Ockham logica gnoseologia metafisica critica alla teologia razionale Cenni sulla vita di Guglielmo di Ockham Dalla logica alla politica Guglielmo di Ockham (Ockham, Surrey 1285-Monaco di Baviera ca. 1349) Francescano, detto ‘Venerabilis Inceptor’ (“il venerabile iniziatore”) per il semplice fatto che fu pronto per iniziare, ma non esercitò mai nei fatti, il suo magistero di teologia all’Università di Oxford. Ciò fu dovuto ad un richiamo da parte dell’autorità ecclesiastica centrale, che lo chiamò ad Avignone nel 1324 per rendere conto di alcune sue opinioni sospette di eresia. Nella provvisoria sede papale si accese, in quegli anni, il dibattito sulla povertà di Cristo e degli apostoli che contrappose il papa Giovanni XXII ai francescani spirituali; Ockham si schierò decisamente a favore di questi ultimi e, per evitare di peggiorare ulteriormente la propria posizione, fuggì il 28 maggio 1328 da Avignone. Raggiunse a Pisa, l’imperatore Ludovico il Bavaro, al servizio del quale da allora in poi si mise. Cambiamento radicale: da illustre logico e teologo diventa filosofo della politica (sostenitore delle pretese imperiali, oppositore della dottrina della plenitudo potestatis del papa). Morirà a Monaco durante l’epidemia di peste (134850). I principi epistemologici fondamentali (1) Il “rasoio di Ockham” Varie enunciazioni Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (versione di Ockham: “non si devono moltiplicare gli enti oltre quanto è necessario”) Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora (versione più diffusa: “avviene inutilmente in virtù di un numero più alto di cause ciò che può avvenire per un numero più basso”). Si scelga sempre la spiegazione più semplice (traduzione possibile; la spiegazione più semplice è quella che si avvale del minor numero di principi e dell’ontologia più limitata per rendere conto dei dati d’esperienza). Il “rasoio di Ockham”, noto anche come “principio di economia”, non è un’invenzione di Ockham stesso (Aristotele ripete spesso che “la natura segue sempre la via più semplice”, e così fa anche Grossatesta), ma di originale c’è sicuramente l’uso sistematico che ne fa (ontologia ridotta a sostanze e loro qualità, rasoio applicato anche alla dimostrazione dell’esistenza di Dio). I principi epistemologici fondamentali (2) Conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva (a) Premesse (1) (2) Unità-base della scienza: giudizio intellettivo (=affermare o negare un predicato di un soggetto). Unità-base del giudizio: apprensione intuitiva dell’oggetto del pensiero e sua astrazione dall’esistenza Conoscenza intuitiva: condizione necessaria per la conoscenza astrattiva . Può essere sia sensibile che intellettuale (non così per Tommaso. L’intelletto conosce solo universali) Conoscenza astrattiva: condizione necessaria per poter costruire un giudizio Definizioni (a) (b) Intuizione: conoscenza (=apprensione intellettuale) di un ente (oggetto del pensiero) in quanto esistente (a prescindere dal fatto che esso sia o meno un’illusione, che anche Dio potrebbe avere causato. Riconoscere qualcosa come esistente non equivale a riconoscerlo come presente). Astrazione: conoscenza (=apprensione intellettuale) di un ente (oggetto del pensiero) a prescindere dalla sua esistenza (modalità [atto intenzionale] diversa dall’intuizione di rivolgersi agli oggetti del pensiero). I principi epistemologici fondamentali (3) Conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva (b) Conoscenza intuitiva conoscenza astrattiva condizione necessaria (ma non sufficiente) perché si dia una Tuttavia La conoscenza intuitiva, come quella astrattiva, si struttura su due livelli 1. Conoscenza intuitiva di primo livello: mera apprensione di un ente come esistente (ciò che penso è in qualche modo nella realtà) 2. Conoscenza intuitiva di secondo livello: ricordo di un ente che era esistente (ciò che penso era nella realtà e ne ho un ricordo); dipende dalla conoscenza astrattiva di primo livello (vedi punto 3.). 3. Conoscenza astrattiva di primo livello: (atto intenzionale) l’ente, di cui ho avuto intuizione, è presente al mio intelletto a prescindere dal fatto che esista o meno. 4. Conoscenza astrattiva di secondo livello: (atto intenzionale) costituzione dei concetti (gli universali), intesi come segni naturali delle cose che scaturiscono da una reiterazione di immagini mentali e il loro utilizzo con funzione significativa. Precisazioni: secondo Ockham, già a livello 2. l’intelletto coglie le proprietà generali (più precisamente, specifiche) dell’oggetto del pensiero, mentre a livello 4. ne coglie le proprietà universali (più precisamente, di genere). I principi epistemologici fondamentali (4) La funzione significativa dei concetti: atti mentali e termini del linguaggio Gnoseologia Un concetto, per Ockham, non è: né una rappresentazione della realtà né un’immagine arbitraria della realtà (prima versione dell’epistemologia di Ockham: il concetto è un fictum dell’intelletto, idea abbandonata in nome del principio di economia) ma Un concetto (=l’universale) coincide semplicemente con l’atto mentale col quale significo una oppure molte cose (significare una sola cosa=distinguerla per proprietà accidentali da un gruppo di cose, dopo avere riconosciuto le somiglianze). I concetti sono segni naturali delle cose In questa tesi, secondo Wittgenstein, consiste il “rasoio di Ockham”, vedi Tractatus logicophilosophicus, 3.328 (trad. A.G. Conte): «Se un segno è inutile, esso è privo di significato. Ecco il senso del rasoio di Ockham. (Se tutto si comporta come se un segno avesse significato, esso ha significato)». Vedi anche 5.47321. Logica I termini che compongono le proposizioni (=i giudizi, consistenti nell’attribuzione di un predicato ad un soggetto) posseggono due proprietà fondamentali: un significatum (=l’atto mentale che loro corrisponde) una suppositio (=ciò ‘al posto di cui’ [‘supponere’, appunto], nella mente e nel linguaggio, parlato o scritto, essi stanno). I concetti, in quanto segni naturali delle cose, sono termini, innanzitutto, di un linguaggio mentale e, di conseguenza, di un linguaggio scritto o parlato (solo quest’ultimo è convenzionale). Suppositio di un termine (‘uomo’, ad es.) su tre livelli: (a) personalis (la suppositio coincide col significatum proprio del termine, es. “Un uomo è caduto”); (b) simplex (il termine supponit un concetto, es. “L’uomo è una specie”; (c) materialis (il termine supponit se stesso, es. “’Uomo’ ha quattro lettere”. Implicazioni dell’epistemologia occamista (1) Omeomorfismo tra mente e logica e rifiuto della teoria rappresentativa della realtà 1. 2. 3. Concetti e termini del linguaggio si trovano in perfetta corrispondenza: Esercitano la medesima funzione generale (sono segni della realtà). Tale funzione si esplica in modi diversi, a seconda del modo in cui i concetti/termini si riferiscono alla realtà (direttamente, cioè secondo il loro significato naturale, cioè ancora secondo la suppositio naturalis, oppure indirettamente, cioè in quanto concetti/termini di seconda intenzione). Nella mente si costituisce un linguaggio mentale, formato da proposizioni che si dispongono secondo relazioni e ordini diversi, le quali corrispondono a “stati di fatto”, cioè a situazioni nelle quali si trovano ad esistere le cose del mondo. Tale linguaggio mentale (naturale) precede e condiziona quello convenzionale (artificiale). Conclusione: una nuova immagine della conoscenza Ockham è tra i pochi, nella storia della filosofia (a parte gli stoici, in particolare Crisippo, del quale non possediamo che frammenti di opere) a negare decisamente che ‘conoscere’ equivalga a ‘raffigurare la realtà’ (concezione aristotelica). Conoscere=significare la realtà Ockham, In I Sent., 2, 8: «Una certa cosa è per natura universale, vale a dire che è per natura un segno che si predica di molte cose, allo stesso modo, in proporzione, in cui il fumo per natura significa il fuoco [stesso esempio classico degli stoici], il gemito del malato il dolore e il riso la gioia interiore ». Implicazioni dell’epistemologia occamista (2) Ridefinizione dei concetti di “scienza” e “verità” Scienza Insieme di diversi abiti mentali consolidati (non, dunque, un unico abito), ciascuno dei quali costituito da un insieme ordinato di proposizioni (=giudizi) vere e legate fra di loro da rapporti logici (costituiti da nessi: ‘e’, ‘o’, ‘non’, ‘se…allora’). Il rapporto di implicazione è quello più importante, dal momento che istituisce ordini gerarchici tra le proposizioni (nessi di dipendenza). Attenzione: essendoci sempre, all’origine della conoscenza, l’intuizione di un ente che, per sua natura (in quanto potrebbe non essere) è contingente, la scienza non si può mai fondare su giudizi affermativi necessari (un abito mentale scientifico non è mai definitivo, esso è semplicemente più stabile degli abiti non-scientifici). Possono essere necessarie solo proposizioni universali negative (es. “Nessun uomo è un cane”). Verità Definizione rigorosamente logico-semantica di Ockham: vera o falsa è una proposizione (=giudizio) nella quale soggetto e predicato suppongono o non suppongono per la medesima cosa. Precisazioni: (1) Verità e falsità non sono proprietà delle cose, ma delle proposizioni (sono concetti/termini di seconda intenzione). (2) Ergo, non si possono attribuire la verità o la falsità a singoli termini delle proposizioni, ma solo all’intero giudizio. (3) La suppositio di soggetto e predicato può essere identica solo se è dello stesso tipo per entrambi i termini (o personalis, o simplex, o materialis). (4) La verità o la falsità non concernono l’esistenza (a livello intuitivo non si danno giudizi, ma fatti semplicemente accertabili). La critica di Ockham alla teologia razionale (1) La teologia non è e non può essere una scienza teoretica Ockham assume una posizione di rottura rispetto ai suoi predecessori: nega lo statuto epistemologico di scienza (almeno quello di scienza teoretica) alla teologia, per tre motivi (dal primo si ricava il secondo): 1. Non si ha un’intuizione intellettuale di Dio e delle sue proprietà. 2. Ergo, non se ne può avere nemmeno un concetto che lo comprenda (il significatum del concetto di ‘Dio’ non ha una suppositio personalis, dal momento che non lo posso riferire a nessun dato d’esperienza). 3. Dio non fa nulla di inutile: non avrebbe rivelato nessuna verità nascosta all’uomo, se questi fosse capace con le sue sole forze di raggiungerla. Risulta privo di senso, anche senza 1. e 2. e fondandosi solo sull’argomento 3., il progetto di conciliazione tra fede e ragione portato avanti da Tommaso d’Aquino: il concetto di “preambula fidei” non ha nessun valore. La critica di Ockham alla teologia razionale (2) I limiti della conoscenza umana in teologia Non si può, dunque, sapere alcunché di certo su Dio e i suoi attributi? No, secondo Ockham possiamo dimostrare, a partire dai dati che abbiamo a disposizione (in statu viatoris) e che sono veri (=giudizi ricavati a partire da intuizioni), almeno le seguenti conclusioni: 1. È necessario che esista una causa che conserva nell’essere tutto ciò che rileviamo come esistente e che, necessariamente, riconosciamo come contingente (=potrebbe non essere, non è capace di mantenersi nell’essere per propria forza o volontà). 2. Alla causa conservante è lecito attribuire delle proprietà che si accordino sia con un ente finito, sia con un ente infinito: ad es., Dio non può essere di pietra, perché “essere di pietra” è una determinazione finita, mentre Dio può essere sapiente, perché “essere sapiente” è una determinazione che, di per sé, è sia finita, sia infinita). Tuttavia Che esista una “causa prima che conserva le cose nell’essere” non implica che tale causa sia unica. Infatti Non si può escludere, per via dimostrativa, che esistano diversi mondi (il nostro è contingente, una pura possibilità realizzata che non ne esclude altre), ergo non si può escludere che esistano più dei, creatori di mondi anch’essi. La critica di Ockham alla teologia razionale (3) Che resta, dunque, della teologia? Non si può dimostrare, con ragioni conclusive, che ci sia un unico Dio (il primo dogma della fede cristiana), ma lo si può sostenere con ragioni persuasive: i presunti diversi dei, infatti, sarebbero tutti ugualmente perfetti e, di conseguenza, distinguibili solo per numero, non per specie; in quanto dotati di tutte le perfezioni, poi, esisterebbero necessariamente; in quanto non c’è limite al loro numero, essi costituirebbero un’infinità in atto, che sarebbe contraddittoria (l’infinito esiste solo in senso potenziale). Ockham, Quodlibeta, I, q. 1: «Prendendo ‘Dio’ secondo la prima definizione [cioè come ‘prima causa conservante’], non si può provare per via dimostrativa che esista soltanto un unico Dio. La ragione di ciò sta nel fatto che, dal momento che non si può sapere evidentemente che Dio esiste, intendendo Dio secondo la definizione sopra riportata, allora non si può sapere evidentemente che esiste soltanto un unico Dio. La conseguenza è innegabile. L’antecedente si prova come segue: la proposizione “Dio esiste” non è nota di per sé [per via intuitiva], visto che molti dubitano della sua verità, e non può essere provata a partire da dati noti di per sé, dal momento che in ogni ragione addotta si troverebbe qualcosa di dubbio o di semplicemente creduto come valido, e non è nota per esperienza, come appare chiaro». Che resta della teologia? Un discorso limitato e incerto su Dio e le sue proprietà, il quale lascia l’impressione di un’ineliminabile debolezza della ragione umana il Dio dei filosofi non è il Dio della Bibbia (Pascal, Pensieri, ed. P. Serini, Einaudi, Torino 1967, 421). La teologia non è di sicuro una scienza teoretica (la ragione giunge nel suo campo o a verità connotate in senso negativo [non può essere che…] o a verità parziali [è così, ma in più potrebbe anche essere che…]; al massimo, può diventare una scienza pratica (Gregorio da Rimini, Commento alle Sentenze, 1340).