Comunità per minori
1
•
•
•
•
•
Introduzione
Organizzazione delle comunità
Rapporto con le famiglie
Interazioni nelle comunità
Comunità come Ambiente Terapeutico Globale
2
introduzione
Tipologie di strutture
• In base alla normativa attuale si distinguono le
seguenti strutture:
a. comunità educativa
b. comunità di pronta accoglienza
c. comunità familiare
d. comunità alloggio
3
introduzione
Tipologie di strutture
• Comunità educative
– L’azione educativa è svolta da un gruppo di operatori
professionali (sono dei lavoratori); accetta, mediamente sul
territorio nazionale, intorno a 10 ospiti.
• Comunità di pronta accoglienza
– Accolgono minori in situazioni di emergenza, senza un piano
preventivo di accoglienza; permanenza breve (30/40 giorni) per
il tempo necessario a trovare una sistemazione più idonea;
accolgono in genere i MSNA (Minori Stranieri Non
Accompagnati): minorenne non di cittadinanza italiana, che si
trova sul territorio italiano e che non ha presentato domanda di
cittadinanza, senza un adulto che lo assisti o lo rappresenti
(genitori o altri) e che siano legalmente responsabili in base alle
leggi italiane.
4
introduzione
Tipologie di strutture
• Comunità di tipo familiare (o case famiglia)
– Strutture nelle quali l’attività educativa è svolta da due o più
adulti che vivono con i minori presenti, eventualmente
insieme ai propri figli, e che ne assumono la funzione
genitoriale; gli adulti sono, in genere, un uomo ed una donna;
possono svolgere attività professionale esterna e possono
essere aiutati, internamente alla struttura, da professionisti
retribuiti.
• Comunità alloggio
– Strutture che accolgono piccoli gruppi di neomaggiorenni, che
sono sostenuti verso un itinerario di autonomia attraverso
azioni educative che non hanno statutariamente un carattere di
continuità.
5
introduzione
Due caratteristiche comuni
• Tempo definito dell’accoglienza; i minori
possono permanere nella comunità per un
periodo di due anni;
• familiarità nella conduzione degli interventi:
gestione e routine familiare dei tempi e degli
spazi (non deve essere una istituzione totale).
6
introduzione
Familiarità per
• Offrire un clima di cura e protezione per la
promozione dell’identità personale e culturale del
minore;
• offrire sostentamento materiale;
• migliorare le capacità di comportamento e le
competenze sociali;
• aiutare i minorenni e i neomaggiorenni ad uscire dalla
comunità con migliori capacità e supporti (sociali,
economici, ….) per entrare con più sicurezza e
possibilità di successo in una nuova fase o nell’età
adulta.
7
introduzione
Due fasi nel percorso
• Internamente alle comunità per minori si individuano
due fasi riferibili al mantenimento del rapporto con il
contesto di origine:
– fase valutativa nella quale la comunità svolge una
azione di supplenza della famiglia di origine e ne
valuta i rapporti con il minore, eventualmente
proteggendolo;
– fase di affiancamento nella quale, qualora sia stato
individuato un percorso di ricongiungimento, la
comunità opera per far assumere (riassumere) ai
genitori il loro ruolo e le loro relative competenze. 8
introduzione
Requisiti per le comunità
• È ampio il dibattito su come valutare l’operato
delle comunità; a volte si stabiliscono dei criteri
però poi non ci sono strumenti per valutarli; ad
esempio spesso si ritiene indice essenziale una
adeguata formazione degli operatori, però rimane
aperto il problema di riuscire a valutarla.
• Ci sono comunque dei requisiti minimi, a livello
nazionale, che le comunità debbono rispettare
(D.M: 21/05/2001, n. 308):
9
introduzione
Requisiti per le comunità
• Ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili con l’uso
di mezzi pubblici, comunque tale da permettere la
partecipazione degli utenti alla vita sociale del territorio e
facilitare le visite agli ospiti delle strutture;
• dotazione di spazi destinati ad attività collettive e di
socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da
letto, organizzati in modo da garantire l’autonomia
individuale, la fruibilità e la privacy;
• presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate,
in relazione alle caratteristiche e ai bisogni dell’utenza
ospitata;
• presenza di un coordinatore responsabile della struttura;
10
introduzione
Requisiti per le comunità
• adozione di un registro degli ospiti;
• predisposizione per gli stessi di un progetto educativo
individuale; il progetto deve indicare: gli obiettivi da
raggiungere, i contenuti e le modalità dell’intervento,
il piano delle verifiche;
• organizzazione delle attività nel rispetto dei normali
ritmi di vita degli ospiti (una comunità non è una
istituzione totale);
• adozione, da parte del soggetto gestore, di una Carta
dei servizi sociali, per indicare alla collettività il
servizio che offre.
11
introduzione
Nuove emergenze per le comunità
• Ritorno in comunità di soggetti provenienti da adozioni o affidi
falliti (stimato intorno al 30% dei soggetti attualmente in comunità);
diventano soggetti rifiutati due volte: dalla famiglia di origine e da
quella affidataria/adottiva; per loro lavoro educativo particolarmente
impegnativo;
• presenza di minori stranieri che ha spinto gli educatori a riformularsi
sugli aspetti educativi e anche su quelli di accettazione
interculturale;
• crescente numero di neomaggiorenni fuori famiglia e questo fa
interrogare sull’opportunità di esaurire gli interventi con il
raggiungimento della maggiore età;
• il tasso crescente di accoglienze madre-bambino richiede nuove
competenze educative (ad es. la maternità).
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organizzazione delle comunità
Comunità di pratica
• “Le comunità per minorenni sono sistemi sociali
organizzati dove le conoscenze, le competenze e le
pratiche sono distribuite fra le persone e le cose nel
tempo e nello spazio”*.
• Tali comunità sono assimilabili alle comunità di pratica
(Lave e Wenger) che sono caratterizzate da:
– un’impresa comune: argomento (obiettivo) che accomuna i
membri che partecipano e che può evolversi;
– un impegno reciproco: che stimola alla condivisione di idee ed
alle interazioni;
– un repertorio condiviso di azioni, linguaggi, pratiche, strumenti
(ideali e materiali).
13
Saglietti M.,Organizzare le case famiglia, Carocci, 2012
organizzazione delle comunità
Comunità di pratica
• Le comunità di pratica si formano, evolvono, muoiono e, per essere tali e
non semplicemente dei ‘gruppi’, si organizzano intorno ad un obiettivo
comune (impresa comune); si cementano attraverso continue negoziazioni
di significato, realizzate dagli stessi membri e facilitate dalla comune
volontà di stare insieme, di conoscersi e di vivere l’esperienza in modo
significativo (impegno comune).
• Queste comunità generano: un dominio di conoscenza comune, raggiunto
attraverso la continua negoziazione di significato; la partecipazione e la
reificazione* all’interno della comunità stessa; l’interazione continuativa
nel tempo tra i membri e l’impegno reciproco tra di loro [Wenger E., 2006].
• Sono gruppi sociali che mirano alla collaborazione e alla condivisione e
che costruiscono conoscenza in un processo che vede i loro appartenenti
accedere a essa e produrne di nuova.
*“processo che dà forma alla nostra esperienza producendo oggetti che solidificano questa esperienza in una qualche cosa”
14
organizzazione delle comunità
• In definitiva una comunità per minori ha un
obiettivo comune, l’educabilità dei minori, che
realizza attraverso un impegno comune degli
operatori, utilizzando degli “attrezzi” condivisi
(idealità educative, strategie educative,
strumenti, …).
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organizzazione delle comunità
Preoccupazioni[1]
• Dire che le comunità per minori sono dei sistemi sociali
organizzati non deve destare preoccupazioni;
• non si parla di istituzioni nel senso di istituzioni totali alla
Goffman; forse nei vecchi istituti per minori si rintracciavano
quelle caratteristiche:
– “primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono sotto lo stesso
luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle
attività giornaliere si svolge a stretto contatto con un enorme
gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte
obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle
attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un
ritmo prestabilito, […] appositamente designato al fine di
adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione.”
16
organizzazione delle comunità
Preoccupazioni[]
• Non si parla nemmeno di aziende orientate ad
attività economiche dedite agli affari; questo
tentativo spesso sottende la volontà di
delegittimare l’azione educativa messa in atto
dalle comunità; certe volte, tuttavia, questo
tentativo si sposa con una inconsapevole
delegittimazione del proprio lavoro di educatore a
causa di una visione personalistica del fatto
educativo che riconduce tutto ad una relazione
affettiva personale ed esclusiva con il minore
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organizzazione delle comunità
Fragilità[1]
Le comunità, comunque, presentano delle fragilità:
• Una inadeguata distribuzione del lavoro: alti
carichi di lavoro, tempi di lavoro e di vita a volte
inconciliabili, orari lunghi, scarsa mobilità,
percorsi di carriera non ben definiti.
• Alto tasso di turn over degli operatori: costo
enorme per la comunità (nuova formazione,
perdita di competenze, frantumazione del gruppo
di lavoro), si genera anche una ricaduta non
positiva sulla riuscita dell’intervento educativo;
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organizzazione delle comunità
Fragilità[2]
• Rischio di sviluppare la sindrome del burn out: Il burn out o
sindrome da burn out è un processo stressogeno, spesso legato
alle persone che si occupano di aiutare il prossimo nella sfera
sociale, psicologica, etc. Questi sono caricate da una duplice
fonte di stress: il loro personale e quello della persona aiutata. Se
non opportunamente trattate, queste persone cominciano a
sviluppare un lento processo di "logoramento" o" decadenza
"psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per
sostenere e scaricare lo stress accumulato. Letteralmente burnout
significa proprio "bruciare fuori". Dunque è qualcosa d’interiore
che esplode all’esterno e si manifesta. Il Burn out è spesso legato
alle difficoltà di realizzare una comunità di pratica in quanto non
è ben chiaro quale sia l’impresa comune e quale l’impegno
comune.
19
http://www.ipasvi.laspezia.net/pubblicazioni/newsletter/burnout.pdf
organizzazione delle comunità
Fragilità[]
• Scarsità di documentazione organizzativa prodotta:
non si rende visibile e accessibile il proprio lavoro,
così ne risente l’inserimento dei novizi (Un novizio
che si avvia ad imparare un mestiere, una professione,
una pratica è in una posizione di "partecipazione
periferica legittimata“(Lave e Wenger), ma la sua
posizione diviene sempre più centrale quanto più
l'esperienza e la partecipazione gli consentono di
sviluppare abilità e conoscenze, cioè competenza
(Pellerey).
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organizzazione delle comunità
La leadership[1]
• Spesso si rimuove la presa di coscienza dell’importanza di una
leadership; spesso sembra che si ignori che esistano meccanismi di
potere, di controllo sociale, di presa di decisioni si pensa che la
leadership possa essere ricondotta ad una operazione che
tacitamente sceglie il leader secondo carisma o fascinazione e tendo
conto di appartenenza ad identiche fedi ideali;
• si ricorre ad una esagerazione della prevalenza di coordinamento
sociale, esageratamente basato su rapporti amicali e di sostegno
reciproco, sul collante di una identica fede ideale che è espressa dal
leader;
• Si finisce per preferire una gestione basata su personalizzazione;
• si dimentica che lo scopo ultimo è avere scopi comuni che tendono
alla educazione di minori, e diviene prevalente sperimentare azioni
collettive.
• Invece …..
21
organizzazione delle comunità
La leadership[2]
• esercitare la funzione di coordinamento significa tenere
le redini di ciò che succede all’interno e avviare,
coltivare rapporti on il mondo esterno (sociale, politico,
economico);
• significa saper vivere dentro un sistema complesso per
trarre sostentamento e vita per la comunità;
• occorrono: flessibilità, saper creare un gruppo affiatato,
alimentare l’affiatamento, saper vivere nel tessuto
sociale a contatto con le rete che può garantire la
sopravvivenza, saper operare sul piano educativo per
comprendere le esigenze dei minori.
22
organizzazione delle comunità
La leadership[3]
In definitiva il coordinamento impone:
• la gestione delle risorse umane (assunzioni,
ferie, turnazione, dimissioni del personale, chi
fa cosa, i sistemi di avanzamento della carriera
e di premio, …)
• il sostenere l’organizzazione a livello sociopolitico-economico;
• la gestione della cura e dell’azione educativa.
23
organizzazione delle comunità
La leadership[]
• Il coordinatore (leader) è tutt’altro che una
figura basata sullo spontaneismo e non può
essere delegata ad assemblee familistiche, ma
deve racchiudere in sé consapevolezza,
sicurezza, capacità manageriali e di
osservazione e gestione dei processi
educativi*; il tutto con una flessibilità
cognitiva ed operativa che permetta di gestire i
complessi sistemi di interazione interna ed
esterna.
24
* in collaborazione con specifiche figure
organizzazione delle comunità
Il volontario e il nuovo educatore[1]
• La figura del volontario da inserire nella comunità
offre interessanti spunti di riflessione con l’aiuto
del costrutto teorico delle comunità di pratica e,
in particolare, della partecipazione periferica
legittimata (Lave, Wenger). Questa analisi può
essere riferita anche alla figura di un educatore
che, inesperto, entra nella comunità (in questo
caso si pensa ad un educatore inesperto nei servizi
nelle comunità e non a un nuovo educatore
‘trasferito’, che avrebbe solamente da conoscere
le abitudini della nuova ma conosce i ferri del
mestiere).
25
organizzazione delle comunità
Il volontario e il nuovo educatore[2]
• “Un’identità non è un’idea astratta o un’etichetta,
come un titolo, una categoria etnica o un tratto
personale. È l’esperienza vissuta di appartenere
[…]”
.
• “la partecipazione periferica legittimata postula
che un novizio, ovvero un volontario o un nuovo
educatore, occupi inizialmente una posizione
periferica rispetto alle attività della comunità
(siano esse pratiche, materiali o discorsive)
perché immerso in un processo di apprendimento
i cui esiti non possono dirsi certamente scontati.”
(Wenger, 2006, pag. 43-44)
(Saglietti M., Organizzare le case famiglia, Carocci, 2012)
26
organizzazione delle comunità
Il volontario e il nuovo educatore[3]
• Ovvio che occorre prestare la massima attenzione
all’inserimento di nuove persone nella vita sociale
e lavorativa della comunità e per un buono
sviluppo competenziale del nuovo ma, e
soprattutto, per l’equilibrio dell’intera comunità;
• occorre, quindi, individuare quali possano essere i
luoghi da frequentare inizialmente, le attività da
svolgere e può essere utile o, forse, necessario
prevedere degli opportuni passi formativi iniziali.
27
organizzazione delle comunità
Il volontario e il nuovo educatore[]
• Al nuovo vanno garantiti tempi per capire
l’orizzonte educativo, il linguaggio, le pratiche, le
modalità di interazione, il modo di interpretare il
mondo interno; in definitiva deve poter capire
quale sia lo stile dello “stare dentro” quella
comunità;
• “Al volontario [o nuovo educatore], vanno
concessi […] spazi pensati che possano tollerare il
suo graduale apprendimento organizzativo, fatto
di prove, errori, ripartenze, piccole conquiste,
acquisizioni, innovazioni.” (ibidem)
28
organizzazione delle comunità
Domande da porsi
• Pensando di essere un educatore già inserito, in presenza di un nuovo,
potrebbe essere utile porsi le seguenti domande:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Quali risorse rappresenta il volontario [nuovo educatore] per la mia
comunità/servizio?
Quali problemi?
In quali attività della giornata/del servizio è inserito? Per quali ragioni?
In quali momenti della giornata? Perché?
Di quali strumenti è dotato il volontario per interpretare la realtà, il
linguaggio, i riti della comunità di pratica?
Quale formazione è offerta al volontario per comprendere meglio che cosa
succede in comunità?
Quali sono gli strumenti offerti per sintonizzarsi sulle pratiche degli
educatori?
Come posso rendere il volontario [nuovo ..] attivamente competente nella
logica di una partecipazione adeguata al suo ruolo e gradualmente sempre
meno periferica?
29
organizzazione delle comunità
• Strumenti, comunque previsti dalla normativa,
idonei per orientare un nuovo verso la vita
nella comunità sono:
– il progetto quadro;
– il progetto educativo della generale delle comunità;
– il progetto educativo individualizzato;
– il diario di bordo;
• può essere anche utile l’agenda degli operatori.
30
organizzazione delle comunità
Progetto educativo generale[1]
•
•
•
•
•
modalità di realizzazione del progetto educativo individualizzato (concordato e
condiviso con il minore e la sua famiglia, dove possibile, con l’Ufficio di Servizio
Sociale per i Minorenni ed i Servizi territoriali coinvolti nella presa in carico);
modalità sostegno psico-socio-educativo del minore attraverso il lavoro di rete con i
Servizi Minorili, Territoriali e del privato sociale, finalizzato all’inserimento
scolastico, sociale e lavorativo ed in particolare alla realizzazione di interventi di
educazione alla legalità, coerenti con i singoli progetti educativi individualizzati;
modalità organizzazione e realizzazione di attività sportive, ricreative, artistiche e
formative, ed incentivazione della partecipazione del minore ad attività socioeducative e ludico-ricreative presenti sul territorio;
modalità di eventuali orientamenti formativi del minore, finalizzati all’acquisizione
di competenze professionali e all’avviamento al lavoro, attraverso la partecipazione
a progetti e laboratori sul territorio e tirocini;
modalità di integrazione e collaborazione con la rete territoriale dei servizi e del
privato sociale, in particolare per favorire i percorsi formativi e di inclusione
lavorativa;
31
organizzazione delle comunità
Progetto educativo generale[2]
• indicazioni sulla cura della salute del minore attraverso attività di
prevenzione, visite periodiche presso il medico curante del quale dovranno
essere seguite le eventuali indicazioni terapeutiche;
• modalità di gestione di particolari momenti di crisi del minore derivati da
difficoltà di adattamento o da situazioni pregresse e/o contingenti;
• modalità di sostegno alla genitorialità, rivolto alle famiglie dei minori
ospitati, attraverso l’intervento mirato dello psicologo del Servizio;
• indicazioni sul sostegno educativo finalizzato a guidare il rientro del
minore in famiglia e nel proprio contesto di appartenenza nell’imminenza
delle dimissioni e, successivamente alle stesse, attraverso un servizio di
educativa domiciliare;
• modalità di collaborazione dell’equipe alla gestione delle dimissioni dei
minori in connessione con gli uffici di servizio sociale ai minorenni;
32
organizzazione delle comunità
Progetto educativo generale[3]
• modalità di predisposizione della cartella sociale del
minore, contenente tutta la documentazione psicosocioeducativa del minore, giudiziaria e sanitaria;
• modalità di predisposizione della scheda di ingresso del
minore, compilata dal Responsabile della Comunità in
coerenza con la documentazione e/o le informazioni sul
minore che gli uffici di servizio sociale ai minorenni
forniranno alla Comunità;
• modalità di predisposizione della scheda di osservazione
del minore, elaborata dallo Psicologo della comunità in
raccordo con gli uffici di servizio sociale ai minorenni e
compilata dall’educatore di riferimento, dopo una prima
osservazione del minore (un mese dall’ingresso), con
riferimento alle aree di programmazione del P.E.I;
33
organizzazione delle comunità
Progetto educativo generale[]
• modalità di strutturazione e compilazione de diario di
bordo dove si registrerà giornalmente l’attività svolta
dai minori ed in particolare ogni evento significativo
ai singoli percorsi di sostegno e recupero;
• presentazione della struttura;
• presentazione dei tempi della giornata in comunità;
• modalità di predisposizione di quant'altro occorra per
assicurare il regolare funzionamento della struttura e
per le necessità degli utenti; un esempio (da
conoscere).
34
organizzazione delle comunità
Progetto educativo individualizzato[1]
• Per ogni accoglienza va creato, aggiornato e condiviso un
PEI contenente obiettivi, modalità di intervento educativo e
anhe metodi di verifica (legge 149/2001, D.M. 308/2001,
art. 5).
• Informazioni contenute in un PEI:
1. Dati anagrafici,
2. Obiettivi del progetto, motivazioni dell’intervento, durata;
3. Data e motivazione dell’inserimento nella struttura;
4. La composizione familiare;
5. La situazione sanitaria;
6. La situazione scolastica/lavorativa.
35
organizzazione delle comunità
Progetto educativo individualizzato[]
• Viene compilato dopo un periodo di osservazione;
• È una struttura dinamica, che può essere modificato nel tempo in base
all’evoluzione del minore, ma anche in base a revisioni/sistemazioni
teoriche degli operatori; ciò che si scrive nel PEI è strettamente
connesso con la visione professionale degli operatori; in genere si
scrive a più mani ma, anche quando viene scritto da un solo operatore,
riflette necessariamente la storia di percorsi sociali che si è tradotta in
teorie; inoltre diventa uno strumento per il gruppo.
• È un atto professionale che si realizza nella relazione fra educatori e
minore;
• Un PEI diventa uno strumento indispensabile per ciascun nuovo
operatore: attraverso esso entra in contatto con la comunità, con i suoi
trascorsi di teorie e repertori educativi, con le pratiche professionali
degli altri educatori; nel suo percorso dalla periferia verso il centro il
nuovo potrà significativamente giovarsi del PEI.
36
organizzazione delle comunità
Domande da porsi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Quali contenuti sono rilevanti per il PEI?
Che finalità ha all’interno delle mie pratiche quotidiane?
Quali obiettivi?
Chi lo scrive? Attraverso quali fasi? Con quali tempi? Dopo quanto tempo
dall’inserimento del minore?
Quali destinatari? È possibile un coinvolgimento del minore e della sua famiglia?
Il PEI rappresenta un documento di sola interazione interna o una risorsa per la
rete (scuola, assistenti sociali, ..)?
Quali e quanti aggiornamenti? Ogni quanto tempo? Per quali ragioni?
Come e in quale misura condivido il PEI con i miei colleghi? In quali
occasioni/momenti dedicati? Come lo aggiorniamo insieme?
Come sono inseriti elementi e indicatori per la valutazione del cambiamento del
minore?
Quali indicatori sono segnalati per la verifica delle azioni educative intraprese con
il minore?
Quali azioni educative e organizzative apporto per ogni PEI e come strutturo il
lavoro mio e dei miei colleghi?
37
organizzazione delle comunità
Diario di bordo
• Diario dove si registrerà giornalmente l’attività
svolta dai minori ed in particolare ogni evento
significativo ai singoli percorsi di sostegno e
recupero;
• gli operatori vi verbalizzano quotidianamente i
fatti accaduti nell’arco della giornata, significativi
rispetto al percorso del minore;
• possiamo definirlo come il passaggio di consegne
tra i membri dell’equipe ed allo stesso tempo
l’espressione per i minori di un unico
interlocutore con cui relazionarsi.
38
organizzazione delle comunità
Agenda degli educatori
• È uno strumento organizzativo; in esso
vengono annotati gli impegni e le
comunicazioni fra i soggetti della comunità;
• Contiene, in genere, messaggi:
– rivolti ad altri educatori,
– rivolti al generico lettore dell’agenda,
– che dialogano con altri.
39
organizzazione delle comunità
Gli spazi[1]
• Le norme nazionali stabiliscono, in riferimento alla
strutturazione degli spazi, prevedono solamente che le strutture
debbono essere facilmente raggiungibili e debbono prevedere
spazi di socializzazione distinti dalle camere;
• Comunque le diverse associazioni di comunità hanno stabilito
una serie di norme così riassumibili:
– spazi distinti per équipe educativa, comunità e ragazzi;
– locale adeguato come cucina;
– limite massimo di tre posti letto per stanza;
– un locale comune accessibile a tutti;
– almeno due bagni (di cui uno accessibile ai disabili),
– attrezzature accessibili ai disabili.
40
organizzazione delle comunità
Gli spazi[2]
• In definitiva, si possono distinguere in spazi:
– per educatori (sia privati che di lavoro)
– comuni, accessibili sia singolarmente che in gruppo,
– privati per i minori.
• Occorrerebbe rifuggire dalla logica del panopticon,
dove tutto è controllabile; se non esiste uno spazio per
le riunioni degli educatori, queste dove si tengono?
Nella cucina o nella stanza da letto dell’educatrice
(delle educatrici)? Se l’educatore deve rispondere ad
una telefonata su un minore, dove si rifugia in bagno o
nella stanza di una collega (se ad esempio l’educatore
non ‘risiede’ nella comunità)?
41
organizzazione delle comunità
Gli spazi[]
• La mancanza di un luogo privato riservato al
gruppo di lavoro, rivela una mancanza di senso
della natura organizzativa della comunità.
Sembrerebbe che tutto debba essere ricondotto
ad azioni singole, isolate, a responsabilità
educativa personale.
42
organizzazione delle comunità
Domande da porsi
• Nella struttura dove lavoro, gli spazi sono pensati e organizzati
adeguatamente?
• Quali sono e come sono strutturati gli spazi privati per gli
educatori?
• Quali sono e come sono strutturati gli spazi privati dei ragazzi?
• Come sono gestite le chiavi delle stanze e della casa?
• Come sono strutturati gli spazi comuni e quali attività rendono
possibili (giochi, cene con ospiti, compiti insieme, …)?
• Quali opzioni per migliorarli nel loro utilizzo pratico,
• Quali innovazioni si possono apportare (nella strumentazione,
nelle decorazioni, nelle proposte di nuove attività) si possono
apportare?
43
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
• È riconosciuto, negli studi in campo
psicologico, sociologico e pedagogico, che un
significativo legame fra comunità e famiglia
costituisca di per sé una buona possibilità di
successo del processo di evoluzione e della
famiglia e del figlio allontanato.
• Tale buon rapporto non matura
spontaneamente ma occorre mettere in atto
opportuni interventi.
44
In questo contesto non si fa riferimento a quelle famiglie che ‘si ritiene’ non siano più adatte a realizzare una prospettiva educativa per il minore)
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
• Pensare di mantenere dei forti contatti con la famiglia di origine,
significa porsi nella logica di finalizzare l’azione educativa alla
riunificazione familiare (negli Stai Uniti il 57% dei minori rientrano
in famiglia, in Italia il 52%);
• occorre considerare il rientro in famiglia come prodotto finale e
come processo;
• considerarlo come processo significa pensare al periodo nella
comunità come spazio/tempo aperto a continue interazioni con i
genitori per riabituarli alla genitorialità (abituarli ad una migliore
genitorialità) e a radicare nel minore la piena appartenenza alla
propria famiglia;
• così facendo si realizza una connessione del ragazzo con la propria
storia ed una costruzione di un maggior senso di identità.
45
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
• La comunità non metterà in campo momenti e
strategie di cura rivolte al minore, ma anche alla
famiglia;
• la comunità può operare sulla quotidianità: cioè
sulla possibilità di conoscere il minore nella sua
vita quotidiana, di osservarlo, di capirlo;
acquisisce delle informazioni che possono essere
narrate al genitore, restituendo una immagine che
probabilmente è diversa da quella che il genitore
ha costruito.
46
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
• Nella sua relazione (professionale) con il minore, sostenuta da
osservazioni (professionali), l’educatore assume continue
informazioni che lo aiutano nella costruzione del suo profilo; il
genitore (precedente) forse distratto non ha compreso come suo
figlio si comporta in determinate situazioni, non ha capito e/o non
ha conosciuto le sue conquiste e le modalità per raggiungerle; il
racconto dell’educatore può fornirgli punti di vista differenti,
ottiche nuove, la possibilità di analisi multiple delle situazioni, in
definitiva restituisce una immagine probabilmente nuova per il
genitore; una immagine che può far capire che esistono approcci
relazionali diversi, che può permettere una ricostruzione del
proprio profilo genitoriale.
47
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
• Operando in questo modo la famiglia diviene
la protagonista del processo di intervento sul
minore; ciò comporta che anche essa diventi
soggetto da rieducare.
• Esistono, comunque, due modelli che
esplicitano il rapporto con la famiglia: quello
sostitutivo e quello coevolutivo
48
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
modello sostitutivo
• In questo caso la famiglia è considerata inadeguata e dannosa; l’educatore
“riconosce la significatività delle relazioni familiari per l’utente e
l’influenza che esse esercitano su di lui, ma non considera la famiglia una
risorsa per potenziare gli interventi promossi dagli operatori. Nel modello
della sostituzione, la famiglia diventa infatti un soggetto da contrastare:
l’operatore concepisce infatti il proprio intervento come alternativo o
correttivo rispetto a ogni possibile influenza esercitata dalla famiglia
dell’utente. […] Tale influenza viene contrastata tramite l’inserimento
dell’utente stesso in un ambiente, quello dell’operatore, che invece è
ritenuto adeguato a fornirgli le risorse di cui abbisogna; la richiesta più o
meno esplicita che viene fatta alla famiglia è quella di astenersi dal
prendere iniziative, permettendo così all’operatore di condurre in porto
l’intervento progettato. […] Nel modello della sostituzione, la valutazione
di inadeguatezza della famiglia costituisce una sanzione senza possibilità di
appello” (Fruggeri L., 1997, Famiglie. Dinamiche interpersonali e processi psio-sociali, Carocci, Roma, citato in
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 128)
Come già detto in precedenza, in questo contesto non si fa riferimento a quelle famiglie che ‘si ritiene’ non siano più adatte a realizzare una 49
prospettiva educativa per il minore)
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
modello sostitutivo
• In questo modello, che risente di stili di
conduzione di esperienze educative tipiche di
precedenti strutture per minori, è maggiore la
presenza di elementi riferibili alle istituzioni
totali e al controllo tipico del panopticon.
50
comunità e famiglia
Domande
51
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 129
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
modello coevolutivo
• In questo modello l’azione educativa ha una dimensione
maggiormente sistemica in quanto include anche il
contesti familiare (i contesti familiari); questi vengono
coinvolti fin dall’inizio e i contatti proseguono durante
l’intervento, producono riprogettazioni in itinere.
L’operatore è consapevole che qualunque suo intervento è
familiare, a partire dall’allontanamento, per proseguire
con tutte le attività di cura dentro alla comunità, per
proseguire e concludersi con gli interventi che tendono a
far riacquistare ai genitori la loro funzione di genitorialità
che ha come fine il ritorno del minore nella sua famiglia
di origine, ora ‘rivista’ e ‘aggiornata’.
52
comunità e famiglia
Comunità e famiglia
modello coevolutivo
• “qualunque intervento attuato da un servizio, anche se a
favore di una singola persona, oltre a produrre effetti su
di essa avrà implicazioni sui suoi legami significativi,
assumendo così il significato di evento in grado di
influenzare inevitabilmente il nucleo familiare nel suo
complesso. Per evitare che la propria azione risulti
inefficace, se non addirittura dannosa […] l’operatore
deve essere consapevole che non è nella relazione
diadica con l’utente, bensì all’interno di un più ampio
sistema di relazioni, di cui egli è parte costitutiva, che si
costruisce il significato dell’intervento” (Fruggeri L., 1997, Famiglie.
Dinamiche interpersonali e processi psio-sociali, Carocci, Roma, citato in Saglietti M., 2012, Organizzare le case
famiglia, Carocci, Roma, pag 130)
53
comunità e famiglia
Per
impostare
una azione
coevolutiva
54
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pagg. 130, 131
comunità e famiglia
Per impostare una azione coevolutiva
55
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pagg. 130, 131
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
• Secondo la normativa italiana una comunità
per minori deve mettere in campo
“organizzazioni e rapporti interpersonali
analoghi a quelli di una famiglia” (L.
149/2001, art. 2).
• è facilmente intuibile che, rifacendosi a
contesti familiari, si mettono in campo diverse
modalità con le quali le famiglie impostano
questi rapporti.
56
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
• È possibile individuare due essenziali filoni di analisi:
– modello direttivo (centripeto);
– modello aperto.
• Nel primo caso si fa riferimento ad un sistema rigido
nel quale le interazioni e le azioni educative sono
guidate e lo sono da un adulto, nel secondo caso si fa
riferimento ad un sistema non rigido nel quale vige una
modalità di interazione alla pari, maggiormente
discorsiva, che riconosce i diversi ruoli presenti nel
sistema, che riconosce ruoli di supporto educativo fra
pari (minori).
57
interazioni in comunità
Domande
• Nel mio servizio gli operatori sono in grado di parlare non
solo ai ma anche con i minori?
• Quali spazi di autorialità sono concessi ai ragazzi e per
quali ragioni?
• ………………..
• ……………..
• Come si utilizzano i discorsi, le domande, gli interessi, …
dei ragazzi? Come occasione di discussione collettiva?
• Quali sono i margini per i ragazzi di essere peer educators?
• ……………….
• ……………
• …….
58
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pagg. 147, 148
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
Modello direttivo
• Facendo riferimento alle interazioni discorsive, il modello ha le
seguenti caratteristiche:
– la modalità degli interventi è da uno a molti;
– l’adulto è al centro dell’interazione, la gestisce, è lui che
comunica ed è a lui che preferibilmente vengono inviati i
messaggi;
– il linguaggio utilizzato non è libero, è fortemente orientato ad
essere interpretato dai membri della comunità ed ha finalità
chiarificatrici (unilaterali); l’adulto usa un linguaggio per
“bambini”;
– Le regole di comunicazione son rigide e imposte: non ci si
sovrappone, è l’educatore che dà la parola; sono poco
accettate e sostenute le conversazioni fra pari (vengono fatte
cadere).
59
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
Modello direttivo
• Sono sistemi che ricordano, pur se in maniera
mitigata, le istituzioni totali: le regole sembrano
essere presenti in tutti i contesti; anche gli atti
linguistici tendono a enunciare regole (“no, non si
fa”, “fai questo”, ….); tutto sembra teso ad una
logica panoptistica, di controllo. Le regole
tendono a proteggere il minore, ma anche l’adulto
(di fronte a possibili azioni dei minori che
possano far preoccupare o che possano generare
inconvenienti); tendono ad impedire qualcosa ma
non a rendere il minore capace di evitare
nuovamente lo stesso pericolo.
60
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
Modello direttivo
• Sembra che il mandato degli educatori sia quello di confezionare un
prodotto pronto per l’uso: l’affido o l’adottabilità; si vuole “creare”
un individuo rispettoso, non problematico e non problematizzante,
che “senta” l’autorità, che sappia inserirsi (!!) in situazioni che
richiedono bambini educati e rispettosi.
• Comunità di questo tipo sembrano prediligere futuri affidi o
adozioni; lavorano per nuove appartenenze, non per
ricongiungimenti.
• Il modello formativo di riferimento è la trasmissione di
informazioni, dall’adulto esperto al minore.
• Si modella il minore affinché sia in grado di entrare in nuovi
incastri; non si tende a ‘formare’ un individuo capace di gestire se
stesso.
61
interazioni in comunità
Domande
modello direttivo
• Nel nostro servizio sono presenti spesso momenti di interazione con i
bambini nei quali gli operatori utilizzano unicamente un registro
strumentale (“passami l’olio”, “finisci di mangiare”, “fai i compiti”)?
• Come vengono gestite discorsivamente le regole con i ragazzi?
• Come vengono gestite le trasgressioni delle regole da parte dei ragazzi?
• Quanto spesso e in quali situazioni emergono interazioni tipiche delle
situazioni scolastiche, con l’adulto che valuta e il bambino che deve fornire
la ‘risposta giusta’?
• …….
• Quali sono i contesti di discussione più attivi in comunità: a due, fra pari,
…?
• Tali contesti prevedono un adulto che gestisce il flusso discorsivo (dà turni
di parola, assegna ruoli discorsivi, …)?
• Qual è la posizione dell’adulto più frequente e in quali occasioni?
• ………
• …………
62
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 162
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
Modello aperto
• “per struttura di partecipazione aperta o modello aperto si intende in
questa sede un sistema non rigido che permette l’elaborazione di
attività discorsive, l’assunzione di molteplici ruoli, in un’ottica di
esplorazione delle possibilità offerte dalle interazioni del gruppo di
adulti e ragazzi”; in riferimento ad interazioni discorsive si possono
individuare le seguenti caratteristiche:
– il parlato è socievole (amichevole) e socializzante;
– l’adulto non dirige sempre la conversazione e la sua posizione non è
sempre al centro, ma anche periferica; quando è al centro è solo per
coordinare;
– la discussione avviene in modo flessibile: da uno a molti, da molti a
molti, da uno a uno, …, in base alle esigenze che emergono;
– le discussioni possono avvenire in contemporanea, in modo integrato o
sviluppate in completa indipendenza;
Il sostrato di queste modalità interattive sostiene che la conoscenza così
realizzata vada a costruire spazi di pensiero stabili.
63
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 163
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
Modello aperto
• L’educatore non fornisce soluzioni, ma aiuta a
trovarle;
• il nascere di un problema, rappresenta l’occasione per
discuterne: non occorre dare risposte che risolvano e
che veicolano la regola sottesa e la impongono;
occorre argomentare fino a giungere a quella regola,
però attraverso una sua costruzione (ri-costruzione);
• una trasgressione, va discussa, analizzata alla luce
delle conseguenze per far acquisire ai minori
strumenti di autonomia rispetto a situazioni analoghe.
64
interazioni in comunità
Interazioni in comunità
modello aperto
• Un minore in una comunità è spesso un individuo che
non è riuscito a costruire strumenti di regolazione nella
sua vita quotidiana, allora occorre ricostruirli; il
modello aperto predica uno sviluppo del minore basato
sull’esplorazione, sulla responsabilizzazione, sul
rinforzo continuo di sé nei termini di azioni e di
argomentazione e se tutto ciò non è stato realizzato
nella sua vita precedente, allora occorre prevedere
possibilità di ri-esplorazione, di ri-responsabilizzazione,
di ri-rinforzo nel periodo di vita nella comunità.
65
interazioni in comunità
Domande
modello aperto
• Nel nostro servizio è presente e in che misura il sociable talk
degli adulti, il registro discorsivo per “parlare per parlare”?
• Si parla spesso di cosa succede nel mondo? In quali situazioni?
Chi sollecita tali discorsi?
• ……….
• Sono attive scene interattive in cui i bambini costruiscono
strategie argomentative finalizzate?
• Quanto spesso i bambini parlano fra di loro?
• ………..
• Complessivamente, quanto lavorano gli adulti per costruire la
discussione di gruppo?
66
Saglietti M., 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 170
Comunità come Ambiente Terapeutico
Globale
“l’intervento di comunità residenziale richiede riparazione del passato e
promozione del futuro. Perciò il modello da proporre è la comunità
come ‘luogo’ mentale e sociale, […] dove l’ambiente è protettivo e
riparativo ma non sostituisce tout court l’ambiente di vita e quindi è
terapeutico in quanto garantisce processi di cambiamento personali
senza sradicare e/o separare i processi/percorsi personalizzati dalla rete
relazionale più ampia che contraddistingue la realtà di provenienza del
minore e dalle possibili dimensioni in cui si può configurare la sua vita
futura di adulto. In questa direzione, le condizioni di accoglienza e di
azione che deve mantenere l’educatore non sono più soltanto quelle di
caregiver [(badante)], cioè di colui che svolge funzioni di tutoring e
scaffolding, ma si trasformano in ‘azioni sollecitanti relazioni’, in cui
l’educatore è soprattutto un mediatore relazionale o […] un facilitatore
di rete”
67
Bastianoni P., Taurino A., Introduzione, pagg. 35, 36in Bastianoni P., Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma
Comunità come Ambiente Terapeutico
Globale
•
•
•
La comunità si può configurare come Ambiente Terapeutico Globale (ATG):
“l’idea di Ambiente Terapeutico Globale […] chiarisce che in una comunità per
minori ciò che svolge funzione terapeutica è la vita quotidiana da intendersi
come luogo ‘pensato’ nella sua globalità per realizzare l’intervento riparativo e
terapeutico stesso. In questo senso, ciò che appare come particolarmente
interessante e incisivo, soprattutto in relazione alla tipologia dei problemi
presentati dai bambini e dagli adolescenti deprivati e maltrattati, è il rifiuto
della separazione fra un ‘setting’ a parte deputato all’intervento
psicoterapeutico (ad es., l’ora settimanale nello studio dello psicoterapeuta) e la
vita di ogni giorno all’interno della struttura residenziale.
Il modello proposto […], infatti, tende a realizzare una forte compenetrazione
fra l’interpretazione teorica del disturbo manifesto e la costruzione della
quotidianità, enfatizzando come tutta l’organizzazione del quotidiano nella
struttura residenziale deve essere considerata come parte integrante
dell’intervento riabilitativo e terapeutico”
68
Comunità come Ambiente Terapeutico
Globale
• Una cornice interpretativa teorica del modello ATG può
essere considerata la teoria interattiva-costruzionista dello
sviluppo che predica che ciascuno costruisce la propria
conoscenza e lo fa attraverso la negoziazione con gli altri;
• altri che possono essere adulti che mettono in atto azioni di
supporto (scaffolding) per aiutare coloro (studenti, minori)
che non sarebbero in grado, da soli, di svolgere compiti,
superare difficoltà e acquisire conoscenze e competenze.
• Inizialmente la funzione di scaffolding è delegata agli
adulti, successivamente diventa metodo permanente di
costruzione continua di conoscenza attraverso l’interazione
quotidiana con gli altri, nei contesti familiari, nella scuola,
nei gruppi di pari.
69
Comunità come Ambiente Terapeutico
Globale
• Attraverso questo processo l’individuo acquisisce un insieme di
significati della realtà che lo circonda, che gli forniscono identità e
stabilità. In un minore deprivato e maltrattato queste acquisizioni
non sono avvenute o non sono avvenute completamente e non sono
avvenute liberamente e attraverso negoziazione costruttiva, ma per
costrizione e sottomissione.
• Occorre allora recuperarle, riorganizzarle, per ritrovare fiducia in se
stesso, spontaneità, capacità di interagire, in definitiva occorre
recuperare la propria identità.
• Allora occorre regredire per ricostruirsi. “la regressione rappresenta
la speranza dell’individuo che certi aspetti dell’ambiente che in
origine fallirono possano essere rivissuti e che questa volta
l’ambiente riesca, invece di fallire, nella sua funzione di favorire la
tendenza naturale dell’individuo a svilupparsi e a maturare”
70
Comunità come Ambiente Terapeutico
Globale
• “proprio su questi presupposti si fonda pertanto l’organizzazione
delle comunità residenziali per minori, ossia impostare la struttura
(dagli spazi fisici fino alle attività quotidiane) come parte integrante
dell’intervento terapeutico, con l’obiettivo specifico di riparare i
precoci fallimenti ambientali. Attraverso il concetto di ambiente
terapeutico si focalizza l’attenzione […] sulla regolamentazione
della vita quotidiana per costruire occasioni di supporto alle carenti
funzioni dell’io, all’interno di specifiche relazioni vissute come
emotivamente ‘significative’ insieme ad adulti/altri significativi.
• Nell’ambiente terapeutico tutti i momenti della giornata hanno
rilevanza terapeutica, laddove siano presenti situazioni interattive e
relazionali gestite da adulti, che devono accedere, con il loro stesso
operato quotidiano, alla dimensione della significatività per il
minore in comunità”
71
Comunità come Ambiente Terapeutico
Globale
• In questa complessa operazione di ricostruzione il
minore ha necessità di imbattersi in contesti
stabili che presentano regolarità e protezione (le
routine) e di essere accompagnato da partner con i
quali intessere relazioni che facciano capire i
sentimenti e i comportamenti degli altri e il
funzionamento delle regole sociali e che lo
aiutino ad acquisire competenze in questi ambiti;
queste conquiste possano dare soddisfazione
nell’averle acquisite.
72
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Comunità per minori - Tecnologie autonome nella didattica. Verso la