CAUSALITÀ • Il ragionamento causale: le origini della filosofia • Causalità e scienza moderna • Causalità e induzione • Induzione e probabilità La nozione di causa e, più in generale, il problema della causalità rappresentano questioni chiave per il pensiero filosofico. In un certo senso, l'origine e l'identità stesse della filosofia occidentale sono connesse all'idea di ragionamento causale: La filosofia occidentale nasce nella Grecia antica intorno al settimo-sesto secolo a.C. proprio come ricerca dell'arché, cioè dell'origine del cosmo: questa ricerca deve però essere razionale e non mitologica, ed è quindi una vera e propria ricerca delle cause dell'esistenza del cosmo. La visione aristotelica del mondo naturale è legata in modo profondo alla causalità (teoria aristotelica delle 4 cause). La rivoluzione scientifica sostituisce la visione aristotelica del mondo naturale: la nuova immagine scientifica del mondo viene associata all’idea secondo cui la scienza moderna ‘liquida’ la causalità. Le cause aristoteliche (Fisica, Analitici Secondi) Per Aristotele cogliere la causa di una cosa equivale a coglierne il perché (tò dià tì). Teoria aristotelica delle cause: teoria dei possibili modi di rispondere alla domanda del «perché di una cosa o di un fatto» o, con una formula più asettica, come la dottrina dei princìpi in quanto fattori esplicativi. Causa materiale «Ora, in un modo è detto causa ciò da cui, come costituente interno, una cosa viene a essere: per esempio, il bronzo è causa della statua, l’argento del calice» Causa formale «In un altro modo sono detti causa la forma e il modello, cioè la definizione di ciò in cui consiste l’essere, e i generi di questa» Causa efficiente «altrimenti ancora, è detto causa ciò da cui è dato l’inizio del cambiamento o della quiete: per esempio, è causa chi ha deliberato, il padre del figlio, in generale ciò che produce di ciò che è prodotto e ciò che fa cambiare di ciò che cambia». Causa finale «Altrimenti ancora è detto causa il fine, cioè “ciò in vista di cui”: per esempio, la salute del passeggiare. Infatti, perché uno passeggia? Rispondiamo: “per essere sano”, e così dicendo riteniamo di aver reso la causa». Sulla base di una corretta interpretazione della teoria aristotelica della causalità, l’idea che la scienza moderna ‘liquidi’ la causalità è in effetti un’esagerazione. In realtà, la scienza moderna non si allontana poi così radicalmente dall’idea aristotelica di scienza come ‘ricerca delle cause’: il punto importante è che si estende profondamente l’idea di causa, fino a includere la nozione (davvero moderna) di LEGGE. Il mondo antico sostanzialmente non conosce l’idea di legge nel senso della scienza moderna: in quel mondo la ‘legge’ è soprattutto una nozione giuridica e politica. Esempio: la dicotomia greca antica tra nomos (‘legge’) e physis (‘natura’) nel primo libro della Repubblica di Platone. L’idea moderna di legge naturale si afferma pienamente solo con Newton: la formulazione matematica delle leggi svolge un ruolo essenziale nel fondare l’idea che la legge sia una prescrizione necessaria. Interazioni ‘causali’: un semplice esempio 1 2 3 1 4 2 Gli urti sono processi ‘causali’, ma nel senso di essere governati con necessità da leggi (meccaniche). Sullo sfondo di questa stretta relazione tra causalità e legge, è possibile dimostrare il fondamento empirico della relazione causale? È il problema affrontato da David Hume (1711-1776): - ammettendo che la conoscenza autentica sia in larga parte di tipo causale, qual’è il fondamento di questa conoscenza? - perché ci ‘fidiamo’ della conoscenza causale e perché non possiamo farne a meno? “Tutti gli oggetti della ragione e della ricerca umane si possono naturalmente dividere in due specie, cioè relazioni di idee e materie di fatto.” RELAZIONI TRA IDEE “Alla prima specie appartengono le scienze della geometria, dell’algebra e dell’aritmetica; e, in breve, qualsiasi affermazione che sia certa intuitivamente e dimostrativamente. [...] Proposizioni di questa specie si possono scoprire con una semplice operazione del pensiero, senza dipendenza alcuna da qualche cosa che esista in qualche parte dell’universo. Anche se non esistessero in natura circoli o triangoli, le verità dimostrate da Euclide conserverebbero sempre la loro certezza ed evidenza.” MATERIE DI FATTO “Le materie di fatto, che sono la seconda specie di oggetti dell’umana ragione, non si possono accertare nella stessa maniera, né l’evidenza della loro verità, per quanto grande, è della stessa natura della precedente. Il contrario di ogni materia di fatto è sempre possibile, perché non può mai implicare contraddizione e viene concepito dalla mente con la stessa facilità e distinzione che se fosse del pari conforme a realtà.” “Che il sole non sorgerà domani è una proposizione non meno intelligibile e che non implica più contraddizione dell’affermazione che esso sorgerà. Invano tenteremo, dunque, di dimostrare la sua falsità; se essa fosse falsa dimostrativamente, implicherebbe una contraddizione e non potrebbe mai essere distintamente concepita dalla mente.” D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano (1748) “È chiaro che in tutti i ragionamenti riguardanti le materie di fatto sono basati sulla relazione di causa ed effetto e che noi non possiamo mai inferire l’esistenza di un oggetto da quella di un altro a meno che questi non siano connessi insieme, in modo immediato o mediato. Quindi, per capire questi ragionamenti, dobbiamo avere una perfetta dimestichezza con l’idea di causa, e a questo scopo dobbiamo guardarci intorno e trovare qualcosa che sia la causa di un’altra.” Analisi dell’idea di causa := analisi di quelle condizioni generali che ritroviamo nelle relazioni causali empiriche contiguità precedenza temporale della causa congiunzione costante Queste tre condizioni sono, per Hume, tutto ciò che di ‘causale’ possiamo ritrovare nell’esperienza. Le domande fondamentali per Hume sono allora due: 1 Perché il fatto che tutto ciò che esiste debba avere una causa ci appare un principio necessario? [PROBLEMA DELLA CAUSALITÀ] 2 Qual’è il fondamento di quell’inferenza che, a partire da una serie di fenomeni, ci porta a ipotizzare le cause di quei fenomeni, e perché tendiamo ad attribuire necessità anche a questo tipo di inferenza? [PROBLEMA DELL’INDUZIONE] Problema della causalità (domanda 1): perché la relazione causale dovrebbe essere necessaria? Problema dell’induzione (domanda 2): come siamo arrivati a stabilire il carattere causale di certe interazioni? ATTENZIONE! Logicamente, la domanda 2 precede la domanda 1: una risposta alla 2 implica una risposta alla 1 La domanda “come siamo arrivati a stabilire il carattere causale di certe interazioni?” rivela che l’assunzione implicita nell’uso di argomenti induttivi è un principio di uniformità della natura: “ne segue allora che tutti i ragionamenti riguardanti la causa e l’effetto sono fondati sulla supposizione che il corso della natura continuerà a essere uniformemente lo stesso.” Il nuovo problema è allora: in che misura è possibile giustificare il principio di uniformità della natura? Giustificazione logica? Non necessaria: il principio di uniformità non è di natura logica, cioè negare il principio non è contraddittorio. Giustificazione empirica? Circolare: per giustificare il principio di uniformità dovremmo ricorrere al principio stesso. “In tutti i ragionamenti derivanti dall’esperienza c’è un passo compiuto dalla mente che non è sorretto da alcun argomento o processo dell’intelletto.” Questo passo è invece sorretto dall’abitudine, una caratteristica della natura umana che Hume interpreta come una predisposizione – di fronte al ricorrere di certi eventi secondo una certa successione – ad attendersi la ripetizione di quegli eventi in quella successione. Hume si riferisce all’abitudine come a un tratto originario e istintivo della natura umana, non ulteriormente analizzabile in termini di strutture psicologiche più profonde. “Adoperando questa parola, non pretendiamo d’aver dato la ragione ultima di tale inclinazione. Noi non facciamo che indicare la presenza di un principio della natura umana, che è universalmente riconosciuto e che è molto noto nei suoi effetti.” Reazione di Immanuel Kant (1724-1804) alle conclusioni di Hume: se la causalità è alla base della scienza, la teoria humiana non può giustificare l’oggettività della scienza, perché nella teoria humiana la causalità non ha alcuna giustificazione di principio, ma solo di fatto. Kant considera insoddisfacente questo risultato, perché il suo principale obiettivo filosofico è proprio la giustificazione del carattere oggettivo della scienza. Kant accetta la seguente tesi humiana: la giustificazione della causalità – e quindi dell’oggettività della scienza – non può essere ricercata nell’esperienza. Per Kant tuttavia l’indagine non può fermarsi qui: si pone cioè il problema di dove andare a cercare la giustificazione della causalità. Proposta kantiana: la giustificazione della causalità – e quindi dell’oggettività della scienza – risiede in quelle strutture della mente che risultano indipendenti dall’esperienza! Secondo Kant, infatti, la mente è dotata di certe strutture (chiamate intuizioni e categorie) che sono in grado di organizzare l’esperienza ma senza derivare esse stesse dall’esperienza (Kant definisce trascendentali e a priori queste strutture). I fenomeni possono essere interpretati in senso causale perché la mente li organizza necessariamente in senso causale: in un certo senso, la mente non può che organizzarli causalmente. Un problema della soluzione kantiana ha a che fare con l’idea che lo spazio sia un’intuizione indipendente dall’esperienza. La geometria euclidea, infatti, è nella prospettiva kantiana la scienza necessaria dello spazio fisico, necessaria nel senso che la mente non può che organizzare lo spazio fisico in senso euclideo. Ma la formulazione delle geometrie non-euclidee (XIX secolo) e la scoperta che sono essenziali per la fisica (XX secolo) mettono infatti in crisi questa idea kantiana: esistono cioè geometrie che non soddisfano tutti gli assiomi della geometria euclidea e che però hanno un contenuto empirico. Conseguenza: la geometria euclidea non è l’unica scienza dello spazio possibile! La probabilità: un enigma filosofico? Origini moderne del concetto di probabilità: tra il 1650 e il 1800 (gli antichi non hanno sviluppato un’idea robusta di probabilità) Alcune tappe fondamentali 1654 Corrispondenza tra Pascal e Fermat: nascita ‘ufficiale’ della probabilità moderna 1812 Laplace, Teoria analitica della probabilità (contiene il Saggio filosofico sulla probabilità) 1933 Formulazione del moderno calcolo delle probabilità (A.N. Kolmogorov) Interesse filosofico della probabilità • La moderna immagine scientifica del mondo ha a che fare sempre di più con l’incertezza, e la probabilità rappresenta uno strumento fondamentale per ‘governare’ l’incertezza. • Molte singole scienze dipendono in modo cruciale dalla probabilità per le loro stesse formulazione e applicazione. • La probabilità potrebbe dare qualche idea su come affrontare il problema dell’induzione e degli argomenti induttivi in generale. Premesse Argomento induttivo non necessario, ma ‘probabile’ Conclusione Se in un argomento induttivo le premesse rendono ‘probabile’ la conclusione, il problema è: cosa significa ‘probabile’? Il problema è serio perché non esiste un’unica interpretazione possibile della nozione di probabilità. Laplace e la formulazione “classica” della probabilità (1812): se n è il numero di eventi possibili e m il numero di eventi ‘favorevoli’ a un certo risultato R, si pone la probabilità p(R) pari al rapporto casi favorevoli casi possibili Esempio canonico con i dadi: prob(“uscita del 3”) = 1/6 perché 1 = numero di eventi associati all’uscita del 3 6 = numero di eventi possibili (le 6 facce del dado) Sfondo deterministico della nozione laplaciana di probabilità “Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell'universo come effetto del suo stato anteriore e come causa del suo stato futuro. Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la collocazione rispettiva degli esseri che la compongono, e fosse abbastanza profonda da sottoporre questi dati ad analisi (matematica), abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire come il passato sarebbe presente ai suoi occhi”. L’uso della probabilità si giustifica sulla base dell’ignoranza umana di tutte le forze in gioco Prima implicazione importante: L’interpretazione laplaciana della probabilità è un’interpretazione epistemica, nella quale la probabilità ha a che fare essenzialmente con la conoscenza (o la credenza) di soggetti umani razionali. La formulazione classica richiede però condizioni troppo forti: 1. individuazione di tutti i “casi possibili”; 2. possibilità di individuare i casi “favorevoli” all’evento di cui si valuta la probabilità; 3. assunzione che tutti i casi possibili sono “ugualmente” possibili (equipossibilità). Ma 1 & 2 potrebbero non essere realizzabili, mentre l’assunzione 3 è a rischio di circolarità: “possibile” significa infatti “probabile”, e allo stesso tempo la probabilità è definita nei termini del possibile. Nel tentativo di superare i limiti della formulazione “classica” vengono proposte 3 diverse interpretazioni: INTERPRETAZIONE FREQUENTISTA (von Mises) INTERPRETAZIONE LOGICA (Keynes, Carnap) INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA (De Finetti) IMPORTANTE! Int. frequentista Struttura formale della probabilità Int. logica (Kolmogorov) Int. soggettiva ....... Uno spazio di probabilità (A.N. Kolmogorov 1933) è una tripla , B, p dove: 1. è un insieme; 2. B è un’algebra di Boole di sottoinsiemi di ; 3. p è una funzione p: B [0,1] tale che: 3.1 p() = 1 3.2 se R,S sono elementi di B e RS = , allora p(RS) = p(R) + p(S). Le 3 interpretazioni riguardano l’idea filosofica di probabilità: esse rappresentano 3 diversi modi di ‘concepire’ la probabilità, ma tutte e 3 devono rispettare le condizioni matematiche del calcolo delle probabilità. Nonostante le notevoli differenze di interpretazione concettuale, esiste un’identica struttura formale per una teoria della probabilità (realizzata dagli assiomi di Kolmogorov). Dunque le proprietà matematiche della probabilità non ci dicono da sole quale interpretazione della probabilità dovremmo privilegiare. La probabilità è un esempio di quei problemi filosofici che possono avere una formulazione matematica ma che non possono essere risolti soltanto con la matematica. INTERPRETAZIONE FREQUENTISTA La probabilità di un evento si identifica con la sua frequenza di occorrenza (in un insieme di eventi ‘simili’). L’uso della probabilità è ristretto ai casi in cui si dispone di un insieme di eventi ripetibili (non esiste probabilità di un caso singolo!). La probabilità deve essere trattata come una teoria matematica che si occupa di fenomeni osservabili: “Come oggetto della geometria è lo studio dei fenomeni dello spazio, così la teoria della probabilità ha a che fare con fenomeni di massa ed eventi ripetuti.” (R. von Mises, 1928) L’interpretazione frequentista non è soltanto epistemica: la probabilità ha anche a che fare con come è fatto il mondo. INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA L’interpretazione soggettiva rifiuta invece che la probabilità debba parlare di proprietà del mondo. In questa interpretazione, la probabilità di un evento si identifica con il grado di fiducia che i singoli soggetti assegnano al verificarsi di quell’evento. INTERPRETAZIONE LOGICA L’interpretazione logica rifiuta invece la tesi soggettiva che non esistano fatti probabilistici oggettivi. Secondo i logicisti, la probabilità di un evento si identifica con il grado con cui l’evidenza disponibile su quell’evento giustifica l’effettiva realizzazione dell’evento. Questo grado è secondo i logicisti un fatto oggettivo. Esempio: “la probabilità di vita su Marte è x” Soggettivisti: x rappresenta il grado di fiducia che i soggetti attribuiscono all’effettiva presenza di vita su Marte. Logicisti: x rappresenta il grado di ‘sostegno’ che l’evidenza osservativa a disposizione può assegnare all’effettiva presenza di vita su Marte. Questo ‘sostegno’ non è un fatto puramente soggettivo, ma ha una sua oggettività razionale. Applicazione al problema dell’induzione: inferenza probabilistica Premessa: “Tutti gli oggetti osservati soddisfano la legge X” Conclusione: “Tutti gli oggetti soddisfano la legge X” La verità della premessa rende la verità della conclusione ‘altamente probabile’. In realtà, nessuna interpretazione della probabilità è davvero adatta! Interpretazione frequentista: la frazione di casi osservati potrebbe essere troppo bassa. Interpretazione soggettiva: la probabilità della conclusione è solo il grado di credenza di un soggetto individuale. Interpretazione logica: sotto l’ipotesi che esistano fatti probabilistici oggettivi, la relazione probabilistica tra la premessa e la conclusione potrebbe essere uno di questi casi. Tuttavia l’interpretazione logica ha molti difetti tecnici di per sé, che la rendono problematica. [Ian Hacking, Introduzione alla probabilità e alla logica induttiva, Saggiatore 2005]