di contratto sociale implicito stipulato tra la società civile e le imprese: la CSR è una parte essenziale di tale contratto sociale poiché individua cosa l’impresa fa e cosa dovrebbe fare per il benessere della società e, quindi, indirettamente, anche di se stessa, in quanto operare per un maggior benessere sociale crea valore per tutti i componenti della società, imprese incluse. Il problema di tale teoria sta nell’individuare quali siano, in una determinata società ed in una determinato lasso temporale, i diritti ed i doveri dell’impresa: ciò perché, con il passare del tempo e con l’evolversi di una società, mutano i diritti ed i doveri attribuiti ai suoi componenti, e quindi anche alle imprese, in ragione dei mutamenti che avvengono nella scala dei valori generalmente accettati e condivisi dalla stessa società civile. I mutamenti nella scala valoriale che hanno maggiormente influenzato lo sviluppo del concetto stesso di responsabilità sociale d’impresa sono attribuibili a tre circostanze concomitanti: 1. L’aumento dei bisogni derivante dall’aumento del benessere nei Paesi cosiddetti “industrializzati” che ha comportato la tensione ad una responsabilità sociale dell’impresa in seguito all’inedito problema di una miglior qualità della vita conseguente al superamento dei bisogni materiali primari che ha permesso a bisogni immateriali come sicurezza sul lavoro, tutela ambientale, ecc. di affermarsi come obbiettivo cui tendere. 102 2. Il minor assistenzialismo dello Stato, che sta favorendo lo sviluppo di associazioni no - profit che cercano di sopperire a tale abbassamento della protezione sociale, e la necessità di una maggior responsabilità sociale da parte delle imprese per compensare il minor intervento pubblico. 3. La globalizzazione, che ha comportato un maggior potere per le imprese derivante dall’entità delle risorse che controllano e dall’impatto che le azioni di ciascuna delle grandi corporations internazionali può avere a livello globale, sta anche spingendo a pressioni perché tali imprese multinazionali abbiano una forte regolamentazione interna che superi le disparità legislative esistenti tra gli Stati in cui operano. Da un grande potere derivano anche grandi responsabilità: ciò vale anche, ed a maggior ragione, per le multinazionali con riguardo al sociale. 3.3.3 La stakeholder view Tale visione della responsabilità sociale può essere ricondotta all’opera di Freeman 20 ed è divenuta, con il passare del tempo, la più rilevante in tema di CSR. Secondo tale teoria l’impresa sarebbe tenuta ad assumere comportamenti socialmente compatibili in quanto responsabile verso tutti i suoi stakeholders. 20 Freeman: “Strategic management. A stakeholder approach”, Pitman, Boston, 1984. 103 Tale responsabilità nei confronti degli stakeholders nasce dal fatto che l’impresa è comunque immersa in un contesto socio – economico in cui la componente sociale e quella economica sono inscindibili, ed in quanto tali bisogna tener conto di entrambe. Difatti l’impresa è immersa in un’insieme di relazioni più o meno forti che la legano a livello socio-economico a soggetti terzi aventi aspettative sia in senso economico che sociale da cui l’impresa non può prescindere se vuole continuare ad operare nel contesto in cui è inserita. La necessità di rispondere ad attese diverse da quelle degli azionisti deriva dal potere di tali soggetti nei confronti dell’impresa e quindi dalla loro influenza sui risultati economici della stessa. Le istanze dei diversi stakeholders possono essere, e normalmente sono, contrastanti e l’impresa deve riuscire a mediare tra tali istanze tramite l’identificazione degli stakeholders, delle loro pretese e della loro rilevanza, ma questo sarà oggetto del prossimo capitolo. 3.4 Gli stakeholder in breve: identificazione e rapporti con l’organizzazione Spesso si parla di stakeholders, di rapporti dell’impresa con tali soggetti, di responsabilità nei loro confronti, ecc. anche se poi il concetto stesso di stakeholder è stato soggetto ad un’evoluzione che non si può ignorare. Il concetto di stakeholders si è, infatti, modificato nel tempo: 104 Nella sua prima definizione organica gli stakeholders sono individuati come importanti per “tutti la i soggetti sopravvivenza strategicamente ed il successo dell’impresa” dallo Stanford Research Institute nel non lontano 1963. In quel periodo se ne aveva una visione profit driven, cioè la responsabilità verso tali soggetti era esclusivamente parte di una strategia dell’impresa centrata sulla sola esigenza di garantire il successo della stessa: le pretese degli stakeholders non avevano valore intrinseco, ma solo in relazione alla profittabilità dell’impresa. Gli stakeholders erano visti esclusivamente come soggetti in grado di “punire” l’impresa se non prestava attenzione alle loro richieste: l’approccio era essenzialmente unidirezionale e le istanze degli stakeholders non erano viste come un’opportunità di differenziazione sociale, ma solo come un ulteriore vincolo alla libertà di scelta dei manager. La prima teoria organica sugli stakeholders è, però, opera di quello che può essere considerato, a ragione, il “padre” della stakeholders view, Freeman. Egli, nella sua opera del 1984 21 , definisce gli stakeholders, come abbiamo già visto in precedenza, come: “tutti i gruppi o gli individui che possono influenzare, o possono essere influenzati, dal perseguimento di obiettivi organizzativi”. Tale definizione è da considerarsi stakeholders driven ed è innovativa anche perché vede il rapporto stakeholders – impresa come bidirezionale. Infatti, nella teoria di Freeman, gli stakeholders 21 Freeman: “Strategic management. A stakeholder approach”, Pitman, Boston, 1984. 105 e l’impresa devono interagire: a seguito di questa interazione gli stakeholders, da un vincolo per le scelte aziendali, diventano una fonte strategica di vantaggio competitivo da sfruttare ed in cui investire tempo e risorse. Tale impostazione, però, pone rilevanti problemi in merito alle scelte migliori da adottare nel caso, tutt’altro che teorico, in cui le richieste di stakeholders diversi siano in contrasto tra loro, nell’individuazione degli stakeholders stessi, nella valutazione della rilevanza delle loro istanze nel processo decisionale dell’impresa e nella loro classificazione ed, infine, nella definizione del giusto equilibrio tra le varie istanze che essi portano con se. 3.4.1 Classificazione degli stakeholders Gli stakeholders possono essere classificati in base alla loro grado di rilevanza strategica per la sopravvivenza e sviluppo dell’impresa in: stakeholders primari: azionisti, clienti, lavoratori, fornitori, finanziatori e management. stakeholders secondari: comunità locale, media, governo, particolari gruppi di interesse, ecc. E’possibile, inoltre, distinguere gli stakeholders sulla base della relazione organizzazione – ambiente in: stakeholders interni: azionisti, managers, lavoratori, volontari, ecc. 106 stakeholders esterni: clienti, fornitori, governo locale, sindacati, comunità locale,ecc. Nello schema che segue sono individuati alcuni stakeholders sulla base dei due criteri sopra citati definendo stakeholders “forti” quelli primari e “deboli” quelli secondari: Utenti Volontari Soci Lavoratori Finanziatori Benefattori Organizzazione Amministrazione locale Famiglie utenti Banche Fornitori Sindacati Stakeholder “forte” Reti no profit Comunità locale, religiosa,ecc. Stakeholder “debole” Fonte: Corso di Organizzazione Aziendale Progredito a.a. 2004/05 Facoltà di Economia di Genova. Analizziamoli ora uno alla volta partendo dagli stakeholders esterni: Clienti: i clienti sono uno dei soggetti che influenza maggiormente il risultato di creazione di valore economico 107 dell’impresa; le loro istanze devono essere tenute sempre ben presenti poiché, se il prodotto o servizio offerto non crea valore per tali soggetti e/o se il valore creato non si riflette in una disponibilità maggiore a rivolgersi all’impresa o in una disponibilità a pagare un maggior prezzo, l’impresa rischia di veder peggiorare la propria situazione economico – patrimoniale fino all’estremo limite di non poter più sopravvivere. I clienti sono perciò un soggetto di cui l’impresa non può trascurare le istanze anche se, ovviamente, tali istanze vanno considerate, ma non accettate ciecamente e ponderate con quelle degli altri soggetti che passeremo via via ad esaminare. Solitamente le istanze dei clienti sono la richiesta prodotti che li soddisfino sempre di più al prezzo minore possibile, ma ovviamente ciò si scontra con la necessità, da parte dell’impresa, di sopravvivere e prosperare creando valore non solo per tali soggetti, ma anche per gli altri portatori d’interesse legittimo ed in particolare per gli azionisti; certamente, però, creare valore per i clienti significa poter creare valore economico e quindi far sopravvivere e crescere l’impresa. Pubblica amministrazione: la pubblica amministrazione ha certamente un impatto rilevante sulle sorti di un impresa, infatti un cambiamento legislativo in una materia che incida sull’attività dell’impresa può portarle grandi benefici o severe perdite. Il rapporto con la pubblica amministrazione è 108 normalmente proattivo, l’impresa, cioè, avvalendosi della propria forza contrattuale che le deriva dai benefici sociali in termine di occupazione, contribuzione, ecc., tenta di conciliare le azioni della pubblica amministrazione nei suoi confronti con le proprie peculiarità, necessità e caratteristiche. A quanto detto possiamo aggiungere che normalmente la pubblica amministrazione, ed in particolar modo i suoi provvedimenti, e cioè l’impianto legislativo, danno un quadro di riferimento limitando, di fatto, le possibilità di scelta delle imprese, ma solitamente non pregiudicandone l’esistenza e la sopravvivenza. Ovviamente la rilevanza della pubblica amministrazione dipende anche dal sistema economico di riferimento: nel sistema americano, per esempio, la pubblica amministrazione interferisce il meno possibile con il mercato limitandosi a porre regole di base e generali e lasciando che la cosiddetta mano invisibile del mercato faccia il resto; all’opposto nei sistemi capitalistici dell’Europa continentale ed in quello giapponese l’intervento dello Stato, ed in generale della pubblica amministrazione e delle istituzioni in economia è la norma e non l’eccezione. Fornitori: i fornitori sono soggetti a dir poco rilevanti per la sopravvivenza e soprattutto per la prosperità dell’impresa; tali soggetti, come tutti quelli che abbiamo preso e prenderemo in esame, hanno delle istanze nei confronti dell’attività e della gestione dell’impresa. Ovviamente le loro 109 istanze sono legate al ruolo che ricoprono ed al loro rapporto con l’impresa che può spaziare da un rapporto occasionale ad un’integrazione logistico – organizzativa estrema, con rapporti intensi e prolungati nel tempo. E’semplice, a questo punto, affermare che, a seconda dell’intensità ed entità di tali rapporti, saranno differenti le istanze del fornitore stesso. La rilevanza dei fornitori nel perseguimento del fine ultimo dell’impresa si può notare in molti differenti ambiti, infatti tali soggetti sono responsabili del reperimento di materie prime, semilavorati, ecc. ; della qualità delle risorse su cui l’impresa potrà contare nello svolgimento della propria attività; dei tempi e dei modi di consegna delle suddette risorse; ecc. Tutto ciò, com’è evidente, può influenzare considerevolmente il successo e la sopravvivenza nel tempo di un’impresa. A titolo di esempio si può immaginare un vantaggio dell’impresa in caso di costi più bassi, tempi di consegna rapidi, coprogettazione dei semilavorati, qualità elevata delle risorse, ecc. ed il relativo svantaggio qualora i rapporti con i fornitori fossero caratterizzati da prezzi elevati, tempi di consegna lunghi, bassa qualità delle risorse fornite, ecc. Normalmente le istanze dei fornitori nei confronti dell’impresa si concentrano sul loro desiderio di ottenere condizioni più favorevoli, ma tali istanze sono frenate dalla necessità che l’impresa acquirente sopravviva e prosperi cosicché lo stesso fornitore possa sopravvivere e prosperare 110 con essa: ciò soprattutto nel caso in cui il mercato fosse ristretto ad un limitato numero di acquirenti. Associazioni: le associazioni hanno istanze di cui le imprese devono tener conto soprattutto laddove siano molto rappresentative e/o possano incontrare il favore di una larga parte dell’opinione pubblica 22 o delle istituzioni. Le istanze delle associazioni sono quelle dei gruppi di soggetti che le compongono e spesso si trovano a stridere con gli interessi economici delle imprese. Il peso di ogni associazione varia a seconda del contesto e del modo in cui, direttamente o indirettamente, possono influenzare il processo di creazione di valore economico e quindi i risultati, lo sviluppo ed al limite la sopravvivenza stessa dell’impresa. Enti locali: per quanto riguarda l’influenza delle istanze degli enti locali sulla sopravvivenza e prosperità dell’impresa vale quanto detto con riferimento alla pubblica amministrazione. Gli enti locali sono soggetti con cui l’impresa deve confrontarsi ogni giorno e che non può esimersi dal considerare nel decidere tra le diverse opzioni strategiche; le loro istanze sono perlopiù legate all’occupazione ed alla salvaguardia ambientale e della salute. Non avere un buon rapporto con gli enti locali o non considerarne le istanze può costare caro in termini di sopravvivenza dell’impresa per il ruolo potenzialmente molto rilevante che in alcuni casi ricopre il rapporto con l’area in cui l’impresa è collocata. 22 E quindi anche dei clienti. 111 Passiamo quindi ad analizzare gli stakeholders interni: Lavoratori: le istanze dei lavoratori devono essere prese in considerazione dall’impresa in particolar modo quando il processo produttivo richieda personale altamente qualificato e perciò difficilmente sostituibile e laddove i lavoratori siano uniti in sindacati particolarmente combattivi. Comunque le loro istanze devono essere prese in considerazione dall’impresa nel suo processo decisionale poiché si tratta di soggetti che sopravvivenza forniscono un dell’impresa. apporto essenziale Normalmente i alla lavoratori richiedono salari più alti, minori carichi di lavoro, maggiore sicurezza del e sul posto di lavoro, ecc. In realtà tali istanze presentano dei costi non indifferenti per l’impresa, ma nel caso in cui questa le ignori completamente può ritrovarsi a fronteggiare costi ancor più rilevanti come scioperi o, peggio ancora, la perdita di professionalità necessarie e difficilmente reperibili o formabili con conseguenze drammatiche dal punto di vista operativo. Inoltre rispondere alle istanze dei lavoratori permette all’impresa di migliorare la propria immagine e di attirare i migliori soggetti presenti sul mercato del lavoro. Azionisti: delle istanze degli azionisti abbiamo già accennato nel precedente paragrafo laddove si è affrontato il tema del rapporto fra creazione di valore per gli azionisti e sopravvivenza dell’impresa. Quanto detto può essere riassunto nella considerazione che creare valore per gli 112 azionisti sia essenziale per la sopravvivenza dell’impresa poiché lo stesso concetto d’impresa ha al suo centro la figura dell’azionista che si trova ad essere un soggetto avente un influenza enorme sulla sopravvivenza e la prosperità della stessa. A questo punto non resta che andare ad individuare, avendo già analizzato compiutamente gli effetti della soddisfazione o insoddisfazione dell’istanza di creazione del valore, le altre possibili istanze degli azionisti. Tra tali istanze quelle più comuni sono legate alla ricerca di trasparenza nella gestione, ad un’eguale dignità per azionisti di maggioranza e minoranza, alla distribuzione di dividendi maggiori, alla crescita del valore azionario in caso di azioni quotate, ad una governance che faccia, più in generale, gli interessi degli azionisti senza richieder loro elevati costi di controllo dell’operato dei manager, ecc. E’ evidente che tali istanze saranno tanto più tenute in considerazione dal management quanto più sarà elevata la sensibilità degli azionisti verso ciascuna tematica e, di conseguenza, le pressioni che tali soggetti eserciteranno per avere soddisfazione. 3.4.2 La relazione tra gli stakeholders e l’impresa Una volta classificati ed analizzati puntualmente gli stakeholders, e le loro principali istanze e rivendicazioni, si rende necessario 113 valutare la relazione intercorrente tra gli stessi e l’impresa con particolare riferimento a come l’impresa si ponga nei loro confronti. La relazione intercorrente tra gli stakeholders e l’impresa è differente a seconda che la stessa li veda come un’opportunità strategica piuttosto che un vincolo alla propria attività: esiste perciò una versione “soft” del rapporto, in cui i managers hanno la responsabilità di tener conto delle esigenze degli stakeholders per evitare che questi penalizzino l’impresa, ed una versione “hard” in cui gli stakeholders, in ragione delle loro “legittime pretese” nei confronti dell’organizzazione, hanno diritto a partecipare alle decisioni dell’impresa, e sono visti dalla stessa come una fonte strategica per il successo competitivo. In questo secondo approccio esiste, però, una complicazione che non può essere ignorata: abbiamo detto che gli stakeholders possono influenzare direttamente le scelte imprenditoriali prendendo parte al processo decisionale, ma alla fine il rischio d’impresa grava pur sempre sugli azionisti, perciò bisogna ben definire quali siano i limiti all’influenza degli stakeholders nel processo decisionale, limiti sorpassati i quali si sfocia in un irragionevole controllo delle scelte imprenditoriali da parte di soggetti terzi assolutamente inidonei, per definizione, ad effettuarle. 114 3.5 Il Libro Verde UE sulla CSR 3.5.1 Gli USA ed il ritardo europeo Il dibattito sulla Responsabilità Sociale d’Impresa nasce, come abbiamo visto, negli anni ‘70 negli USA trovando in quel contesto terreno più fertile che altrove a causa di: rigore delle regole, derivante dalla cultura di matrice protestante; incentivi del governo americano (U.S. Sentencing Commission’s Guidelines e “Foreign Corrupt Practice Act” del 1977); capitalismo maturo nel quale era già emersa l’insufficienza dell’interpretazione neo-classica a favore di una interpretazione di matrice sistemica. Il ritardo europeo in materia si accumula a causa di un sistema capitalistico non ancora sufficientemente maturo in cui i consumatori, e più in generale gli stakeholders diversi dagli azionisti di maggioranza, non avevano coscienza di poter intervenire o un peso sufficientemente rilevante sui risultati economico – finanziari delle imprese per poterle influenzare come avveniva negli USA. Per reagire al ritardo europeo la Commissione Europea sceglie, nel 2001, di utilizzare un Libro Verde per “Promuovere un quadro Europeo per la responsabilità sociale delle imprese” e di attivare l’“EU multistakeholders forum”. 115 3.5.2 Il libro verde UE: uno sguardo d’insieme Il libro verde UE, presentato dalla Commissione Europea nel 2001, è volto a promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese per colmare il divario dagli USA e per contrastare, tramite azioni di responsabilità sociale dei privati, la diminuzione della protezione sociale dovuta alla privatizzazione dei servizi pubblici in corso nell’Unione. Il libro verde incomincia con un sommario in cui si evidenzia come sempre più imprese, a livello europeo, stiano promuovendo azioni di responsabilità sociale in risposta ad una serie di pressioni sociali, ambientali ed economiche, e come lo scopo dello stesso libro verde sia d’inviare un segnale alle varie parti interessate, con le quali tutte le imprese hanno rapporti, e cioè lavoratori dipendenti, azionisti, investitori, consumatori, poteri pubblici e ONG, affinché le imprese stesse investano nel loro avvenire in modo volontario per aumentare la propria redditività tramite un’applicazione intensiva della responsabilità sociale nelle proprie scelte gestionali. Il libro verde è solo uno dei passi compiuti per adeguare la situazione europea a quella americana: infatti le azioni in tal senso iniziarono nel 1993, con l’appello del Presidente Delors alle imprese europee, in cui si chiedeva loro di prendere parte alla lotta contro l’esclusione sociale, e che si è tradotto in una forte mobilitazione e nello sviluppo di reti europee di imprese. Più di recente, nel marzo del 2000, il Consiglio europeo di Lisbona ha fatto appello più in particolare al senso di responsabilità delle 116 imprese nel settore sociale per quanto riguarda le buone prassi collegate all’istruzione ed alla formazione lungo tutto l’arco della vita, all’organizzazione del lavoro, all’uguaglianza delle opportunità, all’inserimento sociale ed allo sviluppo durevole. Nel libro verde la commissione prevede che, affermando la loro responsabilità sociale ed assumendo di propria iniziativa impegni che vanno al di là delle esigenze regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi, le imprese si sforzino di elevare la tutela assicurata dalle norme collegate allo sviluppo sociale, alla salvaguardia dell’ambiente ed al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, tramite l’adozione di un sistema di governo aperto ed in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessate nell’ambito di un approccio globale alla qualità ed allo sviluppo sostenibile. Un’azione delle imprese in questo senso porterà allo sviluppo di nuove partnership e di nuovi ambiti per le relazioni tra le stesse, in particolare per quanto riguarda il dialogo sociale, l’acquisizione delle qualifiche, l’uguaglianza delle opportunità e la previsione e la gestione del cambiamento. A livello locale o nazionale ciò avverrà tramite il consolidamento della coesione economica e sociale ed per effetto di una maggior protezione della salute mentre, in modo più generale, su scala planetaria, avverrà per la protezione dell’ambiente ed il rispetto dei diritti fondamentali. Tale concetto di responsabilità sociale è promosso essenzialmente dalle grandi 117 imprese, anche se prassi socialmente responsabili, spesso non formalizzate, si ritrovano in tutti i tipi di società, pubbliche e private, comprese le PMI e le cooperative. La Commissione Europea si preoccupa della responsabilità sociale delle imprese poiché essa potrebbe recare un contributo positivo all’obiettivo strategico definito a Lisbona per l’Unione stessa: “divenire l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile in quanto accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale”. Il Libro verde si propone, quindi, di lanciare un ampio dibattito sui modi nei quali l’UE potrebbe promuovere la responsabilità sociale delle imprese a livello sia europeo che internazionale, ed in particolare su come sfruttare al meglio le esperienze esistenti, incoraggiando lo sviluppo di prassi innovative, migliorando la trasparenza e rafforzando l’affidabilità della valutazione delle varie iniziative realizzate in Europa. 3.5.3 Il libro verde UE: i principi Il libro verde UE individua alcuni principi: Crescita economica, coesione sociale e tutela dell’ambiente sono dimensioni complementari e non scindibili (Consiglio europeo di Goteborg, 2001) Un nuovo ruolo delle imprese è richiesto da: 118 1. crescente sensibilità dei cittadini nelle scelte di consumo; 2. trasparenza della comunicazione e dell’informazione; 3. “inquietudini” in merito al deterioramento dell’ambiente. La responsabilità principale delle imprese è fare profitto, ma anche contribuire alla creazione di valore sociale come investimento strategico per il futuro poiché l’impresa, nel suo operare, “consuma” relazioni sociali e se vuole sopravvivere deve continuamente rigenerarle. 3.5.4 Il libro verde della UE: la definizione di CSR Il libro verde UE, affrontando il tema della definizione di cosa s’intenda per responsabilità sociale, afferma che la maggior parte delle definizioni della responsabilità sociale delle imprese descrivono questo concetto come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Essere socialmente responsabili significa, quindi, non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con gli altri stakeholders. L’esperienza acquisita con gli investimenti in tecnologie e prassi commerciali ecologicamente responsabili suggerisce che, andando oltre gli obblighi previsti dalla legislazione, le imprese possono aumentare la propria competitività. 119 L’applicazione di norme sociali che superino gli obblighi giuridici fondamentali, ad esempio, nel settore della formazione, delle condizioni di lavoro, o dei rapporti tra la direzione ed il personale, può avere, dal canto suo, un impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che consente di gestire il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale con una maggiore competitività. La responsabilità sociale delle imprese non dovrebbe tuttavia essere considerata come un sostituto alla regolamentazione o alla legislazione riguardante i diritti sociali o le norme ambientali, compresa l’elaborazione di una nuova normativa più adeguata laddove carente. Nei Paesi in cui tali regolamentazioni non esistono, gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla creazione di un contesto regolamentare o legislativo adeguato al fine di definire una base equa, a partire dalla quale potrebbero essere sviluppate le prassi socialmente responsabili. 3.6 Gli strumenti della RSI 23 3.6.1 Il Codice Etico In prima approssimazione, il codice etico 24 si definisce come la “carta d’identità costituzionale” dell’impresa: un documento che fissa i diritti ed i doveri morali di ogni partecipante 23 O CSR. Rispetto alla mission, i principi guida contenuti nel codice etico si riferiscono maggiormente a situazioni concrete e permettono una definizione più dettagliata delle politiche e delle norme di comportamento. 24 120 all’organizzazione imprenditoriale tramite principi e norme di comportamento. 25 Si tratta di un valido strumento gestionale che, attraverso un’esplicita definizione delle responsabilità etico – sociali degli stakeholder, e nei confronti di questi, permette di evitare eventuali conflitti tra l’impresa ed i suoi interlocutori interni ed esterni, generando un clima di fiducia e di collaborazione reciproca e favorendo l’implementazione etica nella loro azione. Il codice etico definisce in maniera esplicita gli impegni assunti dall’impresa in risposta alle attese degli stakeholder in tema di interessi fondamentali come: qualità del servizio/prodotto, tutela della salute, salvaguardia dell’ambiente, rispetto della persona, ecc. Si tratta di una sorta di patto sociale tra l’organizzazione stessa ed i suoi interlocutori. I motivi che conducono all’adozione di un codice etico possono essere visti come riconducibili a tre ordini di situazioni: corruzione diffusa o crisi generale di immagine: il codice etico serve per sostenere la reputazione dell’organizzazione; bisogno di identità e/o di nuova progettualità nelle fasi di fondazione e di trasformazione dell’organizzazione: il codice etico è impiegato come strumento di riconoscimento interno ed esterno della propria identità; necessità di regolamentazione della concorrenza: il codice etico si configura come mezzo per innalzare il livello di qualità etica all’interno di un settore fissando degli standard di comportamento. 25 www.bilanciosociale.it/codiceetico.html 121 Tale documento si caratterizza per un’estrema varietà di forme, estensioni e contenuti. E’perciò possibile individuare tre livelli principali di complessità e completezza dei codici etici: 1. Il livello “di base”, che è anche il primo in ordine cronologico, corrisponde all’enunciazione della “mission” o filosofia aziendale. Questa esprime i principi morali nei quali l’azienda crede, ovvero i suoi obblighi nei confronti delle varie categorie di stakeholder, interni ed esterni, ed il suo modo di porsi nel mondo degli affari. 2. Il livello intermedio, relativo al “credo” aziendale: si tratta di una serie di enunciazioni di carattere piuttosto ampio riguardo agli obiettivi aziendali nei confronti degli stakeholder, i principi morali cui l’azienda si ispira ed i suoi obiettivi economici. 3. Il livello più alto di complessità è quello dei codici etici “in senso stretto”, cioè caratterizzati dal fatto di includere norme di condotta piuttosto specifiche che raccomandano o vietano determinati comportamenti al management, fungendo da guida nelle situazioni concrete più delicate. I codici etici trovano applicazione in realtà organizzative molto diverse tra loro, tant’è che si possono classificare in funzione del tipo di organizzazione che li ha formulati; esistono infatti: codici etici di ordini professionali o codici deontologici; 122 codici etici quadro, di associazione o di categoria valevoli per un intero settore; codici etici di singole aziende. In definitiva non si riscontra un modello standard di codice etico poiché il contenuto e la forma dello stesso dipendono dai seguenti tre fattori: 1. natura ed identità dell’organizzazione; 2. settore di attività e ruolo assunto al suo interno; 3. motivi sottesi all’adozione del codice etico. Una spinta notevole all’adozione di codici aziendali fu determinata dagli scandali degli anni ’70 negli USA, che rivelarono una diffusa corruzione nel mondo imprenditoriale 26 . Adesso, negli Stati Uniti, secondo una serie di norme emanate a partire dal 1991 in materia di azioni criminali da parte delle imprese, la redazione di un codice etico permette di provare la buona fede dell’azienda, in caso di azioni legali contro la stessa da parte di terzi, facendole ottenere sconti sulle eventuali sanzioni. Questo è stato il principale motivo per cui l’85% delle principali imprese USA si è dotata di un codice etico. 27 26 La Security and Exchange Commission, il Dipartimento di Giustizia e l’Internal Revenue Service, infatti, scoprirono che un terzo delle 900 grandi aziende che erano state analizzate mantenevano “fondi neri” per il pagamento di pubblici ufficiali negli U.S.A. e all’estero. 27 Il Prof. Mendes, direttore dell’Human Rights Research and Education Centre dell’Università di Ottawa, ha effettuato una ricerca sui codici etici adottati da aziende canadesi ed americane a partire dagli anni ‘70, dalla quale emergono cinque “generazioni” di problemi connessi all’etica e alla responsabilità sociale: prima generazione: comportamenti irrazionali od illeciti del personale dipendente; seconda generazione: fenomeni di corruzione diffusa; terza generazione: diritti degli interlocutori interni ed esterni in relazione diretta con l’azienda; quarta generazione: protezione dell’ambiente e tutela degli interessi della comunità di riferimento; quinta generazione: obbligo di rendere conto e giustizia sociale. 123 Mentre, dunque, si assiste ad un forte proliferare di codici etici negli USA, altrettanto non può dirsi per l’Europa, e soprattutto per l’Italia, anche se è possibile constatare una crescente sensibilizzazione, da parte delle nostre imprese, al tema. 28 In particolar modo la prima grande impresa a dotarsi di un codice etico è stata la FIAT, nel “lontano” 1993. Per quanto attiene al contenuto dei codici etici è importante sottolineare come la tematica dei diritti e dei doveri dei dipendenti sia presente in quasi tutti i codici delle imprese europee, mentre nella realtà statunitense lo sviluppo di questo argomento risulti decisamente minore; d’altra parte, però, le relazioni con gli enti pubblici vengono trattate molto più diffusamente dai codici statunitensi, ovviamente a seguito della legislazione in materia. La struttura di tale strumento generalmente si sviluppa su cinque livelli: 29 1. la missione aziendale ed i principi guida che consentono di realizzarla; 2. le politiche organizzative e le norme di comportamento che regolano il “patto sociale” tra l’impresa ed i suoi stakeholder (patto di collaborazione e convivenza che ordina i rapporti biunivoci dell’impresa con l’ambiente interno ed esterno); 3. gli standard etici di comportamento: 1) principio di legittimità morale; 2) equità ed eguaglianza; 28 In Italia si registrano alcune esperienze come Comit, Coop Adriatica, ENI, FIAT, Glaxo Wellcome, ecc. 29 www.bilanciosociale.it/codiceetico.html 124 3) diligenza; 4) trasparenza; 5) onestà; 6) riservatezza; 7) imparzialità; 8) tutela della persona; 9) tutela dell’ambiente; 10) tutela della salute; 4. le sanzioni interne in caso di violazione delle norme del codice etico; 5. gli strumenti di attuazione dei principi contenuti nel documento: l’impresa è dotata di un apparato, di solito il Comitato Etico, che ha il compito di divulgare il codice etico nell’impresa, di controllarne il rispetto e di comminare le sanzioni. La costruzione del codice etico parte, quindi, dalla dichiarazione di identità e dei principi guida, per giungere alla definizione di precise politiche di comportamento. Questo passaggio richiede l’individuazione: dell’obiettivo del codice etico (requisito di eticità); dei motivi del ricorso a tale strumento; delle aree di rischio (situazioni, comportamenti e stakeholder da presidiare e regolamentare); del grado di dettaglio (generale o specifico). 125 Secondo S.C.S. Consulting,30 una società di consulenza italiana, i passi per attuare il codice di responsabilità dell’azienda sono: Verifica dell'esistenza o costruzione ad hoc di atti formali o dichiarazioni che definiscono la missione o il campo valoriale tipico dell'impresa; Determinazione dei criteri di comportamento considerati emblematici e costruzione di una bozza di riferimento; Diffusione del codice in bozza all'interno dell'organizzazione come momento di discussione su principi, obiettivi e stili dell'organizzazione, successiva correzione, precisazione e varo formale; Identificazione delle procedure attuative e delle istituzioni interne o esterne aventi il compito di garantire la diffusione ed il rispetto del codice; Impostazione del piano di comunicazione e del sistema informativo per valutare gli effetti dell’introduzione ed applicazione del codice. Passando ad esaminare le esperienze in campo internazionale, spicca innanzitutto la lunga esperienza dell’organizzazione no profit statunitense Ethics Resource Center 31 : nata nel 1977 con lo scopo di promuovere comportamenti etici negli individui e nelle istituzioni, il suo lavoro si sviluppa con la diffusione del codice etico per le imprese, con pubblicazioni di documenti educativi tesi alla promozione di un comportamento etico e con il conferimento di attestati annuali d’eccellenza in tema di etica. Ogni anno l’ERC 30 31 www.smaer.it www.ethics.org 126 diffonde una mappatura aggiornata delle imprese USA che adottano norme etiche al loro interno. Sempre nel continente americano è di notevole interesse il lavoro compiuto dalla canadese EthicScan 32 : l’organizzazione si concentra sulla ricerca e la valutazione delle performance etiche, ambientali e sociali delle maggiori 1.500 imprese operanti in Canada pubblicando periodicamente un documento informativo sulle performance di queste aziende. Come nel caso di Council of Economic Priorities (CEP) negli Stati Uniti, EthicScan pubblica una guida al consumo etico sui prodotti venduti nei supermercati canadesi. Ethics in Action 33 è invece un’organizzazione canadese creata a Vancouver che analizza la responsabilità sociale delle imprese nella convinzione che la sostenibilità ambientale e sociale misurata a lungo termine sia l’elemento di forza della qualità della vita presente e futura. La sostenibilità socio-ambientale, secondo Ethics in Action, si può raffigurare come un puzzle nel quale sono inseriti diversi costituenti: protezione ambientale; business ethics e codice etico; sviluppo delle comunità attraverso la mutualità; relazioni internazionali nel diffondere standard sociali, etici e ambientali; regolamentazione dei rapporti di lavoro ed integrità morale; 32 33 http://www.ethicscan.ca/ www.ethicsinaction.com 127 responsabilità fiscale e valutazione delle performance etiche delle imprese. Ethics in Action conferisce annualmente degli Awards alle imprese e ad individui che si sono distinti nell’implementazione della responsabilità sociale. Con molte analogie rispetto al codice etico, secondo Bureau Veritas Quality International, 34 nasce, nel 1991, negli Stati Uniti, il primo Codice di condotta (Code of conduct). Questo codice è stato introdotto dalla compagnia Levi’s in seguito a pressioni esterne da parte dell’opinione pubblica per migliorare e rendere trasparenti le filiere di produzione, soprattutto quelle provenienti dal cosiddetto Terzo mondo. Il codice di condotta può essere di provenienza esterna o costituito all’interno dell’impresa e generalmente riguarda il rispetto dei diritti umani. Ad oggi esistono centinaia di tipologie di codici di condotta che si adattano alle molteplici specificità produttive, culturali e merceologiche delle imprese sparse per il mondo. Il codice di condotta è uno dei metodi più utilizzati dalle compagnie transnazionali per rassicurare sul rispetto dei diritti umani e dei lavoratori da parte delle proprie filiali dislocate nei paesi in via di sviluppo. L’esigenza di un cambiamento caratterizzato dalla considerazione dei valori etici e morali è stata percepita anche dal mondo finanziario: alcuni istituti di credito e società finanziarie si stanno, infatti, dotando di strumenti appropriati per far fronte alla domanda di solidarietà proveniente dalla società civile. L’esempio italiano di 34 www.bvqina.com 128 credito totalmente dedicato alla crescente domanda di finanza solidale è quello della Banca popolare etica. La Banca etica nasce nel 1998 Padova: alla sua costituzione contava già ben 13.000 soci ed oltre 13 miliardi di lire di capitale sociale. Gli ambiti prioritari d’intervento delle banche etiche, e nello specifico della Banca popolare etica, sono la cooperazione sociale, la cooperazione internazionale, il settore dei beni culturali e dell’animazione culturale ed, in particolare, il settore della tutela ambientale. Tuttavia, nonostante il crescente sviluppo del privato sociale e delle richieste di un sistema finanziario più etico, nel complesso non si può ancora parlare di una vera e propria rete di credito etico. Appare opportuno, infine, concludere il nostro discorso sul codice etico mettendone in risalto gli aspetti più problematici: Nella formulazione è necessario definire bene a chi assegnare le procedure di valutazione dell’attuazione del codice e di giudizio sulle sue infrazioni: l’alternativa è tra la struttura gerarchica che abitualmente gestisce l’impresa ed una struttura indipendente. Nella prima ipotesi vi è il vantaggio che la linea gerarchica dovrebbe trovarsi nelle condizioni ottimali dal punto di vista dell’informazione, ma ovviamente non può essere garantita l’imparzialità di giudizio 35 ; Condividendo l’opinione di Epstein e Weller appare opportuno sviluppare l’adesione volontaria dei dipendenti e del management al codice. Quest’ultimo dovrebbe essere promulgato solo dopo un’ampia consultazione democratica 35 Una ipotesi di soluzione, formulata da Sacconi, consiste nell’istituire una struttura interna, dotata della necessaria autorità di giudizio in materia di attuazione del codice etico, ma diversa da quella che assume le decisioni ordinarie di gestione. 129 tra tutti i dipendenti dell’impresa e dovrebbe essere elaborato da una commissione nella quale siano presenti i rappresentanti di tutte le categorie che dovrebbero sottostare alle sue norme; inoltre, con le stesse modalità, dovrebbe essere periodicamente aggiornato. 3.6.2 La rendicontazione etico - sociale La rendicontazione sociale registra uno sviluppo non omogeneo nei vari Paesi a causa della diversa influenza dei fattori ambientali che l’hanno originata quali: i processi di sviluppo economico-sociale; il miglioramento delle condizioni lavorative; la partecipazione diretta all’organizzazione economica grazie all’innalzamento del livello d’istruzione; la pressione esercitate da gruppi d’interesse di vario tipo come associazioni di consumatori, organizzazioni sindacali, ecologisti, partiti politici, ecc. In via preliminare, per meglio qualificare il concetto di rendicontazione sociale, si può paragonare il rapporto tra impresa e società al contratto di agenzia: il principale impartisce precise istruzioni all’agente, indicandogli quali azioni compiere, conferendogli il necessario potere, assegnandogli le conseguenti responsabilità e remunerandolo adeguatamente: l’agente dovrà poi informarlo circa l’andamento ed i risultati delle azioni compiute. Allo stesso modo l’impresa, dopo aver ottenuto dall’ambiente le 130 risorse ed il potere necessario per esercitare la propria attività, sarà tenuta ad informarlo sulle conseguenze e sugli esiti di tali attività. Questo genere di informazioni è stato definito accountability o rendicontazione. La rendicontazione sociale è, quindi, quella parte di accountability che riguarda strettamente le responsabilità sociali dell’azienda e che mira a misurare l’impatto del comportamento dell’impresa sulla società. In considerazione di ciò gli obiettivi fondamentali della rendicontazione sociale sono: fornire ai soggetti esterni informazioni che permettano di giudicare le performance sociali dell’impresa; fornire al management informazioni che consentano la definizione delle strategie sociali dell’azienda; verificare le assunzioni di responsabilità sociale dell’impresa ed il clima sociale in cui essa vive per effetto dell’accettazione/rifiuto del proprio ruolo sociale; identificare e quantificare il contributo sociale netto dell’impresa: contributo dato non solo da costi e ricavi interni, ma anche da quelli provenienti dalle esternalità positive e negative. 36 Come vedremo sarà quest’ultimo punto a sollevare le maggiori problematiche per quel che attiene il processo di quantificazione. A livello internazionale non esiste un’unica definizione di rendicontazione sociale a causa delle non uniformi prospettive con cui è considerato il rapporto tra impresa e società. Preston, infatti, 36 Bartolomeo: “La contabilità ambientale d’impresa”, il Mulino, Bologna, 1997, p. 353. 131 identifica le diverse concezioni del rapporto tra impresa e società in: 37 1. Istituzionale: l’impresa è concepita come elemento di un più vasto e complesso sistema istituzionale, avente una propria storia ed evoluzione. In base a questa impostazione il bilancio sociale ha il compito di analizzare l’intera gamma di rapporti che si instaurano tra l’impresa ed il suo ambiente. 2. Organizzativa: si focalizza sull’interno della vita aziendale ed in particolar modo sulla sua organizzazione, anche in relazione alle sue interazioni con l’ambiente. Tale approccio è stato seguito dalla scuola di Harvard per elaborare un modello di bilancio sociale definito “process audit”: un documento ad uso imprenditoriale interno e quindi non finalizzato ad obiettivi informativi, ma ad incrementare le competenze manageriali in campo sociale. 3. Filosofica: si tratta di un approccio nettamente prescrittivo – normativo che individua la finalità sociale dell’impresa: quest’ultima, secondo i fondamentalisti, consiste interamente nel soddisfare le richieste di mercato; di conseguenza non si sviluppano specifiche forme di bilancio sociale se non per esigenze di trasparenza e di qualità informativa. Secondo gli etici dell’impresa, invece, la finalità 37 Rusconi: “Il bilancio sociale d’impresa”, Giuffrè, Milano, 1988, p. 22. 132 sociale dell’impresa consiste nel perseguire precisi obiettivi morali nell’ambito della società civile: in questo caso il bilancio sociale diventa un modello di valutazione complessiva delle attività aziendali elaborato a partire dai codici etici. Le prime esperienze concrete di rendicontazione sociale risalgono agli inizi degli anni ‘70 e da allora si sono alternati diversi approcci teorici come quelli che propongono una visione sistemica dell’impresa e della società, secondo cui l’impresa interagisce non soltanto con il proprio mercato di riferimento, ma anche con la società, oppure quelli che sostengono l’esigenza di due distinti ambienti sociali: uno interno, cioè quello del mercato di riferimento, ed uno esterno, cioè la società. Negli Stati Uniti la massiccia presenza di movimenti ambientalisti e di difesa dei diritti dei consumatori ha sollecitato i grandi gruppi imprenditoriali a divulgare informazioni sui riflessi sociali delle loro attività. In tale contesto il bilancio sociale è ispirato da una responsabilità esterna ed assume diverse configurazioni a seconda degli scopi sottesi alla sua redazione cui seguono altrettanti sviluppi operativi 38 : 1. Contabilità e valutazione dell’impatto dei programmi di responsabilità delle imprese: si tratta della tenuta dei conti sulle spese per specifici programmi sociali aziendali e della valutazione dei loro effetti; 38 Nel 1976 una Commissione dell’American Accounting Association elencò sei definizioni di Bilancio Sociale rappresentative dei diversi orientamenti diffusi negli Stati Uniti. 133 2. Contabilità delle risorse umane: corrisponde al calcolo del valore del capitale umano impiegato, sulla base di opportune capitalizzazioni; 3. Misurazione dei costi sociali selezionati: consiste nella scelta e nella verifica di alcuni costi sociali significativi per l’impresa e la società civile; 4. Misurazione dell’impatto dell’attività d’impresa sulla società: si tratta della valutazione contabile dell’impatto che l’impresa esercita sulla società civile durante lo svolgimento della sua attività; 5. Rendiconto sociale: rendiconto dei risultati secondo le accezioni 1-4; 6. Contabilità per programmi pubblici. Nel Regno Unito, fin dai primi anni ‘70, il mondo imprenditoriale si è dimostrato sensibile alla redazione di un bilancio sociale per esprimere il livello di soddisfacimento dei valori socio – ambientali, anche perché era diffusa la convinzione che la responsabilità sociale d’impresa non inficiasse il conseguimento del profitto. Si trattava, comunque, di una responsabilità sociale avvertita con riferimento all’ambiente esterno e non nei confronti dei propri dipendenti. A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 si è manifestato, inoltre, un grande interesse per lo studio della produzione e distribuzione del valore aggiunto, tematica che si è sviluppata al punto da divenire la principale area di attività di contabilità sociale nel Paese. Nel Regno Unito manca una disciplina legislativa unitaria del bilancio sociale, tuttavia si registrano specifiche normative che 134 interessano singoli aspetti del sociale e sono molto diffusi i codici di comportamento aziendale. In Germania il bilancio sociale si compone di tre sezioni 39 : 1. Rapporto sociale: consistente nell’esposizione discorsiva, corredata da materiale statistico, degli effetti delle attività d’impresa socialmente rilevanti; 2. Calcolo del valore aggiunto prodotto e distribuito; 3. Contabilità sociale: vale a dire l’esposizione in cifre delle attività e degli utili sociali quantificabili di un’impresa nel corso di un periodo contabile. Le scuole anglosassone e tedesca, dunque, concepiscono il bilancio sociale come un documento la cui componente essenziale è il calcolo del valore aggiunto prodotto e distribuito che si ottiene da un processo di riclassificazione del conto economico sottraendo dal valore dei ricavi netti i costi sostenuti per l’acquisto di beni e servizi all’esterno dell’impresa e valutando la loro ricaduta esterna. In questo modello il valore aggiunto si ricava dal bilancio d’esercizio: si realizza così un sistema di contabilità sociale derivato dalla contabilità economico – patrimoniale. In Francia 40 già dai primi anni ‘60 il bilancio sociale costituiva oggetto di studio nei centri di ricerca, che ne individuavano la tipica composizione, e nelle realtà aziendali, che lo impiegavano come strumento informativo rivolto inizialmente a scopi di pubbliche relazioni (uso esterno) ed in seguito anche al personale (uso 39 40 Secondo l’impostazione del gruppo tedesco Sozialbilanz Praxis. Pulejo: “Esperienze in tema di bilancio sociale. Il modello Francese”, Giappichelli, Torino, 1996, pp. 55-59. 135 interno). Le istituzioni pubbliche, con l’emanazione della legge n. 77-769 del 1977, si rivolsero al bilancio sociale per risolvere i problemi legati ai conflitti nelle relazioni interne all’impresa. Il legislatore francese concepisce il bilancio sociale come uno strumento, funzionale al reale miglioramento delle condizioni di lavoro, che riassume in cifre i principali dati che consentono di valutare l’azione sociale dell’impresa. L’intervento legislativo è in realtà il risultato di un processo di riflessione sul significato e sul contenuto del bilancio sociale 41 , infatti ancora oggi questa normativa fissa i principi guida per la compilazione di un bilancio sociale in: contenuto (articolato in sette capitoli: impiego; remunerazioni ed oneri accessori; condizioni di igiene e sicurezza; altre condizioni di lavoro; formazione; relazioni professionali; altre condizioni di vita dipendenti dall’impresa); specifici indicatori per singoli settori produttivi; 42 soggetti obbligati alla sua redazione (imprese con più di 750 dipendenti e, dal 1982, quelle con più di 300 dipendenti); destinatari del documento (delegati sindacali, ispettori del lavoro, azionisti e dipendenti). 41 Avviato ufficialmente nel 1975 con il rapporto di Pierre Sudreau sulla riforma delle imprese che individua alcuni indicatori relativi alle condizioni di lavoro del personale dipendente. 42 “La lista degli indicatori varia in base a tre criteri: il livello nel quale si colloca il bilancio; la dimensione dell’impresa o dello stabilimento ( numero di dipendenti); il settore di appartenenza” in Pulejo: “Esperienze in tema di bilancio sociale. Il modello Francese”, Giappichelli, Torino, 1996 136 In conclusione, la scuola francese ha elaborato un bilancio sociale come strumento tecnico ed operativo più per la verifica delle azioni rivolte al personale e non tanto come strumento manageriale. A livello comunitario la responsabilità sociale d’impresa, con particolare riferimento alla tutela ambientale, si concretizza nelle disposizioni introdotte dal Regolamento CEE n. 1836 del 1993 sull’adesione volontaria delle imprese del settore industriale ad un sistema comunitario di ecogestione e di audit ambientale. In Italia le esperienze di rendicontazione orientate alla socialità sono ancora in numero ridotto, anche se crescente, soprattutto con riferimento alle imprese non quotate ed in genere alle PMI: comunque, spesso, è possibile desumere informazioni di natura socio – ambientale dalle relazioni degli amministratori allegate al bilancio ordinario d’esercizio. Trascurando i fenomeni peculiari e le pressioni che hanno interessato i vari Paesi trattati si può notare che la contabilità sociale d’impresa è stata sollecitata da un generale senso d’insoddisfazione nei confronti dei tradizionali sistemi di comunicazione d’impresa e dalla voglia di meglio poter controllare le azioni e le relative responsabilità socio – ambientali delle imprese. 137 3.7 Sistemi di gestione della qualità sociale e certificazione 3.7.1 Standard di rendicontazione sociale della CSR: la certificazione SA 8000 Quando parliamo di responsabilità sociale d’impresa, non dobbiamo far riferimento ai soli comportamenti interni all’azienda, ma occorre prendere in considerazione l'intera catena produttiva. Da ciò si evince che anche l’attività di un fornitore o subfornitore andrà attentamente monitorata per individuare eventuali comportamenti socialmente irresponsabili come, per esempio, l’utilizzo di lavoro minorile, carenze nelle condizioni d’igiene e sicurezza, ecc. Al giorno d'oggi fornitore e committente operano, infatti, sempre più a stretto contatto fra loro: si pensi, ad esempio, alla cosiddetta “comakership”, ossia alla co-progettazione di parti del prodotto finito. La conseguenza è che il fornitore si trova indotto a conseguire livelli sempre più alti di efficienza: in questo contesto l’impresa socialmente corretta dovrà evitare d’incoraggiare il proprio fornitore a raggiungere tale obiettivo a scapito dei diritti dei lavoratori o violando le norme di sicurezza degli impianti o addirittura sfruttando la manodopera minorile. In definitiva l’impresa potrà essere condannata dagli stakeholders anche per dei comportamenti ad essa non direttamente imputabili, ma sui quali 138 esiste una suo più o meno forte coinvolgimento. 43 Emblematico, al riguardo, è il caso della Benetton che in passato è stata accusata dai mass-media di incentivare, seppur indirettamente, condizioni di lavoro eticamente disprezzabili ricorrendo, attraverso i fornitori, al lavoro dei bambini in Paesi a basso reddito pro capite. Ciò ha condotto dapprima ad una vertenza con i sindacati e successivamente alla firma di un protocollo d’intesa con le rappresentanze sindacali italiane e turche attraverso il quale l'azienda si assume la responsabilità dell'intero ciclo manifatturiero, impegnandosi: a garantire che nessun bambino al di sotto dei 15 anni verrà impiegato in alcun lavoro; a rispettare le pari opportunità; a porre in essere trattamenti contrattuali senza distinzione di sesso, razza, religione e ideologia; ed infine ad interpretare concretamente il diritto alla sicurezza ed alla salute attraverso adeguate coperture assicurative ed attraverso specifiche norme di sicurezza sociale. 44 Per dare una risposta concreta al problema suddetto, il Council of Economic Priorities (CEP) ha fondato, nel 1997 il Council of Economical Priorities Accreditation Agency (CEPAA), ora divenuto Social Accountability International (SAI), con lo scopo di guidare lo sviluppo di standard internazionali di verifica e di certificazione della qualità del lavoro da parte delle imprese. Questo istituto no profit affiliato a CEP è nato per: “Sviluppare, stabilizzare e verificare l’implementazione di standard volontari di responsabilità sociale volti a consentire alle aziende di garantire ai 43 Chiesi, Martinelli, Pellegatta: “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pagg.102 – 103. 44 Protocollo d’intesa Benetton, Filta-Cisl, Filtea-Cgil, Uilta-Uil del 15 ottobre 1998. 139 propri clienti che i loro prodotti siano fabbricati in condizioni lavorative umanamente accettabili”. 45 Social Accountability International ha istituito il Social Accountability 8000 (SA8000), uno standard certificabile che assicura il rispetto di una serie di diritti umani fondamentali nello svolgimento delle attività produttive. 46 Lo sviluppo dello standard SA8000 è avvenuta grazie all’opera di un gruppo di lavoro composto da esperti di organizzazioni governative e non, da associazioni che tutelano i diritti umani e dell'infanzia, da imprese che investono in modo socialmente responsabile, da società di certificazione e da imprese for profit. Gli studi condotti da CEP e da SAI sui codici di condotta utilizzati da parte delle imprese nei confronti dei dipendenti hanno portato a riconoscere i limiti di queste regolamentazioni. Gli oltre trent’anni di esperienza di CEP nei codici di comportamento possono attestare la difficoltà di monitorarli e soprattutto di renderli efficaci. Proprio con l’intento di fornire risposte più efficaci ed efficienti al problema delle condizioni sul lavoro, SAI ha sviluppato Social Accountability 8000: “Questa norma non nasce nello stesso modo in cui si sono sviluppate le certificazioni tecniche come per esempio le ISO 9000, cioè da parametri stabiliti da comitati di esperti nazionali di un settore specialistico, che formalizzano tali scelte in norme da far condividere a livello nazionale ed internazionale percorrendo un lungo ciclo che si allarga dall'Europa (EN) fino al mondo (ISO, 45 www.sa-intl.org/ Chiesi, Martinelli, Pellegatta: “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pag. 30 46 140 International Organization for Standardizations)”, 47 bensì viene designata per la certificazione da parte di un organismo indipendente. SA8000 unisce alle strategie di mercato del controllo della qualità, contemplate negli standard internazionali, elementi, considerati prioritari dagli esperti di diritti umani, riunendoli nella rendicontazione sociale. Gli aspetti caratteristici di SA8000 sono l’assistenza a consulenti ed a manager d’azienda, il rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro ed infine la certificazione e la verifica delle performance sociali: un’impalcatura di responsabilità etico-sociali destinata a compagnie di ogni tipo e dimensione in tutto il mondo. SA8000 è basato sui principi e sulle norme internazionali delineate nella Convenzione internazionale del lavoro, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e nella Dichiarazione universale sui diritti umani. Social Accountability 8000 misura la performance delle imprese in otto aree essenziali: 48 1) lavoro minorile: l’impresa non può assumere dipendenti con età inferiore ai 15 anni salvo esenzioni specifiche concesse dalla convenzione OIL 138; 2) lavoro forzato: il lavoratore deve accettare liberamente e senza costrizioni di sorta l’impiego nell’impresa; 47 http://www.bilanciosociale.it/sa.html Chiesi, Martinelli, Pellegatta, “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pag. 30. 48 141 3) salute e sicurezza: l’impresa è obbligata ad offrire condizioni che non compromettano la salute o la sicurezza dei lavoratori; 4) libertà di associazione e diritto di contrattazione collettiva: iscrizione libera al sindacato da parte dei lavoratori, nonché possibilità di organizzare le contrattazioni riguardanti la qualità del lavoro; 5) discriminazioni: nessuna forma di discriminazione, sia essa fondata su razza, sesso, religione, posizione sociale, handicap, appartenenza ad un determinato partito politico, può ostacolare la vita lavorativa nelle sua totalità; 6) procedure disciplinari: l’impresa non può utilizzare forme di punizione corporale o verbale nei confronti dei dipendenti; 7) orario di lavoro: massimo di 48 ore settimanali, con possibilità di 12 ore di straordinario aggiuntivo. Ci deve essere almeno un giorno libero ogni sette giorni; 8) livello salariale minimo: gli stipendi ed i salari devono rispettare i contratti nazionali fissati per legge o quelli di categoria. Per i Paesi in via di sviluppo le retribuzioni devono poter salvaguardare il soddisfacimento dei bisogni primari. Non si possono commutare trattenute salariali per motivi disciplinari. 142 Attraverso la certificazione SA8000 il Social Accountability International ingloba tutti questi valori nel modello di gestione delle responsabilità sociali. 49 Un'azienda socialmente responsabile è un'azienda che s’impegna al rispetto delle regole di etica lavorativa e ricusa apertamente condizioni operative considerate disumane. SAI ha avviato il programma SA8000 proprio per consentire alle aziende di garantire ai propri clienti che i loro prodotti siano fabbricati in condizioni lavorative umanamente accettabili. Il programma SA8000 riconosce le diverse realtà dei vari settori merceologici e per questo propone due direzioni alternative. Infatti, il processo d’accreditamento delle imprese applicato da SAI attraverso lo standard SA8000, si biforca a seconda che l’impresa sia produttrice o intermediaria di un determinato bene/servizio. Se l’attività riguarda la vendita al dettaglio è possibile diventare SOCIO SA8000 annunciando pubblicamente l’impegno nella ricerca di fornitori eticamente responsabili e fornendo loro assistenza affinché gli stessi soddisfino gli standard internazionali. Quando si tratta di produttore o fornitore c’è, invece, la possibilità di adottare un programma che s’adegui alla CERTIFICAZIONE SA8000: inizialmente dietro debita formazione, successivamente tramite la verifica di eleggibilità da parte di un revisore di certificazione accreditato dalla SAI. 49 Così si esprime Geoffrey Chandler, presidente di Amnesty International: “SA8000 è un importante meccanismo per far sì che le pratiche del mondo degli affari si allineino sempre più ai valori della società… Attraverso l’auditing di elementi aggiuntivi rispetto ai criteri finanziari, SA8000 permetterà alle imprese di dare, per la prima volta, un significato concreto al concetto di stakeholder, e non una semplice adesione formale vuota di contenuti”. 143 Per le grandi aziende produttrici che si occupano direttamente delle proprie vendite è disponibile la soluzione combinata: adesione come socio e certificazione degli stabilimenti interessati. In concreto il processo di certificazione SA8000 prevede i seguenti passi: 50 preparazione alla certificazione: deve essere definito, da parte dell’impresa, un manager responsabile della conduzione di SA8000; implementazione: prevede la formazione del personale e la messa per iscritto delle procedure che l’azienda adotta per l’adeguamento allo standard; pre-audit: l’impresa svolge una specie di simulazione al suo interno per verificare che tutti i requisiti richiesti da SAI siano conformi ad SA8000; audit: una società Accountability di revisione International accreditata verifica da Social l’adeguamento allo standard; sorveglianza e monitoraggio: la certificazione ottenuta non è valida per tutta la vita dell’impresa; essa deve essere periodicamente monitorata dall’esterno e finalizzata al miglioramento continuo. Un numero sempre crescente d’imprese è attualmente seguito nel proprio adeguamento agli standard proposti da SA8000 e molte sono in lista per entrare in questo alternativo codice di responsabilità sociale. 50 Chiesi, Martinelli, Pellegatta, “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pag. 30. 144 3.7.2 Standard di riferimento per la rendicontazione sociale: AA 1000 L’AccountAbility 1000 (AA1000) è uno standard sviluppato a partire dal 1999 dall’Institute for Social and Ethical Accountability (ISEA), un istituto di accreditamento e certificazione con sede in Gran Bretagna. Si tratta di un’organizzazione fondata nel 1996 e costituita da membri internazionali. I suoi scopi generali sono di favorire la responsabilità sociale ed il comportamento etico della comunità economico-finanziaria attraverso: la promozione di migliori pratiche di accounting, auditing e reporting sociale ed etico; lo sviluppo di standard internazionali e di procedure di accreditamento nel campo professionale. L’attività di social and ethical accounting, auditing e reporting, rappresenta il processo attraverso il quale si può valutare, comunicare e migliorare la performance etica e sociale di un’impresa, misurando l'impatto sociale delle sue attività, ed il livello etico dei suoi comportamenti organizzativi, in relazione ai suoi scopi ed a quelli dei suoi stakeholder. In altre parole si tratta dell’attività di rendicontazione, certificazione e comunicazione etica e sociale; più precisamente: 51 51 Chiesi, Martinelli, Pellegatta: “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pag. 54 - 55. 145 l’accounting indica la creazione di una “contabilità” per misurare la performance etico-sociale dell’impresa, mediante indicatori quantitativi e valutazioni di carattere qualitativo; l’auditing rappresenta la possibilità che terzi verifichino il processo di raccolta delle informazioni, nonché la loro veridicità e completezza. 52 il reporting, infine, indica la pubblicazione di un documento con cui l’impresa informa tutti gli stakeholder circa la propria performance etico - sociale. Il principio fondamentale sul quale si basa l’AA 1000, e dal quale discendono poi gerarchicamente tutti gli altri, è quello dell’accountability, ossia la capacità di “render conto”, di “spiegare” o dare giustificazione delle azioni ed omissioni delle quali l’impresa è responsabile verso quanti hanno un interesse legittimo nei suoi confronti”. 53 Per poter rendere efficacemente conto del proprio operato, l’impresa deve altresì soddisfare i seguenti principi di qualità, che sono diventati parte fondamentale nell’implementazione dell’AA1000. Essi sono: 54 Completezza: nessuna area di attività deve essere esclusa dalla valutazione etica e sociale. Confrontabilità tra performance sociali dell’impresa in diversi periodi e rispetto a quelle di altre aziende. 52 I principi base da rispettare da parte del social auditor (verificatore) sono: integrità, obiettività ed indipendenza, competenza professionale, comportamento professionale (rigore, giudizio, chiarezza), riservatezza, adeguata attenzione agli stakeholder (http://www.bilanciosociale.it/accountability.html). 53 Chiesi, Martinelli, Pellegatta: “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pag. 59. 54 Chiesi, Martinelli, Pellegatta, “Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d’impresa”, il Sole 24 Ore, Milano, 2000, pagg.59-60. 146 Inclusività delle opinioni e delle valutazioni degli stakeholders: la voce di tutti gli interlocutori sociali deve emergere chiaramente ed in modo paritetico. L’obiettivo è quello di costruire relazioni stabili con gli stakeholder. Qualità dell’informazione: le informazioni devono risultare affidabili, comprensibili e significative. Regolarità e tempestività: l'attività deve essere regolare, sistematica e tempestiva. Comunicazione: l’impresa deve pubblicare il suo rapporto finale e quello del social auditor esterno, rendendoli altresì facilmente accessibili a chiunque ne faccia richiesta. Verifica esterna: il social auditor, cui si è fatta menzione nel punto precedente, è investito del compito di verificare la qualità del processo di Seaar. Integrazione nei sistemi di gestione: l’attività di Seaar non deve essere vissuta come un’attività separata, ma bensì va integrata nei normali sistemi operativi e gestionali. Miglioramento continuo. La struttura di AA1000 è frutto dell'evoluzione nei processi di bilancio, auditing e reporting etico dovuti alla pratica, alla loro applicazione concreta, all'elaborazione di studiosi ed a standard già esistenti. Si tratta di un modello in evoluzione continua che propone di migliorarsi nel tempo e di adattarsi alle nuove sfide che incontrano le imprese. Questo standard, che a differenza di quelli analizzati nei precedenti paragrafi è caratterizzato dalla centralità di tutti gli stakeholder, vuole assistere le aziende nel definire obiettivi 147 ed indirizzi nonché favorire certificazione e processi di implementazione, rendicontazione delle loro performance etico- sociali. AA1000 non è uno standard certificabile, ma uno strumento per incoraggiare l'innovazione sui principi chiave di qualità, fornendo garanzie agli stakeholders; sotto questo aspetto si può parlare di una serie di linee guida. Le indicazioni proposte da AA1000 vogliono strutturare un utile impalcatura su cui le imprese creano e misurano le proprie performance sociali, facilitando la comprensione ed il giudizio da parte degli stakeholders. ISEA sviluppa questo standard per rendere unificanti, veritieri e comprensibili per un pubblico più esteso le valutazioni sociali elaborate dalle imprese. Due sono le possibilità di utilizzo: 55 come integrazione e rafforzamento della qualità di standard di contabilità specializzata; come sistema e processo autonomo per gestire e comunicare la performance e la responsabilità sociale ed etica. L’AA 1000 non è uno standard di performance, bensì di processo: ovvero specifica i processi che un’organizzazione dovrebbe seguire per rendere conto della sua performance, e non i livelli di performance che dovrebbe raggiungere. Esso si articola in cinque fasi che si sviluppano prevalentemente in maniera lineare, anche con possibilità di ripetizione: Planning. Vengono definiti gli obiettivi sociali ed etici dell'organizzazione e vengono identificati gli stakeholders. 55 http://www.bilanciosociale.it/accountability.html 148 Accounting. Viene stabilito lo scopo del processo, vengono raccolte ed analizzate le informazioni, identificati gli indicatori e gli obiettivi, sviluppato un piano di miglioramento. Auditing e reporting. Viene realizzata una comunicazione scritta o verbale (report) da sottoporre agli stakeholders per ottenere il necessario consenso. Embedding. Vengono istituiti sistemi (raccolta e gestione delle informazioni, implementazione dei valori, audit interna), al fine di rafforzare il processo e integrarlo nel migliore dei modi; Stakeholder engagement. L'impresa in tutte le fasi del processo rimane in stretto collegamento con i suoi pubblici. L’ Institute for Social and Ethical Accountability elenca anche le diverse utilità apportate da AA1000: consente di misurare gli indicatori chiave di performance sociale; migliora la gestione della qualità nei rapporti con gli stakeholders; favorisce il rapporto con il personale dipendente; accresce la fiducia degli stakeholders esterni; migliora ed aiuta a mantenere buoni i rapporti di partnership; aiuta a valutare e gestire meglio i rischi che si possono presentare nelle relazioni esterne (reputazione, marchio); soddisfa le sempre più complesse esigenze informative degli investitori; 149 sostiene la gestione dell'impresa; facilita i rapporti tra Istituzioni pubbliche ed impresa; favorisce la formazione e l'identificazione di fornitori di servizi qualificati. L’AA 1000 rappresenta un modello dinamico che mira ad un miglioramento continuo, attraverso un approccio progressivo che consente la sua costruzione nel tempo. L’AA1000, abbiamo detto, è uno standard di processo: non indica requisiti minimi da soddisfare, ma i processi che le organizzazioni dovrebbero seguire per rendicontare le performances etico-sociali, il suo problema è che non è certificabile. 3.7.3 Standard di riferimento per la rendicontazione sociale: il GBS Il GBS (gruppo di studio per la statuizione dei principi di redazione del bilancio sociale) è sorto ufficialmente nel 1998, anche se l’idea della sua creazione risale all’anno precedente in occasione del seminario internazionale tenutosi nel giugno del 1997 a Taormina, dove emerse l’esigenza di costituire, per l’appunto, un gruppo in grado di fare chiarezza in una materia, quella del bilancio sociale, che andava acquistando sempre più un’importanza crescente, ma che al contempo presentava dei caratteri non del tutto delineati. A questo comitato hanno aderito spontaneamente ed a più riprese studiosi di differenti discipline nonché operatori qualificati che 150 hanno maturato nel corso degli anni una grande esperienza. 56 Questa crescente attenzione è dovuta all’affermarsi della dimensione sociale dell’impresa, quale organismo responsabile che persegue un tipo di sviluppo definito “sostenibile”, ossia compatibile con le grandi istanze della civiltà moderna, che sono poi quelle della centralità dei valori, dei diritti umani e dell’ambiente così come fermamente ribadito dall’ONU, la più alta espressione istituzionale mondiale. In questo contesto il GBS ha inteso apportare il proprio contributo definendo le caratteristiche di uno strumento di rendicontazione sociale che, affiancando gli strumenti informativi tradizionali, possa fornire ai diversi pubblici informazioni sugli effetti sociali che scaturiscono dalle scelte aziendali. In particolare il GBS procede a definire le caratteristiche del bilancio sociale, ne illustra i principi di redazione e ne descrive la struttura ed il contenuto. E’sufficiente definirne le linee guida generali: il bilancio sociale è un documento autonomo; l’autonomia va però intesa in senso relativo: cioè deve riguardare il 56 Il gruppo di studio è composto da: Francesco Vermiglio (Università di Messina) – Presidente; Ondina Gabrovec Mei (Università di Trieste) – Vice Presidente; Claudio Badalotti (Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano); Leandro Barozzi (Arthur Andersen); PierMario Barzaghi (KPMG, una delle maggiori organizzazioni professionali mondiali nel campo dell’organizzazione e revisione contabile); Ruggero Bodo (Sodalitas); Mario Boella (KPMG); Mauro Castelli (Resoconta Ernst & Young); Stefano Cavazza (Smaer, società di consulenza di direzione operante dal 1982 nel settore dell’economia sociale); Gianfranco Cavazioni (Università di Perugia); Antonio Chiesi (Università di Trento); Franco Dalla Sega (Università Cattolica di Milano); Tina Giglio (Smaer); Riccardo Giovannini (Arthur Andersen); Luciano Hinna (Università di Tor Vergata di Roma); Fabrizio Iannoni (KPMG); Carlo Luison (PricewaterhouseCoopers); Libero Mario Mari (Università di Perugia); Alberto Martinelli (Università di Milano); Roberto Marziantonio (Istituto europeo per il bilancio sociale); Antonio Matacena (Università di Bologna); Mario Molteni (Università Cattolica di Milano); Mario Porcellini (Università La Sapienza di Roma); Pietro Portaluppi (Consiglio Nazionale dei Ragionieri e Periti Commerciali); Luisa Pulejo (Università di Messina); Enrico Rimoldi (Strategia d’immagine, una delle più qualificate strutture specialistiche di comunicazione strategica d’impresa); Gianfranco Rusconi (Università di Bergamo); Lorenzo Sacconi (Università Cattaneo di Castellanza); Alberto Salsi (Reconta Ernst & Young); Claudio Travaglini (Università del Molise); Alessandra Vaccai (Smaer); Mario Viviani (Smaer). 151 documento e non le informazioni in esso contenute, le quali, anzi, devono presentare un forte aggancio con delle fonti certe e verificabili. In questo modo si eviterà il rischio che le suddette informazioni si trasformino in mere dichiarazioni d’intento, prive di significato e non idonee a confronti spaziali e/o temporali; è un documento a consuntivo, redatto periodicamente con cadenza annuale; è un documento pubblico, rivolto quindi ai vari interlocutori sociali; deve essere approvato dall’organo di governo dell’azienda, con susseguente sottoscrizione da parte di chi possiede la relativa rappresentanza; la sua stesura deve avvenire nel rispetto dei principi generali di redazione. 57 Per quanto concerne la struttura, il bilancio sociale si compone di tre parti: 1. identità aziendale 2. calcolo del valore aggiunto e sua distribuzione 3. relazione sociale Per ciascuna delle tre parti si indicherà il contenuto minimo che dovrà esser presente al fine di poter qualificare il documento in oggetto quale bilancio sociale. 57 I principi di redazione sono in tutto 17. 152