Heidegger
Il darsi dell’essere
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1
Dalla fenomenologia all’esistenzialismo
all’ontologia
La scoperta husserliana della visione
d’essenze come gesto che non si ferma
alla superficie delle cose, ma ne coglie
l’essenza, costituisce per Heidegger
l’avvio della ricerca ontologica che
Husserl non ha potuto svolgere.
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2
Oltre la coscienza trascendentale
• Heidegger critica Husserl perché secondo lui non è stato
pienamente fedele al principio dell’“andare alle cose
stesse”, limitandosi a considerare l’intenzionalità come
atto della coscienza senza chiedersi quale sia “l’essere
dell’ente intenzionale” che ha la coscienza. Ciò gli ha
impedito di porre il problema del senso dell’essere
stesso, limitandosi alle essenze oggettive costituitesi
all’interno della coscienza. Ma oltre la coscienza vi è la
questione ontologica dell’essere, implicitamente
contenuta ma non sviluppata dalla fenomenologia.
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3
Il senso dell’essere
Se la fenomenologia ha lasciato fuori dall’indagine
propriamente l’essere di colui che ha coscienza, Heidegger
ritiene che questo vuoto vada colmato. Anzi egli ritiene
propriamente che per rispondere alla domanda
fondamentale della filosofia, quella relativa all’essere (per
lui infatti la filosofia è anzitutto ontologia), è necessario
in via preliminare indagare l’essere di colui che si pone la
domanda e che pertanto rappresenta il luogo più
adeguato per comprendere l’essere. Per capire il senso
dell’essere bisogna dunque indagare l’essere dell’uomo
come di quell’ENTE che si pone la domanda sull’essere.
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4
In ESSERE E TEMPO (1927)
Heidegger sviluppa un’
ANALITICA ESISTENZIALE
finalizzata ad indagare l’ente che si pone la domanda
sull’essere
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5
ESSER-CI
• L’uomo è per Heidegger da indicarsi come
l’ESSERCI (DA-SEIN). Tale formulazione indica
che l’essere dell’uomo è da sempre collocato
in un “ci”, cioè in una situazione, in un mondo,
in un contesto nel quale l’uomo stesso è come
gettato e verso il quale è originariamente
aperto.
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6
Geworfenheit-gettatezza
• L’uomo è gettato in un mondo, cioè si trova ad
essere dentro un contesto di cose senza poter
sapere il come e il perché. Gettatezza significa
«trovarsi ad essere», ossia l’idea di essere stato
inserito in un contesto a prescindere da ogni
intenzione propria, da ogni propria decisione a
proposito: nessuno mi ha interrogato sul mio
essere al mondo, semplicemente «sono stato
messo al mondo», sono stato appunto gettato.
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7
Non semplice presenza…
L’essere dell’uomo non si riduce però alla
semplice presenza in un mondo (od oggettività)
che caratterizza gli oggetti (Gegenstaende objecti: ciò che sta contro, ciò che sta davanti).
Egli non è mai semplice presenza poiché è
quell’ente PER CUI gli oggetti sono presenti.
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8
Ma ek-sistenza e possibilità
• L’essenza dell’uomo è la sua esistenza. Egli sta
sempre fuori-di-sé (ek-sistere) proteso verso le
cose, il mondo, gli oggetti. Egli è sempre calato e
gettato in una determinata situazione. Ma tale
esser-ci dentro una situazione, quindi proteso
fuori di sé non è solo spaziale ma anche
temporale nel senso che in ogni suo rapporto con
il mondo egli realizza il proprio essere,
costruendolo istante dopo istante.
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9
Semplice presenza e possibilità
L’oggetto semplicemente presente ha un suo essere
determinato e chiuso in sé, è lì nella sua oggettività.
L’uomo non ha un suo essere determinato, ma, nel
rapporto con il mondo realizza il suo essere, ha da
essere, muta se stesso giungendo ad essere qualcosa
(qualcuno) che prima non era.
L’esserci è dunque ek-sistente nella possibilità e DECIDE
del proprio essere nel senso dell’autenticità o della
dissipazione di sé.
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10
Kierkegaard
Ecco qui ripresentarsi il tema kiekegaardiano dell’esistenza
come qualcosa di caratterizzato profondamente dalla
possibilità…la possibilità come categoria più «pesante»
della realtà significa per Heidegger che l’uomo è un
progetto, ha da essere, è nella possibilità, e che la semplice
presenza è semplicemente una categoria derivata: ciò che è
reale nel senso di semplicemente presente è qualcosa
considerato a prescindere dal progetto in cui trova il suo
senso, quindi qualcosa che è pensato in modo difettivo e
privativo.
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11
PROGETTO
L’uomo è dunque un poter-essere, è un ente che progetta se stesso
e gli oggetti del mondo si orientano in base a questo suo
progetto. Dentro il progetto anch’essi non possono essere
considerati semplici presenze. Al contrario essi si qualificano
come degli
UTILIZZABILI
È utilizzabile ciò che assume il suo senso perché viene considerato
strumento per relaizzare una data forma di vita.
Quindi non si tratta di interpretare utilitaristicamente il termine, ma
nel senso di un rapporto che viene a definirsi di volta in volta in
base a ciò che io posso essere.
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12
ESSERE-NEL-MONDO
(In-der-Welt-sein)
L’uomo, a partire dalla sua gettatezza, dal fatto che si trova ad essere, si
progetta, cioè costruisce se stesso. Ciò significa che egli trascende (oltrepassa) –
con il suo progettarsi – se stesso verso il mondo, è sempre proteso oltre se
stesso in direzione del mondo, ma non nel senso contemplativo e intenzionale,
come asseriva Husserl, bensì nel senso concreto dell’avere a che fare con le cose
per trasformare, nel commercio con le cose, se stesso secondo il suo poteressere. Se per Husserl per ritrovare le cose stesse bisogna analizzare
l'esperienza, ma un'esperienza depurata dalla riduzione fenomenologica, per
Heidegger così si cederebbe al teoreticismo (eccessiva esaltazione della
dimensione conoscitiva). Per Heidegger bisogna cercare di capire la vita come si
dà innanzitutto e per lo più, ovvero nella sua quotidianità. Così egli pone
attenzione alla vita effettiva in cui ci sono uomini che sono quello che sono e si
danno da fare per realizzare un futuro.
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Esistenziali
Nella sua vita effettiva e concreta, cioè nella sua
esistenza gettata, l’uomo appare caratterizzato
da tre connotati:
Situazione emotiva
Comprensione
Discorso
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14
La situazione emotiva
L’Esserci è gettato ,è là in una vita, non sapendo
né il donde, né il dove, né il perché. Questo
trovarsi-ad- essere va a costituire la sua
fondamentale situazione emotiva, il suo umore,
il suo stato d'animo. L'uomo ha questa
autocoscienza che precede ogni conoscenza. Egli
si autoavverte, è assegnato al mondo e ne sente
il
contraccolpo
nei
sentimenti
dello
spaesamento e dell’inquietudine.
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La comprensione
L’uomo si accosta al suo mondo con i suoi «sentimenti», le sue
«passioni», le sue «paure» le sue «angosce». Questo è il primo
approccio che apre le cose ad un ulteriore atto tipicamente umano,
quello della comprensione. Il comprendere non è conoscenza, ma è
quel modo di maneggiare le cose che è ricco di sapere, di una
veduta sull'ente non di carattere teoretico, non formalizzato, non
dichiarativo, ma di una certa visione ambientale preveggente, che
è il sapere dove ci si trova e saper fare uso degli oggetti del nostro
ambiente dissociando mezzi e scopi. Noi comprendiamo il senso e
la comprensione si realizza nell' incontro pragmatico (da prassi =
azione) col mondo. Quindi il comprendere è un sapere per agire e
costruire il nostro progetto. È un sapere concretamente
progettante.
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Il discorso
Il discorso è qualcosa di simile all’articolazione di ciò che si è
compreso. Il discorso ritaglia e articola l'insieme del compreso. Ergo
il discorso non è niente di fonetico ed è preverbale, cioè ritaglia il
significato della cosa rispetto al magma indistinto dell'ambiente.
Esso esprime, mette assieme i significato. Il discorso ad un certo
punto può mondanizzarsi, fonetizzarsi. La totalità di significati sfocia
in parole, ai significati crescono le parole, i significati si rivestono di
parole. Heidegger vuole mantenere la sfera della significazione al di
qua di quella dell'espressione fonetica. Ergo l'uomo è discorrente
prima di parlare.
Il suo parlare può articolare il progetto o può scadere nella
chiacchiera che è il parlare per parlare, senza alcuna vera
determinazione di significati rilevanti per la nostra vita.
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L’esserci e la sua struttura
L’uomo si trova ad essere, è già in un mondo; comprende
e quindi progetta, articola i significati in discorsi sensati e
parla. Questi esistenziali, cioè questi caratteri
fondamentali dell’uomo, hanno come si vede un carattere
temporale. La situazione emotiva riguarda ciò che è già
accaduto: siamo stati gettati. Quindi attiene al passato. La
comprensione è il capire per agire e progettarsi e quindi
implica un rivolgersi al futuro. Il discorso come
articolazione del compreso non ha una precisa
connotazione in avanti o indietro, ed è quindi, per amore
di simmetria, riconducibile al presente.
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La cura (Sorge)
Essere nel mondo vuol dire essere gettati e progettarsi avendo
a che fare con il proprio mondo. Questa è la descrizione di
quello che è l’Esserci, dell’essere dell’Esserci. Tale struttura si
riassume nel concetto di CURA: . La cura è l'essere avanti a sè,
già in un mondo, presso l'ente di cui si prende cura. «Avanti a
sé», «già in» e «presso» sono i tre momenti già incontrati
nella comprensione, situazione emotiva, discorso... . La cura è
quindi il modo in cui siamo aperti alle cose del mondo, come
ci relazioniamo con il mondo. Noi lo sentiamo (e ne siamo
inquietati) lo comprendiamo e ci progettiamo e vi prestiamo
una certa attenzione con il rischio che questa attenzione scada
in un rapporto scontato, irriflesso, superficiale.
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Prendersi cura (cose) e aver cura (uomini)
Dunque il commercio dell’uomo con in mondo
degli utilizzabili è una CURA. Questa cura è
ulteriormente specificabile in una relazione con
le cose e con gli uomini: un prendersi cura delle
cose, un originaria pre-occupazione per tutto
ciò che ci sta attorno e che costituisce il nostro
mondo-ambiente (um-Welt, mondo attorno a
cui noi siamo) e un aver cura degli uomini.
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20
Il prendersi cura
Il prendersi cura è quella relazione originaria che
l’uomo ha con gli oggetti utilizzabili nel suo
ambiente vitale. Egli utilizza gli oggetti e in
generale il mondo in vista di un proprio progetto
esistenziale cui quelle cose sono finalizzate in
qualità di strumenti. Questi sono anche i mezzi di
sopravvivenza, oppure ciò che permette la
normale vita associata, ciò che viene forgiato nel
lavoro, ciò che insomma costituisce il correlato di
beni necessari alla nostra quotidianità e nel
procurarsi il quale si impara a orientarsi nel
mondo e a ordinare l’esistenza.
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Aver cura autentico
Secondo Martin Heidegger non è pensabile l’essere umano (Esserci)
senza un mondo popolato da oggetti ma soprattutto da persone
che interagiscono non in modo accidentale e fortuito, ma proprio in
base alla loro essenza. Heidegger chiama il modo della loro
interazione l’“aver cura”. Questo si declina in due ulteriori modalità.
La prima è quella dell’operare affinché l’altro giunga a realizzare
consapevolmente e liberamente il proprio progetto e la propria
umanità. Si tratta, potremmo dire, di una forma materna e paterna
di assistenza dell’altro, in cui questo viene aiutato a diventare ciò
che è, a formarsi secondo una valorizzazione di ciò che costituisce
la propria autentica e migliore personalità. Per far ciò bisogna
attendere in generale al bene altrui, al sostegno del carattere, alla
disciplina delle debolezze, alla costruzione di una sensibilità per il
bello, il giusto e per la cultura nel senso più ampio, in un rapporto
sano e liberante con se stesso e con il proprio ambiente umano e
materiale.
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Aver cura scaduto
Accanto all’aver cura autentico, vi è un aver cura che “solleva gli
altri dalla cura, sostituendosi loro nel prendersi cura,
intromettendosi al loro posto”. Infatti il corredo di cose di cui ci
si prende cura può essere fornito anche da altri, che possono
sostituirsi ad un determinato soggetto nella sua fatica di stare al
mondo, una fatica che è tuttavia sommamente educativa e
formatrice. Sostituita da un altro in un compito che è proprio, la
persona viene “aiutata”, in realtà non in vista del suo autonomo
sviluppo, ma della sua dipendenza dall’altro che le fornisce i
servizi e con l’esito di una sua sostanziale sottomissione (certe
madri iperprotettive, senza volerlo, si comportano
precisamente in questo modo con i loro figli).
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MIT-SEIN
L’aver cura autentico costituisce il modo autentico
di coesistere. L’essere dell’uomo, infatti, non è
solo nel mondo, ma con gli altri (Mit-sein =
essere-con, essere assieme).
L’essere con gli altri costituisce un’altra
determinazione essenziale della sua esistenza
(un ESISTENZIALE).
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Il Verfallen (scadimento)
La possibilità connessa all’esistenza umana può comportare
lo smarrirsi negli enti di cui si prende cura, cioè il perder
se stesso nel vortice dei fatti della quotidianità,
mantenendo la propria comprensione del mondo al
livello ONTICO o ESISTENTIVO.
Ciò comporta uno scadimento della sua esistenza, un
VERFALLEN (che P. Chiodi traduce con scelta infelice con
“deiezione”). Questa condizione di smarrimento, anzi, è
in genere il punto di partenza della condizione media
della vita dell’uomo.
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ONTICO-ONTOLOGICO
ESISTENTIVO-ESISTENZIALE
• Ontico = il piano immediato degli enti considerati come
orizzonte ultimo di comprensione della vita. I fatti e le cose
oltre i quali non si va, così come nel loro apparire quotidiano
sono utilizzati senza una comprensione del loro essere.
• Ontologico = la riflessione sull’essere dei fatti e sulla loro
significatività in ordine ad un progetto autenticamente umano.
• Esistentivo = ciò che nell’esistenza è dato innanzitutto e per
lo più, sul piano della coscienza comune.
• Esistenziale = tutto ciò che riguarda l’esistenza umana nel
suo essere proprio, cioè il poter essere della sua possibilità.
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IL “MAN” (si)
L’esistenza scaduta è condotta sul piano della
chiacchiera, del “si” dice e “si” fa, della curiosità vana
e pettegola e dell’equivoco che non va mai al fondo
delle cose in una sorta di vita anonima e priva di
significato profondo, in cui più che vivere, ci si lascia
vivere nella presa del vortice delle preoccupazioni
quotidiane. Chiacchiera, curiosità ed equivoco sono
scadimenti del discorso e imprigionano l’uomo nel
presente quotidiano, annullando ogni suo autentico
progettarsi e possedersi.
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27
La voce della coscienza
Ma nel mezzo della chiacchiera, quale condizione media e
normale dell’uomo, non tarda a farsi sentire la voce della
coscienza che richiama alla ricerca del senso del nostro vivere
e del nostro esistere permettendoci di compiere il salto
dall’esistentivo all’esistenziale.
Ciò significa riportare il nostro progettare umano alla sua
radicalità ultima, alla sua possibilità insuperabile, allo scoglio
contro il quale non si può non scontrarsi:
LA MORTE
come possibilità che tutte le possibilità divengano impossibili,
come radicale naufragio di ogni progetto mondano,
ma anche come verità ultima e ineliminabile di ogni vita e
progetto che è intrinsecamente FINITO.
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La morte
La voce della coscienza, ponendo di fronte a noi la
morte come esito inaggirabile di ogni progetto,
relativizza la portata dei nostri stessi progetti,
impedendoci di conferire alla nostra quotidianità una
dimensione assoluta che essa non può avere. Solo così
il quotidiano è posto in una prospettiva AUTENTICA,
quella del nostro essere lì lì per morire, quella del
nostro essere-alla-morte (zum Tode sein) o essere-perla-morte.
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29
Decisione anticipatrice
Ascoltando la voce della coscienza, noi possiamo
decidere di anticipare (non nel senso di suicidarsi, ma
in quello di aver sempre presente, di sapere
consapevolmente) la nostra morte, dimodoché:
“l’anticipante farsi liberi per la nostra morte affranc(hi)
dalla dispersione nelle possibilità che si intrecciano
casualmente, sì che le possibilità effettive […]
possano essere scelte autenticamente”.
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30
Il nulla possibile
• L’anticipazione della morte ci rappresenta il nulla
possibile di noi e di tutti gli altri esseri e/o cose e
rimane la nostra possibilità più propria.
• Essa è decisa a partire da una particolare situazione
emotiva, quella dell’angoscia, che è paura senza
oggetto, cioè propriamente l’atteggiamento che
nasce di fronte al nulla possibile che essa intuisce e
che la decisione anticipatrice valorizza e pone di
fronte a noi.
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31
Coraggio di fronte alla finitezza
• Assumendo per sé un atteggiamento risoluto, ci
si mette nelle condizioni di guardare in faccia
alla nostra mortalità per vivere nella
dimensione inaggirabile che ci è propria: quella
di essere progetti gettati e destinati a fallire.
Questo è il coraggio richiesto per vivere
autenticamente. Lo scadimento di tale coraggio
si ha quando si trasforma l’angoscia per il nulla
in paura di qualcosa che di volta in volta si può
fuggire
giungendo
ad
un’inautentica
tranquillità.
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32
IL TEMPO futuro
L’Esserci è possibilità. Il suo essere è dunque temporale; la
dimensione più importante della sua temporalità è il
FUTURO, cioè l’essere sempre proteso in avanti verso il suo
ad-venire.
Ma ogni progetto che realizza noi stessi lo fa a partire dal
fatto che siamo stati gettati in un mondo. Questo è il nostro
passato: il fatto che noi siamo già in un mondo. Ogni
progetto riprende il nostro passato. Dalla nostra
protensione al futuro emerge quindi il nostro passato,
poiché se noi vogliamo veramente progettarci in avanti
dobbiamo prendere tutto quello che siamo, anche il nostro
essere-già, e RILANCIARLO NEL FUTURO.
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33
Il TEMPO passato
Ma questo avvenire in quanto apertura alla possibilità
non può non tener conto che si è aperti in quanto
nessuno ha già pre-stabilito quello che noi saremo, in
quanto non vi è un da-dove che determina a priori
una direzione. Dunque l’avvenire si apre nella sua
possibilità in quanto noi siamo gettati, cioè in quanto
la gettatezza è il nostro passato: “è autenticamente
adveniente solo l’esserci che è autenticamente stato”
cioè assume la sua gettatezza come il suo autentica
passato.
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34
IL TEMPO presente
Tra futuro e passato vi è quell’affaccendarsi con
le cose che è il presente, il quale è esposto
sempre al rischio di SCADERE nella quotidianità
indaffarata, oppure di assumere l’istante come
istante della DECISIONE.
Sono questi due modi di assumere il venirincontro delle cose nel presente e del nostro
stare presso esse.
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35
Le estasi temporali
• La temporalità dell’esserci si caratterizza dunque come un
“ad-per” che si protende nella possibilità progettuale, un
“indietro verso” che riporta al proprio esser-stato originario, e
in un “essere-presso” le cose che “vengono-incontro”. Questi
elementi determinano l’esserci come tempo cioè come ciò
che fa essere l’essere fuori di sé, dunque che lo fa essere in
modo EK-STATICO.
• Il tempo è quindi l’EKSTATIKÒN: la determinazione dell’essere
dell’esserci come essere costantemente fuori-di-sé. Da tale
originaria determinazione nasce ogni possibilità di
misurazione e concettualizzazione scientifica del tempo (che è
derivata e inautentica).
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36
ESISTENZA INAUTENCA e no
• L’esistenza temporalmente inautentica fugge
la decisione anticipatrice e si preoccupa per le
cose assumendo il criterio della riuscita dei
progetti quotidiani con la cancellazione del
loro autentico sfondo temporale: la morte
(futuro), la gettatezza (passato), l’angoscia e la
decisione (presente).
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37
L’incompiutezza di Essere e tempo
• Con Essere e tempo H. giunge a definire la
temporalità come essere dell’Esserci, ma non
arriva ancora a guadagnare il senso dell’essere in
generale. Infatti l’opera rimane incompiuta, dice
H., anche e soprattutto perché mancava un
linguaggio adatto. Inoltre H. si accorge che la
prospettiva dell’indagine sull’essere a partire
dall’Esserci è ancora insufficiente.
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38
Perché l’indagine dell’essere a partire dall’esserci è insufficiente?
La differenza ontologica
(Introduzione a “Che cos’è la metafisica?”, 1935 - pubblicata nel 1953)
• L’insufficienza della prospettiva a partire
dall’Esserci è dovuta al fatto che tale indagine
sconta un residuo ontico, cioè rimane ancora
legata ad un ente e come tale rischia di
nascondere implicitamente la differenza tra
ente ed essere cioè la differenza ontologica.
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39
La differenza ontologica
L’ente è “ciò che è”. Tutte le “cose” che sono, sono enti.
L’essere è ciò che fa essere l’ente, è l’elemento, la noncosa, grazie a cui gli enti sono.
Negli enti si distingue il loro essere-cose e dietro di loro
l’essere ineffabile, incatalogabile e finora inesprimibile
che manifestandosi, concretizzandosi, “lasciandosi
essere” nelle cose le rende tali, le fa affiorare alla
presenza.
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40
L’essere non è l’ente
• L’essere dunque non va confuso con l’oggettoente, la cosa ente. L’ente è, l’essere è il ni-ente
(Che cos’è la metafisica? – 1929) cioè è il
niente di cose, il niente di oggettività concreta,
da cui però scaturisce l’ente.
• L’essere propriamente non “è” ma “si dà” (es
gibt) si offre, si manifesta nelle cose che sono,
non coincidendo però con esse.
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41
L’Esserci è un ente
• Ora malgrado la particolare importanza che ha l’Esserci, in
quanto ente che si pone la domanda sull’essere, esso rimane
pur sempre un ente. Già Essere e tempo aveva avanzato
questa idea, già lì era adombrata la differenza ontologica. Ma
si manteneva una certa fiducia nella possibilità di esposizione
del senso dell’essere a partire da un ente privilegiato.
• Successivamente H. ritiene che l’indagine vada svolta a partire
dall’essere, che debba diventare un’indagine sull’essere dal
punto di vista dell’essere e non dal punto di vista dell’uomo.
Questo è il senso della SVOLTA (Kehre).
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42
L’uomo in secondo piano
Nella Lettera sull’umanismo (1947) si afferma a chiare lettere
tale nuova prospettiva: non più l’essere in rapporto all’ (a partire
dall’) uomo, ma l’uomo in rapporto all’ (a partire dall’) essere.
Qui l’uomo diventa più passivo, diventa solo il tramite di una
rivelazione dell’essere (che solo ci consente di comprenderne
appieno il suo essere).
Così l’ontologia heideggeriana come ricerca sull’essere e non
sull’ente, non può essere qualificata come un umanismo cioè
come una filosofia che pone al centro del mondo il soggetto
umano.
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43
LA METAFISICA E IL SUO ERRARE (L’essenza della
verità – 1931-32)
La metafisica da Platone in poi ha concepito l’essere
come ciò-che-sta-di-fronte, il Gegenstand, l’ob-jectum,
cioè propriamente l’oggetto. Così ha confuso l’essere
con l’ente, ha oggettivizzato e reificato l’essere. Anche
Dio, nella scolastica, è stato pensato come nient’altro
che l’ente supremo. Riflettendo sulla storia di questo
peculiare “scadimento” del pensiero metafisico, che
cercando l’essere ha vagato (errato) fra gli enti, H. è
riportato ad una visione più autentica.
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44
La verità
Tale visione indica la verità non come
adaequatio rei et intellectus, cioè come
adeguamento del nostro intelletto alla cosa
(l’ente-cosa) e nemmeno come certitudo
(certezza che le cose stanno come io le penso),
ma come alétheia (alfa privativo + lanthàno che
significa
velare,
quindi
svelamento,
disvelamento, non-nascondimento).
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45
La verità dell’essere
La verità non sta nel pensiero del soggetto che giudica ciò che
vede (l’idea, dalla radice ID di ORÀO = vedere), ma nel
manifestarsi dell’essere attraverso l’ente, al di là e oltre l’ente
stesso (come ni-ente). I filosofi pre-socratici avevano pensato la
verità in questo modo, prima che la razionalizzazione platonicoaristotelica avesse introdotto questo elemento “giudicante” (la
verità, p. es. nel giudizio logico) che da un lato ha entificato
l’essere, dall’altro lo ha fatto dipendere dall’uomo. L’esito di tale
operazione è stato l’oblio dell’essere nella metafisica occidentale
e la progressiva centralità in essa del soggetto (metafisica della
soggettività). Il culmine di questa autoesaltazione soggettiva è
stato Nietzsche e la sua metafisica della volontà di potenza.
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46
Nietzsche (1961)
Con Nietzsche non emerge un pensiero antimetafisico,
come il filosofo di Röcken avrebbe voluto, ma poiché
l’essere è fatto dipendere dalla volontà di potenza del
soggetto, esso diventa più che mai oggetto di una
produzione, cioè della centrale volontà del soggetto. Ma la
volontà di potenza, chiusa nella dominio dell’ente risulta in
modo peculiare dimentica dell’essere. Essa, dimenticando
l’essere, vuole nient’altro che se stessa, come un motore
che gira a vuoto, e diventa una nichilistica volontà di
volontà. Questo è per H. il compimento nichilistico della
metafisica.
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47
La tecnica (La questione della tecnica –
1950)
Esito ultimo della metafisica della soggettività è la peculiare
visione dell’essere veicolata dalla tecnica. Essa non è neutra, non
è strumento che si adatta a tutti i pensieri e i fini, ma già
presuppone una data comprensione dell’essere dell’ente.
Quest’ultimo dal pensiero della tecnica è visto come “fondorisorsa” (Bestand) cioè come qualcosa che è “a disposizione” per
essere calcolato, sfruttato, manipolato, strumentalizzato a
prescindere dalla propria significatività. L’essenza della tecnica
risiede allora nel “pretende(re) dalla natura che essa fornisca
energia che possa essere estratta e accumulata”. Così la tecnica
diviene im-posizione (Gestell), costrizione, atto inquisitoriale nei
confronti della natura-oggetto, e ne disvela l’essere nella forma
più nascosta e obliata possibile.
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48
Un pensiero in ascolto
Invece che “padrone dell’ente” l’uomo deve
diventare “pastore dell’essere”, cioè mettersi in
ascolto (hörig), dell’essere che si disvela,
nascondendosi nelle cose (si disvela perché
l’essere è essere dell’ente, infatti l’ente è ciò che
è; si nasconde perché l’essere non coincide con
l’ente, ma il vedere tale coincidenza rappresenta
per noi una tentazione costante).
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49
Dove è dato comprendere l’essere?
Il disvelamento dell’essere del mondo si coglie
nel LINGUAGGIO che è la “casa dell’essere”
(Lettera sull’umanismo), ma non nel linguaggio
scientifico che misura gli enti, né nel linguaggio
inautentico della chiacchiera, bensì nel
linguaggio poetico che dà nome alle cose, le
esprime nel loro presentarsi e nel modo in cui il
loro essere “colpisce il pensiero” senza volerne
diventare un dominatore.
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50
Chi parla il linguaggio?
Ma il linguaggio è forse una creazione del
soggetto? E’ forse l’uomo che genera il
linguaggio? Bisogna farsi tale domanda
pensando a noi. Noi abbiamo prodotto la lingua
con cui parliamo? Oppure siamo da sempre
DENTRO un linguaggio. Il linguaggio è
semplicemente
uno
strumento
di
comunicazione? Oppure noi non possiamo fare
a meno di PENSARE con un linguaggio.
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Poeticamente abita l’uomo
L’uomo non parla il linguaggio, ma è parlato da esso.
Nella poesia emerge un alludere all’essere delle cose, in
una plurivocità di significati mai esauribile, che ci mette
in contatto con la loro significatività ultima e mai
riducibile a formule logiche. Chi parla nella poesia? Non
certo il poeta come soggetto, ma la poesia sembra fare
del poeta lo strumento della rivelazione di un
significato ultimo e misterioso dell’universo.
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Allora: che cos’è l’essere?
L’essere anzitutto NON è COSA (ente). Alla
luce delle riflessioni heideggeriane si può
dire che l’essere entifica l’ente, cioè lo
lascia essere, lo rende visibile, ma non
coincide con l’ente.
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Allora: che cos’è l’essere? (2)
• In secondo luogo l’essere, che di per sé non è
definibile (definibili sono gli enti), può essere pensato
come EVENTO (cfr. Contributi alla filosofia.
Sull’evento – corsi 1936-1938)
• L’evento è ciò e-viene, viene da: l’essere si dà come
evento nella storia del mondo e del pensiero. E’ il
manifestarsi di tutto ciò che è (distinto da ciò che si
manifesta) che appare come un
Destino-Geschick-dono (da schicken = inviare).
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Destino, storia e uomo
• L’essere come evento-destino sottolinea la sua dimensione
temporale e storica. La storia del mondo e dell’uomo è
quell’elemento che ci è stato inviato dall’essere come ciò che
è da pensare. In particolare l’essere si invia nella storia di chi
lo pensa, cioè dell’uomo e a lui si manifesta nel suo senso,
provocandolo a corrispondervi (la storia della filosofia è
manifestazione del senso dell’essere di volta in volta nei
concetti di fýsis, lògos, en, enèrgheia, substantia, oggettività,
soggettività, volontà di potenza (cfr. Identità e differenza 1957).
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L’oblio necessario
• Meditando su tale concetto della manifestazione storicodestinale dell’essere, si constata che l’uomo ogni volta è
stato chiamato a capire l’essere e che di volta in volta,
cercandone il senso, al tempo stesso lo ha obliato, come
è accaduto nella storia della metafisica. Ma il darsi come
obliato è pure una forma dell’evento dell’essere. Cioè
l’oblio era in qualche modo necessario perché era esso
stesso un modo di manifestarsi del senso dell’essere.
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L’evento che (si) appropria
• L’essere è il proprio dell’uomo. Ma, dell’uomo che lo pensa,
l’essere si appropria, nel senso che l’uomo ne viene
interrogato e coinvolto, cioè viene portato in una dimensione
ulteriore, che non è più suo possesso, in un significato che egli
non costruisce ma può solo ascoltare, nel pensiero che vi si
rivolge e nel linguaggio poetico che lo dice. Così l’essere e
l’uomo sono l’uno consegnati all’altro. Il “progetto” gettato di
Essere e tempo è allora approfondito come progetto gettato
dall’essere e compreso grazie all’ascolto di quell’essere che
gettando, ci chiama, si appella a noi perché vi corrispondiamo
con il pensiero e con la vita.
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Abbandono (Gelassenheit)
L’essere che così si dona, lasciando essere l’ente,
non può a maggior ragione essere dominato. Al
suo senso che si offe nel linguaggio, nella storia,
nel pensiero, nell’arte
ci si abbandona.
L’atteggiamento dell’uomo deve qualificarsi come
un silenzio che ascolta il senso dell’essere e vi si
abbandona.
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La comprensione dell’essere: ermeneutica
• Grazie al fatto che l’uomo ha da sempre compreso l’essere, è da
sempre consegnato all’essere, egli può comprenderlo. Ciò giustifica
ontologicamente quella prospettiva che già era emersa in Essere e
tempo sull’ ermeneutica. Già lì si era detto che in fondo noi
comprendiamo ciò che già sappiamo, e ogni ricerca parte sempre
da ciò che è cercato. Infatti non esiste un atto del comprendere –
che è un esistenziale cioè una caratteristica tipica dell’essere
autentico dell’Esserci - che non abbia come punto di partenza ciò
che noi già sappiamo dell’oggetto che noi vogliamo conoscere.
Senza una pre-comprensione non vi può essere una comprensione,
perché da una totale tabula rasa mentale non può venire alcuna
domanda, né alcuna ricerca.
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Nascita dell’ermeneutica come scienza del
comprendere e dell’interpretare
L’affermazione che ogni comprensione nasce da
un presupposto costituisce il punto di snodo
dell’ermeneutica contemporanea (che sarà
sviluppata dall’allievo di Heidegger Hans Georg
Gadamer nel suo testo Verità e metodo), la
quale sottolinea il fenomeno fondamentale del
circolo ermeneutico, già evidenziato in Essere e
tempo al par. 32 intitolato Comprensione e
interpretazione.
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Circolo ermeneutico
Ogni nostra conoscenza parte da un sapere, cioè da
un’idea che noi già abbiamo dell’oggetto che dobbiamo
conoscere (pre-comprensione). L’atto del conoscere non
è altro che un ritornare sulla conoscenza che noi già
abbiamo alla luce di nuove indicazioni di senso, la cui
lettura la nostra pre-comprensione orienta e definisce
preliminarmente.
Ciò significa che quando, per esempio ci accostiamo ad
un libro, noi già sappiamo di che cosa parla (anzi il più
delle volte ci accostiamo ad esso perché già sappiamo di
che cosa parla).
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Un circolo virtuoso
Il testo viene letto alla luce della pre-comprensione che determina
in anticipo una gamma di significati possibili e disponibili. Il circolo
che così si dispiega non è però vizioso: «Se si vede in questo circolo
un circolo vizioso e si si mira ad evitarlo o semplicemente lo si sente
come un’irrimediabile imperfezione, si fraintende la comprensione
da capo a fondo» (ET, 32). Il testo è un’esperienza che può urtare
contro la nostra pre-comprensione, in ogni caso la rinnova, e
istituisce nuovi sensi. Così noi sappiamo già, ma ogni esperienza
orienta nuovamente i significati, pur non prescindendo mai dai
presupposti di partenza (ciò significa che rende questi ultimi
espliciti in una determinata direzione).
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Stare nel circolo
• «L’importante, dice Heidegger, non sta nell’uscir fuori
dal circolo, ma nello starvi nella maniera giusta [cioè
in modo che] l’interpretazione comprenda che il suo
compito primo, durevole e ultimo, è quello di non
lasciarsi mai imporre, pre-disponibilità, pre-veggenza
e pre-cognizione (cioè la pre-comprensione, n.d.r.)
dal caso o dalle opinioni comuni, ma di farle
emergere dalle cose stesse, garantendosi così la
scientificità del proprio tema» (ET, 32).
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Non farsi imporre la precomprensione
• Non farsi imporre la pre-comprensione vuol
dire assumere consapevolmente la tradizione
in cui si è da sempre inseriti, e conoscerla in
modo critico, nei suoi snodi fondamentali e
nelle sue aporie, in modo che emerga sempre
il tentativo di costruire una scienza che faccia
emergere la verità dalle cose stesse e non da
un’ inconsapevole credulità
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L’ultimo Heidegger
• Come abbiamo visto l’ultimo Heidegger, insiste sul linguaggio e dunque
anche sulla questione ermeneutica, sulla poesia, sui temi dell’essere come
e-vento e destino appropriante-espropriante. In tale fase della sua
riflessione il nostro filosofo tende a promuovere un approccio molto
evocativo, suggestivo ai problemi filosofici con un linguaggio denso di
neologismi, talora esso stesso tendente ai toni poetici, molto lontano dallo
stile apofantico della prosa filosofica normale.
• Esempio di questo modo di procedere è il testo, per molti versi oscuro, sul
tema della «cosa»…
• Che cos’è realmente una «cosa». Heidegger tratta il tema partendo dalla
comprensione di un oggetto di uso comune, una brocca e nel corso di una
trattazione quasi oracolare giunge a definirne l’essenza.
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LA COSA
L’essenza della brocca, in quanto cosa, cosa è “il puro offrente riunirsi della semplicità
della Quadratura in un permanere”. Forse alla luce di quanto si è detto è possibile
leggere questa criptica definizione heideggeriana (che come tale può essere
interpretata nei modi più svariati, qui proviamo solo ad avanzare una tra le tante
ipotesi possibili).L’essere della cosa può solo essere detto con il termine coseggiare,
perché è appunto indefinibile. MA nella sua essenza vi è la Quadratura che si offre in
un permanere. La quadratura sono i Quattro: cielo, terra, divini e mortali come
immagine di tutto quanto è possibile pensare, il mondo immanente e qualsiasi
immagine di trascendenza-profondità, significatività ulteriore, possiamo farci. Si
tratterebbe dunque del Tutto, il tutto che viene al nostro pensiero “in un permanere”
cioè in qualcosa di concreto come l’ente che sta qui davanti a noi. In ogni cosa vi è il
mistero di una quadratura, di una totalità d’essere che si disvela nel suo senso
nascosto e inesauribile, che non può essere detto con definizioni, ma può essere
indicato, accennato con la parola poetica e l’arte su cui il pensiero riflette ascoltando.
Il tutto è nel frammento,il tutto dell’universo si dà nella più piccola delle cose, si offre
a noi allo stesso tempo svelandosi e nascondendosi nel suo essere.
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Una filosofia apofatica
L’essere, lo si evince da quanto abbiamo appena detto, è
insomma l’indicibile - apofatico, non definibile
positivamente - che solo la poesia può dire, pur in modo
parziale e non in grado di esaurire la sua significatività. Il
mondo è un’immensa trama poetica di cui noi ci
dobbiamo mettere in ascolto, non con la voglia di
dominarlo, ma con l’intento di accoglierlo e di
corrispondervi. Corrispondere significa guardare ad un
significato che si disvela - come quando noi cerchiamo di
capire una terzina dantesca - e all’appello che viene da quel
significato per il nostro comportamento e la nostra vita.
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HEIDEGGER:il darsi dell`essere