Interventistica Percutanea nei By-Pass Aorto-Coronarici Venosi Luca Favero, Giampaolo Pasquetto, Salvatore Saccà, Carlo Cernetti, Bernhard Reimers Dipartimento di Cardiologia, Mirano (VE) Epidemiologia Il bypass aortocoronarico confezionato con vena safena (Saphenous Vein Graft: SVG) rappresenta una consolidata metodica di rivascolarizzazione miocardica che ha dimostrato di ridurre la sintomatologia anginosa e di prolungare la sopravvivenza (1) . Tuttavia, la suscettibilità del SVG a sviluppare aterosclerosi ostruttiva rende questa metodica una soluzione spesso temporanea(29) e indubbiamente inferiore ai graft confezionati con arteria (10). Dal punto di vista clinico, ischemia ricorrente si verifica nel 3-5% dei pazienti subito dopo l’intervento di SVG(11-13), nel 4-8% annualmente dopo l’intervento (4,6,8) e a 10 anni nel 60 % circa dei casi(14). Nei pazienti ricoverati per angina instabile oltre i 5 anni dall’intervento, nell’85% dei casi il vaso responsabile è il SVG(15). Occlusioni clinicamente silenti si verificano nel 28% a 1-3 anni, nel 31% a 4-6 anni e nel 35% a 7-11 anni dall’intervento(23). Dal punto di vista anatomopatologico, i processi degenerativi dei SVGs si verificano nel 20% già durante il primo anno con una forte componente trombotica. Successivamente l’incidenza annua di degenerazione è del 1-2% per i primi 6 anni e del 5% dal sesto al decimo anno. A 10 anni dall’intervento il 60-70% dei SVGs presenta alterazioni degenerative(3,5,9 -13,16,1722) . Fisiopatologia della degenerazione dei bypass venosi La patologia dei SVGs riconosce tre meccanismi patogenetici principali che presentano un andamento temporale noto. Nel primo mese la malattia del SVG è legata nella maggior parte dei casi a trombosi acuta del condotto venoso. Cause meno frequenti sono le stenosi delle anastomosi o il confezionamento del bypass su un vaso sbagliato. La patologia dei SVGs che compare tra 1 e 12 mesi è per lo più dovuta a stenosi da iperplasia intimale, anche se in questo arco temporale possono essere ancora in gioco le stenosi delle anastomosi(24-25). La malattia dei SVGs oltre il primo anno dall’intervento è invece per lo più legata a stenosi su base aterosclerotica con frequente sovrapposizione trombotica(26-30). Le possibilità di prevenzione della malattia dei SVGs mediante terapia medica appaiono al momento ancora limitate. Le raccomandazioni attuali prevedono l’uso di aspirina (325 mg/die) a tempo indefinito e di statine(31). Recentemente è stato infatti dimostrato che la riduzione del colesterolo LDL sotto i 100 mg/dl mediante terapia aggressiva con statine riduce sia gli eventi clinici avversi che la progressione della malattia dei SVGs (32-33). venti “Redo”) comporta un rischio di infarto periprocedurale che arriva fino al 2-8%(34,35) e di morte del 5-12% (36-40), con una sopravvivenza a 5 anni del 8494%. Il rischio di severo danneggiamento di un già esistente graft arterioso in arteria mammaria è del 5-38% (41-44). Questi risultati riflettono le difficoltà tecniche legate al reintervento e il profilo prognostico sfavorevole dei pazienti. Tre studi(45-47) non randomizzati hanno evidenziato una minor incidenza di infarto miocardio acuto intraospedaliero e una mortalità più bassa nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione percutanea (PCI) rispetto a quelli sottoposti a re-intervento di bypass aortocoronarico. L’incidenza di un’ulteriore rivascolarizzazione della lesione colpevole a 4 anni invece è risultata maggiore dopo PCI che dopo bypass. Per tali ragioni si è ritiene che l’indicazione al reintervento di bypass sussista in presenza delle seguenti condizioni: possibilità di utilizzare un’arteria mammaria interna per la discendente anteriore, necessità di rivascolarizzare più vasi, presenza di malattia diffusa di SVGs più vecchi di 7 anni, impossibilità ad intervenire con angioplastica sui vasi nativi, ridotta funzione ventricolare sinistra (48,49). Terapia interventistica dei SVGs Terapia chirurgica. Il re-intervento di bypass aortocoronarico (cosiddetti inter- La terapia interventistica delle lesioni dei SVGs rimane a tutt’oggi una sfida nel laboratorio 9 Interventistica per cutanea nei by-pass aorto-coronarici venosi L. Favero,G. Pasquetto, S. Saccà, C. Cernetti, B. Reimers Emodinamica 2003, 35:9-18 di interventistica, principalmente per l’alto rischio di embolizzazione e di infarto periprocedurale, per l’alta incidenza di restenosi dopo PCI, e per l’inevitabile progressione della malattia aterosclerotica, soprattutto nei cosiddetti SVGs degenerati. Ciononostante negli ultimi dieci anni sono stati ottenuti notevoli progressi nella comprensione della storia naturale e nella definizione della strategia interventistica dei SVGs (50). Peculiarità delle lesioni dei SVGs: lesione “significativa”, graft “degenerati” e il problema delle occlusioni totali. È stato notato che la ricorrenza di eventi ischemici oltre il primo anno dopo PCI efficace su SVGs è legata nella maggior parte dei casi a progressione della malattia in lesioni di grado moderato non trattate al momento della PCI(51). Sulla base di questa osservazione si ammette la necessita’ di trattare nei SVGs anche le lesioni angiograficamente di grado intermedio (40-50% in diametro). La malattia aterosclerotica dei SVGs si presenta in due forme distinte dal punto di vista anatomo angiografico e, in ultima analisi, anche dal punto di vista della prognosi dopo PCI: una forma caratterizzata da lesioni focali, singole, ed un’altra caratterizzata da degenerazione diffusa del graft venoso (da un punto di vista semantico definiamo SVG degenerato quello che presenta una lesione > 30 mm in lunghezza con presenza di trombo o contorno irregolare). La maggior parte degli studi clinici che supportano il trattamento percutaneo dei SVGs sono stati condotti su SVGs con lesioni focali e quindi non permettono di stabilire in maniera definitiva il trattamento ottimale dei SVGs degenerati. Due studi(52,53) hanno valutato i risultati della PCI nei SVGs degenerati, dimostrando che l’impianto di stent può essere effettuato con un’ accettabile incidenza di complicanze periprocedurali, le quali comunque risultano sempre più frequenti rispetto a quanto 10 osservato durante interventistica su lesioni focali. Purtroppo i risultati a medio e lungo termine sono meno favorevoli a causa dell’alta incidenza di necessità di re-PCI e della progressione della malattia su altri segmenti del graft non trattati inizialmente. L’approccio al problema dei SVGs occlusi richiede una distinzione tra occlusione acuta in corso di infarto miocardio acuto (IMA) e occlusione subacutacronica. In presenza di occlusione acuta, si ammette l’utilità di una PCI sul graft venoso, anche se e’ stato dimostrato che la mortalità e’ maggiore nel caso di PCI primaria su SVGs rispetto a PCI primaria sui vasi nativi(54,55). Nel caso delle occlusioni subacute-croniche dei graft, numerosi studi osservazionali indicano una bassa percentuale di successo procedurale con un’alta incidenza di infarti periprocedurali legati a embolizzazione di materiale aterotrombotico che viene dislocato durante la procedura di ricanalizzazione e occlude i vasi nativi distali(56). Il tentativo di ricanalizzazione di graft venosi occlusi da tempo è quindi considerato una procedura da evitare(57). Fibrinolisi selettiva intra graft L’infusione selettiva intragraft di farmaci fibrinolitici è stata proposta come metodica adiuvante nell’interventistica sui SVGs degenerati, soprattutto in presenza di bypass occlusi. Sono stati utilizzati l’Urochinasi in infusione continua o somministrata a boli e il t-PA in bolo seguito da infusione continua. Questi tipi di trattamento hanno però dimostrato di accompagnarsi ad un’alta incidenza di complicanze periprocedurali, come emorragie ed infarto miocardio (58), tanto che attualmente i benefici derivanti dalla trombolisi intra graft non sembrano giustificare i rischi da essa implicati. Il device di scelta: lo stent. I primi studi sui risultati dell’angioplastica (PTCA) semplice nel trattamento percutaneo dei SVGs riportavano risultati non favorevoli sia procedurali che a distanza (59-60). Dopo l’introduzione degli stent, in seguito anche ai risultati incoraggianti di un registro che aveva utilizzato gli stent nei SVGs 61), sono stati condotti studi randomizzati di confronto tra PTCA e stenting per il trattamento dei SVGs. Nello studio SAVED, in cui i pazienti venivano randomizzati a PTCA o ad impianto elettivo di stent di Palmaz-Schatz, i pazienti trattati con stent avevano un maggiore successo procedurale (92% vs 69%, p<0.001), una significativa riduzione dell’end-point composito a 6 mesi di morte, infarto miocardio Q, ripetizione di CABG e re-PCI (26% vs 39%, p<0.05), un trend favorevole verso una minore rivascolarizzazione della lesione colpevole (TLR) (17% vs 26%, p=ns) e verso una minore, ma sempre elevata, restenosi angiografica (36% vs 47%, p=0.11)(62). Nello studio VENESTENT(63), in cui i pazienti venivano randomizzati a PTCA semplice o ad impianto elettivo di stent Wiktor, i pazienti trattati con stent mostravano una incidenza significativamente minore di rivascolarizzazione del vaso colpevole (TVR) a 6 mesi (11.5% vs 25%, p<0.05) e un trend favorevole verso una minore incidenza di restenosi (21.9% vs 35.6%, p=0.09). Lo studio randomizzato WINS(64) ha dimo strato un’equivalenza tra lo stent autoespandibile Wallstent e lo stent di Palmaz-Schatz nel trattamento dei SVGs sia in lesioni de novo che restenotiche. Numerosi, più recenti studi osservazionali che hanno utilizzato diversi tipi di stent “balloonexpandable” indicano che l’impianto di stent nei SVGs ha un’alto tasso di successo, un’ accettabile incidenza di trombosi dello stent e una possibile riduzione della restenosi rispetto ad altri device(61,65-70). Uno studio monocentrico recente(71), ha mostrato un’ incidenza di restenosi angiografica significativamente minore nei segmenti di SVG trattati con stent rispetto ai segmenti di SVG trattati con angioplastica semplice. L’incidenza di restenosi sembra più alta per le lesioni ostiali e restenotiche (30-60%) rispetto a lesioni in altre sedi del graft o de novo (17-39%). L’incidenza di necessità di TLR dopo impianto di stent nei SVGs è massima nei primi 8 mesi, ma il rischio di TLR permane per 18-24 mesi suggerendo che i pazienti trattati con stent nei graft vanno seguiti scrupolosamente anche dopo i primi 8-10 mesi per il rischio di restenosi “ritardata” (72,73) . Negli ultimi anni notevoli sforzi sono stati condotti al fine di sviluppare stent ricoperti in grado di limitare i fenomeni di embolizzazione distale in fase acuta e la restenosi a distanza (Figura 1). I risultati clinici derivanti dall’impiego di questi nuovi stent hanno dato indicazioni discordanti. Nel trial Recovers, in cui i pazienti sono stati randomizzati al trattamento con uno “stent graft” (Jostent, Jomed), costituito da 2 stent in acciaio che racchiudono una membrana di politetrafluoroetilene (PTFE), o con normale stent di acciaio, l’utilizzo di stent graft ha dimostrato di comportare un aumento degli infarti non Q a 30 giorni e di non ridurre l’incidenza di restenosi angiografica a 6 mesi (74) . La maggior incidenza di complicanze procedurale è verosimilmente legata al elevato profilo del device che comprende due stent sovrapposti che racchiudono (“a sandwich”) la membrana di PTFE. Di più favorevole profilo sono stent lasercut in acciaio con membrane di pericardio bovino cucite sullo stent. Nel trial prospettico non randomizzato Symbiot II(75), in cui i pazienti sono stati sottoposti al trattamento con stent autoespandibile Symbiot (Boston Scientific), costituito da una struttura in nitinol racchiusa tra due membrane in PTFE, l’incidenza di eventi cardiaci avversi maggiori a 30 giorni (endpoint primario) è risultata bassa se comparata con i risultati ottenuti in uno studio precedente che aveva utilizzato il Wallstent (WINS, 64). Anche l’incidenza di restenosi angiografica, e di “failure” a 6 a b Figura 1. a) Stent graft Jostent Graftmaster (Jomed). b) Esemplificazione delle fasi di impianto di uno stent Symbiot (Boston). Dall’alto al basso: posizionamento dello stent, rilascio dello stent autoespandibile con contenimento della placca all’esterno dello stent, postdilatazione dello stent, e risultato finale. mesi del vaso trattato (TVF) sono risultati inferiori ai risultati di studi precedenti(62,64). Ulteriori studi di tipo randomizzato sono in corso (Symbiot III) per confermare i risultati incoraggianti derivanti da queste prime esperienze con gli stent Symbiot. Un ultimo accenno va al problema dell’uso degli stent medicati (DES) con rapamicina o paclitaxel. A tutt’oggi non esistono studi sufficientemente numerosi da permettere di stabilire il ruolo dei DES nel trattamento dei SVGs. Va precisato comunque che con i diametri di DES attualmente esistenti (fino ad un massimo di 3.5 mm), il trattamento di condotti venosi di diametro 3.5 mm può comportare un’inadeguata apposizione dello stent alla parete del vaso e un’inadeguata concentrazione di farmaco antiproliferativo con una possibile inefficace prevenzione della restenosi. Inoltre i meccanismi fisiopatologici della restenosi nei SVGs non sembrano uguali a quelli dei vasi nativi e quindi i risultati degli studi con DES nei vasi coronarici nativi non possono essere automaticamente trasportati ai SVGs senza la conferma di studi dedicati. Se è vero che lo stent rappresenta il device di scelta nel trattamento percutaneo dei SVGs, menzione va comunque fatta ad altre metodiche che sono state sperimentate nel trattamento dei 11 Interventistica per cutanea nei by-pass aorto-coronarici venosi L. Favero,G. Pasquetto, S. Saccà, C. Cernetti, B. Reimers Emodinamica 2003, 35:9-18 graft senza fornire risultati però comparabili con quelli ottenuti con gli stent. Lo studio CAVEAT II ha confrontato l’efficacia della PTCA vs aterectomia direzionale (DCA) nei SVGs (76). La metodica di DCA ha dimostrato di avere una più alta incidenza di successo procedurale ma al prezzo di una maggiore incidenza di IMA non Q. A 6 mesi, l’incidenza di restenosi angiografica non è risultata differente nei due gruppi. Per quanto riguarda l’utilizzo dell’aterectomia rotazionale, si ritiene sia controindicato nei SVGs a causa dell’alto rischio di embolizzazione distale che questa tecnica comporta. Nella seconda metà degli anni novanta ha conosciuto un periodo di successo l’aterectomia con catetere ad estrazione transluminale (TEC). Un trial randomizzato multi-centrico e alcuni studi monocentrici(77-79) hanno evidenziato una minore incidenza di complicanze emboliche procedurali, almeno nei graft senza evidente trombosi endoluminale, ma alti tassi di restenosi angiografica. L’aterectomia con laser ad eccimeri (ELCA) infine ha mostrato in uno studio comparativo con la PTCA di non offrire benefici ne’ in termini di risultati angiografici immediati ne’ di eventi cardiaci avversi ad 1 anno (80). Sistemi di protezione dall’embolizzazione. Come già detto uno degli aspetti peculiari del trattamento dei SVGs è l’alto rischio di fenomeni di embolizzazione distale e/o noreflow e la conseguente alta incidenza di IMA periprocedurali, per lo più di tipo non Q(81-83). Per ovviare a questo problema, sono stati sviluppati device che possiamo suddividere in device di trombectomia e device di protezione (Figura 2). I sistemi di trombectomia aspirano trombi e frammenti di placca per “ripulire”i SVGs prima del loro trattamento definitivo. Tali sistemi, dopo avere dato iniziali risultati incoraggianti (84-86) sono oggi meno utilizzati(87) rispetto ai sistemi di protezione 12 a b c Figura 2. Sistemi di protezione distale: a) Percu Surge (Guardwire , Medtronic) con palloncino distale gonfiato e catetere di aspirazione; b) Angioguard X P (Cordis ); c) Filterwire EX (Boston). che hanno fornito risultati più univoci(81,82,88,89). Lo studio SAFER(88) ha randomizzato 801 pazienti sottoposti a PCI su lesioni de novo in SVGs con o senza il sistema di protezione con palloncino occlusivo distale Percu Surge (Guardwire, Medtronic). Lo studio ha dimostrato che l’utilizzo di questo sistema riduce in maniera significativa l’incidenza di IMA non Q periprocedurale (8.6% nel braccio con PercuSurge vs 14.7% nel braccio di controllo, p<0.05) e di no-reflow (3% nel braccio con PercuSurge vs 9% nel braccio di controllo, p<0.05). Questo effetto è risultato indipendente dalla somministrazione di farmaci inibitori del recettore glicoproteico IIb/IIIa. Lo studio FIRE (89), che ha randomizzato 651 pazienti sottoposti a PCI su lesioni de novo in SVGs a trattamento con sistema di occlusione distale (Guardwire, Medtronic) vs filtro distale (FilterWire EX, Boston), ha dimostrato un sovrapponibile successo procedurale (97.2% nel braccio con Guardwire vs 95.5% nel braccio con FilterWire, p=ns) e una sovrapponibile incidenza di eventi cardiaci avversi maggiori (MACE 11.6% nel braccio con Guardwire vs 9.9% nel braccio con FilterWire, p=ns). I sistemi di protezione dall’embolizzazione si configurano quindi come metodiche necessarie nel trattamento degli SVGs degenerati, e sembra esserci una sostanziale equivalenza di risultati tra sistemi ad occlusione distale ed aspirazione e filtri distali. È necessario invece accumulare ulteriori dati per quanto riguarda i sistemi di protezione ad occlusione prossimale. Questi sistemi di protezione operano bloccando il flusso anterogrado mediante occlusione del graft all’ostio e aspirando a fine procedura il sangue dal graft con rimozione degli eventuali frammenti di trombo o placca embolizzati. Questi device (Proxis, Kerberos, TriActiv) sono in via di valutazione clinica. Utilizzo degli inibitori IIb/IIIa L’efficacia degli inibitori del recettore della glicoproteina IIb/IIIa come farmacoterapia adiuvante durante PCI nei SVGs non è evidente come per le lesioni del circolo nativo. I dati cumulativi degli studi EPIC ed EPILOG non mostrano differenze significative nella prognosi a 30 giorni e 6 mesi tra pazienti trattati su SVGs con o senza abciximab(90, 91). A tutt’oggi non esistono evidenze scientifiche totalmente convincenti riguardo l’utilità dell’uso degli inibitori IIb/IIIa nell’interventistica sui SVGs (92). trattamento della restenosi intra stent nei SVGs. Aspetti tecnici dell’interventistica nei bypass aortocoronarici venosi La via di accesso preferita nel nostro centro durante interventistica sui SVGs è quella femorale perché consente l’utilizzo di cateteri guida di diametro maggiore ( 7F), in grado di fornire maggior supporto durante la PCI e di permettere il posizionamento di sistemi di protezione dall’embolizzazione. I diametri dei cateteri guida utilizzati variano dal 6 all’8 F e il tipo di catetere guida dipende dal SVG che si desidera trattare. I bypass per la coronaria destra di solito vengono incannulati con il Judkins destro o il Multipurpose, mentre i bypass per la coronaria non si riesca ad avanzare sulla guida il palloncino o lo stent è possibile inserire una guida aggiuntiva nel bypass. La cosiddetta “buddy-wire” fornisce supporto al catetere guida permettendo l’avanzamento dei device desiderati. L’utilizzo del sistema di protezione è altamente raccomandato, anche in presenza di graft non diffusamente degenerati. Di preferenza nella nostra esperienza il sistema più rapido e facile da usare è quello con filtro distale. Qualora la stenosi del graft sia particolarmente serrata e non consenta il passaggio del filtro, è possibile eseguire con una certa sicurezza una predilatazione senza protezione distale della lesione con Figura 3. Esempio di graft venoso degenerato per il ramo marginale ottuso, di 12 anni d’ età , con difetti di riempimento che suggeriscono la presenza di trombi multipli. Angiogrammi basali (in alto, proiezione OAS a sinistra e OAD a destra) e dopo trattamento con 2 stent graft (in basso, proiezione OAS a sinistra e OAD a destra). Brachiterapia. È stato recentemente dimostrato che la brachiterapia con raggi ã della restenosi intra stent dei SVGs possiede un’efficacia terapeutica analoga a quanto avviene nel circolo coronario nativo(93). A tutt’oggi pertanto, la brachiterapia con raggi ã è l’unica metodica che si è dimostrata utile nel ridurre le recidive dopo sinistra con il Judkins destro e l’Amplatz sinistro. Alternative valide sono i cateteri con curve specifiche per bypass destro o sinistro. Le guide utilizzate variano a seconda delle preferenze dell’operatore, ma in molti casi è necessario impiegare guide ad alto supporto per potere avanzare i device nel bypass. Nel caso si utilizzi un sistema di protezione con filtro o occlusione distale e un pallone di piccolo diametro (1.5, 2.0 mm) espanso a poche atmosfere, successivamente avanzare il filtro, e finire la procedure con sistema di protezione in sede. Alternativamente si può utilizzare il Guardwire, che avendo un profilo minore, permette un più facile superamento anche di lesioni serrate. La tecnica di impianto degli stent espansi su pallone nei 13 Interventistica per cutanea nei by-pass aorto-coronarici venosi L. Favero,G. Pasquetto, S. Saccà, C. Cernetti, B. Reimers Emodinamica 2003, 35:9-18 SVGs prevede alcuni accorgimenti. Si raccomanda dove possibile di eseguire l’impianto dello stent direttamente senza predilatazione, al fine ridurre il rischio di embolizzazione distale (82) . Qualora sia necessario predilatare, si raccomanda di utilizzare un palloncino sottodimensionato rispetto al vaso al fine di minimizzare il rischio di embolizzazione distale. Resta ancora da definire quale è il tipo di stent preferibile. Nel caso si utilizzino stent balloonexpandable, si consiglia di non sovradimensionare lo stent rispetto al vaso ma di mantenere un rapporto stent:graft di 1:1 e di non eseguire post-dilatazione ad alta pressione, evitando così la protrusione e successiva embolizzazione di materiale aterotrombotico attraverso le maglie dello stent. Uno stent specificatamente creato per i bypass venosi è lo stent Ultra (Guidant) espandibile fino ad un diametro di 6 mm e con elevata copertura metallica, il quale consente di coprire la placca friabile del graft con potenziale riduzione dei fenomeni di embolizzazione. La lunghezza dello stent deve essere maggiore della lunghezza della lesione valutata all’ angiografia coronarica quantitativa, al fine di evitare fenomeni di “shift” di placca. In questo senso, l’interventistica sui graft comporta spesso l’impianto di stent lunghi o multipli fino, in presenza di malattia diffusa, alla ricostruzione con stent dell’intero condotto venoso. Le Figure 3 e 4 illustrano un esempio di trattamento di SVG degenerato per il ramo marginale ottuso. Conclusioni In pazienti portatori di bypass aorto-coronarici con indicazioni alla rivascolarizzazione, il trattamento percutaneo di graft venosi stenotici rappresenta spesso la terapia di prima scelta. Ciò nondimeno, questa procedura a tutt’oggi è da considerarsi una delle più difficili e rischiose che affrontiamo in sala di emodinamica. 14 a b c d Figura 4. Fasi della procedura di cui alla figura 1. a) Posizionamento del filtro di protezione distale contenuto nel delivery sheath; b) normale flusso attraverso il filtro aperto, senza evidenza di embolizzazione distale dopo passaggio del filtro; c) impianto di 2 stent graft autoespandibili Symbiot; d) postdilatazione con pallone non compliante 4.5x20 mm a 12 atm. Tentativi di ridurre l’incidenza di complicanze periprocedurali con sistemi di protezione e con stent (coperti o no), entrambi da considerarsi d’obbligo, sono promettenti ma siamo ancora lontani da una soluzione definitiva del problema. La migliore strategia in termini di utilizzo di stent medicati o ricoperti e in termini di terapia farmacologia preventiva per ridurre la tuttora elevata incidenza di restenosi e di progressione della malattia è ancora da definire. 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