Dott.ssa Michela Pensavalli Psicologa e Psicoterapeuta Docente invitato presso l’Ateneo Regina Apostolorum Shaker et al. (2002), hanno riscontrato che, in base all’esperienza di attaccamento maturata nell’infanzia, si sviluppa anche il modo di vivere le relazioni amorose in età adulta. I soggetti sicuri descrivono l’amore come esperienza felice, improntata sulla fiducia e sull’amicizia e sulle capacità di accettare tutti gli aspetti caratteriali del partner. I soggetti ansiosi/ambivalenti vivono l’amore come ossessione avvolgente, desiderio di reciprocità e di unione, manifestano alti e bassi emotivi, fortissima attrazione sessuale e gelosia. I soggetti evitanti sono caratterizzati da alti e bassi emotivi, dalla paura dell’intimità e da una forte gelosia. Stanton Peele, autore di vari libri sull’argomento, in Love and Addiction (1975) afferma: “ Un’esperienza di droga assorbe la coscienza di una persona e, come un analgesico, allevia le sue ansie e le sue sofferenze. Forse non c’è nient’altro che possa attutire altrettanto bene la nostra consapevolezza quando una relazione sentimentale di un certo tipo. Un rapporto di dedizione totale è caratterizzato dal desiderio della presenza rassicurante di un’altra persona…Il secondo criterio per riconoscerla è il fatto che diminuisce la capacità di rendersi conto di altri problemi che ci affliggono”. Le donne dipendenti usano la loro ossessione verso gli uomini che amano per dimenticare il loro dolore, il senso di vuoto, di paura e di rabbia. Si servono delle loro relazioni sentimentali come una droga, per non provare quello che sentirebbero se pensassero solo a se stesse. Quanto più il rapporto con l’uomo le fa soffrire, tanto più le stordisce. La Tennov (1979) parla di “vischiosità”, per indicare un “disturbo emozionale che spesso porta l’individuo, soprattutto le donne, a perseguire in maniera disperata oggetti d’amore inadeguati, ad impegnarsi in rapporti destinati al fallimento e ad essere incapace di trarre insegnamenti da queste esperienze, di modo che passione e disperazione vengono alimentate dai ripetuti insuccessi amorosi”. In genere questo tipo d’amore viene vissuto come qualcosa di doloroso e di transitorio, di cui però non si riesce a fare a meno, contro ogni ragionevolezza. Si creano così dei non rapporti che però causano un dolore profondo, reale e tangibile. Lo sviluppo delle capacità di creare un’intimità matura dovrebbe, a rigore, includere un sano sviluppo: dei meccanismi auto-protettivi e delle capacità di giudicare oggetti d’amore appropriati; della capacità di apprendere dall’esperienza e di sottrarsi a modelli ripetitivi e autodistruttivi; della capacità di cogliere le occasioni della vita e le possibilità di rapporti intimi oltre a quelle offerte da un attaccamento emotivo principale; dalla capacità di riconoscere i propri obblighi tanto nei confronti della persona amata quanto nei confronti degli altri, in modo che lo stato di innamoramento non sia una scusa generalizzata per essere sgarbati, preoccupati solo di se stessi e astiosi e negativi verso il presunto oggetto del nostro amore. Delle varie teorie sulla dipendenza affettiva particolare attenzione merita quella di Giddens, il quale ha individuato alcune caratteristiche specifiche di questa dipendenza, vale a dire: l’ebbrezza : il soggetto affettivamente dipendente prova una sensazione di ebbrezza dalla relazione dei partner, che gli è indispensabile per stare bene; la dose: il soggetto affettivamente cerca “dosi” sempre maggiori di presenza e di tempo da spendere insieme al partner, la sua mancanza lo getta in uno stato di prostrazione. Il soggetto esiste solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, ha bisogno di manifestazioni continue e tangibili. L’aumento di tale “dose” non di rado esclude la coppia dal resto del mondo. L’altro è visto come un’evasione, come l’unica fonte di gratificazione, tanto che si arriva anche a trascurare le normali attività quotidiane. la perdita dell’Io: nella dipendenza affettiva esiste un alto rischio di perdita del Sé, della propria capacità critica e quindi, anche della critica dell’altro, vissuto come irrinunciabile nutrimento. Il senso di perdita di identità è seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti infatti, si percepisce qualcosa di distorto nella relazione con l’altro, che la dipendenza è nociva e che se ne vorrebbe fare a meno, ma la constatazione di essere intrappolati in un modello dipendente fa sentire indegni e quindi spinge ancora di più verso l’abbraccio dell’altro. La dipendenza è percepita come un’esperienza speciale e lo è nel senso che niente altro è altrettanto soddisfacente. Secondo Giddens, “la dipendenza affettiva è una reazione difensiva ed una fuga, un riconoscimento di mancanza di autonomia”. DIPENDENZA AFFETTIVA O CO-DIPENDENZA Nel tentativo di delimitare le caratteristiche psicopatologiche della codipendenza e di tracciarne un profilo diagnostico clinicamente percorribile, Cermak (1986) ha proposto alcuni criteri diagnostici per il Disturbo Co-dipendente di Personalità: continuo investimento dell’autostima nella capacità di controllare sé e gli altri nonostante l’evenienza di serie conseguenze negative; assunzione di responsabilità per venire incontro ai bisogni degli altri fino ad escludere il riconoscimento dei propri; ansia e distorsioni del confine di sé in situazioni di intimità e di separazione; coinvolgimento in relazioni con soggetti affetti da disturbi di personalità, dipendenza da sostane, altra co-dipendenza o disturbi del controllo degli impulsi. Definiti questi come criteri maggiori, l’autore ne aggiunge altri in funzione di criteri minori, che come tali implicano una loro presenza “ a scelta”, cioè secondo il principio della loro equivalenza in ordine al raggiungimento di una soglia diagnostica: tre o più dei seguenti: 1. eccessivo ricorso alla negazione; 2. costrizione delle emozioni; 3. depressione; 4. ipervigilanza; 5. compulsione; 6. ansia; 7. abuso di sostanze; 8. condizione attuale o pregressa di ricorrenti abusi fisici o sessuali subiti; 9. malattie da stress; 10. permanenza in una relazione primaria con un soggetto abusatore di sostanze per almeno 2 anni senza richiedere un aiuto esterno. La dipendenza E’ agli antipodi dell’autonomia. Come testimonia Craig Nakken nel libro “The addictive Personality” la dipendenza è un legame patologico d’amore e di fiducia che l’individuo instaura con una certa sostanza o una certa attività. Vuol dire essere vulnerabili e cercare al di fuori ciò che non si trova dentro sé stessi. Ogni manifestazione di dipendenza deriva da un solo e unico processo: la futile e incontrollata ricerca della felicità, di una realizzazione di sé, di una pace interiore attraverso un rapporto con un oggetto o un evento. Che cos’è la dipendenza affettiva? L’oggetto della dipendenza è una relazione. Si definisce “malattia delle emozioni”. Secondo il dizionario francese Le Grand Larousse, la dipendenza affettiva “designa un bisogno generale ed eccessivo di essere accuditi, bisogno che porta a un comportamento sottomesso e a un’angoscia di separazione”. La dipendenza affettiva è l’antitesi dell’amore verso di sé. Il dipendente affettivo non ha imparato a sviluppare né l’amor proprio né l’autostima. Vuole essere amato a ogni costo. Il dipendente affettivo è convinto di non meritare di essere amato, vive costantemente nella paura di non piacere, accetta di fare qualunque cosa per l’altro e questo anche se la richiesta va contro i suoi valori e il suo codice morale. Soffre di complesso di inferiorità e di paura del vuoto. La vera invasione non proviene dall’esterno ma bensì da dentro di noi. La sofferenza e la soluzione si trovano dentro di sé, in un universo poco frequentato dal dipendente affettivo, il quale si conosce poco e si interessa poco a se stesso. L’individuo pone la responsabilità della propria vita nelle mani di terzi e questo lo rende dipendente. Il percorso di guarigione Recovery: è un processo che conduce la persona a liberarsi dalla morsa della propria dipendenza e a ritrovare un certo equilibrio personale. E’ tutto tranne che una guarigione spontanea. Si tratta di un lungo cammino nel corso del quale la persona riprende il potere sulla propria vita, fatto che la porta a cambiare percezioni errate e a modificare comportamenti autodistruttivi allo scopo di sviluppare atteggiamenti che le saranno di beneficio. Chi è il dipendente affettivo? - Ha sete d’amore: è come un secchio bucato: neanche l’amore di tutta la terra riuscirebbe a soddisfarlo. - E’ sotto la tutela di qualcun altro: lascia nelle mani del primo venuto tutta la responsabilità della sua vita - E’ un fedele discepolo - E’ l’impiegato modello, pronto a tutto per essere apprezzato. - Si aggrappa: non vuole che lo si lasci o che lo si abbandoni - Vive per procura: è attratto da ciò che gli piacerebbe essere. Non ha progetti che gli stanno veramente a cuore, non ha sogni, non ha ambizioni. Vive solo attraverso gli altri. - Ignora chi è: gli piace dire a chi assomiglia. - E’ appassionato: facilmente preda di grandi slanci di passione, il dipendente affettivo ha l’impressione di esistere quando fluttua sopra le nuvole. - Aspetta. - E’ sottomesso: è un essere sottomesso all’estremo. - Non si ama: ha una visione negativa di se stesso. In che modo si diventa dipendenti? Ci si sente colpevoli e si sono vissute esperienze di rifiuto. Si diventa dipendenti per imitazione, perché non ci amiamo, perché non ci consideriamo o perché siamo passivi. Non abbiamo imparato a responsabilizzarci, oppure sappiamo fare solo quello. Magari siamo stati abituati a un’overdose di attenzioni e soffriamo per l’indifferenza. Testimonianze di dipendenza affettiva Il dipendente affettivo ama per due. E’ capace di portare avanti rapporti non gratificanti anche quando l’amore non è più presente, per senso di colpa e per mancanza d’amore verso di sé. “Avevo poco controllo sulla mia vita, mi comportavo da vittima”. “Essendo convinto di non avere niente di interessante da offrire, passavo il tempo a occuparmi degli altri, a far loro favori”. “Avevo molte difficoltà a porre fine a un rapporto” “Non mi concedevo il diritto di chiudere una relazione che mi rendeva infelice, accumulavo unioni senza vero amore”. “Ventiquattr’ore dopo una rottura ero felice, fino a che non subentrava il senso d’insicurezza, che mi faceva riprecipitare in un’interminabile relazione con il primo venuto”. “Qualcosa in me mi faceva credere di non meritare di essere amata”. “Avevo i miei trucchi. Quando si trattava di conoscere qualcuno, mi imponevo criteri sempre più severi, badando bene di non uscire mai e di non permettere mai a qualcuno di entrare in contatto con me”. “Sono stata rifiutata da persone dalle quali mi aspettavo molto, senza capirne davvero il motivo”. “Era un po’ come riprodurre e ritrovare quel clima destabilizzante e doloroso cui ero tanto abituata. Non sapevo come attirare l’amore, sapevo solo continuare a star male”. Il dipendente affettivo e l’amore L’altro acquista un valore inestimabile, che però non è sempre reciproco. Per il partner, le sfide cessano ben presto di esistere, la noia si manifesta rapidamente. Il dipendente affettivo è spettatore della vita altrui e diventa l’ombra dell’altro. Il dipendente affettivo è… - Ossessionato dall’altro. - Ansioso: è sopraffatto dall’ansia della separazione. - Stabile: porta avanti lunghe relazioni, vive lunghe pene d’amore. Tutta la sua vita si trascina in lunghezza. Adotta un atteggiamento disfunzionale nei confronti del cambiamento - Bisognoso di attenzioni: per attirare l’attenzione è pronto a tutto. - Geloso: è possessivo e controllante, tenta di padroneggiare al meglio questa gelosia, profondamente radicata in lui. - Influenzabile: pratica l’imitazione, adottando gli atteggiamenti e i comportamenti del partner, il suo vocabolario o le sue manie. - Pura facciata: ha paura di essere smascherato, perché l’idea della dipendenza lo fa vergognare, lo rende vulnerabile e privo d’interesse ai suoi stessi occhi. - Devoto: calpesta facilmente il suo orgoglio. E’ quello che viene chiamato, a sua insaputa, “pappamolle”. - Invisibile: non occupa troppo spazio e segue il suo padrone, ossia l’essere che considera superiore a lui. - Colpevole: si accusa di tutto. La sua paura della solitudine può condurlo a moltiplicare le conquiste e le promesse. - Noioso: si annoia molto e si vede molto noioso. - Bugiardo per cortesia: nasconde le sue vere opinioni e volontà. Non vuole scontentare l’altro né rischiare di allontanarlo. - Troppo gentile: è un attore che cambia parte per rafforzare il legame di dipendenza. Rischia di diventa manipolatore e arriva a colpevolizzare la persona amata per rafforzare artificialmente il legame che li unisce. L’amore complica tutto E’ onorato di servire, troppo felice di sacrificarsi. Fa le pulizie in casa del partner prima ancora di farle a casa sua. Non è in contatto con le sue emozioni. Le vive come procura. Fa l’amore con l’altro applicandosi e preoccupandosi più dei bisogni del partner che dei suoi. E’ un amante attento, pronto a soddisfare il più piccolo bisogno dell’altro. Odia mettersi in discussione, essere criticato o giudicato. La sua dedizione ai suoi occhi merita soltanto complimenti sinceri. Più sforzi compie per colmare l’altro di piccole attenzioni, più l’energia che mette in moto annega nell’indifferenza. Va pazzo per la comunicazione, soprattutto se esclusivamente orientata verso il partner. La paura di perdere l’altro lo imbavaglia. La sensazione di non valere granché lo rende muto. L’inconsapevolezza di se stesso lo fa poco loquace. E’ di una dolcezza impressionante verso la donna bisbetica, la matrigna e il padrone controllante, ma si disinteressa rapidamente di chi è troppo gentile con lui. Sogna attraverso l’altro. Non lo molla mai un istante e s’insinua in tutti gli aspetti della sua vita. Diventa l’altro senza mai superarlo. La dolcezza è il metodo che preferisce per ammansire l’altro. Manipola il partner, mette in pratica il ricatto affettivo e abusa del vittimismo. E’ in grado di mobilitare l’altro in maniera totale, sottraendogli tempo ed energia. Se dopo tutti questi sforzi ancora non ottiene quello che vuole, la situazione rischia di degenerare. Non è innamorato di qualcuno, bensì di un’immagine, di una percezione, di un’illusione della perfezione. Si avvolge in un bozzolo con l’essere tanto amato: due solitudini che simpatizzano. Il suo bisogno d’amore è infinito. Niente gli dà veramente sicurezza, niente è davvero duraturo. S’innamora per il motivo sbagliato. Non per stare meglio con qualcun altro, ma bensì per sentirsi meno peggio con se stesso. Può dimostrarsi molto orgoglioso, nonostante i comportamenti contraddittori. Si preoccupa di proteggere a ogni costo il suo rapporto di coppia. In periodi di disassuefazione forzata, la sua dipendenza tende prontamente a spostarsi su un altro oggetto: alcol, sesso, droga o gioco d’azzardo, cosa che peggiora solamente e lo allontana da se stesso. E’ un conciliatore, un mediatore, vorrebbe che tutti lo amassero, al posto suo. Ha una personalità incompiuta. La dipendenza affettiva è anche una forma di pigrizia dell’anima; la persona aspetta che le si dica cosa fare, che le si faccia provare emozioni, che la si faccia vibrare e sentire viva. In fondo al cuore, il dipendente affettivo è quasi indignato: sente che abusano di lui. Non capisce che si sottomette da sé. Tutte queste rinunce lo portano a vivere molta repressione. Evita il problema, banalizza le emozioni, le nasconde nel suo intimo. Dalla gelosia alla dipendenza Dipendenza affettiva e gelosia si nutrono della paura dell’abbandono, di una mancanza di autostima e fiducia di sé. La gelosia e la dipendenza non sono necessariamente dipendenti l’una dall’altra. Dalla gelosia all’autonomia La persona che soffre di dipendenza affettiva vive nella costante paura di essere abbandonata. Si ritrova in una relazione d’amore, sta bene solo quando si convince di essere sotto la responsabilità della persona amata. Si dedica anima e corpo alla relazione e dimentica se stessa. Vive le emozioni come sulle montagne russe: ogni piccolo segno di allontanamento da parte dell’essere amato la fa sprofondare nella paura di venire abbandonata. Essendo dominata dalle emozioni, in lei c’è posto per le sfumature e la realizzazione. La persona dipendente tenta di camuffare con destrezza la gelosia, per evitare di allontanare l’essere amato. Nasconde la paura, i dubbi e le inquietudini, gioca a fare l’indipendente, ma dentro gli ribolle l’insicurezza. A volte la gelosia esplode: le crisi, i pianti, la manipolazione, gli interrogatori, i pedinamenti e le supposizioni lasciano il posto alla vergogna. Per calmare l’angoscia della dipendenza e della gelosia, il dipendente seguiterà a cercare al di fuori quello che non trova dentro di sé. Sceglierà altre dipendenze, tenterà di placare la collera con piccole vendette, come l’infedeltà preventiva o il broncio. Queste soluzioni non fanno altro che guastare ulteriormente le cose, avvelenando la vita dell’essere amato, il quale diverrà sempre meno amabile e rischierà di allontanarsi. La gelosia, raddoppiata dalla paura di perdere l’altro, triplicata da una scarsa autostima, è una continua tortura interiore. E’ facile credere di essere amanti usa e getta. Infrangere il silenzio E’ rischioso e difficile, per il dipendente affettivo, esprimersi con trasparenza. Per togliere spazio alla gelosia e darne all’amore, è più utile esprimere le nostre emozioni, piuttosto che i nostri traballanti resoconti d’indagine. L’essere amato non può far altro che apprezzare un rapporto basato su una comunicazione sincera invece che sull’imprevedibilità, sul ricatto affettivo, sulle minacce di rottura in ogni senso e sulle accuse infondate. La comunicazione offre un accesso più sincero all’altro e apre la porta a rapporti più sani e più armoniosi. Tollerare l’intollerabile infedeltà “Lei soffriva di un incontrollabile desiderio sessuale che io non ero in grado di soddisfare. Mi telefonava dalla casa di uno dei suoi amanti per chiedermi scusa e dirmi che sarebbe rientrata il giorno dopo. Accanto a lei sentivo di esistere. In fondo al cuore, ho una bruttissima immagine di me, non ho fiducia, mi critico continuamente e non riesco mai a far luce sulle emozioni che vivo realmente”. Incredibile tolleranza dell’intollerabile. Ignoranza del proprio valore e una inclinazione a sminuirsi. Soglia di tolleranza incredibilmente elevata. Dalla dipendenza alla violenza Dare tutto, troppo in fretta “Avevo la missione di aiutarlo ad affermarsi di più, a occupare il posto che gli spettava. Aveva la tendenza a sminuirsi e mi ripeteva in continuazione che non avrebbe mai creduto di poter interessare a una ragazza come me. Io subito gli ho elencato le mie debolezze per rassicurarlo”. Dimenticare se stessi “Sono arrivata a dedicargli tutto il mio tempo libero. Un po’ mi faceva pena: un ragazzo così bello e con così tanto talento che ignorava completamente se stesso!”. Invischiarsi nel pantano “Lui colmava un immenso vuoto nella mia vita. Mi sentivo importante ai suoi occhi. Nel giro di qualche settimana, le mie piccole attenzioni sono sprofondate nell’indifferenza”. Uno cresce, l’altro scompare “Più i giorni passavano, più lo vedevo acquisire sicurezza. Gli lasciavo sempre più spazio, lo ascoltavo per ore, lo aspettavo tutte le sere. Facevo a gara di creatività per trovare nuovi modi di compiacerlo, di far nascere in lui un raggiante sorriso, per sentirlo dire: “Grazie amore mio!”. Dalla fusione alla frizione “Il nostro rapporto era diventato simbiotico. Non avevamo quasi più bisogno di parlarci, io anticipavo le sue richieste, moltiplicavo le iniziative che potevano semplificargli la vita”. Schiavitù forzata “La sua riconoscenza si era trasformata in impazienza e in pretese maggiori. Poi ho finito per averne abbastanza dei suoi rimproveri e dei suoi attacchi, che da principio erano diretti verso quello che facevo. Ero cambiata per lui. Lui è diventato altezzoso, arrogante e beffardo, mentre io invisibile e timorosa. In pochissimo tempo lui era diventato dominante e io dominata, intrappolata in una spirale senza fine, quella della violenza”. Il dipendente affettivo e l’amicizia Nell’amicizia si dà vita a relazioni asimmetriche e talvolta simbiotiche. Anche in questo caso il dipendente affettivo dimentica se stesso e impiega tutte le sue energie a soddisfare i bisogni degli amici, a tentare di renderseli fedeli. Tutto ciò per meritare di essere amato, perché non se ne crede degno. Si affretta a pagare il conto, offre le consumazioni, compra l’amicizia degli altri. Quest’amicizia simbiotica può arrivare a generare un embrione di gelosia. In amicizia come nella vita, il dipendente affettivo si impegna molto di più a compiacere gli altri che a soddisfare i propri bisogni. L’amicizia a senso unico spesso alla fine genera la forte impressione di essere stati sfruttati, di aver dato a oltranza a persone da cui si è ricevuto solo indifferenza allorché ci si aspettava qualcosa in cambio dei nostri buoni favori. “Dico “si” in continuazione. Talvolta cerco di esprimere loro quello che mi fanno ma inutilmente”. Con la sua grande bontà e dedizione, lei si crea delle aspettative: vorrebbe che l’altro colmasse il vuoto interiore che la pervade. Si crogiola nel ruolo di vittima, invece di riprendere le redini della sua vita, invece di dedicare a se stessa tutte le belle attenzioni che semina qua e là. L’amicizia è una grande scuola per sperimentare. A contatto con persone che la sera tornano ognuna a casa propria, è possibile fare esperienza, a piccole dosi, di affermazione ed esternazione, senza rischiare tutto e presumendo che comunque un minimo d’amicizia dovrebbe restare. Genitori che amano troppo Il dipendente affettivo ha una naturale inclinazione a ritenersi responsabile delle persone per lui importanti. Che differenza c’è tra un genitore che si dedica completamente ai figli e uno che ama troppo? Ancora una volta è la sofferenza data dalla smisurata paura dell’abbandono, dal vuoto insopportabile dell’assenza o dell’allontanamento del figlio, assieme a tutto l’arsenale di conseguenze devastanti che ne consegue. Il genitore che soffre di dipendenza affettiva può sentirsi, davanti al figlio divenuto adulto, completamente perduto o disorientato in sua assenza, invece di vivere semplicemente un disagio. Può essere geloso degli amici del figlio, imporre la sua volontà nelle uscite, privarsi di parecchie attività in attesa di una telefonata. Certi genitori si sentono colpevoli di provare piacere, di pensare a se stessi; sono continuamente focalizzati sui figli e anche quando questi ultimi sono diventati autonomi, i genitori rimangono dipendenti. Viene da pensare che abbiano annullato ogni altra fonte di valorizzazione nella vita, che siano incapaci di trovare una definizione al di fuori dell’esclusiva dedizione ai figli. Figli che non se ne vogliono più andare Bamboccioni o dipendenti? Ci sono anche figli che non vogliono più andarsene. La persona vuole ad ogni costo essere sotto la responsabilità di qualcuno, ma brontola se viene definita irresponsabile o immatura. Questo eterno bambino (Peter Pan dei tempi moderni) nella vita vera è spesso un fardello per dei genitori che sognano una pensione tranquilla. Si nasconde un essere profondamente ansioso, che si considera meno di niente e che procrastina allorché giunge il momento di realizzarsi sul piano personale. L’altra faccia della medaglia è quella di figli provenienti da ambienti disfunzionali, annientati interiormente dalla violenza familiare, talmente indeboliti dalla vita da non riuscire più a tagliare i ponti con genitori che li avvelenano. Sono ostaggio di genitori psicotici. Questi figli, anche da adulti, si sentono sempre colpevoli, perché sono stati programmati ad amare incondizionatamente i genitori. E’ il circolo vizioso della violenza familiare, da cui provengono molti di questi adulti dipendenti ingiustamente feriti, con il cuore a pezzi. Il dipendente affettivo al lavoro La dipendenza affettiva può manifestarsi anche al lavoro. Chi ne soffre talvolta viene accolto molto bene: è superefficiente, è un impiegato modello, un ergomaniaco. Quello che conta per lui è la sua inconfessabile ricerca d’amore. Cerca attraverso il successo professionale di provare il suo valore personale. Le congratulazioni di traducono in gesti di apprezzamento. Sul lavoro, il dipendente crede di aver trovato una soluzione all’abbandono: la perfezione. Quando il dipendente affettivo è adulto, il lavoro diventa la sua unica fonte di valorizzazione, così come gli studi lo sono forse stati quando era piccolo. “Non ero solo dipendente dal mio lavoro, lo ero anche dall’approvazione dei miei superiori. Non dicevo mai di no”. “Per conservare il mio accogliente nido di apprezzata professionista, dovevo essere perfetta, non fare errori”. “Dovevo piacere a tutti, ma il mio zelo mi attirava invece beffe e invidie”. “Ero costantemente ansiosa; temevo i tradimenti e i passi falsi”. “Quantunque fossi superefficiente, covavo un’incredibile paura di perdere il lavoro. Ero continuamente insoddisfatta. In fondo al cuore, non ero felice, ero distrutta, aiutavo chiunque lo volesse a spremermi come un limone e ne chiedevo ancora”. Conseguire la perfezione per ottenere l’approvazione altrui La dipendenza in ambito lavorativo si manifesta molto spesso sotto forma di comportamenti ossessivocompulsivi. Il dipendente affettivo ha sete di riconoscimento, dipende dallo sguardo e dall’approvazione degli altri, soprattutto dei superiori. Il lavoro diventa la sua ebbrezza e la sua droga. Di fatto, è a se stesso che cerca di provare il suo valore, servendosi degli altri come di uno specchio. Non si sente mai all’altezza. Non fa mai abbastanza. Il suo bisogno di riconoscimento è insaziabile, perché l’unica stima veramente durevole è quella personale e non quella limitata dei colleghi e dei superiori. Quella terribile paura di essere gettato come uno straccio, rifiutato o abbandonato, rafforza la sua dipendenza al lavoro. Così facendo, sviluppa un arsenale di comportamenti ancora più compulsivi e ossessivi per fuggire da questo rischio e dall’angoscia emotiva associata. Non è assolutamente in contatto con se stesso e non avverte il senso d’ingiustizia, la vergogna, la spossatezza, il vuoto interiore, l’angoscia e la rabbia che covano in lui, fino a che tutto implode. Che cosa fa crollare il dipendente affettivo? Si ritrova a faccia a faccia con la sua più grande paura: il vuoto che lo pervade. Dall’ergomania all’autonomia Alle prese con la dipendenza affettiva, si sentono continuamente come se non fossero al sicuro. Hanno paura di essere traditi e messi alla porta. Per loro, ogni piccolo errore è un errore di troppo. Dobbiamo accettare di non essere perfetti. Quando la dipendenza affettiva attacca la nostra vita lavorativa, ripiombiamo nei soliti binati e veniamo dominati dalla paura di non piacere, dall’idea di non avere alcun valore, dal timore del rifiuto e dell’abbandono, dall’incapacità di porre dei limiti e ancora una volta riaffiorano in superficie i nostri comportamenti eccessivi e compulsivi. Siamo spinti a cercare fuori di noi quello che non troviamo dentro, ossia la valorizzazione, l’autostima, la fiducia in sé e un senso artificiale di benessere che rimane temporaneo. Occorre in un primo tempo prendere coscienza che il n ostro modo di funzionare sul lavoro non è dovuto al nostro genio, bensì purtroppo alla nostra insaziabile mancanza d’amore e di autostima. I nostri atteggiamenti perfezionisti e tutti gli altri camuffamenti del nostro sovraumano bisogno di essere considerati dagli altri come persone di valore e importanti sono semplicemente ulteriori manifestazioni della nostra dipendenza affettiva. QUINDICI CHIAVI PER SCONFIGGERE LA DIPENDENZA AFFETTIVA: 1) Smettere di agire in funzione delle aspettative altrui, reali o percepite, e vivere in armonia con ciò che si è veramente. 2) Accettare di far piacere a se stessi, di coccolarsi. 3) Riconoscere che il proprio valore è pari a quello degli altri. 4) Accettare che le perdite fanno parte della vita. 5) Sviluppare una visione più positiva di sé. 6) Mirare al benessere piuttosto che alla perfezione. 7) Sviluppare l’autostima. 8) Prendersi il tempo di assaporare i piccoli successi. 9) Diventare più clementi verso se stessi. 10) Togliersi le maschere e mostrare il proprio vero volto. 11) Imparare ad apprezzarsi, a riconoscere la propria bellezza. 12) Concentrarsi sui propri successi, sui colpi messi a segno. 13) Accettare che l’errore è umano. 14) Accettare di non essere amati da tutti. 15) Smettere di imporsi obblighi che non ci appartengono.