IL DIRITTO PENALE TRA IDENTITÀ NAZIONALE ED EUROPEIZZAZIONE 5 novembre 2015 il contrasto investe solo un elemento della fattispecie incriminatrice Da un’incompatibilità parziale possono derivare tanto effetti in bonam partem quanto effetti in malam partem Una fattispecie di diritto interno punisce la pesca del ‘novellame’ di qualsiasi specie marina. La normativa interna, riferita a tutte le specie, prevede la tollerabilità, sul totale catturato, della presenza di non più del 10% di esemplari aventi dimensioni inferiori a quelle previste. La normativa comunitaria esclude per i tonni rossi qualunque margine di tollerabilità per il gli esemplari sotto misura. La Corte di cassazione, con sentenza n. 6872 del 2011, disapplica il margine di tollerabilità previsto dall’ordinamento italiano per i tonni rossi in quanto contrastante con la normativa europea Il canone della sufficiente determinatezza (Corte costituzionale): ”: la riserva di legge è rispettata, in ordine al momento precettivo della norma, qualora sia una legge (o un atto ad essa equiparato) a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena. Per ciò che attiene al momento sanzionatorio, invece, il principio di legalità andrebbe interpretato in maniera più rigorosa, nel senso che solo la legge dello Stato (o atto equiparato) può stabilire con quale misura debba essere repressa la trasgressione dei precetti che l’ordinamento intende sanzionare penalmente. Distinzione tra elementi normativi che integrano il precetto e elementi normativi che ‘restano fuori dalla fattispecie’ Corte di cassazione, sentenza n. 6872 del 2011 (caso Trinca) La sanzione prevista dalla L.963 del 1965 art.24 si correla alla violazione del divieto di commercio del novellame posto dal precedente art.15, lett. c) che non ha carattere generico e non ha bisogno, per concretizzarsi e divenire attuale, di essere necessariamente integrato dal contenuto di atti normativi secondari. Soltanto uno specificazione tecnica di dettaglio è demandata, al riguardo, al Regolamento sulla disciplina della pesca marittima n.1639/1968 come modificato dai successivi decreti ministeriali, ma tali decreti non possono porsi in contrasto con il regolamento CE n.1624/94 che ad evidenza non introduce nuove fattispecie incriminatrici rispetto a quelle già previste dalla legge penale italiana. Ove il conflitto di manifesti in forma di incompatibilità evidente (come nella vicenda in esame) il giudice è tenuto, pertanto, a non applicare la disposizione contrastante con quella di fonte comunitaria La prescrizione del reato nell’ordinamento italiano, dopo le modifiche apportate dalla legge 251 del 2005 (c.d. legge ex Cirielli Art. 157. Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante. Non si applicano le disposizioni dell'articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni. I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli 449 e 589, secondo, terzo e quarto comma, nonché per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. I termini di cui ai commi che precedono sono altresì raddoppiati per i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo, per il reato di cui all'articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609-bis, 609quater, 609-quinquies e 609-octies, salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal terzo comma dell'articolo 609-bis ovvero dal quarto comma dell'articolo 609-quater. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti. Art. 160. Interruzione del corso della prescrizione [ultimo comma] La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i limiti di cui all’art 161 secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articoli 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale. Art. 161. Effetti della sospensione e della interruzione [secondo comma] Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103, 105. Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di delitti in materia di IVA, mediante il ricorso al meccanismo delle c.d. frodi carosello per l’importazione di champagne Alcuni reati sono già prescritti, gli altri si prescriveranno entro il 2018. Per questa data è ragionevolmente impossibile che si arrivi a una sentenza irrevocabile Il risultato sarebbe quello di una sostanziale impunità assicurata dall’ordinamento italiano ai reati fiscali Questione: se il diritto dell’Unione imponga ai giudici degli Stati membri di disapplicare determinate disposizioni del loro diritto nazionale relative alla prescrizione dei reati, al fine di garantire una repressione efficace dei reati fiscali Risposta della Corte di Giustizia: una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dalle disposizioni nazionali di cui trattasi […] è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE. Art. 325 TFUE 1. L'Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell'Unione. 2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari. La disapplicazione, secondo la Corte, potrebbe prodursi solo se: - la frode sia grave - gli artt. 160 e 161 c.p. determinino l’impossibilità di applicare la sanzione penale in un numero considerevole di casi Queste condizioni non valgono però per l’associazione per delinquere finalizzata alle frodi in materia di IVA. L’ordinamento italiano, infatti, non prevede il tetto massimo del termine prescrizionale per l’analoga fattispecie di associazione finalizzata all’evasione delle accise in materia di tabacchi. Si tratterebbe di un’ingiustificata disparità di trattamento, sufficiente, da sola, a determinare la disapplicazione delle norme sulla prescrizione in riferimento ai reati fiscali. Profili di criticità Effetti in malam partem Ci sono gli estremi per azionare i controlimiti, per violazione del principio di legalità in materia penale? 1) 17 settembre 2015 Cass., III sez. pen., notizia di decisione relativa all’udienza del 17 settembre 2015, Pres. Amedeo, Rel. Scarcella, Imp. Pennacchini Se, in un procedimento penale riguardante il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto (IVA), il combinato disposto dell'art. 160, ultimo comma, doc. pen. e dell'art. 161 di tale codice - come modificati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 - il quale prevede che l'atto interruttivo verificatosi comporta il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale: a) è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, prevedendo termini assoluti di prescrizione che possono determinare l'impunità del reato, con conseguente potenziale lesione degli interessi finanziari dell'Unione europea; b) comporta l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare le predette disposizioni di diritto interno in quanto possono pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dal diritto dell'Unione. 2) 18 settembre 2015 Corte d'appello di Milano, II sez. pen., ord. 18 settembre 2015, Pres. Maiga, Est. Locurto La Corte d’appello di Milano rimette gli atti alla Corte costituzionale, invocando di azionare il meccanismo dei controlimiti per violazione del principio di legalità in materia penale. Viene dunque sollevata questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene ordinata l'esecuzione nell'ordinamento italiano del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona, nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella sentenza in data 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost. Art. 2621 c.c. Conforme al diritto UE d.lgs. 62/2002 Artt. 2621 – 2622 c.c. Si ipotizza il contrasto con direttive UE la Corte (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 3 maggio 2005, C-387/02, C-391/02, C-403/02) osserva (punti 68 e ss.) che «il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Ne deriva che tale principio deve essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l’ordinamento comunitario e, nella fattispecie, in particolare, le direttive sul diritto societario. Si pone tuttavia la questione se il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite si applichi qualora questa sia contraria ad altre norme di diritto comunitario». A questo punto precisano però i giudici di Lussemburgo: «Non è […] necessario decidere tale questione ai fini delle controversie principali, poiché la norma comunitaria in questione è contenuta in una direttiva fatta valere nei confronti di un soggetto dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali. E’ vero che, nel caso in cui i giudici del rinvio, sulla base delle soluzioni loro fornite dalla Corte, dovessero giungere alla conclusione che i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, a causa di talune disposizioni in essi contenute, non soddisfano l’obbligo del diritto comunitario relativo all’adeguatezza delle sanzioni, ne deriverebbe, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, che gli stessi giudici del rinvio sarebbero tenuti a disapplicare, di loro iniziativa, i detti nuovi articoli, senza che ne debbano chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale. Tuttavia, la Corte ha anche dichiarato in maniera costante che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un soggetto e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti. Corte Giust., 11 novembre 2004, C-457/02: caso Niselli. In proposito, occorre ricordare che una direttiva non può certamente creare, di per sé, obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso. Analogamente, una direttiva non può avere l'effetto, di per sé e indipendentemente da una norma giuridica di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni. Tuttavia, nella fattispecie è pacifico che, all'epoca dei fatti che hanno dato luogo al procedimento penale a carico del sig. Niselli, tali fatti potevano, se del caso, integrare gli estremi di infrazioni sanzionate penalmente. Ciò considerato, non vi è motivo di esaminare le conseguenze che potrebbero discendere dal principio della legalità delle pene per l'applicazione della direttiva 75/442. Con l’ordinanza 15 gennaio 2004, C-235/02, Saetti e Frediani, i Giudici di Lussemburgo precisano però che «non spetta alla Corte interpretare o applicare il diritto nazionale al fine di determinare le conseguenze dell’intervento posteriore di norme nazionali in forza delle quali tali fatti non costituiscono più reato». Chiarire i “limiti di resistenza” del principio di retroattività della lex mitior nel diritto interno