(1858-1917) a.a. 2010\2011 Prof. Vincenzo Romania A differenza di Marx, il suo pensiero è strettamente sociologico. Nasce infatti due generazioni dopo il pensatore tedesco; Gli ultimi studi della sua produzione hanno una importante rilevanza anche antropologica e di storia delle religione; Le sue opere scientificamente più importanti sono Il suicidio (1897) , Il metodo delle scienze sociali (1895), La divisione del lavoro sociale (1893), Le forme elementari della vita religiosa (1912). Studia cosa succede quando si passa da una società tradizionale ad una moderna, come funzionano i rituali religiosi, cosa sono i fatti sociali, come funziona l’integrazione e la coesione sociale. Le radici del suo pensiero sono nel positivismo e nell’evoluzionismo. A partire dallo studio di un sociologo tedesco, Schaffle, Durkheim elabora per la prima volta la metafora organicista della vita sociale. Essa costituisce un po’ il fulcro di tutta la sua opera: la società opera come un corpo umano, nel quale differenti istituzioni corrispondono a differenti organi, all’interno dei quali ogni individuo compie determinate attività che possono essere studiate come «funzioni» per l’organismo. Questo corpo sociale è qualcosa di diverso dalla somma dei diversi individui. Riprendendo la metafora proposta dallo stesso Schaffle Durkheim elabora così la teoria della conscience collective. Il motivo per cui anche i sociologi si occupano della società come fosse un corpo è allora sia di origine: Positivista: deriva dalla mania di classificare tutto, tipica della scienza dell’800, periodo nel quale si sviluppa la manualistica medica, zoologica, e di altri settori. Questo è un periodo che come spiega Foucault ha la mania di classificare. Evoluzionista: se infatti pensiamo all’uomo come all’esito ultimo dell’evoluzione, anche il corpo sociale può essere visto come la dimensione materiale di una specie che si evolve. Entrambe le tradizioni puntano a spiegare in maniera scientifica quella cosa così inafferrabile che è il comportamento umano e lo fanno per analogia con altre scienze. Gli ideali e i sentimenti che formano l’eredità culturale di una società sono «impersonali» ossia si sviluppano socialmente e non sono né prodotto né proprietà degli individui singoli. Un esempio portato dal pensatore tedesco è il linguaggio. Questa invenzione teorica serve a Schraff, così come a Schmoller e a Marx, per distaccarsi dal modello dell’individuo razionale descritto dall’economia politica. L’esistenza di una morale collettiva permette infatti di descrivere il comportamento umano come qualcosa non mosso esclusivamente dall’egoismo e dall’egoismo. Il concetto di morale in Durkheim è molto importante, come vedremo. Esso indica etimologicamente il comportamento che si adatta, o si approssima al costume, cioè al modello abitudinario e tradizionale di comportamento. Durkheim in effetti vive nell’epoca della restaurazione: «Non si può comprendere nulla delle regole morali che governano la proprietà, il contratto, il lavoro ecc., se non si conoscono le cause economiche che stanno alla base; e, viceversa, si avrebbe una nozione completamente sbagliata dello sviluppo economico, se si trascurassero le cause morali che lo hanno influenzato» (Le Science positive de la morale, 1887, p.41). Come aveva fatto Marx, Durkheim rifiuta l’idealismo tipico del pensiero metafisico e sottolinea l’importanza di una scienza che si occupi principalmente di indagare come vengono prodotti diversi ordini morali nelle diverse società nazionali. Per Durkheim, quindi, la sociologia deve occuparsi soprattutto di cultura e di religione. Come è evidente, quindi, i suoi interessi sono contrari a quelli di Marx. Ciò nasce dalla considerazione che: «si può essere sicuri che non ci sono mai stati uomini completamente privi di qualche ideale, per quanto modesto, giacché ciò corrisponde a un bisogno profondamente radicato nella nostra natura» (ibidem, p.120) Come Marx, anche il Durkheim di queste prime opere è ispirato da un comunitarismo che viene enunciato come opposto all’egoismo individualista delle scienze economiche. A tal riguardo, la morale religiosa serve, a suo avviso, «a frenare l’egoismo, rendere l’uomo incline al sacrifico e al disinteresse» (ibid., p. 119). Come è evidente, però, il ruolo ricoperto dalla religione è opposto a quanto creduto da Marx. Caratteri essenziali delle regoli morali sono l’obbligatorietà e la costrizioni: i fini religiosi per D. si impongono agli individui. L’importanza degli ideali e dell’unità morale per tenere stabile una società; Gli individui hanno un ruolo attivo nel credere in questi ideali; La concezione che una organizzazione di tante unità ha un carattere diverso dalla somma delle stesse. Un accenno, come in Marx ma poi sviluppato in maniera diversa, a quella che sarà la sua teoria dell’anomia. È un’opera che si occupa, come tante altre pubblicate nello stesso periodo, di spiegare il cambiamento sociale avvenuto dopo l’industrializzazione. Fra gli altri: Comte aveva spiegato questo cambiamento come transizione dalla religione, alla metafisica, alla scienza; Maine: come passaggio da relazioni basate sullo status a relazioni basate sui legami di contratto (lettura da McGrath). Tonnie: passaggio da comunità a società. Linton: passaggio da ascrizione ad acquisizione. (ess. al cinema, Barry Lindon di S.Kubrik (1975), Marie Antoniette (2006) di Sofia Coppola). La teoria sostenuta nella Divisione è molto vicina all’opera di Tonnies (1886), poiché individua nella specializzazione all’interno del mondo del lavoro la fonte principale del cambiamento sociale. A differenza dello storico tedesco, però, Durkheim non vede il passaggio alla nuova società come ispirato da utilitarismo e individualismo, ma trova una moralità emergente nella interdipendenza delle persone: la divisione del lavoro rende infatti le persone sempre più dipendenti dall’operato degli altri. Per spiegare il passaggio, Durkheim fa ricorso ancora una volta ad una metafora di tipo organicistico: le società tradizionali, afferma, erano caratterizzate da una solidarietà meccanica, ossia automatica, che derivava dalla semplice appartenenza ad una comunità e dal ruolo in essa ricoperto. Le società moderne sono invece caratterizzate da una forma di solidarietà organica: ogni individuo si muove, come un organo in un corpo sociale che sopravvive grazie all’operato ed alla funzionalità di ogni altro. Ognuno dipende quindi dall’operato degli altri. «La società presenta nei due casi una connotazione diversa. Nel primo caso (la solidarietà meccanica) ciò che è indicato da questo nome è un insieme più o meno organizzato di credenze e di sentimenti comuni a tutti i membri del gruppo: si tratta cioè del tipo collettivo. Invece la società alla quale siamo legati nel secondo caso è un sistema di funzioni differenziate e specifiche, unite da rapporti determinati» (DLS, p. 144). Nelle società caratterizzate da solidarietà meccanica, la conscience collective ricopre esattamente la coscienza individuale, nelle società moderne invece si verifica una differenza nelle credenze e nelle azioni che porta all’individualismo ed alla minore importanza della cosc.coll. La solidarietà organica è anche spiegata dal fatto che accanto a spinte alla realizzazione individuale – quali ad esempio quelle legate alla educazione differenziata per ogni scolaro – ci siano forti spinte alla coesione nella vita sociale degli individui: «In linea generale, la massima che ci comanda di specializzarci è dovunque in qualche modo negata dalla massima contraria, che ci comanda di realizzare tutti il medesimo ideale» (De la division du travail social, 1893, trad. it. p. 43). Poiché ogni individuo viene a ricoprire una posizione diversa nell’ordine sociale, con funzioni diverse, questo spiega secondo Durkheim perché l’egoismo non si trasformi in rottura della coesione sociale: «Gli uomini seguono la medesima legge. Nella stessa città, possono coesistere occupazioni diverse, senza che questo determini una lotta reciproca, poiché perseguono finalità diverse. Il soldato cerca la gloria militare, il sacerdote l’autorità morale, l’uomo di stato il potere, l’industriale la ricchezza, lo scienziato la fama scientifica» (p. 267). A differenza di Marx, Durkheim non spiega il susseguirsi delle epoche storiche come guidato da un criterio economico di sistemi di produzione, ma come spiegato da un aumento crescente della differenziazione del vivere sociale. Questa spiegazione affonda ancora una volta sia nell’evoluzionismo (si va progredendo verso forme di società più complesse); che nell’organicismo (lo sviluppo degli organismi superiori si può infatti spiegare come aumento della differenziazione molecolare). Essa ha tuttavia il vantaggio di poter essere applicata anche a campi non economici, quali il diritto, la scienza, l’arte. In tal senso, Durkheim è più moderno di Marx. Come per Marx e per Weber, Durkheim si affida ancora una volta al metodo storico-comparativo. In particolare, egli dice, l’evoluzione dei sistemi di solidarietà può essere colta dal modo in cui l’ordine sociale viene mantenuto e dallo sviluppo progressivo di un sistema di leggi che regola e reifica la conscience collective. Nelle tribù, il sistema religioso corrisponde del tutto al sistema normativo; la tribù rappresenta tutta la società e tutta la cultura di un popolo; la dipartita di uno dei membri non costituisce la causa di rottura del gruppo. Ogni volta che esiste una forma di vita sociale esistono regole morali che vengono codificate in leggi. I precetti giuridici in esse contenute contengono sempre una sanzione. Le sanzioni possono essere di due tipi, secondo D.: Espiative-repressive: sono tipiche del diritto penale e si concretizzano nella perdita della libertà, nell’infliggere punizioni, nella perdita dell’onore. Questo tipo di leggi non dice nulla sugli obblighi su cui è basato: si tratta infatti della giusta pena per chi commette un delitto. Un delitto viene definito come un atto che urta sentimenti «universalmente riconosciuti» dai membri della società Restitutive: comportano una riparazione, il ristabilimento di rapporti pre-esistenti all’atto. Chi è sanzionato non subisce discredito sociale. Queste norme sono tipiche del diritto civile. Negli stati moderni, spiega D., assistiamo alla formazione di ordinamenti sociali nei quali il diritto repressivo viene progressivamente sostituito dal diritto restitutivo. Questo avviene perché gli individui vivono in una società nella quale la specializzazione nel mondo del lavoro ha portato ad una maggiore rilevanza della proprietà privata e dei rapporti fra gli individui. Durkheim risponde indirettamente a questo quesito parlando di un rapporto dinamico fra densità morale (quanto spesso gli individui entrano in contatto e cooperazione fra loro) e sviluppo: «La divisione del lavoro varia in rapporto diretto al volume e alla densità della società, e se progredisce in modo continuo nel corso dello sviluppo sociale, ciò dipende dal fatto che le società diventano regolarmente più dense e generalmente più voluminose» (ibidem, p.262). Max Weber si porrà lo stesso problema in termini più ampi, cercando di comprendere perché la modernizzazione degli Stati è avvenuta prima in Occidente che in Oriente. Secondo Durkheim, la conscience collective diventa sempre più individualizzata e si basa, per l’appunto, sul «culto dell’individuo». Questo concetto verrà sviluppato più tardi da Goffman e può essere spiegato come culto dell’identità, qualcosa che trova un buon referente nella filosofia americana dell’achiveing society. Questa fede, di fatto erode le altre e crea minori possibilità di identificazione per l’individuo. Anche per Durkheim, come per Marx, il mutamento sociale è collegato alla divisione del lavoro, ma questa non rappresenta il fattore unico che produce il processo. Piuttosto, spiega il sociologo francese, il cambiamento avviene quando si crea un decalage o uno iato fra un mondo che cambia sempre più in fretta ed un ordine morale che resta invece indietro. In questa situazione si produce uno stato di anomia, ovvero gli individui hanno difficoltà a riconoscersi nelle norme sin lì vigenti. Lo stato di anomia – vedremo – è per D. la causa prima della devianza e della disgregazione della coesione Il suicidio è probabilmente la prima ricerca propriamente sociologica. In essa, in maniera controintuitiva, si cerca di individuare i fattori sociali che favoriscono e rendono meno frequente il verificarsi di una scelta apparentemente del tutto individuale, quale appunto il suicidio. Questa ricerca viene compiuta analizzando dati di seconda mano: le statistiche sui livelli di suicidio in diverse società ed in diverse epoche storiche. La domanda che guida D. è: quale legame esiste fra suicidio e forza/debolezza dei legami sociali e ordine morale? Perché variazioni numericamente consistenti sono indicative, secondo D., di un turbamento nell’ordine morale che riguarda tutta una società Perché, ciò permette il realizzarsi di una prospettiva sociologica: separare l’analisi dei tassi di suicidio dall’eziologia dei singoli casi. Come le altre opere sociologiche dei classici, anche Il suicidio si inserisce nel dibattito scientifico del periodo. Altri scienziati avevano infatti studiato la stessa materia, individuando le cause del suicidio in fattori di tipo biologico, geografico, sociale. Secondo D. bisogna concentrarsi solo su questi ultimi tipi Il Suicidio è uno dei primi studi propriamente sociologici anche perché nell’Introduzione D. sente il bisogno di dare una definizione operativa del proprio oggetto di studio. La definizione di suicidio data dal sociologo francese è: «Ogni caso di morte che risulti direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo, compiuto dalla vittima stessa consapevole di produrre questo risultato». Dai dati che D. ha in mano, risulta che in Europa esiste uno stretto rapporto fra tassi di suicidio e confessione religiosa: i paesi a maggioranza cattolica hanno ovunque un tasso di suicidio più basso dei paesi a maggioranza protestante. Nazione 1866-70 1871-75 1874-78 Fonte: Durkheim, Il Suicidio, Introduzione. Dati per 1milione di abitanti. Italia 30 35 38 Belgio 66 69 78 Inghilterra 67 66 69 Norvegia 76 73 71 Austria 78 94 130 Svezia 85 81 91 Baviera 90 91 100 Francia 135 150 160 Prussia 142 134 152 Danimarca 277 258 255 Sassonia 267 334 293 Dati OECD, 2005 suicidi per genere e nazione. Libro Primo: I fattori extrasociali (stati psicotici, razza e ereditarietà, fattori cosmici) è un libro nel quale D. prende le distanze e dimostra l’infondatezza delle teorie che si basano su questi fattori. Purtroppo, nell’opinione pubblica e nel senso comune sono spiegazioni tuttora ritenute valide. Libro secondo: Cause sociali e tipi sociali (classificazione dei tipi di suicidi, attraverso, quando possibile, la classificazione eziologica). Costruisce la sua teoria e la supporta attraverso i dati. Libro Terzo: Il suicidio come fenomeno sociale in generale. Passa da una analisi del suicidio ad un modello generale di integrazione sociale e propone soluzioni normative al problema. Egoistico: è dovuto a mancanza di integrazione (solidarietà); è tipico delle società protestanti; Altruistico: è dovuto ad un eccesso di integrazione; è tipicio delle società più arcaiche e degli ambiti dell’esercito (es. kamikaze, gruppi religiosi, in letteratura «Il sottotenente Gustl» di Arthur Schnitzler*); Anomico: Dovuto a mancanza di norme. È tanto più probabile quanto meno il soggetto vive in una situazione di alta integrazione sociale: A livello di gruppo: in particolare, la religione ha un effetto deterrente rispetto al suicidio (la fede cattolica e quella ebraica rispetto a quella protestantica); A livello individuale: è più frequente negli uomini celibi (il matrimonio è infatti un fattore deterrente del suicidio) e con relazioni sociali, in generale, più povere; Si verifica meno spesso nei periodi in cui si vive ad esempio una guerra e gli individui sono impegnati attivamente nel preservare le sorti del proprio gruppo. Il suicidio egoistico varia in misura inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali, nella sfera religiosa, domestica, politica. È dovuto secondo Durkheim ad una coscienza troppo rudimentale, che annulla i fini individuali in quelli collettivi (non è il caso dell’11 settembre). Individua tre sottotipi: Obbligatorio: quel tipo di suicidio richiesto coercitivamente ad alcune categorie di persone (ad es. le vedove). Facoltativo: l’individuo si spoglia volontariamente della propria autonomia per il bene collettivo. Acuto: legato a motivi di tipo mistico-religioso. È legato a epoche storiche o eventi, fenomeni sociali nel corso dei quali l’individuo non si identifica più nelle norme vigenti. È tipico dei periodi di crisi economica (imprenditori del Nord Est, lavoratori che perdono la propria occupazione), di boom economico, di mutamento istituzionale (caso esteuropeo). A livello individuale, è tipico di alcune professioni e di alcune condizioni legate alla perdita dei legami familiari: vedovanza, divorzio. Il divorzio viene anche considerato da Durkheim come un fattore in sé di sregolatezza. Nel Libro terzo, Durkheim mette in relazione il suicidio con il tipo di società nella quale si vive: Suicidio altruistico: tipico della solidarietà meccanica, di gruppi ad alta integrazione sociale, e forte energia/passione; Suicidio egoistico: tipico di società individualistiche, nelle quali si verifica una bassa integrazione sociale ed una situazione di apatia nei rapporti interpersonali; Suicidio anomico: tipico di situazioni di bassa regolamentazione sociale, in periodi di sviluppo ed innovazione. Da Il Suicidio (1897) e da Le regole del metodo sociologico (1895), Durkheim arriva a teorizzare che i dati di cui si deve occupare la sociologia sono i cosiddetti fatti sociali. Durkheim li definisce così «È un fatto sociale ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull’individuo una costrizione esterna – oppure un modo di fare che è generale nell’estensione di una società data, pur avendo esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali». Per esternalità Durkheim intende che un fatto sociale Precede gli individui, poiché ha a che fare con le relazioni e la cultura di un gruppo nel quale egli entra nascendo, ma che ovviamente gli/le pre-esiste; 2. Si instaura all’interno di un insieme di relazioni di cui l’individuo fa parte, ma su cui egli stesso non ha potere: «Il sistema di segni di cui mi servo per esprimere il mio pensiero, il sistema monetario che impiego per pagare i miei debiti, gli strumenti di credito che utilizzo nelel mie relazioni commerciali, le pratiche seguite nella mia professione ecc. funzionano indipendentemente dal fatto che li usi io» 1. Qual è il difetto secondo voi di questa teorizzazione? I fatti sociali sono condivisi da un insieme di persone che li supportano come doveri morali. Per quanto un individuo possa rifiutarsi di seguirli, anche quando li trasgredisce, secondo D., non farà altro che riconfermarne il carattere coercitivo: «Anche quando io mi libero di queste regole, e le violo completamente, sono sempre costretto a lottare ocn esse. Persino quando sono definitivamente vinte esse fanno sentire ugualmente il loro potere coercitivo attraverso la resistenza che oppongo» (Le regole del metodo sociologico, trad. it., p. 26). Infine, i fatti sociali devono secondo Durkheim essere trattati come «cose». Qui egli vuole intendere che a suo modo di vedere la sociologia deve rifuggire qualsiasi tipo di soggettivismo. Chiaramente, se la prende con la psicologia e con la possibile sintesi fra sociologia e psicologia (la psicologia sociale nascerà proprio in quegli anni in Usa). Durkheim può essere quindi considerato un positivista, con il metodo dell’oggettività: «La più importante caratteristica di una «cosa» è che non può essere modificata dallo sforzo della sola volontà. Questo non significa che la cosa sia refrattaria a ogni cambiamento, ma che il semplice atto della volontà non è sufficiente a produrre un cambiamento in essa» (ibid., p.45) A differenza di Marx, Durkheim non pensa alla religione come ad una sovrastruttura con funzionalità solo «ideologiche», ma la considera come un mezzo di integrazione sociale: chi crede in una divinità celebra in essa l’appartenenza alla sua comunità. Approfondiremo meglio questo tema, quando parleremo di sociologia della religione.. Ci occuperemo ancora di Durkheim anche quando parleremo di città, a proposito della morfologia sociale. Sceglie come proprio ambito di studio, i fenomeni macrosociali, è stata successivamente applicata ai rituali della vita quotidiana. Ha come preoccupazione principale l’ordine morale e i fattori che lo influenzano. Come Marx, ha un approccio che dà una importanza primaria alle strutture e non dà nessuna possibilità di agency agli individui: i fatti sociali sono esterni e si impongono all’individuo. A differenza di Marx, tuttavia, riconosce una indipendenza della sfera simbolica rispetto a quella economica. Ha ecceduto nell’anti-soggettivismo Non ha riflettuto sui processi attraverso cui un fatto individuale, diventa condiviso prima da un gruppo e poi da una comunità. Ha presupposto una visione della scienza troppo rigida e positivista. Erving Goffman (1922-1982) Talcott Parsons (1902-1979) Robert K. Merton (1910-2003)