Bancarotta fraudolenta e scissione societaria
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 marzo 2015, n. 13522, Pres. Lombardi,
Rel. Fumo
Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente
dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria,
qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva
situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente
depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della
procedura concorsuale. Costituisce un post factum inincidente sulla struttura del reato e, pertanto,
irrilevante penalmente l’esperibilità di azioni restitutorie.
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la corte d'appello di L'Aquila ha confermato la pronuncia
di primo grado con la quale D.C.G. fu condannato a pena di giustizia perché riconosciuto
colpevole di bancarotta fraudolenta per distrazione con riferimento al fallimento della S.r.l.
ELETTROMECCANICA AQUILANA dichiarato con sentenza 23 ottobre 2007.
1.1. Secondo il capo d'imputazione, la spoliazione della fallita sarebbe avvenuta principalmente:
a) attraverso la scissione dell'originaria S.r.l. e il conferimento dei beni immobili ad altra società,
la NUOVA ELETTROMECCANICA AQUILANA S.r.l.; nonché tramite il successivo passaggio di
detti beni ad altre società (AL.MA e CGS), b) nel pagamento delle passività di pertinenza della
nuova società ad opera della vecchia, c) nella percezione da parte dell'imputato della somma di
€ 22.900 derivante dall'incasso di credito vantato verso la S.r.l. SOFFARREDO.
2.
Ricorre
per
cassazione
il
difensore
con
le
seguenti
censure.
2.1. Innanzitutto, deduce carenza dell'apparato motivazionale in relazione all'articolo 2506
quater e all'articolo 2467 cc. La stessa corte aquilana ammette che l'operazione di scissione è
in sé lecita. Il giudice tuttavia non fa adeguato riferimento alla tempistica dei fatti, atteso che la
scissione parziale si verificò il 30 ottobre 2003, il 25 giugno 2004 si verificò la seconda scissione
e i beni furono trasferiti alla società AL.MA e, in quota, alla GCS e solo il 17 febbraio 2006, vale
a dire quando D.C. non era più amministratore, essendo cessato alla carica il 21 dicembre 2005,
la CGS vendette alla AL.MA la quota di immobili di cui era stata beneficiaria. Per ritenere dunque
la responsabilità del ricorrente i giudici del merito hanno dovuto operare un vero e proprio
salto logico, ipotizzando un disegno criminoso attribuibile all'imputato, laddove le scissioni
successive alla prima si concludono, come premesso, nel 2006, vale a dire quando D.C. aveva
già cessato nella carica di amministratore della ELETTROMECCANICA AQUILANA, cioè: la
prima
società
scissa.
2.2.La ricostruzione dunque è illogica e contraria alla norma civilistica, atteso che la corte di
merito fa risalire la responsabilità della scissione che avrebbe determinato il depauperamento
(quelle successive) al D.C., autore unicamente della scissione del 2003. L'imputato è rimasto
estraneo ad ogni altra successiva operazione. Né può essere sintomaticamente valutata la
presunta differenza di valore dei beni ceduti alla nuova società. La cessione avvenne
correttamente al valore contabile, mentre il maggior valore discende dalla sommatoria dei
finanziamenti ottenuti tramite leasing finanziario, valore poi ritenuto largamente eccessivo
anche dall'agenzia delle entrate [in merito viene prodotto documentazione allegata al ricorso].
Né rilievo può avere il fatto che la società scissa si sia fatta carico di pagare debiti che poi
sarebbero divenuti di pertinenza della nuova società. La scissione invero è una procedura a
formazione progressiva e, dunque, fin quando essa non è perfezionata, la società da scindere
rimane titolare dei suoi rapporti debitori. A parere del giudice di secondo grado, poi, non era
possibile compensare il credito della società scissa con il debito di pari importo verso i soci per
finanziamenti. Ciò in quanto i crediti di questi ultimi avrebbero dovuto essere, secondo la corte
aquilana, postergati, in quanto le somme furono erogate in periodo in cui la società aveva già
manifestato una situazione di crisi. L'assunto è fallace in quanto non vi fu alcuna restituzione,
ma una semplice appostazione contabile. D'altra parte, anche a tutto concedere e diversamente
opinando, seppure il credito dei soci fosse stato rimborsato, la circostanza non sarebbe stata
suscettibile di valutazione penale in quanto ben poteva essere esperita da parte del curatore
l'azione
di
restituzione.
2.3. Con riferimento alla somma percepita, si deduce motivazione illogica e contraddittoria,
atteso che la corte territoriale sostiene che il credito del D.C. noni risultava dalle scritture
contabili, circostanza non rispondente al vero, atteso dalle predette scritture risultava sia il
debito della SOFARREDO, sia il credito dell'imputato. Né è pertinente la giurisprudenza citata
dalla corte abruzzese, in quanto essa fa riferimento al recupero da parte dell'amministratore di
crediti per anticipazioni effettuate in favore della società, mentre nel caso di specie il D.C. si era
limitato
a
percepire
il
suo
compenso
quale
amministratore.
3. II 31 dicembre 2014 è stata depositata dal difensore dell'imputato una memoria, con la quale,
citando giurisprudenza di questa sezione, si ribadisce che l'operazione di scissione è
un'operazione in sé legittima e che solo con il concorso di determinate circostanze essa può
essere considerata un'operazione dolosa, causa primaria del fallimento e dunque penalmente
rilevante. Si ribadiscono poi le considerazioni già formulate con il ricorso sia circa il valore
attribuito all'immobile, sia circa il pagamento dei debiti da parte della società scissa per conto
della società creata ex novo, sia con riferimento al compenso percepito dal ricorrente per la sua
qualifica di amministratore.
Considerato in diritto
1. II ricorso - non privo di una sua astratta coerenza logica e di un'efficace forma espressiva - si
rivela tuttavia ispirato ad un (apparentemente ingenuo) formalismo di stampo civilistico, in
base al quale se, in astratto, appunto, un'operazione giuridico-contabile si manifesta come
corretta, allora sarebbe impossibile che la stessa sia stata piegata a fini illeciti. Ben altra,
viceversa, è la "filosofia" del diritto penale, per il quale ciò che conta è la effettività delle azioni
umane, il loro finalismo, le loro conseguenze pratiche, di talché è ben possibile che uno
strumento (materiale e/o giuridico) lecito sia usato per fini illeciti. È ovvio infatti che la
compravendita è un negozio tipico previsto dall'ordinamento, ma è altrettanto ovvio che essa
ben
può
essere
usata
a
fini
distrattivi.
1.1. Le stesse riflessioni possono farsi con riferimento alla memoria depositata nel dicembre
dello scorso anno, nel corpo della quale il ricorrente - certo senza volerlo - finisce per citare
giurisprudenza
contra
se.
2. Invero per ASN 201310201-RV 254788, in tema di bancarotta impropria patrimoniale, in
caso di scissione mediante costituzione di nuova società, l'assegnazione a quest'ultima di
rilevanti risorse non costituisce di per sé un fatto di distrazione qualora la società scissa venga
successivamente dichiarata fallita, dovendosi invece tenere conto dell'effettiva situazione
debitoria in cui versava la stessa al momento della scissione, nonché del fatto che tale condotta
non è necessariamente idonea a porre in pericolo gli interessi dei suoi creditori, atteso che ai
medesimi è attribuito il potere di opporsi al progetto di scissione e che i loro diritti sono
comunque salvaguardati dalla disposizione di cui all'art. 2506 quater, comma terzo, cc, che
stabilisce la responsabilità solidale, nei limiti dell'attivo trasferito, della nuova società per i
debiti di quella scissa non ancora soddisfatti al momento della scissione. Ed ha chiarito ASN
201442272- RV 260393 che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la
scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni
costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una
valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava
l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio
aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale.
Ebbene la sentenza ricorsa ha chiarito che, quando avviene la prima scissione, la società era già
"in cattive acque". Nel ricorso si sostiene il contrario, ma si tratta di una mera affermazione.
2.1. È poi vero che la seconda scissione avvenne quando D.C. non era più amministratore
(peraltro da meno di due mesi), ma essa si verificò prima del fallimento e se è vero che i
creditori della originaria società potevano "inseguire" beni presso la prima beneficiaria, molto
più arduo era per essi agire contro la seconda. Il disegno criminoso dunque, per come
motivatamente ricostruito dai giudici del merito, consistette proprio nell'aver ipotizzato,
predisposto e realizzato più scissioni progressive, in modo da privare i creditori delle loro
garanzie. Le società destinataria finale dei beni per altro sono risultate "non lontane" dagli
interessi
del
D.C..
2.2. In sinT.: gli elementi sintomatici della malafede del ricorrente e della scaltra preordinazione
della operazione depauperativa appaiono valutati dal giudice di appello in maniera logica e
adeguatamente
giustificati
sul
piano
motivazionale.
Manifestamente infondato è poi l'argomento con il quale si sostiene la irrilevanza penale della
condotta accertata in quanto ben potevano essere esperite le azioni restitutorie. Si tratta, ad
evidenza,
di
un
post
factum
inincidente
sulla
struttura
del
reato.
2.3. Quanto alla somma di euro 22.900 (e non 2862,77), non può dubitarsi che anche essa sia
stata oggetto di distrazione in assenza di una adeguata delibera degli organi societari. Per quel
che riguarda il pagamento dei debiti da parte della società scissa, si rileva che trattasi di ben €
290.186,17 e, seppure fosse vera la considerazione svolta nel ricorso, essa non coprirebbe
l'intera
somma.
3. In sinT. il ricorso appare infondato e merita rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese del
grado.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
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