Filosofia del taoismo Al termine taoismo corrisponde sia un sistema filosofico sia una religione. Ambedue si rifanno ad uno dei maggiori pensatori della Cina, Laozi (vecchio maestro), che la tradizione ritiene contemporaneo di Confucio (sec. VI-V a.C.). Egli avrebbe scritto il suo minuscolo capolavoro il Daodejing (Tao Te Ching, "Libro della via e della virtù" o della legge universale e dei suoi effetti), che con i libri di Zhuangzi e di Liezi, costituisce la base del taoismo. Partendo dal comportamento della natura, caratterizzato dall'apparente non agire, Laozi, seguito dal grande discepolo Zhuangzi, concentrò la riflessione sulla natura del Dao (Tao), principio cosmico, assoluto, misterioso, ultimo, che dà origine alla sostanza come alla forma, all'essere come al mutare, in cui agisce una forza vitale De (Te). La nostra mente non lo può comprendere, le nostre parole non lo possono descrivere: è assolutamente indefinibile, non nominabile. Non si tratta di una negazione assoluta, ma piuttosto di un riconoscere umilmente l'inadeguatezza dell'intelligenza umana. Il Dao è come il principio, rappresentato anticamente con due teste: il non essere (wu) e l'essere (you). "Le cose del mondo sono nate dall'essere e l'essere è nato dal non essere" (c.40). Il taoismo è convinto che è possibile vincere la morte, non sviluppando il tecnicismo ma con la contemplazione, l'estasi, la mortificazione e concentrazione. Anche nell'abbondante uso di esorcismi e di amuleti, il taoismo ha poi richiesto il pentimento dei propri peccati e la loro confessione, che veniva scritta su "tre lettere", affidate poi ai "ministri" del cielo, della terra e del mare. Nell'eterogeneità delle pratiche taoiste trovano posto anche la necromanzia e l'astrologia; il tenace impegno posto in molti ambienti taoisti a perseguire la trasformazione dei metalli, nella speranza di poter rendere l'oro assimilabile dall'organismo umano, partiva dalla tradizionale teoria sui cinque elementi fondamentali della realtà (acqua, fuoco, terra, metallo e legno). L'antropologia taoista porta lo sguardo dell'uomo al di là della vita presente, preannunciando premio e castigo oltre la tomba per le azioni compiute qui. L'uomo ideale per il taoismo è quello che sa vivere secondo la propria natura:"Non c'è delitto più grande dei desideri; non c'è sfortuna più grande del non sapersi contentare" (c. 46). Il Dao pur essendo principio di tutto, è quiete, inattività: "l'eterno Dao non agisce e riesce in tutto" (c. 37). Nell'ideale umano proposto da Laozi sembrano perdere importanza perfino le virtù raccomandate dai confuciani, come la rettitudine e la sensibilità umana: "Perduto il Dao venne la virtù; perduta la virtù venne l'umanità; perduta l'umanità venne la giustizia; perduta la giustizia venne il rito; il rito è l'apparenza della fedeltà e il principio dei disordini" (c. 38). Si tratta di un ideale etico non facile da realizzare: inteso da spiriti eletti può infatti condurre ad una profonda serenità morale, conosciuta anche dai migliori stoici e presupposta dalle più svariate esperienza di vita monastica; ma può anche degenerare in un egoismo epicureo, in una indifferenza sociale che ha spesso suscitato reazioni e persecuzioni contro i taoisti lungo i secoli. Celeste Pugliaro Michela Cresta 3E Anno scolastico 2012-2013 Informazioni prese da http://www.filosofico.net/iltaoismo.htm http://www.tuttocina.it/tuttocina/filosofia/taoismo.htm