CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI” Seminario di Studio “LA LEGGE EX CIRIELLI” Venerdì 3 febbraio 2006 ore 15.00 Centro Servizi della Provincia di Venezia Via Forte Marghera, 191 – Venezia – Mestre 2 AVV. ANTONIO FRANCHINI Buonasera a tutti. Sono particolarmente lieto di vedere tantissimi colleghi, la cosa ci fa particolarmente piacere. Il seminario che la Camera Penale ha organizzato per oggi riguarda una legge estremamente complessa, estremamente discussa e forse non esattamente valutata nel periodo della sua approvazione in relazione alla parte di essa che riguarda la recidiva e le ricadute della recidiva sulla Legge Gozzini, nel senso che dico - purtroppo - l’attenzione massmediatica, ma anche quella credo degli addetti ai lavori, parlo naturalmente degli Avvocati, non dei docenti universitari, che forse si erano accorti subito del tragico passo indietro che questa legge ci faceva compiere in relazione all’istituto della recidivanza, abbiamo posto l’attenzione più sulla parte relativa alla prescrizione dei reati e assai meno si sono sentite voci critiche, se non nell’imminenza dell’approvazione, in relazione alla parte della legge che riguarda la recidiva e che di fatto ricostituisce nel nostro ordinamento un doppio binario in relazione al tipo d’autore. Allora questa legge, oltre ad una serie di problematiche tecniche assai rilevanti, pone anche una serie di problemi di natura interpretativa per cui la Camera Penale ha ritenuto di organizzare questo incontro chiamando a trattarlo il prof. Melchionda dell’Università di Trento, che tratterà gli aspetti di natura sostanziale, il prof. Pavarini dell’Università di Bologna, in relazione ai profili dell’esecuzione e del diritto penitenziario, e, posso dirlo, il nostro amico prof. Giuseppe Frigo, che tratterà la parte di natura processuale penale. Io debbo porgere un particolare ringraziamento ai componenti della Commissione Studio della Camera Penale Veneziana, perché in tempi ristrettissimi sono riusciti a organizzare l’incontro di oggi con sacrificio personale e molto impegno e hanno prodotto anche una relazione scritta della Commissione di studio della Camera Penale Veneziana che è stata distribuita all’ingresso. Peraltro sarà necessaria una seconda edizione, come si usa per i libri di grande successo, perché le centoventi copie non sono bastate, sono andate bruciate, e quindi provvederemo in modo che possa essere distribuita a chiunque ne abbia interesse. Un ringraziamento, dicevo, all’Avvocato Elio Zaffalon, che è il Presidente della Commissione Studio della Camera Penale Veneziana, all’Avvocato Paola Bosio, all’Avvocato Marino De Franceschi e all’Avvocato Alessandro Rampinelli, un grazie di cuore. La Camera Penale Veneziana, attraverso la sua Commissione Studio, ha già in progetto prossimamente un incontro simile a questo sulla legge che regolamenta in maniera assolutamente rivoluzionaria per il nostro ordinamento l’istituto dell’appello e sulla legge recentissimamente approvata dal Parlamento sulla 3 legittima difesa. Vi terremo naturalmente informati delle date di questi successivi incontri. Il mio saluto rituale è a questo punto terminato. Passo la parola all’Avvocato Elio Zaffalon, Presidente della Commissione Studio, per la sua introduzione al tema. AVV. ELIO ZAFFALON Alcune comunicazioni di servizio: la prima è che chiedo scusa per l’intollerabilità della voce che mi affligge in questi giorni, vi tocca sopportarla. Un’altra comunicazione: abbiamo dovuto eliminare il coffee break, che avremmo avuto piacere di offrire, ma la novella è talmente sovraccarica di profili, sostanziale, penitenziaria e processuale, che la mezz’ora del coffee break ci avrebbe creato dei gravi problemi per la chiusura della sala in tempo ed inoltre anche in considerazione che avremmo piacere che ci fosse un adeguato dibattito dopo le relazioni. Vengo rapidamente a quella che vuole essere solo una introduzione schematicissima su uno o due punti principali della novella, perché si tratta di un’introduzione e voglio contenerla in dieci minuti. Il profilo giuridico penalistico fondante della novella mi pare sia quello della figura del recidivo reiterato. È un profilo che, leggendo la legge, si fonda, sottende un po’ a tutte le normative, sia quelle sulla prescrizione, che sulla misura della pena, che quello dei benefici penitenziari. Questa legge è partita da una reazione, magari comprensibile, contro una certa prassi di permissivismo che è una degenerazione della clemenza, perché tutti sappiamo che le attenuanti generiche nella prassi costituivano o costituiscono una specie di diritto, e questo ovviamente, in una valutazione equilibrata della lievità o della gravità dei reati, non può essere apprezzato positivamente. Ma, a fronte di questa situazione, il legislatore ha reagito con quella che mi sembra una grossolanità imperdonabile, adottando una parificazione irragionevole fra la reiterazione di piccoli reati e la reiterazione, invece, di fatti illeciti di grave allarme sociale. Io volevo farvi degli esempi, ma in questi giorni c’è arrivato un profluvio di provvedimenti a favore o contro la legge di cui ci occupiamo, quindi mi viene comodo sottoporvi questa recente ordinanza del Tribunale di Ravenna 12 gennaio 2006 emessa in tema di bilanciamento delle circostanze. Vi racconto rapidamente di cosa si tratta, perché è con la casistica che si tocca con mano dove si va a finire, bisogna portare i discorsi allo stremo per capire dove sta il vizio di questa normativa. In questo caso un tale aveva aiutato l’autore di una estorsione, veniva minacciata una donna di far vedere una videocassetta compromettente al marito, e questo concorrente interviene con due telefonate, 4 dice l’ordinanza, consigliando “di versare il danaro richiesto” e poi compare “e per l’interessamento della vicenda percepisce duecento euro”. Dice il Giudice del Tribunale di Ravenna: questo è concorso in estorsione, ma si tratta di un concorso molto modesto, io vorrei dargli l’attenuante della minima partecipazione, Art. 114. E questa attenuante vorrei dichiararla prevalente sulla aggravante, perché – dice – non mi sento di dare 5 anni a un soggetto che ha tenuto questo comportamento. 5 anni perché? Se non c’è la prevalenza delle attenuanti voi sapete che il minimo della pena per l’estorsione sono 5 anni, in questo caso si trattava di un recidivo. Quindi il Giudice ritiene la norma che impedisce il riconoscimento di una prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, ma obbliga a concedere al massimo l’equivalenza, individua una violazione dell’Art. 3 e dell’Art. 27 della Costituzione sotto il profilo rispettivamente della irragionevolezza e della violazione del principio della funzione rieducativa della pena. Nel provvedimento fa anche un esempio, la fattispecie è quella che vi dicevo prima: il Giudice per sottolineare i profili di illegittimità che vi dicevo fa anche un esempio, cioè cita l’ipotesi di un imputato già recidivo in quanto abbia subito prima una condanna per ingiurie e poi una condanna per minacce, quindi il terzo reato, siamo nella recidiva reiterata, poi fa l’ipotesi che questa persona ceda una dose di eroina, quindi siamo nel reato di stupefacenti con il fatto lieve. Siccome l’attenuante del fatto lieve, a fronte di un recidivo reiterato, non può mai pervenire alla prevalenza, ma soltanto all’equivalenza con le aggravanti, siamo nella necessità di infliggere a questa persona una pena di 8 anni di reclusione e venticinquemila euro di multa e, dice il Giudice di Ravenna, è una pena assolutamente inaccettabile che confligge con i principi che abbiamo citato. Ho voluto farvi questa citazione per capire dove si va a finire e per capire perché mai un altro amico della Camera Penale, il prof. Tullio Padovani, nel suo scritto recentemente uscito a commento della legge arriva a dire - aggiungerei da maledetto toscano - che “siamo in un diritto penale d’autore a sfondo sintomatico presuntivo e vorrà dire che per meglio orientarci”, dice Padovani, “rispolvereremo gli scritti di Frank e di Gurtner, volonterosi giuristi al servizio del fuhrer”. Ma perché si parla di diritto penale d’autore? L’aveva accennato prima già il Presidente Avvocato Franchini: a me sembra sia chiaro che quando si vuole sottolineare eccessivamente, cioè dare eccessivo rilievo, esagerato rilievo, al profilo soggettivo della reiterazione del recidivo reiterato, sminuendo al massimo invece il rilievo del fatto penalistico, quindi quando si confonde la figura della persona con il fatto da questa commesso in quanto, secondo questa novella, non si fa differenza fra il recidivo reiterato, come si diceva prima, per gravi fatti di allarme sociale, e, invece, il recidivo reiterato per piccoli episodi di illeciti penali come potevano essere nella citazione fatta prima l’ingiuria o la 5 minaccia; vuol dire che praticamente il fatto sparisce e il rilievo prevalente o quasi prevalente è quello dato alla persona. Quindi si continua su un binario della riemersione di questo diritto penale d’autore di cui, ahimè, abbiamo già parecchi esempi e probabilmente questi esempi continueranno. Che cosa sono gli Artt. 51, 3 bis, 407 comma 2 lettera a) della procedura penale, che tutti noi conosciamo anche troppo bene, cioè quegli articoli che introducono un doppio binario nel processo penale? Noi avevamo imparato che il diritto penale sostanziale è il diritto dei delinquenti e che il diritto processuale penale è il diritto degli innocenti, perché fino a che non c’è la condanna questi sono persone innocenti. Come mai si è potuto introdurre un processo diverso solo per il fatto che ci sono determinate recidive o determinate tipologie di reati? Questo è un diritto penale processuale d’autore e adesso, tanto per fare l’ultimo esempio, la recentissima legge sugli stupefacenti rinnova questa tendenza, perché mi dovete spiegare a che titolo la legge Cirielli appena approvata viene riformata e modificata e la recidiva reiterata del tossicodipendente deve venire valutata diversamente rispetto alla recidiva reiterata di altro autore di reato. Questa è una legislazione di un doppio binario che se continua su questa strada penso che alla fine porterà a delle distorsioni ancora più gravi, perché entra nella cultura giuridica e questo a me non sembra accettabile. Il secondo profilo - e ho finito - è un profilo modesto, di politica giudiziaria ed è quello a cui accennava l’Avvocato Franchini. Nell’ansia di denunciare quella che è stata ritenuta una legge ad personam, magari ansia giustificata, posso dire personalmente, ma è un altro discorso, ci si è dimenticati di quali erano poi gli effetti di questa legge su tutto l’impatto pratico giudiziario, ci si è dimenticati che nelle celle i detenuti sono in nove su una stanza di nove metri quadrati e che c’è una crisi straordinaria delle carceri, mentre contemporaneamente si stringono i cordoni delle pene alternative e dei benefici penitenziari. Il Ministro risponde: “Mettiamo subito in cantiere nuove carceri”, che però non è una gran risposta, ma comunque richiedono dei tempi queste cose, non è che le carceri sorgono come funghi. Soprattutto mi sento di denunciare la consueta schizofrenia di alcune forze politiche, cioè alcune forze politiche che hanno approvato la legge ex Cirielli nell’ottica di dire che bisogna reprimere la criminalità, dare sicurezza ai cittadini, punire in maniera particolarmente gravosa il recidivo reiterato, alcune di quelle stesse forze il giorno dopo propongono l’amnistia, cioè preferiscono la scelta di una generale scarcerazione indiscriminata di persone, in ipotesi anche pericolose, rispetto ad una oculata scelta del Tribunale di Sorveglianza di chi abbia diritto o non abbia diritto ad uscire dal carcere in quanto ci siano i requisiti previsti dalla legge di buona condotta, resipiscenza e via dicendo. 6 Io credo che gli Avvocati possano fare qualche cosa su questo: intanto possono vedere dove si possono proporre delle questioni di illegittimità costituzionale; non è accettabile appunto, come si diceva prima, che chi ha commesso nel giro di sessant’anni tre piccoli furti uno ogni vent’anni e come tale sia recidivo reiterato possa avere lo stesso trattamento di chi invece questa reiterazione l’ha commessa per reati di grave allarme sociale; e poi ci sono delle possibilità di interpretazione adeguatrice. La Camera Penale con la relazione dei tre colleghi citati prima dall’Avvocato Franchini, Rampinelli, Bosio e De Franceschi, ha tentato di introdurre su qualche profilo, almeno quello più irrazionale, delle interpretazioni adeguatici nel senso di tentare di adeguare la norma ad una interpretazione piuttosto che ad un’altra, quella che sia più conforme ai principi costituzionali. Questo nostro compito spero che gli Avvocati si sforzino di affrontarlo. Vi ringrazio. AVV. ANTONIO FRANCHINI Prima di dare la parola al prof. Melchionda per la prima relazione, desidero ringraziare il signor Procuratore Generale, che prima non ho visto, ma che adesso ho visto, per essere qui con noi, dottor Ennio Fortuna. Poi volevo anche comunicare alle persone presenti che il 31 di gennaio in Vicenza è stata ricostituita l’Unione Veneta delle Camere Penali, è stato firmato lo statuto ed è stato eletto il primo Presidente, che durerà in carica un anno, e che è l’Avvocato Lino Roetta della Camera Penale di Vicenza, Presidente della Camera Penale di Vicenza, che è qui con noi, che saluto e che salutiamo con un bell’applauso. Il primo atto dell’Unione Veneta delle Camere Penali è stato quello di fondare la prima scuola distrettuale per Avvocati penalisti, cosiddetta di secondo livello, che inizierà a marzo in Venezia ed è la prima scuola distrettuale in Italia. Segretario dell’Unione è stato nominato l’Avvocato Ugo Simonetti, socio della Camera Penale Veneziana, al quale va un ringraziamento e un applauso. Do ora la parola al prof. Alessandro Melchionda, professore straordinario di Diritto Penale nell’Università di Trento, che ci parlerà dei profili di diritto penale sostanziale della legge cosiddetta Cirielli. PROF. ALESSANDRO MELCHIONDA Grazie, innanzitutto. Grazie per questo invito veramente molto gentile da parte della Camera Penale Veneziana. Il mio accento forse tradisce il fatto che essendo io docente a Trento però sono Avvocato in Bologna e allora non posso non salutare a mia volta il Procuratore Fortuna, la mia città lo ricorda come uno splendido, importantissimo ed autorevole Procuratore della Repubblica e non possiamo non salutarlo ancora. 7 Ce n’è tanta di carne al fuoco, non è un compito facile. Chiunque di voi, chiunque di noi, abbia – e l’abbiamo già fatto - letto questa legge, poche norme, non quei duecento commi, poche norme e pochi commi, a prima volta tutto chiaro, tutto semplice, già c’è uno scenario abbastanza chiaro. Ma leggendo attentamente, ascoltando le diverse campane, le interpretazioni, il quadro si complica molto. Confesso che ogni volta che rileggo, ogni volta che leggo altri commenti, scopro cose nuove, scopro cose che si erano nascoste, scopro cose molto preoccupanti. Quindi questo andremo a trattare. È già stato giustamente ricordato: tramite i mass-media questa legge, questo all’epoca disegno di legge, è stato venduto, contestato, valutato soprattutto in ragione del profilo della prescrizione. Vero fino ad un certo punto. Il centro, il perno sistematico di questa nuova legge è sicuramente nell’istituto della recidiva, è nell’istituto della recidiva che noi troviamo tutte le interrelazioni che modificano il sistema, è alla recidiva, alla riforma della recidiva che mirava quell’originario disegno di legge presentato dall’onorevole Cirielli, che solo in seguito ha visto aggiungersi qualche norma in materia di prescrizione. È certamente dalla recidiva, come in parte già emerso, ma anche se non solo la recidiva, che emergono i principali problemi, non dell’immediato, ma dei prossimi mesi. Attraverso questa disciplina globale, nuova della recidiva, il legislatore certamente ha dato un segnale politico criminale, ha creato un nuovo disegno politico criminale ed è un disegno che - ma sarà chiaro meglio alla fine di questo incontro, ma sarà chiaro già anche a chi ha iniziato la lettura attenta di queste norme - dal mio punto di vista non può che qualificarsi come miope, irrazionale e schizofrenico. È miope perché l’obiettivo dichiarato di quel disegno di legge era dare certezza alla pena, e non si può dare certezza alla pena senza tener conto poi di quelle che sono le reali, attuali capacità del nostro sistema di rendere efficace, certa, quella pena. È irrazionale, e questo sarà un problema anche di legittimità costituzionale che dovremo trattare, perché introduce dei meccanismi di aggravamento della pena, e non solo della pena, che sono, a ben vedere, privi di reale fondamento, non fosse altro perché sono presunti (iuris e de iure). È schizofrenica perché chiunque abbia conoscenza di quello che è stato il trend normativo - e qui l’autorevole presenza del prof. Pavarini sicuramente ce ne potrà dare atto - della più recente disciplina penitenziaria della esecuzione della pena, qui veramente la schizofrenia è totale, qui siamo verso una direzione completamente opposta di quella verso la quale stava andando da tempo il legislatore. Cerco comunque, e lo prometto, di evitare considerazioni generali. Cercherò di fare una relazione, un intervento molto tecnico, perché credo che sia soprattutto questo che oggi preme approfondire da parte anche di chi è presente e di chi 8 quotidianamente deve valutare, giudicare se applicare o no quella norma. Cercherò di essere il più tecnico possibile scusandomi se in questo potrò essere complesso, ma credo sia questo il taglio che deve essere adottato. Non perché, ripeto, non la voglia trattare, sgombro subito il campo dalla prescrizione, perché qualche cosa devo dire anche della prescrizione, perché certamente la prescrizione è parte importante di questa legge, dopo di che passerò esclusivamente all’analisi della recidiva. Prescrizione, nuova disciplina generale della prescrizione. Riscritta in che misura? Ovviamente cercherò di trattare solo alcuni aspetti di tipo sostanziale, perché molti sicuramente saranno ripresi più approfonditamente ed autorevolmente di me dal prof. Frigo. È stata disegnata la nuova disciplina, che troviamo tutta nell’Art. 6 della legge 251/2005, che riscrive l’Art. 157 del Codice Penale, dicevo, è stata introdotta una nuova disciplina con due obiettivi: dare certezza ai termini di prescrizione, stabilire tempi di prescrizione più contenuti, più ristretti, uso un aggettivo non a caso: più ragionevoli. Sono obiettivi che in parte sono stati sicuramente raggiunti, ma non credo totalmente raggiunti, perché, se è vero che stabilire termini più ristretti porta a ridurre ovviamente la durata del processo, non è però vero che questa ristrettezza dei termini sia stata applicata in modo uniforme, ci sono casi in cui la prescrizione diventa un qualche cosa di inesistente, e poi perché la durata ragionevole del processo non si ottiene solo riducendo i termini e senza tener conto di caratteristiche dei singoli reati. Comunque il perno della riforma sta sostanzialmente in un dato noto: non ci sono più classi di pena, diversificazioni di termini di prescrizione in ragione della pena edittale massima, ma si stabilisce un principio molto semplice: la durata del termine di prescrizione coincide con il massimo edittale, fermo restando quella soglia minima dei 6 anni, sotto la quale comunque non si può andare. Si voleva eliminare la discrezionalità, l’incertezza e chiunque ha un minimo di esperienza sa che l’incertezza della prescrizione era soprattutto legata a che cosa? Al possibile effetto di circostanze che nel gioco del bilanciamento trasportavano, tipico caso quello dei reati con pena fino ai 5 anni, da 15 anni a 7 anni e mezzo. Esempi troppo banali per essere ricordati, ma che ricordano chiaramente qual era il problema. Basta con le circostanze, nuova regola, nuova disciplina, delle circostanze non si tiene più conto, se non solo di quelle aggravanti ad effetto speciale. Vado a volo pindarico sugli aspetti essenziali, che credo saranno già noti comunque. Modificato il regime in materia di reato continuato. Oggi il termine per il reato continuato, il termine di decorrenza della prescrizione non decorre più dalla cessazione della continuazione, ma dal tempus commissi delicti, nuovo Art. 9 158. Attenzione, questo è un passaggio importante, non sarà significativo, ma di fatto oggi viene meno quasi, forse, l’unico aspetto sfavorevole della continuazione. Se fino a ieri ci preoccupavamo se nel capo d’imputazione non vedevamo contestata la continuazione, oggi questa potrebbe essere preoccupazione che viene meno, perché l’unico effetto sfavorevole che aveva prima la continuazione era proprio quello del dilatare il calcolo della prescrizione, oggi viene meno questo effetto. Nuova disciplina della sospensione dei termini di prescrizione. Vado molto veloce perché è impossibile trattare tutto, sarà poi il dibattito che potrà eventualmente richiamare all’attenzione punti che avrò trascurato o che non potranno essere trattati in seguito. Cosa c’è di nuovo nella disciplina della sospensione della prescrizione? Sostanzialmente un dato: il legislatore - non vi annoio ovviamente col richiamo delle norme, richiamo gli istituti, le norme sono a voi note - ha di fatto recepito e avallato quello che era un orientamento già pacifico in giurisprudenza: se viene chiesto un rinvio per esigenze della Difesa svincolate da esigenze legate ad acquisizioni probatorie o quant’altro, quel rinvio apre una parentesi che comporta la sospensione della prescrizione. Oggi quella regola giurisprudenziale viene fatta propria dal legislatore con una piccola differenza: che la sospensione non potrà essere superiore ai due mesi, quindi qualunque rinvio superiore ai sessanta giorni comporterà un riavvio del termine, che il termine dal quale si dovrà calcolare il riavvio per il termine di prescrizione, decorre dal momento in cui verrà a cessare l’impedimento. Già immagino qualche problema, perché se l’impedimento del Difensore è legato ad una contestuale udienza presso altra sede giudiziaria è facile capire quando cesserà l’impedimento; ma se l’impedimento del Difensore è determinato da un certificato medico che attesta una certa patologia, quid iuris, non so come verrà risolto questo aspetto. Nuova disciplina anche dell’interruzione, nuovo Art. 160 e 161. Qui già cominciamo a cogliere gli echi di quegli effetti della recidiva. Regime drastico, aumento fino ad un quarto come aumento massimo in caso di interruzione, ma con termini diversificati nei confronti di recidivi aggravati, recidivi reiterati, delinquenti abituali presunti – centodue presunti, lo sottolineo perché poi lo riprenderemo – delinquenti professionali presunti. Per i primi la metà, poi due terzi, il doppio per gli abituali. Deroga per tutti i reati di cui al 51 bis, per i quali la prescrizione diventa un qualche cosa che non ha più nessuna valenza sostanziale né processuale. Quali gli effetti di questo nuovo regime? Chi diligentemente ha provato ad applicare queste nuove regole ha elaborato ovviamente, come è dato intuire, tre 10 possibili situazioni e io stesso non posso non fare riferimento ai miei schemini, perché se c’è una cosa che è insostenibile è imparare a memoria queste cose. Prima categoria di reati, quelli nei quali rimane tutto come prima: è la tipica situazione dei reati puniti con sanzioni inferiori ai 5 anni, qualche cosa cambia in realtà, perché cambia se si verifica o no un effetto interruttivo. Nell’insieme diciamo che da 5 anni con aumento massimo della metà a 7 anni e mezzo, da 6 anni con aumento massimo ad un quarto si va sempre a 7 anni e mezzo. Seconda categoria: categoria dei reati per i quali l’effetto della prescrizione diventa più lungo, più sfavorevole, e non sono pochi, e non sono pochi e bisogna fare attenzione a questi, perché sul piano transitorio - lo vedremo - ci sono problemi per questi reati. Tutte le contravvenzioni, tutti i reati puniti con pena edittale massima tra i 15 e i 24 anni, tutti i reati del 51 bis, tutti i reati dei recidivi, senza poi trascurare quelle famose ipotesi del 449, delitti colposi, e 589, l’omicidio aggravato, rispetto ai quali sapremo forse un giorno dalla Corte Costituzionale se è legittima questa disparità di termini prescrizionali tra alcuni casi di omicidio colposo aggravato, non tutti i casi di omicidio colposo aggravo, e i casi assurdi per cui – è una battuta ovviamente – si prescrive prima l’incendio doloso dell’incendio colposo, come a dire: se in un procedimento per incendio colposo si raggiunge il termine massimo della prescrizione meglio confessare: l’ho fatto volontariamente, il reato è già prescritto. Sono le assurdità che nessuno potrà mai applicare, ma che servono per fare capire come questa legge, nel calcolare e nel differenziare i termini di pena, forse il quadro globale di coerenza non l’ha conservato. Molti reati, sì, ce ne sono sicuramente anche con termine prescrizionale più breve, pena tra i cinque, i sei anni e i dieci: la categoria degli otto anni come pena edittale massima è sicuramente la categoria dei reati per i quali il termine prescrizionale più evidentemente si accorcia: corruzione, violenza, minaccia, calunnia, truffa aggravata, bancarotta, inutile fare un elenco. Certo, il quadro quindi si modifica. C’è un altro problema: i reati del Giudice di Pace. Il nuovo 157 prevede un comma nel quale si stabilisce che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva o da quella pecuniaria il termine di prescrizione è di tre anni. Esistono reati che prevedono sanzioni penali diverse da quella detentiva o da quella pecuniaria? Formalmente non credo esistano, salvo non pensare a quei reati che sono oggi di competenza del Giudice di Pace, per i quali c’è però già una regola di conversione, che consente pacificamente di trovare le coordinate tra sanzioni principali e sanzioni applicabili dal Giudice di Pace. 11 I lavori preparatori dico subito che non aiutano, non consentono di capire che cosa si era pensato con questo comma, perché se questo comma lo consideriamo davvero riferibile a tutti i reati del Giudice di Pace arriviamo a delle sperequazioni di trattamento assolutamente inaccettabili. L’altra alternativa è quella di considerarlo un comma inutile. Questo parrebbe, dai primi commenti, l’orientamento preferibile, certo fa stupore che una nuova legge introduca un nuovo comma che non serve assolutamente a nulla, salvo in una futura riforma del Codice Penale, quando si potranno prevedere nuove sanzioni penali. Questo il quadro generale della prescrizione. Problemi del transitorio. Due aspetti molto delicati: Art. 10, norma transitoria, secondo comma: se si prevedono termini più lunghi, quindi effetti sfavorevoli della nuova disciplina, questi effetti sfavorevoli non si applicano, ma solo a quei reati per i quali già sia in corso il processo. Questo vuol dire che se il fatto è stato commesso prima dell’8 dicembre, ma per quel fatto non si è ancora iscritta a registro generale la notitia criminis, quel fatto si vedrà applicare i termini più lunghi previsti dalla nuova disciplina. È una sostanziale retroattività degli effetti più sfavorevoli della nuova prescrizione. È legittimo costituzionalmente? Difficile dare una risposta certa. Se ragioniamo nella logica della prescrizione come istituto di natura sostanziale non potremmo che giungere alla conclusione di dire: il 25 secondo comma della Costituzione preclude questo effetto retroattivo. Ma non posso negare che ci sono voci autorevoli, in dottrina soprattutto, che riconoscono, anzi, prima ancora che arrivasse sull’orizzonte la Legge Cirielli si era auspicato un aumento dei termini di prescrizione, cito Marinucci per primo, per evitare il destino di tanti processi destinati a questo risultato, riconoscendo che in fondo la prescrizione può essere modificata in corso d’opera se non è già maturata, cioè a dire se un reato si è già prescritto non si può riaprire il termine e prolungarlo, ma se un reato non è ancora prescritto si può allungare il termine. È compatibile col 25 secondo comma? Qualche perplessità mi sento di spenderla. Terzo comma. E se è più favorevole il termine? Pochi, tanti, non mi interessa, casi, se è più favorevole, è noto, il problema è legato a quel terzo comma che non ha salvato chi forse doveva essere salvato, al di là della polemica politica, il limite dichiarazione di apertura del dibattimento. I nuovi termini più favorevoli non si applicano in tutti i procedimenti per i quali si sia già addivenuti alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Noti i problemi, quid iuris per l’abbreviato, ma non solo. È legittima questa linea di demarcazione? Le prime questioni di legittimità costituzionale, quelle che sono state già sollevate, vado a memoria, Tribunale di Perugia sezione di Gubbio, Tribunale di Paola sezione di Scalea, hanno messo in discussione la legittimità costituzionale di questa norma 12 sotto il profilo dell’Art. 25 secondo comma, invocando un principio costituzionale di retroattività della norma più favorevole. Come dire: se il legislatore introduce una norma più favorevole non può vietarne l’applicazione retroattiva. La Corte Costituzionale non l’ha mai riconosciuto questo principio, non l’ha riconosciuto neppure quando ha salvato in difficoltà quel vecchio Art. 20 della legge n. 4 del ‘29 che in materia di reati finanziari stabiliva il principio della fissità sostanzialmente, si applica il principio del tempus regit actum. Sì, il discorso lo lasciamo al dibattito, se ragioniamo anche con le recenti prese di posizioni della Corte di Giustizia in materia di falso in bilancio qualche cosa si potrebbe dire anche da questo punto di vista, ma non credo sia questo lo spiraglio che possa dare uno spazio alla valutazione della consulta. Più delicato è il problema della ragionevolezza, più delicato è il problema del principio di eguaglianza, più delicato è il problema stabilire se è vero che non c’è l’obbligo di far retroagire la norma più favorevole, è però ragionevole assumere quel termine dichiarazione di apertura del dibattimento come discrimen tra chi può usufruire del termine più breve e chi invece no? Già su questo sono state sollevate alcune eccezioni, una, devo dire, molto ben motivata da un GUP di Bologna. Ci sono precedenti non favorevoli ad immaginare una pronuncia di illegittimità costituzionale. Recentemente condono fiscale: il condono fiscale con effetti estintivi del reato non si poteva applicare nei confronti di chi già avesse avuto notizia dell’esercizio dell’azione penale; eccepita di illegittimità costituzionale questa disciplina ha superato il vaglio della Consulta. Ma ne ricordo ancora un altro più significativo: un’altra volta il legislatore ha assunto la dichiarazione di apertura del dibattimento come linea di demarcazione quando, entrato in vigore il nuovo Codice di Procedura Penale, introdotto l’istituto del regime del rito abbreviato, si doveva decidere: a chi si applica questo nuovo rito abbreviato? Chi può usufruire di quella diminuzione secca di un terzo della pena? Discrimen, dichiarazione di apertura del dibattimento. Anche in quell’occasione la Corte salvò la norma, però va anche detto che in quell’occasione - forse sarà più approfondito questo aspetto dal prof. Frigo - la Corte ebbe validi argomenti per dimostrare che rispetto al rito abbreviato ha un senso logico individuare le dichiarazioni di apertura del dibattimento come limite della scelta, ma rispetto alla prescrizione? Perché dichiarazione di apertura del dibattimento? Che cosa si concretizza nella scelta dello stato di portare avanti la propria istanza punitiva con la dichiarazione di apertura del dibattimento? Perché non allora la richiesta di rinvio a giudizio? Perché non allora la iscrizione della notizia criminis? Perché non allora la sentenza di primo grado? Questo è il punto. 13 Recentemente, altra ordinanza, Tribunale di Salerno, ha eccepito anche questo aspetto di illegittimità costituzionale. Già sappiamo, però, che la Corte di Cassazione, con quella famosa ordinanza del 10 gennaio di quest’anno.. e io ho qualche perplessità su questa possibilità di fronte a questioni che già pendono davanti alla Corte Costituzionale è giusto dichiarare la manifesta infondatezza di quella questione? Il Giudice di merito dichiara manifestamente infondata la questione già sapendo che altri Giudici non l’hanno ritenuta manifestamente infondata, certamente la Corte si dovrà pronunciare, non è forse meglio segnare il passo? Si sospende la prescrizione quando si mandano gli atti alla Corte Costituzionale, non succede nulla, aspettiamo di vedere come vanno le cose. Recidiva. Totale ritorno al passato, totale ritorno a quel regime del 1930? Questo era il disegno dell’onorevole Cirielli. Nel disegno di legge originario si riscriveva l’Art. 99 esattamente com’era prima delle modifiche del 1974. Il dibattito parlamentare ha portato alla luce una norma significativamente diversa ma con delle complessità interpretative intrinseche veramente di difficile soluzione. Novità del nuovo Art. 99, quello che è stato introdotto dall’Art. 4 della Cirielli. Prima modifica: in favor rei - questa è favorevole -, la recidiva oggi opera solo nei confronti di delitti non colposi. Questa però è una modificazione non priva di riflessi e non sono certo, dai lavori preparatori non emerge, che chi ha scritto quella norma fosse davvero consapevole di quei riflessi. Certamente non sono certo di poter affermare che quei riflessi erano la voluntas legislatoris. Sparisce la recidiva nelle contravvenzioni, è ovvio, e quindi spariscono anche tutte quelle preclusioni che possono essere legate alla precedente recidiva. L’oblazione, tipico istituto valido solo per le contravvenzioni, 162 bis, oblazione discrezionale, non è possibile concederla al recidivo. Ma oggi cambia la situazione, oggi il recidivo che si vede precludere l’oblazione non può più essere quello che in passato aveva sentenze di condanna per contravvenzioni magari analoghe a quelle. Oggi l’unica recidiva che può costituire una preclusione di questi istituti, oblazione, patteggiamento ed altro, è solo la recidiva legata a precedenti delitti non colposi. È ragionevole questa selezione? I primi commenti, Padovani ed altri l’hanno seriamente posto in discussione, però questo diventa un problema di ragionevolezza della scelta politico criminale che la Corte Costituzionale non potrebbe mai cambiare, sarebbe una modificazione in peius. Prendiamo atto di questa scelta legislativa. Veniamo agli altri aspetti, quelli sì molto più pesanti. In due aspetti il legislatore ha modificato la recidiva, poteva farlo in tanti altri, poteva abbandonare il carattere di perpetuità della recidiva, poteva eliminare il fatto che un reato di venti, trent’anni fa continui a pesare. Non l’ha fatto. Poteva delimitare la recidiva non alla cosiddetta recidiva generica, qualunque reato pesa per 14 qualunque altro, poteva limitarlo a quelli che conosciamo, medesimedezza d’indole, infraquinquennalità, non l’ha fatto. Ha mantenuto - e questo va sottolineato - la recidiva come perpetua e come generica. Ma ha fatto di più: ha tendenzialmente aumentato tutti gli effetti aggravanti, li ha innalzati in termini quantitativi, ma - ed è questo l’aspetto più importante - in alcuni casi ha reintrodotto quella recidiva obbligatoria che vigeva nel 1930 fino al 1974. Quali casi di recidiva obbligatoria? È qui che si apre un orizzonte interpretativo che, confesso, a prima lettura non mi sembrava così drammatico e che invece già leggere da quello che leggo nei primi commenti, già leggere da quello che leggo, ho visto nascere da alcuni orientamenti interpretativi di alcuni primi giudizi di merito, offre un quadro davvero preoccupante. Dico subito: tutto ciò che sto dicendo in tema di recidiva è il frutto poi di alcune riflessioni che ho riportato in un commento alla nuova disciplina della recidiva che uscirà nel prossimo numero della rivista Diritto Penale e Processo, quindi lì ho in modo più approfondito sviluppato alcune considerazioni. Dico subito che ritengo che il nuovo Art. 99 individui oggi un solo caso di recidiva obbligatoria: il quinto comma. E dico questo per due ragioni: primo, anche se è un argomento che pesa poco, è questo che emerge, pur in modo non chiarissimo, dall’analisi dei lavori preparatori; durante il dibattito alla Camera, di fronte alle critiche a quella tendenziale, globale reintroduzione della recidiva obbligatoria, fu presentato un emendamento che mirava proprio a contenere i casi di obbligatorietà solo a questa ipotesi di reati considerati più gravi, quelli del 407. C’è un altro argomento invece che secondo me pesa molto di più, che è l’argomento, dal mio punto di vista, ma so già che non è condiviso dai più, che è l’argomento vincente, cioè l’analisi tecnico giuridico sistematica della norma. Chi opini in modo differente.. lo stesso prof. Padovani, con il quale ad un incontro a Firenze il giorno dell’astensione dalle udienze in convocazione dell’Unione delle Camere Penali abbiamo avuto una contrapposizione di opinioni, lui sostiene che sono obbligatori tutti i casi, anche se lui lo ammette per il quarto comma e non per il terzo comma, mentre altri autori considerano anche il terzo comma, sostanzialmente ci sono opinioni che ritengono che sia obbligatoria la recidiva tutte le volte in cui l’Art. 99 usa l’indicativo: la pena è aumentata. Seguendo questo criterio sarebbe obbligatorio la recidiva, il terzo comma, quindi la recidiva pluriaggravata, sarebbe obbligatorio il quarto comma, la recidiva reiterata, e sarebbe ovviamente obbligatorio, ma questo è pacifico, il quinto comma. Perché non ritengo, al di là della voluntas legislatoris, perché se la voluntas legislatoris non si traduce nel dato normativo vale poco, se il legislatore non è in grado di far parlare le norme con quello che vuole scriverci non vale niente quella voluntas, se si analizza tecnicamente – 15 scusate questo aspetto di grande tecnicità ma secondo me è importante per chiarire questo passaggio -, se si analizza l’Art. 99 ci si rende conto che oggi, come in passato, è al primo comma che il legislatore stabilisce che cosa è la recidiva. Si ha recidiva nel caso in cui un soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, primo requisito, ne commette un altro, secondo requisito, perché in questi casi può essere integrata la circostanza aggravante della recidiva. Questa norma pone due problemi: la recidiva, come si diceva in passato, è facoltativa e rimane facoltativa? Sì, rimane facoltativa, ma rimane facoltativa nel senso che è discrezionale. La sentenza di condanna e il nuovo delitto non generano la recidiva. La recidiva è legata ad una valutazione discrezionale che il Giudice deve sviluppare e dire: bene, dati questi presupposti, ci sono i presupposti per poter dire nella sostanza che c’è quella maggior, non mi interessa colpevolezza, pericolosità, maggior gravità, che giustifica il riconoscimento della recidiva? Questo è il problema di questa riforma. Dal ‘74 ad oggi noi non abbiamo più discusso di recidiva, perché dal ’74 ad oggi la recidiva tanto la si bilanciava, se anche non è contestata ma chi aveva problemi di recidiva? Tanto la si bilanciava. Oggi invece questa nuova riforma ci obbliga a ritornare a ragionare su questi problemi e se in giurisprudenza è piuttosto diffuso l’orientamento che vede la recidiva come un qualche cosa di meramente dichiarativo: vedo il risultato del casellario giudiziale, riconosco le due sentenze al nuovo reato, è una mera facoltatività, libertà, mera indulgenza quella di dare o non dare l’aumento; così interpretata, però, questa norma si presenta come fortemente viziata di illegittimità costituzionale, perché sarebbe un caso di mero e proprio arbitrio, di mera indulgenza svincolata da qualunque criterio. Mi si potrà dire: e quali criteri ci sono? Qualche criterio nel sistema lo troviamo. La recidiva è un effetto penale della condanna, una precedente condanna pesa sulla testa di chiunque, perché se commetti un nuovo reato potresti essere dichiarato recidivo. Come si elimina quell’effetto penale di condanna? Il nostro ordinamento prevede un istituto che consente di cancellare quel peso, è la riabilitazione. E quando si può dichiarare la riabilitazione? Lo dice il Codice: quando da quel giorno in poi il soggetto ha tenuto una condotta che possa portare a ritenere che non c’è stato un mantenimento di quell’atteggiamento tendenzialmente. Cioè una verifica sostanziale. Quindi primo comma, recidiva discrezionale, ed è assolutamente pacifico in qualunque commentario possiate andare a rinvenire; ma la recidiva è facoltativa, e questa è la regola generale, scendono a catena gli altri commi. Elemento specializzante: se il nuovo delitto è delitto della stessa indole, allora il secondo comma dà le regole, modifica l’aumento di pena, ma lascia ferma la facoltatività della recidiva. Se il nuovo delitto è commesso entro i 5 anni, nuovo 16 elemento specializzante, la regola generale rimane quella base, l’aumento è facoltativo, ma cambia la misura. Stessa cosa per il terzo comma, stessa cosa per la reiterata: l’elemento di reiterazione è un elemento specializzante della regola generale, la regola rimane ferma quella del primo comma, la recidiva rimane discrezionale, se non proprio facoltativa, ciò che cambia è solo l’entità dell’aumento. L’unico caso, e lo volevano dire, la voluntas legis qui coincide, è il quinto comma: in questo caso l’aumento non solo è di tanto, ma è anche obbligatorio. Attenzione, credo fortissimamente in questa interpretazione – spiegherò anche alla fine perché - e dico subito che però mi giunge notizia di qualche orientamento applicativo che addirittura differenzia e cioè lega questa norma col giudizio di bilanciamento e distingue tra effetti della recidiva nel caso in cui sia contestata e nei casi in cui sia non contestata. Vediamo le altre norme perché forse il discorso può essere più chiaro trattando le generiche e il bilanciamento. Quali altre modifiche in materia di recidiva? Vado a cascata, perché sennò il tempo ormai stringe. Nuova disciplina Art. 62 bis: modificate le generiche, il progetto originario prevedeva molto più semplicemente, più schiettamente no alle generiche per il recidivo aggravato; la riforma introdotta dice: no ma solo se motivate in ragione di intensità del dolo o capacità a delinquere. Vediamo gli aspetti favorevoli. Finalmente l’eventuale motivazione sulla concessione delle generiche dovrà essere chiara ed esplicita e potrà formare oggetto di ricorso in sede di legittimità, perché a questo punto l’uso del potere discrezionale sotto il profilo della mancata concessione o della concessione delle generiche diventa profilo sindacabile in sede di legittimità per erronea applicazione della legge penale. Credo però che molto più semplicemente non si concederanno le generiche ai recidivi reiterati per quei reati del 407 con pena fino a cinque anni. Cambiato il giudizio di bilanciamento. Nel progetto Cirielli molto più francamente e molto più schiettamente si diceva: non si applica il bilanciamento alla recidiva. Si ritornava al vecchio regime del 74. Cioè: fate pure tutti i bilanciamenti che volete, ma la recidiva comunque la si applica. Prima bilanciate tutte le altre circostanze, sono prevalenti le aggravanti, sono prevalenti le attenuanti? Finito questo calcolo la recidiva si applica sempre. Il vecchio codice Zanardelli lo prevedeva: la recidiva si applica per ultima. Invece hanno modificato in modo ancora più complesso, si dice che ferme le circostanze a persona colpevole, oggi ormai solo l’imputabilità, nei casi di recidiva aggravata non è che il bilanciamento non si può più fare, non si potrà mai raggiungere la prevalenza delle attenuanti, rimane fisso il giudizio di equivalenza. Letta così al recidivo che non può usufruire delle generiche la situazione si rende piuttosto oscura, perché se togliamo le generiche quali altre circostanze consentono di bilanciare? Risarcimento del danno, è difficile trovare 17 circostanze comuni che possano consentire il bilanciamento. Ma soprattutto questa norma, che va interpretata così secondo me, è stata interpretata anche in modo diverso, c’è chi dice: no, questo divieto di bilanciamento vale solo per le circostanze ad effetto comune, attenuanti ad effetto comune, non vale ad esempio per le circostanze attenuanti ad effetto speciale. Perché pongo questo problema? Perché quella ordinanza richiamata prima del Tribunale di Ravenna poneva questo dubbio: stupefacenti, diminuente del quinto comma ad effetto speciale, se è un recidivo non la posso mai applicare. Risultato: arrivo a degli effetti sanzionatori troppo poco proporzionati alla gravità del fatto, illegittima costituzionalmente. So già che la Procura di Trento e parte della Magistratura di Trento - lo dico perché due giorni fa stavo discutendo lì di questo - opini in modo diverso, dice: no, il divieto di bilanciamento della recidiva si applica solo alle circostanze ad effetto comune, perché la seconda parte della norma è svincolata e quindi le circostanze attenuanti ad effetto speciale possono applicarsi a prescindere dal bilanciamento. Io me n’ero accorto a prima lettura di questa possibilità, è una lettura molto in favor rei, ma non mi sembra coincidere con quella che era l’intenzione del legislatore e con quella che potrebbe essere l’attenta lettura delle norme. Solo che - e qui è l’aspetto drammatico - questi orientamenti interpretativi vedo che sostengono anche questo e cioè che questo limite al bilanciamento non scatta solo quando il Magistrato alla fine, in sede di commisurazione.. attenzione, tolta la prescrizione, il bilanciamento quando più lo facciamo ormai in limine litis? Ormai l’istituto del bilanciamento, l’Art. 69, si applica solo in sede di commisurazione della pena; prima lo applicavamo per le eventuali richieste anticipate di proscioglimento ai fini della prescrizione, oggi no, oggi va solo la commisurazione della pena. Quindi se il Giudice alla fine del giudizio, pur in presenza della precedente condanna, non ravvisa la sussistenza della recidiva e quindi non ne applica l’aumento, recidiva facoltativa, anche se reiterata, la recidiva continua ad impedire il bilanciamento? Ho sentito orientamenti di autorevoli Magistrati che dicono: sì, se contestata, se non contestata la si può applicare comunque rispetto alle generiche, etc. etc. Allora credo che debba rimanere chiaro che la recidiva se non contestata, che sia facoltativa che sia obbligatoria, non potrà mai essere applicata. Sezioni Unite del ‘59, non so più neanche io, storia del diritto, cioè non è immaginabile un effetto sfavorevole di qualunque genere collegato alla recidiva che non sia preceduto da una contestazione anche nel capo d’imputazione. AVV. FRANCHINI Anche sostanziale o formale? 18 PROF. ALESSANDRO MELCHIONDA Questo è un altro paio di maniche, cioè basta dire recidiva o è necessario – come forse dovrebbe essere necessario nei casi di discrezionalità - indicare in che cosa si ravvisa il fondamento della recidiva? Attenzione, l’obiezione giusta di molti Magistrati con i quali mi sono incontrato l’altro giorno è: come posso io, per sapere se è stata applicata precedentemente la recidiva, è stata riconosciuta, dovrei farmi portare la sentenza, vedere se è stata riconosciuta la sentenza. Sì, però, attenzione, questi sono gli effetti di appesantimento del nuova legge, se questa legge crea effetti di maggior difficoltà non è solo per queste ragioni che possiamo prescindere. L’aggiornamento del casellario oggi sarà essenziale, ma con questo po’ po’ di conseguenza rispetto alla recidiva possiamo ancora immaginare dei casellari che non siano tempestivi, immediati, per cui ad un certo soggetto quel po’ po’ di conseguenze solo perché ha il certificato aggiornato e all’altro no? Mi avvio alla conclusione. Nuova disciplina del reato continuato, qui lo evoco solamente. Si prevede obbligatoriamente l’aumento di un terzo nel caso di alcuni recidivi, credo si possa applicare sia a recidive applicate già riconosciute in precedenti sentenze di condanna, sia allo stesso reato per il quale si giudica. Diversità di effetti in materia di prescrizione già li ho ricordati, con l’effetto evidente che a questo punto due concorrenti nello stesso reato avranno regimi prescrizionali diversi. Il delinquente primario avrà un regime di prescrizione per lo stesso fatto, per lo stesso reato, più breve del suo compare recidivo. Tanti gli effetti negativi legati alla esecuzione della pena, non li accenno, li tratterà forse con più competenza di me il prof. Pavarini. Due notazioni finali: transitorio e legittimità costituzionale di tutto quello che abbiamo visto. Credo si possa essere tutti concordi nell’affermare che tutti gli effetti aggravanti sulla pena, legati alla nuova disciplina della recidiva possono trovare applicazione solo nei confronti di reati commessi dopo l’8 dicembre. Se applichiamo i nuovi aumenti di pena o l’obbligatorietà dei nuovi aumenti di pena anche ai reati commessi prima dell’8 dicembre, ci troviamo di fronte ad una chiara situazione di retroattività della norma penale più sfavorevole. E sul piano esecutivo? Se vengono oggi in esecuzione sentenze di condanna precedenti all’8 dicembre, rispetto alle quali però l’effetto recidiva potrebbe portare a quei limiti di sospensione, etc., giurisprudenza piuttosto diffusa riconosce a queste norme sull’esecuzione una natura prettamente processuale, tempus regit actum, se cambia il regime esecutivo si applica nel momento. Credo - e in questo concordo con quanto già sostenuto anche da Padovani - che non sia così. L’afflittività della pena, cioè il concetto di pena che sta nel 25 19 secondo comma è legato alla sua afflittività e la pena non è afflittiva nello stesso modo se la posso scontare in carcere o se la posso scontare a casa, se posso avere un permesso o se non ho quel permesso, se è più grave o meno grave. Cioè credo che il concetto di pena in relazione al quale viene stabilito il divieto di retroattività della norma sfavorevole non possa non essere svincolato anche degli effetti più sfavorevoli legati all’esecuzione della pena. Quindi, così opinando, mi sembra di poter affermare che anche sul piano esecutivo - e so già di vari Tribunali di Sorveglianza orientati in questo senso - questi nuovi effetti più sfavorevoli possono trovare applicazione solo per sentenze di condanna, quelle che fondano la recidiva, pronunciate dopo l’8 dicembre. È legittimo costituzionalmente tutta questa disciplina? Non credo sicuramente sia legittima laddove si ipotizzano effetti aggravanti, obbligatori e fissi nei confronti del recidivo. Cioè, in questi casi siamo davvero di fronte ad un vero e proprio ritorno al diritto penale d’autore: sei recidivo e quindi, a prescindere dal fatto che verifico se quella recidivanza ha un significato, che io verifichi cosa hai fatto in questi anni, che quel reato precedente commesso è di trent’anni prima, a prescindere da tutto quello che vuoi - perché un reato di trent’anni fa seguito da un reato del 407 obbligatoria.. - allora di fronte a questo ritorno a presunzioni soggettive d’autore, così come di fronte a un ritorno a quegli automatismi in materia di prescrizione, ma perché nei confronti del recidivo dev’essere più ragionevole un processo che dura più a lungo? La ragionevolezza della durata del processo è in funzione della complessità del reato, non di condizioni soggettive. Quindi di fronte a questi aspetti credo che i margini di una illegittimità costituzionale ci siano sicuramente. Credo però anche che bisogna essere cauti, cioè non partiamo con la certezza di pronunce di illegittimità costituzionale; la Corte sarà sicuramente, doverosamente cauta, soprattutto in materia di prescrizione, dal giungere a pronunce di illegittimità costituzionale. È per questa ragione che ritengo ancor più doveroso quel tentativo di operare una lettura il più in favor rei possibile, ma non in favor rei perché io mi sia innamorato del recidivo. Sia chiaro, il problema della criminalità è sotto gli occhi di tutti, ma non credo che quella criminalità si possa combattere o prevenire solo mettendo degli aumenti obbligatori, fissi e automatici legati a presunzioni di maggior pericolosità o colpevolezza. Credo che la scelta di optare per interpretazioni più in favor, cioè più volte a contenere gli effetti aggravanti e penalizzanti di questa legge siano un obbligo di coerenza nel rispetto dei principi costituzionali. Vi ringrazio per l’attenzione. 20 AVV. ANTONIO FRANCHINI Ringrazio il prof. Melchionda per la bellissima e interessantissima relazione. Io mi auguro che la Corte Costituzionale stronchi al più presto questo binario diretto verso il tipo d’autore, perché sennò temo che presto cominceremo di nuovo a guardare le fattezze dell’imputato, tornando alle teorie lombrosiane di infausta memori. Ma vediamo adesso quali sono gli effetti di questa legge sotto il profilo dell’esecuzione penale. Do la parola al prof. Massimo Pavarini, professore ordinario di Diritto Penitenziario all’Università di Bologna per la sua relazione. PROF. MASSIMO PAVARINI Grazie per l’invito. Per non perdere tempo entriamo subito all’analisi del testo. Di solito a chi coltiva saperi intorno all’esecuzione - quindi, per quanto mi concerne, forse ancor più che penitenzialista mi definirei un penologo - alla fine gli si chiede una cosa sola, cioè, l’ex Cirielli produce un terremoto, d’accordo, ma qual è l’entità di questo terremoto? Quali gli effetti, le ricadute pratiche su una situazione, quella penitenziaria, che è già drammatica? Infatti quasi tutti si sono un po’ prestati a questo macabro lotto dando i numeri: aumenti di diecimila detenuti come effetto immediato, di quindicimila; financo alcuni hanno parlato di ventimila detenuti annui in più, dove quel più vuol dire sommato ad una crescita, che è ormai costante negli ultimi quattro anni, di seimila detenuti in più ogni anno. Credo sia un esercizio, questo, di carattere divinatorio in un Paese come l’Italia dove praticamente non esiste una buona statistica. Quindi non credo che neppure il Ministero o il Ministro in persona, tanto meno al DAP, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, oggi sappiano quanti sono i recidivi e quanti sono, ad esempio, i recidivi reiterati. Non si sa, si può presumere. Quindi è difficile evidentemente avventurarsi in proiezioni, nel tempo, degli effetti delle ricadute. La mia relazione consta fondamentalmente in due parti: una, che cercherò un po’ di contenere, anche perché non presenta dal punto di vista tecnico gli stessi problemi sollevati nella parte sostanzialistica affrontata dal collega Melchionda, che riguarda una lettura descrittiva delle norme più specificatamente legate alla fase esecutiva. Dopo di che farò alcune riflessioni di natura più teorica e critica sui profili, sul volto di una esecuzione penale penitenziaria dopo l’ex Cirielli, un volto diverso, fortemente capace di stravolgere il volto cui eravamo abituati leggendola prima della presente legge. Nonostante questo vedrete che io stesso non mi sottrarrò, per quanto ob torto collo, al gioco temerario di dare i numeri, 21 cercando sulle diverse disposizioni di fare anche proiezioni su quelli che possono essere gli effetti. Partiamo dall’Art. 9 della legge in commento, che temo sia quella che più mi fa temere sul piano di un’eventuale ricaduta nei processi di ricarcerizzazione. Sapete che l’Art. 9 esclude dalla sospensione dell’esecuzione ex Art. 656 Codice di Procedura Penale - ovviamente mi riferisco al 656 novellato dalla Saracini Simeoni, perché non avrebbe senso - oltre i condannati per i delitti di cui all’Art. 4 bis, e questo era evidente, anche i condannati a pene o residuo di pene inferiori ai tre anni - a questo punto rimaniamo solo sui tre anni, perché per i quattro che riguardavano i tossico o alcoldipendenti vale la correzione del Decreto Legge 272/05 che ha chiuso la partita - ai quali appunto sia stata applicata la recidiva ex Art. 99 quarto comma. Ovviamente, questo è pacifico, questa disciplina dovrà poi essere accordata coi principi da tempo avanzati, poi accolti dalla giurisprudenza, in tema di scioglimento del cumulo delle pene. A questo punto qualche problema presenta la questione se il divieto di sospensione dell’esecuzione debba riguardare la sola condanna aggravata della recidiva ovvero si applica al condannato, alla persona del condannato, ovviamente recidivo, anche nel caso di altra o diversa condanna. La questione è delicata nel suo riflesso pratico, e di tutta evidenza. Io personalmente sono in parte confortato in ciò dall’interpretazione offerta da molti altri colleghi in questi giorni, che il divieto debba valere solo nei confronti dell’esecuzione della condanna aggravata dalla recidiva. Convincono le ragioni addotte, che in buona parte riguardano la formulazione letterale del disposto e anche la sua collocazione sistematica. Però, va detto, se questo è vero, meno, certo, la ratio del legislatore, di questo legislatore, che mi sembra si sia invece orientato politicamente nel senso della tolleranza zero e che quindi abbia sposato fino in fondo, come punti di riferimento, le tipologie d’autore e di questo cercherò di spiegarmi più avanti, perché è il punto più delicato della questione. Però, su questo primo livello interpretativo mi sentirei di accogliere la posizione che restringe gli effetti della disposizione stessa. Perché temo tanto questa modifica del 656? Lo pavento, paradossalmente, perché questa disposizione finisce per sanare una situazione patologica, che come spesso molto malattie, produce anche effetti virtuosi, e questa disposizione la sana. Voi sapete meglio di me che la sospensione del decreto di esecuzione - per quel mese necessario al fine poi di presentarlo al Tribunale di sorveglianza competente dallo stato di libertà, affinché venga poi formulata una istanza di misure alternative, che è prevalentemente l’affidamento, sia ordinario che speciale - ha determinato, nei fatti, per l’impossibilità della giurisdizione di sorveglianza di far fronte a un carico smisurato di istanze, quella situazione 22 anomala di un limbo, vera – come metafora - sala d’aspetto di fronte alle porte della legge di kafkiana memoria, in attesa di una esecuzione permanentemente sospesa, non per quattro persone, per un universo sociale oggi di settantamila condannati definitivi. Noi abbiamo oggi in Italia settantamila condannati definitivi - a cui non si possono evidentemente applicare i due gradi della sospensione condizionale e tanto meno gli si possono applicare la detenzione domiciliare come terzo grado della sospensione infrabiennale, definitivi -, che hanno fatto nei tempi dovuti istanza al Tribunale di sorveglianza al 99% per un affidamento che potrebbe poi essere convertito con criteri di supplenza con una semilibertà suppletiva, che attendono che il Tribunale decida. Con ogni probabilità statisticamente sappiamo che le istanze dello stato di libertà rivolte al Tribunale vengono accolte mediamente al cinquanta per cento mentre vengono accolte al trenta per cento quelle rivolte allo stato detentivo. Quindi se domani per miracolo – ma un miracolo che fortunatamente per loro non si determina - il Tribunale funzionasse, questi cinquanta per cento finirebbero in carcere e quindi avremmo un trentacinquemila persone chiamate a varcare le soglie della prigione. Si è creato quell’effetto patologico per cui si è creato un tappo, i Tribunali di sorveglianza non riescono a sciogliere l’arretrato, solo alcuni si sono mossi nella logica di scioglierlo, comunque a tutt’oggi i dati ministeriali danno settantamila persone a esecuzioni di pena sospesa. Effetto certamente patologico, che però aveva determinato una situazione virtuosa, per lo meno aveva risparmiato a settantamila persone di varcare le porte della galera. Cosa succede ora con questa modifica della disposizione? Chi sono questi settantamila? Cerchiamo di rappresentarli. Questi settantamila definitivi a condanna a una pena detentiva ovviamente inferiore ad anni tre, perché sennò non potrebbero fare istanza, o ad anni quattro, ma oggi non ci interessa più, in quanto tossico o alcoldipendenti, rappresentano quello che sociologicamente si chiama “detenzione sociale”, se appunto in carcere fossero finiti. Se questo è vero, e chi ha esperienza di galera può assicurare che questo è vero, cioè sono costoro, allora posso fare un’argomentazione, che ha un carattere ovviamente astratto come tutte le argomentazioni, però che a me un po’ convince. Se ed in quanto condannati a pene detentive tendenzialmente brevi, ma non coperte dalla sospensione condizionale, posso immaginare che la maggioranza abbia di quest’ultimo già beneficiato uno o due volte; ergo, a quanti di questa sarà stata contestata la recidiva? Questo è il punto. Lo ignoro, lo ignoriamo, non ci sono dati. Ma probabilmente ad una percentuale ragguardevole di questa utenza. Bene, noi abbiamo un dato soltanto, scientifico, un po’ vecchiotto, che andrebbe rivisitato, perché risale ad una ricerca empirica fatta alcuni anni addietro, 23 comunque un dato sicuro: aveva stimato la percentuale di reingressi in carcere sull’ordine del trenta per cento dell’intera popolazione in esecuzione di pena. Reingresso in carcere è cosa ben diversa, ovviamente, dalla recidiva, sono molto meno i reingressi in carcere delle recidive contestate, appunto perché c’è l’effetto inevitabile delle sospensioni condizionali. È quindi da supporre che tra i definitivi che potevano beneficiare della sospensione dell’esecuzione prima del 251 la percentuale dei recidivi sia sensibilmente superiore. Da qui un’associazione come Antigone lo stima sull’ordine del 45%. Quindi sarebbero il 45% i recidivi reiterati ad esecuzione penale sospesa. Se così fosse, e con tutta la prudenza del condizionale, solo per effetto della disposizione che fa divieto per i recidivi reiterati della sospensione, dovremmo stimare nei prossimi tre o quattro anni un ingresso in carcere dallo stato di libertà di circa diecimila condannati in più all’anno, solo per effetto di questa disposizione. Certo, questi diecimila in più che finiranno in carcere potranno sempre fare dal carcere istanza di misure alternative, e chi glielo vieta? Sì, chi glielo vieta, salvo che, necessita precisare, spesso e volentieri i tempi della cosiddetta osservazione finiscono per mangiarsi completamente la pena, e poi l’indice di probabilità di vedere accolta un’istanza di misura alternativa dallo stato detentivo è molto più bassa che dallo stato di libertà, statisticamente. Forse alcuni di questi ritroveranno presto la libertà, molti, varcata quella soglia, se avranno residui di pena brevi se la faranno completamente tutta in galera. Questa è la disposizione, quella che tocca il meccanismo della sospensione dell’esecuzione, che più ha effetti pratici sull’aumento presumibile della popolazione privata legalmente della libertà. Tacciamo dell’Art. 8, che fortunatamente è stato abrogato dall’Art. 4 del Decreto Legge 272, e quindi la riforma penitenziaria è tutta condensata nell’Art. 7, un lungo, noiosissimo articolo, che però riscrive completamente la legge penitenziaria, che invece così breve non è perché conta più di novanta articoli. Lo riscrive in un’ottica particolare, nell’ottica ovviamente del regime dei benefici. Quindi per tutti quanti i benefici, quelli strettamente penitenziari assimilabili alle misure alternative, ma anche quelli strettamente legati alle pratiche trattamentali. Quindi si va dai permessi a tutte le misure alternative in senso proprio. Taccio per ora perché in qualche modo ripeto una situazione che si è già determinata nella prima relazione. C’è qui, accanto ad una caratterizzazione sicuramente draconiana e severa delle disposizioni, un’unica disposizione in favor condamnati, che è una nuova figura della detenzione domiciliare dell’ultrasettantenne, l’unica figura che primeggia; ce n’erano già tre, questa sarebbe la quarta presente nel nostro ordinamento, per la quale credo non valga 24 neanche più di tanto insistere; d’accordo, non c’è limite di pena riportata se non per alcuni tipi di reato, per cui anche una pena di vent’anni uno se la può fare tutta, ammesso che campi fino a novanta, in uno stato di detenzione domiciliare. Per tutto il resto invece tutto si costruisce su quella definizione del condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’Art. 99 quarto comma c.p., questa è la norma cardine, la stessa che abbiamo già visto prima, che valeva per la sospensione delle esecuzioni. Cominciamo a scogliere alcuni problemi, perché si complicheranno subito. Do già per risolti in senso affermativo, senza grosso sforzo, l’interrogativo se la disciplina restrittiva di cui fra poco vi dirò sia applicabile al soggetto recidivo reiterato solo sulla pena inflitta nella condanna, in cui tale sua condizione è stata accertata. La risposta per me è sì. È una soluzione che accolgo, forse per ragioni tanto tecniche quanto di buon senso, ma a mio modesto avviso l’intento di questo legislatore è stato in un senso ben diverso, cioè in quello di introdurre una sorta di presunzione legale di pericolosità. Rendetevene conto, dopo l’86, dopo che la Gozzini aveva abrogato tutte le presunzioni legali di pericolosità affermando il principio cardine di una pericolosità soltanto accertata nel caso concreto giudizialmente, non tanto ha reintrodotto un concetto di presunzione legale di pericolosità, ma un concetto di pericolosità fondato sullo stile di vita della persona o addirittura la sua appartenenza a gruppi sociali, e non è un concetto di pericolosità legata o desumibile dalla condotta o dal fatto di reato. Questo va chiarito fino in fondo e cercherò di dimostrarvelo perché una cosa che non è stata molto sottolineata è che questa legge è stata copiata e vedremo dove, quindi là dove è stata copiata si è già prodotta molta riflessione teorica ed è chiaro che l’intento è proprio questo, non è altro. Quindi esco dalla logica a cui siamo a volte chiamati come giuristi, di salvare le norme o comunque di salvarle nell’interpretazione più congruente, se devo accettarla come fatto storico e quindi interpretarla nel senso di cosa significa la legge nel contesto complessivo di questa legislazione di emergenza ritengo che è il tentativo chiaro e inequivoco di reintroduzione di principi di riferimento a un diritto penale d’autore legato a tipologie d’autore non criminologiche, ma d’autore, il cui riferimento sono gli stili di vita e appartenenza ai gruppi sociali e non a una pericolosità desumibile dalla condotta o dal fatto di reato. Adesso vediamo quali conseguenze nascono dal condannato al quale – ripeto: condannato, ricordate - al quale sia stata applicata la recidiva ex Art. 99 quarto comma. Gli effetti evidentemente sono a cascata su tutti quanti i benefici e dov’è che si gioca? In senso restrittivo sui termini temporali di ammissibilità, è ovvio. Qui evidentemente sono estremamente veloce perché sarei noiosissimo e poi la legge basta averla sotto mano e la vedete. Per permessi premio: se al 25 condannato è stato già applicata la recidiva di cui all’Art. 99 quarto comma, per le pene inferiori ai tre anni e per la pena dell’arresto deve aver espiato almeno un terzo della pena per essere ammesso a questo regime del permesso premio. Per il condannato, sempre a cui è stata contestata la recidiva specifica, però condannato a una reclusione superiore ai tre anni, addirittura dopo metà della pena effettivamente espiata; può essere condannato anche per qualcuno di quei reati di cui la prima parte è soltanto dell’Art. 4 bis – per intenderci, i reati presuntivi di affiliazione al crimine organizzato -, dopo l’espiazione dei due terzi della pena e comunque non oltre ai quindici anni. Infine il nostro condannato reiterato, se è stato condannato all’ergastolo può andare ai permessi premio solo dopo quindici anni di pena effettivamente espiata, a cui l’unico elemento che può in qualche modo accorciare i termini è la riduzione di pena, di cui benefici può anticipare questo tipo di beneficio. Sulla semilibertà si è operato altrettanto, e forse in misera ancora più severa, in quanto sempre al condannato, a cui è stata applicata la recidiva di cui all’Art. 99 quarto comma, si richiede l’espiazione di ben due terzi della pena, che si dilata addirittura in tre quarti, per chi risponde anche di reati sempre presuntivi di affiliazione alla criminalità organizzata. È una disposizione particolarmente severa, per questo recidiva reiterata, non tanto nei confronti della semilibertà concedibile dopo l’espiazione di metà della pena, quella classica, quanto per la semilibertà applicazione immediatamente per pene inferiori ad anni tre; quindi questo circuito verrebbe certamente paralizzato completamente, quindi il soggetto entrerebbe nello stato detentivo, in uno stato di semidetenzione, come invece gli era concesso precedentemente. Elemento di singolarità, ma questo è un errore - io sugli errori.. è giusto sottolinearli, però non mi farei eccessive illusioni che questi riescono a sgretolare l’impianto -, un errore tecnico, è stato sottolineato subito: la legge fa riferimento ai soli condannati detenuti, invece è possibile che un recidivo reiterato si trovi a fare istanza di semilibertà dallo stato di libertà, ad esempio perché in differimento di pena ex Art. 147 c.p.; in questo caso, in maniera irragionevole nei suoi confronti, perché non detenuto, non sarebbe applicabile quella disciplina restrittiva. Questo è un errore, un’incongruenza che potrebbe essere sul piano interpretativo corretta, ma ci troviamo di fronte un errore. Esiste poi una disciplina completamente nuova della detenzione domiciliare, quella cosiddetta generica e preclusa al recidivo reiterato, che viene pertanto equiparato agli autori dei reati di cui all’Art. 4 bis parte prima, gli è assolutamente preclusa. Poi ne viene introdotta una nuova, dell’ultrasettantenne, però è preclusa se il soggetto sia stato dichiarato abituale professionale o per tendenza o sia stato condannato con l’aggravante della recidiva. Per quelle 26 concedibili di motivi di studio, famiglia e salute, l’originaria, ma che adesso è diventata residuale, di cui al primo comma del 47 bis, il condannato recidivo reiterato ne potrà godere solo per pene o residui di pene fino a tre anni, questa è la disposizione. Fin qui non piace, però si tratta di avere allungato, com’era prevedibile, i termini per godere di determinati benefici. La disposizione invece più severa è quella contenuta al comma 7 dell’Art. 7, che introduce un comma 7 bis all’Art. 58 ter dell’ordinamento penitenziario. La formulazione è laconica anche se si presenterà a un ginepraio interpretativo: “L’affidamento in prova, la detenzione domiciliare, la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’Art. 99 quarto comma c.p.”. Qui si pone una questione interpretativa di nodale importanza; infatti sul piano strettamente astratto potremmo prevedere addirittura quattro interpretazioni diverse di questo disposto; primo: il recidivo reiterato può godere di una qualsiasi misura alternativa una volta solo nella sua vita; ovvero, soluzione b: può godere di un solo affidamento, di una sola libertà, di una sola detenzione domiciliare in tutta la sua vita, soluzione intermedia; ovvero: per ogni successiva condanna può godere per una sola volta di uno o di tutti i benefici; ultima: può godere soltanto di uno. Sul piano strettamente letterale non si ha una soluzione diretta di queste quattro posizioni, perché appunto la legge dice al comma 7: “L’affidamento in prova, la detenzione, la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva”. Quindi si apre l’ipotesi di quattro soluzioni che, vi rendete conto, sono completamente distinte sul piano degli effetti. Per quanto mi sforzi di metterci la buona volontà non mi riesco a liberare dell’idea che la disposizione in oggetto sia stata pensata per la vita, cioè la soluzione a), la prima data, quello è il modo che il legislatore ha voluto. Pensate che uno può godere di una sola misura alternativa in tutto il suo arco della vita. Certo, questa è un’interpretazione odiosa, assurda, in cui anche senza avere militato tutta una vita con anima e spirito garantista contro, però è difficile pensare che non sia questo il modo. Credo che a questa interpretazione si è coartati un po’ per la disposizione letterale, si parla sempre di condannato, quindi si fa riferimento a una tipologia soggettiva, e poi anche dalla lettura sistematica della legge, ma soprattutto secondo me dall’inequivoca volontà del legislatore di aderire a questo modello. Poi, certo, se questo dovesse essere il modo di intendere la norma, lo avete capito, vuol dire dichiarare la morte dell’ordinamento penitenziario, è finito, cioè vuol dire: è un testo inutile, io mi dedicherò alla storia del diritto penitenziario, che funziona sempre: c’era una volta.. Ma a prescindere da questo, che non vorrebbe dire molto, se così verrà 27 intesa o è da intendersi storicamente la norma, certo, anche a me pare in violazione del principio costituzionale della rieducazione, però anche qui, diciamocelo, attenti, non contiamoci molto che la Corte la possa aderire. Cioè le secche o vecchie sabbie mobili della teoria della polifunzionalità della pena sono dietro l’angolo, quindi sarà facilissimo per la Corte dire: in questo caso il legislatore ha aderito ad un’altra funzione della pena, in questo caso la pena è deterrente, incapacitante, di neutralizzazione e salva la norma. Non mi consta che mai la Corte abbia abrogato qualsiasi disposizione sia dell’ordinamento che sostanziale e pregiudiziale, solo sul principio della funzione rieducativa. A volte questa ha concorso insieme ad altri disposti normativi. Si può sostenere che la disposizione in esame, almeno letta in questa logica, esprime un rigore talmente cieco, ottuso, che è contrario a un criterio di proporzionalità. Sappiamo che sulla proporzionalità si aprirebbe il gioco, almeno sul piano dello stimolo intellettuale, di percorrere la strada della ragionevolezza dell’Art. 3, però sappiamo anche che non è questo il modo in cui la Corte recepisce il discorso dell’Art. 3 della ragionevolezza delle norme. È pur vero che interpretando nel senso del rigore si aprono poi vistose aporie, tali da denunciare profili quasi di irrazionalità della legge, come l’ipotesi che è stata sottolineata da tutti, di una nuova misura alternativa che venisse negata anche quando la nuova pena si debba riferire a un reato precedente alla prima misura, soluzione paradossale, però che si potrebbe determinare. Ma credo che al di là di ogni pur lodevole volontà di resistenza, perché questa è resistenza, la nostra, che impegna l’animo civile del giurista e soprattutto dell’Avvocato, da un punto di vista di una lettura della legge in oggetto come fatto sociale essa non può essere intesa che per quello che dice e politicamente soprattutto per quello che vuol dire, e questo pesa come un macigno. Certo, se si dovesse dare esecuzione a queste disposizioni nelle interpretazioni restrittive che qui richiamavo potremmo fin d’ora e senza rischio di smentita, decretare a brevissimo la morte definitiva dello spirito, se non della riforma del ‘75, certo della riforma dell’86. Quasi tutti condannati, la maggior parte dei quali recidivi reiterati con ben poche accessioni, finiranno per giocarsi la sola e unica chance di un’alternativa a loro riservata, dopo di che la pena tornerà come nel passato ad essere, per il restante della loro vita e della loro presumibile carriera criminale, inflessibile. Questo è il punto. Ritorniamo a un concetto di inflessibilità della pena, al dominio della intangibilità del giudicato, in qualche modo a un principio cardine del pensiero retributivo, che almeno dal ‘75 in poi era stato progressivamente scalfito fino a introdurre nel nostro ordinamento un criterio di elevata flessibilità del castigo. Questo è il punto. 28 Credo che questo è quello che si voleva, lo credo, ne sono certissimo che è questo che si voleva. Non è detto che questo si otterrà, ma come segno politico è quello che si vuol dare. Questa norma si ispira a un’idea di reintrodurre quella che viene normalmente, nel teatrino della politica - e a noi fa sorridere, ma ad altra gente no – detto, evocato come ritorno alla certezza delle pene, che è poi un oggetto concreto del dibattito politico attuale. Questa disposizione riconduce a una certezza delle pene, dove si intende la flessibilità delle pene in chiave speciale preventiva o in chiave premiale come è stata introdotta, come il cancro che ha attentato al criterio della certezza dei castighi, questo è il punto. Quindi certezza dei castighi vuole dire che te la perdono una volta e poi mai più, dopo di che la pena meritata e giudizialmente comminata dal Giudice del fatto sarà a tutti gli effetti la pena che sconterai, riaffermando il principio dell’intangibilità del giudicato. Questa è la volontà politica. Non è detto che passi nei fatti, perché molte cose lo impediranno, però come messaggio che si è voluto dare è sicuramente quello, e come tale va recepito. Veniamo a un passaggio un po’ complicato della lettura di queste disposizioni, che è quello di un tentativo di una lettura critica. Almeno per parte di questa legge la categoria pivot è quella della recidiva reiterata, che costituisce quindi le fondamenta di un nuovo processo di differenziazione della pena in fase esecutiva. Ma attenti, con caratteri, questa differenziazione, assolutamente originali e nuovi rispetto ai vecchi circuiti di differenziazione che erano già presenti nel nostro ordinamento dalla legge, non tanto del ’75, ma già dal ’77 con l’Art. 90, i decreti attuativi, e poi nell’86 e poi dopo coi decreti negli anni ‘90 contro la criminalità organizzata. Sappiamo che il criterio di differenziazione in fase esecutiva si è venuto consolidando nel tempo partendo dai decreti attuativi dell’Art. 90 attraverso l’affermazione di un regime di esecuzione distinto per maggior severità in ragione di valutazioni di pericolosità. Questo è un dato di fatto del nostro ordinamento. Le valutazioni di pericolosità rilevanti al fine di produrre un diritto penitenziario disuguale o un diritto penale disuguale sono stati nel nostro ordinamento due: una pericolosità cosiddetta penitenziaria, presente in tutti i Paesi del mondo, traduco dall’inglese: coloro che rompono le scatole in galera, i trouble maker, e invece una pericolosità criminale vera e propria, come valutazione prognostica di recidività. Quest’ultima, che più ci interessa, di pericolosità criminale, nel nostro ordinamento si è costruita su due figure rispondenti poi a due distinte emergenze criminali degli ultimi trent’anni di storia italiana: il terrorista e l’affiliato alla criminalità organizzata di tipo mafioso. Il primo girone della differenziazione, i famosi rompiscatole carcerari, è costruito sull’Art. 14 bis e seguente della legge penitenziaria, ma nei fatti non 29 è mai decollato, a domanda ha risposto: “Nessuno è sotto il regime del 14 bis”. Questo perché si è preferito differenziare o neutralizzare o risolvere i problemi di fatto in via amministrativa piuttosto che ricorrere a una disciplina che comportava il rischio di un controllo di legittimità. Il secondo girone invece, quello della pericolosità criminale vera e propria, era decisivo e trasversale a tutta l’esecuzione penale talché era stato creato su una norma di sbarramento all’inizio della legge, 4 bis, proprio quando cominciano le disposizioni sul trattamento, e poi aveva trovato i suoi riferimenti in un combinato disposto con l’Art. 41 bis seconda parte, la fase esecutiva di massima sicurezza, e 58 ter, la collaborazione di giustizia. Questo era il cuore della differenziazione nel nostro ordinamento. Bene, leggiamola criticamente questa differenziazione, rispetto alla quale io non ho mai delirato come una grande costruzione dogmatica e forse ho avuto anche degli atteggiamenti critici, però che oggi quasi quasi in maniera nostalgica rimpiango. Questa differenziazione, per ragioni di pericolosità si costruiva su alcuni elementi qualificanti. Primo: una valutazione solo in parte presunta di pericolosità, non c’era un meccanismo automatico di presunzione, desumibile comunque dalla gravità di alcuni fatti di reato; la possibilità ammessa, fortemente favorita in chiave di premialità, che la condotta post delictum o post condanna del differenziato possa addirittura aprire lo spazio per una valutazione favorevole a un processo di differenziazione trattamentale di segno opposto; è l’ipotesi dei collaboratori di giustizia inseriti in un programma di protezione, per cui gli si applicano le misure alternative tutte subito, senza nessuna decorrenza dei termini. Questo è il modo in cui veniva costruito nel nostro ordinamento il processo di differenziazione per pericolosità criminale. Questa disciplina negli anni caldi della lotta alla mafia, cioè dal ‘92 al ’98, ha riguardato mediamente all’anno duemila persone, oggi non più di seicento, che sono sotto questo regime; quella originaria, nel periodo di contrasto al terrorismo politico, ha toccavo livelli di più elevata differenziazione in carceri di massima sicurezza sotto il regime dell’Art. 90, ancor prima della Gozzini che disciplina l’istituto, e comunque non ha riguardato mai più di tremila detenuti all’anno. Questi sono i dati del processo nostro di differenziazione. Poi esistevano altri circuiti di differenziazione, ma in favor condamnati, che è la differenziazione per ragioni terapeutiche nei confronti dell’infetto da HIV e quelle che riguardavano il tossicodipendente, non esistevano altri circuiti. Il nuovo circuito, perché di nuovo circuito si tratta, di differenziazione si costruisce su presupposti diversi. Uno: una presunzione legale assoluta di pericolosità, connessa alla sola ricaduta del delitto giurisdizionalmente accertata, anche per illeciti bagatellari, anche per illeciti tra di loro disomogenei, 30 quindi sfugge ogni criterio a una riferibilità, a una pericolosità legata a una tipologia criminologica, quindi puramente d’autore, purché dolosi: l’irrilevanza ai fini di una riconsiderazione della pericolosità della condotta del condannato in fase esecutiva e post penitenziaria. In questo caso siamo arretrati, addirittura, rispetto alla soglia, che già da tempo vive nella cultura giuridica del nostro Paese, che aveva in qualche modo dettato il principio della revoca anticipata delle misure di sicurezza detentive per cessata pericolosità. Qui non c’è possibilità: il soggetto sottoposto a questo regime potrebbe anche esternare elementi volti alla sua beatificazione, ma inutilmente, che sarebbe l’ipotesi estrema prevedibile. E' il problema del marchio di Caino, in altre parole: il marchio è a fuoco, viene impresso per il solo fatto di essere riconosciuto recidivo reiterato, e una volta impresso non può essere più cancellato, con tutto quel che ne consegue; si è e si rimane per sempre, almeno per la legge, socialmente pericolosi. Ora, è impossibile, ripeto ancora, dire con assoluta precisione quanti potranno mai essere gli effetti di una simile sciagurata disposizione sui tassi di carcerizzazione nel nostro Paese, ma certamente possiamo dire che in una prima fase di applicazione di una nuova normativa essa riguarderà certamente migliaia di condannati, mi ci giocherei una mano. Ma nel giro di pochi anni finirà per riguardare quasi tutta l’area che noi chiamiamo sociologicamente della criminalità cosiddetta sociale, che sappiamo essere la maggioranza dell’universo sociale penalizzato e cancerizzato oggi in Italia. Quindi pronosticare un’impennata nei tassi di carcerizzazione è una profezia facile. In fin dei conti - non voglio qui giocare di ironia, non si presta l’argomento, perché gioca sulle sofferenze altrui – l’Italia in questo momento ha un tasso di carcerizzazione di un detenuto su ogni mille abitanti. Siamo nella media della vecchia, civile, tollerante Europa, che più o meno oscilla dalla posizione encomiabile dei Paesi Nordici che ne hanno quaranta/cinquanta su centomila, a Paesi come l’Inghilterra che ne hanno centoventicinque, sempre su centomila. L’Italia sta lì mezzo. Però, e qui aggiungo nel prosieguo della mia relazione note sempre più pessimistiche, rendetevi conto che la legge di cui parleremo fra poco, che ha ispirato questa sciagurata normativa è made in United States, e gli Stati Uniti, in merito a questa legge sono passati, nel giro di 25 anni, a quella situazione che voi conoscete, di avere sette detenuti ogni mille abitanti, esattamente sette volte la percentuale statistica di quelli che sono in Italia. Questo fatto è stato da pochi sottolineato, invece andrebbe sottolineato. Questa normativa, almeno per quanto riguarda gli effetti della recidiva, sul momento commisurativo e sul momento esecutivo non è soltanto ispirata, ma è proprio copiata; certo, con l’apporto di quei ritocchi tecnici per adattarlo alla 31 nostra realtà normativa dall’esperienza di un Paese fratello, che è il Nord America, e da una esperienza normativa che porta il titolo elegante di una regola del gioco del baseball, three strikes and you’re out, tre colpi e tu sei fuori, che vuol dire: la commissione di tre reati anche bagatellari e tu sei fuori dal sistema normale del sentencing, dicono loro, così come nel gioco del baseball sei eliminato dopo tre colpi. Cosa vuol dire essere fuori dal sistema del sentencing americano? Vuol dire essere fuori dal sistema di una pena molto flessibile in cui, non tanto il Giudice, quanto il probation board ha un ampio potere discrezionale di flessibilizzare la pena in fase esecutiva. Coloro che rispondono dei “tre colpi e tu sei fuori”, ripeto, anche tre reati assolutamente bagatellari, tre spacci bastano, vengono condannati – parrebbe una cosa assurda – a una life sentence o a una no fixed sentence; letteralmente sarebbe una pena a vita, l’ergastolo, una pena non fissa. In effetti non succede che il soggetto rimanga dentro per la vita e tanto meno per un tempo indeterminato, è che condannato uno a una life sentence o a una no fixed sentence, automaticamente la legge impone dei minimi molto elevati di permanenza in carcere. Questa esperienza, che partì in maniera pionieristica in alcuni Stati del sud degli Stati Uniti poi si è diffusa in tutti gli Stati, e mi preoccupa molto che il nostro legislatore si sia ispirato a questa legge. Mi terrorizza, e dovrebbe terrorizzarci tutti, la circostanza che il sistema di giustizia penale statunitense, prima dei “tre colpi e tu sei fuori”, vent’anni fa, aveva una popolazione detenuta esattamente uguale a quella che abbiamo adesso noi: un detenuto ogni mille americani; oggi, dopo vent’anni di applicazione di questa strategia di incapacitazione selettiva, i detenuti giornalmente sono due milioni quattrocentomila e i condannati a misure alternative ogni giorno sono quattro milioni cinquecentomila. Vale a dire: sette detenuti su mille americani, tredici condannati su mille, costituiscono insieme il venti per cento, quindi il due per cento dell’intera popolazione nazionale, che sono sotto controllo penale. Ora riflettete, un tasso del due per cento della popolazione nazionale sotto controllo penale penitenziario è una cifra impressionante. Sarebbe come dire che in questo ambiente in cui siete circa duecento persone ci sarebbero cinque detenuti. Ma è ancora più allucinante tenere conto di una percentuale del due per cento della popolazione penalmente controllato se si tiene conto di altre variabili: la popolazione penalizzata e carcerizzata è al novantasei per cento in tutto il mondo di sesso solo maschile, tacciamo le ragioni; sovente si dice che le donne siano buone, comunque il carcere e la pena non è per il genere femminile, e probabilmente neanche per il genere maschile. E all’ottanta per cento la popolazione di detenuti in tutto il mondo è ricompresa tra i diciotto e i trentacinque anni. Si può 32 calcolare così che ogni cento giovani maschi americani, circa otto, sono sotto controllo penale. Se poi aggiungiamo la variabile razziale, in ragione del fatto che la maggior parte dei detenuti e penalizzati negli Usa sono neri o ispano parlanti, allora si aggiunge il dato vergognoso che ha permesso di sostenere a un Giudice della Suprema Corte americana recentemente: “Se sei maschio, nero di pelle o parli come prima lingua il casigliano, hai cinquanta probabilità su cento di finire in carcere o sotto probation prima che tu compi quarant’anni. Questo è il dato del processo di differenziazione in America. È vero, ci sono più giovani neri ispano parlanti sotto controllo penale negli USA, che iscritti alle scuole medie superiori. Questa è la legge che ispirò e che ha determinato quella situazione estrema di carcerizzazione in America. Cerchiamo ora di intenderne, però, la filosofia e vediamo se, facciamo uno sforzo comune, anche il legislatore abbia voluto ispirarsi a questa filosofia. Qual è questa filosofia che ispira i tre colpi e l’ex Cirielli? Perché c’è una sola filosofia: quella di dire che il carcere, il sistema penale, dopo essere stati tanto presi in giro, che non servono nulla contro la criminalità, no, no, servono, sono utili nel governo della criminalità e della recidiva, però se sono messi in grado di operare con finalità di neutralizzazione selettiva. Il fine della neutralizzazione selettiva origina all’interno di una cultura tecnocratica di tipo amministrativo della criminalità. Essa interpreta la giustizia penale come sistema che persegue obiettivi di efficienza, quali ad esempio differenziare la risposta per livelli di pericolosità e implementare strategie di controllo su gruppi sociali. La retorica che emerge quindi è quella del calcolo probabilistico e della distribuzione statistica applicati nei confronti delle popolazioni che creano problemi. Non molto diversamente dalle tecniche amministrative c’è la matematica attuariale che aiuta: il linguaggio dell’utilità sociale del governo dei rischi prende progressivamente il posto della responsabilità individuale, della prevenzione speciale nelle politiche penali. Il linguaggio di questa penologia tecnocratica si caratterizza quindi per un’enfasi sulla razionalità sistemica e formale. Il governo amministrativo del controllo penale tende quindi a costruirsi intorno ad obiettivi sistemici, che radicalmente divergono dall’uso simbolico a cui noi siamo abituati, della penalità. La gestione amministrativa della penalità risponde solo ad una sua logica interna svincolata da finalità extrasistemiche. Un’amministrazione delle pene che ribalta i paradigmi stessi dell’uso ideologico, tra virgolette, della sofferenza legale. Mentre la risorsa simbolica del sistema della giustizia penale utilizza un vocabolario, che è il nostro, i cui termini più utilizzati sono: imputazione, responsabilità personale, meritevolezza del castigo, esemplarità, anche, della pena, insomma, sono tante espressioni che definisco la riduzione individuale della dimensione sociale dei problemi. La 33 gestione amministrativa della pena parla un’altra lingua, non più quella di punire gli individui, ma di gestire gruppi sociali in ragione del rischio criminale. Non più quella correzionalistica e rieducativa, ma quella burocratica di come ottimizzare le scarse risorse, in cui l’efficacia dell’azione punitiva non è più in ragione di scopi esterni al sistema, educare, intimidire, ma in ragione di esigenze interne al sistema, ridurre i rischi. Per lungo periodo, il periodo dell’egemonia e delle culture, prassi correzionalistiche che sono tipiche della legge del ’75, la ricaduta del delitto, la recidiva, era una cartina di tornasole dell’insuccesso dell’investimento educativo: abbiamo cercato di educarlo in carcere, e quello ha delinquito ancora. La recidiva per noi ha significato sempre un fallimento del sistema. Nella stagione delle misure alternative la stessa cosa valeva come la revoca: la revoca della misura alternativa è il fallimento della misura alternativa. Oggi no. Al di fuori di ogni filosofia speciale preventiva i parametri che segnava una volta l’insuccesso vengono oggi interpretati come utili indicatori dell’efficienza del sistema nel suo complesso. Gli indici di recidività mostrano sia che il sistema penale ha fin dall’inizio selezionato efficacemente la propria clientela, sia che, sulla base dell’esposizione alla ricaduta del diritto, interpretate per gruppi sociali, è possibile definire predettivamente le categorie a rischio e di conseguenza diversificare la risposta punitiva. Quindi una discrezionalità che non si illude più di fondarsi su un’osservazione scientifica della personalità, baggianate neopositivistiche della legge penitenziaria, ma che ancora sempre più la propria decisione ad un calcolo di rischi per popolazioni criminali, per gruppi sociali, piuttosto che affidarsi alla sorte di scommettere sull’uomo. Lo stesso processo di differenziazione trattamentale nel carcere non risponde quindi più a un bisogno di individuazione dell’esecuzione per finalità rieducative, ma si piega sempre più alla necessità di usare anche il carcere come variabile dipendente in ragione di una diversa distribuzione del rischio, così lo strumento della pena detentiva inflessibile non si orienta ad una logica di neutralizzazione individuale, per cui esso è l’estrema risposta per i colpevoli di reati gravissimi, ma diventa il contenitore per tutti coloro che risultano, ad una logica di incapacitazione selettiva, come appartenenti a gruppi sociali a elevato rischio. Io sono personalmente convinto che la 251 si richiama a questa filosofia dell’incapacitazione selettiva e che pertanto il legislatore si sia ispirato, addirittura abbia tradotto l’esperienza nordamericana che sopra richiamavo. Nella logica oggi fortemente presente anche in Italia delle politiche sicuritarie che si fondano sui sentimenti di insicurezza espressi dalla collettività i nuovi nemici opportunisti non sono i mafiosi, non sono i terroristi. Ciò di cui io come cittadino, come singolo, più pavento sono i furti in appartamento, gli scippi, i 34 borseggi, i piccoli grandi attentati alla mia proprietà. Temo, e non dico sempre irrazionalmente, gli spacciatori magrebini, gli sfruttatori albanesi, i giovani ladri rom, gli immigrati irregolari, eccetera, eccetera. Non sopporto più i livelli crescenti di inciviltà urbana, anche se spesso sono penalmente irrilevanti. Insomma, alla fine i miei nemici, quelli da cui io voglio difendermi, tutelarmi, sono i variegati personaggi affiliati al grande esercito dell’economia illegale di massa; sono tanti e sempre più crescenti proletari di un’economia stracciona e illegale; quelli che sempre entrano ed escono dalle patrie galere. Se questo è il target sociale che suscita, non mi interessa se a torto o ragione, dolosamente o colpevolmente, le mie paure, questa legge ha una sua indubitabile coerenza. Certo, alla fine solo una coerenza ideologica, perché la realtà americana di questi ultimi vent’anni ci sta a insegnare che per quanto tu elevi a dismisura i criteri di neutralizzazione selettiva del sistema legale - loro li hanno elevati di ben sette volte - alla fine l’efficacia nel contrasto alla criminalità di massa è trascurabile. Dovrei poter incapacitare tutta quanta l’emarginazione sociale, controllare penalmente tutti i poveri, per poter ridurre significativamente la criminalità; il che, anche per l’intransigente, protestante, calvinista, rigorosa America è alla fine impossibile, figuriamoci per l’Italia. Questa è l’unica cosa che mi consola! AVV. ANTONIO FRANCHINI Grazie al prof. Pavarini per la sua bellissima e appassionata relazione. Certo che il quadro generale che ci ha fornito è sconsolante e quasi orwelliano, se mi permettete il paragone. Prima di dare la parola al prof Frigo per l’ultima relazione della giornata e poiché l’unico istituto favorevole previsto da questa legge riguarda gli ultrasettantenni, devo comunicarvi che oggi è il compleanno del nostro decano, dell’Avvocato Emanuele Battain e quindi un grande applauso! Do la parola al prof. Giuseppe Frigo, professore di Procedura Penale Comparata all’Università di Brescia, che ci parlerà dei profili di natura processuale. PROF. GIUSEPPE FRIGO Grazie. Chiarisco subito, per evitare equivoci, che sono un ultrasettantenne, quindi sarebbe controproducente per me stesso che parlassi male in assoluto di questa legge. Pur non essendone entusiasta ho l’impressione che sia arrivato il tempo non di parlarne bene, ma di costruire qualche cosa, magari partendo dal male evidente. 35 Come si fa a costruirla dal mio punto di vista, che è il punto di vista, per usare un linguaggio evangelico, del cireneo o del pubblicano? Quale si addice al processualista di fronte a problemi che sono di diritto penale sostanziale, di diritto dell’esecuzione penale, di diritto penitenziario, e dopo due relazioni che non sono solo state monumentali, ma sono state, lo dico senza enfasi, magnifiche e tali da darci da riflettere per molto tempo. Tra il diritto penale, che è il quadro di riferimento di base, l’esecuzione e il penitenziario c’è il processo. Nulla poena sine lege, ma nulla poena sine iudicio. E tuttavia se questa legge attinge nel modo in cui abbiamo sentito due istituti fondamentali del diritto penale, come sono la recidiva e la prescrizione, e comunque gli aspetti della dimensione attinente alla pena, quindi strettamente sanzionatori, e dall’altro, attinge questi aspetti con questi profili particolarmente negativi che sono stati descritti poco fa in sede esecutiva e in sede penitenziaria, cosa resta davvero da dire al momento del processo e sul momento del processo? Io cerco di riandare, anche movendo proprio dal titolo che è stato assegnato alla mia relazione, ai grandi classici, ai grandi maestri, prima di tutto al mio grandissimo indimenticato maestro Pietro Nuvolone, che pur essendo stato un grande sostanzialista, secondo l’antica tradizione in tutti i suoi scritti e in tutte le sue grandi monografie terminava con un capitolo: “Profili processuali”. C’era sempre un’attenzione a questi aspetti, c’è sempre stata un’attenzione, perché ormai le discipline di diritto penale da una parte e di diritto processuale penale dall’altra sono distinte, sono autonome, ma spesso dentro queste autonomie si sconta la scarsa attenzione ai nessi inscindibili che ci sono, specialmente fra il diritto e la procedura penale. Allora, sia pure come ultimo capitolo - un capitoletto qualche volta, quando Nuvolone scrisse il diritto valutario anche lì, che era necessariamente un diritto di transizione, cioè un diritto penale che oggi c’è e domani non c’è, il diritto penale artificiale come qualcuno l’ha assai bene chiamato - ecco, dico, sia pure in questo angolino, qualcosa forse da dire c’è, perché nella cornice sia della fisiologia che delle facili trasmigrazioni nella patologia dei rapporti usuali fra diritto penale e funzioni processuali, ecco, diciamolo, potrebbe essere questa davvero la fisiologia, cosa cambia nelle funzioni processuali? Cosa c’era prima nelle tre funzioni processuali, quella del Giudice, quella del Pubblico Ministero e quella del Difensore? Cosa cambia e cosa può cambiare da parte di questo, per effetto di questa legge? Emblematica è la materia sanzionatoria, dove il processo si manifesta come il mezzo per la cosiddetta “concretizzazione del diritto penale sostanziale”, e la pena, appunto, che viene in astratto comminata dalla legge si fa concreta nel giudizio attraverso la funzione giurisdizionale. Qui le scelte legislative, tra sanzioni rigidamente predeterminate, fissazioni di limiti edittali limiti e 36 massimi, ampiezza della relativa forbice, previsioni di alternative tra specie diverse più o meno gravi, maggiore o minore possibilità di sforare i limiti con aumenti e diminuzioni per effetto del riconoscimento di circostanze aggravanti o attenuanti, comparazioni e bilanciamenti tra esse, definizione più o meno ampia o specifica del quadro dei parametri di riferimento per le opzioni concrete, da tutto questo dipende la qualità stessa e certamente poi la misura della funzione giurisdizionale nel delicatissimo momento della irrogazione della pena. Basta fare una riflessione molto modesta che tutti noi operatori possiamo fare e che credo di poter fare anch’io, proprio dopo oltre quarantasei anni di esercizio di attività professionale: ogni rigido automatismo collegato esclusivamente alla qualificazione giuridica del fatto toglie al Giudice ogni potere nella scelta della sanzione con rischio di trattare uniformemente situazioni concretamente differenti; a rovescio la discrezionalità può amplificarlo fino al massimo del limite costituito dalla riserva di legge in materia penale, con ovvi rischi di sperequazioni anche gravi e direi molto più gravi, da un certo punto di vista, perché si può sconfinare nell’arbitrio. Ricordava prima nella sua bellissima relazione il sostanzialista bravissimo che mi sta alla sinistra, come potrebbe aprirsi addirittura un varco, stiamo discutendo dei limiti del ricorso in Cassazione, per dedurre finalmente attraverso questa legge, sotto il profilo della violazione di legge, qualcosa che attiene nientemeno che alle attenuanti generiche. Una delle conseguenze probabilmente non volute, che però ci sono. È risaputo però che nel nostro sistema e nelle nostre prassi il controllo di legalità delle scelte dei Giudici di merito sulla determinazione della pena in concreto è ridotto in pratica alla verifica della congruità logica della motivazione da parte della Corte di Cassazione e sono rarissimi, vorrei dire quasi sconosciuti, gli annullamenti di sentenze in punto di misure della pena o di diniego o riconoscimento di attenuanti generiche. Ma perché? Perché sono questioni che stanno dentro il giudizio di merito, dentro il processo di merito. Risultano allora di riflesso condizionato e in concreto le funzioni delle parti, Accusa e Difesa, anche solo con riguardo ai loro poteri, diritti, facoltà di richiesta, di istanza, di impugnazione. Oggi il processo, come luogo e mezzo di soluzione giurisdizionale del conflitto tra pretesa punitiva e difesa da essa attraverso l’accertamento in contraddittorio dei fatti e delle responsabilità, e la punizione di chi risulti colpevole postula ormai o postulerebbe uno sviluppo ampio delle tre funzioni corrispondenti alla triade processuale. Ora, questo sviluppo non è affatto pregiudicato, anzi è addirittura favorito da un diritto penale rigido. Mormorava poco fa il Presidente il diritto penale del fatto, 37 ma il diritto penale del fatto vuol dire: fuori finalmente - da quanto tempo lo stiamo dicendo nelle Camere Penali! - dalla costruzione delle fattispecie criminose tutti gli elementi normativi, torniamo al diritto penale del fatto. Il nostro grande maestro e mio compagno di università, Franco Bricola, quante volte ce lo ha detto e ricordato! È favorito certamente lo sviluppo della dialettica processuale da questo ritorno al diritto penale del fatto. È invece incompatibile con una rigidezza della disciplina sanzionatoria. Ove si accetti, e credo che dovrebbe essere accettata, che il principio costituzionale della personalità e della responsabilità penale imponga anche quella che si chiamava una volta e che forse si chiama tuttora l’individualizzazione della pena, è evidente che l’individualizzazione della pena rifugge da automatismi e va piuttosto consegnata ad un quantum non effimero di discrezionalità giudiziale, pur dentro parametri che escludono l’arbitrio, quindi alla dialettica delle parti. Su questo scenario, con le sue implicazioni, opera il legislatore, volta a volta ampliando o restringendo gli spazi, accordando o negando strumenti per la scelta della pena in concreto. E' una vecchia partitura che si ripropone ciclicamente con alcune varianti innescando le opposte reazioni di censura o eccessi di possibile indulgenza o, al contrario, di più o meno contrastabile rigore. Nell’arco di poco più di cento anni il nostro Paese ha offerto significative rappresentazioni in proposito, dal codice del mio concittadino Zanardelli del 1889 al codice Rocco del 1930, fino alla riforma del ’74 e all’ordinamento penitenziario dell’75 è prossimo, quasi contiguo alla riforma del sistema penale del 1974. E ora questa nuova legge! Ricordiamo solo gli interventi più importanti: c’è un pendolarismo che è figlio delle mutevoli sensibilità, delle diverse ideologie, talora persino dell’esigenza di rispondere a ritenute contingenti domande di giustizia o semplicemente, come accennava poco fa il prof. Pavarini, esigenze di sicurezza o di una certa sicurezza, con risposte più o meno nobili o coerenti con il sistema o con se stesse e i propri dichiarati scopi, sempre e comunque direi con un margine notevolissimo di opinabilità. Guardando un poco alla storia, direi guardando persino alla mia cronaca personale, di un Avvocato che ha cominciato a calcare i palcoscenici delle aule di giustizia oltre quarantasei anni fa, quante volte ci siamo imbattuti nelle nostre aule nel problema del bilanciamento delle circostanze attenuanti aggravanti, nelle circostanze attenuanti generiche e soprattutto con la recidiva? Dicevo poco fa mormorando con l’amico Melchionda: ma quanti sono quelli che si ricordano che cos’era la recidiva e che si sono ricordati che c’era la recidiva con questa legge? Facciamola questa riflessione. La recidiva era di fatto scomparsa, 38 oltretutto con una prospettiva, perché questa è la cosa incredibile, perché nel ’74 quando si è fatta quella scelta si doveva pensare paradossalmente che tutto veniva consegnato al giudizio, al processo, che la recidiva era uno strumento reso duttile nelle mani delle parti e del Giudice soprattutto, proprio uno strumento ai fini della individualizzazione della pena e della differenziazione a seconda delle esigenze, appunto, di questa individualizzazione, uno strumento massimamente duttile, e invece è stato buttato via, non se n’è fatto più niente di tutto questo. Allora, il primo problema è questo: valeva la pena di recuperarlo o si doveva consegnare alla storia? Facciamola questa riflessione, non so se qualcuno l’ha fatta, ma certamente era la prima riflessione secondo me da fare. Invece non si è fatto niente. Ora, per decenni intere generazioni di Giudici, di pubblici Ministeri e di Avvocati, si sono esercitate sullo strumento delle attenuanti generiche per modulare la pena in concreto. Anzi! Io sono zanardelliano ratione loci, il codice dell’89 unanimemente fu considerato un monumento del diritto penale europeo, ma anche mondiale della fine dell’800; c’erano stati trent’anni di lavoro prima, ci avevano lavorato prima con riluttanza e poi sempre più con interesse uomini come Carrara, come Mancini; Carrara forse una delle ultime lettere che ha scritto, se non l’ultima, l’ha scritta a Zanardelli: in un primo momento era molto diffidente perché vedeva che si voleva scopiazzare quella brutta cosa che era, dal punto di vista del diritto penale, il codice sardo/piemontese; dopo, quando ha cominciato a vedere che invece l’attenzione si spostava sul codice toscano le cose sono cambiate, e a ragione, perché c’era la tradizione leopoldina in Toscana; è magnifica la lettera che ha scritto Carrara in punto di morte a Zanardelli, quando ha detto: “Questo sarà un monumento di cui l’Italia, la dottrina italiana e la scienza italiana, l’Avvocatura, la Magistratura, l’Accademia, potranno andare orgogliosi in tutta Europa e nel mondo”, sostanzialmente questo scrisse Carrara in quella lettera. Allora nel codice Zanardelli furono introdotte per la prima volta le attenuanti generiche proprio come strumento per modulare la pena; non c’erano previsioni di circostanze attenuanti specifiche, c’era solo questa specie di valvola di sicurezza, abolita poi dal codice Rocco, che però introdusse le attenuanti comuni, recuperata nel 1944, la disciplina delle attenuanti generiche, in aggiunta alle attenuanti comuni. Questo ampliamento palesemente diede opportunità maggiori per le parti al loro agire nel processo e al potere discrezionale del Giudice. Ora la legge, sappiamo, non è che le butta via, ma riduce drasticamente, almeno per quella nicchia particolare, quella del nuovo secondo comma dell’Art. 62 bis, questa opportunità. Però poi alla fine si 39 vede, come diceva bene prima il prof. Melchionda, che il fulcro di tutto questo sta nella prescrizione, evidentemente. L’istituto della comparazione tra circostanze, l’Art. 69, anche questo è stato rivisto, ma anche questo è stato una palestra per le parti e per il Giudice nel processo, e con il Codice di Procedura Penale addirittura si è data la possibilità al Giudice dell’appello di intervenire d’ufficio sulla comparazione delle circostanze e per riconoscere d’ufficio, senza bisogno di attendere lo stimolo delle parti, il concorso di certe circostanze attenuanti. Allora ecco come si dilatano le funzioni o come si restringono per effetto di queste modifiche che attengono specialmente al trattamento sanzionatorio. Io penso - scusi se guardo lei, Procuratore Generale, ci conosciamo da tanti anni -, i vecchi Magistrati, i vecchi Avvocati, quorum ego evidentemente, ricordano bene come combinando le norme anteriori che avevamo una volta sul furto aggravato con quelle sulla recidiva di allora e sulla comparazione tra circostanze che era limitata, allora, prima del ‘64, un furto d’auto – lo dico per chi non c’era – commesso da chi fosse in condizioni di recidiva specifica reiterata infraquinquennale comportava una pena minima di quattro anni e sei mesi di reclusione, secca, al minimo, per quanto scassata fosse l’automobile rubata. È venuta fuori da lì quella specie di motto che correva tra le aule: “le generiche non si negano a nessuno”, perché come si fa a dare quattro anni e mezzo per un furto d’auto? Allora c’erano dei recidivi terribili, perché vivevano di furti d’auto, ai quali come si fa a dare quattro anni e mezzo? Allora gli diamo le generiche, così succedeva. Dalla rigidità di quel modello sanzionatorio si ricercavano strane via di fuga, una era questa delle attenuanti generiche date a sproposito, evidentemente, in quella situazione, ma che erano l’unico strumento; perché sì, certo, i Difensori si impegnavano, per il furto d’auto c’erano due aggravanti, la violenza e l’esposizione alla pubblica fede, e allora: ma come, esposizione alla pubblica fede? Si facevano arringhe anche prolungate per dire che non c’era, e invece poi il riconoscimento c’era sempre, venivano riconosciute tutte e due ineluttabilmente le aggravanti. Ora tutto questo appartiene alla archeologia delle prassi giudiziarie, che tuttavia potrebbe rivivere quantomeno nelle nicchie di maggiore rigidità riproposte dalla legge. La quale rianima e fa rivivere in maniera molto discutibile e per certi aspetti censurabile l’istituto della recidiva, con questo aspetto singolare: di portarla per forza nel processo, si deve portare nel processo. E qui allora sì che dobbiamo cominciare a fare il ragionamento importantissimo che ha fatto prima Melchionda e che io condivido al cento per cento: non facciamoci prendere dal panico né dall’idea di fare del terrorismo su questo nuovo Art. 99. La lettura dell’Art. 99 individua una sola ipotesi di obbligatorietà della recidiva ed è 40 quella del quinto comma; e qui tutti dobbiamo essere impegnati a sostenere questo nel processo, perché è l’unica interpretazione coerente dal punto di vista sistematico e dal punto di vista letterale. La parola “obbligatoria” io la trovo soltanto nel quinto comma, non c’è da nessun’altra parte. E il fatto che si usi “è” al posto di “può” nel terzo comma non vuol dire niente, anzi, scusate, non voglio invadere il campo dei sostanzialisti, però se correttamente si dice: la recidiva viene definita al primo comma, dove poi si dice “aumento di un terzo” e c’è un aumento fisso, fisso il massimo nel secondo comma fino alla metà, allora ecco perché si usa il “può”; il “può” per quanto riguarda il ritenerla e per quanto riguarda il quantum. Poi, al terzo comma, non vuol dire che l’uso del “è” rende obbligatoria, ma se ritengo sussistente l’obbligatorietà, allora l’aumento dev’essere così, è rigido. La stessa cosa è anche per il quarto comma, perché sennò che ragione ci sarebbe? Come si fa a dare coerenza alla previsione che chiaramente si esprime al quinto comma: l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio? È solo lì che è obbligatorio l’aumento della pena, con le rigidità degli articoli precedenti. Allora questo è un campo nel quale dovremo batterci, ma ci sono documenti di certe Procure della Repubblica dove si dice addirittura che non sarebbe così e che la recidiva diventa quasi tutta obbligatoria con questo Art. 99, ma non è così, qua dobbiamo contrastare. Ecco che salta fuori la dialettica. Abbiamo riesumato la recidiva? Combatteremo sulla recidiva! A questo punto sperando che la giurisdizione faccia la sua parte. Io sono impressionato quando sento dire che non sarebbe neanche necessaria la contestazione. Se si comincia a dire di nuovo che non sarebbe necessaria la contestazione, allora veramente facciamo piazza pulita di cinquant’anni di elaborazione giurisprudenziale, anche dal punto di vista processuale penale. La recidiva deve essere contestata e solo se è contestata intervengono le valutazioni, interviene la disputa tra le parti e interviene poi la valutazione del Giudice. Dev’essere contestata o allora si era fatta la questione, che poi fu risolta nel senso dell’obbligo della motivazione quando la recidiva era obbligatoria, perché nel caso di automatismo si diceva: “Basta che ci sia il certificato penale e la si può ritenere”; è stato là che sono intervenute le Sezioni Unite a dire: “Deve essere sempre e comunque contestata”. A questo punto mi pare che potremmo fare un passo avanti proprio per guardare al nostro agire nel processo; qua la contestazione non deve essere un vago richiamo, come si faceva una volta, recidiva specifica reiterata infraquinquennale e via discorrendo, nossignori: adesso dobbiamo fare quello che non si è fatto dal ‘74 in avanti, perché abbiamo dimenticato la recidiva. Visto che la recidiva è stata riesumata, allora va contestata come qualunque circostanza aggravante facendo riferimento al fatto che la integra, perché la 41 contestazione non è quella di un nomen iuris, la contestazione è un fatto, e disputeremo, in tutti i casi in cui non è obbligatoria, e sono la maggior parte, se potrà o non potrà, se dovrà o non dovrà essere ritenuta. Questo è il compito che attende le parti. Bisognerebbe poter dire anche molte cose sulla prescrizione, ma bisogna andare via molto veloci. Sulla recidiva vorrei dire un’altra cosa. Questa legge per molti aspetti è stata lasciata andare alla contrapposizione tra gli opposti schieramenti politici, dimenticando che, con riguardo ai problemi della giustizia, con riguardo ai problemi della giustizia penale, con riguardo al diritto penale sostanziale, alla procedura e al penitenziario, esiste da sempre, era esistita da sempre una trasversalità tra gli schieramenti politici che purtroppo è stata dimenticata. La Legge Saraceni era stata messa insieme da due che credevano in un certo diritto penitenziario ed erano di opposti schieramenti: ecco un esempio. Il giusto processo in Costituzione, che le Camere Penali hanno propugnato strenuamente nel ‘98 e nel ‘99, è stato il frutto di una trasversalità. Purtroppo i mali che sono venuti in gran parte dalle leggi prodotte in questa legislatura, compresa questa, in particolare questa, ci sono perché è stata abbandonata, per ragioni perverse, questa trasversalità. Ora io dico: ma per quale ragione non si è potuto ricercare anche qui, attraverso l’intesa tra coloro che hanno una certa concezione della giustizia penale, del processo penale, del diritto penale sostanziale, del diritto penitenziario, un’intesa che potesse aggiustare questo testo? Gli aggiustamento sono stati fatti male, sempre nella logica della contrapposizione. Ricordavo all’amico Melchionda che nel Codice Zanardelli la recidiva era temporanea: ecco, sarebbe bastato trovare il consenso di qua e di là sulla temporaneità della recidiva per annullare la maggior parte dei problemi. Pensate che mettere la temporaneità della recidiva a dieci anni, come l’aveva messa il codice Zanardelli nel 1889, era una grandissima scommessa e una soluzione avanzata, tenuto conto della vita media di allora. Pensiamo alla vita media di adesso: che senso ha con l’aumento della vita media di adesso avere la recidiva perpetua? Qualcuno, vivaddio, l’ha detto questo in Parlamento? È andato qualcuno a dirlo? Ho letto gli atti parlamentari, non è scritto da nessuna parte! Certamente, le riforme di sistema non possono essere consegnate così tout court al Parlamento, ma non si può neanche impedire al Parlamento se vuole occuparsene di farlo; altri dovrebbero farlo, sono le aggregazioni associative che dovrebbero farlo e che purtroppo non l’hanno fatto, anche qui in una logica di contrapposizione, perché alle Camere Penali interessava combattere la recidiva da una parte, alla Magistratura interessava combattere la prescrizione dall’altra. Certo che non sono tutti d’accordo, ma bisogna anche essere capaci di trovare le intese 42 all’interno, come è sempre stato fatto: abbiamo fatto così col Codice di Procedura Penale, abbiamo fatto così in tanti altri modi. Bastava introdurre la temporaneità della recidiva e ci sarebbero stati molti meno problemi. Detto questo - scusate ma a questo punto devo andare con molta rapidità e anche con molta concitazione, come capita sempre quando si parla per ultimi – devo dire qualcosa sulla prescrizione, su questa tormentata disciplina della prescrizione. Anche qui sono state messe davanti a tutti le contraddizioni, starei per dire le ombre, e non le luci. Ma credo che una disciplina della prescrizione quale quella che si aveva prima di questa legge era una disciplina che consegnava la causa estintiva del reato alla discrezionalità giudiziale. Siamo stati per troppo tempo nelle mani di attenuanti che si riconoscevano o non si riconoscevano, di comparazioni che si facevano o non si facevano e così via, a cui conseguiva: sì all’estinzione, no all’estinzione. Questa era una stortura, costitutiva una stortura. Dare al Giudice la possibilità di collocare la res iudicanda nella cornice di un reato già prescritto ovvero non ancora prescritto, non in funzione del nomen iuris del reato, ma in funzione del gioco delle circostanze e particolarmente delle circostanze attenuanti generiche su cui il ricorso per Cassazione era come dire: non c’è, era qualche cosa che evidentemente urtava contro il sentimento di giustizia. La discrezionalità giudiziale è stata eliminata, le circostanze non rilevano più, non rileva neppure la comparazione. A questo punto i termini prescrizionali, che in parte solo per taluni reati sono stati ridotti, ma per la maggior parte sono stati prolungati, io dico francamente che cinque anni per una contravvenzione mi sembrano un termine prescrizionale eccessivo. O qua c’è una riforma grande che si dovrebbe fare, una scommessa grande, eliminare le contravvenzioni dal Codice Penale, fare tutti illeciti amministrativi. È una scelta che ha fatto la Commissione Nordio, sarà condivisibile o no, pazienza, però a un certo punto affrontiamoli questi problemi. I termini sono minimamente certi a questo punto; quanto alla misura di questi termini basta prendere quello schema che è stato fatto in fondo alla monografia, al dossier di Guida al Diritto per rendersi conto che complessivamente i termini prescrizionali qua sono aumentati, non diminuiti. A questo punto però diciamo un’altra cosa: che certo qui ci troviamo di fronte a qualcosa che diversamente dal passato, da quello che è accaduto fin qui, modifica e stimola l’esercizio delle funzioni processuali, questo è il punto. Perché è chiaro che si può giocare o non giocare sulla prescrizione prolungando o meno la durata delle indagini preliminari; io ho notato più di una volta che certe querele per diffamazione vengono lasciate lì per il tempo necessario a prescrivere, dopo di che si domanda l’archiviazione, alle soglie della prescrizione del reato. Ma a questo punto è chiaro che c’è un potere forte nel 43 Pubblico Ministero quando si fanno delle scelte. Oggi questa revisione del meccanismo dei termini prescrizionali induce certamente a una riflessione ai Pubblici Ministeri, così come induce a una riflessione i Difensori i quali a loro volta non sono immuni da mancanze con riguardo proprio al gioco della prescrizione. Vorrei però dire una cosa, mi ha stimolato anche qui l’amico Melchionda a proposito della sospensione del corso della prescrizione. Da una parte si è cercato di rivedere quella sospensione collegata alle attività e alle richieste difensive, però ci si è dimenticati di quella famigerata sentenza delle Sezioni Unite 28 novembre 2001 della Cassazione, la quale aveva esteso al termine prescrizionale le cause di sospensione del termine di custodia cautelare - io porto sempre questo come massimo esempio di giurisprudenza creativa; in genere accusano i Giudici di merito di farla, ma la giurisprudenza creativa la fa la Corte di Cassazione non la fanno i Giudici di merito! Qui è il massimo esempio della giurisprudenza creativa – ed era stata poi portata questa cosa nella norma, quindi dentro la previsione. Ma come mai si è dimenticato che la Cassazione aveva fatto la nicchia per le attività difensive attinenti all’esercizio delle prove e ai termini a difesa? Dove sono finite queste cose qui? Perché molto ottimisticamente l’amico Melchionda un momento fa diceva: “Ma insomma, anche qui..”, non c’è più questa eccezione, è sparita! Allora bisogna farla recuperare in via esegetica, perché o la facciamo recuperare in via esegetica o il diritto alla prova e il diritto al termine a difesa vanno a farsi benedire. Quindi dobbiamo evidentemente lavorare in questo senso. Mi piacerebbe poter dire qualche cosa a proposito del diritto transitorio. Solo una cosa dico: quella decisione molto tempestiva della Corte di Cassazione secondo me è persuasiva quando dice che non siamo di fronte ad una situazione di incostituzionalità con riguardo al 25 comma 2 della Costituzione; così come ormai abbiamo alle spalle una giurisprudenza costituzionale che sull’Art. 2 comma 3 del Codice Penale dice che sostanzialmente non è costituzionalizzato, per lo meno, non lo è del tutto. Però l’Art. 2 comma 3 ci dà una strada. Io non so perché è sorto il dubbio sul giudizio abbreviato. Il giudizio abbreviato non ha una disciplina specifica come quella e allora a questo punto per il giudizio abbreviato vale l’Art. 2 comma 3 del Codice Penale. Non so dove sia il problema, perché la Corte Costituzionale ha detto: “Quando non siamo di fronte a norme sanzionatorie o incriminatici o aggravatici delle sanzioni, non siamo obbligati dal punto di vista costituzionale a prevedere l’applicazione della norma più favorevole. Il legislatore allora ha una discrezionalità al riguardo: se la esercita benissimo, l’ha esercitata, nulla quaestio, ma se non la esercita vale l’Art. 2 comma 3 del Codice Penale. Allora, 44 siccome sul giudizio abbreviato non è stato detto niente, si applica la regola generale, punto e basta. Un altro profilo invece mi pare che abbia trascurato la Cassazione, non mi pare persuasivo questo profilo, ed è quello che riguarda invece l’individuazione della barriera prima della quale e oltre la quale - il limite discriminante - operano o non operano i termini più brevi della nuova norma: l’apertura del dibattimento. Questo è uno stadio processuale, è un punto, una linea di demarcazione, quella dell’apertura del dibattimento, che è suscettibile di creare un numero infinito nel concreto di disparità di trattamento e quindi di mettere in gioco fortemente secondo me il principio di uguaglianza. Doveva essere scelta una linea più stabile, mi pare particolarmente instabile questa. Ecco perché forse varrebbe la pena di fare un’ulteriore riflessione su questo punto, perché basterebbe pensare alle situazioni, prima di tutto la regressione, perché improvvisamente viene a mancare un componente del Collegio: bisogna ricominciare daccapo e bisogna ricominciare da dove? Bisogna fare di nuovo un’apertura del dibattimento? Qua qualcuno dice di no, perché bisogna assicurare gli stessi Giudici solo a dibattimento già aperto. Ma quando si riconosce una nullità che è intervenuta, una nullità non sanata, intervenuta nel corso del dibattimento, cosa succede? C’è una regressione. E se questa nullità riguarda soltanto la posizione di uno e non degli altri, non c’è un trattamento differenziato? Collegato a che cosa? Alla mera casualità. Allora ecco perché forse varrebbe la pena di fare una riflessione ulteriore. Ma il diritto transitorio? Il diritto transitorio si medica da solo e allora a questo punto tante cose sono lasciate passare. Credo però che un segnale positivo ci dovrebbe venire, il segnale positivo col quale mi sono permesso di aprire questo discorso un po’ sconclusionato, ed è questo: non lasciamoci più prendere dalla logica della contrapposizione, cerchiamo anche di essere costruttivi nel nostro operare quotidiano, proprio attraverso le funzioni processuali che siamo chiamati a rivestire; e allora cerchiamo di portare fin dove si può l’interpretazione e l’applicazione di questa legge del processo, attraverso la nostra attività nel processo, verso epiloghi che non siano in contrasto con i principi generali, con i principi costituzionali in particolare e soprattutto non ci radicalizzino in contrasti e contrapposizioni quali potrebbero essere quelli che potrebbero venire da posizioni così estreme come quelle prese da queste certe Procure cui faceva riferimento l’amico Melchionda. Cerchiamo con pacatezza di trovare la soluzione e le soluzioni equilibrate per non alterare più di tanto e recuperare, se possibile, dalle alterazioni troppo gravi il sistema. Grazie. 45 AVV. ANTONIO FRANCHINI Grazie al prof. Frigo per la bellissima e appassionata relazione. Io adesso, siccome ci resta ancora uno spicchio, darei la parola a chi intende fare delle domande, porre dei quesiti ai nostri relatori o chi vuole o desidera fare un intervento sui temi che abbiamo trattato. DOTT. ENNIO FORTUNA Non tutti sanno che noi abbiamo una conferenza periodica che io dirigo e composta da tutti i Procuratori del distretto. L’Accusa precede sempre la Difesa, è logico, ed è anche più importante, dico io, l’Accusa, ma lo dico per scherzo! Ed è ovvio che ci a siamo occupati della Cirielli molto prima e può essere interessante sapere che oggi non ho sentito nulla di nuovo, cioè le tematiche che sono state toccate qua sono le stesse che abbiamo esaminato noi e posso dire con una certa soddisfazione che sono quasi tutte coincidenti le soluzioni. Non del tutto; per esempio ce n’è una capitale sollevata dal prof. Patarini, di cui vorrei parlare un secondo perché è una questione veramente cruciale, secondo me. Per il resto ci siamo trovati d’accordo. Soprattutto siamo d’accordo con Melchionda quando dice che la recidiva obbligatoria è una sola: siamo assolutamente d’accordo; siamo assolutamente d’accordo anche su un’altra cosa: che dev’essere contestata pienamente, e noi siamo andati un pochino più in là, per la verità, nella riunione, può essere interessante saperlo.. AVV. ANTONIO FRANCHINI Cosa vuol dire “pienamente”? DOTT. ENNIO FORTUNA Lo dico subito: siamo andati più in là dicendo che non solo dev’essere contestata, ma per applicare la recidiva secondo la nuova meccanica prevista dalla legge ex Cirielli occorre anche che le eventuali condanne precedenti finiscano col coincidere con il regime attuale, è stato già detto credo da Melchionda. Se per caso ho la recidiva del comma quarto, come capita spesso è sempre esistito il comma quarto, non è una scoperta di Cirielli – allora noi applicheremo il nuovo regime gravatorio soltanto se ad esempio non c’è l’omicidio colposo, il reato colposo o la contravvenzione. Deve perfettamente coincidere. Dopo di che applicheremo tutta la situazione gravatoria del nuovo regime anche alla recidiva, perché applichiamo, come è stato appena ricordato dal prof. Frigo, l’Art. 2 comma 3, quindi la situazione più favorevole anche nel regime della recidiva. Questa è una cosa sicura. 46 La contestazione è pacifica, sono assolutamente d’accordo, secondo me è sufficiente la contestazione classica. Io non me la farei tanto cauta con i recidivi, perché se continuiamo a difenderli, come state facendo, ad un certo punto difenderemo i mafiosi e poi i terroristi. La recidiva esiste - faccio una questione di merito -; se cominciamo a contestare la recidiva non possiamo parlar male della recidiva come tale se prima non esaminiamo il grande istituto che è la pericolosità sociale. Siccome la pericolosità sociale nessuno la vuole togliere - e anche il tentativo del collega Nordio con l’ultimo codice è partito che la voleva eliminare e poi ci sono ricapitati dentro - non possiamo escludere la recidiva tenendo la pericolosità sociale, la recidiva è una componente essenziale della pericolosità. Quindi è un discorso che va rimeditato tutto intero per arrivare al cosiddetto diritto penale del fatto. Oggi non c’è mai stato il diritto penale del fatto anche in prima, dal 1930 in su, quindi non vedo perché dovremmo averlo oggi, perché il signor Cirielli si è sognato di mettere questa recidiva in questo modo. Un altro punto sul quale siamo stati assolutamente d’accordo riguarda l’abbreviato e credo non ci sia bisogno di fare il passaggio che ha fatto adesso il prof. Frigo: l’abbreviato si applica quando certamente la Cirielli è più favorevole, perché la legge secondo me fissa la cesura al momento dell’apertura del dibattimento; se devo essere sincero questa legge mi sembra assurda da questo punto di vista, perché l’unico momento rilevante per fissare un diaframma tra prima e dopo sarebbe stato l’esercizio dell’azione penale e nient’altro, ma in ogni caso prendiamocela così com’è. Un punto invece che non ho capito, che speravo di capire, ma continuo a non capire, non è stato detto niente qui e noi Procuratori ci siamo azzannati per circa un’ora per cercare di capirci qualcosa e non ci siamo riusciti e il dubbio che ho ve lo rimbalzo, visto che il prof. Melchionda non mi ha risposto: c’è un misterioso comma che se qualcuno si alza e mi dice che è così gli sarò grato e gli offro anche la cena! Proprio in tema di prescrizione. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e pecuniaria si applica il termine di tre anni. Che significa questo comma misterioso? Allora, siccome l’unica possibile interpretazione è quella di Melchionda e riguarda i reati del Giudice di Pace, io per lo meno l’ho sostenuto, ma per esempio Calogero mi ha dato addosso, perché secondo lui è una cosa inapplicabile e c’è quello della Guida del Diritto che sostiene essere assolutamente inapplicabile, e c’è stato ricorso in Cassazione a Padova perché si dice che questo è inapplicabile. In realtà non è applicabile, almeno per come la vedo io - è una proposta, non sono affatto sicuro di ciò che dico -: in realtà se procedo davanti al Giudice di Pace ad esempio per lesioni, per diffamazione o altro, non posso applicare questo 47 termine di tre anni, perché la prescrizione è quella ordinaria, è la prescrizione di quel reato fino a quando? Questo è il punto in cui il dubbio nasce e diventa gigantesco: fino a quando il Giudice di Pace decide per ragioni sue che non applica la reclusione o la pena pecuniaria, ma decide di applicare la permanenza domiciliaria o il lavoro di pubblica.. AVV. ANTONIO FRANCHINI Sarebbe l’unico caso di prescrizione vincolato dalla consumazione del reato. DOTT. ENNIO FORTUNA Allora le alternative, il corno del dilemma è doppio: o applichiamo la prescrizione triennale che ci dà il nuovo Art. 157, decorrendo dal momento del commesso reato come apparentemente, solo apparentemente secondo me, perché questa pena nasce nel momento della condanna. AVV. ANTONIO FRANCHINI È una causa di estinzione del delitto, per cui è solo dal momento della consumazione. DOTT. ENNIO FORTUNA Che c’entra questo? Ma in tre anni possono essere passati, ne possono essere passati cinque di anni, non tre. Quindi bisogna chiederci se questi tre anni significa e da che momento significa. Lascio qui il dubbio, perché sono sicuro che non riusciamo a risolverlo. Vengo alla questione sua, che è certamente capitale, ed è la questione sulla quale ci siamo molto accapigliati: come interpretare il nuovo 576. Che significa che la sentenza è eseguibile se è stata applicata la recidiva ex Art. 99 comma quarto e per questo si nega la sospensione? Abbiamo centinaia di condannati in questa situazione. Cosa abbiamo fatto nella riunione? Non so se abbiamo detto giusto: sembrerebbe che la condanna fosse eseguibile, può non piacere la conclusione, ma secondo me è esatta, perché è una norma processuale e quindi tempus regit actum, è immediatamente applicabile. Ci possiamo trovare però ancora una volta con una recidiva ex Art. 99 comma quarto, applicata prima. Il problema è di condanne precedenti all’8 dicembre. Questo abbiamo detto, può darsi che abbiamo sbagliato, ma è una cosa molto importante: se le condanne precedenti all’8 dicembre coincidono nel regime con l’Art. 99, testo attuale, diciamo che applichiamo tutta la condanna così com’è e neghiamo la sospensione; se, viceversa, per caso, il regime del 99 comma quarto tiene conto 48 per esempio di delitti dolosi oppure di contravvenzioni, non l’applichiamo, perché torniamo un’altra volta all’Art. 2 comma 3, tutto qua. È molto confortante la riunione di questa sera, perché ho visto che al novantanove per cento le soluzioni coincidono. AVV. ELIO ZAFFALON E una volta sola? DOTT. ENNIO FORTUNA È lo stesso concetto di prima: si applica il regime coincidente. AVV. ANTONIO FRANCHINI Siamo d’accordo al novantotto per cento, però sulla contestazione della recidiva è un punto grave. Non è una crociata sulla recidiva, è che il principio della contestazione deve pervadere l’ordinamento in ogni contestazione anche delle circostanze e quindi non si vede perché per la recidiva basti dire: recidivo specifico nel quinquennio. Non voglio una risposta. DOTT. ENNIO FORTUNA C’è una risposta molto più importante. Parliamo tanto di recidiva e di contestazione della recidiva; nessuno sa e nessuno dice o ammette che non siamo in condizioni di applicare la recidiva come pretendete voi e come vorremmo che fosse, per una ragione semplicissima: abbiamo il casellario in ritardo. Le cose vanno dette, perché io non ho nessuna tenerezza per i recidivi, visto che me lo chiedete, nessuna proprio, e tutto sommato nella Cirielli l’aspetto recidive andrebbe anche bene, però giustamente qui si domanda: che ne facciamo di tutti questi condannati, dove li mettiamo? Il carcere è uno scandalo, sono il primo a dirlo, quindi questa legge impatterà contro una situazione assolutamente impossibile e anche per la recidiva, non so negli altri distretti, ma qui in qualche cosa siamo con circa tre anni di ritardo. Quindi le contestazioni della recidiva corrette come le volete credo che siano impossibili AVV. ANTONIO FRANCHINI Non posso credere che un garantista come te possa far cedere il passo sul principio della contestazione perché i casellari non funzionano. Cercheremo noi di fare del nostro meglio! C’è qualche domanda da parte di qualcuno o qualcuno che vuole intervenire? 49 AVV. MARINO DE FRANCESCHI Purtroppo una sola volta nei confronti del recidivo reiterato: solo in fase di concessione o anche in fase di eventuale estensione, 51 bis? Chiarisco la domanda. Semplicemente: voi sapete che se un detenuto è sottoposto a una misura alternativa e interviene un altro titolo il Magistrato di sorveglianza può estendere la misura ad altro titolo. Se costui è recidivo, nel momento in cui la norma parla di “concessione”, al recidivo reiterato non può essere concesso più di una volta, cosa succede? A me risulta che debba essere estesa anche in forza di una sentenza della Cassazione che riguardava l’estensione del 94 Legge Stupefacenti e posso dire che sembra che il Tribunale di Sorveglianza di Venezia sia orientato in questo senso. Volevo fare una domanda al dottor Fortuna, anche perché ci interessa molto qual è l’orientamento della Procura, perché ci dobbiamo confrontare con il 656: deduco che la recidiva non rileva come situazione in fatto, ma dev’essere contestata e applicata dal Giudice; devo dedurne anche che la recidiva deve riguardare il titolo in esecuzione? Non è che uno che è stato dichiarato recidivo con un’altra sentenza può vedersi preclusa la sospensione.. DOTT. ENNIO FORTUNA Il Dottor Calogero sostiene che la recidiva, anche se non fosse stata contestata o fosse contestata male, se c’è stato il giudicato, se per caso erroneamente il Giudice avesse detto che c’era la recidiva e non c’è, e poi la sentenza è passata in giudicato, purtroppo è pollice verso. Io francamente avrei qualche dubbio, perché viene fuori una questione di incostituzionalità, però.. AVV. ANTONIO FRANCHINI C’è qualcun altro che vuole intervenire, fare domande, porre quesiti?.. No. Allora io vi ringrazio per l’attenzione, ringrazio i nostri relatori per le bellissime relazioni e la nostra Commissione di studio per il lavoro svolto. Per tradizione al Camera Penale Veneziana dà un segno ai relatori per la loro partecipazione. 50