il Torresino 1 SPEDIZ. IN ABBONAMENTO POSTALE • LEGGE 23/12/1996 N. 662 Art. 2 comma 20 lett. b ANNO VII N° 1 N° GENNAIO FEBBRAIO 2001 ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DI BOLOGNA LE AGENZIE FISCALI: INTERVISTA A MASSIMO ROMANO DIRETTORE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE a cura di FRANCESCA BUSCAROLI - DOTTORE COMMERCIALISTA In occasione dell’istituzione delle Agenzie Fiscali, abbiamo ritenuto di rivolgere alcune domande a Massimo Romano. SOMMARIO Editoriale a cura di Francesca Buscaroli Le Agenzie Fiscali: intervista al Dott. Massimo Romano pag. 1 Domanda D’attualità a cura di Giorgio Delli e Roberto Cassani L’utilizzazione dell’arbitrato pag. 3 D’attualità a cura di Benedetto Santacrocei La disciplina dei fondi pensione pag. 8 Le risposte della Direzione regionale ai quesiti Con la gentile collaborazione della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna pag. 9/11 L’angolo del Tribunale a cura di Margherita Zanetti Secondo Convegno nazionale di studi sulle procedure concorsuali gennaio/febbraio 2001 Gli artt. 8 e seguenti del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 hanno istituito, dal 1° gennaio 2001, le Agenzie Fiscali. Esaminando la nuova struttura sembra di capire che si tratta più di una ristrutturazione interna che di una ulteriore modifica del rapporto con il contribuente. È vera tale sensazione? Risposta pag. 12 La creazione delle Agenzie Fiscali costituisce un elemento fondamentale della complessiva 1 EDITORIALE riforma del sistema fiscale che ha preso l’avvio nel 1996. È noto come la riforma tributaria del 1971 – 73 sia parzialmente fallita proprio perché non si fu in grado di accompagnare alla riforma dell’ordinamento fiscale la riforma dell’apparato, che rimase sostanzialmente quello preesistente. Con le Agenzie Fiscali il legislatore ha ritenuto di dotare l’amministrazione di un modello gestionale di tipo aziendale che, pur mantenendo la natura pubblica delle finalità perseguite, sappia organizzare e gestire le risorse assegnate secondo schemi imprenditoriali. Nel nuovo scenario delineato dalle Agenzie il contribuente assume un ruolo centrale; si passa da una concezione tipicamente burocratica del rapporto a una logica relazionale costruita sulla il Torresino collaborazione e sulla fiducia reciproche. In altri termini dalla concezione del contribuente-suddito ci si intende evolvere verso il contribuente-cliente, del quale occorre conquistare la stima e la fiducia. Domanda La L. 300/99 ha dato maggiore autonomia e responsabilità a questi nuovi istituti. In che cosa consiste questa maggiore autonomia? Quali sono i vantaggi per l’Erario e per i contribuenti? Risposta La maggiore autonomia consiste nella possibilità di organizzare e gestire con maggiore flessibilità e modernità le risorse assegnate dallo Stato. In particolare, è sul fronte del personale che si vedranno gradualmente i maggiori effetti della riforma: i regolamenti interni delle Agenzie prevedono, infatti, un sistema di reclutamento, di formazione e di valorizzazione del personale fortemente innovativo e molto lontano dai tradizionali schemi burocratici. Il nuovo personale sarà reclutato su base locale attraverso moderne selezioni che prevedono un’articolata fase di tirocinio prima della vera e propria assunzione. La formazione sarà continua sia nella prima fase della carriera, anche attraverso un moderno campus in corso di realizzazione a Firenze, sia negli anni successivi, attraverso frequenti stage e seminari sulle diverse attività operative. Molto importante sarà pure la possibilità di gestire aziendalmente le risorse finanziarie assegnate. A questo proposito è importante segnalare come le Agenzie adottino un sistema contabile e il modello di bilancio previsto per le società di capitale. gennaio/febbraio 2001 Quanto alla complessiva organizzazione amministrativa, le Agenzie utilizzano un sistema gestionale (ERP) del tutto analogo a quello oggi utilizzato dalle più grandi imprese di servizi, allo scopo di governare in modo unitario ed integrato la contabilità e gli acquisti, il personale e il controllo di gestione. I vantaggi che deriveranno da questo nuovo modo di operare sono evidenti: ottimizzazione delle risorse; piena responsabilizzazione degli operatori; semplificazione dei processi decisionali: ciò comporterà evidenti benefici anche per i contribuenti che avranno a che fare con un apparato fortemente motivato e consapevole. A livello interno il coordinamento si realizza attraverso un modello gestionale fortemente verticalizzato, nel quale la posizione del Direttore assume un ruolo fortemente orientato verso il raggiungimento degli obiettivi e la conseguente assunzione di responsabilità. Ciò certamente consente di rispondere con maggiore tempestività e coerenza alle esigenze operative e, quindi, anche alle esigenze del contribuente nelle diverse fasi del rapporto tributario. Domanda Entro quale presumibile termine saranno in piena efficienza le Agenzie Fiscali? Domanda Risposta In che modo avviene il coordinamento di queste nuove strutture? È prevedibile una più sollecita risposta alle esigenze del contribuente, in sede di accertamento, di contenzioso e di definizione bonaria? Risposta Il coordinamento delle Agenzie è sostanzialmente a due livelli: esterno ed interno. A livello esterno il coordinamento si realizza con la convenzione che annualmente viene stipulata tra il Ministro delle Finanze (a breve il Ministro dell’Economia e delle Finanze) e il Direttore dell’Agenzia: la convenzione assegna le risorse finanziarie distinguendole in due sole voci (spese di funzionamento e investimenti), fissa in coerenza con le risorse assegnate gli obiettivi di produzione e i vincoli di gestione e definisce gli incentivi che saranno erogati a fronte del raggiungimento degli obiettivi. 2 È ragionevole ritenere che gli effetti positivi del nuovo modello organizzativo assunto dall’amministrazione finanziaria con le Agenzie possano essere apprezzati all’esterno già entro il 2002, grazie soprattutto al migliore impiego delle risorse e all’accelerazione dei tempi decisionali. Credo, tuttavia, che la riforma potrà considerarsi compiutamente realizzata entro cinque anni. Ciò, soprattutto, in considerazione del tempo necessario alla piena valorizzazione delle risorse umane che, come è evidente, costituiscono la leva più importante per il cambiamento ma anche l’elemento più complesso e articolato da gestire. In realtà credo che le potenzialità della triplice riforma realizzata in questi anni – riforma dell’ordinamento, riforma delle procedure, riforma dell’apparato – siano straordinarie e consentiranno entro breve tempo al nostro Paese di disporre di un sistema fiscale tra i più moderni ed avanzati. il Torresino L’UTILIZZAZIONE DELL’ARBITRATO a cura di GIORGIO DELLI E ROBERTO CASSANI - DOTTORI COMMERCIALISTI D’ATTUALITÀ Il presente breve lavoro ha lo scopo di spiegare agli utenti (effettivi o probabili) dell’arbitrato, cioè alle parti in controversia, perché devono scegliere l’arbitrato e come devono comportarsi per applicarlo. a) L’arbitrato e la crisi della giustizia L’arbitrato, quale regolato dal Codice di rito (artt. da 796 a 840), è il deferimento a soggetti privati, per volontà delle parti, della soluzione di controversie con una pronuncia suscettibile di acquistare efficacia esecutiva con l’omologa pretorile. “Arbitrato” e “contratti tipo” sono da tempo gi strumenti pratici attraverso i quali i Paesi anglosassoni affrontano e risolvono le loro controversie, dimostrando anche in questo caso il loro temperamento pragmatico. In Italia l’arbitrato ha avuto un iter difficile che si è accelerato per effetto delle modifiche della legge 25/1994 e della crisi della giustizia. b) L’indipendenza e la professionalità degli arbitri L’indipendenza degli arbitri è elemento essenziale del procedimento arbitrale. Anche se gli arbitri sono giudici non togati devono possedere un’assoluta indipendenza che è salvaguardata anche dalle norme del c.p.c. Infatti gli arbitri devono possedere determinati requisiti (art. 812 del c.p.c..), possono essere ricusati; assumono responsabilità attraverso una gradualità riguardo il loro comportamento omissivo, doloso e colposo. Altro elemento essenziale per la nomina degli arbitri è la loro professionalità. Questa qualità non è tutelata dalla legge, ma spetta alla scelta delle parti che devono scegliere persone che abbiano capacità e conoscenze gennaio/febbraio 2001 personali in relazione alla materia del contendere. Da questa scelta dipende la validità intrinseca del lodo; scelta che non è altrettanto possibile nella giustizia c.d. ordinaria. Per completezza, ricorda che la competenza specifica dell’arbitro può evitare la nomina di un perito esterno, con risparmio notevole di costi ed anche di tempo. Gli arbitri, nel decidere, in mancanza di precise indicazioni nel compromesso (o nella clausola compromissoria) devono attenersi al principio del contraddittorio e della motivazione delle loro decisioni. Non hanno poteri cautelari. ga del termine. Come si vede, è in un termine molto breve che può essere emessa una decisione arbitrale (salvo il periodo necessario per la costituzione dell’arbitrato). Siamo ben lontani quindi dai tempi biblici che occorrono per le decisioni della Giustizia Ordinaria! La salvaguardia per il mantenimento di tale termine è rappresentata dal deterrente della responsabilità degli arbitri; essi infatti sono responsabili nei confronti delle parti: 1) se rinunciano senza giustificato motivo all’incarico; 2) se non emettono il lodo nei termini pattuiti. c) Termini per la decisione d) Il lodo Tali termini sono previsti dall’art. 820 del c.p.c. che prevede che se le parti non hanno disposto altrimenti, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di centottanta giorni dall’accettazione della nomina. Se gli arbitri sono più e l’accettazione non è avvenuta contemporaneamente da parte di tutti, il termine decorre dall’ultima accettazione. Il termine è sospeso quando è proposta istanza di ricusazione e fino alla pronuncia su di essa, ed è interrotto quando occorre procedere alla sostituzione degli arbitri. Quando debbono essere assunti mezzi di prova o sia stato pronunciato lodo non definitivo, gli arbitri possono prorogare per una sola volta il termine e per non più di centottanta giorni. Nel caso di morte di una delle parti il termine è prorogato di trenta giorni. Le parti, d’accordo, possono consentire con atto scritto la proro- Il procedimento arbitrale si conclude con la pronuncia del lodo (artt. 823 e seguenti) che rappresenta la decisione degli arbitri, redatta per iscritto in merito alla controversia della cui risoluzione sono stati incaricati dalle parti contendenti. Il lodo è deliberato a maggioranza di voti dagli arbitri convenuti in conferenza personale; essendo, quindi, l’iter assimilabile al procedimento ordinario di Camera di Consiglio, si richiede, per analogia, la presenza di tutti i membri componenti il collegio arbitrale. L’art. 825 del c.p.c. stabilisce che la parte che intende far eseguire il lodo nel territorio della Repubblica deve depositarlo unitamente all’atto di compromesso o clausola compromissoria nella Cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’arbitrato; il Tribunale, dopo i prescritti accertamenti formali, lo dichiara esecutivo con decreto. 3 il Torresino Le impugnazioni del lodo riguardano solo quello rituale, perciò una peculiarità che consente sicuramente di diversificare un lodo si riscontra nel gravame delle impugnazioni. Poiché il lodo irrituale ha natura contrattuale, secondo la giurisprudenza (Cass. N. 5643 del 29 novembre 1978), la possibile impugnativa deve essere rivolta al giudice di primo grado con la conseguente lunghezza dei termini temporali e procedimentali. L’art. 828 del c.p.c. stabilisce i termini relativi all’impugnativa del lodo rituale avanti alla Corte d’Appello in cui ha sede l’arbitrato. Lo stesso articolo precisa che l’impugnazione per nullità si propone nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo. L’art. 831 del c.p.c. prevede la revocazione e l’opposizione di terzo, dopo l’impugnazione per nullità, nei casi indicati dall’art. 395 ai nn. 1), 2), 3) e 6). e) L’onorario Una breve menzione è utile fare sull’onorario, che è spesso ritenuto un elemento negativo (o perturbatore) del procedimento arbitrale. Proprio sull’onorario ricordiamo che: 1) l’onorario può essere preconcordato (e quindi contenuto in un costo ragionevolmente sopportabile); 2) l’onorario può essere stabilito facendo riferimento alle tariffe delle Camere arbitrali, notevolmente più ridotte rispetto a quelle professionali; 3) l’onorario stabilito dal Collegio arbitrale può essere sottoposto a verifica dell’Autorità Giudiziale ex art. 814 del C.P.C.. f) Vantaggi dell’arbitrato Da questo breve excursus del funzionamento dell’arbitrato si può giungere a stabilire i vantaggi che si ottengono utilizzando questo giudice alternativo (non togato): si gennaio/febbraio 2001 esaminano, di seguito, i vantaggi tradizionalmente riconosciuti. 1) La maggiore rapidità rispetto ai vari gradi del giudizio ordinario. 2) Il costo contenuto, sia in termini diretti (finanziari) che indiretti (velocità della decisione, certezza del diritto, ecc.). 3) All’arbitrato – soprattutto internazionale – può essere riconosciuta una efficacia “preventiva” quando allo stesso insorgere di un’acuta conflittualità tra le parti esso elimina la sensazione o il timore che la parte di un rapporto commerciale possa prevaricare sull’altra, dovendo – viceversa – rivolgersi alla giustizia di uno dei due Paesi a cui appartengono le parti. Infatti, le parti, se sinceramente preoccupate di garantire la continuità del loro rapporto contrattuale, potranno ricercare un’amichevole composizione della controversia attraverso l’arbitrato, con il vantaggio di tenere sotto il loro diretto controllo il costo delle reciproche concessioni. Poiché, peraltro, non sempre le parti riescono a comporre la controversia, il meccanismo arbitrale previsto in contratto può dover essere messo in applicazione. Si evidenziano anche in tal caso i suoi vantaggi rispetto al giudizio ordinario. 4) Così, per quanto attiene alla possibilità offerta alle parti di deferire la controversia all’esame di persone scelte con particolare riguardo alla natura e alle caratteristiche della specifica situazione controversa e alla qualità delle parti (quello che è stato indicato come il “giudice su misura”) e, quindi, con la migliore garanzia di una decisione non astratta ma che veramente renda un’effettiva giustizia nel caso concreto. Le controversie relative a un contratto commerciale si caratterizzano spesso, infatti, per la complessità delle questioni oggetto di esame, sotto il profilo sia tecnico che economico, contabile, finanziario o giuridico. Poter rimettere in tali casi la decisione a personalità espresse dalla stessa comunità di operatori cui 4 appartengono le parti della controversia o comunque esperte nel particolare settore industriale o commerciale, costituisce la migliore garanzia di un giudizio obiettivo e qualificato e accresce, di conseguenza, il grado di consenso per la decisione arbitrale e, quindi, di sua spontanea esecuzione. 5) Altro vantaggio del meccanismo arbitrale nei rapporti commerciali internazionali è la soluzione dei delicati problemi di giurisdizione posti dalla transnazionalità del rapporto contrattuale. L’arbitrato consente a una parte di evitare la propria sottoposizione ai giudici nazionali dell’altra parte; infatti, una volta che sia stata concordata in contratto una clausola compromissoria, non solo si supera ogni problema di ricerca del giudice competente, ma si produce l’ulteriore effetto per cui ove una parte voglia adire il giudice ordinario in contrasto a tale clausola essa si vedrà rinviata normalmente da tale giudice davanti agli arbitri. 6) Vi è un’ulteriore e particolare funzione dell’arbitrato nei rapporti commerciali che ne fa uno strumento di collaborazione tra le parti in vista della continuità dei loro rapporti contrattuali, nell’interesse della stabilità dello stesso sistema economico. La soluzione della controversia – in via arbitrale – non pregiudica i rapporti tra le parti, le quali con l’arbitrato, riescono a sanare un errore od incertezza interpretativa. 7) La riservatezza del procedimento arbitrale è un altro fattore largamente apprezzato dagli operatori commerciali in quanto risponde al desiderio di entrambe le parti di mantenere tra loro buone relazioni d’affari, senza l’effetto negativo che potrebbe derivare da una intempestiva pubblicità della loro controversia, anche per la possibile diffusione di dati e di informazioni di natura tecnica ed economica suscettibili di utilizzo ad opera di imprese concorrenti. 8) La definitività della decisione arbitrale risponde all’esigenza delle imprese di conoscere in tempi il Torresino rapidi se e in che misura esse possono disporre delle proprie risorse tecniche, organizzative e finanziarie al fine del loro più fruttuoso utilizzo. Conoscere tempestivamente la sorte di un contratto può consentire il loro rapido smobilizzo per disporre in altre forme di investimento. 9) La previsione di ricorso all’arbitrato può essere un deterrente alto a trovare una soluzione transattiva prima di innescare tale procedura. g) Limiti dell’arbitrato A questa lunga serie di vantaggi dell’arbitrato rispetto al giudizio ordinario si contrappongono gli inevitabili limiti dell’istituto. Questo, infatti, in quanto fondato sull’accordo delle parti, non può estendersi a tutti quei soggetti e a quelle materie che non possono essere attratti nella procedura perché estranei alla convenzione arbitrale. Si fa qui riferimento ai casi di connessione di giudizi, di intervento sia adesivo che per chiamata e all’unificazione di procedimenti. In materia di diritti di proprietà industriale non sono compromettibili, per ragioni di interesse pubblico, le controversie relative alla validità di marchi e brevetti mentre possono ritenersi arbitrabili tutte le questioni inerenti alle controversie brevettuali diverse dalla dichiarazione di nullità. L’arbitrato non è applicabile nei casi aventi rilevanza penale o che comunque prevedano l’intervento del Pubblico Ministero in quanto potenzialmente lesivi di pubblici interessi. Le controversie individuali di lavoro, pur restando non arbitrabili in via di principio,possono trovare tale soluzione, se prevista in un accordo collettivo, a condizione che le parti conservino la facoltà di ricorrere al giudice ordinario (art. 808, comma 2 c.p.c.). Si ricorda inoltre che l’arbitro, derivando i suoi poteri dalla volontà delle parti, è privo del potere di coazione e sanzionatorio che resta prerogativa del giudice togato al cui ausilio, quindi, in assenza di collaborazione tra le parti, occorrerà pur sempre far ricorso per acquisire mezzi di prova, escutere testimoni od ottenere provvedimenti di urgenza e cautelari. h) La recente proliferazione di norme dello Stato e dei consumatori alternative alla giustizia ordinaria La crisi della giustizia ha dato luogo al proliferare dell’istituto dell’arbitrato e dei procedimenti alternativi ed è comprovata dalla tabella riportata sul quotidiano economico “Italia Oggi” del 4/12/2000. Questi allarmanti dati hanno dato impulso, nell’ambito di un progetto organico di riforma dell’amministrazione giudiziaria, a criteri prioritari per l’istituzione di canali di sfogo delle controversie alternativi a quelli ordinari, soprattutto nei settori di maggior litigiosità quali le liti condominiali e locatizie. Tale mutamento ha trovato espressione anche in nuove norme statuali ed in accordi collettivi. Ricordiamo ad esempio: 1) la legge 580 del 29 dicembre 1993, sul riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che all’art. 2, comma 4, lett. a), ha previsto che le camere di commercio promuovano la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative; 2) analogamente la legge 481 del 14 novembre 1995 sui servizi di pubblica utilità ha previsto di definire mediante l’emanazione di appositi regolamenti i criteri, le condizioni, i termini e le modalità per l’esperimento di procedure di conciliazione o di arbitrato in contraddittorio presso le Autorità nei casi di controversie insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio (art. 2, comma 24); 3) i professionisti che operano nel settore sono intervenuti direttamente e hanno dato vita a varie iniziative, come quella dell’ANACI, l’associazione italiana di amministratori immobiliari, che nell’anno 1996 in un documento programmatico ha proposto al Presidente del Consiglio dei Ministri, insieme ad altre misure dirette a riformare la legislazione condominiale, l’utilizzo dell’arbitrato per risolvere le vertenze che sorgono nell’ambito del condominio tra i condomini, tra amministratori e condomini, tra condomini e imprese appaltanti interventi nell’ambito condominiale DURATA MEDIA DEI PROCESSI CIVILI IN ITALIA Oggetto del procedimento Durata media in Tribunale (anni) Tempo medio per l’impugnazione (mesi) Durata media in Corte d’Appello (anni) Durata complessiva (anni) Cognizione ordinaria 5,08 9,25 2,75 8,59 Opposizioni alle dichiarazionidi fallimento 2,93 6,4 2,05 5,51 Altri procedimenti contenziosi 3,94 12,65 2,88 7,88 gennaio/febbraio 2001 5 il Torresino (n. 4.7 del documento, intitolato “Arbitrato sulle vertenze condominiali”) del 18 novembre 1998; 4) la legge 415 (la c.d. Merloni-ter) ha previsto l’istituto dell’arbitrato per la risoluzione delle controversie tra le imprese che eseguono i lavori e la pubblica amministrazione appaltante; 5) la legge 192 del 18 giugno 1998 ha previsto l’arbitrato per derimere le controversie nelle subforniture e la legge 281 del 30 luglio 1998 sulle controversie con il consumatore. L’elenco potrebbe continuare. i) Problemi fiscali Procediamo all’esposizione di un breve excursus sui problemi fiscali dell’arbitrato. Per quanto concerne il compromesso, se presenta contenuto patrimoniale è tassato con aliquota del 3 per cento (imposta di registro), come atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (art. 9 parte I della tariffa), ma secondo la maggioranza della dottrina, esso risulta privo di contenuto patrimoniale, quindi, sconta l’imposta fissa di lire 250.000, con registrazione in caso d’uso nell’ipotesi di stipula di scrittura privata non autenticata, ovvero nel caso di stipula con atto pubblico o con scrittura privata autenticata; è soggetto a registrazione da effettuarsi entro 20 giorni (secondo le modalità dell’art. 11, parte I, tariffa). La clausola compromissoria sconta l’imposta di registro in termini di tassa fissa, ex art. 21 del testo unico n. 131/1986 nell’ipotesi di stipula con atto distinto, mentre se fosse inserita nel contesto di un contratto, essendo il contratto stesso già assoggettato ad imposta, nulla sarebbe dovuto per la clausola che ne fa parte. Se il compromesso o la clausola compromissoria risultano redatti per atto pubblico o scrittura privata autenticata scontano l’imposta di bollo di lire 20.000 per foglio (art. 1, tariffa, parte I del D.P.R. 26 ottogennaio/febbraio 2001 bre 1972, n. 642, allegato A). La stessa sorte seguono gli atti procedimentali. Il lodo rituale è tassato con aliquota del 3 per cento, se prevede pagamento di somme, viceversa dell’1 per cento se accerta diritti reali e negli altri casi sconta una tassazione con aliquote proporzionali. Il lodo irrituale, alla stessa stregua dei normali contratti, deve essere registrato entro 20 giorni dall’ultima sottoscrizione per cui diventa fiscalmente più oneroso. l) Come iniziare una procedura arbitrale e concluderla. Brevi cenni Volendo sintetizzare e semplificare al massimo l’iter di un procedimento di arbitrato rituale, possiamo dire che lo stesso si sviluppa secondo le fasi di seguito indicate. 1 - Sottoscrizione di una clausola compromissoria o di un compromesso arbitrale. Affinché la decisione di una controversia scaturita da un determinato contratto possa essere sottratta alla competenza della magistratura ordinaria e devoluta, invece, ad un arbitro (composto in forma monocratica o collegiale), occorre che nel contratto venga inserita fin dall’origine una clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.), cioè un accordo in base al quale si stabilisce espressamente che le eventuali controversie che dovessero successivamente insorgere da quel contratto saranno devolute alla decisione di un arbitro. In linea teorica l’arbitrato può scaturire anche da un compromesso arbitrale (art. 806 c.p.c.), cioè da un accordo intervenuto una volta che la lite è già insorta. Questa seconda ipotesi, però, si realizza molto raramente perché, come è facilmente intuibile, quando le parti stanno già litigando i margini per addivenire ad un accordo volto a derogare alla competenza del giudice ordinario sono estremamente esigui. In particolare, la parte che ritiene di aver torto e di uscire, quindi, perdente dalla controver6 sia, avrà tutto l’interesse a scegliere la magistratura ordinaria la quale, com’è risaputo, assicura procedimenti estremamente più lunghi rispetto a quelli derivanti da un procedimento arbitrale. A titolo puramente esemplificativo, in appendice, vengono forniti alcuni schemi di clausola compromissoria. 2 - Domanda di arbitrato e nomina degli arbitri. Qualora da un contratto contenente una clausola compromissoria insorga una controversia avente ad oggetto diritti disponibili, la parte che vi ha interesse può attivare il procedimento arbitrale notificando alla controparte la cosiddetta “domanda di arbitrato” cioè “l’atto con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all’altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri” (art. 2943 c.c.). La controparte provvederà a sua volta alla nomina del proprio arbitro. Nel caso in cui la clausola compromissoria stabilisca che gli arbitri o l’arbitro unico debbano essere nominati da una determinata autorità (ad es. Presidente del Tribunale, Presidente della C.C.I.A.A., Presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti ecc.), la parte si attiverà chiedendo all’autorità prestabilita di provvedere alla nomina. La scelta di arbitri estremamente competenti nella materia su cui verte la controversia rappresenta il presupposto indispensabile per garantire un corretto svolgimento del procedimento arbitrale ed una decisione finale equa e quindi facilmente accettata dalle parti. APPENDICE SCHEMI DI CLAUSOLE COMPROMISSORIE Di seguito riportiamo tre schemi di clausola compromissoria di cui i primi due sono riferibili alla geneil Torresino ralità dei contratti mentre il terzo è costruito in modo specifico per essere inserito all’interno di statuti societari. 1 - Clausola compromissoria per arbitrato rituale ad hoc con arbitro unico Tutte le controversie che dovessero insorgere in relazione al presente contratto comprese quelle inerenti alla sua validità, interpretazione, esecuzione e risoluzione, saranno deferite alla decisione di un arbitro unico nominato di comune accordo dalle parti tra gli iscritti negli Albi dei Dottori Commercialisti. Qualora le parti non raggiungano tale accordo, l’arbitro verrà designato dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna su richiesta della parte più diligente, dopo che siano trascorsi almeno 30 giorni dalla data in cui una delle parti ha comunicato alle/a altre/a con atto notificato a mezzo d’ufficiale giudiziario la propria intenzione di far ricorso alla procedura arbitrale. L’arbitro unico deciderà in via rituale secondo diritto/equità (1), nel rispetto delle norme inderogabili del codice di procedura civile relative all’arbitrato rituale. La sede dell’arbitrato viene stabilita a Bologna. In caso di impugnazione per nullità le parti intendono fin da ora concordemente deferire, ai sensi dell’art. 830 c. 2 c.p.c., la decisione sul merito ad un arbitro unico nominato secondo le modalità sopra indicate il quale potrà esperire nuova attività istruttoria e deciderà ritualmente secondo diritto/equità (1). Tutte le spese relative al procedimento arbitrale saranno anticipate in egual misura dalle parti, salvo sempre il diritto della parte vittoriosa di ottenere il rimborso da quella/e soccombente/i. (1)Eliminare la parola che non interessa gennaio/febbraio 2001 2 - Clausola compromissoria per arbitrato rituale ad hoc con collegio arbitrale Tutte le controversie che dovessero insorgere in relazione al presente contratto comprese quelle inerenti alla sua validità, interpretazione, esecuzione e risoluzione, saranno deferite alla decisione di un collegio di tre arbitri iscritti negli Albi dei Dottori Commercialisti. Ogni parte nominerà un arbitro ed il terzo che presiederà il collegio dovrà essere scelto dalle parti d’accordo ed in caso di disaccordo dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato su richiesta della parte più diligente dopo che siano decorsi almeno 30 giorni dalla data in cui una delle parti ha comunicato all’altra con atto notificato a mezzo d’ufficiale giudiziario, la propria intenzione di far ricorso alla procedura arbitrale. Gli arbitri decideranno in via rituale secondo diritto/equità (1), nel rispetto delle norme inderogabili del codice di procedura civile relative all’arbitrato rituale. La sede dell’arbitrato viene stabilita a Bologna. In caso di impugnazione per nullità le parti intendono fin da ora concordemente deferire, ai sensi dell’art. 830, c. 2 c.p.c., la decisione sul merito ad un collegio arbitrale nominato secondo le modalità sopra indicate il quale potrà esperire nuova attività istruttoria e deciderà ritualmente secondo diritto/equità (1). Tutte le spese relative al procedimento arbitrale saranno anticipate in egual misura dalle parti, salvo sempre il diritto della parte vittoriosa di ottenere il rimborso da quella soccombente. (1) Eliminare la parola che non interessa 3 - Clausola compromissoria da inserire nell’atto costitutivo di 7 una società per arbitrato rituale ad hoc con arbitro unico Le controversie che dovessero insorgere tra la società e ciascun socio, ovvero tra i soci medesimi, in relazione ad interessi riconosciuti a favore di questi ultimi non nella loro qualità di soci, bensì come singoli, nonché fra gli eredi di un socio defunto e gli altri soci e/o la società, connesse all’interpretazione e all’applicazione dell’atto costitutivo e/o più in generale, all’esercizio dell’attività sociale, saranno deferite alla decisione di un arbitro unico nominato di comune accordo dalle parti tra gli iscritti negli Albi dei Dottori Commercialisti. Qualora le parti non raggiungano tale accordo, l’arbitro verrà designato dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna su richiesta della parte più diligente, dopo che siano trascorsi almeno 30 giorni dalla data in cui una delle parti ha comunicato alle/a altre/a con atto notificato a mezzo d’ufficiale giudiziario, la propria intenzione di far ricorso alla procedura arbitrale. L’arbitro unico deciderà in via rituale secondo diritto/equità (1), nel rispetto delle norme inderogabili del codice di procedura civile relative all’arbitrato rituale. La sede dell’arbitrato viene stabilita a Bologna. In caso di impugnazione per nullità le parti intendono fin da ora concordemente deferire, ai sensi dell’art. 830, c. 2 c.p.c., la decisione sul merito ad un arbitro unico nominato secondo le modalità sopra indicate il quale potrà esperire nuova attività istruttoria e deciderà ritualmente secondo diritto/equità (1). Tutte le spese relative al procedimento arbitrale saranno anticipate in egual misura dalle parti, salvo sempre il diritto della parte vittoriosa di ottenere il rimborso da quella/e soccombente/i. (1)Eliminare la parola che non interessa il Torresino LA DISCIPLINA DEI FONDI PENSIONE a cura di BENEDETTO SANTACROCE - AVVOCATO Dopo l’approvazione del correttivo del Dlgs 47/2000 e dopo l’emanazione della corposa circolare n. 29 del 20 marzo 2001, finalmente, i contribuenti hanno tutti gli strumenti per valutare i vantaggi fiscali creati dalla nuova normativa in materia di fondi pensione. La riforma, che è entrata in vigore dal 1 gennaio 2001, pur favorendo chiaramente i fondi chiusi di categoria, ha sostanzialmente cercato di equiparare le regole applicabili a questa tipologia di fondi con quelle applicabili ai fondi aperti. Questo con lo scopo di sviluppare contestualmente degli strumenti previdenziali di categoria, basati su contratti collettivi, accordi aziendali e patti extraziendali, e degli strumenti previdenziali di carattere individuale. Fornendo così al contribuente, sia esso lavoratore dipendente ovvero lavoratore autonomo o, più in generale, possessore di un reddito, una concreta scelta e una “formale” libertà nell’aderire ad un fondo rispetto ad un altro. Dal punto di vista più squisitamente fiscale la riforma è intervenuta sia sul piano dei contributi, che su quello delle prestazioni che su quello della gestione dei fondi pensione propriamente detti. Queste novità, combinate con un maggiore equilibrio dell’intero sistema normativo, modificando sostanzialmente rispetto al passato, determinano un nuovo assetto sia per i vecchi iscritti a vecchi fondi, sia per i nuovi iscritti a vecchi fondi, sia (e questo è l’aspetto più rilevante) per i nuovi iscritti a nuovi fondi. L’intera riforma si basa sull’applicazione di due principi di base. Il principio della correlazione tra i contributi versati al fondo e non tassati e le prestazioni erogate e tassate e il principio della non duplicazione dell’imposizione con detassazione delle rendite finanziarie già sottoposte, in seno al fondo pensione, ad autonoma fiscalizzazione. Questi due principi si traducono in pratica nel fatto che: gennaio/febbraio 2001 D’ATTUALITÀ - il lavoratore dal 2001 potrà versare dei contributi, con limiti prestabiliti, che non concorreranno alla formazione della base imponibile tassabile nell’anno di contribuzione, ma concorreranno alla determinazione dell’imposta al momento dell’erogazione della prestazione. I limiti sono, in via generale, costituiti dal fatto che il lavoratore potrà versare al fondo complementare e dedurre dal proprio reddito imponibile delle somme che dovranno rispettare il limite assoluto dei 10 milioni di lire e del 12 per cento del reddito complessivo. Sottolineiamo, in via generale, perché ad esempio i lavoratori dipendenti (esclusi i lavoratori vecchi iscritti a vecchi fondi), oltre ai limiti predetti, dovranno destinare al fondo pensione una quota di Tfr almeno pari al 50 per cento dell’intero contributo. Di segno opposto la deroga prevista per i vecchi iscritti a vecchi fondi che fino al 2005 potranno versare al fondo e dedurre dal proprio reddito imponibile una somma anche superiore a 10 milioni di lire, non superiore, comunque, al 12 per cento del proprio reddito complessivo, nei limiti degli importi versati al fondo nel corso del 1999; - le rendite finanziarie degli accantonamenti effettuati al fondo pensione e gestiti dall’ente fondo verranno tassati con l’aliquota del 11 per cento in seno al fondo, ma, rispettando alcune condizioni, non verranno, poi, tassati al momento dell’erogazione della prestazione. Sul piano delle prestazioni la riforma, diretta a favorire l’erogazione delle rendite rispetto all’erogazione di capitale, impone rigide regole al fine di evitare che lo strumento previdenziale, attraverso l’accordo delle parti, divenga solo ed unicamente uno strumento finanziario di investimento. Per questo, al momento dell’erogazione della prestazione, se si vuole ottenere la detassazione dei rendimenti finanziari già tassati all’interno del fondo, il soggetto beneficiario, a meno che non si trovi in particolari condizioni, potrà ottenere, sotto forma di capitale, solo una somma non superiore ad 1/3 dell’intera prestazione, mentre la restante parte dovrà essere erogata sotto forma di rendita. In materia di rendita si sottolinea che a decorrere dal 2001 le somme erogate subiranno, in base alla regola della correlazione, una tassazione al 100 per cento al netto dei rendimenti finanziari già tassati e dei contributi versati e non dedotti dal reddito imponibile. La tassazione della previdenza complementare Contributi versati • Deducibili dal reddito complessivo di chi effettua il versamento nei limiti del 12 per cento del reddito complessivo e nel limite di 10 milioni (eccezioni per i vecchi iscritti a vecchi fondi). Per i lavoratori dipendenti deducibilità condizionata dalla destinazione al fondo di una quota di Tfr pari al 50 per cento del contributo. Prestazioni pensionistiche • Capitale: Soggette a tassazione separata al netto dei rendimenti già tassati nel fondo. • Rendita: imponibilità al 100 per cento ma solo limitatamente ai contributi versati e dedotti. Fondo pensione (risorse) • La tassazione delle risorse è soggetta ad un’imposta sostitutiva dell’11 per cento ovvero per vecchi fondi pensione con immobili tassazione patrimoniale degli immobili con aliquota dello 0,5 per cento. 8 il Torresino LE RISPOSTE DELLA DIREZIONE REGIONALE AI QUESITI 1 Oggetto:Trasformazione di una azienda speciale in spa ai sensi della legge 15 maggio 1997, n.127. Presentazione della dichiarazione. Con nota pervenuta in data 27 settembre u.s., ulteriormente integrata da una successiva nota del 23 ottobre, codesta società ha posto alla scrivente un quesito concernente la propria trasformazione da azienda speciale in spa ai sensi della legge in oggetto citata. Più precisamente, codesta società, già azienda speciale del Comune di ZYZ costituita ai sensi dell’art.22, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n.142, gestisce il servizio di igiene urbana, le farmacie comunali, i servizi funebri e cimiteriali ed i servizi idrici (acquedotto, fognature e depurazione) nel territorio del Comune di ZYZ ed ha chiesto di conoscere se, a seguito della trasformazione in spa, potrà presentare, nei termini ordinari, un unico bilancio ed il Modello Unico per l’intero esercizio 2000. Come precisato nel quesito, il Comune di ZYZ ha deliberato la trasformazione dell’azienda speciale in spa ai sensi della legge 15 maggio 1997, n.127. L’art.17, comma 51, di tale legge prevede, infatti, che i Comuni possono, per atto unilaterale, trasformare le aziende speciali, costituite ai sensi dell’art.22, comma 3, della citata legge 142/1990, in società per azioni, di cui possono restare azionisti unici per un periodo comunque non superiore a due anni. Le società conservano tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione e subentrano pertanto in tutti i rapporti attivi e passivi delle aziende originarie. Da tale disposizione, secondo codesta società, si evince che vi è continuità tra la vecchia e la nuova configurazione giuridica. Non c’è estinzione di un soggetto giuridico, né creazione di uno nuovo, ma semplice mutamento della forma organizzativa della gestione. La trasformazione da azienda speciale in spa è avvenuta con decorrenza 11 luglio 2000; la spa (con unico socio il Comune di ZYZ) ha mantenuto invaria- gennaio/febbraio 2001 to il numero di iscrizione nel registro delle imprese, il numero di partita Iva ed il codice fiscale. In relazione alla trasformazione avvenuta in corso d’anno, codesta società, in sintonia con quanto espresso sull’argomento dalla propria Confederazione (C.I.S.P.E.L. Confederazione Italiana Servizi Pubblici Locali), ritiene che l’esercizio nel corso del quale è avvenuta la trasformazione è da considerare un esercizio unitario e, pertanto, potrà presentare, nei termini ordinari, un unico bilancio ed il Modello Unico per l’intero esercizio 2000. Ad integrazione di quanto sopra esposto, codesta società ha poi fatto pervenire ulteriori precisazioni: 1) ABC ha acquisito la personalità giuridica in data 19 febbraio 1996 a seguito della iscrizione nel registro delle imprese presso la CCIAA di XXXX; 2) il periodo di moratoria tributaria di cui all’art.66, comma 14, della legge 29 ottobre 1993, n.427 è terminato il 31 dicembre 1999 e, pertanto, dal 1 gennaio 2000 ABC è soggetto passivo IRPEG; 3) ABC, dopo l’acquisizione della personalità giuridica, è qualificata ente pubblico economico secondo i pareri espressi dal Consiglio di Stato n.405 del 18 maggio 1993 e n.1101 del 26 giugno 1997. Esaminata la questione, nel merito si espongono le seguenti considerazioni. Come precisato nel quesito, l’art.66, comma 14, del D.L. 30 agosto 1993, n.331, convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n.427, ha stabilito una norma agevolativa a carattere temporaneo (c.d. moratoria fiscale) al fine di incentivare l’utilizzo dei nuovi modelli gestionali dei servizi pubblici locali di cui alla legge 8 giugno 1990, n.142. Ai sensi di tale disposizione “nei confronti delle società per azioni e delle aziende speciali istituite ai sensi degli articoli 22 e 23 della L.8 giugno 1990, n.142……….si applicano fino al termine del terzo anno successivo a quello di acquisizione della personalità giuridica…….le disposizioni tributarie applicabili 9 all’ente di appartenenza”. E poiché l’ente di appartenenza è il Comune di ZYZ (e dal 1 gennaio 1991 i Comuni sono soggettivamente esclusi dall’applicazione dell’IRPEG e dell’ILOR per qualsiasi attività svolta), anche codesta società è esclusa da IRPEG e da ILOR per il periodo della moratoria fiscale. La materia è stata successivamente integrata dall’art.3, comma 70, della legge 28 dicembre 1995, n.549, che ha più puntualmente disciplinato il regime di moratoria, prevedendo che le disposizioni agevolative si applicano ”dalla data di acquisizione della personalità giuridica o di trasformazione fino al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in corso alle predette date e, comunque, non oltre il 31 dicembre 1999”. Codesta società ha acquisito la personalità giuridica in data 19 febbraio 1996 a seguito della iscrizione nel registro delle imprese (ovvero, se avvenuta anteriormente, con l’iscrizione nel registro delle società presso la Cancelleria del Tribunale, come più volte precisato dal Ministero: vedasi in particolare Circolare n.131/E del 16 giugno 1999; Ris. n.81/E del 5 giugno 2000; Ris. n.127/E del 3 agosto 2000). In data 31 dicembre 1999 si è concluso il periodo di moratoria fiscale e quindi dal 1 gennaio 2000 codesta società (nella veste di azienda speciale) è soggetto passivo IRPEG e si è trasformata, nel corso dell’anno 2000, in altro soggetto passivo IRPEG (società per azioni). Nei casi di trasformazione di società soggetta all’IRPEG in società non soggetta a tale imposta o viceversa, l’art.122, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) prevede che “il reddito del periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la trasformazione è determinato secondo le disposizioni applicabili prima della trasformazione in base alle risultanze di apposito conto dei profitti e delle perdite”. Vale a dire che qualora (e solo se) la trasformazione (di società) comporti il passaggio dall’IRPEF all’IRPEG o viceversa, si hanno due distinti periodi d’imposta, essendo differente il il Torresino regime di tassazione nelle due diverse fattispecie: - il primo dall’inizio dell’esercizio alla data di effetto della trasformazione; - il secondo dalla data di effetto della trasformazione alla data di chiusura dell’esercizio. Ciascuno di questi due periodi d’imposta sarà assoggettato alle regole proprie dell’imposta di appartenenza (IRPEF o IRPEG), per cui se, ad esempio, una società di persone si trasforma in società di capitali, il primo periodo d’imposta sconterà l’imposizione prevista per le società di persone (IRPEF), il secondo quella per le società di capitali (IRPEG). La riferibilità dell’art.122 del TUIR (rubricato Trasformazione della società) alla fattispecie in esame appare però piuttosto problematica, atteso che: - l’Amministrazione finanziaria, con Ris. n.9/373 del 20 aprile 1979, (emessa in relazione all’allora vigente art.15 del DPR 598/73) ha affermato che “la trasformazione disciplinata dai testi delegati è unicamente quella concernente la variazione della società da uno ad un altro dei tipi di società commerciali …..previsti dall’art.2200 del codice civile”. - una giurisprudenza molto autorevole in materia (Tribunale di Milano, gennaio 2000) ha sostenuto che “La legge 15 maggio 1997, n.127 (c.d. Bassanini bis) ha introdotto un sistema semplificato per ottenere la gestione in forma societaria dei servizi pubblici municipalizzati: non più la costituzione di una apposita società e il conferimento alla stessa dei beni dell’azienda municipalizzata ma la “trasformazione” diretta delle aziende speciali in società per azioni. La trasformazione è concetto che si riferisce al cambiamento di struttura di un ente organizzato in forma societaria e quindi è estraneo al mutamento di struttura di un’azienda municipalizzata, che non è una società ma una persona giuridica fornita di patrimonio autonomo”. Tuttavia è importante qui richiamare l’art.122 del TUIR per il principio che afferma che la suddivisione in due distinti periodi d’imposta si impone qualora la trasformazione (di società) implichi il passaggio da una imposizione ad un’altra (da IRPEF a IRPEG o viceversa). Conseguentemente, non si avrà alcuna gennaio/febbraio 2001 suddivisione in periodi d’imposta se non c’è alcun passaggio da una imposizione all’altra, ma si rimane, con la trasformazione, all’interno della stessa imposizione (es. srl che si trasforma in spa, sas che si trasforma in snc). Questo principio, peraltro, è fatto proprio dall’art.11 del DPR 29 settembre 1973, n.600, che al comma 1, dispone: “In caso di trasformazione di una società non soggetta all’imposta sul reddito delle persone giuridiche in società soggetta a tale imposta, o viceversa, deliberata nel corso del periodo d’imposta, deve essere presentata, entro quattro mesi dalla data in cui ha effetto la trasformazione, la dichiarazione relativa alla frazione di esercizio compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data stessa”. È evidente, infatti, che qualora la trasformazione (di società) comporti il passaggio da una imposizione ad un’altra (es. da IRPEF a IRPEG) e quindi la suddivisione in due distinti periodi d’imposta, sarà necessario presentare due distinte dichiarazioni: - una (ex art.11 citato) entro quattro mesi dalla data in cui ha effetto la trasformazione per il periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta a tale data (dichiarazione e redditi soggetti in questo caso a IRPEF); - una (ex art.2 del DPR 22 luglio 1998, n.322) entro i termini per i normali bilanci d’esercizio per il periodo che va dal giorno successivo alla data da cui ha effetto la trasformazione alla fine dell’esercizio (dichiarazione e redditi soggetti in questo caso a IRPEG). Va altresì precisato che il citato art.11 è pacificamente applicabile alla fattispecie in questione perché il suo ultimo comma, dispone che “Le disposizioni dei commi precedenti, in quanto applicabili, valgono anche nei casi di trasformazione e fusione di enti diversi dalle società”. Nel caso in esame il processo di trasformazione vede il soggetto ante-trasformazione (ente diverso da società ma sempre soggetto passivo IRPEG con obbligo quindi di dichiarazione) divenire, con la trasformazione, società: più esattamente società per azioni (sempre soggetto passivo IRPEG, anch’esso con obbligo di dichiarazione). Non sussistono dubbi sul fatto che ABC quale azienda speciale (ante 10 trasformazione) sia ente diverso dalle società: diverse sentenze del Consiglio di Stato, in precedenza citate, qualificano le aziende speciali come enti pubblici economici. Il processo di trasformazione (e fusione) preso in esame dalla norma è (anche) quello in cui è coinvolto (o come soggetto ante-trasformazione o come soggetto post-trasformazione) un ente diverso dalle società, come appunto nella fattispecie in esame. Oltretutto sia il soggetto ante, che il soggetto post-trasformazione sono soggetti passivi IRPEG. È quindi applicabile il principio di cui al precedente comma 1, dell’art.11 citato; di conseguenza, non si avrà alcuna suddivisione in periodi d’imposta se non c’è alcun passaggio da una imposizione all’altra, ma si rimane, con la trasformazione, all’interno della stessa imposizione. E poiché nel caso in esame la trasformazione avviene all’interno dell’IRPEG e quindi il trattamento fiscale ante e post-trasformazione è omogeneo, non deve essere presentata alcuna dichiarazione ai sensi del richiamato art.11 del DPR 600/73. In conclusione, codesta società presenterà, nei termini ordinari e comunque sulla base di quanto stabilito dall’art.2 del DPR 22 luglio 1998, n.322, un bilancio unico ed il Modello Unico per l’intero (ed unico) periodo d’imposta 2000. 2 Oggetto:IVA. Regime del margine. Acquisto di autoveicoli da soggetto identificato in altro Stato membro. Codesto Ufficio ha trasmesso alla scrivente una richiesta di parere formulata dallo Studio…. Nel rilevare in via preliminare che l’interposto quesito, formulato ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 della Legge n. 413/91, esula del tutto dalle ipotesi contemplate da tale normativa rientrando invece tra le ipotesi delle ordinarie richieste di chiarimenti, si esprimono nel merito le seguenti osservazioni. La questione sottoposta ad esame nei suoi aspetti generali verte sull’individuazione delle condizioni di applicabilità del c.d. regime del margine agli scambi intracomunitari di il Torresino mezzi di trasporto “ usati “ posti in essere tra un cedente soggetto passivo d’imposta in altro Stato membro ed un acquirente soggetto passivo d’imposta in Italia. Al riguardo si rileva che, in forza di quanto disposto dall’art. 36, decimo comma, del D.L. n. 41/95, i mezzi di trasporto oggetto dello scambio intracomunitario per essere ammessi al regime speciale del margine devono poter essere qualificati quali mezzi di trasporto “ non nuovi “ ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del D.L. n. 331/93, ovvero devono sussistere le duplici condizioni enunciate in tale ultima disposizione circa il numero dei chilometri percorsi ed il tempo trascorso dalla prima immatricolazione. Naturalmente la corretta applicazione del regime del margine tra i soggetti comunitari è subordinata alla circostanza che il bene oggetto dello scambio ha già subito nel paese di provenienza una tassazione a titolo definitivo idonea al fine del suo inserimento nel regime speciale. Quest’ultima condizione, pienamente rispondente alla complessiva ratio del regime del margine, trova una sua conferma normativa nell’art. 37, secondo comma, del D.L. n. 41/95 che esclude dalla categoria degli acquisti intracomunitari le acquisizioni di beni di cui al precedente art. 36, “ assoggettati al regime ivi previsto nello Stato membro di provenienza “. Con riferimento al problema di eventuali responsabilità dell’acquirente nazionale nell’ipotesi in cui il bene non poteva essere attratto in un regime di tassazione all’origine tramite il sistema del margine in quanto non precedentemente tassato a titolo definitivo, si ritiene che le stesse siano da escludere nella misura in cui l’assenza dei requisiti sia riferibile alla sfera del cedente soggetto d’imposta in altro Stato ed alle sue non veritiere attestazioni. 3 Oggetto:Esenzione dalla garanzia sui rimborsi. Art. 38 bis del D.P.R. n.633/72. Modifiche recate dall’art. 3 del D.Lgs. 19 novembre 1998, n.422. Con nota pervenuta il 22 novembre 2000, codesta Società Cooperatigennaio/febbraio 2001 va ha richiesto chiarimenti su tre distinti aspetti della disciplina dettata dall’art. 38 bis del D.P.R. n. 633/72 in tema di esonero dalla presentazione di garanzie per i rimborsi IVA. La prima questione sollevata attiene al modo in cui deve essere intesa la condizione di esonero dalle garanzie prevista dall’art. 38 bis, settimo comma, lett.b) del D.P.R. n. 633/72. La disposizione citata, in questa sua parte, enuclea quale condizione di esonero dalla garanzia la circostanza che non siano stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti una maggiore imposta variamente determinata in rapporto agli importi originariamente dichiarati. Al riguardo, nel premettere che, con Circolare del 4 marzo 1999, n. 54, la cessata Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario del Dipartimento delle Entrate ha avuto modo di precisare che detta condizione opera sia nel caso di avviso di accertamento successivamente annullato in via di autotutela, sia nel caso di sentenza passata in giudicato che definitivamente determini un ammontare di maggiore imposta compatibile con i parametri previsti dalla disposizione in commento, viene chiesto di sapere se a tali situazioni può essere assimilato il caso in cui a seguito di accertamento con adesione, si è giunti ad una rideterminazione della maggiore imposta inferiore ai limiti previsti dalla norma. Ad avviso di codesta Società tale assimilazione sarebbe consentita dalla considerazione che “con l’adesione l’Ufficio ha di fatto esercitato il potere di autotutela, annullando parzialmente l’atto originariamente emesso”. Esaminata la questione, la scrivente concorda con la conclusione prospettata da codesta Società. Peraltro, più che basarsi sulla astratta assimilazione dei poteri e dei presupposti involti dall’accertamento con adesione e dall’autotutela, assimilazione sulla quale si possono nutrire riserve e che per altri versi può ingenerare equivoci, la suddetta concordanza è giustificata dall’osservazione, normativamente fondata, che, ai sensi dell’art. 6, quarto comma, del D.lgs. n. 218/97, all’atto del perfezionamento della definizione, l’avviso di accertamento o di rettifica previamente notifica11 to perde di efficacia, e tale perdita di efficacia non può non essere riferita anche alle situazioni ed agli interessi contemplati dalla disposizione in esame. La seconda questione fa riferimento alla condizione di esonero dalle garanzie prevista dall’art. 38 bis, settimo comma, lett.c) del D.P.R. n. 633/72, ed in particolare al contenuto che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ivi prevista può e deve assumere allorquando si sono verificate cessioni di aziende o di rami di azienda comprese nell’ultimo bilancio approvato. In proposito viene chiesto di sapere se la condizione di esonero viene a mancare per il semplice fatto che il soggetto richiedente il rimborso ha posto in essere dette dismissioni, o, se invece, la condizione venga meno quando a tali dismissioni consegua una cessazione o una riduzione dell’attività. Sul punto si osserva che la lettera della norma è chiaramente orientata in quest’ultimo senso, mentre la diversa impressione che può trarsi dalla lettura delle premesse della già citata Circolare n. 54/E/99 è dovuta al carattere meramente sintetico-riassuntivo attribuibile a questa parte del deliberato. L’ultima questione, sempre attinente alle condizioni di esonero dalle garanzie, è formulata con riguardo alle ipotesi in cui ha trovato applicazione il regime dell’ ”IVA di gruppo”. Qui, nel premettere che sempre la Circolare n. 54/E/99 ha precisato che le condizioni di cui all’art. 38 bis, settimo comma, lettere a), b) e c) del D.P.R. n. 633/72, devono sussistere in capo alla Società o all’Ente partecipante alla liquidazione di gruppo da cui deriva il credito chiesto a rimborso, viene chiesto di sapere se, nel caso in cui la controllante capogruppo non abbia eccedenze che influenzino il rimborso, le relative dichiarazioni sostitutive di notorietà debbano essere rese dalle sole controllanti la cui posizione ha originato il rimborso, e per loro conto prodotte dalla capo gruppo. Su tale aspetto la risposta è affermativa, posto che i fatti che formano oggetto delle dichiarazioni sostitutive sono fatti che appartengono alla sfera giuridica delle controllate, mentre la richiesta del rimborso e la produzione della relativa documentazione è di pertinenza della controllante. il Torresino SECONDO CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI SULLE PROCEDURE CONCORSUALI BOLOGNA 27-28 OTTOBRE 2000 a cura di MARGHERITA ZANETTI - DOTTORE COMMERCIALISTA L’ANGOLO DEL TRIBUNALE CONTROLLO DELLA CRISI D’IMPRESA NELL’ISTRUTTORIA BANCARIA. RESPONSABILITA’ DELL’OPERATORE BANCARIO NEL DISSESTO FALLIMENTARE E NELLA FORMAZIONE DELL’INSOLVENZA La sessione di venerdì 27 ottobre 2000 del Secondo Convegno Nazionale di Studi sulle Procedure Concorsuali si è aperta con la relazione di Enrico Granata, referente dell’ufficio legale dell’ABI, il quale ha magnificato le capacità dell’operatore bancario di valutare le aziende e di rapportarsi in maniera propositiva e prospettica nei confronti dell’imprenditore e dell’impresa. “L’attività di affidamento della clientela da parte dell’istituto bancario richiede sempre più una filosofia di osservazione prospettica e previsiva, in grado di monitorare adeguatamente le variabili aziendali, al fine di cogliere segni eventuali di deterioramento gestionale. Allo stato, la valutazione effettuata dagli Istituti non è una tantum, bensì periodica del merito di credito e si basa essenzialmente sulla considerazione della capacità prospettica dell’impresa affidata di restituire il debito, individuando tutti i fattori suscettibili di influire su tale capacità”. Il relatore ha negato che in capo all’operatore bancario possano sussistere responsabilità civilistiche e/o penali per interruzione repentina del credito se si ha presente che alla banca non può essere negato il diritto di revocare le linee di credito quando è in pericolo la recuperabilità del credito stesso. Ha poi rammentato l’importanza della Centrale Rischi e le attività di sviluppo del sistema affidato a tale istituto che consentono l’accesso ad informazioni di estrema importanza a tutto il settore bancario, il quale quindi, a suo parere, ha gli strumenti, le capacità e le risorse per svolgere un’attività di sostegno finanziario nei confronti dell’impresa. Le affermazioni di Granata sulla capacità degli istituti di sorreggere le imprese nei momenti di crisi e di sagennaio/febbraio 2001 pere valutare con modalità prospettica la capacità dell’impresa affidata alla restituzione del credito è stata contestata vivacemente dai successivi relatori (Inzitari e Sandrelli) ed esperti sia di prassi bancaria che di prassi fallimentare non hanno potuto che dissentire dalle affermazioni del relatore. La concessione abusiva del credito bancario In particolare, Bruno Inzitari, dopo un breve excursus sulla responsabilità della banca per concessione abusiva del credito in Francia e Belgio e sull’attuale normativa di vigilanza in materia di erogazione del credito in Italia, ha affrontato con estrema chiarezza la problematica relativa alla concessione abusiva del credito da parte dell’istituto bancario, rammentando che l’irregolare concessione del credito diviene lesione dell’affidamento, in quanto comporta una lesione dell’autonomia contrattuale dei terzi, dannosamente indotti a porre in essere o mantenere rapporti negoziali con un soggetto la cui insolvenza o fragilità economica non si manifesta per effetto del credito concesso dalla banca. È necessario che il sistema bancario, proprio in virtù delle sue qualità professionali di conoscenza e prevedibilità si ponga a tutela del sistema economico e quindi, in mancanza, è inevitabile che insorga la conseguente responsabilità della banca per violazione di un obbligo di correttezza nell’esercizio dell’attività professionale e nell’adempimento delle obbligazioni, violazione che si configura anche quale mancata osservanza all’obbligo di solidarietà di 12 cui all’art. 2 della Costituzione. Infine il relatore ha brevemente illustrato alcune particolari ipotesi di concessione abusiva del credito e le motivazioni fondamentali di tali comportamenti. La banca concede un fido irregolare facendo unicamente affidamento sul patrimonio del garante (società capogruppo o collegata, ecc.); la banca continua nell’erogazione del credito al soggetto insolvente, in quanto l’esposizione debitoria verso la banca viene ripianata da un terzo che riceve dalla stessa banca la provvista attraverso concessioni di mutuo nelle quali la somma maturata viene utilizzata per ripianare l’esposizione debitoria dell’impresa affidata ormai insolvente (in questo modo la banca consegue spesso il vantaggio di ottenere dal terzo una garanzia ipotecaria che, se fosse stata rilasciata dall’impresa insolvente sarebbe stata esposta alla revocatoria ex art. 67, comma 1 nn. 3 e 4) L.F.; la banca eroga credito a impresa insolvente per effetto di scelte di favore derivanti da condizionamenti politici, ambientali, ecc.; la banca eroga credito ad imprese insolventi per ritardare il manifestarsi dell’insolvenza, allo scopo di escludere per decorrenza dei termini la revocabilità di atti solutori o di disposizione compiuti dal debitore. La responsabilità penale del banchiere Grande interesse ha suscitato l’intervento di Gian Giacomo Sandrelli, il quale ha illustrato la responsabilità penale del banchiere nella formazione dell’insolvenza, dividendola in due macro categorie: responsabilità per avere concorso a cagionare l’inil Torresino solvenza dell’impresa e responsabilità durante la formazione di un’insolvenza maturata e sviluppatasi al di fuori del rapporto creditizio che lega imprenditore e banca. Ha poi inquadrato la fattispecie penale che domina la scena dell’insolvenza nei rapporti imprenditorebanca, che è quella della bancarotta fraudolenta o preferenziale (e, in misura assai più rara, della ricettazione fallimentare), illustrandone i profili oggettivi ed evidenziando che la bancarotta fraudolenta (patrimoniale o preferenziale) raccoglie sostanzialmente le condotte che portano all’impoverimento dell’asse attivo, ove se questo impoverimento non conosce giustificabilità in termini di impresa, esso concreta il comportamento fraudolento, censurabile ex artt. 216 n. 1 e 223 L.F., mentre ove la diminuzione patrimoniale sia riferibile alla tacitazione di una pretesa esistente, essa si risolve in una anticipazione del riparto fallimentare e può condurre, quando avvenga senza il rispetto della par condicio creditorum, alla “minore” violazione descritta dall’art. 216 comma 3 e 223 L.F. ed è questa la zona di maggior rischio per l’operatore di banca, essendo il suo rapporto con l’impresa fondato sulla ripetizione di quanto a suo tempo prestato e nulla più (se non gli accessori consentiti dalla legge). Il relatore ha poi fatto alcuni cenni, con esempi chiarificatori, sulle responsabilità da concorso dell’operatore di banca nei reati sopra menzionati: a) il concorso nelle condotte di bancarotta fraudolenta Per quanto la condotta di bancarotta sia ascrivibile soltanto al soggetto “proprio” (imprenditore, institore, ovvero soggetti indicati dagli artt. 222 o 223 L.F.), si ammette la responsabilità di chi con questi concorra pur non rivestendo la qualifica detta. Nel caso di specie (operatore di banca) l’art. 110 c.p. (concorso di persone nel reato) stabilisce, infatti, che chiunque contribuisca al comportamento criminoso, risponde allo stesso modo e senza differenze importanti, con l’autore “proprio”. Il quesito delicato che si pone, nei rapporti banca-impresa insolvente, è sicuramente rappresentato dall’ingerenza del banchiere negli affari del gennaio/febbraio 2001 cliente in crisi: è di quotidiana esperienza che le raccomandazioni, i controlli e, spesso, i divieti provenienti dal creditore/banca, costituiscono momenti di sicura cogenza verso l’azione di gestione. Il banchiere dispone di leve e mezzi assai efficaci per condizionare decisivamente, mediante il flusso del credito e della liquidità mutuata, le mosse dell’impresa in difficoltà, mezzi talora finalizzati all’esclusiva composizione delle sue pretese. È chiaro che difficilmente potrà negarsi, in questi casi, una possibile condotta di concorso ove, a seguito di siffatte pressioni, ne derivi comportamento illecito a danno di altri creditori. b) il concorso dell’operatore di banca in ambito di preferenzialità Si tratta di un concorso obiettivamente necessario dell’extraneus nel reato proprio. È infatti evidente che, come esiste un debitore che soddisfa il creditore, indefettibilmente, vi deve essere un creditore non soltanto favorito, ma molto interessato ad essere soddisfatto. E allora, pur dando per scontato che l’omessa persecuzione del creditore favorito non escluda il prosieguo dell’azione penale verso il debitore, il problema attiene alla rilevanza penale della condotta del concorrente, postoché é diritto di chiunque chiedere l’esazione dei propri crediti, diritto sancito in via generale dall’art. 1186 c.c., che consente al creditore di esigere immediatamente la sua pretesa ove conosca l’insolvenza. Anzi, per il rapporto di credito bancario, valgono anche più specifici riferimenti: la mancanza o l’indebolimento della garanzia consentono la decadenza dal termine (art. 1186 c.c.), la riduzione del credito o il recesso quando la garanzia a fondamento dell’apertura di credito divenga insufficiente (art. 1844 comma 2 c.c. e, con disciplina analoga per l’anticipazione bancaria, art. 1850 c.c.), secondo i principi generali dell’art. 2743 c.c.. Allo stesso risultato si perviene anche da altro angolo di visuale: sovente la richiesta di pagamento verso il debitore non è una facoltà, ma discende da norme cogenti, le quali impongono l’attivazione del creditore verso il debitore, anche insolvente. Tra questi rimedi, aderente al sistema (sussistendo un grave inadem13 pimento), è l’istanza di fallimento intesa anche come pressione per il pagamento. Così, in realtà, non è: la norma penale non punisce il pagamento (o la simulazione della garanzia), ma soltanto quel pagamento che determini lesione della par condicio. Il relatore ha inoltre approfondito l’aspetto della condotta illecita della banca nella bancarotta preferenziale, evidenziando che l’oggetto del reato sta nella violazione della scala di preferenza stabilito, per le procedure concorsuali, dal Legislatore e dall’art. 2741 c.c. e dalle leggi speciali (art. 111 L.F.), mentre le modalità sono quelle riportate nell’art. 216 comma 3 L.F. che prevede due diverse ipotesi di preferenzialità: il pagamento in via privilegiata del creditore ovvero la simulazione di titoli di prelazione. E su tale ultimo punto (simulazione dei titoli di prelazione) ha rammentato che la fattispecie non ha praticamente interessato la Giurisprudenza, se non che “prelazione” è termine tecnico e non può essere inteso come “simulazione di situazione non suscettibile di azione revocatoria”, a meno di dare vita ad un’interpretazione analogica in malam partem. Del che una recentissima sentenza della Suprema Corte si è resa conto, equiparando la nozione formale di “simulazione” alla situazione del banchiere che con “pressioni” induce il debitore a concedere ipoteca a favore di un nuovo mutuo, la cui provvista giova ad estinguere il vecchio debito chirografario. Un assunto che cerca di fuoriuscire dagli angusti limiti della nozione di “simulazione”, giungendo a conclusioni che, per il vero, non sembrano condivisibili. Il relatore ha, infine, trattato l’ipotesi della condotta illecita della banca senza collusione con l’imprenditore dissestato, ovvero le fattispecie di interesse penale in cui rileva la condotta della banca senza che intervenga concorso dell’imprenditore. Innanzitutto, l’art. 232 cpv. L.F. (cd. “ricettazione fallimentare”) e l’art. 232 cpv. n. 2 L.F. (c.d. “ricettazione pre-fallimentare”) per la quale è richiesta consapevolezza del dissesto da parte del soggetto agente. La condotta obiettiva incriminata è sia quella della “distrazione/ricettazioil Torresino ne” ovvero l’acquisto a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente. La casistica può interessare tutte le situazioni proprie di un rapporto bancario: il trattenimento di un libretto al portatore o di altra ricchezza del cliente; la mancata restituzione di un libretto di assegni per operare su un c/c attivo; l’incameramento di titoli a “dossier”, ecc., in vista di compensazioni improprie con posizioni in “rosso”, ecc. Anche in questo ambito è lecita la distinzione tra arricchimento indebito del terzo rispetto al ristoro del creditore, senza il consenso del fallito, e la possibile conclusione che soltanto nel primo caso si verta nell’illecito. In conclusione, è ben vero, anche a parere di chi scrive l’assunto: “poiché la minaccia efficace è insita nel rapporto bancario, essenziale alla fattispecie è la ricorrenza della ingiustizia del profitto, cioè, quella del creditore che intende raggiungere un risultato del tutto indebito, ma anche quella di chi intende realizzare il risultato con la vulnerazione dei parametri della par condicio ed in palese violazione dell’art. 216 comma 3 L.F. Pertanto, la minaccia di revoca dei fidi, la prospettazione di un’istanza di fallimento per il soddisfacimento di proprie pretese (in guisa evidente da non consentire il ristoro in via concorsuale) può anche colorarsi di tratti estorsivi. Allo stesso modo la prospettazione del male costituito dalla chiusura degli affidamenti, dal loro restringimento, dall’istanza di fallimento (o della richiesta di avvio di altra procedura concorsuale) avanzata per il soddisfacimento degli interessi non conformi a giustizia, ma per scopi estranei, colora di strumentalità la minaccia e la rende ingiusta e, quindi, estorsiva”. Responsabilità del professionista chiamato al risanamento di impresa Di grande interesse, in particolar modo vista la composizione della platea del Convegno e se si pensa alla riforma in atto ed alle proposte di legge al vaglio del Parlamento, sono stati i tre interventi sulla responsabilità del professionista quale soggetto terzo chiamato a coadiuvare l’imgennaio/febbraio 2001 prenditore nell’opera di ristrutturazione e risanamento dell’impresa. Angelo Casò ha illustrato le problematiche che il professionista si trova ad affrontare allorquando deve portare a compimento un mandato “professionale” avente per oggetto il risanamento di un’impresa. L’illustrazione è stata innanzitutto di tipo tecnico-aziendale. Il mandato “professionale” per il risanamento di un’impresa si traduce, in termini sintetici, nella predisposizione di un “piano di ristrutturazione” e nella conseguente realizzazione dello stesso. Talvolta il mandato può “fermarsi” al “piano di ristrutturazione”, ma un “piano di ristrutturazione” che non tenga conto della sua “fattibilità” non è un vero “piano di ristrutturazione”: rimane un elenco di ipotesi tecnicamente poco rilevante. Allo stato,la realizzazione di un “piano di ristrutturazione” trova nelle norme di legge vincoli significativi, certamente da rispettare ma molto spesso tali da renderlo irrealizzabile. Casò ha poi individuato, oltre al soggetto che esegue il mandato, il soggetto che conferisce il mandato, evidenziando le differenze e le problematiche tra mandato conferito da un imprenditore individuale e mandato conferito da una società ed illustrando le problematiche che sorgono quando la società è costituita da un gruppo d’imprese; le problematiche relative alla predisposizione del “piano di ristrutturazione”, ponendo l’accento sulla necessità della correttezza iniziale dei dati acquisiti e sul compito del professionista chiamato a verificare con dovuta criticità tali dati, pena l’inutilità del piano, e sulla completezza dello stesso, che deve tenere conto degli aspetti patrimoniali, economici e finanziari; l’esecuzione del “piano di ristrutturazione”, evidenziando che il piano di ristrutturazione va seguito “passo per passo”, mediante sistematici “aggiustamenti” e periodiche ridefinizioni di contenuti e conclusioni. Redazione ed esecuzione di un piano di ristrutturazione sono momenti diversi, ma strettamente connessi. Molte perplessità non può non avere il professionista che, chiamato a redigerlo, viene “escluso” dalla fase esecutiva (così come molte per14 plessità non può non avere l’imprenditore al quale il professionista prospetti di limitare il proprio intervento alla sola redazione del piano). Il relatore ha concluso il proprio intervento evidenziando le lacune del sistema giuridico attuale, che, a suo parere, non favorisce le operazioni di risanamento dell’impresa in crisi, soprattutto se la stessa già si trova in stato di insolvenza, attuale o prospettica. Inoltre, alcuni aspetti normativi sono tuttora non compiutamente precisati e difformemente interpretati e, in particolare, non è chiaro con quali criteri debbano essere predisposti i bilanci delle imprese in crisi; non è chiaro in quali termini possa essere correttamente proseguita la gestione dell’impresa in crisi e possano essere effettuate operazioni straordinarie quali conferimenti, fusioni e scissioni, affitti d’azienda, operazioni molto frequenti in situazioni di crisi delle imprese; e, ancora, non è chiara la valenza dei regolamenti convenzionali delle crisi d’impresa. Tutto ciò rende difficile l’esecuzione del mandato al professionista per il risanamento dell’impresa. È stato Lino Guglielmucci a trattare gli aspetti legati alla responsabilità da concorso del professionista chiamato a “soccorrere” l’impresa insolvente. Egli ha distinto anzitutto il concorso nell’illecito penale dal concorso nell’illecito civile, approfondendo l’aspetto civilistico sotto il profilo della responsabilità inerente il mandato affidato dall’imprenditore al professionista, per poi parlare delle figure professionali coinvolte nella crisi delle imprese (l’avvocato, il commercialista, l’advisor) e quindi dei diversi ruoli che il professionista può assumere (professionista del creditore, professionista dell’imprenditore). Ha poi evidenziato che, mentre esiste una responsabilità, sancita anche da diverse sentenze, verso il cliente nell’esecuzione del mandato, vi è invece una totale estraneità in tema di responsabilità di concorso del professionista, salvo che lo stesso non abbia assunto ruoli di amministratore di fatto. Ha infine concluso parlando della responsabilità del consulente verso i il Torresino terzi e delle iniziative che i terzi possono assumere nei suoi confronti (iniziative processuali del creditore e problema della responsabilità ex art. 96 c.p.c.; professionista dell’imprenditore e responsabilità per concorso nel pregiudizio alla garanzia patrimoniale, nella lesione della par condicio, nell’aggravamento del dissesto), rammentando che, allo stato, non esistono condanne svincolate dal presupposto di essere stati amministratori di fatto o legate al concorso in illeciti penali. L’aspetto penale della responsabilità del professionista è stato trattato da Luigi Orsi il quale con grande incisività ha innanzitutto rilevato come di responsabilità penale del professionista si parli solo in caso di procedura concorsuale, in quanto solo in questa sede nasce o può nascere una responsabilità penale, nella consumazione di reati, che sono conseguenti al dissesto di una impresa societaria e del concorrente estraneo che è professionista-consulente, in materia di atti pertinenti la gestione d’impresa. Orsi ha poi illustrato i reati fallimentari in cui può essere coinvolto il professionista (bancarotta, fraudolenta e semplice) ed i principi generali del concorso dell’estraneo nel reato di bancarotta, ovvero nell’ipotesi di “contributo consapevole ed efficiente” da parte del professionista nei confronti dell’imprenditore e dei terzi. Ha posto l’accento sul fatto che l’attività svolta dal professionista debba rivestire il carattere di inerenza all’attività gestionale; non può parlarsi di reato nel redigere un bilancio, che poi può risultare falso nei contenuti, ma si può parlare di concorso in reato qualora i suggerimenti del professionista nella redazione del bilancio siano tali da renderlo falso, al fine ad esempio di ottenere un maggior credito bancario. Il relatore ha poi illustrato alcune sentenze in materia di concorso del professionista nella bancarotta, soffermandosi sui concetti di “scorrettezza professionale” e di “comodo espediente”, che non integrano concorso nel reato, per concludere ricordando che nel caso di consulenza professionale nella “soluzione stragiudiziale” della crisi d’impresa, l’eventuale insuccesso del tentativo di risanamento, può frequentemente fare sorgere ipotesi di concorso nella bancarotta semplice (aggravio del dissesto) e fraudolenta (bancarotta dissipatoria e preferenziale) a carico del professionista. A Giovanni Lo Cascio è stata affidata la relazione conclusiva e di sintesi della sessione. Nel comunicare alla platea del Convegno che, nella giornata precedente, il Parlamento aveva varato la legge delega di riforma delle procedure concorsuali, il relatore ha lamentato che nella stesura delle proposte di legge sono mancati gli apporti, oltre che suo, di varie autorità del mondo giuridico, esperte della materia. il Torresino ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DI BOLOGNA Anno VII n. 1 gennaio/febbraio 2001 Aut. Trib. di Bologna n. 6487 del 29.09.95 Sped. in Abb. Post. L. 662 23/12/96 Art. 2 comma 20 lett. b Associato USPI Direttore responsabile Dott.ssa Francesca Buscaroli Comitato di redazione Patrizia Arioli Dottore Commercialista Dott.ssa M. Cristina Ceserani Dottore Commercialista Dott. Matteo Cotroneo Direzione Regionale E. R. Dott.Giorgio Delli Dottore Commercialista Dott. Vittorio Melchionda Dottore Commercialista Dott. Matteo Mele Dottore Commercialista Dott.ssa Anita Pezzetti Direzione Regionale E. R. Dott.ssa Giovanna Randazzo Dottore Commercialista Dott. Luigi Turrini Dottore Commercialista Realizzazione grafica e stampa: sab - tel. 051 461356 via Ca’ Ricchi, 1 - 3 S. Lazzaro di Savena (Bo) Fondazione dei Dottori Commercialisti di Bologna Via Farini, 14 - 40124 Bologna Tel. 051 220392 - Fax 051 238204 E mail:[email protected] Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna Via Farini, 14 - 40124 Bologna Tel. 051 264612 - Fax 051 230136 N° Verde 800017381 E mail: [email protected] Sito: www.dottcomm.bo.it Consiglio dell’Ordine di Bologna Presidente Dott. GIANFRANCO TOMASSOLI Vice Presidente Dott. FRANCESCO CORTESI Segretario Dott.ssa VINCENZA BELLETTINI Tesoriere Dott. ROBERTO BATACCHI Consigliere Dott. ANNA MARIA BORTOLOTTI Consigliere Dott. FRANCESCA BUSCAROLI Consigliere Dott. MAURIZIO GOVONI Consigliere Dott. G. BATTISTA GRAZIOSI Consigliere Dott. AMELIA LUCA Consigliere Dott. GUIDO PEDRINI Consigliere Dott. ALESSANDRO SACCANI Consigliere Dott. LUCA SIFO Consigliere Dott. RAFFAELE SUZZI Consigliere Dott. MATTEO TAMBURINI Consigliere Dott. ALBERTO TATTINI Comitato Tecnico nominato dalla Direzione Regionale dell’Emilia Romagna Dott. Matteo Cotroneo Coordinatore Dott. Gianfilippo Giannetto Vice coordinatore Dott.ssa Giovanna Alessio Dott. Mario Santoro Sig. Giancarlo Cagnani Dott.ssa Anita Pezzetti Dott.ssa Emanuela Renzi Dott.Giuseppe Nichil Commissione dei Dottori Commercialisti nominata dal Consiglio dell’Ordine per l’applicazione del Protocollo d’intesa Dott.ssa Patrizia Arioli Dott.ssa Francesca Buscaroli Dott. Claudio Galbucci Dott. Stefano Marchello Dott. Guido Pedrini Dott. Matteo Tamburini Dott. Fabio Zambelli Hanno collaborato a questo numero e gentilmente ringraziamo: Francesca Buscaroli Roberto Cassani gennaio/febbraio 2001 Giorgio Delli Benedetto Santacroce Margherita Zanetti 15 il Torresino