I SEGNI DEL TEMPO LE SUORE DI NUOVO A KIREMBA Le suore sono tornate nella casa accanto alla parrocchia pronte per scrivere altre pagine di “buona missione” I l ritorno delle Ancelle della Carità nella missione di Kiremba era atteso e sognato. L’otto ottobre dello scorso anno, mentre si avvicinava la conclusione dell’anno dedicato all’anniversario della nascita di Paola Di Rosa, si è concretizzato. “Sì, con grande gioia siamo pronte a tornare”, ha detto madre Gabriella Tettamanzi, Superiora Generale della Congregazione. Il rientro è avvenuto quando 40 mancavano soltanto due mesi al secondo anniversario della tragedia, avvenuta il 27 novembre 2011. Della comunità tornata a Kiremba fanno parte suor Stefania, suor Jania e alcune giovani suore ruandesi. “La nostra speranza – ha detto madre Gabriella Tettamanzi – è che in un clima di pace sia possibile riprendere il servizio. Le seguiamo con la preghiera, l’affetto e la solidarietà. A loro è affidato il compito di rendere visibile la carità”. L’incarico di accompagnare il ritorno delle suore a Kiremba e a condividere con loro i primi mesi di permanenza è stato affidato a madre Carmela Zaninoni, Vicaria generale della Congregazione. Il ritorno è avvenuto senza particolari cerimonie, ma subito la gente ha dato segno di soddisfazione e di accoglienza. Il 6 novembre, in concomitanza con la celebrazione di chiusura del bicentenario a Brescia, anche a Kiremba è stata celebrata l’Eucaristia con gli operatori dell’ospedale in cui le sorelle Ancelle riprendevano la missione. Piccoli segni di comunione; momenti che mantangono unita una Famiglia che opera in nome di Dio ovunque si trovi. CRONACA DI UN GIORNO A LUNGO ATTESO di suor Stefania Rossi A lle prime luci di un nuovi giorno due automobili, cariche di “tutto”, escono dal cancello della case di Butare… I fari illuminano la strada. Un nuovo giorno sta nascendo, preludio di una nuova missione. Siamo dirette a Kiremba, da cinquant’anni missione cara alla Diocesi di Brescia e da undici anche storia della nostra Famiglia religiosa. Mentre viaggiamo in auto ci fanno compagnia prima la preghiera corale, poi il silenzio. Ci rendiamo conto che troppi sentimenti ed emozioni caricano i nostri cuori e che è necessario consegnarli a “Qualcuno”, di depositarli presso di Lui, di metterli un po’ in ordine. Chiare sono le motivazioni che ci hanno portate a dire il nostro “sì” alla richiesta dei superiori, ma il timore di “ricominciare” segna i nostri passi. Eppure, questo “ricominciare” ci dice che c’è già stato un inizio, che un tratto di strada è già stato percorso, che esiste una storia e che tale storia noi vogliamo continuarla a scrivere con Amore. 41 UNA CASA DA RIAPRIRE Riordinarla per renderla accogliente è segno di solidarietà delle nostre sorelle del Rwanda, di fatica condivisa per iniziare a creare comunità, la nostra nuova comunità di servizio. Le lingue che parliamo sono diverse: italiano, croato, francese, kiniruanda, kirundi, dialetti… Una piccola Babele? Forse, ma anche e soprattutto desiderio grande e forte di comunione, che ha incominciato a farsi strada con i primi interventi di sicurezza a cui ci ha indirizzato Nicola, un volontario venuto da Brescia e diventato subito punto di riferimento indispensabile per capire dove eravamo e che cosa dovevamo fare. Accanto a noi i Superiori: che vivono e testimoniano la parola di Gesù; che ci ricordano come il Maestro non sia venuto per farsi servire, ma per servire; che sono sostegno, discernimento, ascolto dei primi dubbi e tentennamenti; che sono testimoni della memoria carismatica e storica della nostra nuova realtà... Il passato è la storia che ci guida anche adesso, adesso che vogliamo vivere il presente nella continuità e che vogliamo costruire un nuovo futuro. E allora, nella dinamica della fede comprendiamo che quanti hanno versato qui il loro sangue e scritto con il loro servizio di carità e con la loro sofferenza questo passato sono come il seme disposto a morire per divenire ciò che è sempre stato: frutto. Oggi, per noi, fruttgo di pace, di serenità, di accoglienza. Ma il vero mondo ci aspetta fuori dal nostro chiostro. Gli occhi non bastano a vedere la realtà che si trova al di là delle staccionate ch separano l’ospedale dal viale che ci porta alla nostra abitazione; servono mani, piedi, testa e tanto cuore. Ci chiediamo se ne avremo a sufficienza… La risposta è no, da sole no! E allora dobbiamo ricorrere a Colui che è il cuore: Gesù. Egli entra, due giorni dopo il nostro arrivo, nella nostra casa e rimane là nel tabernacolo in attesa di ogni nostro rientro, per raccogliere le nostre mani che non hanno potuto operare come voleva- 42 no, a sollevare i nostri piedi stanchi per i passi non dati, a leggere i nostri arruffati pensieri, ad amare il nostro cuore ferito da sofferenze che non abbiamo mai immaginato. IL POPOLO CHE CI HA SEMPRE ASPETTATO Donne coi volti segnati dalla continua lotta per sopravvivere ci accolgono con il sorriso: “Mama Kaza!”. Non capiamo e allora ci indicano la Santa Fondatrice, si fanno il segno della croce e in uno stentato francese ci dicono “merci”, grazie. Le lacrime si mescolano… Ci siamo capite! La chiesa parrocchiale è gremita di giovani arrivati per fare memoria di un tragico 27 novembre 2011… Ricordare per non dimenticare, per cercare di costruire nuovi cammini di riconciliazione e di perdono. Poi, un grande cerchio intorno al monumento, dedicato a suor Lucrezia e a Francesco, collocato nel “Giardino della Risurrezione”, all’interno dell’ospedale; una preghiera silenziosa; la benedizione del parroco, segno di una nuova vita, testimonianza che l’Amore è più forte della morte. Il bene fatto ha cambiato la vita di tanti e qualcuno ha lasciato che la riconoscenza diventasse gesto concreto. Qualcuno ha lasciato un cesto di banane come regalo per essere tornate a casa; altri hanno scritto un pensiero in ricordo delle suore che anni prima li avevano accolti e curati nell’ospedale. A tutte noi fa bene accorgersi che le parole scritte hanno volti: perché dal cuore delle persone nasce la richiesta di vedere che ci sono ancora donne che, in nome della loro consacrazione, continuano ad essere segni della carità di Dio per l’umanità; donne che sanno vivere anche le difficoltà della vita nella fiducia di non essere abbandonate da Dio; donne che sanno con tenerezza chinarsi sulle piaghe dei cuori oltre che dei corpi; donne contente di aver trovato in “Dio solo” il compimento della loro esistenza: Dio solo ci basti!