Interventistica Percutanea nei By-Pass Aorto-Coronarici
Venosi
Luca Favero, Giampaolo Pasquetto, Salvatore Saccà, Carlo Cernetti, Bernhard Reimers
Dipartimento di Cardiologia, Mirano (VE)
Epidemiologia
Il bypass aortocoronarico
confezionato con vena safena
(Saphenous Vein Graft: SVG)
rappresenta
una
consolidata
metodica di rivascolarizzazione
miocardica che ha dimostrato di
ridurre la sintomatologia anginosa
e di prolungare la sopravvivenza
(1)
. Tuttavia, la suscettibilità del
SVG a sviluppare aterosclerosi
ostruttiva rende questa metodica
una soluzione spesso temporanea(29)
e indubbiamente inferiore ai
graft confezionati con arteria (10).
Dal punto di vista clinico,
ischemia ricorrente si verifica nel
3-5% dei pazienti subito dopo
l’intervento di SVG(11-13), nel 4-8%
annualmente dopo l’intervento
(4,6,8)
e a 10 anni nel 60 % circa dei
casi(14).
Nei pazienti ricoverati per
angina instabile oltre i 5 anni
dall’intervento, nell’85% dei casi il
vaso responsabile è il SVG(15).
Occlusioni clinicamente silenti si
verificano nel 28% a 1-3 anni, nel
31% a 4-6 anni e nel 35% a 7-11
anni dall’intervento(23).
Dal
punto
di
vista
anatomopatologico, i processi
degenerativi
dei
SVGs
si
verificano nel 20% già durante il
primo anno con una forte
componente trombotica.
Successivamente l’incidenza
annua di degenerazione è del 1-2%
per i primi 6 anni e del 5% dal
sesto al decimo anno.
A 10 anni dall’intervento il
60-70%
dei
SVGs
presenta
alterazioni degenerative(3,5,9 -13,16,1722)
.
Fisiopatologia
della
degenerazione dei bypass venosi
La patologia dei SVGs
riconosce
tre
meccanismi
patogenetici
principali
che
presentano
un
andamento
temporale noto. Nel primo mese la
malattia del SVG è legata nella
maggior parte dei casi a trombosi
acuta del condotto venoso. Cause
meno frequenti sono le stenosi
delle
anastomosi
o
il
confezionamento del bypass su un
vaso sbagliato. La patologia dei
SVGs che compare tra 1 e 12 mesi
è per lo più dovuta a stenosi da
iperplasia intimale, anche se in
questo arco temporale possono
essere ancora in gioco le stenosi
delle anastomosi(24-25). La malattia
dei SVGs oltre il primo anno
dall’intervento è invece per lo più
legata a stenosi su base
aterosclerotica
con
frequente
sovrapposizione trombotica(26-30).
Le possibilità di prevenzione
della malattia dei SVGs mediante
terapia medica appaiono al
momento ancora limitate. Le
raccomandazioni attuali prevedono
l’uso di aspirina (325 mg/die) a
tempo indefinito e di statine(31).
Recentemente è stato infatti
dimostrato che la riduzione del
colesterolo LDL sotto i 100 mg/dl
mediante terapia aggressiva con
statine riduce sia gli eventi clinici
avversi che la progressione della
malattia dei SVGs (32-33).
venti “Redo”) comporta un rischio
di infarto periprocedurale che
arriva fino al 2-8%(34,35) e di morte
del
5-12% (36-40),
con
una
sopravvivenza a 5 anni del 8494%. Il rischio di severo
danneggiamento di un già esistente
graft arterioso in arteria mammaria
è del 5-38% (41-44). Questi risultati
riflettono le difficoltà tecniche
legate al reintervento e il profilo
prognostico
sfavorevole
dei
pazienti. Tre studi(45-47) non
randomizzati hanno evidenziato
una minor incidenza di infarto
miocardio acuto intraospedaliero e
una mortalità più bassa nei pazienti
sottoposti a rivascolarizzazione
percutanea (PCI) rispetto a quelli
sottoposti a re-intervento di bypass
aortocoronarico. L’incidenza di
un’ulteriore
rivascolarizzazione
della lesione colpevole a 4 anni
invece è risultata maggiore dopo
PCI che dopo bypass. Per tali
ragioni
si
è
ritiene
che
l’indicazione al reintervento di
bypass sussista in presenza delle
seguenti condizioni: possibilità di
utilizzare
un’arteria
mammaria
interna
per
la
discendente
anteriore, necessità di rivascolarizzare più vasi, presenza di malattia
diffusa di SVGs più vecchi di 7
anni, impossibilità ad intervenire
con angioplastica sui vasi nativi,
ridotta
funzione
ventricolare
sinistra (48,49).
Terapia interventistica dei SVGs
Terapia chirurgica.
Il re-intervento di bypass
aortocoronarico (cosiddetti inter-
La terapia interventistica
delle lesioni dei SVGs rimane a
tutt’oggi una sfida nel laboratorio
9
Interventistica per cutanea nei by-pass aorto-coronarici venosi
L. Favero,G. Pasquetto, S. Saccà, C. Cernetti, B. Reimers
Emodinamica 2003, 35:9-18
di interventistica, principalmente
per
l’alto
rischio
di
embolizzazione
e
di
infarto
periprocedurale,
per
l’alta
incidenza di restenosi dopo PCI, e
per l’inevitabile progressione della
malattia aterosclerotica, soprattutto
nei cosiddetti SVGs degenerati.
Ciononostante negli ultimi
dieci anni sono stati ottenuti
notevoli
progressi
nella
comprensione della storia naturale
e nella definizione della strategia
interventistica dei SVGs (50).
Peculiarità delle lesioni dei SVGs:
lesione
“significativa”,
graft
“degenerati” e il problema delle
occlusioni totali.
È stato notato che la
ricorrenza di eventi ischemici oltre
il primo anno dopo PCI efficace su
SVGs è legata nella maggior parte
dei casi a progressione della
malattia in lesioni di grado
moderato non trattate al momento
della PCI(51). Sulla base di questa
osservazione si ammette la
necessita’ di trattare nei SVGs
anche le lesioni angiograficamente
di grado intermedio (40-50% in
diametro).
La malattia aterosclerotica
dei SVGs si presenta in due forme
distinte dal punto di vista anatomo angiografico e, in ultima analisi,
anche dal punto di vista della
prognosi dopo PCI: una forma
caratterizzata da lesioni focali,
singole, ed un’altra caratterizzata
da degenerazione diffusa del graft
venoso (da un punto di vista
semantico
definiamo
SVG
degenerato quello che presenta una
lesione > 30 mm in lunghezza con
presenza di trombo o contorno
irregolare). La maggior parte degli
studi clinici che supportano il
trattamento percutaneo dei SVGs
sono stati condotti su SVGs con
lesioni focali e quindi non
permettono di stabilire in maniera
definitiva il trattamento ottimale
dei SVGs degenerati. Due studi(52,53) hanno valutato i risultati
della PCI nei SVGs degenerati,
dimostrando che l’impianto di
stent può essere effettuato con un’
accettabile incidenza di complicanze periprocedurali, le quali
comunque risultano sempre più
frequenti rispetto a quanto
10
osservato durante interventistica su
lesioni focali. Purtroppo i risultati
a medio e lungo termine sono
meno favorevoli a causa dell’alta
incidenza di necessità di re-PCI e
della progressione della malattia su
altri segmenti del graft non trattati
inizialmente.
L’approccio al problema dei
SVGs
occlusi
richiede
una
distinzione tra occlusione acuta in
corso di infarto miocardio acuto
(IMA) e occlusione subacutacronica. In presenza di occlusione
acuta, si ammette l’utilità di una
PCI sul graft venoso, anche se e’
stato dimostrato che la mortalità e’
maggiore nel caso di PCI primaria
su SVGs rispetto a PCI primaria
sui vasi nativi(54,55). Nel caso delle
occlusioni subacute-croniche dei
graft, numerosi studi osservazionali
indicano
una
bassa
percentuale di successo procedurale con un’alta incidenza di
infarti periprocedurali legati a
embolizzazione di materiale aterotrombotico che viene dislocato
durante la procedura di ricanalizzazione e occlude i vasi nativi
distali(56). Il tentativo di ricanalizzazione di graft venosi occlusi da
tempo è quindi considerato una
procedura da evitare(57).
Fibrinolisi selettiva intra graft
L’infusione selettiva intragraft di farmaci fibrinolitici è stata
proposta come metodica adiuvante
nell’interventistica
sui
SVGs
degenerati, soprattutto in presenza
di bypass occlusi. Sono stati
utilizzati l’Urochinasi in infusione
continua o somministrata a boli e il
t-PA in bolo seguito da infusione
continua. Questi tipi di trattamento
hanno
però
dimostrato
di
accompagnarsi ad un’alta incidenza
di
complicanze
periprocedurali, come emorragie ed
infarto miocardio (58), tanto che
attualmente i benefici derivanti
dalla trombolisi intra graft non
sembrano giustificare i rischi da
essa implicati.
Il device di scelta: lo stent.
I primi studi sui risultati
dell’angioplastica (PTCA) semplice nel trattamento percutaneo dei
SVGs riportavano risultati non
favorevoli sia procedurali che a
distanza (59-60). Dopo l’introduzione
degli stent, in seguito anche ai
risultati incoraggianti di un
registro che aveva utilizzato gli
stent nei SVGs 61), sono stati condotti
studi
randomizzati
di
confronto tra PTCA e stenting per
il trattamento dei SVGs. Nello
studio SAVED, in cui i pazienti
venivano randomizzati a PTCA o
ad impianto elettivo di stent di
Palmaz-Schatz, i pazienti trattati
con stent avevano un maggiore
successo procedurale (92% vs
69%, p<0.001), una significativa
riduzione dell’end-point composito
a 6 mesi di morte, infarto
miocardio Q, ripetizione di CABG
e re-PCI (26% vs 39%, p<0.05),
un trend favorevole verso una
minore rivascolarizzazione della
lesione colpevole (TLR) (17% vs
26%, p=ns) e verso una minore,
ma sempre elevata, restenosi
angiografica (36% vs 47%,
p=0.11)(62).
Nello
studio
VENESTENT(63), in cui i pazienti
venivano randomizzati a PTCA
semplice o ad impianto elettivo di
stent Wiktor, i pazienti trattati con
stent mostravano una incidenza
significativamente
minore
di
rivascolarizzazione
del
vaso
colpevole (TVR) a 6 mesi (11.5%
vs 25%, p<0.05) e un trend
favorevole verso una minore
incidenza di restenosi (21.9% vs
35.6%,
p=0.09).
Lo
studio
randomizzato WINS(64) ha dimo strato un’equivalenza tra lo stent
autoespandibile Wallstent e lo
stent
di
Palmaz-Schatz
nel
trattamento dei SVGs sia in lesioni
de
novo
che
restenotiche.
Numerosi, più recenti studi
osservazionali che hanno utilizzato
diversi tipi di stent “balloonexpandable”
indicano
che
l’impianto di stent nei SVGs ha
un’alto tasso di successo, un’
accettabile incidenza di trombosi
dello stent e una possibile
riduzione della restenosi rispetto
ad altri device(61,65-70). Uno studio
monocentrico
recente(71),
ha
mostrato un’ incidenza di restenosi
angiografica
significativamente
minore nei segmenti di SVG
trattati con stent rispetto ai
segmenti di SVG trattati con
angioplastica semplice. L’incidenza di restenosi sembra più alta
per le lesioni ostiali e restenotiche
(30-60%) rispetto a lesioni in altre
sedi del graft o de novo (17-39%).
L’incidenza di necessità di TLR
dopo impianto di stent nei SVGs è
massima nei primi 8 mesi, ma il
rischio di TLR permane per 18-24
mesi suggerendo che i pazienti
trattati con stent nei graft vanno
seguiti scrupolosamente anche
dopo i primi 8-10 mesi per il
rischio di restenosi “ritardata”
(72,73)
. Negli ultimi anni notevoli
sforzi sono stati condotti al fine di
sviluppare stent ricoperti in grado
di
limitare
i
fenomeni
di
embolizzazione distale in fase
acuta e la restenosi a distanza
(Figura 1). I risultati clinici
derivanti dall’impiego di questi
nuovi stent hanno dato indicazioni
discordanti. Nel trial Recovers, in
cui
i
pazienti
sono
stati
randomizzati al trattamento con
uno “stent graft” (Jostent, Jomed),
costituito da 2 stent in acciaio che
racchiudono una membrana di
politetrafluoroetilene (PTFE), o
con normale stent di acciaio,
l’utilizzo di stent graft ha
dimostrato di comportare un
aumento degli infarti non Q a 30
giorni e di non ridurre l’incidenza
di restenosi angiografica a 6 mesi
(74)
. La maggior incidenza di
complicanze
procedurale
è
verosimilmente legata al elevato
profilo del device che comprende
due
stent
sovrapposti
che
racchiudono (“a sandwich”) la
membrana di PTFE. Di più
favorevole profilo sono stent lasercut in acciaio con membrane di
pericardio bovino cucite sullo
stent. Nel trial prospettico non
randomizzato Symbiot II(75), in cui
i pazienti sono stati sottoposti al
trattamento con stent autoespandibile
Symbiot
(Boston
Scientific), costituito da una
struttura in nitinol racchiusa tra
due
membrane
in
PTFE,
l’incidenza di eventi cardiaci
avversi maggiori a 30 giorni (endpoint primario) è risultata bassa se
comparata con i risultati ottenuti in
uno studio precedente che aveva
utilizzato il Wallstent (WINS, 64).
Anche l’incidenza di restenosi
angiografica, e di “failure” a 6
a
b
Figura 1. a) Stent graft Jostent Graftmaster (Jomed). b) Esemplificazione delle fasi di
impianto di uno stent Symbiot (Boston). Dall’alto al basso: posizionamento dello
stent, rilascio dello stent autoespandibile con contenimento della placca all’esterno
dello stent, postdilatazione dello stent, e risultato finale.
mesi del vaso trattato (TVF) sono
risultati inferiori ai risultati di studi
precedenti(62,64). Ulteriori studi di
tipo randomizzato sono in corso
(Symbiot III) per confermare i
risultati incoraggianti derivanti da
queste prime esperienze con gli
stent Symbiot.
Un ultimo accenno va al
problema dell’uso degli stent
medicati (DES) con rapamicina o
paclitaxel. A tutt’oggi non esistono
studi sufficientemente numerosi da
permettere di stabilire il ruolo dei
DES nel trattamento dei SVGs.
Va precisato comunque che con i
diametri di DES attualmente
esistenti (fino ad un massimo di
3.5 mm), il trattamento di condotti
venosi di diametro
3.5 mm può
comportare un’inadeguata apposizione dello stent alla parete del
vaso e un’inadeguata concentrazione di farmaco antiproliferativo
con una possibile inefficace
prevenzione della restenosi. Inoltre
i meccanismi fisiopatologici della
restenosi nei SVGs non sembrano
uguali a quelli dei vasi nativi e
quindi i risultati degli studi con
DES nei vasi coronarici nativi non
possono essere automaticamente
trasportati ai SVGs senza la
conferma di studi dedicati.
Se è vero che lo stent
rappresenta il device di scelta nel
trattamento percutaneo dei SVGs,
menzione va comunque fatta ad
altre metodiche che sono state
sperimentate nel trattamento dei
11
Interventistica per cutanea nei by-pass aorto-coronarici venosi
L. Favero,G. Pasquetto, S. Saccà, C. Cernetti, B. Reimers
Emodinamica 2003, 35:9-18
graft senza fornire risultati però
comparabili con quelli ottenuti con
gli stent. Lo studio CAVEAT II ha
confrontato l’efficacia della PTCA
vs aterectomia direzionale (DCA)
nei SVGs (76). La metodica di DCA
ha dimostrato di avere una più alta
incidenza di successo procedurale
ma al prezzo di una maggiore
incidenza di IMA non Q. A 6 mesi,
l’incidenza di restenosi angiografica non è risultata differente
nei due gruppi. Per quanto
riguarda l’utilizzo dell’aterectomia
rotazionale,
si
ritiene
sia
controindicato nei SVGs a causa
dell’alto rischio di embolizzazione
distale
che
questa
tecnica
comporta.
Nella seconda metà degli
anni novanta ha conosciuto un
periodo di successo l’aterectomia
con
catetere
ad
estrazione
transluminale (TEC). Un trial
randomizzato
multi-centrico
e
alcuni studi monocentrici(77-79)
hanno evidenziato una minore
incidenza di complicanze emboliche procedurali, almeno nei graft
senza evidente trombosi endoluminale, ma alti tassi di restenosi
angiografica.
L’aterectomia con laser ad
eccimeri
(ELCA)
infine
ha
mostrato
in
uno
studio
comparativo con la PTCA di non
offrire benefici ne’ in termini di
risultati angiografici immediati ne’
di eventi cardiaci avversi ad 1
anno (80).
Sistemi
di
protezione
dall’embolizzazione.
Come già detto uno degli
aspetti peculiari del trattamento dei
SVGs è l’alto rischio di fenomeni
di embolizzazione distale e/o noreflow e la conseguente alta
incidenza di IMA periprocedurali,
per lo più di tipo non Q(81-83). Per
ovviare a questo problema, sono
stati
sviluppati
device
che
possiamo suddividere in device di
trombectomia
e
device
di
protezione (Figura 2). I sistemi di
trombectomia aspirano trombi e
frammenti di placca per “ripulire”i
SVGs prima del loro trattamento
definitivo. Tali sistemi, dopo avere
dato iniziali risultati incoraggianti
(84-86)
sono oggi meno utilizzati(87)
rispetto ai sistemi di protezione
12
a
b
c
Figura 2. Sistemi di protezione distale: a) Percu Surge (Guardwire , Medtronic) con
palloncino distale gonfiato e catetere di aspirazione; b) Angioguard X P (Cordis ); c)
Filterwire EX (Boston).
che hanno fornito risultati più
univoci(81,82,88,89).
Lo studio SAFER(88) ha
randomizzato 801 pazienti sottoposti a PCI su lesioni de novo in
SVGs con o senza il sistema di
protezione
con
palloncino
occlusivo distale Percu Surge
(Guardwire, Medtronic). Lo studio
ha dimostrato che l’utilizzo di
questo sistema riduce in maniera
significativa l’incidenza di IMA
non Q periprocedurale (8.6% nel
braccio con PercuSurge vs 14.7%
nel braccio di controllo, p<0.05) e
di no-reflow (3% nel braccio con
PercuSurge vs 9% nel braccio di
controllo, p<0.05). Questo effetto
è risultato indipendente dalla
somministrazione
di
farmaci
inibitori del recettore glicoproteico
IIb/IIIa. Lo studio FIRE (89), che ha
randomizzato
651
pazienti
sottoposti a PCI su lesioni de novo
in SVGs a trattamento con sistema
di occlusione distale (Guardwire,
Medtronic) vs filtro distale
(FilterWire EX, Boston), ha
dimostrato un sovrapponibile
successo procedurale (97.2% nel
braccio con Guardwire vs 95.5%
nel braccio con FilterWire, p=ns) e
una sovrapponibile incidenza di
eventi cardiaci avversi maggiori
(MACE 11.6% nel braccio con
Guardwire vs 9.9% nel braccio con
FilterWire, p=ns). I sistemi di
protezione dall’embolizzazione si
configurano quindi come metodiche necessarie nel trattamento
degli SVGs degenerati, e sembra
esserci una sostanziale equivalenza
di risultati tra sistemi ad
occlusione distale ed aspirazione e
filtri distali. È necessario invece
accumulare ulteriori dati per
quanto riguarda i sistemi di
protezione
ad
occlusione
prossimale. Questi sistemi di
protezione operano bloccando il
flusso
anterogrado
mediante
occlusione del graft all’ostio e
aspirando a fine procedura il
sangue dal graft con rimozione
degli eventuali frammenti di
trombo o placca embolizzati.
Questi device (Proxis, Kerberos,
TriActiv) sono in via di
valutazione clinica.
Utilizzo degli inibitori IIb/IIIa
L’efficacia degli inibitori del
recettore
della
glicoproteina
IIb/IIIa
come
farmacoterapia
adiuvante durante PCI nei SVGs
non è evidente come per le lesioni
del circolo nativo. I dati cumulativi
degli studi EPIC ed EPILOG non
mostrano differenze significative
nella prognosi a 30 giorni e 6 mesi
tra pazienti trattati su SVGs con o
senza abciximab(90, 91). A tutt’oggi
non esistono evidenze scientifiche
totalmente convincenti riguardo
l’utilità dell’uso degli inibitori
IIb/IIIa nell’interventistica sui
SVGs (92).
trattamento della restenosi intra
stent nei SVGs.
Aspetti tecnici dell’interventistica
nei bypass aortocoronarici venosi
La via di accesso preferita nel
nostro centro durante interventistica sui SVGs è quella femorale
perché consente l’utilizzo di
cateteri
guida
di
diametro
maggiore ( 7F), in grado di fornire
maggior supporto durante la PCI e
di permettere il posizionamento di
sistemi di protezione dall’embolizzazione. I diametri dei cateteri
guida utilizzati variano dal 6 all’8
F e il tipo di catetere guida dipende
dal SVG che si desidera trattare. I
bypass per la coronaria destra di
solito vengono incannulati con il
Judkins destro o il Multipurpose,
mentre i bypass per la coronaria
non si riesca ad avanzare sulla
guida il palloncino o lo stent è
possibile inserire una guida
aggiuntiva
nel
bypass.
La
cosiddetta “buddy-wire” fornisce
supporto
al
catetere
guida
permettendo l’avanzamento dei
device desiderati. L’utilizzo del
sistema di protezione è altamente
raccomandato, anche in presenza
di
graft
non
diffusamente
degenerati. Di preferenza nella
nostra esperienza il sistema più
rapido e facile da usare è quello
con filtro distale. Qualora la
stenosi
del
graft
sia
particolarmente serrata e non
consenta il passaggio del filtro, è
possibile eseguire con una certa
sicurezza una predilatazione senza
protezione distale della lesione con
Figura 3. Esempio di graft venoso degenerato per il ramo marginale ottuso, di 12 anni d’ età , con difetti di riempimento che
suggeriscono la presenza di trombi multipli. Angiogrammi basali (in alto, proiezione OAS a sinistra e OAD a destra) e dopo
trattamento con 2 stent graft (in basso, proiezione OAS a sinistra e OAD a destra).
Brachiterapia.
È
stato
recentemente
dimostrato che la brachiterapia con
raggi ã della restenosi intra stent
dei SVGs possiede un’efficacia
terapeutica analoga a quanto
avviene nel circolo coronario
nativo(93). A tutt’oggi pertanto, la
brachiterapia con raggi ã è l’unica
metodica che si è dimostrata utile
nel ridurre le recidive dopo
sinistra con il Judkins destro e
l’Amplatz sinistro. Alternative
valide sono i cateteri con curve
specifiche per bypass destro o
sinistro. Le guide utilizzate variano
a
seconda
delle
preferenze
dell’operatore, ma in molti casi è
necessario impiegare guide ad alto
supporto per potere avanzare i
device nel bypass. Nel caso si
utilizzi un sistema di protezione
con filtro o occlusione distale e
un pallone di piccolo diametro
(1.5, 2.0 mm) espanso a poche
atmosfere,
successivamente
avanzare il filtro, e finire la
procedure
con
sistema
di
protezione in sede. Alternativamente si può utilizzare il
Guardwire, che avendo un profilo
minore, permette un più facile
superamento anche di lesioni
serrate. La tecnica di impianto
degli stent espansi su pallone nei
13
Interventistica per cutanea nei by-pass aorto-coronarici venosi
L. Favero,G. Pasquetto, S. Saccà, C. Cernetti, B. Reimers
Emodinamica 2003, 35:9-18
SVGs prevede alcuni accorgimenti. Si raccomanda dove
possibile di eseguire l’impianto
dello stent direttamente senza
predilatazione, al fine ridurre il
rischio di embolizzazione distale
(82)
. Qualora sia necessario
predilatare, si raccomanda di
utilizzare un palloncino sottodimensionato rispetto al vaso al
fine di minimizzare il rischio di
embolizzazione
distale.
Resta
ancora da definire quale è il tipo di
stent preferibile. Nel caso si
utilizzino
stent
balloonexpandable, si consiglia di non
sovradimensionare lo stent rispetto
al vaso ma di mantenere un
rapporto stent:graft di 1:1 e di non
eseguire post-dilatazione ad alta
pressione, evitando così la
protrusione e successiva embolizzazione
di
materiale
aterotrombotico attraverso le maglie
dello
stent.
Uno
stent
specificatamente creato per i
bypass venosi è lo stent Ultra
(Guidant) espandibile fino ad un
diametro di 6 mm e con elevata
copertura metallica, il quale
consente di coprire la placca
friabile del graft con potenziale
riduzione
dei
fenomeni
di
embolizzazione.
La
lunghezza
dello stent deve essere maggiore
della lunghezza della lesione
valutata all’ angiografia coronarica
quantitativa, al fine di evitare
fenomeni di “shift” di placca. In
questo senso, l’interventistica sui
graft comporta spesso l’impianto
di stent lunghi o multipli fino, in
presenza di malattia diffusa, alla
ricostruzione con stent dell’intero
condotto venoso. Le Figure 3 e 4
illustrano
un
esempio
di
trattamento di SVG degenerato per
il ramo marginale ottuso.
Conclusioni
In pazienti portatori di bypass
aorto-coronarici con indicazioni
alla
rivascolarizzazione,
il
trattamento percutaneo di graft
venosi stenotici rappresenta spesso
la terapia di prima scelta. Ciò
nondimeno, questa procedura a
tutt’oggi è da considerarsi una
delle più difficili e rischiose che
affrontiamo
in
sala
di
emodinamica.
14
a
b
c
d
Figura 4. Fasi della procedura di cui alla figura 1. a) Posizionamento del
filtro di protezione distale contenuto nel delivery sheath; b) normale
flusso attraverso il filtro aperto, senza evidenza di embolizzazione distale
dopo passaggio del filtro; c) impianto di 2 stent graft autoespandibili
Symbiot; d) postdilatazione con pallone non compliante 4.5x20 mm a 12
atm.
Tentativi
di
ridurre
l’incidenza
di
complicanze
periprocedurali con sistemi di
protezione e con stent (coperti o
no), entrambi da considerarsi
d’obbligo, sono promettenti ma
siamo ancora lontani da una
soluzione definitiva del problema.
La migliore strategia in termini di
utilizzo di stent medicati o
ricoperti e in termini di terapia
farmacologia
preventiva
per
ridurre la tuttora elevata incidenza
di restenosi e di progressione della
malattia è ancora da definire.
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Interventistica Percutanea nei By-Pass Aorto