Sistemi Economici Comparati
Anno accademico 2013-2014
Prof.sa Renata Targetti Lenti
Il ruolo dell’accumulazione di capitale
nella crescita: i Neoclassici, Shumpeter,
Keynes, Lewis.
Lezione 5 14/10/2014
Letture
*Cozzi T., Teoria dello sviluppo economico, Il
Mulino, 1972, pp. 127-138.
*Zamagni S., Economia Politica, Roma, NIS,
1994, pp. 46-60.
Volpi Franco, Lezioni di economia dello
sviluppo, Franco Angeli, Milano, 2011, cap. 6, 7,
La teoria neoclassica
In questa impostazione viene eliminato il concetto di conflitto
distributivo derivante dalla divisione in classi sociali.
Il reddito viene concepito come il compenso derivante
dall’impiego di un fattore produttivo (terra, lavoro, capitale,
attività imprenditoriale), che concorre con gli altri alla
produzione. Il livello di questo compenso si determina come
prezzo di equilibrio sul mercato del fattore.
Il problema dello scambio risolve anche quello della
distribuzione. L’attenzione passa dalla distribuzione allo
scambio dei fattori, la cui domanda è derivata rispetto a quella
dei beni.
Le principali assunzioni del modello sono:
i) tutti i mercati (dei beni e dei fattori) sono
perfettamente concorrenziali, sia dal lato della
domanda che da quello dell’offerta. Gli agenti sono
quindi price-takers
ii) l’obiettivo di ogni impresa è la massimizzazione
del profitto, dati i vincoli dei costi e della tecnologia
prevalente
iii) l’obiettivo di ogni individuo è la massimizzazione
della propria utilità, dato un vincolo di bilancio.
Il sistema produttivo può essere rappresentato da una funzione
di produzione del tipo Y=F(K,L).
i) si pone l’ipotesi che i rendimenti di scala siano costanti (se
tutti i fattori variano in una data proporzione, anche l’output
varia nella stessa proporzione);
ii) che ciascun fattore presenti rendimenti marginali
decrescenti,
iii) che vi sia sostituibilità tra capitale e lavoro.
In equilibrio, la remunerazione di un fattore produttivo deve
essere pari al valore della sua produttività marginale.
All’impresa conviene assumere nuovi lavoratori, e continuerà
ad assumere fino al punto in cui il valore del prodotto
marginale di una unità di lavoro è uguale al salario unitario:
P . ∂Y/∂L = W
P è il prezzo unitario a cui il prodotto può essere venduto sul
mercato.
Questa relazione di eguaglianza rappresenta la condizione di
massimo profitto; andare oltre non conviene, perché se
l’impresa assume ulteriori lavoratori, pagherebbe un salario
superiore alla loro produttività marginale.
Questo principio vale per qualsiasi fattore della produzione,
cosicché possiamo concludere che, per la teoria neoclassica, la
remunerazione di ogni fattore è pari, in equilibrio, al valore
della sua produttività marginale Nel caso del mercato dei
capitali, ad esempio il saggio di remunerazione (profitto) sarà
tale da eguagliare domanda di capitali (da parte delle imprese)
ed offerta da parte dei risparmiatori (compenso per
l’astinenza).
Se si accetta l’ipotesi che l’intera economia sia rappresentabile
da una funzione di produzione aggregata del tipo
Y=F(K,L)
caratterizzata da rendimenti costanti di scala, per il teorema di
Eulero, si dimostra che, se tutti i fattori vengono remunerati al
valore della propria produttività marginale, l’intero reddito
nazionale è uguale alla somma dei redditi dei fattori.
Se la funzione di produzione è lineare di primo grado il
prodotto totale è esattamente eguale alla somma dei prodotti
tra quantità dei fattori e produttività marginale.
Con alcuni passaggi si ottiene il risultato finale e cioè che
l’intero reddito prodotto è distribuito ai fattori in base alla loro
produttività senza alcun residuo.
Teorema di Eulero
Schumpeter
Per Schumpeter occorre distinguere lo sviluppo dalla crescita.
Lo sviluppo è un processo discontinuo che presuppone una
rottura dei precedenti equilibri.
Fattore di questa rottura è l’imprenditore che, finanziato dal
sistema bancario, introduce le innovazioni (di prodotto e/o di
processo). Le innovazioni si diffondono grazie ad un processo
di imitazione.
Ruolo delle innovazioni e fluttuazioni
Secondo autori come Schumpeter la crescita economica
non è un processo lineare, ma è caratterizzato da
fluttuazioni.
L’innovazione dei processi produttivi è importante nel
determinare i cicli e le fluttuazioni economiche.
La concorrenza fra le imprese determina fluttuazioni
ricorrenti dell'attività economica (ondate di prosperità
seguite da fasi di depressione, fallimenti e
disoccupazione).
Recessione ed espansione
La saturazione della domanda insieme ala restituzione dei
prestiti al sistema bancario provoca una riduzione della
produzione e dunque recessione.
Molto importante è il ruolo del sistema finanziario e bancario
nella selezione degli investimenti più redditizi che producono
esternalità sul sistema economico.
Il concetto di concorrenza in Schumpeter è diverso da quello
neoclassico: dinamico invece che statico.
Le fasi di espansione sono caratterizzate da concorrenza,
quelle di recessione da forme oligopolistiche o
monopolistiche. La distruzione creatrice prepara la fase di
espansione successiva.
La teoria Keynesiana
Per Keynes il sistema economico non tende naturalmente ad
un equilibrio di pieno impiego dei fattori. Il livello di attività
economica non dipende dal volume dell’offerta, ma dalla
domanda aggregata, e più precisamente da quelle componenti
che possono considerarsi esogene (indipendenti dal livello del
reddito disponibile), e cioè gli investimenti e la spesa pubblica
in beni e servizi.
Il tasso di interesse non svolge nel modello keynesiano il ruolo
di equilibratore della domanda rispetto all’offerta di risparmio.
Esso si forma invece sul mercato della moneta in funzione
della domanda di liquidità da parte degli agenti. E’ da
considerarsi il prezzo della rinuncia alla liquidità.
In un sistema capitalistico gli imprenditori sono mossi
dall’intento di accrescere la propria ricchezza. Poiché essi
gestiscono le attività produttive, questa diventa anche la
finalità dell'intero processo economico.
L’imprenditore acquista lavoro allo scopo di ottenere un
prodotto, venderlo e realizzare un profitto. Lo scopo della
produzione è la realizzazione del profitto, non già il
benessere dei consumatori.
L’attività economica si configura come un processo
circolare: dalla produzione di merci, al consumo, al
conseguimento di profitti, all'acquisto di nuove risorse, alla
produzione di nuove merci, e così via in un ciclo continuo,
in grado di sviluppare l’ attività di accumulazione.
Cicli economici
Path dependence
La spiegazione dei mutamenti tecnologici ed
istituzionali non va ricercata in leggi economiche
universali, ma nel percorso storico del processo di
sviluppo.
Catene di eventi, anche casuali, finiscono col
precludere alternative inizialmente possibili e col
delimitare il campo delle scelte alla configurazione
che si è venuta a determinare.
In altre parole il cammino seguito dai first comers
non può essere imitato in maniera pedissequa da chi
si pone sulla via dello sviluppo.
I salari sono considerati come determinati esogenamente dalla
contrattazione tra sindacati e imprese, e cioè da fattori
istituzionali. Il potere negoziale dei sindacati varia col ciclo
economico.
In particolare una riduzione dei salari in recessione, a
differenza di quanto ritenevano i neoclassici, non avrebbe
l’effetto di stimolare la produzione, bensì potrebbe influire
negativamente sul livello dell’attività produttiva, a causa del
calo della domanda aggregata.
Il volume dei profitti dipende solo dal livello della produzione
totale. Aumenterà in espansione e si ridurrà in recessione
anche in relazione alle diverse aspettative degli imprenditori.
Secondo Keynes, infine, la distribuzione del reddito
influenza la domanda aggregata. Se infatti la
propensione al consumo decresce all’aumentare del
reddito, una redistribuzione del reddito dai capitalisti
ai lavoratori dipendenti, che hanno propensione al
risparmio inferiore, provoca un aumento della
domanda aggregata.
Possono determinarsi, dunque, diverse configurazioni
nella distribuzione del valore aggiunto in relazione al
livello della domanda.
Un gruppo di modelli individua nel mutamento strutturale e cioè
nel peso dei diversi settori produttivi il fattore che caratterizza le
diverse fasi di un processo di crescita dal sottosviluppo allo
sviluppo. Il modello più noto è quello che spiega il passaggio da
un’economia prevalentemente agricola ad una caratterizzata dal
settore manifatturiero.
Il modello di Lewis a due settori ha radici classiche. E’ sviluppato
per spiegare il decollo industriale nei PVS  passaggio da
un’economia di sussistenza in una caratterizzata dall’esistenza di
un settore industriale (trasformazione strutturale, mutamenti
qualitativi). Si basa sui rapporti tra produttività del lavoro nel
settore industriale e ed il salario di sussistenza del settore agricolo
 formazione dei profitti ed accumulazione nel settore
manifatturiero.
Il modello di sviluppo a due settori, o modello di sviluppo
dualistico—detto anche modello di Lewis in onore di sir W.
Arthus Lewis che per primo lo formulò nel 1954—è un modello
che spiega lo sviluppo di un’economia caratterizzata da due
settori, un settore agricolo tradizionale e un settore industriale
moderno, in cui la forza lavoro si trasferisce dal primo al secondo
settore rendendo così possibile lo sviluppo.
Inizialmente comparso in un articolo intitolato “Lo sviluppo
economico con offerta illimitata di lavoro” scritto nel 1954 da
Lewis, fu pubblicato in The Manchester School nel maggio
1954. L’articolo ed il modello successivo gettarono le basi per la
disciplina dell’Economia dello sviluppo contemporanea, al punto
che per alcuni questi rappresentano le vere e propria fondamenta
della disciplina stessa.
•
Per ogni A ≥ B, il prodotto marginale del lavoro in agricoltura è nullo. Questo significa che se
l’occupazione diminuisce da A a B il prodotto totale rimane immutato. In La = A, il prodotto
medio w è maggiore del prodotto marginale. Il compenso dei lavoratori, in questo caso, è
pari non al prodotto marginale, ma al prodotto medio e cioè ad un valore pari al salario di
sussistenza .
Condizione per il decollo è il trasferimento di occupati dall’agricoltura
all’industria ad un salario di poco superiore, di un valore pari ad m, a
quello agricolo.
Dal momento che in agricoltura esiste disoccupazione nascosta (surplus
di lavoro) la produttività marginale è eguale a zero. In questo caso il
prodotto totale non diminuisce in seguito al trasferimento di occupati
verso il settore manifatturiero.
In altre parole il surplus di lavoro nel settore agricolo è la condizione
perché si formi un risparmio da investire nel settore manifatturiero.
L’ipotesi è che il consumo dei lavoratori rimanga immutato, il salario
resti al livello di sussistenza, ma che invece aumenti la produttività
dello stesso lavoro una volta che sia impiegato nel settore
manifatturiero. Il decollo potrebbe avvenire anche grazie all’afflusso di
capitali dall’estero (staple theory).
Fig. 3
Una crescita del risparmio (grazie ad una distribuzione del
reddito a favore dei profitti) è fattore positivo per lo
sviluppo. Il progresso tecnico può rallentare il declino verso
lo stato stazionario. Il processo si arresta quando:
1) aumentano i salari nel settore industriale per poter
continuare ad attrarre lavoro dall’agricoltura.
2) peggiora la ragione di scambio (prezzi relativi) dei
prodotti manifatturieri dal momento che mano a mano che si
sottrae lavoro all’agricoltura il prodotto marginale comincia
a crescere ed il prodotto totale a diminuire
3) peggiorano i prezzi relativi dei manufatti a livello
internazionale.
Limiti del modello di lewis
Condizioni per il funzionamento del modello
1) I profitti devono essere effettivamente investiti nel
settore manifatturiero.
2) Il progresso tecnico non deve essere risparmiatore di
lavoro.
3) I salari devono essere vincolati alle sussistenze nel
settore agricolo.
L’accettazione del modello ha condizionato le politiche
della World Bank promuovendo investimenti
nell’industrializzazione e trascurando i miglioramenti
nel settore agricolo
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La rappresentazione della diseguaglianza. Le scale di equivalenza