“ Quello di essere è un concetto ovvio. In ogni conoscere, in ogni
asserzione, in ogni comportamento [che ci pone in rapporto]
con l’ente, in ogni comportamento che ci pone in rapporto con
noi stessi si fa uso di "essere", e l’espressione è "senz’altro
comprensibile". Tutti comprendono cosa significhi: "Il cielo è
azzurro", "Sono contento", e così via. Ma questa comprensione
media non dimostra che un’incomprensione. Essa sta a
denunciare che in ogni comportamento e in ogni modo di
essere che ci ponga in relazione con l’ente in quanto ente si
nasconde a priori un enigma. Il fatto che già sempre viviamo in
una comprensione dell’essere e che, nel contempo, il senso
dell’essere continua a restare avvolto nell’oscurità, attesta la
necessità fondamentale di una ripetizione del problema del
senso dell’essere“
(Essere e tempo)
per Heidegger la metafisica non è riducibile all'ontologia, in
quanto non è il fare discorsi sull'essere, bensì è un certo
modo di fare discorsi sull'essere:
la metafisica è quel modo specifico di fare discorsi
sull'essere che smarrisce l'autentico significato dell'essere
stesso, con il risultato che "ontologia" e "metafisica" sono
due concetti antitetici
la distruzione della metafisica si configura come
rivalutazione totale dell'ontologia
la metafisica ha concepito l'essere come un ente:
ha "smarrito la differenza ontologica", la differenza che
sussiste tra essere e ente
la caratteristica portante della metafisica è di concepire
l'essere in modo errato: l'essere non può essere studiato
come un qualsiasi ente, in quanto, essendo impossibile
individuarne i confini, non può diventare un oggetto di
indagine
il grande errore della metafisica sta proprio nel
concepire l'essere come un qualsiasi altro ente
nel corso della storia, ora l'ha concepito come la somma di tutti gli enti,
ora come l'ente supremo (il Dio della teologia), ora, in maniera più
raffinata, come aspetto comune a tutti gli enti (Aristotele l'aveva
inteso così)
quello della metafisica non è solamente un errore,
ma un “erramento”
l'errore della metafisica, commesso molti secoli addietro da Platone e
dalla sua "ontificazione" dell'essere (attuatasi attraverso l'indebita
trasformazione dell'essere in idee), non è puramente accidentale; al
contrario, da allora si è sempre più verificato un erramento, uno
sbandamento continuo in virtù del quale l'essere è sempre stato
interpretato scorrettamente
l'essere segue un suo percorso lungo il quale, di volta in volta, si manifesta in
modo diverso e i modi in cui esso si manifesta all'uomo sono in continua
trasformazione, sicchè ci si trova di fronte ad un erramento che è, al
contempo, dell'essere e dell'uomo
anche se la metafisica è stata un errore, cioè un modo errato di manifestarsi
dell'essere, ciò non toglie che in determinate epoche storiche l'essere non
poteva che manifestarsi in quel modo:
in particolare, l'epoca della metafisica, iniziata con Platone e chiusasi con
Nietzsche (compreso), è l'epoca in cui l'essere si è, paradossalmente,
manifestato sotto forma di oblio e di smarrimento
Heidegger mette in luce l'esistenza di due
concetti diversi di verità:
uno metafisico e uno ontologico
il concetto metafisico intende la verità come
correttezza, ossia corrispondenza tra ciò che
abbiamo nella nostra mente e ciò che è
presente nella realtà esterna:
la verità metafisicamente intesa tende allora a
configurarsi come dominio dell'oggetto da parte
del soggetto
questa concezione della verità si è protratta per tutto il corso
della storia da Platone a Nietzsche compreso
se infatti concepiamo la verità metafisica come controllo e dominio
dell'oggetto, allora siamo indotti a interpretare in senso metafisico
perfino il pensiero scientifico e tecnico; la scienza e la tecnica, infatti,
si configurano come estremizzazione dell'atteggiamento metafisico, in
quanto si propongono di dominare concettualmente e materialmente
un oggetto esterno al soggetto
Nietzsche stesso appare come il prodotto estremo dell'era
metafisica
con la dottrina della "volontà di potenza“ (nozione secondo la quale viene
meno l'importanza dell'essere e viene portato all'estremo il dominio
concettuale del mondo da parte del soggetto), venendo a mancare
l'essere, il soggetto si impone e propone interpretazioni potenti, che
promuovono la vitalità e risultano sganciate dall'essere
“ Platonismo e nichilismo sono termini indissociabili
perché, secondo Heidegger, il nichilismo non è altro che una
forma rovesciata di platonismo o meglio è la conseguenza
estrema a cui il platonismo ha portato se si considera
quest'ultimo come quella forma di pensiero caratterizzata
dalla dottrina dei due mondi. Con il platonismo, infatti,
matura la convinzione che il mondo così com'è, cioè il
mondo sensibile così come ce lo attestano i sensi, non è un
mondo vero, ma è solo un'illusione, un'apparenza, la quale ci
rimanda inevitabilmente a un qualcosa d'altro, a un essere
che non sia solo apparenza ma abbia i caratteri della
stabilità e della verità. Si distingue così tra un mondo vero,
che non è a noi disponibile o da noi raggiungibile
immediatamente e un mondo apparente che è il mondo nel
quale noi ci troviamo. Ma in questo modo, cioè attribuendo i
caratteri di verità a un mondo che a noi non è accessibile,
noi poniamo una frattura, una dicotomia, che risulta,
nell'interpretazione che dà Heidegger della storia
occidentale, decisiva per questa storia stessa e che dà avvio
a una dinamica che si concluderà solo con il nichilismo.%
In che senso? Nel senso che, una volta che si è distinto
radicalmente tra mondo vero e mondo apparente, tra mondo
sensibile e mondo ideale, e si è concepita questa distinzione
come una frattura, si è al tempo stesso dichiarato che quel
mondo, che noi poniamo come mondo vero, è un qualcosa
che noi non possediamo, ma questa irraggiungibilità
significa allo stesso tempo una svalutazione del carattere
d'essere di quel mondo che pure noi poniamo come mondo
vero.
Progressivamente questo carattere di idealità, in origine forse
ancora accessibile ai pochi, ai sapienti, viene sempre più
svanendo e sminuendo, fino a consumarsi nel fenomeno
della svalutazione dell'ideale, nella consunzione dei valori
che sono posti come ideali e che dovrebbero, in principio,
orientare il mondo sensibile. Alla fine di questo percorso di
svalutazione dell'ideale, noi abbiamo la consunzione,
l'appiattimento su un mondo che è solo sensibile, ma che,
essendo solo sensibile, privo di una stella polare di
orientamento, è diventato un mondo senza senso, privo di
significato, in cui tutto si riduce al nulla: è il mondo del
nichilismo.” (Franco Volpi)
l'atteggiamento ontologico lo troviamo nella
accezione del termine verità:
alètheia = la verità è ciò che non sta nascosto
alètheia è il non-nascondimento dell'essere non nel senso
che sta all'uomo rimuovere il velo che occulta la verità
(cioè l'essere), ma nel senso che è l'essere stesso che si
disvela
con l'ontologia la verità non è più concepita in funzione del
soggetto, come invece avveniva con la metafisica:
il nuovo attore del processo non è più l'uomo, ma l'essere
stesso, che si manifesta disvelandosi
l'uomo non è più l'attore della conoscenza, ma assume un
atteggiamento collaborativo con l'essere:
l'uomo deve infatti mettersi "in ascolto dell'essere", quasi
come se fosse in attesa di una rivelazione improvvisa, e
allora con l'espressione "pensiero dell'essere" si
designano, contemporaneamente, l'attività con cui
l'uomo riflette sull'essere sia l'attività con cui l'essere
riflette su se stesso
l'uomo non è più il protagonista (come invece era in
Essere e Tempo), ma è il collaboratore dell'essere,
è il “pastore dell'essere”:
il pastore non è il proprietario del gregge, ma è
semplicemente colui che lo custodisce; allo stesso
modo, l'uomo è tenuto a custodire l'essere senza per
questo divenirne il padrone
in Sentieri interrotti Heidegger si serve dell’immagine di quei
sentieri del bosco che non portano da nessuna parte, ma che
permettono solo di addentrarsi nel bosco:
l'essere è come un bosco e i sentieri non sono strade
verso l'essere, ma strade all'interno di esso, cosicchè si
può girovagare all'interno dell'essere, senza un criterio
che ci permetta di attingerlo
questa constatazione allontana sempre più Heidegger
dalla filosofia per accostarlo alla poesia (intesa come
manifestarsi dell'essere nel linguaggio)
Heidegger usa un'antica parola tedesca (Lichtung) che significa,
contemporaneamente "illuminazione" e "radura"; la radura, quella
parte del bosco in cui non vi sono piante, è il luogo in cui si
realizza una vera e propria illuminazione; questo significa che se è
vero che i sentieri del bosco non portano da nessuna parte e,
meno che mai, all'essere, è anche vero che possono condurre a
radure in cui l'essere si illumina, in cui cioè si può far luce su di
esso
ogni manifestazione dell'essere è legittima:
anche la tecnica ha, in quanto espressione dell'essere,
una sua legittimità, ma tuttavia essa è, come la scienza,
una forma esasperata della metafisica
proprio perché espressione della metafisica, la tecnica non
può certo essere assolutamente positiva: ma è
necessario che gli aspetti negativi vengano vissuti fino in
fondo per poter sperare in un cambiamento radicale;
tanto più che Hölderlin ha insegnato che "dove è il
pericolo, cresce anche ciò che salva"
il vantaggio della tecnica sta nel far emergere la vera e
profonda natura della metafisica e del suo tipico dominio
dell'uomo sull'essere:
solo se si prende coscienza dell'erramento della metafisica
con la tecnica si prospetta anche la possibilità di un
nuovo e più corretto cominciamento filosofico
“ Il nichilismo moderno trova, secondo Heidegger, la sua più
compiuta realizzazione nell'organizzazione tecnicoscientifica del mondo, propria dell'epoca contemporanea.
La tecnica rappresenta rispetto alla natura ciò che è
artefatto, costruito, prodotto, mentre la natura è ciò che
cresce spontaneamente, ha in se stesso il principio della
propria genesi e del proprio movimento, il principio della
propria nascita e del proprio perire, mentre l'artefatto è un
qualcosa di morto, di freddo.
Nel mondo contemporaneo l’atteggiamento dominante è
diventato quello che soffoca la spontaneità della crescita
delle cose che sono per natura. Per illustrare questo
concetto Heidegger ricorre alla Fisica di Aristotele, e
precisamente a un celeberrimo passo in cui si dice che:
"mentre da un albero nasce un albero, da un letto non
nasce un letto". Entrambi sono legno, ma uno è legno
vivente, che ha in sé il principio della propria nascita, della
propria crescita e della propria morte, cioè il proprio ciclo
vitale, naturale, l'altro invece è un legno morto, è un
impianto ovvero una struttura.” (Franco Volpi)
“… Heidegger è convinto che, per poter andare oltre il destino
della tecnica, sia indispensabile vivere fino in fondo questo
destino. E' necessario bere il calice fino in fondo per poter
cominciare a cedere a un nuovo inizio. In sostanza, non si
va oltre la tecnica assumendo degli atteggiamenti di
reazione rispetto ad essa. Nel vortice del nichilismo della
tecnica l'uomo non deve assumere, come dire, degli
atteggiamenti semplicemente di ritorno, di battaglia, di
conservazione del pretecnico, perché la tecnica
consumerebbe e roderebbe qualsiasi tentativo di reagire.
Proprio perché per Heidegger essa è una potenza epocale
non può essere riscattata attraverso degli atteggiamenti di
semplice reazione o di conservazione. Per oltrepassare la
tecnica è indispensabile lasciare che la tecnica si dispieghi
in tutte le sue potenzialità. L'unico atteggiamento possibile
che Heidegger vede in questo dispiegarsi della tecnica
consiste nell'aiutare la tecnica a sviluppare tutte le sue
possibilità fino all'estremo, e dunque un atteggiamento che,
come dire, raccolga le risorse ancora integre, per poter
mantenere l'equilibrio nel vortice che la mobilitazione totale
della tecnica ha scatenato.” (Franco Volpi)
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