Riflessioni sui concetti di periferia, non- luogo e utopia…
“Ponticelli:
Periferia Centrale"
Percorso formativo
Forum delle Culture 2013
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Modulo 1:
ghetto – periferia - conflitto
“dove vivo?”
introduzione al concetto di “contesto”
 la questione delle Periferie
 Utopia e Atopia
 Separazione e Dis-Integrazione
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La città, borgo, centro…
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Per distinguere una città da un borgo piuttosto che da
un piccolo centro è necessario studiare le sue funzioni,
cioè vedere le attività svolte dai cittadini che ne fanno
parte. Nei piccoli centri infatti le persone svolgono per
lo più attività legate alle risorse del territorio locale,
mentre invece la città ha una funzione residenziale,
dato che molte persone si spostano dalla città per
lavoro. L’origine della città dipende da molti fattori
come gli elementi naturali che possono favorire o
sfavorire la crescita di una città e talvolta anche la
possibile difesa militare. Infatti nel Medioevo, erano
frequenti le incursioni dei barbari o le guerre tra
proprietari terrieri. Questi elementi ci fanno capire
come mai alcuni centri abitati sono posti sulle cime
delle colline, sulle quali gli abitanti avrebbero potuto
difendersi con maggiore facilità.
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L. MALERBA, Città e dintorni,
Milano 2001
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«Quale uso fare della città? Quale uso se ne è
fatto nella Storia? Quante utopie hanno
attraversato il concetto sfumato ai bordi di “città
ideale”? E quanti abusi? Se rivolgiamo i nostri
pensieri alle città europee così come ci sono
state consegnate dalla Storia, ecco che i
confronti con l’attualità diventano subito un atto
dovuto e altrettanto ineludibili i riferimenti ai
disagi metropolitani di cui siamo testimoni oltre
che recalcitranti vittime
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La Periferia
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La periferia, termine derivato dai vocaboli greci "perí"
("intorno) e "pherein" ("portare") per indicare uno spazio
racchiuso da una linea chiusa, indica l'insieme delle zone di
una città al di fuori del suo centro storico.
Generalmente si tratta di aree urbanizzate, a partire dalla
seconda metà del XIX secolo, in seguito allo sviluppo
demografico e all'inurbazione. In quest'epoca l'antitesi
"centro-periferia" inizia a farsi prevalente sulla precedente
antitesi città-campagna.
Le aree periferiche sono generalmente svantaggiate rispetto al
centro storico, sia dal punto di vista urbanistico e funzionale,
che dal punto di vista socio-economico.
Il termine ha quindi ampliato il suo significato ed è stato
applicato a diversi livelli della scala geografica ed è quindi
passato anche ad altri ambiti. In particolare, in campo
economico il termine indica un'area collegata ad un'altra
(centro) da relazioni di scambio ad essa sfavorevoli.
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La periferia come U-topia
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La periferia, infatti, sembra l’unico luogo
dove il diritto alla città può essere avviato
a soddisfazione perché offre “alcune”
condizioni socio-economiche di “accesso”
alla città, tra queste la casa, per una fascia
di popolazione sempre più ampia, che non
può permettersi altra localizzazione che
quella periferica.
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ma anche…
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«Il sopravvento della periferia ha sdoppiato l’identità
urbana tra un centro strutturato, sedimentato e
riconoscibile e un “resto” per molti aspetti casuale
(Vittorini).
L’anomalia periferica si presenta in termini relativi
come “altro dalla città”, e in termini assoluti, come
incompiutezza, disordine, irriconoscibilità, bruttezza:
“un nuovo oggetto storico” senza limiti, né soglie; un
“dappertutto che è nessun luogo” (Rella)»
F. PEREGO, “Europolis e la variabile della qualità urbana” in AA.VV. Europolis
la riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
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Non luogo… (A-topia)
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Il non-luogo rappresenta la perdità di centralità
e di identità di un luogo: un processo che
caratterizza la società post-moderna,
metropolitana e globalizzata.
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Marc Augé (antropologo francese, autore di
Non-lieux. Introduction à une anthropologie de
la surmodernitè) oppone al luogo, inteso come
spazio centrale della città consolidata, il nonluogo della città diffusa.
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Esempi di non-luoghi possono essere offerti
dalle periferie delle grandi città contemporanee,
oggetto di ricerca privilegiato per comprendere
le problematiche etnico-socio-culturali del terzo
millennio.
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L’identità e il contesto
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tentare di puntellare e pian piano ricostruire quell’identità
frammentatasi dopo gli anni della cementificazione e della
deindustrializzazione e a seguito dell’arrivo di decine di
migliaia di nuovi residenti provenienti dai più diversi quartieri,
i cui vissuti difficilmente si sono integrati con la ritualità e la
tradizione di Ponticelli. Un fenomeno che tenderà col tempo a
generare nuove insoddisfazioni, disagi sociali, scarsa
comunicazione tra i gruppi e difficoltà, per le famiglie, ad
orientare l’educazione dei figli verso dei riferimenti civili e
culturali che siano chiaramente riconoscibili per gli
insediati all’interno della nuova comunità.
Il non luogo, infatti, l’a-topia, ha prodotto anche
allontanamento dallo (dello) Stato. Negli anni ’60-’70, almeno,
le periferie non costituivano solo serbatoi di voti, ma la
speranza di dare cittadinanza ai diseredati. Speranza oggi in
crisi perché l’u-topia anni ‘70, monumentalizzando la casa
popolare, ha prodotto non solo quelli che oggi definiamo
ecomostri, ma anche i demo-mostri: le aberrazioni della
democrazia.
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In queste aberrazioni, accade che la sostituzione di una batteria Wc, o la
riparazione di un solaio che perde, valga merito e fiducia al capopopolo di
turno, che è capace di intercettare i bisogni più efficacemente dell’Istituzione.
Che è capace di ambire all’Istituzione stessa, di farsi eleggere, competendo
con strumenti spesso inutilizzabili da professionisti e ceto medio, i quali
finiscono col venire espulsi dalla politica nel quartiere, dalla politica di
mestiere. Non col progetto, infatti, i capipopolo si costruiscono “consenso”
elettorale da queste parti.
Eppure, anche in questi microcosmi/periferie nella periferia, lontano dallo Stato,
può nascere il bisogno dello Stato: per restituire dignità, o peggio ancora per
restituire una casa a chi – accade anche a Ponticelli – tornando dopo un
ricovero o una degenza ha trovato i propri mobili fuori casa, la propria casa
“data da qualcuno” ad altri, e nessuno a cui rivolgersi, un potere legale a cui
ricorrere.
In questi non-luoghi lo Stato è assente, si fanno strada nuove sopraffazioni e
nuove ingiustizie.
Accade che, a questi microcosmi sociali, la degenerazione partitica risponda – è
inutile nasconderselo – offrendo servigi e privilegi, sostituendo il favore al
diritto, assistenzialismo ad opportunità: in pratica, fidelizzando rapporti
personali, piuttosto che costruendo consenso e partecipazione ad un cammino
di progresso e di emancipazione collettiva.
Accade che la politica rinunci al governo dell’urbanistica, delegandolo agli
immobiliaristi, cioè al Mercato e i Comuni, impoveriti, cedano terreni in
cambio di un po’ di servizi. È così che anche altre città, senza un governo
pubblico sono diventate agglomerati di costruzioni, ipermercati, dei luoghi di
transito o dormitorio, definiti da un antropologo francese “non luoghi”
proprio perchè mancanti di senso, di comunità: li riconosci all’estero e credi di
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essere a casa…
da nonluogo a “periferia centrale”
«Le periferie non sono dei “non luoghi”. Con l’espressione
“non luogo” caratterizzo un certo tipo di spazio dentro la
nostra società contemporanea. Il “luogo” per un antropologo
è uno spazio nel quale tutto fa segno. O, più esattamente, è un
luogo nel quale si può leggere attraverso l’organizzazione
dello spazio tutta la struttura sociale…
Oggi viviamo in un mondo nel quale lo spazio dei “non luoghi”
si è di molto accresciuto. “Non luoghi” sono gli spazi della
circolazione, del consumo, della comunicazione, eccetera.
Sono spazi di solitudine…Prendiamo l’esempio di un
supermercato. Ha tutti gli aspetti di un “non luogo”. Ma un
supermercato può diventare anche un luogo di appuntamento
per i giovani. Talvolta, anzi, è il solo “luogo”. Da questo
punto di vista si può dire che le banlieues sono dei “non
luoghi” per la gente che viene da fuori…Ma sono, viceversa ,
dei “luoghi” di vita per molte persone»
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M. AUGÉ, L’incendio di Parigi, “MicroMega” n. 7/2005
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Demolire/riqualificare? Sviluppare/integrare!
«Se le nostre città non si riqualificano, a cominciare dalle periferie, consegneremo
alle nuove generazioni un futuro di barbarie…La più grave malattia delle città si
chiama esplosione urbana - dice Piano - una crescita forsennata, che dobbiamo
correggere con interventi mirati per integrare il tessuto urbanistico e sociale delle
periferie con il resto della città».
Quindi, demolire o riqualificare i mostri in cemento nelle periferie?
«La demolizione è un rimedio estremo, al quale ricorrere soltanto quando mancano i
requisiti minimi della vivibilità, per esempio la luce e la tutela della salute».
La seconda proposta riguarda le funzioni dei quartieri periferici. «La loro vita non
può ridursi solo alla dimensione residenziale, così sono condannati a trasformarsi
in giganteschi dormitori - afferma Piano - non a caso, quando ho progettato
l’auditorium a Roma, ho voluto definirlo la fabbrica della musica. Attorno alle
sale, in un’area di venti ettari, ho ipotizzato un parco pubblico, negozi, residenze e
perfino un albergo».
Il terzo punto decisivo del «manifesto» di Renzo Piano riguarda proprio gli architetti e
il loro modo di lavorare. «Ogni angolo di territorio urbano che torna a vivere è
anche un’opportunità economica. Per tutti - a cominciare dagli architetti. Noi
abbiamo bisogno di competenza e di umiltà. Pensare in grande, ma accontentarsi
anche di piccoli progetti. E avere sempre una bussola etica perché attraverso la
microchirurgia sul territorio può passare anche un nuovo umanesimo della vita
urbana.
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Nelle periferie, l’immigrazione diventa più sostenibile se si impedisce che
alla separazione sociale si sovrapponga quella etnica. Come accade,
purtroppo, nei quartieri dormitorio»
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A. GALDO, Periferie: la profezia di Piano, IL MATTINO, 16/11/2005
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un articolo de Il Venerdì di Repubblica, 26–11- 2005, in cui ci si
poneva una “questione a margine dei tumulti periferici di Francia, ma
per niente marginale: perché in Italia le periferie non sono più un
soggetto politico? Perché sono sempre più lontane dall'attenzione, oltre
che dalla città? Perché non producono segnali, culture, dissenso, come
avveniva nel Novecento? Ci volevano gli incendi nelle lontane notti
parigine per ricordarsi che anche da noi ci sono quartieri dormitorio
desolati e potenzialmente esplosivi?” per vedere che, anche qui, sulla
solidarietà prevale la diffidenza e che la periferia non produce più
un’identità coesa come un tempo, quando i quartieri popolari
sorgevano vicino alle fabbriche, altro perno della socialità?
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Con la deindustrializzazione, sono saltati i perni. "Venti, trent’anni fa,
le periferie avevano un proletariato giovane, politicizzato. Comitato di
quartiere e consiglio di fabbrica lavoravano insieme” ricorda Simoni.
Oggi luoghi come la Casa del Popolo di Ponticelli, la prima realizzata a
sud di Roma (1955) e da allora luogo di ritrovo o di semplice
appuntamento per tantissimi giovani, non ha più quell’appeal, quella
capacità di contaminazione degli anni ’70; oggi, in periferia, sono pochi
i giovani attirati dalla politica come impegno. Forse perché, come
diceva il regista di “Fame Chimica”, tra periferie e politica c’è
disinteresse reciproco: “Il modello fabbrica è sconfitto,
l’associazionismo pure. Oggi diventi leader se spacci. Io racconto
questa poetica a chi non vede o non vuol vedere. Non la assolvo, però
le riconosco dignità di cultura giovanile. Di unico modo per
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affermarsi”.
Tema dei prossimi incontri*
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Dai bipiani ai Rom: il caso Ponticelli
I Freedom Writers, l’Odio, Certi Bambini
La Logica del Discorso Razzista
Dall’Onda alla Psicologia delle Masse: Freud
Tolleranza e Pace Perpetua: Erasmo e Kant
La Pace in pratica: Kypling, Wilson, Keynes
Il dialogo come sfida: giocare al Forrest Jump
Da Brecht a Sergio De Simone: ...
…cosa proponiamo?
* Gruppo B: prof. Malandrino
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Periferia Centrale - Calamandrei Corso Ct+Et, Prof. N.Malandrino