La tipologia delle pronunce delle Corti costituzionali • Quali effetti conseguono alle pronunce di incostituzionalità? • Controllo diffuso: il giudice disapplica la legge • Controllo accentrato: il giudice annulla la legge • Controllo preventivo: la legge non entra in vigore • interviene una revisione costituzionale • In ogni caso le Corti creano diritto • (anche espungendo le norme dall’ordinamento) • L’attività “creativa” delle corti costituzionali si arricchisce nel tempo di un’articolata tipologia di sentenze • efficacia temporale • contenuto Efficacia temporale Es. Costituzione Polonia (termine predeterminato costituzionalmente) • Art. 190. • § 3. La sentenza del Tribunale Costituzionale entra in vigore il giorno della pubblicazione, tuttavia il Tribunale Costituzionale può stabilire un diverso termine di perdita della efficacia vincolante dell’atto normativo. Tale termine non può eccedere i diciotto mesi se si tratta di legge, i dodici se di altri atti normativi. In caso di sentenze, legate a spese finanziarie non previste nella legge di bilancio, il Tribunale Costituzionale stabilisce il termine della perdita dell’efficacia vincolante dell’atto normativo sentito il parere del Consiglio dei Ministri. • (trad. tratta da: http://www.consiglioveneto.it/crvportal/BancheDati/costituzioni/pl/polonia.pdf) LOI SPECIALE DU 6 JANVIER 1989. SUR LA COUR D'ARBITRAGE (termine non predeterminato, previsto in legge organica) • Art. 8. If the action is well-founded, the Court of Arbitration shall entirely or partially annul the statute, decree or rule referred to in Article 134 of the Constitution against which the action was instituted. • Where the Court so deems necessary, it shall, by a general ruling, specify which effects of the nullified provisions are to be considered maintained or be provisionally maintained for the period appointed by the Court. Es. Repubblica Slovacca (termine obbligatorio costituzionalmente previsto) • Art. 132: • (1) In cases where the Constitutional Court finds any contradictions in statutory rules as defined by Article 125, these rules, parts or clauses thereof shall become ineffective. The authorities that passed these rules shall be obliged to bring them to conformity with the Constitution and constitutional statutes not later than six months following the finding of the Constitutional Court (…). Otherwise these rules, parts or clauses thereof shall become ineffective after six months following the decision of the Constitutional Court. (…) Le “sentenze monito” • Germania: • Appellentscheidungen • sentenze di “ancora costituzionalità” (ma il legislatore provveda) • Portogallo: • controllo per omissione • Presidente della Repubblica, provedor de justiça, assemblee regionali • Efficacia dichiarativa Ordinamento italiano • La Corte costituzionale può modulare l’efficacia temporale delle sue sentenze? • Art. 136. • Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. • Sentenze monito: rigetta la questione “…ma il legislatore intervenga” (altrimenti la Corte interverrà in futuro) sent. 61/2006 (in materia di cognome): • “A distanza di diciotto anni dalle decisioni in precedenza richiamate, non può non rimarcarsi che l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna. Tuttavia, l’intervento che si invoca con la ordinanza di rimessione richiede una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte. Ed infatti, nonostante l’attenzione prestata dal collegio rimettente a circoscrivere il petitum, limitato alla richiesta di esclusione dell’automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno nelle sole ipotesi in cui i coniugi abbiano manifestato una concorde diversa volontà, viene comunque lasciata aperta tutta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente a detta volontà – con la conseguente necessità di stabilire i criteri cui l’ufficiale dello stato civile dovrebbe attenersi in caso di mancato accordo – ovvero di consentire ai coniugi che abbiano raggiunto un accordo di derogare ad una regola pur sempre valida, a quella di richiedere che la scelta dei coniugi debba avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all’atto della nascita di ciascuno di essi. • • Del resto, la stessa eterogeneità delle soluzioni offerte dai diversi disegni di legge presentati in materia nel corso della XIV legislatura testimonia la pluralità delle opzioni prospettabili, la scelta tra le quali non può che essere rimessa al legislatore. • Per tali ragioni, e tenuto conto del vuoto di regole che determinerebbe una caducazione della disciplina denunciata, non è ipotizzabile, come adombrato nella ordinanza di rimessione, nemmeno una pronuncia che, accogliendo la questione di costituzionalità, demandi ad un futuro intervento del legislatore la successiva regolamentazione organica della materia.” Tipologia di sentenze Corte costituzionale italiana Dicotomia fondamentale: Accoglimento: la questione è fondata • PER QUESTI MOTIVI • LA CORTE COSTITUZIONALE • dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. […] della legge […] • [ad es.: nella parte in cui prevede, tra i requisiti per l'accesso alle carriere direttive e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi della Provincia di Trento, il possesso di una statura fisica minima indifferenziata per uomini e donne] • • • • • Rigetto: il “dubbio” in merito alla costituzionalità della norma è infondato (es. sent. 64/1962 in materia di adulterio) PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE (…) dichiara non fondata la questione, sollevata con le ordinanze del Tribunale di Lagonegro del 24 novembre 1960 e del Pretore di Ancona del 10 maggio 1961, sulla legittimità costituzionale dell'art. 559 del Codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. (In conclusione, la norma impugnata, dal punto di vista della sua legittimità costituzionale, nulla presenta nel suo contenuto e nelle sue finalità che possa qualificarla come violazione del principio di eguaglianza. Con tale norma non é stata creata a carico della moglie alcuna posizione di inferiorità, ma soltanto é stato preso atto di una situazione diversa, adattandovi una diversa disciplina giuridica. Che poi tale disciplina soddisfi ogni esigenza e sia mezzo idoneo e sufficiente per le finalità prese in considerazione, é questione di politica legislativa, non di legittimità costituzionale. ) NB: è una “discriminazione ragionevole”! (successivamente la Corte muterà orientamento nel un medesimo percorso che, alcuni anni dopo, è stato compiuto dalla Corte costituzionale turca) Qual è la loro efficacia? Chi è vincolato a quanto statuito dalla Corte costituzionale? • Sentenze di accoglimento: • Erga omnes, dal giorno successivo alla pubblicazione in GU • Ha effetti nei confronti dei rapporti ancora pendenti • Con un’eccezione: • Art. 30 legge 87/1953: Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali. • • • • Sentenze di rigetto: effetti inter partes Perché? Perché altrimenti si cristallizzerebbe una realtà sociale e giuridica, che nel tempo potrebbe subire cambiamenti • (tuttavia: una questione identica riproposta a breve sarà probabilmente giudicata nello stesso modo) • Interpretativa: non è una sentenza che interpreta: in tutte le sentenze i giudici interpretano! • È una decisione che subordina la costituzionalità o l’incostituzionalità di una norma ad una determinata interpretazione: • Come nella dicotomia iniziale: vi sono le sentenze interpretative di accoglimento, interpretative di rigetto Interpretativa di rigetto • costituzionalità della norma • PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE • dichiara non fondate, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, le questioni sollevate con ordinanza del Pretore (…) del (…), sulla legittimità costituzionale delle norme contenute (…) in riferimento all'art. (…) della Costituzione.) • (cfr. sent. 9 del 1965) • Interpretativa di accoglimento: • incostituzionalità della norma PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE • dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. (…), ove interpretati nel senso (…) • Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, (…). es. Sent. 78 del 2007 (accesso degli stranieri irregolari ai benefici penitenziari “extramurari”) • Il Tribunale di sorveglianza di Cagliari dubita, in riferimento all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 47, 48 e 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nonché degli artt. 5, 5-bis, 9, 13 e 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo). • Il rimettente, investito del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, ad opera della Corte di cassazione, del provvedimento con il quale era stato concessa la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale ad un cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno, assume che il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, cui egli è vincolato, implicherebbe il contrasto delle norme sopra indicate con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione. Secondo detto principio di diritto, la permanenza nello Stato dello straniero privo di un valido ed efficace permesso di soggiorno non può trovare titolo nella concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale. • A parere del rimettente, il cennato principio di diritto determinerebbe, in violazione del precetto costituzionale della finalità rieducativa della pena, un regime penitenziario speciale e di sfavore nei confronti di un insieme di persone condannate, vale a dire i cittadini stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, individuati, non già sulla base di indici rivelatori di una particolare pericolosità sociale − secondo modalità già sperimentate nell’ambito dell’ordinamento penitenziario − quanto sulla scorta di un dato «estrinseco e formale», quale il difetto di titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato. In tal modo risulterebbe eluso, sempre a parere del giudice a quo, il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale ogni misura incidente in senso sfavorevole sul trattamento penitenziario deve conseguire ad una condotta colpevole addebitabile al condannato, non potendo le esigenze di difesa sociale − ancorché rilevanti sul piano costituzionale, perché sottese alla regolamentazione dei flussi migratori − annullare la finalità rieducativa della pena. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE • dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 47, 48 e 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative da essi previste. • Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2007. La disposizione è incostituzionale… • Sentenze sostitutive: “…nella parte in cui prevede A invece di B” (es. sent 215 del 1987) • Sentenza 215 del 1987 • Con ricorso del 19 novembre 1983 i coniugi G. S. e L.C. impugnavano innanzi al TAR del Lazio la mancata ammissione della loro figlia Carla, diciottenne portatrice di handicap, a ripetere nell'anno scolastico 1983/84 la frequenza della prima classe dell'Istituto Professionale di Stato per il Commercio "N. Garrone" di Roma. Costei nell'anno precedente era stata ritenuta inclassificabile, ed il Preside, accettata con riserva la domanda di reiscrizione, aveva rimesso la questione al Provveditore agli studi, facendo presente che - secondo gli insegnanti - la giovane non avrebbe potuto trarre un qualche profitto dalla permanenza nella scuola media superiore. • Il Provveditore agli Studi, a fronte della certificazione medica allegata all'istanza, aveva invitato il Preside ad acquisire presso i competenti servizi specialistici dell'USL un parere medico legale, da esprimersi sulla base sia di accertamenti di carattere sanitario e psicologico, sia della conoscenza della situazione determinatasi nell'anno precedente e dei giudizi espressi dal Consiglio di classe in sede di verifica finale. Il responso sanitario, peraltro, aveva escluso che l'handicap - di tipo neuropsichico - fosse da considerarsi grave, ed aveva sottolineato che la giovane poteva trarre dalla frequenza un beneficio che, se relativo quanto all'apprendimento, era viceversa notevole sul terreno della socializzazione e dell'integrazione, sì da far ritenere fondamentale la riammissione della giovane, per la quale l'isolamento avrebbe contribuito in maniera assolutamente negativa alla formazione del carattere. • Ciononostante, la richiesta di reiscrizione era stata respinta di fatto, con il rifiuto opposto alla giovane ad assistere alle lezioni. • Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio dubita, in riferimento agli artt. 3, 30, 31 e 34 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30 marzo 1971, n. 118, (…) • Tale disposizione detta "Provvedimenti per la frequenza scolastica" di questi ultimi: ed in particolare, dopo aver previsto, nel primo comma, misure dirette a rendere possibile o comunque ad agevolare in generale l'accesso e la permanenza nella scuola (trasporto gratuito dalla abitazione alla scuola, accesso a questa mediante adatti accorgimenti ed eliminazione delle cosiddette barriere architettoniche, assistenza agli invalidi più gravi durante le ore scolastiche) prescrive, nel secondo comma, che, per quanto riguarda l'istruzione dell'obbligo, questa "deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali". • Il terzo comma dispone che "sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie"; • La questione dedotta investe, perciò, il terzo comma del citato art. 28, in quanto, limitandosi a disporre che "sarà facilitata" tale frequenza, non assicura l'effettiva e concreta realizzazione di tale diritto: nel che il giudice rimettente ravvisa una violazione degli artt. 3, 30, 31 e 34 Cost. • (…) • La disposizione impugnata ha indubbiamente un contenuto esclusivamente programmatorio, limitandosi ad esprimere solo un generico impegno ed un semplice rinvio ad imprecisate e future facilitazioni. Il suo tenore non é perciò idoneo a conferire certezza alla condizione giuridica dell'handicappato aspirante alla frequenza della scuola secondaria superiore; a garantirla, cioè, come diritto pieno pur ove non sussistano (come nel caso oggetto del giudizio a quo) le condizioni che - se concretamente verificate - ne limitano la fruizione per la scuola dell'obbligo a termini del precedente secondo comma del medesimo articolo. • Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'art. 28, terzo comma, della legge n. 118 del 1971 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che "Sarà facilitata", anziché disporre che "É assicurata", la frequenza alle scuole medie superiori. • In questo modo, la disposizione acquista valore immediatamente precettivo e cogente, ed impone perciò ai competenti organi scolastici sia di non frapporre a tale frequenza impedimenti non consentiti alla stregua delle precisazioni sopra svolte, sia di dare attuazione alle misure che, in virtù dei poteri-doveri loro istituzionalmente attribuiti, ovvero dell'esistente normazione regionale, secondaria o amministrativa (cfr. par. 2), possano già allo stato essere da essi concretizzate o promosse. • Spetta ovviamente al legislatore il compito - la cui importanza ed urgenza é sottolineata dalle considerazioni sopra svolte - di dettare nell'ambito della propria discrezionalità una compiuta disciplina idonea a dare organica soluzione a tale rilevante problema umano e sociale. • PER QUESTI MOTIVI • LA CORTE COSTITUZIONALE • dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 - recante "Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili" - nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che "Sarà facilitata", anziché disporre che "É assicurata" la frequenza alle scuole medie superiori. Sentenze additive • Sentenze additive: “nella parte in cui non prevede…” • Alcuni esempi : • Corte cost., sent. 27/1998(vaccinazioni) • Corte cost., sent. 218/1994 (HIV) • Sentenze additive di principio: “…nella parte in cui non prevede…” (è tuttavia necessario l’intervento del legislatore) • Sentenze additive di prestazione: comportano una “spesa” • Art. 81 Cost.: • Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. • L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. • Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. • Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. • Nelle sentenze additive, quindi, la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma • “nella parte in cui non prevede qualcosa” • Quale limite incontrano questo tipo di sentenze? • La materia penale: la Corte lo afferma espressamente ad es. nella sentenza 508/2000: • [402. Vilipendio della religione dello Stato. • Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un anno.] • Con ordinanza del 5 novembre 1998, la Corte di cassazione ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 402 cod. pen. (Vilipendio della religione dello Stato), in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 8, primo comma, della Costituzione. • • Posta dal legislatore penale del 1930, la norma impugnata, insieme a tutte le altre che prevedono una protezione particolare a favore della religione dello Stato-religione cattolica, si spiega per il rilievo che, nelle concezioni politiche dell’epoca, era riconosciuto al cattolicesimo quale fattore di unità morale della nazione. In questo senso, la religione cattolica era "religione dello Stato" - anzi necessariamente "la sola" religione dello Stato (formula risalente all’art. 1 dello Statuto albertino e riportata a novella vita dall’art. 1 del Trattato fra la Santa Sede e l’Italia del 1929): oltre che essere considerata oggetto di professione di fede, essa era assunta a elemento costitutivo della compagine statale e, come tale, formava oggetto di particolare protezione anche nell’interesse dello Stato. • Le ragioni che giustificavano questa norma nel suo contesto originario sono anche quelle che ne determinano l’incostituzionalità nell’attuale. • In forza dei principi fondamentali di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (art. 3 della Costituzione) e di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 della Costituzione), l’atteggiamento dello Stato non può che essere di equidistanza e imparzialità nei confronti di queste ultime, senza che assumano rilevanza alcuna il dato quantitativo dell’adesione più o meno diffusa a questa o a quella confessione religiosa (sentenze nn. 925 del 1988, 440 del 1995 e 329 del 1997) e la maggiore o minore ampiezza delle reazioni sociali che possono seguire alla violazione dei diritti di una o di un’altra di esse (ancora la sentenza n. 329 del 1997), imponendosi la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede quale che sia la confessione di appartenenza (così ancora la sentenza n. 440 del 1995), ferma naturalmente la possibilità di regolare bilateralmente e quindi in modo differenziato, nella loro specificità, i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica tramite lo strumento concordatario (art. 7 della Costituzione) e con le confessioni religiose diverse da quella cattolica tramite intese (art. 8). • Tale posizione di equidistanza e imparzialità é il riflesso del principio di laicità che la Corte costituzionale ha tratto dal sistema delle norme costituzionali, un principio che assurge al rango di "principio supremo" (sentenze nn. 203 del 1989, 259 del 1990, 195 del 1993 e 329 del 1997), caratterizzando in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse (sentenza n. 440 del 1995). • “Sebbene, in generale, il ripristino dell’uguaglianza violata possa avvenire non solo eliminando del tutto la norma che determina quella violazione ma anche estendendone la portata per ricomprendervi i casi discriminati, e sebbene il sopra evocato principio di laicità non implichi indifferenza e astensione dello Stato dinanzi alle religioni ma legittimi interventi legislativi a protezione della libertà di religione (sentenza n. 203 del 1989), in sede di controllo di costituzionalità di norme penali si dà solo la prima possibilità. Alla seconda, osta infatti comunque la particolare riserva di legge stabilita dalla Costituzione in materia di reati e pene (art. 25, secondo comma) a cui consegue l’esclusione delle sentenze d’incostituzionalità aventi valenze additive, secondo l’orientamento di questa Corte (…). • La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 402 del codice penale si impone dunque nella forma semplice, esclusivamente ablativa. • Per questi motivi • LA CORTE COSTITUZIONALE • dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 402 del codice penale (Vilipendio della religione dello Stato). • Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 2000. Sentenza 440/1995: che tipo di sentenza è? • nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 724 del codice penale promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1991 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di (…) • Considerato in diritto • L'ordinanza del Tribunale di Milano ripropone la questione di legittimità costituzionale del reato di bestemmia, previsto dal primo comma dell'art. 724 del codice penale, sotto il duplice profilo della violazione del principio di determinatezza della fattispecie penale (art. 25, secondo comma, della Costituzione) e della violazione del principio di uguaglianza in materia di religione (artt. 3 e 8, primo comma, della Costituzione). • 1. L'art. 724, primo comma, del codice penale punisce a titolo contravvenzionale la condotta di chi «pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato». La prima prospettazione della questione si incentra sulle conseguenze che - ad avviso del Tribunale rimettente deriverebbero dall'espunzione dal vigente ordinamento della nozione di «religione dello Stato». • Qual è il bene tutelato? • Inizialmente: • 1. La tutela della religione di Stato (lo Stato tutela l sua religione • 2. collocazione nel «titolo» quanto mai eterogeneo delle «contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi», collocazione che giustifica anche per la bestemmia (come per il gioco d'azzardo, gli atti contrari alla pubblica decenza, il turpiloquio, ecc.) una configurazione più riduttiva, come atto di malcostume. • • mutamenti sociali. • come religione di maggioranza: • La religione cattolica è configurata non più come la religione dello Stato in quanto organizzazione politica, ma dello Stato in quanto società: la protezione speciale della «religione dello Stato» si giustificherebbe per «la rilevanza che ha avuto ed ha la religione cattolica in ragione della antica ininterrotta tradizione del popolo italiano, la quasi totalità del quale ad essa sempre appartiene... (…) • come «sentimento religioso», elemento base della libertà di religione (tutte le religioni) • L'abbandono del criterio quantitativo, così argomentato dalla Corte, significa che in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza. • La dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 724, primo comma, del codice penale deve tuttavia essere circoscritta alla sola parte nella quale esso comporta effettivamente una lesione del principio di uguaglianza. La fattispecie dell'art. 724, primo comma, del codice penale è scindibile in due parti: una prima, riguardante la bestemmia contro la Divinità, indicata senza ulteriori specificazioni e con un termine astratto, ricomprendente sia le espressioni verbali sia i segni rappresentativi della Divinità stessa, il cui contenuto si presta a essere individuato in relazione alle concezioni delle diverse religioni; una seconda, riguardante la bestemmia contro i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato. La bestemmia contro la Divinità, come anche la dottrina e la giurisprudenza hanno talora riconosciuto, a differenza della bestemmia contro i Simboli e le Persone, si può considerare punita indipendentemente dalla riconducibilità della Divinità stessa a questa o a quella religione, sottraendosi così alla censura d'incostituzionalità. Del resto, dal punto di vista puramente testuale, ancorché la formula dell'art. 724 possa indurre alla riconduzione unitaria delle nozioni di Divinità, Simboli e Persone nella tutela penalistica accordata alla sola «religione dello Stato», è da notarsi che, in senso stretto, il termine «venerati», impiegato nell'art. 724, è propriamente riferibile ai soli Simboli e Persone. (…) • • • La norma impugnata si presta così ad essere divisa in due parti. Una parte esclusa restando ogni valenza additiva della presente pronuncia, di per sè preclusa dalla particolare riserva di legge in materia di reati e di pene - si sottrae alla censura di incostituzionalità, riguardando la bestemmia contro la Divinità in genere e così proteggendo già ora dalle invettive e dalle espressioni oltraggiose tutti i credenti e tutte le fedi religiose, senza distinzioni o discriminazioni, nell'ambito - beninteso - del concetto costituzionale di buon costume (artt. 19 e 21, sesto comma, della Costituzione). L'altra parte della norma dell'art. 724 considera invece la bestemmia contro i Simboli e le Persone con riferimento esclusivo alla religione cattolica, con conseguente violazione del principio di uguaglianza. Per questa parte, delle due possibilità di superamento del vizio rilevato: l'annullamento della norma incostituzionale per difetto di generalità e l'estensione della stessa alle fedi religiose escluse, alla Corte costituzionale è data soltanto la prima, a causa del predetto divieto di decisioni additive in materia penale. La scelta attuale del legislatore di punire la bestemmia, una volta depurata del suo riferimento ad una sola fede religiosa, non è dunque di per sé in contrasto con i principî costituzionali, tutelando in modo non discriminatorio un bene che è comune a tutte le religioni che caratterizzano oggi la nostra comunità nazionale, nella quale hanno da convivere fedi, culture e tradizioni diverse. • Per questi motivi • LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 724, primo comma, del codice penale, limitatamente alle parole: «o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato».